Hope Tarr
Travolta da te
Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: It's A Wonderfully Sexy Life Every Breath You Take... Harlequin Blaze © 2006 Hope Tarr © 2009 Hope Tarr Traduzione di Elisabetta Elefante Traduzione di Paola Picasso Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2007 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Temptation dicembre 2007 Prima edizione Harmony Temptation agosto 2009 Questa edizione HOTLIT dicembre 2015 Questo volume è stato stampato nel novembre 2015 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd) HOTLIT ISSN 2385 - 1899 Periodico mensile n. 12 del 17/12/2015 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 369 del 19/11/2014 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
Sexy da morire
Prologo
Caro diario... caro per modo di dire, visto che è la prima volta che possiedo un diario e che mi metto di impegno a scriverci sopra qualcosa di sensato. Ma voglio fare le cose per bene, perciò cominciamo dal principio. Cioè da quest'ultimo, incasinatissimo mese. Sono finalmente giunta alla conclusione che, se voglio davvero voltare pagina, devo lasciarmi alle spalle questa storia pazzesca e metterla su carta mi sembra un buon modo per riuscirci. Perciò eccola qui. Torniamo per un momento alla scorsa vigilia di Natale. Mai stata così giù di corda. E non era tanto l'avvicinarsi delle vacanze, che spesso mi fa questo effetto, quanto la consapevolezza che la mia vita stava andando nel verso sbagliato... o non stava andando per niente. A peggiorare le cose c'era anche il diario che mi aveva regalato Suz con qualche giorno d'anticipo per il mio trentesimo compleanno: non avevo bisogno di riempire decine e decine di pagine di scarabocchi per tirare le somme e capire di essere un fiasco totale. Trent'anni suonati e sono ancora single, con qualche chilo di troppo e abito ancora nella casetta a schiera dei miei di Highland Town, a Baltimora! Sì, insomma, mi sento come una di quelle paffute, patetiche zitelle alle cui spalle ridevo da bambina e che avevo giurato solennemente a me stessa di non diventare mai! Per non parlare della mia brillante carriera. Sono entrata in polizia da ben cinque anni, ma comincio seriamente a pensare che il mio sogno di diventare detective sia destinato... a rimanere un sogno. Una volta manco l'ultimo bersaglio al poligono di tiro, un'altra sbaglio una risposta di troppo all'esame scritto per la promozione... No, dico, sono perseguitata dalla sfortuna. Ma finalmente, alla vigilia di Natale, mentre entro in centrale per fir7
mare il foglio di uscita e tornarmene a casa, si presenta la mia grande occasione. La vigilia di Natale, non so se mi spiego. Lo sanno tutti: io vado pazza per tutto quello che riguarda il Natale, dagli addobbi alle lucine, dalle calze appese sulla mensola del camino ai pullover che mia madre mi regala ogni anno e che sono costretta a indossare la mattina del venticinque... Va be', lo ammetto: quelli non sono il massimo. Anche perché ho già un cassetto pieno di felpe con Babbo Natale a bordo di una slitta, abeti illuminati e renne dal naso rosso. Però mi piace l'atmosfera natalizia, il profumo dei cibi che si cucinano a casa... e soprattutto i cartoni animati e i film natalizi. Inutile dire che il mio preferito è un classico: La vita è meravigliosa. Lo conosco a memoria, ma ogni volta che James Stewart, alias George Bailey, si arrampica sul ponte alla vigilia di Natale e sta per saltare, mi prende un groppo alla gola. Il mio personaggio preferito però è l'angelo custode mandato sulla