Tradimenti

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JULIA JUSTISS

Tradimenti


Immagine di copertina: Trevillon Images Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: The Rake To Ruin Her The Rake To Redeem Her Harlequin Historical Harlequin Mills & Boon Historical Romance © 2013 Janet Justiss © 2013 Janet Justiss Traduzione di Lorenza Braga Traduzione di Maria Grazia Bassissi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici settembre 2013 dicembre 2013 Questa edizione Regency Collection maggio 2017 REGENCY COLLECTION ISSN 2531 - 3754 Periodico bimestrale n. 4 del 4/05/2017 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 250 del 03/10/2016 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano


Sedotta da un libertino



Prologo Vienna, gennaio 1815 La melodia lontana di un valzer e un brusio di voci giunsero all'orecchio di Max Ransleigh mentre usciva dall'anticamera. Avanzò in fretta verso la donna dai capelli scuri che aspettava nell'alcova in ombra all'estremità del corridoio. Sperando di non trovare su di lei altri segni delle violenze del cugino, le chiese: «Cosa c'è? Non vi avrà colpita di nuovo, o sì? Temo di non poter rimanere; Lord Wellington dovrebbe arrivare nel salone verde da un momento all'altro e detesta i ritardatari. Non sarei venuto affatto, se il vostro biglietto non mi fosse sembrato di estrema urgenza». «Sì, me l'avevate detto che vi sareste incontrati qui; ecco come sapevo dove trovarvi» rispose lei. Il soave, leggero accento francese delle sue parole era delizioso come sempre. Incantevoli occhi scuri, il cui velo di tristezza aveva suscitato fin dall'inizio l'istinto protettivo di Max, gli esaminarono il volto. «Siete stato così gentile... Lo apprezzo più di quanto riesca a dire. È solo che Thierry mi ha ordinato di procurargli delle nuove fibbie per l'uniforme per il ricevimento di domani e io non ho idea di dove trovarle. E se non soddisfo le richieste di mio cugino...» La voce si smorzò e la donna rabbrividì. «Perdonatemi per avervi disturbato con il mio problema insignificante.» Disgusto e una gelida rabbia serpeggiarono dentro di lui all'idea che un uomo – no, un diplomatico – sfogasse la propria irritazione sulla donna fragile e delicata che gli stava accanto. Doveva trovare una qualche scusa per sfidare Thierry St. Arnaud a un incontro di pugilato e mostrargli come ci si sentiva a essere presi a pugni. 7


Lanciando un'occhiata oltre la spalla verso la porta del salone verde con un bisogno impellente di andarsene, cercò di non lasciar trasparire l'impazienza dalla voce. «Non dovete preoccuparvi. Non potrò accompagnarvi fino a domattina, ma c'è un negozio adatto non lontano da qui. Ora, mi rincresce essere così poco cavalleresco, ma devo tornare.» Mentre faceva l'inchino e si voltava, lei gli afferrò una manica. «Per favore, un momento ancora! Soltanto starvi vicino mi fa sentire più coraggiosa.» Max provò un moto di soddisfazione di fronte alla confidenza della donna, insieme alla compassione che gli destava sempre la sua situazione difficile. Per tutta la vita, in qualità di privilegiato figlio minore di un conte, gli altri gli avevano elemosinato favori; quella povera vedova chiedeva così poco... Si piegò a baciarle la mano. «Sono lieto di esservi d'aiuto. Ma Wellington vorrà la mia pelle se lo faccio attendere, in special modo con la seduta dei funzionari plenipotenziari sul punto di riunirsi.» «No, non è opportuno che un aspirante diplomatico si metta nei guai con il grande Wellington.» Lei aprì le labbra come per aggiungere qualcos'altro, poi le richiuse. Le lacrime le traboccarono dagli occhi. «Sono così dispiaciuta.» Sconcertato, stava per chiederle il perché, quando l'esplosione di un colpo di pistola ruppe il silenzio. Spingendo la donna dietro di sé, Max si voltò in direzione del rumore. Il suo orecchio da soldato gli diceva che era giunto dal salone verde, dove in quel momento doveva trovarsi Wellington. Attentatori? «Rimanete qui nell'ombra finché non ritorno!» ordinò girandosi mentre si metteva a correre, il cuore raggelato dalla paura. Nel salone verde, trovò le sedie rovesciate, dei documenti sparpagliati dappertutto e l'odore di polvere da sparo e un velo di fumo che aleggiavano all'interno della stanza. «Dov'è Wellington?» gridò al caporale che con altri due soldati stava tentando di sistemare il disordine. «È stato portato via in tutta fretta da un aiutante di campo attraverso la porta sul retro» rispose il soldato. «È illeso?» 8


