ANNE GRACIE
Un ricatto fortunato
Sfondo dell'immagine di copertina: Bastan/iStock/Getty Images Plus/Getty Images Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Scoundrel's Daughter This edition published by arrangement with The Berkley Publishing Group, an imprint of Penguin Publishing Group, a division of Penguin Random House LLC © 2021 Anne Gracie Traduzione di Gabriella Parisi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2022 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici gennaio 2022 Questo volume è stato stampato nel dicembre 2021 da CPI Black Print, Spagna, utilizzando elettricità rinnovabile al 100% I GRANDI ROMANZI STORICI ISSN 1122 - 5410 Periodico settimanale n. 1288 dello 05/01/2022 Direttore responsabile: Sabrina Annoni Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distribuzione canale Edicole Italia: m-dis Distribuzione Media S.p.A. Via Carlo Cazzaniga, 19 - 20132 Milano HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano
Dedica
Alla mia collega di scrittura di vecchia data, Alison Reynolds. Mille grazie per l'amicizia, il sostegno, l'incoraggiamento, il divertimento e i fiori.
Prologo
Stava facendo un ottimo tempo. Gerald Paton, Visconte Thornton, si guardò indietro e sorrise. Nessuna traccia di Brexton, il rivale. I suoi cavalli rallentarono a stento l'andatura mentre passava attraverso gli stretti parapetti di pietra del ponte e svoltava di volata l'angolo. Erano splendidi galoppatori, che ben valevano la somma che aveva speso per loro. Tirò fuori l'orologio, lo aprì con uno scatto e controllò il tempo. Tre ore e mezzo. Non avrebbe soltanto vinto la gara e duecento ghinee, avrebbe potuto addirittura battere il primato del Principe Reggente... Che diamine? Una grossa oca bianca era ferma in mezzo alla strada. Imprecando, tirò le redini. I suoi cavalli frenarono all'istante, ma anche così sembrò che quel dannato volatile non avrebbe visto un'altra alba. Non che avrebbe rimpianto la perdita di un'oca, ma i suoi cavalli avrebbero trovato particolarmente sconvolgente travolgerla. Una ragazza si precipitò in strada e sollevò tra le braccia l'uccello. E poi rimase ferma a fissarlo. «Toglietevi di mezzo!» gridò Gerald. La ragazza non si mosse, si limitò a restare lì con l'oca tra le braccia e a fissarlo con aria di sfida. Lui strinse le redini e tirò il freno. Il veicolo sbandò sulla destra. Si sollevò un turbine di polvere, l'oca sbatté le ali e starnazzò e i suoi 7
cavalli sgropparono e sbuffarono. Le ruote del calesse urtarono e grattarono contro il muro di un edificio vicino. E si bloccarono a qualche pollice da quella disgraziata con la sua maledetta oca. «Via da questa dannata strada!» ringhiò. «Non vi rendete conto, stupida donna, che avreste potuto essere uccisa?» «Sì, e di chi sarebbe stata la colpa?» ribatté lei. «Non avevate intenzione di fermarvi, vero?» «Sciocchezze, avevo rallentato. Se quel dannato pennuto avesse avuto un po' di buonsenso, si sarebbe spostato...» «Chi credete di essere? Questo è il nostro villaggio. Non avete alcun diritto di attraversarlo a rotta di collo. E se ci fosse stato un bambino per la strada? Cosa avreste fatto? Avreste travolto senza problemi anche lui?» «Certo che no! Non è evidente che stessi rallentando... persino per quella dannata oca? Adesso spostatevi!» «Non imprecate contro Ghislaine.» Ghislaine? Che nome ridicolo per una servetta, una contadinella o quel che era. «Maledizione, Ghislaine, toglietevi di mezzo. Sto facendo una gara.» In quel momento, udì il rumore di cavalli che si avvicinavano. «Che la peste colga la vostra stupida gara. E Ghislaine è l'oca. È un'oca molto speciale, vero, Ghislaine?» Accarezzò il collo dell'uccello, sperando di calmarlo. «Non mi interessa che razza d'oca siate voi o lei» ruggì il visconte. «Toglietevi da questa maledetta strada e lasciatemi passare!» Ma era troppo tardi. Brexton arrivò di corsa dietro di lui e lo superò a velocità sostenuta passando a pochi pollici di distanza, le ruote che quasi sfioravano quelle di Gerald. «Ti stai intrattenendo con le bellezze del villaggio, Thornton? Peggio per te. Ci vediamo a Brighton!» gridò Brexton. La sua risata risuonò dietro di lui mentre si allontanava fuori dalla visuale. Un'ottima prova di guida, a quanto Gerald poté constatare, e questo lo mise di un umore persino peggiore. 8