terra per guadagnarsi il suo paio d'ali aiutando il povero George a vedere come sarebbe stata orribile la vita dei suoi cari se lui non fosse nato. Nel mio caso, l'angelo custode sceso sulla terra a cambiare la mia vita si è presentato sotto le mentite spoglie del sergente Bob Boblitz, che mi ha bloccato mentre uscivo dalla centrale abbaiando: «Ehi, Delinski, vieni un po' qui!». Adoro il mio lavoro, giuro. Mi piace pensare che la mia sia una specie di missione: quella di proteggere la vita dei cittadini e di essere sempre al loro servizio. E mi ritengo fortunata a lavorare in un quartiere di Baltimora abitato da persone affabili e cordiali che non ti permettono mai di pagarti un caffè al bar. Ma a volte mi mancano quelle piccole premure a cui devi rinunciare quando fai un lavoro solitamente riservato agli uomini duri che non si sognerebbero mai di chiamarmi con il mio nome, cioè Amanda. O meglio ancora, Mandy, come mi chiamano tutti. Comunque, tornando a noi, io trattengo un'imprecazione e mi giro giusto in tempo per vedere il sergente Boblitz che mi trapassa da parte a parte con una delle sue occhiate folgoranti. «Mi serve un agente e non ho altri uomini disponibili. Due giorni fa, il direttore del Baltimore Museum of Art ha ricevuto una telefonata minatoria: uno sconosciuto diceva di aver piazzato una bomba nell'edificio. Sarà sicuramente una balla, ma il di8
rettore del museo se la sta facendo sotto e ci ha tempestato di telefonate perché per stasera c'è in programma una serata speciale e non vuole grane.» Il che significava una sola cosa per me: ero fregata. Digrigno i denti e chiedo: «Una serata? Che genere di serata hanno organizzato la vigilia di Natale?». Boblitz mi risponde con un mezzo grugnito. «Un rinfresco per inaugurare una nuova sala o qualcosa del genere... non ho capito bene. Mi ha telefonato il sindaco in persona, ricordandomi che il museo è una delle attrazioni culturali principali della città e altre cavolate del genere, perciò mi ha chiesto di mandare qualcuno per assicurarsi che fili tutto liscio e non si verifichi un bel botto.» Poi allarga le labbra in una sottospecie di sadico sogghigno. «Visto che sei così decisa a diventare detective, non vorrai lasciarti sfuggire l'opportunità di farci vedere chi sei, dico bene?» Opportunità un corno! Passare la serata a fare il cane da guardia a una sala piena di signore ingioiellate dai capelli azzurrini che mangiucchiavano tartine al caviale e sorseggiavano vini d'annata non è esattamente il tipo di incarico da inserire nel curriculum di un'aspirante detective. D'altro canto, mi avrebbero pagato lo straordinario al doppio, essendo la vigilia di Natale, e quattro soldini in più fanno sempre comodo. Infine, avevo questa specie di sesto senso che mi diceva che dovevo accettare. Perciò... «D'accordo: vado io.» Anche adesso, non saprei dire come o perché, ma uscendo dalla centrale nel gelido freddo di quella serata, avevo il presentimento che la mia vita fosse a una svolta. Una svolta importante. Me lo sentivo. È come quando ti trovi davanti a un bivio e devi scegliere. Hai due possibilità: prendere una direzione che conosci o avventurarti nel buio. Ed è lì che ti giochi tutto. Rare come i quadrifogli e le stelle cadenti, certe occasioni ti capitano quando meno te le aspetti: puoi lasciartele passare sotto il naso o afferrarle al volo, affidandoti al destino. È tutta questione di fede, in fondo. Come per George Bailey, che se ne stava in bilico su quel ponte. Non devi far altro che chiudere gli occhi e lasciarti cadere nel vuoto.
