Un lord irresistibile

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Barbara Cartland Un lord irresistibile


Immagine di copertina: Simona Reggimenti Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Irresistible Buck Arrow Books Ltd, London © 1972 Barbara Cartland Traduzione di Roberta Ciuffi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2016 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione Harmony History giugno 2016 Questo volume è stato stampato nel maggio 2016 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd) HARMONY HISTORY ISSN 1124 - 7320 Periodico quindicinale n. 550 del 22/06/2016 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 624 dell'11/10/1996 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano


1 Lord Melburne sbadigliò. Nel farlo, si rese conto di non essere stanco, ma piuttosto annoiato. Annoiato dal dipinto dei grassi cupidi discretamente velati che lo fissava dalla mensola sopra il caminetto. Annoiato dalle tende di satin rosa, ornate di fiocchi e nappe di seta, e annoiato dalla stessa stanza, troppo profumata e calda, per i suoi gusti. I suoi occhi guizzarono sulla giacca di finissimo tessuto blu gettata sopra la sedia e sulla cravatta di mussola bianca che giaceva negligentemente tra le bottiglie, le lozioni, gli unguenti e i profumi sulla toletta sovraffollata. E il fastidio di rendersi conto che avrebbe dovuto alzarsi e indossare quegli indumenti lo indusse a sbadigliare di nuovo. «Tu es fatigué, mon cher» pronunciò una voce morbida al suo fianco. Guardò di lato e incontrò due occhi scuri, due labbra rosse atteggiate a un broncio provocante, e comprese che anche quella situazione lo annoiava. Non era un buon momento per scoprire di essere annoiato della sua amante. Sdraiata contro i cuscini ornati di pizzi, lei indossava solo una collana di rubini per cui lui aveva speso un'esorbitante somma di denaro, e ai piedi calzava 5


delle pantofoline di satin rosso abbinate alle pietre. Lord Melburne ricordò quasi incredulo di averle dato una caccia disperata, solo un mese prima, e che all'epoca la signora in questione, Mademoiselle Liane Defroy, era stata in dubbio se accettare la protezione del Marchese di Crawley o quella di Sir Henry Stainer, il che aveva aggiunto un che di piccante al corteggiamento. Il marchese poteva ricoprire un'alta posizione sociale, ma Sir Henry Stainer era indubbiamente più danaroso. Entrambi erano generosi all'estremo, oltre che membri del più celebrato gruppo di corinthian che girava attorno al Principe di Galles ed erano ospiti abituali di Carlton House. L'aver sfilato Liane, si poteva dire, sotto i loro aristocratici nasi, non solo gli aveva procurato una certa soddisfazione, ma aveva anche fatto ridere fragorosamente il Principe di Galles, inducendolo a dichiarare che Lord Melburne era davvero irresistibile, quando si trattava del gentil sesso. Era tale dichiarata irresistibilità, pensò Sua Signoria con un aggrottare di sopracciglia, a rendere la vita così incredibilmente tediosa. La caccia era sempre troppo breve, la conquista sempre troppo monotona. Si ritrovò a desiderare di essere di nuovo con il suo reggimento e che vi fossero battaglie da combattere e vincere, con una fila apparentemente interminabile di francesi da uccidere. L'armistizio l'aveva riportato alla vita civile, e tutto ciò che poteva dire in proposito era che sembrava una cosa maledettamente noiosa. Fece il gesto di alzarsi, e le piccole mani di Liane svolazzarono verso di lui. «Non, non!» esclamò, ansiosa. «Non andartene, te ne prego. È ancora molto presto, e noi abbiamo così tanto da dirci, tu comprends?» 6


