Un viaggio col duca di Charis Michaels

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Charis LAURI RMichaels OBINSON UN VIAGGIO americano COL DUCA Il banchiere


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: When You Wish Upon a Duke Avon Books An Imprint of HarperCollins Publishers © 2021 Charis Michaels Traduzione di Anna Polo Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con HarperCollins Publishers, LLC, New York, U.S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2022 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici aprile 2022 Questo volume è stato stampato nel marzo 2022 da CPI Black Print, Spagna, utilizzando elettricità rinnovabile al 100% I GRANDI ROMANZI STORICI ISSN 1122 - 5410 Periodico settimanale n. 1303 del 23/04/2022 Direttore responsabile: Sabrina Annoni Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distribuzione canale Edicole Italia: m-dis Distribuzione Media S.p.A. Via Carlo Cazzaniga, 19 - 20132 Milano HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano


Dedica

Per Cassidy Il mio libro preferito per la mia ragazza preferita. «Se avessi un solo casco, lo darei a te.»


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Mayfair, 1817 Quell'uomo pensa di essere invisibile? Isobel Tinker guardò fuori dalla vetrina della sua agenzia viaggi a Mayfair. Fermo sul marciapiede, il viso vicino al vetro, un uomo alto le restituì lo sguardo. La vetrina era a diverse iarde di distanza da lei e i tratti dell'uomo erano nascosti da un cappello, ma poteva distinguere il contorno degli occhi tra la a e la n della scritta Everland Viaggi. Inarcò le sopracciglia con aria interrogativa. Nessuna reazione. Indicò la porta, come per invitarlo a entrare. Niente. Sollevò due dita in un saluto elegante. Lui rimase impassibile, come se non la vedesse. Isobel chiamò la sua assistente. «Samantha? C'è un uomo davanti alla vetrina. Lo vedi?» «Un uomo?» chiese Samantha, riordinando degli opuscoli sul bancone. «Là, a sinistra. Pastrano violaceo, colletto alto, cappello da bandito.» «Oh, sì, lo vedo» ammise Samantha inclinando la testa. «Devo andare a prendere la sciabola?» 7


Isobel soffocò una risata. «Per il momento mi pare eccessivo. Sembra semplicemente...» «... che ci sorvegli» completò Samantha in tono d'intesa. «O forse sta facendo un sopralluogo? O calcolando qualcosa?» «Per me ha l'aria di un uomo che vorrebbe entrare, ma che per qualche ragione... non può» ribatté Isobel. «Magari è contrario a... «Alla legalità?» «Alle agenzie di viaggio» precisò Isobel. «Be', le finestre sono chiuse con la sicura ed è troppo grosso per passare dal camino, dunque se non userà la porta non c'è da aver paura...» «Non ho paura, Samantha. Volevo solo essere sicura che non fosse un'apparizione. Se tutte e due lo vediamo, allora dev'essere davvero là.» «Oh, certo che è là» confermò Samantha. «E non ho problemi a dirlo... il suo aspetto non mi piace. Troppo alto. Non sopporto gli uomini alti, non li ho mai sopportati.» «E come mai?» Isobel imparava quasi ogni giorno una nuova cosa che Samantha non sopportava. «Possono vedere sopra le teste della folla.» «E questo è un problema perché...?» «I fuggi fuggi sono sempre scatenati dagli uomini alti» sentenziò. La aggressività di Samantha era eguagliata soltanto dai suoi radicati sospetti. Era figlia di un parroco e portava gli occhiali, eppure mostrava un'insolita sete di sangue. «Giusto.» Isobel tornò a guardare fuori dalla vetrina. L'uomo se ne era andato. «Ho bisogno di una boccata d'aria fresca» borbottò alzandosi. «Faccio il giro dell'isolato.» «La sciabola è nel cassettone vicino alla porta sul retro» le ricordò Samantha senza alzare lo sguardo. «Oggi non mi arrischierò a uscire in Lumley Street con armi che non siano il mio parasole.» Isobel prese l'om8


