Un regalo per te

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Nora Roberts

Un regalo per te


Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: Home for Christmas All I Want for Christmas Silhouette Promo Christmas Anthology © 1986 Nora Roberts © 1994 Nora Roberts Traduzioni di Alda Mohr e Claudia Cavallaro Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 1988 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prime edizioni dicembre 1988 - novembre 1995 Questa edizione Harmony Romance dicembre 2017 Questo volume è stato stampato nel novembre 2017 da CPI Moravia Books HARMONY ROMANCE ISSN 1970 - 9943 Periodico mensile n. 193 del 16/12/2017 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 72 dello 06/02/2007 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano


Bianco Natale



Prologo

Il caldo mozzava il fiato, scioglieva il cervello, metteva stivali di piombo ai piedi. Jason avrebbe scommesso che il termometro segnava il doppio della temperatura delle più torride estati di New York. Ma quel posto dimenticato da Dio e dagli uomini non era New York. E non era estate, bensì l'inizio di dicembre. Dicembre, sì, un assurdo dicembre africano incendiato da un sole che non aveva pietà. Ma ne valeva la pena. Avanzando a fatica per quella pista che la foresta tropicale si stava inghiottendo a palmo a palmo, come gelosa di custodire i suoi segreti, Jason si faceva coraggio ripetendosi che ne valeva la pena. Poteva uscirne uno scoop. A lui non piaceva affatto la vita facile, e in tanti anni di attività giornalistica aveva affrontato situazioni persino peggiori, ambienti più ostili... anche se in quel preciso momento non avrebbe saputo citare il nome di un ambiente più ostile di quello. Ci aveva fatto l'abitudine, e quando fiutava la possibilità di un reportage sensazionale, metteva qualcosa nello zaino e... via, senza preoccuparsi di prenotare una suite in un albergo a cinque stelle. Così ora si ritrovava lì, in quella regione sperduta nel cuore dell'Africa, per 7


scoprire le prove definitive di un traffico d'armi in grande stile che partiva dall'America e arrivava fin laggiù. Aveva lasciato la jeep nell'ultimo tratto di strada che considerava carrozzabile e stava procedendo a piedi per quello che non gli sembrava ormai altro che un sentiero circondato da felci gigantesche. Ma la gente del posto non doveva pensarla come lui: c'erano ancora tracce di pneumatici per terra. Forse da poco erano transitate da lì jeep cariche di bazooka. Sperava che non mancasse molto al villaggio di Bangwan dove, a quanto gli avevano riferito fonti attendibili, avrebbe potuto incontrare il capo dei ribelli: l'ultimo anello della catena, la tessera che mancava al mosaico del traffico d'armi. Jason si fermò di colpo e tese le orecchie: non era il verso di un animale nascosto nella vegetazione. Sembrava piuttosto... sì, il rumore di un elicottero che si avvicinava. Imprecò fra sé. A lui di quella guerra non importava granché, non parteggiava per nessuno. Gli sarebbe solo dispiaciuto che i mercenari governativi arrivassero a Bangwan prima di lui, soffiandogli sul traguardo il tanto agognato ultimo anello della catena. Aumentò il passo, per quanto le forze glielo consentissero, e dopo mezz'ora giunse in vista di un villaggio con le case di canne e legno. Ma era troppo tardi. Aveva appena avvistato quel misero centro abitato, dove sembrava che potessero prosperare solo miseria e fame, quando scoppiò l'inferno: detonazioni, raffiche di mitra, schianti, urla, gente che correva, nuvole di fumo, incendi. Jason si rese conto tardi di essersi spinto troppo vici8


no a quell'inferno. Tentò di fuggire, ma fu raggiunto dalla scheggia di una bomba esplosa a poca distanza, che gli si conficcò in una gamba. E l'ultima cosa che vide prima di perdere i sensi e di cadere in avanti su una felce che lo accolse con le sue lunghe braccia verdi in un oscuro oblio fu un volto di donna. Il solito. «Qui dice che in Africa ci sono i popoli monadi.» «Leggi bene.» «Ma sì, i popoli mo... Ah, no, no-ma-di. Nomadi. Chi sono?» La donna stava cucendo l'orlo di un minuscolo grembiule di cotone a fiori azzurri, un grembiulino da bambola, e rispose distrattamente. «I nomadi? Sono persone che non vivono in un posto fisso. Stanno un po' da una parte, poi mettono via tutte le loro cose e vanno da un'altra. Si fermano per qualche tempo lì e poi... via ancora.» «E sono contenti di fare quella vita?» «Sono abituati così, non riuscirebbero a vivere in un modo diverso.» La bambina alzò gli occhi dal libro, guardò l'angolo dei giochi che si era ricavata in soggiorno. Aveva spostato una poltrona verso la credenza e aveva ottenuto così fra il mobile, il muro e la poltrona stessa uno spazio tutto per lei, con uno sgabellino trasformato in fornello, dei barattoli, i pupazzi. Era un luogo suo, se l'era inventato lei, e le piaceva ancora di più della sua cameretta. La storia dei nomadi non la convinceva. «E quando vanno via portano anche i loro figli o li lasciano lì?» «Li portano con loro.» 9