«Sì, credo di sì. Il Vecchio Nasone era accanto al caminetto, a inveire contro i suoi collaboratori chiedendo dove vi eravate cacciato. Se non avesse guardato in su, aspettandosi di vedere voi, quando la porta è stata spalancata, e non si fosse scansato a sinistra, la pallottola l'avrebbe preso in pieno petto.» Sapevo dove trovarvi... Quelle parole dall'accento francese, le lacrime, la mesta aria dispiaciuta lo colpirono come un pugno allo stomaco. Di certo i due eventi non potevano essere collegati. Ma, quando Max tornò in corridoio, la dama dai capelli scuri era già scomparsa.

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1 Devon, autunno 1815 «Perché non ce ne andiamo e basta?» suggerì Max Ransleigh a suo cugino Alastair, mentre si trovavano sul balcone che dava sul grande ingresso di marmo di Barton Abbey. «Dannazione, siamo appena arrivati» replicò Alastair in tono esasperato. «Poveri diavoli.» Indicò con un cenno i servitori di sotto, che stavano facendo un grande sforzo per sollevare i bagagli di diversi ospiti appena arrivati. «I bauli saranno probabilmente stipati di abiti, scarpe, cappellini e altre cianfrusaglie, il meglio da indossare per sfilare davanti ai potenziali offerenti. Mi fa venir voglia di un bel bicchiere di brandy.» «Se ti fossi preso la briga di scrivere che stavi tornando a casa, avremmo potuto cambiare la data del ricevimento» disse con una sfumatura di rimprovero una voce femminile dietro i due. Max si voltò e vide Mrs. Grace Ransleigh, padrona di Barton Abbey e madre di Alastair, in piedi dietro di loro. «Mi dispiace, mamma» rispose questi, chinandosi per abbracciare la minuta donna dai capelli scuri. Quando si raddrizzò, un acceso rossore gli tingeva il bel viso. Forse, pensò Max, per l'imbarazzo che Mrs. Ransleigh avesse udito la sua osservazione poco gentile. «Lo sai che sono un pessimo corrispondente.» «Un fatto che trovo sorprendente» ribatté sua madre, trattenendo le mani di Alastair nella propria stretta leggera, «giacché ricordo che da bambino di rado ti si vedeva senza una penna, a scribacchiare una qualche annotazione.» Un'ombra di qualcosa di simile al dolore attraversò il volto del cu10


gino, così in fretta che Max non era certo di averla vista davvero. «Era molto tempo fa, mamma.» Il dispiacere le ammorbidì i lineamenti. «Forse. Ma una madre non dimentica mai. In ogni caso, dopo tutti quegli anni nell'esercito, a gettarti sempre nel punto più rischioso dell'azione, sono troppo felice di averti a casa al sicuro per polemizzare sulla tua mancanza di preavviso... anche se temo che dovrai sopportare il ricevimento. Con gli ospiti che stanno già arrivando, non posso proprio disdirlo ora.» Lasciando le mani del figlio con evidente riluttanza, si rivolse a Max. «È bello rivedere anche te, mio caro Max.» «Se avessi saputo che stavate per ricevere fanciulle innocenti, zia Grace, non avrei accettato di incontrare Alastair qui» la rassicurò Max mentre si chinava per baciarle la guancia. «Sciocchezze» replicò lei risoluta. «Tutti voi ragazzi Ransleigh siete stati di casa a Barton Abbey sin da quando eravate scolaretti. Sarai sempre il benvenuto nella mia dimora, Max... comunque cambino le circostanze.» «Allora siete più gentile di papà» rimarcò Max, cercando di parlare in tono leggero mentre gli si stringeva il petto per la familiare ondata di collera, risentimento e rammarico. Tuttavia, la comparsa inaspettata dei cugini doveva essere stata una spiacevole sorpresa per una padrona di casa in procinto di ospitare una riunione di giovani debuttanti in età da matrimonio e i loro potenziali corteggiatori, un evento del quale Max e il cugino erano rimasti all'oscuro fino al loro arrivo, quando il maggiordomo li aveva avvisati al riguardo una mezz'ora prima. Come aveva appena assicurato alla zia, se Max avesse saputo che Barton Abbey avrebbe dato asilo a giovani dame nubili a caccia di marito, sarebbe stato attento a tenersi ben lontano. Avrebbe fatto meglio a parlare con il cugino per decidere cosa fare. «Alastair, ci beviamo quel bicchiere di vino?» «Ce n'è una bottiglia piena in biblioteca» disse Mrs. Ransleigh. «Manderò di sopra Wendell con del prosciutto freddo, formaggio e biscotti. Sono sicura di una cosa che non cambierà mai: voi ragazzi sarete affamati.» «Che tu sia benedetta, mamma» la adulò Alastair con un sorriso, mentre Max aggiungeva i propri ringraziamenti. 11