Le labbra della donna erano molto vicine alle sue. Lord Melburne era violentemente consapevole del profumo pesante che lei usava: in precedenza l'aveva trovato troppo dolce, troppo fastidioso, e adesso aumentava il suo senso di disgusto. Si alzò dal letto, scuotendosi quasi di dosso le braccia della donna. «Devo andare a dormire presto» annunciò, allungando una mano verso la cravatta. «Domani partirò per la campagna.» «Per la campagna?» ripeté Liane, alzando un po' la voce. «Ma perché? Perché mi stai lasciando sola? C'est la folie! Londra è così allegra, c'è talmente tanto, come si dice... pour t'amuser. Perché vuoi andare dove c'è solo fango?» Sua Signoria annodò la cravatta con la mano esperta di un uomo in grado di vestirsi in modo competente anche senza l'aiuto di un valletto. «Devo vedere un vecchio amico di mio padre» replicò. «Sarei dovuto partire la settimana scorsa, ma tu mi hai convinto a restare a Londra, contro ogni buonsenso. Adesso devo fare il mio dovere.» «C'est impossible!» protestò Liane, sedendosi sul letto, i rubini attorno al collo lampeggianti alla luce delle candele. «Hai dimenticato il ricevimento di domani sera, a cui siamo tutti invitati, tout le corps de ballet? Sarà un ricevimento molto allegro, e immagino anche alquanto scandaloso. Ti divertirai.» «Ho i miei dubbi, al riguardo» replicò Lord Melburne infilandosi la giacca. Restò per un momento a guardare in basso verso di lei, ai lunghi capelli scuri come l'ala di un corvo che le cadevano fin sotto la vita, al visetto dal naso con la punta all'insù e dalla bocca generosa che gli era parso così attraente, solo poche settimane prima. Era un'abi7


le ballerina e sapeva sfruttare al meglio i propri talenti, ma, mentre la guardava, non poté fare a meno di chiedersi come avesse mai potuto sopportare la banalità della sua conversazione, lo svolazzare artificioso delle mani, lo scuotersi delle spalle sottili, il modo civettuolo con cui velava gli occhi con le lunghe ciglia nere per apparire misteriosa. In realtà, non c'era alcun mistero. Liane lo guardò, notando quasi per l'ennesima volta quanto fosse affascinante, in grado di distinguersi anche in una stanza affollata di uomini attraenti e di buoni natali. Non era soltanto il suo bell'aspetto, pensò ‒ come molte altre donne prima ‒ a renderlo tanto affascinante. Non soltanto la mascella squadrata o quegli strani occhi grigi che sembravano così misteriosamente penetranti, al punto che una donna aveva l'impressione che stesse cercando in lei qualcosa di più profondo di una mera attrazione superficiale. No, percepì Liane con un'improvvisa intuizione: erano le linee ciniche che correvano dal naso alla bocca, il ghigno delle labbra, che sembrava schernire la vita anche nel momento del massimo piacere, e l'improvviso lampo nei suoi occhi che smentiva proprio quel ghigno quando uno meno se lo aspettava. Sì, era irresistibile, e con un sorriso gli tese le braccia. «Non trattenerti in campagna» gli raccomandò a bassa voce. «Ti aspetterò, mon brave. È ciò che desideri, n'est-ce pas?» «Io non ne sono... sicuro» pronunciò piano Lord Melburne, e già mentre articolava le parole si rese conto di aver commesso un errore. La scena che seguì, infatti, fu rumorosa, spiacevole 8


e tuttavia inevitabile. Lasciò Liane a singhiozzare istericamente sui cuscini e, mentre scendeva la stretta scalinata, si chiese perché non gli riuscisse mai di mettere fine a una relazione in modo pulito com'erano soliti fare altri uomini di sua conoscenza. Per loro la separazione dalle amanti era semplice, una mera questione di denaro e forse di un diamante o due, e del tutto priva di rancore. Per lui invece significava sempre lacrime e recriminazioni, e proteste culminanti nell'inevitabile lamentela: «Che cosa ho fatto? Perché non mi trovi più attraente? C'è qualcun'altra?». Nell'uscire dall'elegante portone dipinto di giallo, sbattendolo alle proprie spalle in modo da far sferragliare il battente di ottone, si disse che era l'ultima volta che si comportava in modo così stupido da sistemare la sua amante in una casa propria. Era alla moda avere una ballerina d'opera sotto la propria protezione, condurla in calessino al parco, procurarle una carrozza personale e una coppia di cavalli, aspettandosi che lei restasse apparentemente fedele fino alla fine della relazione. Mentre per gli altri uomini, però, quella fine era amichevole e priva di complicazioni, per Lord Melburne le cose andavano invariabilmente in modo diverso. Lui si trovava perseguitato da lacrime e lettere strappacuore, suppliche per avere spiegazioni e il rifiuto ostinato di credere che lui non provasse più alcun interesse. La vettura chiusa che usava la notte per simili visite lo stava aspettando. Il cocchiere parve sorpreso di vederlo così presto e sollevò le redini di scatto. Dopo aver chiuso lo sportello dietro Sua Signoria, il giovane lacchè balzò a cassetta e mormorò, dall'angolo della bocca: «Scommetto che è finita». «Non può essere» ribatté il cocchiere con lo stesso 9