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Domenica, 24 Dicembre Baltimore Museum of Art 5.45 del pomeriggio Mancano quasi sei ore allo scoccare della mezzanotte... ed esattamente una settimana alla peggiore serata dell'anno, cioè quella in cui compirò trent'anni e sarò ancora single. Calorie consumate nell'arco della giornata: 8000, più o meno. E sono solo le cinque del pomeriggio! Superiori da strangolare: uno. Ma non ce la farei mai ad allacciare le mani intorno al collo da mastino di Boblitz, perciò lasciamo perdere. Volte in cui oggi mia madre ha guardato il quadro della Madonna con Gesù Bambino e mi ha chiesto quando mi decido a sistemarmi e a mettere al mondo un paio di pargoletti come tutte le altre brave ragazze cattoliche: solo cinque. Ma fino a mezzanotte c'è ancora tempo... Il parcheggio del museo sembrava un'esposizione di BMW e di Porsche quando l'agente Mandy Delinski, a bordo dell'auto di pattuglia, oltrepassò a passo d'uomo la guardiola dopo aver mostrato il distintivo all'addetto. Si fermò di fianco al furgone del servizio di catering ma, prima di uscire, aprì il vano portaoggetti dove teneva il diario e, cosa più importante, il rossetto. Perché me lo metto, poi..., pensò rassegnata. Era quello rosso, che utilizzava di rado: lo aveva comprato di impulso passando davanti al reparto cosmetici del supermercato, attratta dal nome, fuoco. Le aveva evocato una straordinaria fantasia erotica, nella quale vedeva una versione decisamente più magra di se stessa con un cappello da Babbo Natale, un minivestito di velluto rosso e calze a rete mentre canticchiava sommessamente un motivetto natali10
zio a un gran fusto... ahimè, ancora senza faccia né nome. Dammi retta, Mandy: datti una calmata. O fatti una bella doccia fredda ogni tanto. E soprattutto rassegnati: la tua vita sentimentale va a rotoli. Ammesso che tu ne abbia mai avuta una... Richiuso il tubetto, si sistemò una ciocca di capelli scuri dietro l'orecchio e uscì, dirigendosi alla scalinata che saliva fino all'imponente colonnato dell'ingresso del museo. Entrò, attraversò il vasto foyer e raggiunse gli ascensori. Prima che lasciasse la centrale, Boblitz le aveva detto di recarsi nell'ala ovest, che ospitava una collezione di opere d'arte contemporanea. Salì al secondo piano seguendo le indicazioni; percorse quindi un corridoio fino ad affacciarsi su un atrio decorato con pareti argentate e un pavimento di cemento grezzo. A parte un paio di visitatori, non vide nessuno in giro: che fine avevano fatto gli addetti alla sorveglianza? Stava per girarsi quando, al di là dell'atrio, intravide un'immagine in movimento su una parete: una specie di diapositiva che ritraeva una donna nuda, in una vasca trasparente piena d'acqua limpidissima. Si avvicinò per leggere la targhetta affissa in basso, sulla destra. La Naufraga, era il titolo dell'opera, di una certa Kara Walker. E tu, dove stai andando, Delinski? Sei diretta da qualche parte o annaspi giorno dopo giorno nelle acque tranquille di una vita incolore e scialba, senza sapere dove andrai a finire? «Oh, bene!» Si girò di scatto e vide arrivare una giovane donna inguainata in un fasciante abito di seta rosso. Non doveva avere più di venticinque anni ed era uno schianto: un metro e mezzo di gambe, seni ben fatti, capelli biondissimi e almeno quindici centimetro di tacco! Solo a guardarli, le venivano le vertigini. Quando le si fermò davanti, Mandy notò che portava appuntato sul vestito un badge con il suo nome e la sua posizione: era l'organizzatrice della serata. Si schiarì la voce. «Esponete... anche diapositive?» chiese, rendendosi subito conto di aver fatto la figura dell'incompetente, perché l'altra donna roteò gli occhi. «È così che la signora Walker esprime la sua creatività: attraverso la proiezione di immagini. È l'ultimissima novità in fatto di 11
