Un eroe per bella

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CAROLINE KIMBERLY

Un eroe per Bella


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: An Inconvenient Mistress Carina Press © 2015 Caroline Kimberly Traduzione di Rossana Lanfredi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2017 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici ottobre 2017 Questo volume è stato stampato nel settembre 2017 da CPI, Barcelona I GRANDI ROMANZI STORICI ISSN 1122 - 5410 Periodico settimanale n. 1084 dello 04/10/2017 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano


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Kingston, Giamaica 1820 Isabella North, Bella per familiari e amici, tossì con grazia, cercando di resistere al fetore che colmava l'aria. Mentre avanzava con cautela sul gelido pavimento di pietra della prigione, cominciò a riconsiderare il suo piano. Per la prima volta da quando aveva avuto quella ridicola idea, si concesse un momento per riflettere sul fatto che stava per affidare la sua vita a uno sconosciuto. A un criminale, si corresse. E, a quanto pareva, a un criminale nemmeno troppo scaltro, visto che era dietro le sbarre di una cella. Non esattamente l'eroe che lei aveva sperato di trovare. La guardia, Mr. Greeley, l'aiutò a scendere gli ultimi gradini. L'altro uomo che li accompagnava, un certo Mr. Kolton, timoniere della famigerata nave corsara Intrepid, la superò senza una parola. Isabella guardò il gigante camminare nell'oscurità e pregò che quello che stava per fare non fosse un terribile errore. «La cella in fondo» gridò Greeley a Kolton, sollevando la torcia, poi, senza farsi sentire dall'altro, si rivolse a Isabella. «Non fatevi ingannare dal suo atteg5


giamento scontroso. È un brav'uomo» la rassicurò. «Altrimenti non ve lo avrei raccomandato.» Lei annuì nervosamente. Era una follia, si disse. Tuttavia, quando pensava a quello che sarebbe potuto succedere al suo caro Charles se non avesse fatto ciò che stava facendo... Imponendosi di calmarsi, seguì Greeley. Kolton li aspettava alla fine del corridoio, sibilando qualche frase colorita all'indirizzo della figura scura accasciata dentro una cella. Isabella, che pure aveva sentito molte oscenità nella vita, specie dai pazienti del padre, si ritrovò nondimeno ad arrossire. Terminata la sua invettiva, il timoniere guardò con aria truce l'uomo sul pavimento. Questi non si mosse. Anche lei lo guardò, poi si voltò verso Greeley. «Questo sarebbe il famigerato capitano Ashford?» sussurrò. «Della leggendaria Intrepid?» «Abbassate la voce» le intimò lui. «Ashford è un ricercato. Nessuno in queste celle è tanto sobrio da seguire ciò che diciamo, ma preferisco che non annunciate la presenza del capitano.» «Certo» replicò Isabella, cercando di non avere un tono irritato, e rammentò a se stessa che Greeley le stava facendo un immenso piacere permettendole di entrare in quella prigione. Il minimo che lei potesse fare era non creargli problemi. Così, alzando la voce perché i prigionieri in grado di farlo potessero sentire ciò che diceva, aggiunse nel suo miglior accento americano: «Sì, Mr. Greeley, questo è il poveraccio che ho sposato. John... Marshall». Poi, sottovoce, chiese: «Ma è ferito?». «No, signora. È ubriaco» replicò Kolton con la sua cadenza scozzese. «Meraviglioso» commentò Isabella gelida. Dopodiché, ergendosi in tutta la sua altezza, che non era granché considerato il gigante che aveva davanti, tentò di mantenere un tono civile e sibilò: «Mr. Kolton, io non so che farmene di un ubriacone». 6