Quando si inchinarono e si voltarono per andarsene, Mrs. Ransleigh suppose esitante: «Immagino non vi interessi cenare con gli ospiti». «Tra quel gruppo di vergini? Certo che no!» esclamò Alastair. «Anche se avessimo sviluppato un improvviso interesse per le faccende da donne, la mia rispettabile sorella probabilmente avvelenerebbe il nostro vino se dovessimo imporre la nostra scandalosa presenza tra le sue innocenti aspiranti. Vieni, Max, prima che l'odore di indumenti profumati proveniente da quei dannati petti ci sopraffaccia.» Colpendo Max alla spalla per farlo muovere, lui si soffermò a baciare la mano della madre. «Di' alle ragazze di venirci a trovare più tardi, quando le loro ospiti vergini saranno a letto, al sicuro, dietro porte chiuse a chiave.» Max seguì il cugino lungo il corridoio, fino a un'ampia biblioteca arredata in modo accogliente, con poltrone di cuoio invecchiato e un'enorme scrivania. «Sei sicuro di non volertene andare?» gli chiese di nuovo mentre prendeva la bottiglia e riempiva due bicchieri. «Accidenti» brontolò Alastair, «questa è casa mia. Vado e vengo quando voglio, e così i miei amici. Inoltre, ti farà piacere vedere la mamma, Jane e Felicity, per la quale la solerte Jane ha organizzato questa riunione. Me l'ha detto Wendell. Jane pensa che Lissa debba fare qualche esperienza con uomini adatti prima di essere gettata sul mercato matrimoniale la prossima primavera. Sebbene mia sorella non sia incline a far sposare Lissa ora, qualcuno dei partecipanti ha portato la prole che intende accasare, che Wendell sia benedetto per averci avvertito!» Sospirando, accettò un bicchiere colmo fino all'orlo. «Penserai che le mie famose relazioni con attrici e ballerine, unite a una profonda mancanza di interesse per le vergini rispettabili, siano sufficienti a scoraggiare le madri impazienti di combinare matrimoni. Ma, come ben sai, la ricchezza e un antico lignaggio sembrano avere la meglio sulla notorietà e la carenza di propensione al matrimonio. Tuttavia, con il mio altrettanto notorio cugino da intrattenere...» Piegò il capo verso di lui. «... ho la scusa perfetta per evitare le signore. Perciò beviamo alla tua salute!» Alastair sollevò il calice. «Per avermi salvato non solo dalla noia, ma anche per avermi evitato di fare gli onori di casa al ricevimento da donne di Jane.» «Al sottrarti ai tuoi doveri di ospite» rispose Max, alzando il pro12


