Tutto in un'estate

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MEG DONOHUE

TUTTO IN UN'ESTATE traduzione di Marco Zonetti


ISBN 978-88-6905-095-4 Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: All the Summer Girls William Morrow an imprint of HarperCollinsPublishers © 2013 Meg Donohue Traduzione di Marco Zonetti Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2016 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione HC giugno 2016


Tutto in un'estate



Con amore alle mie ragazze dell’estate: Anna, Carla, Erin, Jeannine, Leah e Nancy.



Dedica

Quel che ami sarĂ sempre con te. Alison McGhee



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Kate A Filadelfia, Katherine Harrington è davanti allo specchio del bagno, in attesa di vedere se la sua vita cambierà. È da un po' che non si sofferma a darsi un bello sguardo – non per lisciarsi i bei capelli castani con la scriminatura da una parte, né per spazzolarsi i denti e cancellare il sapore del caffè mattutino, né per mettersi il mascara prima di andare al lavoro, ma per restare semplicemente lì ferma a guardarsi. Le rughe ai lati della bocca, simili a due parentesi, si sono fatte più profonde, e lei teme che facciano sembrare tutto ciò che dice inconsistente, accessorio. Non esattamente l'ideale per un avvocato civilista, pensa fra sé e sé. Comprare la crema antirughe. Sta studiando il suo sorriso ironico quando sente suonare alla porta. «Sono io» dice al citofono Peter. Kate avverte un brivido in petto. Il suo fidanzato ha una chiave di casa sua da anni, quindi perché suonare? Ed è venuto senza preavviso, cosa che non ha mai fatto da quando stanno insieme – la sua educazione, la sua attenzione alle formalità anche dopo quattro anni passati con lei, è una cosa che Kate non ha ancora capito se le piace o meno di lui. Non le piace, decide adesso. È una barriera fra di loro. Teme all'improvviso che siano

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fin troppo simili, ma a soli tre mesi di distanza dal matrimonio, sono problemi che andranno risolti dopo sposati. «Ehi» dice Peter quando gli apre la porta. Sono i primi di giugno e già Filadelfia è stretta nella morsa del caldo. Una nuvola d'aria umida filtra nell'appartamento dalla tromba delle scale, malgrado l'aria condizionata. «Cosa ci fai qui?» gli domanda abbracciandolo. Peter è alto solo pochi centimetri più di lei e s'incastrano bene quando si abbracciano. Eppure lei si scosta subito per chiudere la porta e non far entrare il caldo. «E la tua partita di basket?» Peter gioca con i suoi amici della facoltà di Legge ogni domenica mattina. A dire il vero, gli amici della facoltà di Legge di Peter sono anche amici della facoltà di Legge di Kate, ma non le hanno mai chiesto di unirsi a loro. Il che, francamente, a lei va benissimo. La domenica mattina è fatta per andare a correre presto lungo il fiume Schuylkill con Grace Kelly (Gracie, in breve), quel salsicciotto giallo del suo Labrador retriever, e – a seguire – la lettura del New York Times, un sandwich alle uova avvolto nella stagnola preso al mercato italiano all'angolo (un ovetto, in breve), una quantità oscena di caffè bevuta nella sua tazza preferita, blu Tiffany, e un'allegra, seppur breve, telefonata ai genitori che abitano a quindici isolati di distanza, nel quartiere di Society Hill. Stare separati la domenica mattina a Kate va benissimo, sapendo che il suo fidanzato è da qualche parte in città, eventualmente raggiungibile con un colpo di telefono o con un viaggetto in taxi. Eppure non riesce a pensare alla sua routine domenicale senza che le venga in mente l'espressione "creatura abitudinaria", che a sua volta le evoca l'immagine del Mostro di Loch Ness

