Nicole Locke UN MERCENARIO CONTRO IL DESTINO
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Knight's Scarred Maiden Harlequin Historical © 2017 Nicole Locke Traduzione di Giuliano Acunzoli Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises ULC. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2022 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici luglio 2022 Questo volume è stato stampato nel giugno 2022 da CPI Black Print, Spagna, utilizzando elettricità rinnovabile al 100% I GRANDI ROMANZI STORICI ISSN 1122 - 5410 Periodico settimanale n. 1313 dello 09/07/2022 Direttore responsabile: Sabrina Annoni Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distribuzione canale Edicole Italia: m-dis Distribuzione Media S.p.A. Via Carlo Cazzaniga, 19 - 20132 Milano HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano
Deca
Ode alla casa accanto. È così comodo passare per qualche stuzzichino, una chiacchierata e generose coppe di champagne. Ode a un pianerottolo pieno di cuscini e di sorprese. Per i miei bambini è confortevole come un caldo abbraccio, ma anche avventuroso come un tappeto volante. Ode a David e a Cydonie. Questo romanzo non sarebbe stato scritto senza di voi e senza quelle chiacchierate e lo champagne. Ho a cuore la vostra amicizia più dell'abbraccio più lungo e della più grande avventura. Più di tutte le bollicine nelle flûte alzate per un brindisi che ci siano mai state... e che ci saranno in futuro.
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Lui era lì. Helissent trasse un brusco respiro e sistemò di nuovo le caraffe sul vassoio. Era la seconda sera che quell'uomo entrava, ma non era l'unica ragione per cui lo aveva notato. «Sbrigati, ragazza. I clienti hanno sete.» Lei non lanciò neppure un'occhiata a Rudd. Cercava di tenere lo sguardo ben lontano dal figlio dell'oste, divenuto adesso il proprietario della taverna. Anzi, provava a non prestargli la minima attenzione, ma non serviva. Gli occhi di lui diventavano ogni giorno più calcolatori, come se la considerasse un animale in trappola e volesse ingrassarla un po' di più. «Se non ti muovi» la ammonì, agitando a mezz'aria lo straccio da cucina, «aggiungerò un'altra caraffa e ti farò portare quel vassoio sulla testa.» Se avesse osato mettere un'altra caraffa sul vassoio, sarebbe stata lei a rovesciargliela in testa. E dopo, dove sarebbe finita?, si chiese Helissent. In mezzo alla strada, senza dubbio. Imbastendo un sorriso che approfondì solamente le cicatrici, gli rivolse la sua occhiata più innocente. «Mi 7
sto solo accertando che ci sia tutto, in modo che non debba tornare dai clienti.» Rudd non aveva mai mostrato alcuna reazione al sorriso sghembo e al volto sfregiato di Helissent. Ed era quello a spaventarla di più, il fatto che non fosse impressionato. Le profonde ustioni che le segnavano l'intero lato destro del corpo, dalla tempia ai piedi, spaventavano chiunque. Era il modo in cui teneva lontani i viandanti che si fermavano alla taverna. «Se tiri troppo la corda, ti costringerò a dare ai clienti ciò che davvero vogliono» la minacciò Rudd avvolgendosi lo straccio intorno alla mano. Helissent prese il vassoio e soppresse la rabbia e la paura che non poteva permettersi di mostrare. Il villaggio era piccolo, e di certo nessuno l'avrebbe accolta sotto il proprio tetto. L'unico motivo per cui quel minuscolo villaggio sopravviveva era che sorgeva sulla strada che da Londra conduceva a York. Quasi sempre la gente lo attraversava senza fermarsi. Se solo fosse potuta fuggire! Peccato che non avesse un posto in cui andare. Lì, almeno, gli abitanti sapevano perché era sfigurata. In qualunque altro posto avrebbero pensato che era maledetta. O peggio, l'avrebbero compatita. In quel luogo, invece, era semplicemente ignorata. Con l'eccezione di Rudd, il figliol prodigo tornato un mese dopo la morte dei genitori. Lui non la ignorava affatto. Spettava a lei evitarlo e concentrarsi invece sui clienti della taverna. I viandanti, i frequentatori abituali... e adesso quell'uomo, che pareva stranamente attento alla discussione tra lei e l'oste. Passando accanto allo stretto bancone, Helissent evitò un barcollante cliente che puntava verso il gruppo seduto davanti alla finestra e posò il vassoio in 8
