Un'americana a londra

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1001 - Il fascino del libertino - S. Bennett 1002 - Segreti pericolosi - E. Dreyer 1003 - L'amante del laird - V. Sinclair 1004 - Misteri e complotti - E. Dreyer 1005 - Il guerriero di ghiaccio - M. Willingham 1006 - Doppia identitĂ - E. Boyle 1007 - L'amante spagnola - M. Kaye 1008 - Un'ereditiera da sedurre - S. Bennett 1009 - Incontro di primavera - A. Gracie 1010 - La sposa guerriera - M. Styles 1011 - Le fantasie di una giovane inglese - B. Scott 1012 - Passione tra le dune - L. Martin 1013 - Il principe e la ladra - K. Hawkins 1014 - Equivoci d'amore - E. Boyle 1015 - Faida scozzese - T. Brisbin 1016 - Amore, scandali e merletti - C. Linden 1017 - La scoperta della baronessa - L. Carlyle 1018 - Il rapimento di Lady Rowena - C. Townend 1019 - La musa segreta - E. Redgold 1020 - Un'americana a Londra - J. MacLean 1021 - L'uomo del destino - E. Boyle 1022 - Il guerriero di fuoco - M. Willingham 1023 - La sposa dello scandalo - D. Gaston


JULIANNE MACLEAN

Un'americana a Londra


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: To Marry the Duke Avon Books Published by arrangement with HarperCollins Publisher © 2003 Julianne MacLean Traduzione di Anna Polo Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2016 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici giugno 2016 Questo volume è stato stampato nel maggio 2016 presso la Rotolito Lombarda - Milano I GRANDI ROMANZI STORICI ISSN 1122 - 5410 Periodico settimanale n. 1020 dello 01/06/2016 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano


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Londra, stagione mondana 1881 Con un sospiro rassegnato, Sophia Wilson si rese conto che non solo aveva attraversato un oceano per arrivare a Londra, ma senza volerlo era anche finita dalla padella nella brace. Stava per partecipare alla competizione per assicurarsi il matrimonio migliore. Entrò insieme alla madre nell'affollato salotto dalla tappezzeria di seta, ornato di mazzi di rose legati da nastri e di una quantità di ninnoli del tutto inutili, ma disposti con arte. Strinse forte il ventaglio con la mano guantata e adottò il suo sorriso più smagliante; aveva passato un mese a imparare la rigida etichetta inglese e ora era pronta a essere presentata a conti e contesse. «Non è stato così terribile, no?» le sussurrò la madre, guardandosi intorno. Sophia poteva quasi percepire i suoi pensieri, mentre elaborava una strategia per la serata. Si sentiva oppressa dalla responsabilità come un lampadario di ferro appeso a un'unica vite. Era un'ereditiera americana, venuta a Londra per assicurare l'accettazione della sua famiglia nell'alta società e cambiare per sempre la loro vita... sposando un lord inglese. O almeno era questo che aveva promesso alla madre. 5


Nell'ultimo anno aveva infatti respinto quattro proposte di matrimonio – tutte ottime, secondo l'opinione materna – e la donna aveva cominciato a disperarsi. L'ultimo pretendente era un Peabody. Un matrimonio tra una Wilson e un membro di quella famiglia sarebbe stato un evento memorabile: avrebbe assicurato un invito ai balli più esclusivi e perfino Mrs. Astor, la matriarca che regnava sull'alta società di New York, pur odiando la sola idea, sarebbe forse arrivata a far loro visita. I Wilson erano una delle tante famiglie che tentavano di far breccia in quell'ambiente impenetrabile; li chiamavano con disprezzo arricchiti e arrivisti, ma loro non demordevano. Sophia osservò scoraggiata le orde di sconosciuti che riempivano la stanza e ascoltò distratta la fredda, contegnosa risata inglese, ammesso che si potesse definirla tale. Le sue sorelle non l'avrebbero fatto di sicuro. Ricordò a se stessa con un altro sospiro l'importanza di trovare un uomo che potesse amare prima della fine della stagione mondana. Aveva fatto un patto con la madre, così che la poveretta non si ammalasse di nuovo. Era riuscita ad ammansirla riguardo al rifiuto dell'ultimo pretendente, evitando che chiamasse ancora il dottore, solo con la promessa di impegnarsi ad accalappiare un partito persino migliore. Ma uomini del genere, per giunta con un titolo nobiliare, si trovavano solo a Londra, ed ecco spiegata la loro partecipazione alla Stagione. Sophia sperava di trovare un uomo bello e appassionato, un uomo che l'amasse per lei stessa e non per i suoi soldi. «Permettetemi di presentarvi mia figlia, Miss Sophia Wilson» disse la madre a un gruppo di signore circondate a loro volta dalle figlie. Le donne valutarono in silenzio il suo aspetto, dall'abito elegante uscito dalla prestigiosa sartoria Worth alla collana di diamanti abbinata agli orecchini. Nessuna delle giovani portava gioielli così sensazionali; la fissarono invidiose e 6