«Non lo è così tanto, signora» dichiarò l'uomo sottovoce. «Lui beve pochissimo.» E all'espressione perplessa di Isabella, aggiunse: «Di solito. Ma circa un mese fa abbiamo perduto diversi marinai e uno era un suo buon amico, così il capitano ha annegato il dolore nell'alcol. Domani sarà tutto arzillo, vedrete». Bella si morse le labbra, la frustrazione la rendeva irritabile. Riuscì tuttavia a non alzare la voce. «Mi dispiace per la vostra perdita, ma il mio problema è urgente e in queste condizioni il capitano non mi serve. Dovrò trovare qualcun altro.» «Aspettate» la fermò Kolton e, notando in un angolo un secchio pieno d'acqua, lo prese e lo rovesciò addosso al detenuto. La forma accasciata sul pavimento si svegliò con un grido, inanellando una sfilza di imprecazioni che fecero sembrare poetiche le precedenti invettive di Kolton. Poi, tossendo e sputando, l'uomo balzò in piedi, fece qualche barcollante passo indietro, quindi scosse la testa e si guardò intorno. «Kolton» dichiarò tra un colpo di tosse e l'altro, «sembra che siamo incappati in una tempesta.» «Sì, capitano» rispose questi, «ma ora è finita.» «Eccellente.» Il prigioniero ondeggiò in avanti, andando quasi a sbattere contro le sbarre della cella. Allora si fermò di colpo, di nuovo si guardò intorno, poi si rivolse al gigante. «Perché sono in carcere?» Era entrato nel cerchio della luce e Isabella ebbe un sussulto. Pur intontito dall'alcol e con i folti capelli neri sudici, era incredibilmente bello. Imponente, alto, muscoloso, con larghe spalle, aveva la pelle abbronzata, e sotto la barba lunga di qualche giorno i suoi zigomi sembravano cesellati nel marmo. Le labbra erano piene, e quando aggrottò le sopracciglia all'indirizzo di Kolton, lei notò che aveva una fossetta sulla guancia destra. Ma la sua caratteristica più sensazionale erano gli occhi, di un verde molto chiaro, quasi grigio, velati 7


dalle ciglia più lunghe e folte che Bella avesse mai visto in un uomo. Il contrasto tra le iridi così chiare e le sopracciglia scure era stupefacente. Nonostante fossero arrossati dall'alcol, in quegli occhi brillava una luce maliziosa e intelligente. Sì, il capitano Phillip Ashford sembrava davvero un angelo sceso in terra. Isabella lo detestò dal primo istante. Lui si voltò a guardarla con quegli occhi verdi e lei fu percorsa da un piccolo brivido, sentendosi a disagio. Era consapevole di avere un aspetto ordinario. Indossava un abito semplice, di robusto cotone, senza ornamenti; inoltre, data la soffocante umidità dei Caraibi, trovava sempre più comodo raccogliersi le chiome bionde in una semplice crocchia. Un velo di sudore le imperlava le gote e sapeva di avere il viso rosso per il caldo e l'imbarazzo. Ashford le scoccò una veloce occhiata poi distolse lo sguardo, giudicandola evidentemente priva di interesse. Per la prima volta nella sua vita, Bella rimpianse di non essere nata con la bellezza eterea della sorella. «Sono un po' troppo ubriaco per una donna, Kolton» disse il capitano al suo compagno di bordo. «Ma apprezzo il pensiero.» Isabella serrò le labbra, inviperita. Kolton scosse la testa. «Capitano, questa non è...» «No, non lo è.» Ashford tornò a dedicarle la sua attenzione e la guardò a occhi socchiusi, poi si aggrappò alle sbarre della cella per tenersi in equilibrio. «Un po' scialba, non è vero?» dichiarò, la voce roca. «E poi è troppo magra. Io le preferisco più in carne.» «E con meno cervello, senza dubbio» sibilò Isabella. Il capitano Ashford inarcò un sopracciglio. «Vivace» commentò, trafiggendola con lo sguardo. «Mi piace.» Isabella lo scrutò. A differenza del suo compagno, quell'uomo aveva l'accento aristocratico. «Siete un 8