«E i giocattoli?» «Ma... non credo che ne abbiano tanti.» La bambina rifletté un momento. «Be', non mi piacerebbe per niente fare la bambina nomada.» Sua madre si punse un dito con l'ago. «Si dice nomade. Non ti preoccupare, comunque. Qui la gente non vive a quel modo. Di nomade non c'è nessuno.» Depose con stizza la stoffa, l'ago e il filo sul tavolo e si portò il dito alle labbra. E fra sé aggiunse, pensando a molti anni prima: «Quasi nessuno». Ma la piccola non sentì quelle ultime due parole, che non avrebbe potuto capire. Si era persa a guardare una figura del libro, una fotografia che ritraeva un villaggio di capanne, in una radura che si apriva in mezzo a un muro di alberi. Chissà se in quelle capanne i bambini avevano un angolo per i giochi con uno sgabellino... Il suono era ritmato, monotono, attutito. Forse si trattava di canne di bambù percosse da un martelletto di legno, un rudimentale xilofono. Appena riprese i sensi, Jason si ritrovò con quella musica che gli rimbombava nella testa e gli ci volle qualche minuto per abituarcisi. Tentò di muoversi, ma una fitta lancinante alla gamba sinistra lo costrinse a cambiare idea. Aveva le palpebre che pesavano una tonnellata, ma riuscì ad aprire prima un occhio, poi l'altro, e il suo sguardo si posò su un soffitto di foglie di palma, con il sole che ci giocava in mezzo. Sollevando adagio la testa e girandola quel tanto che bastava, si rese conto di essere in una capanna rettangolare, con una porta chiusa da un telo grezzo e una finestrella che offriva uno scorcio di rami di okumè. 10


Per la fatica causata da quel minimo movimento perse di nuovo i sensi, e quando rinvenne e tornò ad aprire gli occhi scorse un volto nero sorridente chino su di lui: un volto femminile, con labbra carnose e occhi scurissimi e brillanti. La ragazza si mise a chiamare a gran voce qualcuno – sembrava eccitata alla scoperta di vederlo tornare in sé – e dopo un attimo, sul pagliericcio di Jason si protendevano due, tre, quattro volti del colore dell'ebano. Avrebbe imparato a conoscere quei volti, nei giorni seguenti, la ragazza con l'orecchino di avorio, il vecchio calvo, la donna grassa che doveva essere sua moglie, il giovane tatuato. Erano i suoi soccorritori, quelli che lo avevano trovato esanime nella foresta, che lo avevano portato al villaggio e curato. Sempre che si potesse chiamare villaggio quel cerchio di capanne costruite alla meglio in una radura ai limiti della foresta equatoriale, ancora nascoste dalle grandi chiome degli okumè, ma già in vista della distesa della savana. Una collocazione strategica che avrebbe permesso di individuare per tempo eventuali attacchi armati, capì Jason quando si sentì abbastanza in forze da reggersi in piedi e uscire all'aperto in perlustrazione. La gamba gli doleva ancora e quelle che lui chiamava per farsi coraggio perlustrazioni erano in realtà spostamenti molto limitati: girava un po' tra le capanne, ma si sentiva già in difficoltà dopo pochi minuti; così preferiva rimanere semisdraiato su una stuoia accanto alla porta del suo provvidenziale ricovero. Aveva davanti a sé ore e ore di ozio forzato e ne approfittava per osservare la vita del villaggio. La cosa che lo sorprendeva di più era proprio il fatto 11