lei si sentì all'improvviso come un pesce fuor d'acqua. «Venite dall'America?» chiese infine una delle signore. Aprì il ventaglio e l'agitò davanti al viso con aria impaziente, in attesa della risposta di Sophia. «Sì, da New York. Siamo ospiti della Contessa di Lansdowne.» La contessa era americana. Tre anni prima aveva sposato il Conte di Lansdowne ed era riuscita a insinuarsi nell'alta società londinese come se fosse nata e cresciuta là. I Wilson l'avevano conosciuta a New York, quando ancora anche lei era trattata con fredda alterigia. Ora si vendicava di quegli sdegnosi discendenti dei primi coloni olandesi aiutando le parvenues come Sophia ad accaparrarsi un marito inglese dotato di un illustre titolo nobiliare ed era considerata la migliore madrina in tal senso. «Sì, conosciamo la contessa» dichiarò la poco eloquente signora, scambiando uno sguardo significativo con le compagne. Non aggiunse altro. Sophia fece del suo meglio per continuare a sorridere, ma la serata ormai le pareva una strada lunga e monotona, con carrozze ferme una dietro l'altra per miglia e miglia. In quel momento calò un silenzio improvviso, seguito da sussurri eccitati. È il duca... Possibile? Sì, è proprio lui. Tutte le teste si voltarono verso la porta. «Sua Grazia il Duca di Wentworth» annunciò il maggiordomo con voce tonante. Mentre aspettava l'ingresso dell'illustre personaggio, Sophia si aggrappò alle sue egualitarie opinioni americane. Duca o scavafosse, è pur sempre un uomo. Si sollevò quindi sulla punta dei piedi per scorgere al di sopra delle teste dei presenti il Pari del Regno dotato del rango più alto di tutti, per poi abbassarsi quando una delle giovani inglesi del gruppo le sussurrò all'orecchio: «Evitatelo se potete, a meno che non desideriate un matrimonio da incubo». Lei guardò la fanciulla, che impallidì e si tirò indietro, scoraggiando ulteriori domande. 7


Scossa e incuriosita da quel commento, tornò a rivolgere l'attenzione alla porta. Le donne si piegavano una dopo l'altra in profonde riverenze. Qualcuno si fece da parte e lei si trovò a fissare un uomo magnifico. Con un completo nero e camicia e panciotto candidi, si muoveva per la stanza come una pantera affamata, salutando con un cortese e impassibile cenno del capo tutti quelli che si inchinavano al suo passaggio. Davanti a quel viso formidabile il suo cuore parve agitarsi nel petto. Era come guardare un capolavoro artistico di una bellezza mozzafiato. Sembrava incredibile che anni prima una donna, una madre, avesse dato alla luce una simile, divina perfezione. Continuò a fissarlo, assorbendo la sua postura sicura di sé e l'atteggiamento calmo e distaccato. I capelli nerissimi, folti e ondulati, gli scendevano fino alle spalle ampie in un disordine decisamente fuori moda, quasi scandaloso. Sophia inarcò le sopracciglia delicate: a New York nessuno si sarebbe mostrato in pubblico in uno stato simile, ma quell'uomo era un duca e faceva ciò che gli pareva. Nessuno avrebbe osato criticarlo. Era questo che rendeva Londra diversa da New York: chi aveva sangue blu poteva permettersi simili eccentricità senza timore di danneggiare la propria posizione sociale. La folla silenziosa seguì con aria di soggezione i movimenti del nobile per il salotto, poi il brusio delle conversazioni riprese. Lei però non era ancora pronta a distogliere lo sguardo da quell'uomo alto e affascinante, che avanzava nella stanza con grazia felina. Anche gli occhi verdi ricordavano quelli di un gatto: intelligenti e acuti, cinici e pericolosi. Sophia rabbrividì con uno strano misto di eccitazione e paura. L'istinto le diceva che non era il caso di contrariarlo. Accompagnato da un uomo dai capelli biondi, il duca si spostò verso l'altro lato del salotto. Lei si rivolse alla giova8