arte contemporanea» aggiunse, squadrando Mandy da capo a piedi con palese altezzosità. «La serata si svolgerà nella sala qui accanto. Comincia tra pochi minuti e terminerà alle otto. Mi segua. Dovrà affiancare il nostro capo della sorveglianza.» Due minuti più tardi, Mandy si arrestava all'ingresso di un vasto salone dal soffitto a vetri, le cui pareti erano abbellite da enormi mosaici. Un alto custode afroamericano, all'ingresso, chiedeva i documenti e controllava che i nomi fossero sulla lista degli invitati. Ciò che dovevano fare nell'arco della serata si riduceva a questo. «Molti degli invitati sono signore anziane, le nostre più generose finanziatrici, e abbiamo pensato che sarebbero state più disponibili a farsi frugare nella borsa da un poliziotto donna» spiegò l'organizzatrice della serata. «Sì, giusto» mormorò Mandy, sperando che le otto arrivassero presto. L'altra donna si scusò e si allontanò, lasciandola sola con il responsabile della sorveglianza. Il nome sul badge era Mark O'Brien. Le diede una copia della lista degli invitati e alcune etichette adesive con i nomi prestampati che dovevano essere consegnati agli ospiti, perché li applicassero sul petto. Aveva appena finito di parlare quando la sua trasmittente emise un suono gracchiante, seguito da un messaggio in codice che Mandy aveva ormai imparato a decifrare con l'esperienza. Un'invitata si era avventurata al di là delle sale riservate alla serata, uscendo sul terrazzo. «Devo andare» disse O'Brien. «È tutto chiaro? Puoi fare da sola o chiamo qualcuno?» «Vai tranquillo, me la caverò.» Sollevato, l'uomo annuì. «Alle otto dovrebbe essere tutto finito. Ci sarà un po' di movimento nella prossima ora, poi prevedo calma piatta. Tieni d'occhio l'ingresso, perché potrebbe arrivare qualche ritardatario. Per il resto, nessuno ti obbliga a restare inchiodata lì: se hai bisogno di sgranchirti le gambe, fai pure.» Nell'ora che seguì, Mandy depennò quasi tutti i nomi della lista. Alcuni degli invitati borbottarono quando chiese loro di mostrare i documenti, ma i più sembrarono apprezzare la preoccupazione dei responsabili del museo per la loro incolumità. Verso le sette arrivarono gli ultimi. Poi più nessuno. 12
Soffocando uno sbadiglio, Mandy si voltò verso la sala. Le opere esposte erano sicuramente la cosa più allegra della serata, che procedeva in un clima di immobilità e di silenzio. Gli ospiti azzimatissimi parlavano nei toni bassi che si usano in biblioteca o ai funerali, gli alberi di Natale che si ergevano ai quattro angoli della sala erano sontuosamente addobbati di monotoni ninnoli dorati e il quartetto d'archi ingaggiato per allietare la serata suonava musica classica, mettendo molta meno allegria delle melodie natalizie che lei sparava a tutto volume sullo stereo di casa quando sua madre preparava l'albero appendendovi le decorazioni variopinte collezionate negli anni. Il suo sguardo si arrestò sul lungo tavolo sopra il quale era stato allestito un sobrio buffet. Davanti al cameriere che preparava i drink si era formata una fila di ospiti assetati. Se non fosse stata in servizio, anche Mandy avrebbe bevuto volentieri qualcosa. Stava per rigirarsi quando da dietro il tavolo vide spuntare una testa scura, poi un paio di spalle ampie, un torace muscoloso, un fisico asciutto... e l'aria le si bloccò nei polmoni quando mise a fuoco il viso del barman. Un gran bel fusto, niente da dire. Stava armeggiando con una bottiglia magnum di champagne e sfoggiava un sorriso cordiale. Sui trent'anni, calcolò a occhio e croce. Aria affabile e distinta, quasi aristocratica, da principe ereditario d'Inghilterra, era sicuramente l'uomo più affascinante su cui Mandy avesse avuto la fortuna di mettere gli occhi da un pezzo a quella parte. Forse da sempre. E, incredibilmente, stava guardando verso di lei. Andiamo, Delinski, smettila di sognare e datti una svegliata! Sospirando, salutò con un sorriso stereotipato l'austera settantenne in velluto marrone che aveva deciso di andare via e tornò a girarsi... Oh, mio Dio! Lui la stava ancora fissando! Ipnotizzata, lo vide riempirsi un bicchiere di champagne, poi sollevarlo per aria. Guardandogli le labbra, le vide muoversi come per dirle: Buon Natale anche a te. Ma... stava flirtando con lei? Si sentì arrossire e, al tempo stesso, provò un inequivocabile senso di calore in una parte molto particolare della sua anatomia che da troppo tempo sopiva. Tieni d'occhio la porta, ma per il resto non sei tenuta a restare inchiodata lì: se hai bisogno di sgranchirti le gambe... Ecco, appunto: aveva giusto bisogno di sgranchirsi le gambe, 13