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fasciato nei leggings da yoga che beve il caffè con Gracie sdraiata ai suoi piedoni infangati. Perché "creatura"? si domanda. Perché non "persona abitudinaria"? Perfino "animale" andrebbe meglio. «Questa settimana salto» dice Peter accennando con il capo al divano color noce. «Sediamoci.» Il soggiorno di Kate sembra uscito dal catalogo di Pottery Barn. Il che, più o meno, è così. Per anni Kate ha ammirato l'ordine delle case su quei cataloghi, come se gli adulti che le abitavano fossero fuori a vivere esistenze sane e produttive e potessero tornare da un momento all'altro a far girare il mappamondo consumato sulla consolle laterale, o per tirar fuori la preziosa prima edizione di un libro da una biblioteca macchiata di caffè espresso. Quando si è collegata al sito Kate voleva solo comprare il divano angolare a pagina ventitré, ma poi ha finito per ordinare un articolo di tutto quello che c'era sulla pagina – il paio di lampade di vetro Josephine, il baule da viaggio che fa da tavolino, le sfere color verde muschio impilate ad arte sul vassoio di sedicente tek Luisa. Perché no? pensava, cliccando ripetutamente con il mouse. Posso permettermelo. La stanza le ha sempre trasmesso una sensazione di calore e di pace, ma guardandosi attorno adesso nel sedersi sul divano, si domanda se comprare l'arredamento per la vita che si desidera, anziché per la vita che si ha, non sia un po' come sfidare la sorte. Si siede accanto a Peter, le ginocchia rivolte verso l'interno, quasi, ma non proprio, a toccare il fidanzato. «Ti senti male?» gli domanda. «Dov'è la tua chiave di casa? Vuoi del caffè? Cosa succede?» Peter corruga la fronte. Non gli è mai piaciuta la sua abitudine di accavallare le domande una dietro l'altra,

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preferendo addentrarsi a poco a poco in una conversazione anziché buttarvisi a capofitto come fa lei. Kate lo sa, ne hanno parlato per ore e ore, ma vi sono delle cose fondamentali che non si possono cambiare in una persona, e questa, a lei pare sia una di quelle. Peter, per esempio, non le organizzerà mai una festa di compleanno, né prenderà le sue parti con sua sorella Lacey, che la sminuisce di continuo. Così è. Certe cose le accetti e vai avanti. «Sto bene» dice Peter. La guarda, sbattendo le ciglia dietro gli occhiali senza montatura, e quando lo vede distogliere lo sguardo, Kate si rende conto che è nervoso. Le vengono le solite fastidiose palpitazioni. Ama il dischiudersi delle labbra di lui quando ha il viso riposato, che rivela un accenno dei suoi denti bianchi d'ordinanza, le sopracciglia basse sopra gli occhi infossati, la fronte leggermente corrugata, lui sempre così analitico e riflessivo, sempre lì a lambiccarsi il cervello. Allunga la mano verso di lui, cercando di spezzare il sortilegio che è calato su di loro. Quando gli tocca la guancia, si accorge che non si è sbarbato. Non è un buon segno. È pallido come la seconda notte della loro vacanza in Belize dell'anno precedente, quando si è lavato i denti con l'acqua del rubinetto. Ha una marea di domande da fargli, ma è Peter a parlare per primo. «Ritiro quel che ho detto, Kate. Non sto bene. E sono certo che lo sai. Lo sai che le cose non vanno bene.» Kate abbassa la mano e lo guarda. Pensa alla settimana precedente, quando hanno fatto l'amore – sì, è così che dice lei – a casa di lui, per poi guardare la partita registrata. Qualche settimana prima avevano litigato durante (e dopo) la loro riunione prematrimoniale con Padre Jerry, ma lei pensava fosse acqua passata. Lei