prio bicchiere. «È bello sapere che la mia carriera rovinata serve a qualcosa» aggiunse con amarezza. «È soltanto un intoppo temporaneo» osservò Alastair. «Prima o poi il Ministero degli Esteri risolverà quella faccenda di Vienna.» «Forse» disse Max in tono incerto. Anche lui aveva sperato che la questione potesse essere risolta in fretta... finché non aveva parlato con il padre. «C'è ancora la minaccia di essere processato davanti alla corte marziale.» «Dopo Hougoumont?» Alastair sbuffò con fare derisorio. «Può darsi, se tu avessi disobbedito ai comandi e avessi abbandonato la tua unità prima di Waterloo, ma nessuna giuria militare ti condannerà per esserti gettato nel pieno della battaglia, invece che ritirarti in Inghilterra come ordinato. Alcune delle guardie a piedi che sono sopravvissute al combattimento ti devono la vita e il quartier generale lo sa. No» concluse, «persino le guardie a cavallo, che sugli affari disciplinari spesso sono tanto severe da sfiorare il ridicolo, hanno abbastanza criterio da non portare in giudizio un caso simile.» «Spero che tu abbia ragione. Come mi ha fatto notare mio padre nell'unica occasione in cui si è degnato di parlare con me, ho già macchiato a sufficienza il nome di famiglia.» Il che non era stato quanto di peggio aveva detto il conte, pensò Max, con il ricordo di quel recente colloquio ancora vivo e pungente. Si vide di nuovo, in piedi in silenzio, senza giustificazioni, mentre il conte inveiva contro di lui per aver messo in imbarazzo la famiglia e avergli causato delle complicazioni nel suo operato alla Camera dei Lord, dove stava lottando per sostenere una coalizione. Definendo Max un'amara delusione e un ostacolo politico, l'aveva bandito per un tempo indeterminato da Ransleigh House a Londra e dalla residenza di famiglia nello Hampshire. Max se ne era andato senza neppure vedere la madre. «Il conte non ha ancora cambiato idea?» La domanda a bassa voce del cugino riportò Max al presente. Dopo aver dato un'occhiata al suo volto, Alastair sospirò. «Il mio caro zio è tanto ostinato e ligio al dovere quasi quanto le guardie a cavallo. Sei convinto di non volermi permettere di parlare con lui a nome tuo?» «Sai che litigare con papà non fa che irrigidire le sue opinioni e può indurlo a estendere anche a te l'esilio, il che addolorerebbe en13


trambe le nostre madri. No, non gioverebbe affatto, sebbene apprezzi la tua lealtà più di quanto non sappia esprimere...» Max si interruppe con un groppo alla gola. «Non c'è bisogno di dire nulla» continuò Alastair, riempiendo i loro bicchieri con sollecitudine. «I Ribaldi Ransleigh insieme per sempre» declamò, tenendo il calice sollevato. «Ai Ribaldi Ransleigh» rispose al brindisi Max, con il cuore che si alleggeriva mentre cercava di rammentare quando di preciso Alastair avesse coniato quel motto. Forse davanti a un bicchiere proibito di brandy di contrabbando, all'incirca durante il loro secondo trimestre a Eton, dopo che un preside severo aveva bacchettato tutti e quattro i cugini per una trasgressione ormai dimenticata, definendoli per la prima volta i Ribaldi Ransleigh. Il soprannome, mormorato alla svelta per tutto il college, era rimasto loro appiccicato, così come loro erano rimasti attaccati l'un l'altro, pensò Max con un lieve sorriso. Durante il duro studio a Eton, gli scherzi alle matricole a Oxford, e poi nell'esercito per tener d'occhio Alastair quando, dopo che la ragazza che amava aveva rotto il loro fidanzamento in pubblico nella maniera più umiliante che si potesse immaginare, lui si era unito alla prima unità di cavalleria che l'aveva accettato, con il proposito di morire gloriosamente in battaglia. Erano anche stati vicini a Max, dopo il tentativo fallito di assassinio al Congresso di Vienna. Quando era ritornato a Londra in disgrazia, lui aveva scoperto che, di tutto l'ambiente governativo, che fin dalla sua gioventù aveva incoraggiato e adulato l'affascinante figlio cadetto di un conte, solo i suoi compari Ribaldi gradivano ancora la sua compagnia. La vita di Max era cambiata letteralmente dalla sera alla mattina, dall'intenso impegno di una carica presso l'ambasciata a un vuoto senza scopo, con soltanto una successione di futili divertimenti a riempire i suoi giorni. Con la brillante carriera diplomatica che aveva progettato ormai in rovina e un futuro incerto, non voleva pensare a che atti sconsiderati avrebbe potuto commettere, se non avesse avuto il sostegno di Alastair, Dom e Will. «Sono sicuro che zia Grace non lo direbbe mai, ma il fatto che siamo capitati qui ora deve essere piuttosto imbarazzante per lei. Poiché non siamo venuti per comprare le merci in mostra, perché 14