ne che le aveva dato quello strano consiglio. «Perché parlavate di un matrimonio da incubo?» chiese. La ragazza lanciò uno sguardo al duca al di sopra della spalla. «Non avrei dovuto dire niente. Sono solo pettegolezzi.» «Volevate prendervi gioco di me?» «No, volevo avvertirvi» chiarì l'altra. «Alcuni lo chiamano il Duca Pericoloso, per via del suo cuore di pietra.» «Chi lo definisce così?» La donna corrugò le sopracciglia, probabilmente irritata dal suo tono dubbioso. «Tutti. Dicono che la sua famiglia sia maledetta, che siano tutti crudeli. Del resto basta guardarlo, non trovate?» Sophia si voltò di nuovo verso di lui e notò che sbatteva piano le palpebre e fissava sdegnoso chiunque gli passasse davanti. «Non saprei.» L'istinto però le diceva che era davvero pericoloso. Nei suoi occhi non brillava alcuna luce. C'erano solo oscurità e quello che sembrava un profondo disprezzo per il mondo. Non voleva conoscerlo, decise in fretta. L'acuta curiosità nei suoi confronti, il fascino che esercitava su di lei e l'intenso turbamento che le provocava le facevano capire che sarebbe stato un errore. Le farfalle che si agitavano nel suo stomaco rischiavano di prendere il sopravvento sulla lucidità e lei aveva bisogno di scegliere un uomo con la testa, senza farsi guidare dalle passioni. Aveva sempre pensato che queste fossero inaffidabili. Tornò a guardarlo, lo vide rivolgere un inchino elegante a una signora e si sentì formicolare la pelle. Sì, un incontro tra loro sarebbe stato decisamente pericoloso. Riacquistò il controllo, lanciò uno sguardo alla madre e si rese conto inorridita che anche lei stava fissando il duca. A giudicare dalla sua espressione rapace, sembrava avesse l'acquolina in bocca. James Nicholas Langdon, nono Duca di Wentworth, 9


Marchese di Rosslyn, Conte di Wimborne, Visconte di Stafford, uscì dal riparo di una felce in vaso e fissò la folla che gremiva il salotto. Il ventaglio d'avorio di Lady Seamore gli oscurò per un momento la vista; con uno scatto irritato lui inclinò la testa di lato per aggirarla. Qualcosa aveva attirato la sua attenzione. «Chi è quella donna?» chiese a Edward, Conte di Whitby, che in piedi accanto a lui girava un anello con uno smeraldo intorno a un dito con aria assente. «L'americana» rispose. «Quella che chiamano il gioiello di New York, con una dote abbastanza generosa da mantenere Buckingham Palace. O almeno così mi hanno riferito.» James fissò gli occhi azzurri e la bocca impertinente della giovane. «Dunque è lei l'ereditiera?» «Sembri sorpreso. Ti avevo detto che era bella. Non mi hai creduto?» Lui non rispose e guardò la bellezza dai capelli d'oro avanzare per il salotto verso Lord Bradley, il padrone di casa. Vennero fatte le presentazioni e l'americana sorrise con occhi splendenti. Indossava un lucente abito di broccato di seta dalle sfumature argentee e marroni e una collana con un grosso diamante che oscillava nell'incavo del seno. «Un'altra americana a caccia di marito» sospirò. «Quante ce ne sono già in giro? Tre, quattro? Cosa fanno, scrivono alle loro amiche alla frontiera di venire subito qui perché ci sono titoli nobiliari da accaparrarsi, basta pagare?» «Sai meglio di me che a Bertie piacciono le novità, soprattutto se belle e brillanti. Il principe ottiene sempre quello che vuole.» «E la buona società è fin troppo felice di assecondarlo.» In quel momento l'ereditiera scoppiò a ridere, rivelando denti candidi e regolari. Whitby la indicò con il mento. «Lei e la madre staranno dalla Contessa di Lansdowne per tutta la durata della Stagione» lo informò. 10