perciò si ritrovò ad addentrarsi nel salone, guarda caso proprio in direzione del tavolo del bar. Attese che anche l'ultimo ospite della fila, una volta servito, si fosse allontanato per avere finalmente una visione completa del suo obiettivo. Aveva occhi di un blu cobalto che si fissarono sul suo viso, facendola rallegrare di non aver dimenticato il rossetto, poi scivolarono adagio fino a fissarsi sui suoi seni. «Prende qualcosa... agente?» Il lento sorriso che accompagnò la domanda e l'occhiata di aperta ammirazione che Mandy si vide scoccare le accelerarono il battito cardiaco. «No, grazie. Sono in servizio.» «Qualcosa di analcolico, magari.» Un angolo di quella bocca decisa si sollevò, dando una connotazione sexy al suo sorriso, e improvvisamente Mandy ebbe l'impressione che tutta la sala avesse cominciato a ruotarle intorno. Fu un miracolo riuscire a usare un tono normale. «No, grazie. Va bene così. Ma lei... non è di queste parti o sbaglio?» Lui esitò. Il suo sorriso si smorzò appena. «Che cosa mi ha tradito?» «Il suo accento. Sembra del New England.» Il sorriso tornò, ma non fu aperto come prima. «Non vorrà prendermi in giro per il mio accento, spero.» Mandy si ritrovò a contraccambiare il sorriso. «Se sta dicendo che ho la parlata tipica di Baltimora, mi dichiaro colpevole. Non posso farci niente. Sono nata e cresciuta qui.» «Al contrario: il suo accento mi piace. È molto... particolare.» Particolare. Che poteva voler dire tutto o niente. Valutando l'occhiata interessata dell'uomo, Mandy decise su due piedi di prenderlo come un complimento. «Grazie, cocco» rispose, facendogli l'occhiolino e usando volutamente quell'espressione così tipica della gente di quelle parti. Lui reclinò il capo all'indietro e scoppiò in una risata piena. E, per qualche inspiegabile motivo, il protagonista della fantasia natalizia di Mandy ebbe improvvisamente un volto: il volto dello sconosciuto che in quel momento sembrava pronto a saltarle addosso per divorarla in un sol boccone. Peccato che non sapesse nemmeno come si chiamava. Quasi leggendole nel pensiero, lui porse una mano. «A proposito, io sono Josh.» 14
Mandy tentennò prima di far scivolare la mano in quella di lui, che scoprì essere grande e calda. Fissandola, immaginò i mille altri modi in cui lui avrebbe potuto usarla... e tornò a eccitarsi come un'adolescente. Scoprì di non avere più saliva in bocca, ma si sforzò di parlare. «Amanda. Mandy per gli amici.» «Mandy? Mmh... Un bel nome per una bella ragazza.» Anche Josh si fissò la mano, e Mandy si accorse di essersi dimenticata di lasciarla andare. La tirò subito indietro. «Mi dispiace...» «A me no.» La temperatura nella sala divenne improvvisamente altissima mentre Mandy si vedeva scorrere davanti immagini infuocate di se stessa che percorreva con le mani il corpo magnifico di Josh da capo a piedi, facendo qualche interessante sosta nel mezzo. Un colpo di tosse alle sue spalle la costrinse a girarsi. Una signora dai capelli argentati porgeva una mano avvizzita nella quale stringeva un calice. Vuoto. Mai sentito parlare degli Alcolisti Anonimi, bella? Avrebbe voluto dirle Mandy. Invece sorrise a Josh. «Il dovere ti chiama.» «Già» commentò lui con un'occhiata mesta, per farle capire che era seccato quanto lei dell'interruzione. «Qui ne avrò ancora per un'oretta, ma ho scorte di bibite per un intero esercito, quindi se ti venisse sete...» «Lo terrò presente» rispose Mandy, che tornò alla sua postazione fluttuando a venti centimetri da terra. Nell'ora che seguì, tenne d'occhio gli ospiti che si aggiravano nel salone mangiucchiando e bevendo, ma di tanto in tanto tornava a guardare in direzione di una certa persona. Josh. E ogni volta lo sorprendeva a sbirciare nella sua direzione. Chi l'avrebbe mai detto che avrebbe incontrato l'uomo dei suoi sogni dietro il tavolo di un buffet, intento a versare champagne nei calici delle vecchie signore del jet set di Baltimora? Alle otto e cinque gli invitati erano andati via. Il personale del catering si affrettava a ripiegare tovaglie, smontare tavoli e sistemare le bottiglie non aperte in grossi scatoloni. Mandy sentì pian piano svanire il suo buonumore: la serata stava per concludersi. E con essa anche la sua fantasia. Quando O'Brien venne a dirle che poteva andare, aveva di nuovo i piedi ben piantati per terra. «Com'è andata?» 15