«Ecco, guardate cosa avete fatto!» sbottò contro la ragazza. Lei si allontanò dalla strada. «Pfui! Tutto questo trambusto per una stupida corsa? Uomini come voi...» Gerald non attese di sentire il resto della frase. Schioccò le redini e il suo calesse partì. Lucy Bamber ritornò verso casa della comtesse. Sorrise tra sé e sé al ricordo dell'espressione indignata dello sconosciuto. «Gliel'abbiamo fatta vedere, vero, Ghislaine?» Ne aveva fin sopra i capelli degli uomini, soprattutto dei nobili altezzosi che pensavano di essere padroni del mondo. Ne aveva incontrati a sufficienza a casa della comtesse. Svoltò l'angolo e si fermò di colpo. Fuori dalla casa della comtesse sostava una carrozza da viaggio impolverata. Un'altra. Il suo primo istinto fu di nascondersi fino a quando il visitatore fosse andato via, ma dopo un attimo di riflessione cambiò idea. Gli ospiti della comtesse a volte si trattenevano per giorni. E alla comtesse sarebbe servito che lei fungesse o da charmante invitée o da cameriera, a seconda di ciò che l'anziana signora reputava appropriato. Visto l'aspetto attuale di Lucy, che indossava un vecchio abito con un grembiule e aveva i capelli sciolti e spettinati, era probabile che sarebbe stata la cameriera. Il che significava che avrebbe dovuto difendersi dalle mani morte per tutta la durata del soggiorno del visitatore. Non che recitare la parte dell'ospite affascinante fosse molto diverso, solo che in quel caso i tentativi di allungare le mani erano più subdoli. I cosiddetti gentiluomini eleganti... li disprezzava tutti. Aprì il cancello e mise giù Ghislaine, si tolse il grembiule, si spazzolò l'abito, da cui tolse una o due piume d'oca, si raccolse i capelli indietro in uno chignon ordinato – si era sciolto mentre inseguiva Ghislaine – ed entrò in casa. La porta del salotto era socchiusa e lei si fermò per sbirciare all'interno. «Est-ce vous, Lucille?» chiese la comtesse. «Entrez.» Santo cielo, l'anziana signora era di malumore. 9
Lucy obbedì con riluttanza. Un gentiluomo era fermo davanti al fuoco, la schiena rivolta alla porta. La comtesse era distesa sulla chaise longue, un fazzoletto imbevuto di acqua di Colonia – Lucy ne avvertì l'odore sin dalla soglia – premuto contro la fronte. Non era un buon segno. «Madame?» chiese. Il gentiluomo si girò e Lucy rimase a bocca aperta. «Papà?» Non lo vedeva né aveva sue notizie da più di un anno. Lui non disse nulla, limitandosi a esaminarla da capo a piedi con espressione accigliata, come se fosse contrariato dal suo aspetto. Quindi serrò le labbra e annuì con fare brusco. «È giunto il momento di sposarti, Lucy. Prepara i bagagli, siamo in partenza.»
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Londra, 1818 Finalmente sapeva come utilizzare il centrotavola. Alice, Lady Charlton – la vedova Lady Charlton, sebbene non avesse né gli anni né i vantaggi della maggior parte delle vedove – sfregò per un'ultima volta il grande centrotavola d'argento, che era molto brutto ma di grande valore. Lo aveva sempre odiato, non semplicemente perché era orribile, bensì perché sua cognata, Almeria, che l'aveva detestata fin dal principio, glielo aveva regalato come dono di nozze. Alice riteneva che fosse il regalo costoso più brutto che Almeria potesse trovare. Ora Alice avrebbe venduto quell'orrendo oggetto. Un gesto appropriato per celebrare la fine dei suoi problemi. Diciotto mesi dopo la morte di suo marito Thaddeus, il flusso cospicuo di debiti si era – finalmente! – ridotto a un rivolo. Alice aveva quasi spogliato di ogni arredo la sua casa per pagarli, e adesso si sentiva fiduciosa, quasi felice. Come sarebbe stato vivere libera dai creditori? Non sapeva davvero come voleva che fosse la sua vita. Be', sì, lo sapeva in effetti, ma il cielo le aveva negato quella gioia. E adesso doveva guardare al suo futuro e decidere come voleva vivere. Perlomeno era sicura di avere un posto in cui abitare grazie a sua nonna, che le aveva la11
sciato quella casa a Londra. Una presenza sulla porta catturò la sua attenzione. «Sì, Tweed, che cosa c'è?» Lo sguardo addolorato dell'anziano maggiordomo al suo grembiule e ai vecchi guanti di cotone macchiati rivelava senza ombra di dubbio la sua profonda disapprovazione. «Milady, non dovreste svolgere compiti umili come questo. Pulire l'argento è un lavoro sporco.» «Lo è di certo» convenne allegra Alice. Avevano intrattenuto diverse volte quella discussione, tuttavia non c'era altra scelta. «E sono lieta di dirvi che ho finito in questo preciso momento.» Posò il centrotavola accanto al resto dell'argento che voleva vendere e si appoggiò allo schienale. «Volevate qualcosa, Tweed?» «C'è una persona alla porta, milady. Insiste per parlarvi.» Alice aggrottò le sopracciglia. «Una persona? Insiste?» Tweed aveva elaborato un vocabolario molto preciso per definire i visitatori, una combinazione di parole e di tono. Una persona era molto in basso nella classifica del maggiordomo e si riferiva a un genere di visitatore che di solito mandava via. «Non gli avete detto che non c'ero?» Tweed assunse una vaga aria contrita. «È la terza volta che viene a trovarvi.» Le presentò un biglietto da visita su un vassoio d'argento. «Un certo Octavius Bamber, milady.» Alice prese il biglietto. Octavius Bamber? Non lo aveva mai sentito nominare. «Non sarà un altro esattore di debiti, mi auguro.» Aveva sperato di non doverne incontrare mai più. Ma no, Tweed sapeva di doverli indirizzare all'incaricato d'affari del suo defunto marito. «No... almeno, non credo. Ma c'è... qualcosa.» Tweed esitò, poi aggiunse: «Non è un gentiluomo, milady, e qualcosa che ha appena detto mi ha messo a disagio. Credo sia saggio che ascoltiate ciò che ha da dire». L'istinto di Tweed era di solito buono. Era stato per secoli il maggiordomo di sua nonna e conosceva Alice da quando era una bambina. Se riteneva che dovesse incontra12