«Ma certo!» ironizzò lui. «Un'altra americana a caccia di titoli nobiliari. Lei il suo se lo è già aggiudicato, immagino che ora istruirà le nuove reclute a fare altrettanto.» Conosceva bene la contessa e sapeva che non andava troppo per il sottile. I due amici attraversarono insieme il grande salotto. James non sapeva bene perché fosse venuto; non era in cerca di una moglie e odiava l'assedio assillante delle avide madri di fanciulle nubili, pronte a darle in sposa a un uomo con la fama di mostro pur di sapere che il loro sangue sarebbe scorso nelle vene di un futuro duca. Eppure quella sera qualcosa l'aveva attirato in società... Si fermò accanto alla mensola di marmo del camino, ornata da un drappo dalle frange d'oro e sormontata da un vaso pieno di piume bianche sistemate con cura. Non poté fare a meno di guardare di nuovo l'americana vivace e sorridente. «L'hai conosciuta?» chiese all'amico. Anche Whitby la guardava. «Sì, a una serata mondana tre giorni fa.» «E il principe?» «L'ha incontrata la settimana scorsa al ballo dei Wilkshire. Ha ballato con lei due volte di fila e, da quello che so, da allora gli inviti non le mancano.» James appoggiò un gomito alla mensola e la guardò conversare disinvolta con il padrone di casa. «Sei per caso interessato?» gli chiese l'altro sorpreso. «Certo che no. Non lo sono mai.» Forse però non era del tutto sincero. Quella donna era davvero eccezionale. Indugiò con lo sguardo sull'abito elegante, le curve morbide e le braccia sottili sotto gli stretti guanti bianchi. Il suo sguardo esperto passò sulla mano aggraziata stretta intorno a una coppa di champagne, che lei sorseggiava di rado, sul gomito delicato fino alle spalle lisce e alla clavicola. Il seno sodo era messo in risalto dall'abito aderente. James lo immaginò mentre si liberava di quella costrizione e gli ricadeva nelle calde mani in attesa. 11


«Tua madre ti sta ancora addosso perché tu ti sposi?» chiese Whitby, interrompendo le sue osservazioni private. Lui si riscosse. «Ogni giorno, anche se dubito che prenderebbe mai in considerazione un'americana. Le piace troppo dirigere la casa. Spera che scelga una ragazza insignificante – ovviamente inglese – che non si lamenti, non attragga l'attenzione e sia ben contenta di restare nell'ombra.» James rivolse un amabile cenno del capo a Lady Seamore, diretta alla galleria dove era in mostra un Rembrandt acquistato di recente. Nell'alta società tutti sapevano che proveniva dalla collezione del Marchese di Stokes, costretto a vendere una quantità di capolavori per evitare che la sua tenuta cadesse in rovina. Si diceva anche che da allora la moglie non gli rivolgesse più la parola. Poi si sforzò di distogliere il pensiero dai problemi di denaro del marchese, fin troppo simili ai suoi. «Un'americana, soprattutto vistosa come quella, sarebbe il peggior incubo di mia madre. Anche il mio, immagino. Se mai dovessi decidermi a sposarmi sceglierei una donna invisibile, così potrei dimenticarmi di lei.» Un gruppo di gentiluomini in un angolo scoppiò a ridere a una battuta, poi il mormorio delle conversazioni riprese. «Sei l'unico pari di mia conoscenza che dica: "Se mai dovessi sposarmi"» commentò Whitby. «Sei proprio un ribelle. Lo sei sempre stato.» «Non sono un ribelle, ma l'immagine del marito affettuoso e solerte non mi attira. Voglio rimandare quel momento più a lungo possibile e magari evitarlo del tutto.» «Non sarebbe poi così tremendo! La tua casa è così enorme che potrai vedere tua moglie solo quando ne avrai voglia.» James sbuffò davanti all'ingenuità dell'amico. «Le donne sono un po' più complicate di così. Non amano venire ignorate, soprattutto se, Dio non voglia, credono di essere innamorate di te.» 12