che quella cerchia di fragili casupole e quella gente insidiata dalla guerra formassero qualcosa che si poteva definire villaggio: una comunità organizzata in modo semplice ma funzionale, in cui i compiti venivano ripartiti fra i membri del gruppo e dove tutti, uomini, donne, vecchi e bambini, potevano rendersi utili. Le uniche tracce della guerra erano le jeep e le casse di armi coperte da un telo ai margini dell'abitato. Erano armi che venivano da lontano, proprio dalla nazione e dalla ditta che lui sospettava fossero alla base del traffico internazionale. Era la prova che cercava, ma in quel momento la scoperta non gli dava la gioia che si sarebbe aspettato. A colpirlo di più erano le cose minime, le scene di vita quotidiana che gli scorrevano davanti, con i loro ritmi lenti e regolari, con i loro inconsapevoli attori. Quello spettacolo gli provocava una strana malinconia. Per qualche oscuro motivo, lo riportava indietro nel tempo, a quando era ragazzo e viveva al paese, nel New England. Anche là c'erano quegli stessi ritmi di vita, nonostante le attività della gente fossero diverse e più complesse. Anche là sembrava aleggiare lo stesso senso di appartenenza che cementava i membri dello sperduto villaggio africano. La gente si sentiva inserita in una comunità, aveva un posto in cui stare, un compito da svolgere, un ruolo. Lui no. Era sempre stato insofferente nei confronti di quei vincoli che gli apparivano opprimenti, di quelle regole che giudicava vuote e senza senso. Fin da ragazzo aveva sognato di tagliare i ponti, di andarsene a girare il mondo in cerca di avventure. Ci era riuscito, e lui solo sapeva il prezzo che aveva 12


pagato in termini affettivi. Ci era riuscito, ma... forse cominciava a ricredersi. Forse aveva sbagliato qualcosa. Forse la rinuncia era stata troppo grande. Ecco perchĂŠ, adesso, guardandosi attorno, si sentiva assalire dalla malinconia. Aveva notato, per esempio, che anche in quell'angolo dimenticato di mondo, in mezzo a quella gente che combatteva contro la fame oltre che contro le truppe governative, i giovani erano giovani. E non pensavano solo a fare la guerra. Addirittura un cieco avrebbe capito che fra la ragazza con l'orecchino d'avorio e il ragazzo con le braccia coperte di tatuaggi c'era del tenero, anche se i due interessati avrebbero usato molto probabilmente un'espressione diversa per indicare la stessa cosa. Ridacchiando fra sĂŠ, Jason seguiva giorno per giorno gli sviluppi della situazione. Ma a un certo punto smise di sorridere, assalito ancora di piĂš da una tristezza che non aveva mai provato in vita sua. Quella storia gli ricordava qualcosa di un passato che gli sembrava lontanissimo, qualcosa del suo passato. Appariva chiaro a prima vista che i due giovani si conoscevano da sempre e che era la ragazza la piĂš interessata a trasformare i rapporti attuali di amichevole familiaritĂ in rapporti di tipo diverso. Tutte le volte che lui smontava dai turni di sorveglianza o tornava dalle misteriose spedizioni in jeep che gli abitanti del villaggio facevano a turno quasi ogni giorno, lei era immancabilmente sulla porta della capanna, impegnata a mondare semi o a pestare nel mortaio radici di piante medicamentose. Aveva sempre un fiore diverso fra i capelli e lanciava al ragazzo lunghe occhiate di sottecchi. 13


Lui ricambiava le occhiate, ma tirava dritto. La cosa continuò per vari giorni, poi la giovane cambiò tattica e per raggiungere il suo obiettivo ricorse a un vecchio trucco: rivolse le proprie attenzioni in modo sfacciato a un altro ragazzo del villaggio, un tipo grande e grosso che girava spesso con un mitra a tracolla. Jason si stupì della libertà di azione di Gundula, come aveva capito che si chiamava la ragazza, una libertà che sembrava strana in un ambiente tanto chiuso. Pareva che i vecchi non la notassero neanche. Forse, pensò lui, la guerra aveva portato un certo rilassamento nei rigidi costumi di vita del gruppo. Comunque, Gundula salutava da lontano il suo nuovo amico tutte le volte che lo vedeva, gli si avvicinava con noncuranza e si toglieva il fiore dai capelli per darglielo. Il ragazzo con i tatuaggi seguiva la scena con aria di volta in volta più truce e un giorno, passando davanti a Jason, raccolse da terra un ramo, lo spezzò con rabbia e lo fece volare in una macchia di felci. La storia si ripete, pensò lui. I giovani sono giovani, in qualunque parte del mondo vivano e di qualunque colore abbiano la pelle. Non riusciva però a consolarsi con quella saggezza da quattro soldi. Non riusciva a seguire quella vicenda con il sereno distacco di chi avesse raggiunto, assieme all'età adulta, un suo equilibrio interiore. In cuor suo, si sentiva ancora come quel ragazzo dalle braccia tatuate: gli era bastato poco perché gli si riaccendesse la stessa rabbia, lo stesso risentimento di allora. Tuttora la ferita gli bruciava, la ferita mortale che si portava dentro da dieci anni e che pareva destinata a non rimarginarsi mai più. 14