non andare da qualche altra parte? Al tuo capanno da caccia, magari?» Dopo aver preso un altro lungo sorso, Alastair scosse la testa. «È troppo presto per andarci; il terreno non è ancora ghiacciato. E scommetto che la mamma sarà più preoccupata del morale delle sue beniamine che imbarazzata per la nostra presenza. Licenziato dal tuo impiego per il governo o no, sei ancora il figlio di un conte...» «... al momento esiliato dalla sua famiglia...» «... e possiedi abbastanza fascino per attentare alla virtù di una qualunque delle ospiti innocenti di Jane, se solo lo volessi.» «Perché dovrei? Avevo creduto che Lady Mary potesse essere una buona moglie per un diplomatico, ma, senza una carriera, lei non prova più alcun interesse per me e io non ho alcun interesse per il matrimonio.» Max cercò di parlare in tono leggero, poiché non voleva che Alastair capisse quanto l'avesse ferito la defezione dell'augusta Lady Mary, giuntagli subito dopo l'allontanamento da parte di suo padre. «Vorrei riuscire a farmi venire in mente un altro posto dove andare, perlomeno fino a che questo dannato ricevimento non si sarà concluso.» Con un pugno di insoddisfazione, Alastair tappò il brandy. «Ma devo occuparmi di alcuni affari della proprietà e non voglio fare una capatina a Londra proprio ora, con la stagione teatrale in pieno corso. Non mi meraviglierei se Desirée mi scovasse e facesse un'altra scenata. Sarebbe proprio una seccatura.» «Non è rimasta contenta degli smeraldi che le hai comprato quando le hai dato il benservito?» Alastair sospirò. «Forse non è stato saggio raccomandarle di risparmiare il suo talento melodrammatico per il palcoscenico. In ogni caso, più la conoscevo, più diventava evidente la sua reale natura avida. Era abbastanza brava in camera da letto e aveva un leggero senso dell'umorismo ma, ultimamente, era diventata noiosa come tutte le altre.» Fece una pausa, gli occhi che si annebbiavano mentre il suo viso assumeva un'espressione dura. Max conosceva bene quello sguardo; l'aveva visto sul volto di Alastair ogniqualvolta si menzionavano le donne sin dalla fine del suo sfortunato fidanzamento. Maledicendo in silenzio ancora una volta la fanciulla che aveva causato un simile dolore al cugino, lui non se la 15


sentì di rimproverarlo per il modo sprezzante con cui abbandonava le donne. Provò lui stesso un'ondata di amarezza, ricordando quanto facilmente fosse stato sedotto da una triste storia recitata in modo convincente da un viso grazioso. Se solo si fosse accontentato di tenere in serbo i gesti eroici per il campo di battaglia, rifletté con un sorriso ironico, invece che interpretare la parte del cavaliere errante! In verità, dato quello che era avvenuto a Vienna, era più che propenso a concordare con il cugino che nessuna donna, a parte quelle che offrivano i loro talenti in modo temporaneo dietro compenso, valeva i guai che inevitabilmente causava. «Nemmeno io desidero tornare a Londra» affermò. «Dovrei evitare papà e l'ambiente governativo, che significa la maggior parte dei miei amici di un tempo. Avendo impiegato un bel po' di tempo e di tatto a liberarmi della bella Mrs. Harris, preferirei non ritornare in città fino a che lei non si sarà legata a qualcun altro.» «Perché non facciamo un salto in Belgio a vedere come sta procedendo Dom? L'ultima volta che ho avuto sue notizie, Will era ancora là, a badare a lui.» Alastair rise. «Lascia che sia Will a trovare il modo per restare sul continente dopo che il resto di noi è stato mandato a casa! Anche se afferma di essersi attardato a Bruxelles solo per le grosse vincite che si fanno tra diplomatici e militari, che possiedono più denaro che propensione al gioco.» «Non so se Dom gradirebbe una visita. Era ancora piuttosto intontito dal laudano e dal dolore per l'amputazione quando l'ho visto l'ultima volta. Dopo che ha ripreso conoscenza quanto bastava per insultarmi perché lo ricoprivo di attenzioni come una chioccia con un pulcino, mi ha ordinato di tornarmene a casa per rabbonire mio padre e il consiglio militare.» «Sì, ha cercato di mandare via anche me, sebbene non avessi alcuna intenzione di muovermi finché non fossi stato sicuro che non ci avrebbe lasciato le penne.» Serrando la mascella, Alastair distolse lo sguardo. «Sono stato io a trascinare tutti voi nell'esercito. Non credo che avrei potuto sopportarlo se non ce l'aveste fatta tutti.» «Non ci hai trascinati» obiettò Max. «Più o meno tutti i nostri compagni di Oxford sono finiti in guerra, in un ruolo o nell'altro.» 16