re quell'uomo – dopo averlo mandato via per due volte – avrebbe seguito il suo consiglio. «D'accordo, parlerò con lui nel salotto sul davanti.» Si tolse il grembiule e i guanti, si lisciò l'abito, si sistemò i capelli e scese al piano di sotto. Entrò nel salotto in silenzio e si fermò di scatto, stupefatta. Octavius Bamber, la schiena rivolta alla porta, stava osservando il contenuto della stanza come un... ufficiale giudiziario. Sollevava suppellettili, le scrutava, le rimetteva a posto e proseguiva, proprio come se avesse ogni diritto di curiosare tra i suoi beni. Esaminò la firma su uno dei dipinti e grattò la cornice dorata, presumibilmente per saggiare la foglia d'oro. Alice si schiarì la voce e lui si girò. E la squadrò con lo sguardo più o meno nello stesso modo in cui aveva valutato gli oggetti, come se stesse calcolando il suo valore. Una contessa vedova, leggermente usata, non particolarmente bella. Alice si irrigidì. «Allora, Lady Charlton, finalmente vi siete degnata di ricevermi.» Per nulla imbarazzato nell'essere stato scoperto a ficcanasare, rimise giù la statuetta di giada che stava vagliando, attraversò la stanza e le porse la mano. «Era ora. Octavius Bamber, al vostro servizio.» Ignorando il gesto, Alice si limitò a un gelido cenno col capo. Le signore non stringevano le mani, soprattutto non a gentiluomini sconosciuti, e quell'uomo l'aveva già infastidita. Chi era e cosa voleva? Non lo aveva mai visto in vita sua. Di altezza media, era più prossimo ai cinquanta che ai quarant'anni ed era vestito con abiti costosi, anche se non con particolare buongusto, con calzoni aderenti, un panciotto con un motivo fiorito, una camicia con le ruches e una giacca stretta verde bottiglia. Una gran quantità di ciondoli vistosi era appesa alla catena d'oro del suo orologio e indossava diversi anelli larghi e brillanti. La rada chioma grigia era arricciata in modo elaborato e puzzava di pomata per capelli. «Non vi piace stringere la mano a un tipo come me, 13
eh?» Scrollò le spalle. «Non importa. Non mi dispiace un po' di alterigia. Quando proviene da un vero nobile, cioè. E voi siete un articolo autentico, vero, milady? Vedova di un conte e nipote di un altro.» Alice non rispose. Era evidente che lui conoscesse qualcosa del suo ambiente, ma non erano certo affari suoi. Inoltre, era irrilevante. Senza essere invitato, l'uomo si sedette al centro del divano, accavallò le gambe e si appoggiò allo schienale, le braccia distese lungo la spalliera, del tutto a suo agio. Con lo sguardo passò in esame la stanza. «Vedo che non avete venduto ancora tutte le vostre cosette. Quanto tempo valutate di avere prima di finire tutto il denaro?» Ignorando la sua impertinenza, Alice chiese brusca: «Lo scopo della vostra visita, signore?». Sorprendendola, l'uomo ridacchiò. «Vi piace arrivare dritta al punto, eh, milady? Be', non mi dispiace, non mi infastidisce neanche che mi guardiate dall'alto in basso. La situazione cambierà presto. Mi sarete grata che io sia venuto.» Le rivolse uno sguardo d'intesa, che di colpo si indurì. «Ho affari di cui discutere.» «Se sono affari, sottoponeteli all'incaricato d'affari di mio marito.» «Oh, ma non si tratta di quel genere di affari, milady. Questi sono più... personali» affermò, mentre il sorriso si allargava. «Allora esponeteli in fretta e poi andate via» ribatté Alice, sperando che il suo nervosismo non fosse visibile. Dopo diciotto mesi credeva di aver superato il caos che Thaddeus aveva lasciato dopo la sua morte. A quanto pareva, non era così. L'uomo tirò fuori un pacchetto di lettere ripiegate e legate con un nastro color pulce, lo posò sul tavolino basso tra loro e si appoggiò di nuovo allo schienale con un sorrisetto compiaciuto. Alice aggrottò la fronte. «Cosa sono?» Non sembravano conti da pagare. 14
«Sapete benissimo cosa sono, milady. Le lettere di vostro marito.» Alice scrollò le spalle, fingendo indifferenza. «Mio marito scriveva molte lettere.» «Ah, ma queste sono lettere d'amore. A Mrs. Jennings.» Un brivido percorse la schiena di Alice. «A chi?» riuscì a domandare. Ma Bamber non si lasciò ingannare. «Su, su, Vostra Signoria, non c'è motivo che fingiate di non riconoscere il nome dell'amante di vostro marito. Lui le fu molto fedele. Vent'anni e più di scambi epistolari.» Vent'anni. Più del loro matrimonio. «E la più recente, scritta appena pochi giorni prima che morisse.» L'uomo le rivolse l'occhiata di chi sapeva come – e nel letto di chi – era morto suo marito. Suo cognato Edmund, il nuovo conte, aveva cercato di mettere a tacere le voci, ma quando qualcuno sapeva, Alice riusciva a leggerglielo negli occhi. Bamber si sporse in avanti, sciolse il nastro, sfogliò le lettere con dimestichezza e ne tirò fuori una. «Questa è una delle più vecchie. Date un'occhiata. Menziona voi; lo fanno in molte, in effetti. Vedete se vi suscitano qualche ricordo» disse porgendogliela. Alice non voleva toccare quella squallida missiva, voleva afferrare quella e tutte le altre e gettarle nel fuoco senza leggerle, ma il dannoso impulso di sapere, di rigirare il coltello nella piaga, le fece allungare la mano e prendere la lettera che le veniva porta. La dischiuse piano. La grafia di Thaddeus, grande e marcata, occupava il foglio. Alcune frasi le balzarono subito agli occhi... La mia noiosa sposa vergine... fredda come un pesce e quasi altrettanto attraente... La bile le risalì lungo la gola. Santo cielo, era la descrizione della loro prima notte di nozze. Con i più orribili dettagli. Si prendeva gioco dell'ignoranza e dell'inesperienza della sua sposa... con la sua amante. Alice accartocciò la lettera tra le dita intorpidite. «Dove...» 15