brello e i guanti. Era a metà strada rispetto alla porta quando si fermò di colpo. «Cosa c'è?» chiese Samantha. «Niente, ne sono sicura.» Isobel guardò a destra e a sinistra fuori dalla vetrina. «È solo che... non è la prima volta che noto questa persona. Non ti sembra strano vedere lo stesso uomo appostato qui fuori tre volte in una sola settimana?» Samantha sollevò la testa di scatto. Fissò accigliata il punto in cui stava l'uomo poco prima e socchiuse gli occhi come se stesse prendendo la mira. «Non reagire in modo eccessivo» l'ammonì Isobel. «L'ho notato qua e là. Non ha commesso alcun reato.» «Questo resta da vedere. Dove l'hai notato esattamente?» «Aspettava di essere servito nella sala da tè all'angolo. Era appoggiato al muro dietro il carretto del fioraio. Era con un cavallo nel cortile dello stalliere in fondo alla strada» enumerò Isobel. «Un momento era là e quello dopo era sparito.» «Lo sapevo» esclamò Samantha con un misto di spavento ed eccitazione. «Non credo proprio che abbia cattive intenzioni» ripeté Isobel. «In genere non lo sfiderei, ma proprio oggi non deve...» «Dare la caccia a donne fiduciose...» «Bighellonare intorno al negozio» la corresse Isobel. «Qual è il tuo piano? Parole severe e uno sguardo che incute soggezione?» «Spero che una semplice presentazione sia sufficiente. Gli chiederò come posso aiutarlo e gli suggerirò di tornare un altro giorno. Quanto manca all'arrivo di Drummond Hooke?» «Un'ora al massimo.» «Un'ora» ripeté Isobel con una smorfia. Drummond Hooke era il disinteressato e quasi sempre assente proprietario dell'agenzia viaggi. Non aveva anco9


ra ventidue anni e i suoi genitori erano morti tre anni prima, lasciandogli un'attività ben avviata. Drummond era pigro di natura e avaro per scelta; abbandonato a se stesso, avrebbe fatto fallire l'agenzia in pochi mesi. Per fortuna, però, i genitori avevano lasciato la proprietà dell'agenzia al figlio, ma la gestione alla loro più apprezzata dipendente, Isobel Tinker. Drummond aveva accettato le condizioni poste dai genitori purché l'agenzia avesse successo – e Isobel faceva in modo che fosse così. Gli permetteva anche di considerarsi il genio nascosto dietro a quel successo, cosa assolutamente non vera. Isobel e Samantha si preparavano per ore alle visite di Hooke. L'agenzia viaggi e i clienti dovevano apparire prosperi e stimati e Isobel umile e matronale. Mentre lui, sebbene avesse cinque anni meno di lei, non lesinava le critiche e la trattava con sufficienza. Se tutto fosse apparso impeccabile, il giovane Hooke sarebbe tornato nella sua tenuta di campagna nello Shropshire, senza più farsi vedere per altre sei settimane. Gli uomini appostati davanti al negozio, però, non erano impeccabili. Il minimo sentore di un comportamento irregolare o allarmante avrebbe indotto Hooke a usurpare il ruolo di Isobel, tornare a Londra e rovinare tutto. E lei era decisa a non farsi rovinare la vita da Drummond Hooke. In effetti, il suo obiettivo era mettere da parte denaro sufficiente a comprare l'agenzia viaggi, diventandone non solo la direttrice, ma anche la proprietaria a tutti gli effetti. Aveva bisogno di risparmiare per altri cinque anni. Al massimo dieci. Spinse la porta che dava su Lumley Street, decisa a liberarsi di quel tipo molesto prima dell'arrivo di Hooke. Il brillante sole di agosto tingeva Mayfair di una luce intensa. Sarebbe stato impossibile nascondersi e Isobel non ci provò nemmeno. Se era venuto per lei, ebbene, eccola lì. Nonostante i sospetti di Samantha, dubitava che quell'uomo le stesse dando la caccia, né le sembrava pericolo10