tono. «Non ha passato con lei più di un mese.» «Però deve essere finita» insistette il lacchè. «Riconosco l'espressione sulla faccia di Sua Signoria. Quando dice che è finita, ed è finita.» «Non gli è mai importato di quella francesina» rimarcò il cocchiere. «Quella che aveva prima dell'ultima, era inglese. Lei era davvero speciale.» «Si è stancato di lei dopo tre mesi» gli fece notare il lacchè, divertito. «Mi chiedo cosa lo faccia annoiare così in fretta.» All'interno della vettura, Sua Signoria si stava rivolgendo la stessa domanda. Perché gli capitava sempre di stancarsi di una donna all'improvviso e in modo inaspettato? Gli era piaciuto esibire Liane davanti ai suoi amici. L'aveva portata alle sale da gioco, alle Albany Room, da Mott e ai Vauxhall Garden, dove gli era parso che lei oscurasse ogni altra donna. Liane era allegra, divertente e possedeva una joie de vivre e una vitalità che galvanizzavano chiunque parlasse con lei. «Sei un mascalzone dannatamente fortunato» gli aveva detto Sir Henry Stainer, e l'invidia nella sua voce era stata molto gratificante. Si chiese se adesso l'amico si sarebbe abbassato a raccogliere quello che lui aveva scartato. Se non Sir Henry, ci sarebbero stati comunque altri fin troppo felici di gareggiare per i favori della bella francese che aveva fatto incapricciare di sé un gran numero dei più schizzinosi e viziati giovani di sangue blu del ton. «E tuttavia non la voglio più» affermò ad alta voce. «All'inferno tutte le donne!» Era assurdo che provasse quel lieve senso di colpa per la scena che aveva appena avuto luogo. Era Liane, e non lui, che stava infrangendo le regole. 10


Si conveniva che l'accordo tra un gentiluomo e la sua amante fosse puramente commerciale. Entrambi godevano della reciproca compagnia ed era compito della donna essere più affascinante possibile ed estorcere quanto più poteva per i propri favori. Non erano previste implicazioni affettive, innamoramenti o sentimenti feriti. E tuttavia, quando si trattava di Buck Melburne, le regole andavano sempre a farsi benedire. Lo chiamavano Buck da quando era un ragazzino. Perfino i suoi parenti avevano difficoltà a ricordare quale fosse il suo vero nome. Aveva acquisito il soprannome dopo essere apparso per la prima volta in un abito con pantaloni di satin al ginocchio, riuscendo perfino all'età di sei anni a indossarli con uno stile che aveva fatto esclamare a un amico di suo padre: «Dio, ha già l'aspetto di un elegantone!». E Buck, il termine che indicava un giovanotto elegante e mascolino, aveva attecchito, e non c'era dubbio che fosse molto appropriato. Il Principe di Galles seguiva le mode che lui inaugurava, con le sue semplici giacche ben tagliate e le cravatte annodate in modo squisito, il suo disprezzo per l'ostentazione dei gioielli e di qualunque altra cosa connotasse un appartenente alla categoria dei dandy. Il nome era appropriato anche per altri motivi: non c'era nessuno, in tutto il paese, che fosse in grado di condurre una carrozza o un phaeton in modo così abile. Nella caccia a cavallo aveva il portamento migliore, e la sua mira era la più precisa che si fosse mai vista. Per non menzionare il fatto che tirava di pugilato con perizia quasi professionale. Buck Melburne era il più ricercato, il più invidiato, il più irresistibile gentiluomo di tutta Londra. 11