nobile» osservò, senza curarsi di nascondere il suo disgusto. Lui ridacchiò. «Credo che ben pochi mi definirebbero nobile, tesoro. Ma se intendete dire che sono cresciuto in quella che è detta la buona società, avete ragione.» Dopodiché si sporse verso di lei e aggiunse, in tono confidenziale: «Ma non ho preso molto da quell'ambiente, ahimè. Di rado ho modi cortesi». «Lo avevo capito» replicò Bella, ignorando il battito accelerato del proprio cuore. «Questo spiega anche la vostra attuale residenza.» Il capitano le rivolse un sorriso predatorio e lei notò con crescente frustrazione che anche i suoi denti erano perfetti. «Se non foste vestita come un'istitutrice, forse sareste attraente» blaterò Ashford, e il suo sguardo pigro la percorse tutta. Bella si sentì avvampare. «Anche se, a essere sinceri, apparite un po' troppo esile per essere davvero bella. Anche sotto quel disastro che chiamate vestito si capisce bene che siete tutta spigoli.» «Come avete detto?» sibilò lei. «Ecco, vedete?» osservò il capitano, agitando un dito con aria trionfante. «Anche il vostro tono è acuto. Scommetto che avete gomiti e ginocchia appuntiti.» Poi reclinò il capo, riflettendo. «Non so se mi piacerebbe di più nutrirvi o portarvi a letto.» «Capitano!» sussurrò Kolton. «Mrs. Marshall non è una prostituta, ma una cliente!» Il prigioniero parve divertito da quelle parole e la pazienza di Bella evaporò. «Il vostro timoniere ha ragione. Mi occorrono i vostri servigi» sbottò. Quando lui le scoccò un'occhiata maliziosa, si sentì arrossire ancora una volta. Gli piaceva metterla a disagio, era evidente. «Voglio dire... no! Ecco, il fatto è che ho un... carico che desidero trasportiate in Inghilterra.» Ashford scosse la testa. «Vorrei tanto aiutarvi, tesoro, ma ho chiuso con quel genere di... attività. Ho lasciato il mare e ora conduco un'esistenza onesta.» 9


«Ma non avete nemmeno ascoltato la mia offerta!» protestò Bella, cercando di tenere bassa la voce. Lui fece un gesto con la mano. «Non ne ho bisogno. Domani mattina, quando sarò di nuovo sobrio, corromperò Greeley con una generosa sommetta affinché mi faccia uscire da questa incantevole cella. Dopodiché, venderò la mia nave e andrò a vivere su una spiaggia deserta con una splendida principessa locale che non parlerà una parola d'inglese, e là sarò felice e contento.» «Capitano, voi non capite» intervenne Kolton. «Corre voce che il Vice Governatore stia per firmare l'ordine della vostra esecuzione.» Lui fece una smorfia. «Jamieson? E perché mai?» «Perché avete sedotto sua moglie» sbottò Greeley. «Ah, l'incantevole Marguerite» sospirò Ashford, poi fece un gesto di indifferenza con la mano. «È stata lei a sedurmi. E poi questo non è certo un motivo valido per condannarmi a morte.» Kolton cominciò a elencare i crimini del capitano sulle dita: «Avete sedotto sua moglie pubblicamente. Vi siete appropriato di diversi carichi del suo brandy. Gli avete pagato soltanto una minima parte del diritto di banchina che avevate pattuito. Avete barato con lui giocando a carte. Devo continuare?». Ashford puntò un dito malfermo contro i due uomini. «Io non baro mai. Semplicemente so come battere il mio avversario, cosa che Jamieson dovrebbe imparare a fare.» Kolton roteò gli occhi. «Gli siete costato una fortuna e lo avete messo in imbarazzo.» «A mia difesa posso dire che quel denaro me lo doveva. Se un uomo non può pagare i suoi debiti, deve aspettarsi che gli venga richiesto il saldo nei... momenti più inaspettati. Inoltre, credo che tutti possiamo concordare che rubare merci ottenute illecitamente non sia un crimine.» Si soffermò a riflettere su quella logica un po' involuta. «Non proprio, insomma.» 10