Poi, una sera, dalla finestra della capanna, vide passare il ragazzo tatuato abbracciato a Gundula. La testa di lei era reclinata sulla spalla di lui, la mano di lui le scendeva sulla vita; sembravano camminare senza nemmeno sfiorare il terreno e si dirigevano verso la foresta, oscura e invitante come un manto di velluto. Per un attimo la fitta foresta tropicale scomparve agli occhi di Jason e gli apparve davanti un compatto muro di abeti del New England illuminati dalla luna piena. Scherzi dell'immaginazione... Sorrise fra sé con amarezza. La storia si ripete, pensò di nuovo, e immaginò tutte le delusioni in agguato che aspettavano quel ragazzo di cui non sapeva neppure il nome, tutte le pugnalate che avrebbe ricevuto di lì a poco. E gli parve che nel manto nero della foresta fossero appostate già in quell'istante belve dai denti aguzzi e dalle pupille fosforescenti, pronte ad assalirlo appena si fosse avvicinato. La bambina voltò pagina e al posto del villaggio africano comparve la fotografia di un leopardo. La didascalia diceva: Agilissimo e feroce, il leopardo caccia animali di piccole e grandi dimensioni, aggredendo anche l'uomo. Un brivido le corse lungo la schiena, ma le passò subito. Le venne da ridere, anzi. «Mamma, per Natale mi regali una cosa?» «Che cosa?» chiese sospettosa la donna, scuotendosi e riprendendo a cucire dopo essere rimasta per qualche secondo con lo sguardo perso nel vuoto, come in trance, a ricordare cose lontane, occasioni perdute, una storia troncata sul nascere... 15


«Una pelle di leopardo.» «Vorresti una pelliccia da diva del cinema?» «No, no, me la metterei per camuffarmi e fare uno scherzo a Jimmy. Prenderebbe uno di quegli spaventi...» La bambina disegnò sul bordo del libro di scuola, a modo suo, un leopardo con un nastro rosa al collo che emetteva un tremendo ruggito e faceva scappare via una figurina tutta storta che doveva rappresentare il malcapitato Jimmy. Il risultato, per lei più che soddisfacente, le strappò una nuova risata. «Sì, mi piacerebbe vederlo, quello spaccone di Jimmy, che scappa a razzo!» «Spaccone? Allora non ti è più simpatico?» «Sì che mi è simpatico, ma fa il duro solo perché ha un anno più di me. La mia nuova compagna di banco, Marcie, continua a ripetere che i duri non sono più di moda. Tu che cosa ne dici?» La madre depose il lavoro e arruffò teneramente i capelli della figlia. Guardò fuori dalla finestra. Nevicava fitto. «Ma... non so, non sono aggiornata in materia...» «E quando eri giovane, com'erano allora i ragazzi?» «Be'...» «C'era qualche duro che ti piaceva? E tu come ti comportavi?» La bambina era come un torrente in piena con le sue domande, e la madre cominciava a essere in difficoltà. Sì, purtroppo c'era qualcuno che le piaceva, quando era giovane. L'espressione usata dalla figlia era la più adatta, perché in realtà si sentiva ormai vecchia decrepita, 16


nonostante nei suoi capelli ci fossero pochissimi fili d'argento che solo lei vedeva allo specchio. Sì, c'era un ragazzo che le piaceva e poteva anche definirsi un duro, ma lei non si era mai data la pena di catalogarlo in qualche modo. Era lui, punto e basta. Un tipo diverso da tutti gli altri. Un tipo per cui non era difficile perdere la testa. E lei l'aveva persa, del tutto. Ma non era una storia da raccontare con il sorriso sulle labbra a una bambina, non rientrava nelle normali confidenze che madre e figlia si potevano scambiare in un lungo pomeriggio d'inverno, fra una lezione di geografia e un grembiulino a fiori. Anzi, era una storia di cui sua figlia non avrebbe mai saputo niente. Era l'ultima persona al mondo a cui l'avrebbe rivelata. Così si riscosse, e per troncare quella conversazione che stava diventando pericolosa si trincerò dietro la facciata della persona seria e indaffarata che non aveva tempo da perdere in simili sciocchezze. «Allora» disse alla bambina, riprendendo a cucire con impegno addirittura eccessivo il grembiulino a fiori azzurri, «vuoi finire questa benedetta lezione di geografia o pensi di andare avanti a studiare l'Africa fino al giorno di Natale?» Natale! Mancava solo una decina di giorni a Natale! Chi ci pensava più? Jason lo scoprì per caso, facendo un conto approssimativo dei giorni trascorsi al villaggio, che si avvicinavano ormai ai quindici, dal momento che ne aveva passati alcuni in stato di incoscienza. All'inizio resse bene a quella scoperta, ricordando gli anni precedenti. Che cos'era Natale, in fondo? Un giorno come un altro, continuava a ripetere fra sé. In alcune 17