Fu, comunque, con le linee di cinismo profondamente incise sulla faccia e la bocca serrata e dura, che Sua Signoria scese dalla carrozza in Berkeley Square ed entrò nella hall della sua casa londinese. Tese cappello e bastone al maggiordomo. «Partirò per Melburne domattina alle nove e mezzo, Smithson» gli comunicò. «Ordina che il mio phaeton sia preparato e di' a Hawkins di precedermi con la carrozza dei bagagli. La più veloce, non quell'arca di Noè che ha cercato di usare l'ultima volta che mi sono recato in campagna.» «Molto bene, milord» replicò il maggiordomo. «C'è un messaggio per Vostra Signoria.» «Un messaggio?» Lord Melburne afferrò la busta dal vassoio d'argento che l'altro tendeva verso di lui. Anche prima di toccarla capì da chi provenisse. Accigliato, attraversò la hall, diretto in biblioteca, dove era solito passare il tempo quando era solo. Un lacchè si affrettò ad aprirgli la porta, e lui attraversò il lungo salone dagli scaffali pieni di libri che, con le sue colonne di lapislazzulo e il soffitto a cassettoni di legno dorato, era una delle stanze più belle di Londra. «Vino, milord?» chiese il lacchè. «Farò da solo» rispose. Non appena la porta si fu richiusa dietro il domestico, restò per un momento a fissare la lettera nella sua mano, prima di aprirla. Sapeva anche troppo bene chi era il mittente e si chiedeva se fosse, in effetti, la risposta e la soluzione ai problemi che l'avevano tormentato nella carrozza. Avrebbe dovuto sposarsi? Forse tale condizione si sarebbe dimostrata più piacevole o, comunque, meno fastidiosa delle continue lamentele delle amanti? Lentamente, quasi con riluttanza, aprì la lettera. L'elegante e artificiosa grafia di Lady Romayne Ram12


sey era tipica delle donne del suo rango, e tuttavia chiunque avrebbe notato che c'era anche parecchia determinazione, nei sottili tratti della sua penna. Il messaggio era breve. Mio caro, imprevedibile cugino, avevo immaginato che sareste venuto a farmi visita, questa sera, ma sono rimasta delusa. Ho molte cose che vi riguardano di cui desidero parlare con voi. Venite domani alle cinque in punto, quando saremo soli. La vostra Romayne. Non c'era niente di particolarmente fastidioso, nel messaggio, e tuttavia lui lo appallottolò nella mano e lo lanciò nelle fiamme del caminetto. Conosceva perfettamente l'argomento di cui Romayne Ramsey desiderava parlargli, così come sapeva da lungo tempo che era intenzionata a sposarlo. Una cugina alla lontana, sulla base della loro distante parentela, l'aveva incluso nel circolo dei suoi amici intimi molto prima che lui avesse deciso se desiderasse farne parte o meno. E tuttavia sarebbe stato ridicolo non esserne compiaciuto. Lady Ramsey era l'idolo di Saint James, la più bella e acclamata incomparabile che il gruppo di Carlton House avesse mai conosciuto da anni. Era stata poco più che una bambina quando i suoi genitori, intimoriti dalla sua bellezza, l'avevano fatta sposare. Non era stata colpa loro se Alexander Ramsey, un ricco nobiluomo di campagna, si era rotto il collo a caccia poco tempo prima che la moglie festeggiasse il ventitreesimo compleanno. Lei non aveva atteso la fine del periodo di lutto per trasferirsi a Londra, dove aveva preso una casa, trova13