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avrebbe lavorato sui suoi problemi, e lui sui propri. «Ehm, no, Peter. Non ho idea di che cosa tu stia parlando.» Peter avvampa, e il rossore gli si arrampica su per il collo come un viticcio. «Non fare così.» «Fare cosa?» «Kate» dice lui. «Ci ho pensato molto, cercando di focalizzarmi su cosa non va fra di noi. So che anche tu sei infelice.» Le viene un nodo allo stomaco. «Stai rompendo con me? O, aspetta, stai cercando di convincermi che io voglio rompere con te? Peter, noi due ci sposiamo fra tre mesi!» Aspetta che lui scoppi a ridere, che la prenda in giro per essere saltata a una conclusione tanto melodrammatica, e invece lui tiene gli occhi inchiodati a terra. «Lo so» le dice stringendosi nelle spalle. Ha sempre avuto una postura pessima – è stata la prima cosa che Kate ha notato di lui quando le stava seduto accanto nel loro semestre conclusivo a Legge. «Non riesco neanch'io a credere che le cose vadano così. Vorrei tanto che andassero diversamente.» «E va bene, le faremo andare diversamente. Ci lavoreremo sopra. È così che si fa.» Kate si rende conto che Peter vuol parlare quindi prosegue spedita. «Abbiamo avuto tanto lavoro tutti e due. Dobbiamo dedicare più tempo al nostro rapporto.» Per carità, pensa. Sto citando Cosmopolitan? «Usciremo di più la sera. Ci berremo una bottiglia di vino insieme. Lisa mi ha detto che c'è un ristorantino fantastico a Chestnut Street. Controlliamo le agende; fissiamo subito degli appuntamenti. Volevo vedere il nuovo film di Woody Allen – quello che volevi vedere anche tu, ti ricordi? E...» Kate non termi-

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na la frase, paonazza in viso. La finisco di blaterare? «E dai, Peter» implora. «Controlliamo le agende.» «Io non voglio controllare l'agenda!» Il suo tono è così esasperato che Kate si ritrae scioccata. Dopo una lunga pausa Peter riprende: «Sto cercando di essere sincero». Adesso ha assunto il tono compassato e riflessivo che usa con i suoi clienti. «Tu e io siamo ottimi amici, e, a dirla tutta, a me va benissimo così, ma so che tu...» «Il matrimonio è questo!» lo interrompe lei. «Due ottimi amici che vogliono andare a letto assieme.» Di nuovo Cosmopolitan. Peter si posa le mani sulle cosce. «Oh» dice Kate. «Oh, capisco. Tu non sei più attratto da me. Siamo due ottimi amici che non vogliono andare a letto assieme.» «Non essere ridicola, Kate. Sei tu che sei sprecatissima per me. Lo sai che questo non è mai stato il nostro problema.» Anche nel bel mezzo di quella lite, le parole di Peter toccavano un certo tasto. Kate prende, incarta e porta a casa, archiviando quelle parole nella cartella mentale Botta di Autostima per usarle successivamente. Pensa che io sia sprecatissima per lui! Questo le tornerà utile, lo sa. «Be', a quanto pare mi sto arrampicando sugli specchi, Peter» dice. «Dimmi come dovrei elaborare la notizia che tre mesi prima del nostro matrimonio, tu stai per rompere con me.» Peter sbuffa e di colpo Kate freme di rabbia. Lui non può permettersi di essere irritato con lei! «Sto cercando di spiegartelo» ribatte lui con voce ferma. «Se mi dai un minuto.» «Prego. Il palcoscenico è tuo.»