parti del mondo le industrie sfornavano più prodotti del solito, la gente si accalcava nei negozi e si caricava di regali. Tutto lì, il Natale. In altre parti del globo, invece, la gente non ne sapeva addirittura niente e continuava a vivere e a morire, a corteggiarsi e a caricare i mitra come lì a Bangwan. Jason sapeva di essere un uomo duro di carattere, poco incline ai sentimentalismi. Il Natale non significava proprio nulla per lui. Lo aveva sempre liquidato a quel modo negli anni precedenti, e quella volta non avrebbe fatto eccezione. Peccato che... Peccato che le cose non stessero affatto così. Peccato che l'idea di ritrovarsi per Natale in quella terra sconosciuta e arsa dal sole lo deprimesse più di quanto non sarebbe mai stato disposto ad ammettere. Peccato che anche a lui fosse scoppiato di punto in bianco quel desiderio struggente di una casa, di un camino acceso mentre fuori nevica fitto, di sorridenti volti familiari. Guardandosi attorno nel piccolo villaggio africano, con la gente che svolgeva le normali occupazioni quotidiane, i bambini che si rincorrevano, le donne che chiacchieravano fra loro, vedeva ormai il suo paese, quello che aveva abbandonato dieci anni prima con tanta insofferenza e che adesso gli mancava... Anche lui, tutto considerato, aveva bisogno di un posto che fosse suo, al quale sentire di appartenere. E gli eventi stessi sembravano spingerlo in quella direzione. Da un paio di giorni a Bangwan c'era un'insolita agitazione dietro l'apparente normalità. Le jeep andavano e venivano, i bazooka erano stati tolti dalle casse e mon18


tati sui cavalletti, nel cielo sfrecciavano aeroplani militari. Da quel poco che riuscì a intuire, Jason comprese che ci si stava preparando a respingere un altro attacco dei governativi, un attacco in grande stile. Se ora era solo una minaccia incombente, presto la guerra sarebbe stata di nuovo una realtà percepibile, assordante, sanguinosa. Vogliamo fare un bel reportage di guerra?, si chiese. Era l'occasione buona. Poteva uscirne un pezzo di bravura che i colleghi gli avrebbero invidiato. Peccato che... Peccato che di quell'occasione non gli importasse niente. Era una guerra che non capiva, non sapeva nemmeno bene quale fosse la posta in gioco. E non gli interessava scriverci sopra una serie di articoli che non sarebbero serviti a cambiare la realtà. E poi... ne aveva abbastanza di guerre! Ne aveva seguite troppe negli ultimi anni, era stanco di fare da spettatore a tante atrocità. Voleva un mondo di pace. O almeno, un angolo di mondo. Era quasi Natale, in fondo. Doveva andarsene, scappare via prima che fosse troppo tardi. E quando si accorse che nel villaggio serpeggiava una forte tensione e gli uomini si armavano fino ai denti e salivano sulle jeep, Jason non ebbe più dubbi. Prese lo zaino e saltò a sua volta su una delle vetture. Avrebbe incominciato ad allontanarsi da lì. Da qualche parte sarebbe arrivato. Mentre l'auto stava per partire, scoprì che uno degli occupanti era il giovane tatuato. Anche la sua ragazza era lì, lo aiutava a caricare le munizioni. E piangeva. Poteva essere un addio. Alla fine, quando già il motore 19


era acceso, allungò una mano e strinse forte quella del ragazzo. Poi la jeep partì con un sussulto e la ragazza rimase a piangere in una nuvola di polvere. Dopo un attimo non la si scorgeva già più e lo stesso villaggio era sparito dietro una fitta cortina di vegetazione. Solo in quel momento Jason poté ammettere che quella precipitosa fuga da Bangwan aveva un motivo preciso. Non era soltanto il suo paese che voleva rivedere. Non era soltanto un bianco Natale che desiderava con tutto se stesso. La scena a cui aveva appena assistito gli aveva aperto gli occhi. Era da lei che doveva tornare, la donna che aveva lasciato dieci anni prima in modo così precipitoso; la donna che non aveva mai dimenticato, quella che continuava a perseguitarlo anche nel sonno.