«Forse non è un crimine, ma è stato stupido» sentenziò Greeley. «Kolton ha ragione. Domani mattina Jamieson vi accuserà di pirateria e vi garantisco che, se sarete ritenuto colpevole, verrete impiccato entro sera.» Ashford agitò una mano. «Ebbene, che così sia.» Kolton mise le mani tra le sbarre e afferrò il capitano per la camicia, poi lo guardò negli occhi. «So che vi ritenete responsabile per Andrew, ma lasciare che vi impicchino per un'accusa inventata non lo riporterà indietro. Phillip, dobbiamo lasciare la Giamaica.» Ashford emise un profondo respiro e abbassò un poco le spalle, ma subito si riprese. Si liberò della stretta del timoniere e si lisciò la camicia, poi si raddrizzò e guardò tutti e tre. «Signora, siamo d'accordo, allora» annunciò con un inchino teatrale che lo fece quasi finire per terra. «Mr. Greeley, se volete essere così gentile...» Quando l'uomo prese un paio di manette, il capitano si voltò, unendo le mani dietro la schiena così che potesse mettergli i ceppi ai polsi. Quindi la guardia aprì la porta e lui uscì. Kolton lo sostenne prendendolo per un braccio, poi insieme cominciarono a dirigersi verso l'uscita. Mr. Greeley si voltò verso Bella, le offrì il braccio e la guidò nel labirinto della prigione. «Kolton è un brav'uomo» disse a mezza voce. «E Ashford è il contrabbandiere più onorevole che possiate trovare, Miss North, ma è anche pericoloso. Non fatevi ingannare da quello che avete visto stanotte. Lui è molto intelligente... e spietato. State in guardia.» Poi le porse una chiave, che lei prese guardandolo incerta. «Se fossi in voi, non gli toglierei quei ceppi fino a che voi e Charles non sarete sani a salvi a bordo dell'Intrepid.» Bella pensò che fosse un consiglio saggio. «Grazie, Mr. Greeley» mormorò offrendo all'uomo un borsellino. «Mi dispiace di non avere di più da darvi, ma sie11


te libero di prendere tutto quello che volete dalle nostre stanze, una volta che avremo lasciato la Giamaica. Non è molto, tuttavia potrà fruttarvi qualche scellino in più.» Lui le restituì il borsellino. «Non è necessario, signora. Voi e Miss Lorelei avete curato la mia piccola Mary quando era malata. Se non ci foste state voi...» Si interruppe. «Non prenderei mai il vostro denaro. E poi vi servirà un poco di contante quando arriverete in Inghilterra.» «Grazie» mormorò lei, commossa. Greeley le strinse il braccio. «Mi dispiace per vostra sorella» mormorò. «Ma voi porterete in salvo il ragazzo, ne sono certo.» Bella annuì e si costrinse a deglutire il nodo che aveva in gola. L'uomo si girò e riprese a guidarla attraverso la prigione, raggiungendo presto Kolton che portava quasi di peso Ashford. Una volta arrivata nella stanza del carceriere, Bella trasse un profondo respiro e lasciò che la pungente aria salata le calmasse i nervi. Cercando di non farsi prendere dall'ansia, osservò l'uomo cui aveva affidato la vita. La testa ciondoloni, il capitano Ashford si lasciava aiutare dal suo timoniere. Varcando la soglia, inciampò un paio di volte e Bella sussultò. Non era uno spettacolo rassicurante. Per darsi coraggio, toccò la chiave che aveva nella tasca. Poi salutò Greeley e seguì gli altri due fuori. Kolton le disse che l'avrebbero accompagnata a casa e lei accettò di buon grado. Quella zona della città non le era familiare, inoltre era buio. Così si incamminò verso la sua provvisoria residenza, mentre i suoi compagni la seguivano barcollando e battibeccando. Ben presto si rese conto che con quell'andatura non sarebbero arrivati a casa prima dell'alba. Ashford era troppo grosso e troppo ubriaco perché l'altro potesse trascinarlo da solo. Così, con un profondo respiro, lei prese il gomito del capitano. Questi si voltò per dirle 12