Whitby rivolse un cenno di saluto a un gentiluomo e poi gli si fece più vicino per sussurrare: «Se la gestisci bene, una moglie può essere una questione d'affari». «Può darsi. Ma per fortuna ho un fratello minore che potrà fornire un erede alla casata. Martin si sposerà. Non è come me o nostro padre; ha il cuore tenero e si innamora spesso.» In effetti Martin non possedeva ciò che aveva malauguratamente ereditato lui: la natura passionale che aveva trascinato i loro avi in un cupo, inumano inferno in terra. James non poteva fare a meno di sperare che il carattere più mite del fratello minore avrebbe messo fine a quell'infinito ciclo di violenza. A volte aveva l'impressione di difendere il fortino in attesa che Martin diventasse abbastanza grande e saggio da capire che costituiva la maggiore speranza della famiglia, l'anello più promettente nella catena ereditaria. Whitby non insistette oltre e con grande sollievo di James non pose altre domande fastidiose. In quel momento l'ereditiera guardò dalla sua parte e lui si trovò prigioniero di un eccitante momento di reciproco riconoscimento. Quando i loro sguardi si incontrarono, si sorprese infatti a fissare i grandi occhi azzurri e le labbra piene dell'americana; erano dolci e innocenti e allo stesso tempo irradiavano un'irresistibile sensualità. Immaginò una miriade di cose che gli sarebbe piaciuto fare al buio con quelle labbra umide e seducenti. Un primitivo impulso maschile lo spingeva a compiere i passi necessari per arrivare a quel punto. James rimase sbalordito: non provava niente del genere da anni, per l'esattezza da quando era un adolescente ribelle. Ormai si teneva lontano dalle giovani in età da marito e intratteneva relazioni discrete e rispettabili solo con donne sposate. Dopo un po' di tempo, l'ereditiera gli rivolse un cordiale cenno del capo. Lui rispose allo stesso modo e lei riprese con calma a conversare con Lord Bradley. 13


Ecco tutto. La vide poi posare la mano sull'avambraccio del padrone di casa, reagendo a un suo commento. Lord Bradley abbassò lo sguardo, sconvolto da quel gesto informale, ma si riprese in fretta, rosso in viso e con una scintilla negli occhi che lo faceva apparire dieci anni più giovane. Le labbra di James si incresparono. Non ricordava l'ultima volta in cui una donna aveva attizzato le braci a lungo sepolte delle sue emozioni. Per un momento ignorò la voce della ragione che gli consigliava di distogliere lo sguardo e pensò che forse gli sarebbe piaciuto avvicinarla. Una presentazione formale avrebbe potuto consentirgli una conoscenza casuale e poi chissà... In fondo negli ultimi tempi aveva spesso la sensazione di annoiarsi. Ma era davvero noia?, si chiese a disagio. Non ne era sicuro. Si era così abituato a soffocare i suoi desideri che ormai non ricordava quasi più che cosa si provasse a desiderare. Meglio dell'alternativa, si ammonì. Era pur sempre il figlio di un poco di buono dalla testa calda e il nipote di un assassino paranoico. Dare libero sfogo alle sue passioni – di qualunque tipo fossero – sarebbe stato pericoloso. Soffocò in fretta l'impulso di incontrare l'ereditiera e si unì prudente a un gruppo di gentiluomini che parlavano di politica nella galleria. Mrs. Beatrice Wilson guardò sconfortata l'affascinante Duca di Wentworth che si allontanava all'altro capo del salotto affollato. Lanciò un'occhiata alla figlia: Sophia conversava attenta con un'anziana marchesa e pareva del tutto ignara di ciò che succedeva intorno a lei. In particolare dell'uscita di scena dello scapolo d'oro più prestigioso e sfuggente di tutta Londra. Quando la marchesa si scusò congedandosi, lei condusse la figlia in un angolo tranquillo. «Cara, andiamo a cerca14