mezzo al tavolo. Per un breve istante chiuse gli occhi e si godette la luce che illuminava quella parte della sala. Spesso erano gli unici momenti in cui vedeva il sole, durante il giorno. Salutò con sincera allegria gli avventori, clienti regolari che la guardavano negli occhi, mentre chiacchieravano con lei. Gente del posto che conosceva i suoi genitori e gli ex locandieri, John e Anne, che l'avevano accolta dopo che un incendio aveva distrutto la sua casa e sterminato la sua famiglia. Helissent accettava avidamente ogni gentilezza che le veniva mostrata, e proprio per quello il suo sguardo continuava a posarsi su di lui. Sull'uomo che occupava il tavolo in un angolo, perennemente immerso nell'ombra. Sedeva nell'oscurità, e non abbassava mai il cappuccio del mantello. E la guardava, il che in genere la rendeva tanto furiosa da farle inclinare il viso, mostrando così agli importuni ogni orribile dettaglio delle ustioni che le straziavano il corpo e l'anima. Vederli trasalire o arrossire per poi voltarsi le piaceva molto di più. E non perché li metteva in imbarazzo, ma perché la loro reazione le ricordava ciò per cui doveva vergognarsi, la sua colpa, la sua codardia e tutto il dolore che meritava. Tuttavia Helissent non inclinò la testa davanti all'incappucciato, perché lui aveva detto a Rudd che le sue torte al miele erano eccezionali. Ecco perché quel giorno era tornato. Ne aveva ordinate altre, pagando in anticipo, ed era venuto a ritirarle. In preda all'agitazione, Helissent gli passò davanti per raggiungere la cucina. L'incappucciato chinava parzialmente la testa, come per impedirle di guardarlo negli occhi, ma lei annuì ugualmente per salutarlo. Si era svegliata presto, quella mattina, per preparare venticinque torte. Le capitava spesso di ricevere compli9
menti per il modo in cui faceva il pane o le torte, ma non le era mai stato chiesto di prepararne tante, prima di allora. Non aveva mai conosciuto un uomo così goloso, e aveva osato chiedere a Rudd qualche informazione su di lui. Rudd non conosceva il suo nome, ma sembrava sapere cosa faceva. Era arrivato da un paio di giorni e alloggiava in una casa dall'altra parte del paese, insieme a una ventina di uomini. Viandanti, aveva detto Rudd, anche se due avevano gli speroni. L'incappucciato e un altro che era così incredibilmente alto che era costretto ad abbassarsi quando avanzava nella taverna per evitare le travi del soffitto. Il primo giorno erano entrati tutti insieme, occupando i vari tavoli. La conversazione era stata fitta, spesso in lingue sconosciute, ma tutti si erano rivolti all'incappucciato. Qualunque cosa dicesse, i suoi compagni annuivano o ridevano. Si inchinavano a lui. Affascinata, li aveva studiati, chiedendosi chi fossero e dove stessero andando. Non che dovesse saperlo, ma era un piccolo gioco che faceva con se stessa. Il giorno dopo erano tornati solo lui e il gigante. E, da allora, Helissent avrebbe giurato che l'incappucciato la osservava. Non aveva visto gli speroni, quando era entrato, ma supponeva si trattasse di un cavaliere. I suoi abiti da viaggio non sembravano particolarmente raffinati, ma non riusciva a nascondere il portamento, sotto il mantello. Era alto e dotato di un'agile grazia che pochi uomini possedevano, soprattutto in un villaggio di contadini come quello. Né riusciva a nascondere la spada che portava sempre, quasi fosse una parte di lui. Naturale, predatoria, letale. Quel giorno – il terzo – era tornato da solo. Ed e10
sclusivamente per ritirare le torte. Helissent le sistemò con cura nella sacca da viaggio, poi si voltò verso la sala. Chiedendosi se, almeno quella volta, lui avrebbe alzato la testa, permettendole di vederlo in volto. Rhain studiò gli avventori di quella miserabile taverna. Niente la rendeva diversa dalle centinaia in cui si era fermato negli ultimi cinque anni. Per dei mercenari come lui e la sua compagnia di ventura, contavano solo la posizione e le informazioni. Quella taverna non offriva nessuna delle due. L'unica cosa che aveva erano le pecore, un sacco di pecore. Persino nella brezza tesa non esisteva possibilità di sbagliarsi, visto l'odore e i belati. A un paio di giorni a cavallo verso nord sorgeva l'accogliente castello di Tickhill, un baluardo strategico occupato al momento dal re in persona. Rhain e i suoi uomini sarebbero stati i benvenuti e, quando aveva iniziato il viaggio, era stata sua intenzione approfittare dell'ospitalità, dei sontuosi letti e della cacciagione sempre fresca che avrebbe trovato tra quelle mura. I castelli, però, sorgevano in posizioni chiave. E le voci giravano, per cui non poteva più permettersi simili soste. Non nella sua situazione. Ormai doveva optare per l'anonimato. Un anonimato che non aveva niente a che vedere con il suo impiego da mercenario. Ecco perché si era fermato in quel miserando villaggio, abitato da contadini e fornito di qualche alloggio per gli occasionali viandanti che non potevano permettersi di meglio. La casa in fondo alla strada riparava adeguatamente dalla pioggia, ma quella taverna... Chinò la testa quando la cameriera passò davanti a lui, ma anche così si accorse del suo saluto. Era difficile non notarla. Quando era entrato, due giorni prima, 11