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Quante cose erano di certo cambiate nell'arco di dieci anni! Ma ci era preparato. La fuga dal cuore dell'Africa era stata quanto di più avventuroso gli fosse mai capitato, e raggiungere un posto che si potesse definire a tutti gli effetti civilizzato non era stato uno scherzo. Comunque, da quando aveva messo piede a bordo di un aereo diretto a Londra, l'animo gli si era sgombrato, e Jason Law non aveva fatto che riflettere su che cosa significavano dieci anni. Sotto di lui erano sfrecciati il Sahara, poi il Mediterraneo, le verdi regioni europee, infine la Manica. Una breve sosta in Inghilterra e poi... via di nuovo, da una sponda all'altra dell'oceano. Durante tutto quel viaggio si era sforzato di prepararsi alle novità che lo aspettavano a Quiet Valley. Quindi era sbarcato a Boston, e con un ennesimo volo aveva raggiunto New York, dove c'era l'elegante mansarda in cui viveva quando non era in viaggio... cioè praticamente mai. Lì si era fermato due giorni per riposarsi e riacquistare sembianze umane. Aveva riempito una valigia di abiti pesanti ed era ripartito, questa volta a bordo della sua automobile. Aveva puntato verso nord e anche durante quel lungo 21


tragitto – gli sembrava di essere in viaggio da millenni – non aveva smesso di pensare a come le cose sarebbero state diverse a Quiet Valley, la sua meta. Un decennio, anche in una piccola città del New England, doveva per forza di cose portare dei mutamenti. Ci dovevano essere stati decessi e nascite, case e negozi dovevano avere cambiato proprietario, e alcuni edifici forse erano spariti per sempre. Non era la prima volta, da quando aveva deciso di tornare a vedere la sua cittadina natale, che si sentiva un po' stupido. Forse non lo avrebbero neanche riconosciuto. Quando era partito era un ragazzo magro e arrogante, un ragazzo di vent'anni con un paio di jeans sdruciti. Quello che tornava era un uomo che aveva sostituito l'arroganza giovanile con quella derivante dall'affermazione professionale. Il suo fisico era ancora asciutto, ma all'occorrenza aveva imparato a indossare con disinvoltura gli abiti costosi delle piÚ note firme. Dieci anni lo avevano trasformato: il ragazzo deciso a farsi strada verso il successo era diventato un uomo che ci era riuscito, che aveva sfondato. La cosa che quegli anni non avevano cambiato era il suo modo di essere: era ancora in cerca delle sue radici, del suo posto. La strada era a curve, tutta salite e discese, come quando l'aveva percorsa in senso opposto, su un'automobile sgangherata. La neve copriva il terreno circostante e gli alberi brillavano al sole. Gli era mancata? Aveva passato un inverno nelle Ande, con la neve che gli arrivava alla vita. Ne aveva passato un altro in India, sudando. Gli anni si accavallavano e Jason riusciva a ricordare ogni posto 22


dove aveva trascorso il Natale, anche se non lo aveva mai festeggiato. La strada si restrinse e, dopo un'ampia curva, lui poté scorgere le montagne di un biancore abbagliante coperte di pini. Doveva ammetterlo, quei posti gli erano mancati. Il sole si rifletteva sulla neve e lui dovette risistemarsi gli occhiali scuri e rallentare. Poi, di colpo, si fermò. Era proprio nel punto dove aveva parcheggiato quella volta, anche se allora era notte invece che giorno, giugno anziché dicembre. Quella tiepida, magica notte di giugno in cui... Basta, si disse, mantieni la concentrazione. Quando scese dalla macchina, il fiato gli si addensò in nuvolette di vapore. Sentì la pelle bruciargli per il freddo, ma non pensò neppure di abbottonarsi la giacca, né di cercare i guanti in tasca. Aveva bisogno di quell'aria, aveva bisogno di respirare quei milioni di aghi gelati che gli entravano nei polmoni. Fece i pochi metri che lo separavano dal parapetto e guardò in giù verso Quiet Valley. Lì era nato e cresciuto, lì aveva imparato a conoscere il dolore, lì si era innamorato. Anche da quella distanza poteva vedere la casa di lei, anzi, la casa dei genitori di lei, e sentì dentro di sé la vecchia rabbia. Adesso lei viveva da qualche altra parte della cittadina, con il marito e con i suoi figli. Quando si accorse di avere le mani strette a pugno, cercò di rilassarsi. Controllare le proprie emozioni era un'arte che aveva imparato bene nell'ultimo decennio. Se ne era capace per il suo lavoro, quando doveva descrivere le carestie, gli orrori delle guerre, le sofferenze 23