re la contessa. Bisogna assolutamente presentarti al duca. Cosa c'è? Perché mi guardi così?» Sophia si premette una mano sulla fronte. «Mamma, temo di non stare troppo bene.» «Non ti senti troppo bene? Ma il Duca di Wentworth è qui e da quello che ho sentito si fa vedere di rado in società. Non possiamo lasciarci sfuggire una simile occasione.» Era stato un lungo anno di lotte per Beatrice, che cominciava a essere affaticata per tutto quell'impegno. Nella sua innocenza, Sophia non capiva l'importanza di fare un buon matrimonio. Non sapeva che la passione svaniva nel giro di qualche anno ed era ancora decisa a sposarsi per amore, convinta che nient'altro contasse. Lei amava troppo le sue figlie per consentire che facessero scelte sbagliate, per poi vivere nell'infelicità. Voleva la sicurezza per loro: il denaro andava e veniva e quando non ce n'era più era facile ritrovarsi al di fuori della buona società, ma un titolo nobiliare inglese invece sarebbe durato. Tra gli aristocratici una donna doveva soltanto dare alla luce tanti figli e la loro posizione sociale sarebbe stata garantita. «Stai tanto male?» le chiese toccandole la fronte. «Sì, forse mi sono ammalata. Non mi sembra il momento giusto per conoscere il duca. Non potremmo tornare a casa?» Ecco di nuovo quell'inamovibile resistenza. Sophia era sempre stata testarda e volitiva. Quella sera però c'era qualcosa di diverso in lei. Beatrice avrebbe tanto voluto capire di che si trattava. «Il duca non ti è piaciuto?» chiese. «A me è sembrato molto bello.» «A dire la verità no, non mi è piaciuto» rispose la figlia dopo una breve riflessione. «Non è il tipo d'uomo che cerco.» «Come puoi giudicarlo senza neanche aver parlato con lui? Una presentazione non ti farà certo male. Poi potrai decidere se ti piace o no.» 15


«Non voglio una presentazione.» «Sophia, devi dargli una possibilità. Non puoi permetterti di essere così schizzinosa. La Stagione non durerà in eterno e tuo padre ha speso molto per...» «Mamma, mi avete promesso che avrei potuto scegliere liberamente» la interruppe lei. Beatrice avvertì una stretta al cuore, ma in effetti aveva promesso. Era stanca e impreparata a una battaglia. Se la figlia si sentiva davvero male, non c'era molto da fare. «Riprendiamo i nostri mantelli, allora.» Uscì con Sophia, domandandosi se avrebbe dovuto tener duro e insistere per ottenere una presentazione. Ancora una volta avvertì lo scomodo peso dei suoi limiti. Il marito sosteneva che era troppo accondiscendente con le figlie e l'accusava di viziarle, ma come poteva evitarlo, quando le amava tanto? Il mattino dopo, James entrò nel suo studio per leggere il giornale e sbrigare la corrispondenza. Mentre si accomodava allo scrittoio, lo sguardo gli cadde sulla parete rivestita di pannelli di quercia e per qualche ragione si trovò a pensare all'ereditiera americana. Si chiese che cosa avrebbe concluso nel suo soggiorno londinese e quale nobile impoverito lei e la madre sarebbero riuscite ad accaparrarsi. Non avrebbero avuto problemi ad affascinare le loro prede. Negli ultimi tempi le ragazze americane surclassavano decisamente quelle inglesi. Viaggiavano per il mondo, imparavano le scienze, l'arte e le lingue dai migliori precettori che il denaro potesse assicurarsi, e vedevano con i loro occhi capolavori come la Cappella Sistina, mentre le loro controparti inglesi dovevano accontentarsi di un'istitutrice nelle loro remote residenze rurali. All'improvviso James si arrabbiò con se stesso. Probabilmente era solo uno dei molti gentiluomini che quel mattino fissavano la parete e pensavano a lei. 16