to una compiacente chaperon e messo in agitazione Saint James. Era adorabile, vivace, acuta, ed era ricca. Che cosa avrebbe potuto desiderare di più, un uomo da una moglie? E aveva scelto Buck Melburne come suo secondo marito. E lui ne era consapevole. Aveva troppa esperienza dei metodi femminili per non rendersi conto di quanto fossero studiati i piccoli sotterfugi nel richiedere il suo consiglio o la sua opinione, o nell'affidarsi a lui in qualità di parente per farsi scortare alle funzioni reali e patrocinarla, poiché lei non aveva un marito che potesse assolvere a tale funzione. Romayne gli stava avvolgendo attorno la propria tela, come un diligente e abile piccolo ragno. Tuttavia, ricordò Lord Melburne a se stesso, non era ancora stato catturato. Poteva essere la soluzione, poteva essere ciò che voleva, ma non ne era ancora sicuro. Lei sarebbe apparsa magnifica, con i gioielli Melburne indosso. Avrebbe abbellito la sua tavola e la sua casa in campagna con un'eleganza innegabile. Tuttavia aveva notato qualcosa di oscuro e appassionato, nelle profondità dei suoi occhi, e quando le baciava la mano per congedarsi aveva sentito spesso il suo respiro divenire più affrettato e visto i merletti agitarsi sul suo petto. Era andato molto vicino ad arrendersi alle sue lusinghe, al silenzioso invito che leggeva nei suoi occhi e al modo in cui lei invariabilmente gli chiedeva di seguirlo all'interno della sua casa, dopo essere stati a un ricevimento. C'erano sempre candele accese oltre la porta aperta della sua camera da letto. E tuttavia Buck Melburne, nonostante la sua reputazione, non aveva ceduto a Lady Ramsey. La trappola era stata approntata in modo troppo e14


vidente. Sua Signoria provava ripugnanza a fare esattamente ciò che ci si aspettava da lui, a partecipare a una campagna pianificata nei più piccoli dettagli e di cui conosceva l'inevitabile conclusione. Dannazione, voglio essere io il cacciatore!, aveva sbottato tra sé una volta, al ritorno dalla casa di Lady Romayne, ben consapevole dell'invito offerto e sentendosi inaspettatamente un mascalzone per averlo rifiutato. Niente era mai stato detto esplicitamente, e tuttavia entrambi erano consapevoli che si stavano affrontando come duellanti. Lei stava preparando l'offensiva, tentando di ottenere un vantaggio, di forzarlo in un angolo. E lui stava combattendo non per la vita, ma per la libertà. Le fiamme trasformarono la lettera di Lady Ramsey in cenere e, mentre assisteva alla scena, Lord Melburne esclamò: «Che siano dannate tutte le donne! Un uomo dovrebbe liberarsi di loro». Nonostante quelle preoccupazioni, comunque, quella notte Sua Signoria dormì bene. Quando si sistemò sul suo phaeton dall'alto sedile, il mattino dopo, con i raggi del sole che si riflettevano sulle briglie argentate della sua coppia di purosangue, si trovava in uno stato d'animo sorprendentemente buono. Era un sollievo, pensò, lasciare Londra. Inevitabilmente si restava in piedi troppo a lungo, si beveva troppo e si parlava di un mucchio di sciocchezze. Anche il duello di abilità ai tavoli di carte da White's, o la scintillante eleganza dei ricevimenti di Carlton House, perdevano il loro interesse, quando se ne abusava. Era piacevole sapere che stava guidando i più costosi cavalli che potessero trovarsi in una scuderia, che il suo nuovo phaeton era più leggero e meglio 15


molleggiato di quello costruito per il Principe di Galles, e che stava tornando a Melburne. C'era qualcosa, nella sua casa, che lo rallegrava sempre e, anche se non vi si recava spesso come avrebbe desiderato, era una soddisfazione sapere che fosse là. Il grande edificio, che era stato ricostruito quasi integralmente da suo padre su disegno dei fratelli Adam, si ergeva sul sito di altre più antiche e meno spettacolari residenze che avevano ospitato generazioni di Melburne, dai tempi della conquista normanna. Da bambino, ne aveva amato i giardini, i cespugli, i laghi, le foreste e i vasti campi che si allungavano verso il blu delle Chiltern Hills. Melburne! Sì, quello era il periodo più adatto dell'anno per recarsi là, quando il miracolo della primavera trasformava i giardini in un paese incantato di fiori in boccio e profumi. Era quasi irritante ricordare che il reale motivo di quel viaggio era andare a trovare Sir Roderick Vernon. Come vicino più prossimo e vecchio amico di suo padre, il gentiluomo aveva fatto parte della sua fanciullezza. Difficilmente era passato un giorno senza che Sir Roderick, con suo figlio Nicholas, non cavalcasse o arrivasse in carrozza a Melburne, o Buck non accompagnasse suo padre alla residenza dei Vernon, chiamata la Priory. I due anziani gentiluomini avevano discusso per le loro tenute, litigato sui confini, e tuttavia erano rimasti buoni amici, fino alla morte del padre di Lord Melburne, avvenuta all'età di sessantaquattro anni. Sir Roderick era ancora vivo, e Lord Melburne, calcolando gli anni, mentre guidava il calesse, si rese conto che adesso doveva averne quasi settantadue. Aveva sentito dire che non era stato bene, di recente, e si era chiesto se non fosse in punto di morte. Era stato 16