«Tuttavia non mi sentirò del tutto tranquillo finché Dom non sarà a casa e... si riadatterà alla sua nuova vita.» Con il braccio mancante e mezza faccia rovinata da un taglio di sciabola, entrambi sapevano che il cugino, che era sempre stato conosciuto come Dominick il Damerino, l'uomo più attraente del reggimento, si sarebbe trovato davanti una sconfortante convalescenza. «Potremmo andare a tirargli su il morale.» «A essere onesti, credo che sia meglio lasciarlo da solo per un po'. Quando la vita come l'hai sempre conosciuta ti va in pezzi davanti agli occhi, ci vuole del tempo per riflettere su come trovare il modo per aggiustare i cocci.» Max fece una secca risata. «Anche se io ho avuto dei mesi e non so ancora che pesci prendere. Tu hai la tua terra da amministrare, mentre io...» Agitò la mano in un gesto di frustrazione. «La deliziosa Mrs. Harris era abbastanza graziosa, ma vorrei poter trovare una nuova carriera che non dipenda dalla buona volontà di mio padre. Sfortunatamente, tutto ciò a cui ho sempre aspirato era far parte del corpo diplomatico, un campo che ora mi è precluso. Dubito alquanto, con la mia reputazione macchiata, che mi prendano nella Chiesa, anche se dovessi affermare di aver ricevuto una chiamata improvvisa.» «Padre Max, il beniamino di ogni attrice da Drury Lane al Theatre Royal?» Alastair sorrise e scosse la testa. «No, non riesco a vedertici!» «Forse mi unirò alla Compagnia delle Indie Orientali e salperò alla volta dell'India per fare fortuna. Diventerò un impiegato. Finirò mangiato dalle tigri.» «Sarò dispiaciuto per qualunque tigre ci provi» lo canzonò Alastair. «Se l'estremo oriente non incontra i tuoi gusti, perché non rimanere nell'esercito... alla faccia di tuo padre?» «Un'idea soddisfacente» rispose Max con sarcasmo, «sebbene tale piano abbia qualche difetto. Come il fatto che, nonostante il mio servizio a Waterloo, Lord Wellington non abbia dimenticato che stava aspettando me quando gli hanno quasi sparato a Vienna.» La continua freddezza dell'uomo che un tempo aveva servito e che ancora riveriva lo feriva più nel profondo della disapprovazione di suo padre. «Be', hai un carisma naturale e sei il più sveglio dei Ribaldi; qualcosa ti verrà pure in mente» concluse Alastair. «Nel frattempo, mentre rimaniamo a Barton Abbey, guarda dove metti i piedi. Mrs. Harris 17


era un conto, ma non vorrai trovarti legato a qualcuna delle vergini in età da matrimonio di Jane.» «Certo che no! L'unico beneficio del fallimento a Vienna è che, con mio fratello a portare il nome di famiglia, non sono obbligato a sposarmi. Che il cielo mi guardi dall'essere messo con le spalle al muro da qualche subdola donna che cerca di combinare matrimoni.» E intrappolato in un rapporto freddo come l'unione di convenienza dei suoi genitori, pensò con un brivido dentro di sé. Prendendo la bottiglia, Alastair versò a entrambi un altro bicchiere. «Questo è per sconvolgere lo zio e vivere in modo indipendente!» «Fintanto che vivere in modo indipendente non implica vincoli coniugali, posso brindare» replicò Max e sollevò il calice.

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Questo volume è stato stampato nell'aprile 2017 da CPI, Moravia


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