Bamber le mise davanti un'altra lettera, e poi un'altra e un'altra ancora, lasciandole appena il tempo di dare un'occhiata – e trasalire – al contenuto, prima di posare un altro foglio sulla pila crescente. Frasi spregevoli, beffarde, la ferirono, mettendo a dura prova la sua compostezza. I momenti più dolorosi e umilianti della sua vita erano esposti lì, in modo che tutti potessero vederli, nero su bianco, descritti con lo stile spietato e incisivo di Thaddeus. La pila crebbe finché Alice non poté più sopportare di leggere. Nauseata, le spinse via e si appoggiò allo schienale della sedia. «Dove le avete prese?» chiese con voce roca. «Le ho comprate dalla donna in questione. Mi sono costate una bella sommetta, devo dire.» Alice non commentò. Era annichilita dallo sgomento e dal disgusto. «Ci sapeva fare con le parole, vostro marito.» Bamber la osservò meditabondo. «I dettagli sono piuttosto... succulenti.» Alice deglutì. L'uomo batté la mano sulla pila di lettere e disse allegro: «Un uomo sgradevole, vero?». Con disgusto, Alice fissò la spessa pila di lettere sotto la mano grassoccia di Bamber. L'opinione che Thaddeus aveva di sua moglie era solo peggiorata col tempo. «Cosa volete?» Di quanto denaro si sarebbe trattato? Avrebbe dovuto vendere la casa, dopotutto. L'uomo sorrise e annuì, come se fosse compiaciuto della sua schiettezza. «Voglio che facciate debuttare mia figlia.» La proposta era così lontana da ciò che si era aspettata che le ci volle un attimo per comprendere ciò che aveva appena sentito. «Debuttare?» «Certo. Nel ton, naturalmente. La porterete a balli e roba simile, la presenterete a tutti gli aristocratici.» Alice lo fissò con sguardo vuoto. «Perché?» «Voglio che sposi un nobile.» «Quale nobile?» domandò Alice con voce flebile. 16
«Non mi interessa, purché sia nobile. Mi piacerebbe che mio nipote avesse un titolo. Lucy non è una bellezza, ma sa come comportarsi, e con il vostro patrocinio...» Si appoggiò alla spalliera, accavallò le gambe e la guardo compiaciuto. Alice scosse il capo, la mente intorpidita e allo stesso tempo confusa da un turbine di pensieri. Quell'uomo non aveva idea di cosa le stesse chiedendo. «Mi dispiace, ma...» «Sono sicuro che il ton andrebbe pazzo per queste lettere, Lady Charlton» la interruppe con voce melliflua. «Potrei guadagnare una bella sommetta pubblicandole. Sono piuttosto spinte, e non solo nelle parti in cui parla delle molte attrattive di Mrs. Jennings. C'è molto anche su di voi. Non cose così piccanti, ma... comunque interessanti.» Alice sentì un fiotto di bile salirle in gola. Lo ingoiò. Bamber continuò. «Vostro marito ha lasciato la sua amante piuttosto benestante, vero?» Scoccò un'occhiata significativa alla stanza. «Lei non sta vendendo quadri e oggetti preziosi. Non ha bisogno di denaro e non aveva intenzione di vendere le lettere... finché non ho menzionato la possibilità di pubblicarle. Quel pensiero l'ha alquanto eccitata.» Fece una pausa per lasciare che comprendesse il messaggio. «Ce l'ha davvero con voi, eh, Vostra Signoria?» Era vero. Mrs. Jennings era la figlia di un macellaio e la vedova di un tagliapietre. Thaddeus avrebbe voluto sposarla, ma suo padre, il vecchio conte, era stato oltraggiato all'idea e aveva insistito perché scegliesse una moglie aristocratica – una giovane pura che gli avrebbe dato un erede – o lo avrebbe diseredato e lasciato senza un penny. Per quanto Thaddeus potesse amare la sua amante, venerava il denaro ancor di più. Per quel motivo, Mrs. Jennings aveva sempre odiato Alice. Vostro marito ha lasciato la sua amante piuttosto benestante. E per tutto quel tempo, la legittima consorte di Thaddeus aveva combattuto con i debiti, risultato della sua trascuratezza e dell'irresponsabilità finanziaria. Più di una 17