aveva quasi rischiato di abbassarsi il cappuccio del mantello. Lei si trovava dietro il banco, intenta a sistemare delle tazze. Dalla porta che Rhain aveva aperto entrava un raggio di sole, che la illuminava tutta. La vedeva solo di profilo, ma era abbastanza da lasciarlo impietrito, e i suoi uomini gli erano finiti addosso, prima di aggirarlo. Era una fanciulla incantevole. La pallida perfezione della pelle, le ciglia lunghe e folte. La luce non bastava per distinguere il colore dei capelli, ma sembrava un ricco castano, e le ciocche cadevano fluenti sulla schiena. Poi lei aveva alzato il vassoio, permettendogli di notare le curve procaci e la grazia con cui si muoveva. In quel tugurio lavorava una donna che apparteneva al letto di un sovrano. Rhain lo sapeva bene, visto che era cresciuto nel lusso e nel privilegio. Conosceva personalmente il re, quindi distingueva una donna di qualità. Non era solo quello, però, a sorprenderlo. Avventori di tutti i tipi sedevano nella sala comune. La taverna era affollata, a quell'ora, e una donna così avvenente si sarebbe ritrovata a scacciare i clienti più inebriati, se non a litigare. Eppure, tutti compivano ampi giri per evitarla. Se fosse stata la moglie o la sorella di qualcuno, sarebbe stata trattata con un po' di confidenza. Invece, veniva ignorata. Anzi, in una sala piena, veniva ostracizzata. La gente non la guardava, neanche quando finiva di sistemare i boccali per poi alzare il vassoio e portar loro da bere. Tutti le davano le spalle. Dopo aver chiuso la porta, però, Rhain la vide attraversare la sala, e allora si accorse di qualcosa che non aveva notato, studiandola di profilo dal lato sinistro. Adesso, invece, mentre serviva i clienti, riuscì a intravedere il lato destro. E allora comprese subito per12
ché, in un luogo così affollato, venisse ignorata. Era sfregiata senza rimedio. Vecchie ustioni ormai guarite, da ciò che riusciva a capire. Aveva sofferto, in passato, e a quanto poteva dire l'agonia era stata terribile. Non era riuscito a toglierle gli occhi di dosso. Era come se quel momento avesse fatto scattare qualcosa, dentro di lui. Quella donna lo rendeva... curioso. Non sapeva quale aspetto di lei l'attirasse di più. Non era solo la differenza tra una parte e l'altra del viso, ma anche il modo in cui interagiva con gli altri. Cauta con il locandiere, amichevole con i clienti abituali. Piena di sdegno e sfida, mentre insisteva a mostrare il suo lato sfregiato ai viandanti come lui. Quindi la studiava, mentre sedeva in un angolo della taverna, bevendo birra infame e aspettando un pranzo che non avrebbe mai dovuto venir servito in una tale catapecchia. L'oste era un gigante stupido, i cui modi untuosi lo irritavano non poco. E, nonostante la crudeltà alla quale aveva assistito, nella sua vita, il fatto che tormentasse quella donna lo mandava su tutte le furie. Più di una volta aveva messo mano al pugnale per scagliarglielo nel cuore. Un impulso inquietante, visto che da un po' riusciva a ignorare simili istinti. In ogni caso era tornato, dal momento che, come lui, anche i suoi uomini godevano delle pietanze che non pensavano di assaggiare, in un luogo simile. I tagli di carne dello stufato erano duri e spesso le verdure non erano fresche ma, invece che grasso e cartilagine, erano stati aggiunti erbe e aromi. E il pane veniva preparato con farina setacciata e raffinata cosparsa a propria volta con erbe aromatiche, il che lo rendeva leggero e delizioso. Era un minuscolo villaggio lontano da tutto, inutile per i suoi scopi. Nessuno si sarebbe mai aspettato di 13