allora che la sua coscienza aveva preso a tormentarlo. Era già un po' di tempo che dalla Priory lo avevano invitato a recarsi là. La lettera aveva contenuto una nota di urgenza, e tuttavia non era parsa importante in confronto alle attrattive di Liane e ai molti impegni sociali in cui era richiesto. Tentò di ricordarne il contenuto. Era stata scritta da una donna di cui non aveva mai sentito parlare: Clarinda Vernon. Chi era? Sir Roderick non aveva figlie e, l'ultima volta che lui aveva visitato la Priory, non aveva visto ospiti. C'era solo l'anziano gentiluomo, che lamentava il fatto che suo figlio Nicholas lasciasse di rado Londra per visitare le tenute che un giorno avrebbe ereditato. Nicholas era stato una delusione per suo padre. Si era insediato nella cerchia sbagliata, a Londra. Lord Melburne lo incontrava di rado. E, quando accadeva, faceva del proprio meglio per evitarlo. Circolavano alcune storie spiacevoli sul comportamento di Nicholas, ma Lord Melburne non riusciva a ricordarle, al momento. Sapeva solo che non gli importava più del suo amico di infanzia, e che si erano parlati di rado da quando avevano lasciato Oxford. Si sforzò di ricordare cosa avesse scritto, la donna, nella lettera. Mio zio, Sir Roderick Vernon, è malato e desidera ardentemente vedere Vostra Signoria. Posso pregarvi di venire a trovarlo al più presto? Resto, milord, rispettosamente, la vostra Clarinda Vernon. Poche righe che non gli avevano rivelato granché, a 17


parte il fatto che il vecchio gentiluomo era malato. «Sarei dovuto andare la scorsa settimana» borbottò, e spinse i suoi cavalli a un passo più rapido, come per recuperare il tempo perduto. Non si fermò a Melburne, come avrebbe preferito fare, ma guidò direttamente fino alla Priory. Erano meno di due ore di viaggio da Londra. Svoltò davanti a un antico cancello di ferro, notando con soddisfazione che, nonostante la velocità cui li aveva spronati, i suoi cavalli avevano sopportato bene il viaggio e non erano troppo accaldati, né affaticati. Il viale era affiancato da alberi di quercia molto antichi, i cui rami si incrociavano sopra la sua testa a creare una galleria verde. Fu mentre percorreva il viale che si accorse d'improvviso che qualcuno gli stava venendo incontro. Era una donna a cavallo, e Lord Melburne non poté fare a meno di notare che cavalcava bene e che, tuttavia, si stava tenendo al centro della strada senza fare alcun cenno a spostarsi per lasciarlo passare. Poi, con sua sorpresa, vide che fermava il cavallo, in attesa che lui si avvicinasse, sapendo che sarebbe stato costretto a fermarsi a sua volta. La donna rimase ad aspettarlo con un'imperiosità che lo irritò non poco. Provò un assurdo impulso di sfidarla guidando i cavalli sull'erba e superandola, ma, al contrario, come obbedendo a un suo ordine silenzioso, tirò le redini. Senza fretta, spingendo avanti il cavallo, lei si avvicinò e si fermò accanto a lui. Anche così non erano allo stesso livello, e la donna fu costretta a sollevare il volto per guardarlo in viso. A prima vista Lord Melburne fu colpito da quanto fosse incantevole. Notò, essendo un grande esperto di 18