volta, Alice si era trovata sull'orlo della rovina, ma era sempre riuscita a cavarsela, aveva preso accordi e aveva trovato qualcosa da vendere. E finalmente si era quasi liberata dai debiti. Ora nulla di tutto ciò avrebbe avuto importanza. Quell'uomo terribile e il suo pacco di lettere ignobili l'avrebbero spinta verso un tipo diverso di rovina. L'uomo le rivolse un lungo sguardo riflessivo, prima di aggiungere con disinvoltura: «Ai vostri amici in società non farebbe piacere leggere queste lettere? Tutti quei dettagli affascinanti, intimi, espliciti». Lo stomaco le si rimestò. Sì, ne sarebbero stati deliziati. Alice non sarebbe riuscita più a guardare in faccia nessuno. «Ma se accetterete di patrocinare mia figlia in società e di aiutarla a trovare un nobile da sposare, nessuno lo saprà mai.» Alice rimase senza fiato. Diceva davvero? Le avrebbe dato le lettere? Senza pubblicarle? «Cosa intendete?» «Il giorno in cui mia figlia sposerà un aristocratico, ve le consegnerò senza problemi. Potrete bruciarle o farne quel che vorrete.» Il cuore le sprofondò. Per quanto disperatamente volesse quelle lettere, con tutta la buona volontà del mondo quello che lui le chiedeva era impossibile. Aprì la bocca per spiegargli le sue ragioni, ma le parole che lui pronunciò in quel momento le tolsero il fiato. «So che è costoso presentare in società una signorina, ma coprirò tutte le spese.» Tirò fuori uno spesso mazzo di banconote e le allungò sul tavolo. «Queste sono per il suo vitto e l'alloggio.» Quindi posò un altro fascio sulle altre. «Queste per i suoi abiti, da una sarta d'alta classe, sia ben chiaro. Il vestito speciale per la presentazione a corte...» La presentazione a corte? Solo le ragazze di nascita impeccabile venivano presentate a corte. «Questo è del tutto fuori disc...» «Questi per le scarpe, i ventagli, gli scialli e tutti gli altri fronzoli che servono a una signora. E, naturalmente, pa18
gherò anche un compenso per le vostre spese.» Con un'occhiata sprezzante al suo vestito posò sul mucchio l'ultimo mazzo di banconote con un gesto plateale. «Non posso permettere che la patronessa di mia figlia abbia un aspetto trasandato, no?» Alice strabuzzò gli occhi. Non aveva mai visto tanto denaro in vita sua. Ma ciò che lui le chiedeva era assurdo. «Vi ho detto...» «Naturalmente, una volta che sarà sposata, oltre alle lettere, avrete una gratifica a seconda... Voglio un vero nobile, sia ben chiaro. Un duca sarebbe meglio, però non ce ne sono troppi in giro, quindi andrà bene anche un po' più in giù. Ma non mi accontenterò di nulla di meno di un baronetto. Mio nipote avrà un titolo, non ci sono santi che tengano.» Rilassandosi di nuovo contro lo schienale, la guardò compiaciuto. «Sono stato chiaro, milady?» Alice non poté negarlo. Solo che lui parlava di comprare un marito nobile come se si trattasse di scegliere cavoli al mercato. «Mr. Bamber, anche se accettassi di fare quello che mi avete chiesto, la buona società non funziona così.» L'uomo sbuffò dal naso. «Ma certo che funziona così. Il denaro parla agli aristocratici proprio come fa con chiunque altro.» Alice fissò la pila di banconote con rammarico. Era un'ironia che, dopo tutte le economie che aveva dovuto fare dalla morte di Thaddeus, dovesse rifiutare l'offerta di un'enorme somma di denaro. Ma i soldi non erano più la sua priorità. Le lettere erano l'unica cosa che contava in quel momento, e lei avrebbe fatto qualunque cosa per averle. Quell'uomo, però, non sapeva cosa le stava chiedendo. Come poteva farglielo capire? Il ton era esclusivo, il che significava che i suoi membri si impegnavano attivamente per escludere la gente. L'inserimento ai livelli più alti della società non veniva concesso alle persone ricche; era tutta una questione di nascita e di educazione. Legami familiari. Appartenenza. La figlia di un povero parroco con un'ascendenza aristocratica era la benvenuta, mentre la figlia di 19
un uomo ricco senza un particolare lignaggio sarebbe stata rigorosamente esclusa. C'erano centinaia di regole non scritte concepite di proposito per mantenere fuori persone come quell'uomo e sua figlia. «Mi dispiace, ma non è proprio possibile.» Il tono amichevole di Mr. Bamber divenne freddo. «Credo che scoprirete che è possibile, milady. Persino desiderabile. Sempre che vogliate tenere ancora la testa alta in società.» Legò di nuovo il nastro attorno alle lettere chiudendolo con un bel fiocco, e le ripose nella tasca interna della giacca. Indicò col capo la lettera che Alice stringeva senza accorgersene tra le dita. «Quella potete tenerla come promemoria di ciò che c'è in ballo.» Con il cuore pesante, sapendo di decretare la sua stessa rovina, si costrinse a spiegare. «In società – la società in cui mi muovo, cioè – tutti conoscono tutti, o sanno chi sono. Di solito è una madre, una nonna, una zia o qualche parente a patrocinare una giovane nel debutto. Come potrei spiegare l'improvvisa apparizione di vostra figlia?» Bamber scrollò le spalle. «Dite che è una specie di cugina.» Alice considerò l'idea per mezzo minuto, poi scosse il capo. «No, non funzionerebbe.» Lui aprì la bocca per obiettare, ma lei fu più rapida. «I miei genitori erano poveri, ma la mia ascendenza da entrambe le parti risale alla Conquista. Di conseguenza, sono imparentata con metà del ton, e mio marito era imparentato con l'altra metà. Le persone in società conoscono i miei legami familiari, fino ai cugini di secondo, terzo grado e oltre. Se dichiarassi di essere imparentata con vostra figlia, una dozzina di vecchie matrone si incaricherebbe di tracciare il nostro albero genealogico per scoprire come siamo imparentate. Verrebbe individuata subito come un'impostora.» E sia lei che sua figlia sarebbero cadute in disgrazia. Anche se non quanto sarebbe capitato a lei se fossero state rese pubbliche quelle lettere. Aggrottando la fronte, Bamber si alzò e prese a cammi20