degli altri esseri umani, poteva farlo altrettanto bene per quanto lo riguardava. I suoi sentimenti per Faith erano stati sentimenti da adolescente. Adesso era un uomo e lei, come Quiet Valley, faceva parte di un'epoca passata. Aveva viaggiato da un continente all'altro proprio per provarlo. Voltandosi, tornò in macchina e iniziò la discesa. Da lontano, la cittadina gli era sembrata come uscita da una cartolina illustrata, racchiusa fra le montagne e il bosco, ma mentre si avvicinava gli parve tutto un po' meno idilliaco. Alcune case mostravano segni evidenti di decadimento, con la vernice scrostata e le staccionate piegate sotto il peso della neve, altre sorgevano dove una volta c'erano i campi. Quanti cambiamenti, si disse, anche se poi ricordò che se li era aspettati. Il fumo usciva dai camini, bambini e cani giocavano nella neve. Un'occhiata all'orologio gli rammentò che erano le tre passate, la scuola era finita e lui stava viaggiando da quasi quindici ore. La cosa più saggia da fare era vedere se l'unico albergo della cittadina fosse ancora aperto e prenotarsi una stanza. Sorrise. Chissà se il vecchio signor Beantree ne era ancora il gestore. Non riusciva a ricordare quante volte quell'uomo gli aveva detto che era un buono a nulla, che avrebbe combinato solo guai. Adesso aveva vinto un premio Pulitzer e un Overseas Press Award per dimostrargli il contrario. Ma forse il vecchio albergatore non sapeva neanche che valore avesse l'Overseas Press Award, il premio per i giornalisti americani che si distinguevano per corrispondenze dall'estero di particolare importanza. Le case cominciavano a raggrupparsi e lui le riconobbe. La casa dei Bradford, quella di Tim Hawkin, la 24


casa della vedova Marchant! Rallentò passando davanti a quest'ultima e si rallegrò, sentendosi uno stupido nel notare che lei non aveva cambiato il colore delle imposte. E il cespuglio di pungitopo nel giardinetto era sempre coperto dai nastri rossi. Era stata buona con lui. Jason non aveva dimenticato tutte le volte che gli aveva preparato la cioccolata calda ed era stata ad ascoltarlo per ore mentre lui le parlava dei viaggi che avrebbe fatto, dei posti che avrebbe visto. Aveva settant'anni quando lui era partito, ma era di ceppo robusto, come le piante della zona. Pensò che forse l'avrebbe trovata nella cucina a riempire la stufa di legna e ad ascoltare un disco di Rachmaninov. Le strade erano ordinate e pulite, come la gente del posto, persone solide come le rocce sulle quali si erano insediate tante generazioni prima. Il negozio di ferramenta di Railing era sempre lì all'angolo con Main Street, e l'ufficio postale occupava ancora l'edificio di mattoni non più grande di un garage. Le ghirlande rosse andavano da un lampione all'altro; forse erano le stesse che venivano messe ogni Natale durante la sua infanzia. Alcuni bambini stavano realizzando un pupazzo di neve davanti al negozio di Linter. I bambini di chi?, si chiese. Si scoprì a osservare quei berretti colorati, sapendo che ognuno dei loro proprietari poteva essere il figlio di Faith. Sentì la rabbia montargli dentro e guardò da un'altra parte. L'insegna dell'albergo era stata ridipinta, ma nient'altro della palazzina a tre piani era cambiato. Il vialetto era stato spalato e i camini fumavano. Jason stava per entrare a prenotare una camera, ma si 25