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«L'unica cosa che mi rende infelice del nostro rapporto è che tu sei infelice. Tu non lo ammetterai mai, ma io me ne accorgo. È per questo che sei così smaniosa di tenere sempre tutto sotto controllo – il motivo per cui devi pianificare ogni secondo di ogni giorno. Forse se parlassi con qualcuno di quel che è successo. Forse se trovassi il modo di lasciarti un po' andare...» Esita, e lei ha già capito dove vuole andare a parare, sforzandosi però di lasciarlo concludere. «Non posso sostituire lui, Kate, e non voglio farlo. Ci meritiamo tutti e due qualcosa in più di...» «No!» replica lei secca. Peter le sta ritorcendo contro le confidenze che lei gli ha fatto nelle notti più buie e silenziose. «Colin non ha niente a che fare con questo.» «Sto cercando di spiegare quello che provo. Forse dovremmo parlarne più avanti, dopo che le acque si saranno calmate.» Kate lo fissa intensamente. Adesso capisce che la faccenda è chiusa. Peter non ne può più di lei. Per dispetto, adesso lei non gli dirà nient'altro. «Dillo e basta, Peter. Poni fine alla mia sofferenza.» «Cosa?» «Non mi ami più. O forse non mi hai mai amata. Vedi di dirmelo e basta.» Peter riflette in silenzio. In quel momento cambia tutto. Lui non appartiene più a lei, e lei non appartiene più a lui. Perfino l'aria nella stanza sembra diversa, è fredda e secca e le fa venire la pelle d'oca. È tentata di saltare giù dal divano, di andare a spalancare la porta per lasciare entrare l'aria umida e pesante dal pianerottolo. Magari il calore li riporterà in vita. Magari formerà un bozzolo attorno a loro tenendoli lì insieme, per sempre.

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«Non posso dirlo, Kate» risponde infine Peter. «Mi dispiace.» Ma in quella pausa prima di parlare, lei ha già udito tutto quel che le serve. Si alza, sfilandosi l'anello dal dito. Peter distoglie lo sguardo, un codardo alla fin fine. «Possiamo prenderci un po' di tempo» dice. «C'è ancora parecchio di cui parlare. Non dobbiamo mica farlo adesso.» «Io sì» dice Kate, premendogli nel palmo della mano il grosso solitario, quasi perfetto. Le scarpe da ginnastica di riserva di Peter sono sotto il tavolo dell'atrio. Vedendole, Kate attraversa la stanza e prende una busta biodegradabile dal cassetto in cui tiene il guinzaglio di Gracie, infilandovi le scarpe. Peter le prende la busta di mano e si ferma, a disagio. Adesso lui ha un anello da quindicimila dollari in una mano e quella che assomiglia a una busta di merda nell'altra. «Parliamone fra un paio di giorni» propone lui, tornando al suo tono da avvocato. Quando lei non risponde, Peter dice qualcosa di sommesso, forse il suo nome, e la bacia sulla guancia. «Arrivederci.» E poi se ne va. Le lacrime – che non le hanno velato gli occhi una sola volta durante la conversazione con Peter – scendono a rigarle il viso non appena la porta si chiude. Com'è successo? Kate si lascia cadere sul divano e si prende la testa fra le mani, sentendo il cuscino spostarsi quando Gracie sale e si accoccola accanto a lei. «Oh, Gracie.» Gracie le rivolge il suo inconfondibile sguardo – occhioni castani luminosi, ciuffetti di pelo sulla fronte sollevati con aria speranzosa, codina che batte lentamente sul divano. Uno sguardo che significa tanto "Tesoro mi-

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o, io te l'avevo detto" quanto "E la colazione dov'è?" e "Ti vorrò bene per sempre". Mentre la disperazione inizia a trasformarsi, passando dal dolore lacerante alla nebbia dell'autocommiserazione, la prima persona con cui Kate vorrebbe parlare è Colin. Ma il suo gemello è morto da quasi otto anni. Si domanda se accetterà mai questo fatto o se vivrà per il resto della vita con il riflesso condizionato di voler telefonare al fratello morto ogni volta che le cose vanno male. Pensare a Colin anche solo per un istante, che è tutto il lasso di tempo che mai si concede, riesuma un'ondata di sgraditi ricordi del giorno in cui è morto – la pelle scottata, la sabbia troppo calda sotto i piedi, la sensazione suadente dell'oceano che l'avvolge mentre entra in acqua per sfuggire allo sguardo truce e inesorabile del fratello. Si alza dal divano di scatto, tanto che Gracie alza la testa, pronta a tutto. «Telefoniamo a qualcuno» dice Kate. Gracie concorda, scodinzolando tutta felice. Kate pesca il cellulare dalla borsetta, cercando di non rimuginare sull'anulare ormai vuoto. Dovrebbe chiamare Vanessa o , le sue migliori amiche di sempre, che adesso vivono rispettivamente a New York e San Francisco. Kate è l'unica della loro piccola cricca a essere rimasta a Filadelfia, non volendo che i genitori si sentissero completamente abbandonati. Fissa il telefono, bloccata. A chi telefonare prima? È un dilemma che affronta a ogni cambiamento epocale della sua vita, uno degli svantaggi di avere due amiche del cuore. Vanessa – sposata al figlio di un famoso giornalista televisivo e con una figlia di pochi anni – tende sempre a farla sentire in affanno,