trovare Rhain lì, con i suoi mercenari che dormivano all'asciutto e mangiavano bene. Quindi nessuno di loro aveva protestato, una volta appreso che si sarebbero fermati qualche giorno. Poi aveva assaggiato quella torta, leggera, ma anche piena di miele che colava e riluceva sulla crosta. Quel luogo poteva anche appartenere a un oste gigantesco e stupido, ma la cucina era eccezionale. Due sacchi gli vennero posati davanti. Era stata la cameriera a portarglieli, una mano perfetta, l'altra nodosa per le ustioni. Devastata dal fuoco come l'intero lato destro del volto, del collo e, a giudicare da come si muoveva, anche del corpo. Una parte squisita, l'altra sfigurata. Sollevò piano la testa per non far cadere il cappuccio, giusto quanto bastava per guardarla negli occhi. Erano di un colore che non riuscì a definire. Verdi, grigi o castano chiaro. In ogni caso erano limpidi e schietti. Tradivano intelligenza, cautela e anche un po' di orgoglio. Il fuoco aveva inclinato all'ingiù l'angolo dell'occhio destro e rovinato un po' la bocca carnosa, ma il naso era rimasto perfetto, anche se la guancia e l'orecchio erano profondamente segnati. Era la prima volta che osava guardarla bene. Lui, tra tutti, sapeva bene cosa significava venir osservato. Per quanto si sentisse attratto, cercava di non rimirare continuamente quella povera giovane, e tuttavia... Aveva una voce melodiosa e acculturata, con un accenno di francese, denti candidi e regolari. Era una contraddizione come il resto di lei e la taverna in cui lavorava. Una catapecchia con una cucina squisita e una cameriera allo stesso tempo bellissima e sfigurata. Con una voce che sarebbe dovuta essere colma di gioia, anziché di pena. Perché Rhain sentiva soprattutto la pena. Quasi gli 14
tremarono le mani quando prese le monete d'argento dalla sacca e le posò sul tavolo. Forse erano troppe, ma non osò controllarle per timore che lei notasse la sua momentanea debolezza. «Me ne servono altre cinquanta per domattina.» La donna agitò appena le mani, come se l'avesse sorpresa. «Posso prepararne venticinque domattina e altre venticinque nel pomeriggio. Il forno è troppo piccolo per cuocerne cinquanta.» «Domattina partirò, e ho bisogno di cinquanta torte. Vi pagherò il doppio.» Lei gli lanciò un'occhiata, prima di prendere i soldi dal tavolo con la mano sana. I suoi movimenti erano aggraziati e, ancor più importante, molto silenziosi. Si comportava come se non volesse far sapere a nessuno che intascava tutte quelle monete. Rhain si azzardò a lanciarle un'altra occhiata, sebbene sapesse di offrirle la possibilità di vederlo in volto. Nessuno doveva vederlo, e non per la sua sicurezza, ma per quella dell'intera compagnia. Ecco perché non soddisfaceva la curiosità di lei, anche se la riconosceva, perché provava la stessa cosa nei suoi confronti. Lei lo studiava con un'espressione illeggibile, silente quasi come il lieve grattare delle monete sul tavolo. A ben guardare, il volto non era poi così sfigurato. Le ustioni erano lievi, sia bianche che leggermente rosate. Quelle molto più profonde sulla mano, però, raccontavano un'altra storia. Non era stata avvolta dalle fiamme per breve tempo. Solo una prolungata esposizione poteva aver arrecato un danno simile. Un'altra moneta finì nella sua mano, venendo subito intascata. Poi lei gli consegnò il resto. «Così è troppo. È più del doppio.» Ah, quindi le aveva contate, mentre le prendeva! Voce acculturata e buona educazione. Contrasti su 15
contrasti, e la curiosità di Rhain si riaccese, impetuosa. Per fortuna l'indomani sarebbe ripartito. Da anni non si interessava più a niente e a nessuno, e adesso non aveva tempo di essere curioso. «Voglio solo che le torte siano preparate in tempo» ribatté. Lei non prese le monete posate sul tavolo. Una cameriera onesta, per giunta. «Il resto è per voi» chiarì Rhain. Teneva gli occhi bassi, ma la vide comunque scuotere la testa. «Il doppio basterà» replicò lei. «Parlerò all'oste, ma non dubito che avrete le vostre torte.» Lui annuì. Se qualche moneta bastava a procurargli quella delizia, seppur temporanea, ne avrebbe approfittato. Detestava i soldi, ma li usava a proprio vantaggio. Avrebbe usato tutto a proprio vantaggio. Era nella sua natura, soprattutto adesso. «Vi ringrazio» mormorò mentre lei si allontanava. Aprì una delle sacche che aveva davanti ed estrasse una torta. Era calda, e il profumo di burro e miele era persino stravagante, nell'odore quasi putrido della locanda. Gli stava in mano perfettamente, e si crogiolò nel sapore e nella soffice consistenza del primo morso. Sapeva che il gusto sarebbe persino migliorato, una volta che fosse uscito dall'oscurità e dal lezzo della taverna. Benché fosse un uomo ricco e potente, che guadagnava molto con le sue capacità di mercenario e di diplomatico, conosceva l'arte della pazienza. Poteva aspettare fino a quando fosse tornato nei suoi alloggi e dai suoi uomini, ma non ne aveva voglia. Tortine al miele. Un piccolo piacere per la maggior parte della gente. Per lui, però, era prezioso, almeno fin dal giorno in cui era stata messa una taglia sulla sua testa.
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