qualcosa, ma perse l'equilibrio. Nel tentativo di sostenerlo, Kolton gli lasciò andare il braccio e lui crollò addosso a Isabella, che cadde a terra, battendo con violenza la schiena. Prima che potesse riprendere fiato, le finì sopra un imponente e caldo corpo maschile. Cercò di venir fuori da sotto quella massa di muscoli, ma riuscì solo a finire in una posizione ancora più imbarazzante. Allora si immobilizzò e lanciò un'occhiata gelida all'uomo che le stava sopra. «Ve lo avevo detto che aveva le ginocchia appuntite, Kolton» osservò lui sogghignando, il bellissimo volto a un soffio dal suo. Bella inalò l'odore di alcol che emanava. «Siete sicuro che non beva spesso, Mr. Kolton?» chiese con voce aspra. Questi sollevò di peso il capitano, aiutandolo a rialzarsi. «Dal suo alito non si direbbe.» Il timoniere ridacchiò, ma Ashford la scrutò. «Di preciso, chi siete voi?» bofonchiò. «Sono la vostra nuova cliente» replicò lei, e si concentrò a sistemarsi il vestito, per non doverlo guardare. Quegli occhi verdi la innervosivano. Quando sentì che si era calmata a sufficienza, gli riprese il braccio e, con l'aiuto di Kolton, riuscì a farlo andare nella direzione giusta. Tutti e tre continuarono quindi a percorrere la strada fiocamente illuminata. «Di che carico si tratta?» volle sapere Ashford. «Ha importanza?» ribatté Bella. «Siete un contrabbandiere. Siete pagato per contrabbandare merci, non per fare domande.» «A dire il vero sono un corsaro. Il contrabbando è un'attività secondaria per me. E faccio sempre domande. Specie quando è evidente che il mio cliente nasconde qualcosa.» «Cosa vi fa pensare che nasconda qualcosa?» «Il fatto che mi abbiate assunto» rispose il capitano con voce strascicata. Bella si strinse nelle spalle. «Ebbene, non c'è nulla di illegale, vi assicuro.» 13


Anche ubriaco, quell'uomo era veloce di comprendonio, a quanto pareva. «Se non ci fosse niente di illegale, tesoro, non avreste bisogno dei miei servigi, non è così?» Isabella si morse le labbra per non sorridere. Ashford era già abbastanza arrogante, meglio non lasciargli capire che lei lo trovava divertente. Così gli scoccò uno sguardo altezzoso. «Giacché sembra che non troviate soddisfacente la mia offerta, perché non torniamo al vostro precedente alloggio? Sono sicura che non siete l'unico contrabbandiere dei Caraibi.» «Corsaro» la corresse lui, tra un singhiozzo e l'altro. «E non c'è bisogno di diventare bisbetici.» Aggiunse poi, in tono roco e sommesso: «Sarò lieto di offrirvi tutti i servigi di cui avrete necessità». A quelle provocanti parole, Isabella riuscì a stento a soffocare un brivido. «Lo credo bene, visto quanto vi pago.» Kolton ridacchiò. «Non siete abbastanza in forma per tenerle testa, capitano. Lei è brillante.» «Oh, le donne diventano sempre irascibili quando tremano loro le ginocchia» ribatté Ashford. Isabella gli lasciò di colpo il braccio, facendolo quasi cadere di nuovo. «Io e le mie ginocchia siamo in grado di procedere da sole da qui, signori.» Kolton la guardò. «Ne siete sicura, signora?» «Sì» dichiarò lei con fermezza. «Dove posso trovarvi?» Il timoniere le diede le indicazioni per raggiungere la baia dove l'Intrepid era all'ancora e Isabella promise di arrivare là prima dell'alba. Fece poi per allontanarsi, ma una voce roca la fermò. «Non dimenticate niente, tesoro?» Bella trasse un profondo respiro e si voltò a guardare il capitano. Lui agitò i polsi chiusi nei ceppi. «La chiave, forse?» le chiese in tono soave. Lei gli si avvicinò e si costrinse a guardarlo negli occhi. Ah, avrebbe potuto perdersi in quelle chiare, 14