Basta. Si occupò in fretta della lettera in cima alla pila e prese la seconda. Veniva da uno degli insegnanti di Martin a Eton – anzi, dal preside. Lesse il breve testo: il fratello si era di nuovo cacciato nei guai, facendosi beccare con una bottiglia di rum e una lavandaia in camera sua. Il preside intendeva sospenderlo e chiedeva istruzioni sul luogo in cui mandarlo. No, non Martin! Gettò indietro la testa e si chiese come gestire quella crisi. Martin era stato un bambino tranquillo e beneducato. Cosa aveva causato quel cambiamento? Forse si trattava solo della naturale irrequietezza dei giovani. «I ragazzi sono ragazzi» mormorò nel tentativo di sdrammatizzare. James aveva sempre mantenuto le distanze dalla famiglia e non intendeva cambiare quell'abitudine. Sapeva di non essere la persona adatta a guidare Martin. Da giovane aveva subito una dura disciplina e non voleva doverla ora imporre a sua volta al fratello. Non conosceva però altri metodi: aveva solo il pessimo esempio offerto dal padre. Ci pensò un po' su e poi decise di mandare Martin nell'Exeter dalla zia Caroline; la sorella della madre era certamente più preparata a gestire quel tipo di situazioni. Redasse le lettere necessarie, poi scacciò dalla mente il problema con il fratello e allungò la mano verso il giornale ripiegato sulla scrivania. Il maggiordomo lo aveva stirato con cura per eliminare le pieghe ed era ancora caldo. Aveva appena dato un'occhiata alla prima pagina quando un valletto bussò, entrò con un vassoio decorato d'oro e glielo porse. «Questa è appena arrivata per voi, Vostra Grazia.» Prese la lettera e riconobbe subito la scrittura del suo intendente, Mr. Wells. Il valletto uscì e lui ruppe il sigillo. Milord, sono spiacente di informarvi che il tetto sopra la sala di 17


rappresentanza ha subito dei danni. Qualche giorno fa una perdita ha formato delle sgradevoli macchie sul tappeto e sui mobili. Il falegname che ho mandato a chiamare era un tipo robusto e il tetto è crollato sotto il suo peso. Ora sappiamo che era marcio, il che mi induce a chiedermi cosa succederà il prossimo inverno. Visto che siete ben consapevole dello stato delle vostre finanze, eviterò di sottolineare la gravità della situazione. Spero solo che prendiate la decisione di vendere gli arazzi francesi dell'ala ovest e le opere d'arte della galleria, di cui abbiamo già discusso in passato. James chiuse gli occhi e strinse la radice del naso per alleviare la tensione che gli martellava nella testa. Si chiese come mai tutti quei problemi si accumulassero nello stesso momento; era forse una specie di prova? Serrò la mano sinistra a pugno per attenuare il dolore di una ferita infantile che gli faceva ancora male dopo più di vent'anni. Fissò il palmo e girò la mano, ricordando il peso terribile del coperchio del baule. Poi, come sempre, scacciò quel ricordo. Doveva vendere gli arazzi francesi? Probabilmente gli avrebbero fruttato una somma sufficiente a riparare il tetto. La madre però non avrebbe gradito gli inevitabili pettegolezzi. E se anche li avesse venduti, cosa avrebbe fatto dopo? Il lago andava dragato e il denaro per le piccole spese assegnato alla madre e a Lily era ormai ridotto quasi a zero. Inoltre, i debiti si accumulavano anno dopo anno, le spese crescevano e le entrate diminuivano. A causa della peggiore depressione agricola del secolo la terra non rendeva più come una volta. James aveva già aumentato gli affitti e non intendeva farlo un'altra volta. Trasse un respiro profondo e lasciò che i pensieri tornassero di nuovo all'ereditiera americana. Ricordò il visto18