so, ma solo fuori posto e fin troppo curioso. Isobel ci era abituata: era una giovane donna che gestiva un'agenzia viaggi di successo. Le donne d'affari erano insolite nel migliore dei casi e scandalose nel peggiore. Quello non era il primo marito o fratello che si appostava per controllarla in cui si fosse imbattuta. Isobel Tinker organizzava vacanze sicure, rispettabili e lussuose per donne e ragazze. Offriva le migliori destinazioni in Europa con un servizio impeccabile. Il mondo di una signora si ampliava e quei viaggi destavano l'invidia delle sue amiche. Era per questo che Mr. e Mrs. Hooke avevano lasciato a lei la gestione dell'agenzia e non a quell'idiota del loro figlio. Era così che lei aveva trasformato l'Everland Viaggi in un'eccellenza del settore, ideale per le donne più rispettabili dell'Inghilterra, come diceva la sua citazione preferita sul Times. Era il lavoro della sua vita e se appariva anche un po' strana, almeno era una stranezza di successo. Se fosse riuscita a realizzare il sogno di comprare l'agenzia, non l'avrebbe solo portata a nuovi successi, ma l'avrebbe anche posseduta. «Non ho tempo per queste cose» borbottò Isobel guardandosi intorno lungo il marciapiede. Girò a sinistra, osservando i pedoni che percorrevano Lumley Street. Oltre alla tendenza a sparire, quell'uomo si distingueva anche per la figura alta e imponente, che faceva pensare a un pugile professionista. La sala da tè in particolare l'aveva messa in risalto; i tavolini e le sedie dalle gambe sottili parevano sul punto di cedere sotto il suo peso. Sarebbe bastata una sua manata per ribaltare il carretto del fioraio, un catorcio scassato con le ruote storte. Il cavallo che lasciava alla scuderia sembrava una creatura mitica e lui stesso, quando l'aveva visto dare istruzioni a un garzone di stalla sulle cure da prestare all'animale, le aveva fatto pensare a... un dio greco. 11


Isobel girò l'angolo dei Brown Hart Gardens e si diresse verso Duke Street. Il marciapiede non mostrava pugili professionisti o dei greci. Stava per svoltare in Duke Street quando colse un movimento nel vicolo dietro l'agenzia. Rallentò il passo, strizzò gli occhi per vedere qualcosa nel passaggio buio e malmesso, inclinò la testa e tese l'orecchio. Dall'oscurità le giunse un rumore di passi pesanti, come gli stivali di un dio greco. Sospirò, gettò uno sguardo all'orologio e seguì il suono. Drummond Hooke sarebbe arrivato tra quarantacinque minuti. Se l'uomo era nel vicolo, lei aveva quindici minuti per capire cosa voleva e liquidarlo e mezz'ora per sistemare la scrivania. Chi era adesso a tendere agguati?, pensò, avanzando nel vicolo ingombro di rottami. Un gatto le tagliò la strada con un balzo e lei trasalì. Sganciò il parasole dal braccio e lo tenne accanto a sé come un corrimano. La porta sul retro del negozio apparve alla vista. Isobel distinse i gradini, la ringhiera arrugginita, il secchio con lo straccio per pulire e... lui. L'uomo era in piedi sui gradini che conducevano alla porta sul retro e le dava le spalle. Trasse un respiro silenzioso e spostò il parasole, in modo che l'estremità aguzza puntasse verso fuori. Il cuore batteva forte, ma non aveva davvero paura. Aveva girato per il mondo e in fondo quella era Mayfair. Non aveva ancora visto niente in quella zona, di giorno o di notte, che potesse competere con la sua vita prima di tornare in Inghilterra. E d'altra parte che scelta aveva, se non affrontarlo? Durante le sue visite, Drummond Hooke usciva spesso a fumare in quel vicolo. Scoprire un gigante che si aggirava dietro l'agenzia sarebbe stato inaccettabile. «Scusatemi...» cominciò, fissando l'ampia schiena di quel tipo molesto. Il tono era tagliente e imperioso e l'uomo si irrigidì. «Giratevi, per favore» gli ordinò. «Lentamente» aggiunse. 12