verdi profondità, selvagge come il mare. Lui inarcò le sopracciglia, fingendo un'innocenza che forse non aveva mai avuto, e Bella si sentì travolgere da una nuova ondata di irritazione. Non era giusto essere tanto attraenti. «Quale chiave?» replicò, sbattendo le ciglia. Il capitano impiegò un momento per capire e lei quasi rise alla sua espressione. In un istante la sua facciata di seduttore era scomparsa. L'occhiata rabbiosa che le scoccò fu quasi terrificante. «Non sto giocando. Datemi quella dannata chiave.» «Non giocherei mai con voi, capitano, ma la chiave rappresenta la mia unica garanzia che sarete ancora qui quando domani tornerò.» «Non potete lasciarmi incatenato tutta la notte!» ringhiò lui. «Kolton, fate qualcosa!» Il timoniere strizzò l'occhio a Bella. «Mi dispiace, capitano.» Lei batté piano la punta di un dito sul naso di Ashford. «Ci vediamo domani, tesoro. Sogni d'oro.» Dopodiché girò sui tacchi e cominciò ad allontanarsi lungo il viale, ignorando le urla minacciose del capitano. Aspettò che i due uomini scomparissero prima di guardarsi intorno e, accertatasi che nessuno la stesse seguendo, cambiò rapidamente direzione e si avviò verso la modesta bottega dove lei e Charles avevano alloggiato negli ultimi quindici giorni. Dando un'ultima occhiata intorno a sé, entrò nella drogheria, si chiuse la porta alle spalle e salì le scale fino alla stanzetta che divideva con Charles. La robusta figlia del negoziante, Maggie, che era seduta nel soggiorno intenta a rammendare una calza, sollevò lo sguardo e sorrise. «Sta dormendo?» le domandò Isabella. Quando l'altra assentì, aggiunse piano: «Spero che non vi abbia creato troppi problemi». «Per nulla. È un vero gentiluomo. Avete trovato ciò che cercavate?» 15


«Me lo farò andare bene, grazie.» «Allora io mi ritiro.» Isabella annuì, deglutendo il nodo che aveva in gola. «Buonanotte.» Detestava ingannare, specie una persona buona come Maggie, ma era necessario per il bene di entrambe che la giovane non sapesse che sarebbe andata via l'indomani. Un ciuffo di capelli biondi spuntava da sotto le coperte e lei si avvicinò al letto per guardare il suo amato Charles. Ah, era perfetto, incantevole e dolce come era stata sua sorella. La profonda tristezza che sempre l'assaliva al pensiero dell'assenza di Lorelei la travolse ancora una volta. Quando lei gli posò un bacio sulla fronte, il bambino si mosse. Il suo labbro si piegò all'ingiù e in quel momento somigliò così tanto alla povera sorella che Bella restò quasi senza fiato. Era strano come certi piccoli particolari, un profumo o un'espressione, le ricordassero la sua amata Lolly. Accadeva sempre senza preavviso e ogni volta aveva l'impressione di annegare di nuovo nel dolore. Si costrinse a ingoiare le lacrime che le salivano in gola. Lolly se ne era andata, era morta. Ora ciò che importava era Charles, e lei avrebbe fatto tutto quello che poteva per proteggerlo... anche fidarsi di un uomo di cui non si sarebbe mai fidata se le circostanze fossero state diverse.

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Un eroe per Bella CAROLINE KIMBERLY GIAMAICA-LONDRA, 1820 - Isabella ha bisogno di un eroe e il capitano Ashford, mercenario arrogante, ubriacone e incredibilmente avvenente, è l'unica scelta a sua disposizione!

La nuova strada di Lady Sybil MARGARET MALLORY SCOZIA, 1522 - La bellissima Sybil Douglas, ostaggio della regina, viene salvata da un guerriero scozzese, che pretende di essere vincolato a lei da un contratto di matrimonio.

L'occasione di Griffin VANESSA KELLY LONDRA, 1815 - Noto libertino proprietario di case da gioco e di piacere, l'ultima cosa che Griffin si aspetterebbe è di trovarsi affidato un neonato. Chiede quindi aiuto a Justine...

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