moda femminile, che indossava un abito vecchio e fuori moda, e che tuttavia il logoro verde del velluto metteva in risalto il candore della sua pelle. Pensò di non aver mai visto una donna con una pelle così bianca. Poi guardò i suoi capelli e comprese. Erano rossi, e tuttavia non lo erano, forse d'oro... ma non era sicuro. Erano di un colore che non aveva mai visto prima, e neppure immaginato, l'oro del grano maturo punteggiato del vivido rosso delle fiamme guizzanti di un fuoco di legna. Sembravano brillare alla luce del sole ed erano legati in un antiquato nodo sulla nuca. Lei non indossava il cappello. Era molto piccola. Lord Melburne si rese conto che, mentre il volto era minuto, a forma di cuore, con un piccolo mento appuntito, i suoi occhi erano enormi. Strani occhi, per una testa rossa, perché erano del profondo blu di un mare in tempesta piuttosto che del castano punteggiato di verde che si sarebbe aspettato, visti i suoi colori. È adorabile, decisamente incantevole, pensò, e poi, mentre sollevava il cappello, lei lo apostrofò con voce fredda, senza sorridere: «Siete Lord Melburne?». «In persona.» «Io sono Clarinda Vernon, sono io che vi ho scritto.» «Ho ricevuto la vostra lettera.» «Vi aspettavo la settimana scorsa.» Era un'accusa, e Lord Melburne si irrigidì. «Sono desolato che non mi sia stato possibile lasciare Londra in tutta fretta» replicò. «Siete ancora in tempo.» Lui inarcò un sopracciglio, perplesso. «Devo parlare con voi da sola.» Lord Melburne la fissò, sorpreso. Erano già soli. 19


Poi ricordò lo stalliere dietro di lui, sul phaeton. «Jason» ordinò, «vai alla testa dei cavalli.» «Molto bene, milord.» Lo stalliere balzò a terra e andò avanti a trattenere la coppia di cavalli. «Dobbiamo parlare qui» chiese Lord Melburne, «o preferite che io scenda?» «Qui andrà bene» rispose lei. «Se il vostro uomo non può sentire.» «Non può sentire. E se anche lo facesse, è fidato.» «Ciò che devo dire non è per le orecchie dei domestici» replicò Clarinda Vernon. «Forse farei meglio a scendere» borbottò Lord Melburne e, senza aspettare una risposta, balzò agilmente a terra. Era un sollievo stendere le gambe, dopo essere rimasto così a lungo seduto. «E riguardo al vostro cavallo?» domandò. «Volete che Jason regga anche lui?» «Kingfisher non se andrà in giro» rispose lei. Prima che lui potesse assisterla, smontò con leggerezza, quasi svolazzando dalla sella. Fece scivolare le redini sopra il pomello e, girandosi, si incamminò lungo il viale all'ombra delle grandi querce. Lord Melburne la seguì. Era davvero piccola, anche più di quanto fosse apparsa a cavallo. La sua vita, immaginò, poteva facilmente essere circondata da due mani maschili. I suoi capelli, quando si mosse, furono come un fuoco fatuo che attirasse un uomo in una palude traditrice. Si ritrovò a sorridere alla propria immaginazione. Dannazione, sto diventando davvero sdolcinato!, si rimproverò. Di sicuro non si era aspettato di trovare qualcosa di così squisito, così insolito e, in poche parole, di così bello, alla Priory. 20


Clarinda Vernon si fermò sotto una delle querce. «Devo spiegarvi alcune cose, prima che vediate mio zio» esordì, e Lord Melburne si rese conto che era nervosa. «Sta così male?» si informò quindi. «Sta morendo» rispose lei. «Penso che sia rimasto in vita solo per vedere voi.» «Mi dispiace. Se foste stata più esplicita, nella vostra lettera, sarei venuto prima.» «Non avrei chiesto a Vostra Signoria di abbandonare i propri divertimenti se non fosse stato assolutamente necessario.» C'era una nota di sarcasmo nella sua voce che indusse Lord Melburne a fissarla, stupito. Vi fu una piccola pausa, poi lei proseguì: «Ciò che sto per dirvi forse sarà difficile da capire, per voi. Per il bene di mio zio, tuttavia, è necessario che accondiscendiate ai suoi voleri». «Che cosa vuole?» chiese Lord Melburne. «Mio zio» rispose Clarinda, «sta per diseredare suo figlio Nicholas. Lui lascerà la Priory e le tenute a... me. E poiché questo significa tanto per lui, e poiché sta morendo, ha una sola idea in mente, che nessuno è in grado di fargli cambiare.» «Che sarebbe?» «Che voi dovreste... sposare... me.» Adesso non c'era dubbio sul tremito nervoso nella sua voce. Le sue guance avvamparono. Per qualche istante Lord Melburne fu troppo sorpreso per dire qualcosa. Poi, prima che anche un'esclamazione potesse uscire dalle sue labbra, Clarinda proseguì in fretta: «Vi sto solo chiedendo è di esaudire le ultime volontà di un moribondo. Zio Roderick potrebbe lasciarci questa mattina stessa. Non discutete con lui, non 21