L'altro obbedì, sollevando due mani enormi infilate nei guanti e voltandosi lentamente. Isobel lo guardò trattenendo il respiro e si raddrizzò in tutta la sua scarsa altezza. Le ampie spalle erano racchiuse in una giacca di lana di un grigio violaceo e il profilo cesellato spuntava da un cappello a tesa larga. Il pastrano aperto roteò mentre si girava. Infine l'uomo sollevò la testa. Lei lo vide in faccia e sbatté le palpebre. Gli occhi color ambra facevano pensare al caramello, la bocca era... be', perfetta era l'unica parola che le venne in mente per descriverla. Il naso era degno di un dio greco, proprio come l'altezza. Isobel trasse un respiro profondo. Naturalmente la natura del naso o della bocca non faceva alcuna differenza. Ciò che importava era il lieve sorriso che gli incurvava un angolo di quella bocca perfetta. Era il sorriso di qualcuno che era uscito barcollante dal pub e aveva mangiato il dolce di Natale la notte prima della festa. «Salve» disse l'uomo in tono noncurante, scherzoso e sicuro di sé. Isobel sentì un palpito intermittente ai polsi e alla gola. Oh, no!, pensò. No. Sette anni prima aveva lasciato l'Europa solo con i vestiti che aveva addosso e due solenni promesse: non tornarci mai più e non avere mai più niente a che fare con uomini scherzosi, affascinanti e sicuri di sé. La parola pericolo cominciò a lampeggiare in fondo alla sua mente come una fattoria data alle fiamme. «Sapete per caso se questa porta è sempre chiusa a chiave?» chiese l'uomo in tono innocente e allegro. Era una domanda ridicola e lo sapevano entrambi. O stava cercando di distrarla dalle sue ruberie, o voleva coglierla alla sprovvista per commettere qualche reato peggiore. Con sua grande irritazione, Isobel era distratta e colta alla sprovvista. 13


Non le succedeva da tanto, tanto tempo. «Sì, lo so, visto che è la mia e io la chiudo sempre a chiave» rispose. «Sempre?» «Smettetela» gli ingiunse. Non voleva più stare al gioco. Isobel Tinker conosceva benissimo le tattiche degli uomini affascinanti, che facevano i cascamorti e prendevano tutto come un gioco. Aveva imparato da un vero maestro in quel campo e ne era uscita più o meno distrutta. Poi però era sopravvissuta e ora era diventata immune. O quasi. «Chi siete?» chiese, battendo il parasole sul palmo. «Cosa fate nel vicolo dietro alla mia agenzia?» «Speravo... di entrare?» Un'altra battuta. «Perché non usare la porta principale?» «Perché non avere una doppia entrata?» suggerì lui. «Così raddoppiereste il traffico.» «Perché questo è un vicolo. Non ci passa nessuno, tranne i topi e gli uomini che cercano di forzare la serratura della porta.» «Be', così avreste due potenziali clienti a vostra disposizione.» «Vado a chiamare l'agente di polizia.» «No, aspettate.» L'uomo protese una mano. «Sono un cliente. Ho bisogno di prenotare un passaggio. Davvero.» «Per chi?» Le parole le uscirono di bocca prima di poterle fermare. Isobel strinse i denti. Se fosse stato vecchio, disgraziato, maculato o qualsiasi cosa piuttosto che bello, affascinante e scherzoso non avrebbe continuato quella conversazione per un altro secondo. Lui però era bello e affascinante e lei non aveva imparato un bel niente. «Per me» rispose. Balzò giù dalla breve rampa e atterrò nel vicolo con un tonfo. Isobel fece un passo indietro. «L'Everland Viaggi offre vacanze e servizi di viaggio soprattutto alle donne» lo informò. «Mi dispiace, Mr...» «Northumberland. Duca di Northumberland.» 14