nare avanti e indietro per la stanza. Alice scoccò un'occhiata all'attizzatoio appeso accanto al fuoco, e per un istante un pensiero folle le attraversò la mente. Ma non poteva farlo. L'uomo si fermò, fissando intensamente una pastorella di porcellana, poi si girò, un'espressione di trionfo sul viso. «Dite che siete la sua madrina, allora.» Si lasciò cadere di nuovo sul divano. Alice lo fissò. «Ma non lo sono.» «Non c'è bisogno che le vecchie megere lo sappiano.» Lei ci pensò per un attimo, poi, con rammarico, scosse di nuovo il capo. «Non funzionerebbe neanche così. Sono una bugiarda terribile.» Era vero anche quello, e lui sembrò leggerlo nella sua espressione. Bamber rimase in silenzio, gli occhi socchiusi mentre valutava il problema. All'improvviso il suo viso si illuminò e schioccò le dita. «Allora faremo in modo che non sia una bugia.» Alice sbatté le palpebre. «Come?» «La faremo battezzare e voi sarete la sua madrina.» «Non è mai stata battezzata?» Bamber scrollò le spalle. «Non ne ho idea. Ho lasciato quel genere di cose a sua madre, pace all'anima sua. Ma se così fosse, non abbiamo alcuna prova al riguardo.» Raccolse la pila di banconote e le maneggiò come un mazzo di carte. «Allora, mia cara signora, accettate? O mi porto via il mio denaro e lasciamo che la società sbavi sulle lettere di vostro marito?» La calma spregiudicatezza di quell'uomo era agghiacciante. Era possibile che quel folle schema avesse successo? Lasciamo che la società sbavi. Quelle parole si insinuarono come acido nel suo cervello. Aveva altra scelta? Sperando di prendere tempo per digerire la situazione, Alice disse: «Io... devo incontrare vostra figlia prima». «È presto detto. L'ho portata con me.» Si alzò, spalancò la porta e sporse fuori il capo. «Ehi, voi, maggiordomo!» lo chiamò schioccando le dita impaziente. 21
Tweed camminò verso la porta, trasudando oltraggio. Ignorando di proposito Bamber, guardò Alice. «C'è qualcosa di cui avete bisogno, milady?» Bamber schioccò di nuovo le dita, trattando il maggiordomo come il cameriere di un'infima taverna. «Qui fuori c'è la mia carrozza con mia figlia. Fatela venire qui.» Tweed non diede alcun segno di averlo udito. Si limitò a guardare Alice e ad aspettare. Lei annuì. «Sì, per piacere, chiedete alla signorina di entrare, Tweed.» «Benissimo, milady.» Uscì a grandi falcate. «Che tipo insolente» commentò Bamber. «Non gliela farei passare liscia con quel genere di comportamento se fossi in voi, milady.» Alice scacciò via l'irritazione. «Tweed è al servizio della mia famiglia da sempre.» L'uomo emise un verso di scherno. «E si vede. Avete bisogno di trattare i servitori in modo più severo, milady, dimostrare loro chi comanda. Se quel tipo fosse il mio maggiordomo...» «Ma non lo è» lo interruppe Alice con decisione. Sedettero in silenzio finché Tweed non fece entrare una giovane di diciotto o diciannove anni. Un po' paffuta, era vestita con un abito rosa dall'aspetto costoso e pieno di fronzoli, che, agli occhi di Alice, non le donava affatto. I capelli castano chiaro erano acconciati in una massa di riccioli rigidi e un filo di perle inverosimili era avvolto diverse volte attorno al suo collo. La sua carnagione era gradevole e i suoi occhi erano di un bel color nocciola, incorniciati da lunghe ciglia scure. Come aveva detto il padre, non era una bellezza, ma era attraente, o lo sarebbe stata se si fosse vestita meglio. La ragazza rimase rigida sulla soglia. La sua espressione era impacciata, ma in qualche modo aveva un accenno di... testardaggine? Non fece alcun gesto per ingraziarsi Alice, non la guardò neanche, si limitò a fissare la finestra, come desiderando di trovarsi altrove. Per una fanciulla che avrebbe dovuto essere determinata a en22
trare in società e a sposare un nobile non sembrava che si stesse impegnando abbastanza. «Mia figlia, Miss Lucille Bamber, milady» la presentò il padre e poi schioccò le dita alla figlia. «Be', su, ragazza, fa' la riverenza a Sua Signoria.» Era un lampo d'ira quello che colse negli occhi della ragazza? Alice non poteva esserne sicura. La fanciulla si abbassò in una riverenza aggraziata e disse con voce misurata: «Come state, Lady Charlton?». Alice rispose chinando il capo. Qualcuno aveva dato lezioni di portamento alla ragazza, perlomeno. E il suo accento era buono. Migliore di quello del padre. «Ben fatto. Ora, non stare lì come un'imbranata. Vieni a sederti.» Bamber batté con la mano sul divano accanto a sé. Alice strinse le labbra. Il modo in cui parlava alla figlia la irritava, ma c'era di più in gioco che non le cattive maniere. Miss Bamber attraversò la stanza e prese posto su una sedia, non sul sofà accanto al padre. Interessante. «Ho saputo che desiderate entrare in società, Miss Bamber» disse Alice. La ragazza scrollò le spalle con indifferenza. Non guardò nemmeno Alice. «Ma certo che lo vuole. È impaziente di unirsi a gentiluomini e nobildonne» affermò Bamber con voce melliflua, che però non riuscì a celare la sua irritazione. «Su, dillo a Lady Charlton, tesorino.» «Sono molto impaziente di unirmi a gentiluomini e nobildonne» ripeté l'interessata con voce inespressiva. «Ecco, vedete?» Bamber si appoggiò allo schienale. Alice vedeva. Forse alla ragazza era stato insegnato come inchinarsi, ma per il resto le sue maniere erano terribili. «Avete esperienza di balli e ricevimenti, Miss Bamber?» «No.» «Ma sa ballare» si intromise il padre. «È leggera come 23