causategli dell'agitazione inutile, limitatevi ad acconsentire a ciò che vi chiederà. Lo renderà felice e non significherà niente... niente per voi». «Dubito che sia qualcosa che possa decidere sul momento» iniziò Lord Melburne, per una volta nella vita a corto di parole. Clarinda Vernon sollevò lo sguardo su di lui, con quella che lui poté interpretare solo come una profonda ostilità. «Milord, non dovete temere che io vi spinga a mantenere la vostra promessa, una volta che lo zio sarà morto» lo rassicurò. «Perché vi garantisco che non vi sposerei neppure se foste l'ultimo uomo rimasto al mondo.» La passione contenuta nella sua voce bassa parve vibrare tra loro. Poi, prima che Lord Melburne potesse mettere ordine nei propri pensieri, prima che riuscisse a trovare qualcosa da dire o a rendersi conto di cosa stesse avvenendo, Clarinda lanciò un breve fischio. Il suo cavallo arrivò docilmente, al richiamo, e lei balzò in sella senza aiuto. Pochi istanti dopo si era allontanata e stava galoppando lungo il viale come se avesse alle calcagna tutti i diavoli dell'inferno.

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551 - LA DECISIONE DELL'ISTITUTRICE

di Ellie Macdonald

La dolce Sara è un'istitutrice, come le sue più care amiche, Claire, Bonnie e Louisa. Il suo temperamento mite e tranquillo l'ha spinta a nascondere loro un segreto: lei avrebbe preferito diventare la moglie di un vicario. Nathan Grant è... 552 - PER AMORE DELLA CONTESSA

di Janice Preston

Lady Harriet è una vedova rispettabile e determinata a tenere nascosto il segreto che ha spezzato il suo cuore, ma quando incontra di nuovo Benedict, l'uomo che l'ha abbandonata, tutto il mondo sicuro che si è costruita rischia di crollare. 553 - LA LADY DELLO SCANDALO

di Liz Tyner

Dopo un matrimonio disastroso, Lady Beatrice conduce una vita riservata, dedicandosi alla pittura, ma pare che non riesca a tenersi lontana dalle pagine dei peggiori giornali scandalistici. Al contrario, Lord Andrew Robson è un gentiluomo che... 554 - L'IDENTITÀ DELLA DUCHESSA

di Barbara Cartland

Cleona ha accettato di spacciarsi per la sua amica Leonie, a cui assomiglia molto, solo perché le vuole molto bene. Così, in una notte, si trasforma nella nipote di una ricca duchessa e viene introdotta nella società londinese. Ha inizio così...

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BENVENUTI AL THUNDER MOUNTAIN RANCH, DOVE ALL’INSEGNA DEL CORAGGIO, DELL’ONORE E DELLA PASSIONE NASCONO NUOVI EROI.

Per Damon Harrison la libertà è il bene più prezioso, fa eccezioni solo per la sua famiglia al Thunder Mountain Ranch. Ed è per la sua famiglia che si troverà a lavorare accanto a un falegname di nome Phil. Peccato che Phil sia l’abbreviazione di Philomena Turner, una donna bellissima e sensuale…

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È tempo di abbandonarsi alle emozioni… l’estate inizia con i primi batticuori.

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L  … E             . “Una storia intrigante, sensuale… degna della penna di Leslie Kelly. Amazon.it

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