Una domanda innocente. Eppure Mandy arrossì. Flirtare in servizio non era una cosa poco etica, ma non era nemmeno molto professionale. Sperò di non essere stata vista mentre chiacchierava col fascinoso barista. «Direi bene. E a te?» «Benissimo. Ma non vedo l'ora di tornare a casa. Mia moglie e i bambini ci sono rimasti male quando ho detto loro che avrei lavorato fino a tardi la sera della vigilia. E tu, Mandy? Hai bambini?» La solita pugnalata le trafisse lo stomaco. «No. Almeno, non ancora.» Si salutarono e a quel punto Mandy poté andare via. Prima di allontanarsi, non riuscì a non guardare un'ultima volta in direzione del bar. Tutta l'attrezzatura era imballata. E Josh, neanche a dirlo, era sparito: doveva essere uscito da una porta secondaria mentre lei scambiava quelle due parole con O'Brien. Trattenendo un sospiro, si sfilò il cellulare dalla custodia che teneva agganciata alla cinta. Era ancora presto e non aveva voglia di tornarsene a casa. Quasi quasi faceva un salto da Suz... Un colpetto sulla spalla la indusse a girarsi di scatto. Il cellulare volò per terra mentre una mano si posava velocemente sulla fondina e l'altra si piantava su un torace ampio e marmoreo. Fissando gli occhi sulla pistola, Josh si fece indietro. «Ehi, vacci piano con quella.» Si chinò a raccogliere il cellulare e glielo restituì. «Non crederai di potertela svignare così, senza salutarmi.» Sentendosi una stupida, Mandy ripose il cellulare nella custodia. «Non me la stavo svignando: stavo solo andando via. Ho finito.» A parte la camicia dello smoking bianco, un tantino spiegazzata sul davanti, Josh si era cambiato. Se possibile, sembrava ancora più sexy in jeans, scarponcini stringati e giubbotto di pelle nera. Non sembrava aver fretta di andarsene, perciò Mandy si frugò nella mente in cerca di qualcosa di spiritoso da dire. «Hai... finito anche tu per stasera?» Sì, brava! Davvero originale! Lui annuì. «Per fortuna.» La fissava con un'intensità sconvolgente. «Ti va di venire a bere qualcosa con me? Un caffè, magari.» Oh, mio Dio, stava parlando con lei o con qualcun altro? Per 16
la seconda volta nell'arco di quella sera, Mandy resistette all'impulso di guardarsi alle spalle. I casi erano tre: a) aveva una malattia incurabile che le procurava allucinazioni, b) aveva preso una botta in testa ed era in coma, c) era già morta e attendeva davanti alle porte del Paradiso. «O hai una tua regola che ti impedisce di socializzare con i civili?» chiese ancora Josh, inarcando un sopracciglio scuro. E Mandy si costrinse a ritrovare la voce. «Ufficialmente sono ancora in servizio e non posso bere alcolici. Ma un caffè... lo prenderei volentieri. Solo che è la vigilia di Natale. Non troveremo un bar aperto, a quest'ora.» Ed eccolo di nuovo, quel sorriso sensuale e malizioso che le faceva balzare il cuore in gola... e le accendeva un languore insostenibile in mezzo alle gambe. «Poco male. Allora dovremo arrangiarci con la caffettiera di casa.» Intendeva dire di casa sua? Era lì che la stava invitando ad andare? Forse Josh stava correndo troppo... E lei allora, che poco prima si era abbandonata a quella fantasia infuocata nella quale faceva sesso con uno sconosciuto? Però Mandy Delinski aveva un'immagine da brava ragazza da difendere. Per non parlare del timore di sempre, cioè che gli uomini vedessero in lei un facile bersaglio solo perché... sì, insomma, perché non era un figurino. Fece un passo indietro. «Ora che ci penso, conosco un locale niente male a due passi da qui. È aperto fino a tardi.» Se Josh rimase deluso da quella risposta, fu bravo a non darlo a vedere. «Perfetto. Faccia strada, agente.»
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Questo mese Julie Elizabeth Leto sa miscelare in maniera vincente personaggi dalla forte impronta sensuale con situazioni e atmosfere ricche di tensione e adrenalina. Hope Tarr riesce a dare quadri ricchi di colore grazie a storie ambientate in luoghi inusuali uniti a personaggi a tutto tondo e con caratteristiche ben descritte.
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