una piuma e, come potrete vedere, è stata addestrata a essere carina.» A essere carina? Non le pareva proprio. Ma Alice decise di proseguire con il colloquio. Era tutta una farsa, a ogni modo. A meno che non fosse riuscita a uscire da quel pasticcio, avrebbe dovuto far debuttare quella ragazza accigliata e vestita in modo troppo vistoso. Le orribili lettere di Thaddeus erano un'ascia sul suo capo. Ma il successo sembrava sempre più improbabile, perché, se la ragazza non avesse dimostrato un minimo di entusiasmo, che speranza aveva lei di riuscire in quell'impresa? «E state cercando un marito?» la sollecitò. Per la prima volta, la ragazza incontrò lo sguardo di Alice – un'occhiata breve e impenetrabile – ma non disse nulla. «Ma certo che lo cerca. È il suo desiderio più grande» intervenne ancora il padre. «Perdonate il mio tesorino, Lady Charlton. È timida, un po' sopraffatta nel trovarsi in una compagnia così raffinata. Ma cambierà, vero, Lucy?» Sotto il tono mellifluo era percepibile una punta di minaccia. «Se lo dite voi, papà.» «Bene, adesso aspetta fuori, mia cara, mentre io parlo in privato con Lady Charlton.» Lucy obbedì. «Be'? Cosa ne dite, milady? Affare fatto?» Alice lo fissò impotente. Non aveva scelta, lo sapeva. Il pensiero che quelle lettere venissero rese pubbliche era troppo spaventoso, ma presentare in società quella creatura rigida e sgarbata? Trovarle chicchessia da sposare sarebbe stato difficile, figurarsi un nobile. Le era impossibile immaginare come fare. Aprì la bocca, ma aveva la gola secca e non riuscì ad accettare. Non riusciva neanche a parlare. Era tutto così improvviso, assurdo. Agghiacciante. Seguì un lungo silenzio. Poi Bamber serrò le labbra. «Forse avete bisogno di un po' di tempo per pensarci su.» 24
Indicò la lettera di Thaddeus, ancora accartocciata nel pugno di Alice. «Rileggetela, Lady Charlton, e considerate le conseguenze di un rifiuto alla mia offerta. Verrò a trovarvi domani alle dieci. Preparatevi al battesimo.» E senza aspettare la sua risposta, se ne andò. Non appena sentì la porta d'ingresso che si chiudeva, Alice si accasciò sulla sedia. «Va tutto bene, milady?» chiese Tweed dalla soglia. Sembrava preoccupato. Il suo sguardo cadde sulla lettera che Alice teneva ancora stretta. Reprimendo l'impulso di gettarla nel fuoco, lei la ripiegò e la mise via. «Non mi dispiacerebbe una tazza di tè» riuscì a dire. Tweed esitò. «Ho fatto bene a farlo entrare, milady?» Santo cielo, se non lo avesse fatto chissà quali azioni avrebbe intrapreso Bamber? E se fosse andato dritto da un editore? Lasciamo che la società sbavi sulle lettere di vostro marito. Represse un brivido. «Sì, Tweed, il vostro istinto non si è sbagliato. Avete fatto la cosa giusta.» Una ruga di preoccupazione comparve tra le sopracciglia del maggiordomo. «Lo vedremo ancora, milady?» «Temo di sì. Verrà a trovarmi domani mattina.» Sperava che non accadesse. Con un po' di fortuna, Octavius Bamber sarebbe caduto nel Tamigi durante la notte e sarebbe affogato, portando con sé le lettere. Ma il fato non sarebbe stato così propizio. Quella notte, Alice si mise a letto, prese la lettera di Thaddeus e la lesse per la dodicesima volta. Il dileggio sottinteso nelle sue parole, nella descrizione dell'intimità della loro prima notte di nozze – della sua prima notte di nozze! – le fece tornare tutto alla memoria. Quella notte... Era così giovane, così nervosa. Lo conosceva a malapena, dopotutto. Il loro corteggiamento era durato in tutto poche settimane, e non erano mai rimasti soli insieme. Ma Alice aveva pensato di potersi innamorare di lui, il suo 25