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come se fosse perennemente indietro di uno o due passi sforzandosi di raggiungerla; questa sensazione, si rende conto Kate, adesso peggiorerà. E poi c'è Dani, che vive un'esistenza nomade e anticonformista, e che a malapena risponde al telefono; se per miracolo lo facesse, suggerirebbe a Kate di farsi un bel bagno e di bersi qualcosa di forte. Per Dani questa è la panacea di tutti i mali, dai postumi da sbornia alle delusioni d'amore. Kate posa il telefono sul tavolo, con la testa che le pulsa. La solitudine torna a farsi sentire così facilmente – e il suo familiare peso la induce a domandarsi se se ne sia mai andata, in fondo. Potrebbe andare a piedi a casa dei suoi genitori. O scendere giù al bar, così, solo per stare in mezzo alla gente. Se non fosse tanto distrutta, potrebbe accarezzare l'idea d'infilarsi le scarpe da ginnastica e costringere i loro amici della facoltà di Legge a farla giocare a basket con loro per la prima volta in assoluto. I suoi amici di Legge, si corregge, alludendo solo a se stessa. Non i loro amici. I suoi amici. Ormai sta sfiorando l'attacco di panico. «Aspettare non cambierà niente» dice a Gracie. Le dà una pacca sulla coscia e Gracie salta giù dal divano seguendola a ruota nell'atrio. Kate rientra in bagno e, di nuovo con il cuore a mille, guarda il test di gravidanza che ha lasciato sull'orlo del lavabo quando il campanello l'ha interrotta. Positivo. A quanto pare non è poi così sola come si sente.

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«Non mi sembra vero che dobbiamo già partire domani» dice Vanessa. «Lo so» ribatte Kate. Dani percepisce il loro entusiasmo – Kate ha un lavoro e una città che adora cui tornare, un bambino su cui fare progetti, e Vanessa ha la sua bella famigliola, e l'amore imperfetto – ma pur sempre amore – che nutrono l'uno per l'altra. «Ma tornerete, vero?» domanda Dani. «Certo» dice Vanessa. «La prossima estate.» «La prossima estate?» domanda Dani. «Cosa ne dite di questa estate? Mica è ancora finita! Il Quattro Luglio serve solo a stuzzicare l'appetito per il resto della stagione.» «Ah, è questo lo scopo del Quattro Luglio?» domanda Vanessa. «Ne sei sicura?» «A proposito di appetito» interviene Kate, alzandosi e pulendosi la sabbia dalle ginocchia. «Non sarà il caso di andare a mangiarci quelle pizze?» Dani sa che Kate ha la pizza in mente da un po', probabilmente fin dal momento in cui ha visto che Gracie stava bene. Una Kate è una Kate. Anche Vanessa si alza e tira su Dani. Per un attimo soltanto, nessuna delle tre si muove, e Dani ha una visione del suo nuovo romanzo che si dipana di fronte a lei – un cast di personaggi strampalati in una città di mare fuori stagione, un insegnante che assomiglia a Hemingway, un cane smarrito, e magari anche, se avrà lo stomaco per sopportarlo, un lieto fine. Gracie abbaia e sfreccia via, e tutte si mettono a correre. Non vogliono perderla di nuovo.

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Questo volume è stato stampato nel maggio 2016 presso la Rotolito Lombarda - Milano




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