so pendente di diamante che riposava nell'incavo del seno invitante; il suo valore da solo avrebbe colmato le perdite di quell'anno. Fissò senza vederle le tende di pizzo alla finestra accanto allo scrittoio e rivalutò il commento di Whitby: se gestito bene, un matrimonio poteva essere una questione d'affari. Perché allora non sposare una donna alla ricerca, come lui, di qualcosa di diverso dall'amore? Di un titolo nobiliare, per esempio? Era proprio ciò che aveva sempre odiato: l'espressione avida delle donne che lo volevano solo perché era un duca. Era quello che la madre aveva voluto quando aveva sposato suo padre. Si era lasciata accecare dalla pompa e dalle cerimonie che lo seguivano dovunque andasse ed era finita all'inferno. James si appoggiò allo schienale della sedia. Era probabile che la vivace ereditiera americana non assomigliasse affatto alla madre e anzi sapesse badare a se stessa. Aveva notato in lei una certa indipendenza. Era una qualità o un difetto in un matrimonio? Non ne era sicuro, ma aveva sempre desiderato che la madre fosse più forte e riuscisse a contrastare il terribile marito. Forse, dopotutto, poteva partecipare al ballo che si sarebbe tenuto quella sera a Weldon House. La giovane ci sarebbe stata di sicuro. Non aveva preso alcuna decisione, naturalmente, e non lo faceva per lei. Non si lasciava affascinare con tanta facilità. Aveva passato la vita imponendosi di evitare le passioni tumultuose e l'inevitabile perdita di buonsenso che le accompagnava, ed era duro e inflessibile come una roccia. Non c'era da preoccuparsi: visto il modo in cui era cresciuto, era incapace di provare un amore vero e profondo per una donna. Avrebbe partecipato al ballo di quella sera come se fosse una missione di ricognizione, una questione d'affari: doveva salvare la tenuta e il ducato dalla rovina finanziaria, 19


altrimenti neanche Martin sarebbe stato in grado di risolvere i problemi più antichi e profondi della famiglia. Forse, se fosse riuscito a rimediare a ciò che non andava nell'immediato, la generazione successiva avrebbe prodotto l'erede in grado di mettere fine alla catena di follie che li aveva perseguitati così a lungo. Forse un matrimonio senza amore con un'ereditiera ricca e ambiziosa avrebbe permesso loro di non affondare. Se James non avesse perso la testa come il padre e gli altri antenati, avrebbe reso un grande servizio alla famiglia, fornendole la salvezza di cui aveva un disperato bisogno. Era deciso, allora. L'avrebbe rivista, chiudendo gli occhi per ignorare la sua bellezza e il suo fascino. Il suo aspetto e il suo comportamento non sarebbero rientrati nei requisiti richiesti per la sua futura sposa. Per il bene di tutti – compresa la stessa ereditiera – le sue motivazioni sarebbero rimaste del tutto venali.

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Un'americana a Londra JULIANNE MACLEAN LONDRA - PARIGI, 1881 - Sophia Wilson va a Londra da New York in cerca di un marito. E il cupo Duca di Wentworth la corteggia... per il denaro che l'ereditiera porterebbe in dote?

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Scandali, inganni e verità CAROLINE LINDEN INGHILTERRA, 1822 - Abigail Weston è bella, brillante e ricca. Certo non immagina di innamorarsi dell'uomo sbagliato, Sebastian Vane. Ferito nel corpo e nello spirito dalla guerra, infatti... Dall'1 luglio


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Inghilterra, 1822-1826 Lady di tutto rispetto o figlia di un pirata alla ricerca di un tesoro prezioso? Chi è veramente l’esotica Emerald Sanford? Il Duca di Carisbrook è disposto a tutto pur di scoprire di più sulla donna che gli ha rubato il cuore… a costo di far emergere i suoi pericolosi segreti.

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JESSICA TOM � MEG DONOHUE! IL DIAVOLO VESTE PRADA IN VERSIONE GOURMET: IL BESTSELLER È SERVITO. Un’irresistibile storia d’amore tra portate sontuose e perfidi inganni... Non credete a tutto quello che mangiate. Dal 23 giugno in libreria

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