trattenne. C'era qualcosa che non lo convinceva. Non era quello il posto giusto dove soggiornare. L'albergo si trovava agli inizi del paese, vicino alla stazione. Niente di male, però... lui voleva sentirsi nel cuore del centro abitato, tanto per immergersi completamente nella vita della sua gente. Quello era il motivo ufficiale, almeno. L'altra ragione, la più autentica, consisteva nel fatto che nel centro del paese si trovava la casa di Faith. Jason non lo avrebbe mai confessato, forse non se ne rendeva nemmeno conto lui stesso, ma quello che sognava era sistemarsi in un punto strategico, vicino a casa di lei, tanto per poterla spiare qualche volta mentre usciva. Era una magra consolazione, ma meglio di niente... Invece di entrare in albergo tornò sui suoi passi, prese le debite informazioni e venne a sapere che all'inizio di Main Street c'era un'anziana signora che affittava camere. Non era del posto, perché aveva ereditato la casa cinque anni prima da un lontano cugino, e anche questo deponeva a suo favore, pensò Jason. La donna non lo conosceva, era un'estranea, quindi non lo avrebbe tormentato con domande personali. C'era un unico problema: affittava stanze solo a persone super referenziate, e lui non aveva voglia di referenziarsi. Almeno dove dormiva, desiderava l'anonimato. Così raggiunse la villetta, che aveva un aspetto lindo e curato, suonò il campanello e si stampò in faccia l'aria del bravo ragazzo. Fece capolino sulla soglia un viso rugoso con due occhi ai quali sembrava non sfuggire nulla. «Buongiorno, signora. Mi hanno detto che lei ha delle camere da affittare e vorrei...» 26


«Chi gliel'ha detto?» «Qualcuno, in paese.» «Qualcuno chi?» «Non so, non sono del posto. Ho chiesto in giro e...» La donna brontolò qualcosa e accennò a richiudergli la porta in faccia, ma lui la bloccò. «Aspetti, non mi dica di no. Ho bisogno di assoluta tranquillità per continuare le mie ricerche e non posso certo andare in albergo. Una stanza da lei sarebbe l'ideale» aggiunse Jason, e istintivamente sbirciò con la coda dell'occhio in fondo a Main Street. La donna aprì di più la porta, senza smettere di fissarlo. «Ricerche? Ricerche di che tipo?» «Sono uno studioso e sto svolgendo un'indagine sui mutamenti nell'assetto territoriale nella provincia americana fra gli anni Settanta e Ottanta» dichiarò lui tutto d'un fiato, senza battere ciglio. Si era preparato la battuta pochi minuti prima e sperava che la Cultura con la C maiuscola mettesse ancora soggezione. Non si sbagliava. Per nessuna ragione al mondo la padrona di casa avrebbe sbattuto la porta in faccia a uno studioso. «Può darsi che abbia una camera, sì. Lei fuma?» «No.» «Beve?» «Nemmeno.» «E... quanto a compagnie?» «Zero.» «Venga dentro. Le mostro la stanza. Si è liberata da poco.» Dopo qualche minuto, Jason si trovò in una camera piccola e spoglia, ma accogliente. Il mobilio era ridotto 27


all'essenziale, un letto con la testata in ferro battuto, un armadio, una cassettiera, una sedia impagliata, ma quell'ambiente così spartano era ciò che ci voleva: gli sembrava quasi di essere nella cella di un convento. Lì avrebbe potuto riflettere, fare il punto della situazione. Forse avrebbe capito che cosa gli stava succedendo. E poi, quel posto non aveva né l'aria asettica delle stanze d'albergo, né quella deprimente delle sistemazioni di fortuna. E la sua vita, da dieci anni a quella parte, era stata un alternarsi di alberghi e di topaie. Inoltre... la finestra! Appena era entrato lì dentro, era stato attratto irresistibilmente dalla piccola finestra che dava su Main Street, la via principale di Quiet Valley, l'arteria dove pulsava la vita della cittadina, il palcoscenico dove... No, l'immagine del palcoscenico non gli piaceva. Implicava che lui avesse il ruolo di spettatore e, chissà perché, da qualche tempo a Jason quel ruolo andava stretto. Avrebbe forse desiderato salire su quel palcoscenico, essere riconosciuto come membro effettivo della compagnia? Non lo sapeva ancora con chiarezza e non intendeva pensarci in quel momento. Sistemò in fretta i bagagli e scese a pianterreno, dove incrociò la signorina Murphy, la padrona di casa. «Mi può dare la sua carta di identità, per la registrazione?» «Certo, signorina, subito.» «Quanto tempo si ferma?» Lui non ci aveva riflettuto ed ebbe un attimo di esitazione. «Diciamo... un paio di settimane. Va bene?» La donna corrugò la fronte e socchiuse gli occhi per studiarlo meglio. 28


La promessa di Natale di Susan Mallery Quando erano ragazzi, Molly non poteva fare a meno di aiutare Dylan Black, il cattivo ragazzo che però aveva occhi solo per sua sorella maggiore. Nel momento in cui le cose tra loro non hanno funzionato, lui ha salutato anche Molly, con la promessa che una volta cresciuti avrebbero avuto la loro avventura. Anni dopo...

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