sposo, così alto, non proprio affascinante ma molto imponente. Così mondano ed esperto, se paragonato alla sua ingenuità di ragazza di campagna. Aveva appena diciotto anni. Innocente, ignorante, esitante, timida. Lui era ubriaco. Rude. Brutale. Frettoloso. Le aveva strappato la camicia da notte, quella che aveva ricamato con tanta cura, immaginando la notte in cui sarebbe, infine, diventata una donna, una moglie. Lui aveva fissato la sua nudità e aveva fatto un commento sprezzante riguardo alla misura del suo seno, poi le aveva aperto le gambe e si era spinto brutalmente in lei. Alice non aveva idea di cosa aspettarsi. Era stata colta alla sprovvista dal dolore, dalle rozze strizzate del suo seno, dalla brutale invasione del corpo impreparato. Lo aveva sopportato come meglio poteva e infine lui era rotolato via e aveva barcollato fuori dalla stanza. Non si era neanche spogliato, si era solo slacciato i calzoni. Alice era rimasta distesa a lungo, immobile – sconvolta – finché l'aria fredda non le aveva gelato la pelle nuda tanto da spingerla a rannicchiarsi e tirarsi su le coperte. E poi, finalmente, erano arrivate le lacrime, piano all'inizio, poi con grandi singhiozzi soffocanti. Prima del matrimonio, sua madre le aveva detto che non sarebbe stato piacevole la prima volta, ma aveva aggiunto con aria vaga che probabilmente sarebbe migliorato col tempo. Non era mai successo. La sua prima notte di nozze era diventata uno schema per il resto della sua vita da sposata. Non sapeva quando Thaddeus si metteva in testa di piantare un erede in lei – era così che lo chiamava. Alice era grata di non dover pensare a quell'esperienza come a fare l'amore. Entrava in camera da letto senza nessun preavviso – a volte nel bel mezzo della notte, spesso alle ore piccole, di solito ubriaco – si slacciava i calzoni e la martellava. E poi andava via non appena aveva finito. 26
E così Alice restava sveglia per metà della notte, aspettando che arrivasse e la facesse finita in modo da poter dormire. Si appisolava, ma al minimo rumore si svegliava trasalendo. Era estenuante. Le occhiaie erano visibili, ma quei pochi che si azzardavano a commentare facevano battute allusive sul marito appassionato che teneva sveglia la mogliettina per tutta la notte. Alice non negava mai. Era vero in un certo senso. Una volta, esausta e stanca di svegliarsi durante la notte, aveva chiuso a chiave la porta per assicurarsi un po' di sonno. Infuriato, Thaddeus aveva buttato giù il battente a calci, e quando era andato via, Alice era piena di lividi e nei giorni seguenti si era sentita indolenzita. Ma non importava quanto spesso o con quanta foga lo facesse, non era mai riuscito a metterla incinta. «Inutile, sterile, pesce lesso» la insultava. Alice non aveva nessuno con cui confidarsi, per parlare di quanto lo trovasse difficile, insopportabile, a dire il vero. Appena alcuni giorni dopo le nozze, i suoi genitori erano partiti per l'Estremo Oriente. Era il sogno di suo padre portare illuminazione ai pagani. Poi, meno di un mese dopo il loro arrivo, sua madre si era ammalata e, in breve tempo, era morta. Il padre l'aveva seguita nel giro di poco. Sua nonna, con la sua dolorosa artrite, era ormai una reclusa e Alice non aveva voluto angosciarla con cose per cui non poteva fare nulla. E poi, a cosa sarebbe servito? Il matrimonio era finché morte non ci separi. Inoltre, sebbene sapesse che non era logico, si vergognava troppo. Era un fallimento come moglie: non sapeva soddisfare suo marito e non poteva concepire un figlio. Quindi, non avendo altra scelta, aveva sopportato. E non avendo alcun desiderio di apparire come una vittima in società, si sforzava di dare l'impressione di essere contenta del suo matrimonio. Non che qualcuno le avrebbe creduto se avesse raccontato la verità: in pubblico Thaddeus risultava molto affascinante. Diciotto anni. Metà della sua vita a sforzarsi di compia27
cere un uomo che non voleva essere compiaciuto. Adesso Thaddeus era morto; e se il modo in cui era morto era un altro motivo di vergogna da sopportare, almeno il suo matrimonio era finito. Lui non le aveva lasciato altro che debiti; le proprietà legate al titolo erano andate al fratello e lui non aveva dato alcuna disposizione per la sua vedova, solo per la sua amante e per il figlio illegittimo. Il suo erede, se non fosse stato per Alice. E poi sua nonna – che il cielo l'avesse in gloria – era morta e aveva lasciato la casa ad Alice. Una casa tutta sua, che significava sicurezza. Alice scoccò un'occhiata alla lettera nella sua mano. L'ultima eredità vergognosa dal marito amorevole. Mise da parte il foglio, soffiò sulla candela e si distese al buio, meditando. Non si sentiva spaventata e nauseata adesso, bensì arrabbiata. Non aveva sopportato diciotto anni di matrimonio, non aveva mantenuto un'aria serena in pubblico – e il cielo sapeva quanto le fosse costato a volte – perché la verità su quel matrimonio venisse fuori ora. La pretesa di Bamber era ridicola, ma non importava: lei doveva evitare a tutti i costi che quelle lettere venissero pubblicate. Se solo avesse avuto la presenza di spirito di afferrarle e gettarle nel fuoco quando lui le aveva tirate fuori. Ma era rimasta sconvolta, e non aveva pensato abbastanza in fretta. Così adesso non c'era altro da fare che assecondare i desideri di quel ricattatore, presentare la terribile figlia in società e trovarle un marito. E poi sarebbe stata libera e la sua vita sarebbe finalmente cominciata.
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Un ricatto fortunato ANNE GRACIE LONDRA, 1818 - Lady Charlton viene ricattata e deve trovare un nobile da far sposare alla giovane Lucy. In suo aiuto intervengono il nipote Gerald e Lord Tarrant con esiti...
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