Lei scosse la testa. «Che meraviglia! Non solo vi aggirate furtivo nei vicoli, ma siete anche un impostore!» «Avete sentito parlare di me?» Isobel lo fissò, notando l'accento istruito, gli stivali di fattura raffinata e l'atteggiamento disinvolto e sicuro di sé. No, impossibile. «Preferisco essere chiamato North» aggiunse. No, no, no. «Mi sto abituando solo ora al titolo. Per me è una... novità» dichiarò con un sospiro. Isobel aprì la bocca per contraddirlo. Un duca, nuovo o no, che si aggirava nel vicolo dietro all'agenzia? Inverosimile. Qualcosa però glielo impedì. Non c'era tempo per informazioni false o sfide. Drummond Hooke sarebbe arrivato nel giro di pochi minuti. «Sono costretta a chiedervi di andarvene, signore. E di smettere di aggirarvi da queste parti.» «Da queste parti...» «Il vicolo, la vetrina, i negozi di Lumley Street, soprattutto oggi» specificò Isobel. «Anche se in generale preferisco un quartiere privo di uomini che si aggirano furtivi come voi. E ora, se volete...» Agitò le dita nell'aria, come per scacciare qualcosa di piccolo e molesto. «Aspettate. Io...» cominciò lui. «Vi sbagliate se pensate che non me ne sia accorta. E vi sbagliate anche a sostenere che vi interessano i nostri viaggi. E se cercherete un'altra volta di farvi passare per un duca, chiamo davvero l'agente di polizia. Il Duca di Northumberland, come tutti sanno, è un eroe nazionale ed è in lutto per la perdita del fratello, il duca precedente, che riposi in pace. Cercate almeno di mostrare un po' di rispetto per famiglie così duramente colpite.» L'uomo cercò di interromperla, ma Isobel continuò. Ora ricordava il modo migliore di affrontare uomini spiritosi e affascinanti: bisognava tener loro testa, mandarli per la loro strada e poi mantenere le distanze. 15


Roteò il parasole. «Siete bello e affascinante, lo ammetto, ma io non ho né il tempo né la pazienza per tollerare uomini che si aggirano furtivi nei vicoli e raccontano menzogne, a prescindere dal loro aspetto. Tra meno di un'ora ho una riunione molto importante all'agenzia e non posso tollerare interruzioni o irregolarità.» Fece un respiro profondo. «Per favore, signore, andatevene. Ora.» Appese il parasole al braccio, si sfregò le mani e fece per allontanarsi. «Miss Tinker, immagino?» Isobel esitò e poi si girò. «Come avete detto?» «Siete voi Miss Isobel Tinker?» Molta gente conosce il mio nome, ricordò a se stessa. Ho venduto vacanze a metà delle ereditiere di Londra. Lo fissò senza negare né confermare. «Pensavo che foste più vecchia. Molto più vecchia. Scommetto che non avete ancora trent'anni.» «Che cosa vi importa della mia età?» La settimana prima aveva compiuto ventisette anni. «Mi hanno fatto credere che foste una matrona cinica, occhialuta e dai capelli grigi, che mandava avanti l'agenzia in mezzo a una pila di polverosi libri di viaggi.» Una visione del suo futuro le balenò davanti agli occhi. Non era sicura che le piacesse. «E siete piccola» continuò lui. «Chi ve lo ha fatto credere?» «L'ufficio affari esteri.» Indicò Lumley Street con un ampio gesto. «Dopo di voi.» I piedi di Isobel si mossero da soli verso la luce del sole. «E che ufficio sarebbe?» «Quello che serve gli interessi di Sua Maestà Re Giorgio al di fuori del Regno Unito.» «Mentite.» «L'ufficio governativo pieno di eroi nazionali che compiono il loro dovere per il re e per la patria.» Isobel si sentiva girare la testa. Svoltò in Lumley Street con i piedi che parevano di piombo, sbatté le pal16


pebre e fece un passo verso l'agenzia. Poi un altro. «Mi dispiace che il nostro primo incontro sia avvenuto in un vicolo» dichiarò l'uomo. «Non sono un ladro, ve lo assicuro. Volevo solo perlustrare la zona, anche se non sono stato molto abile, temo. Questa presentazione è stata un vero disastro.» «Questa non è stata una presentazione.» «Sono stato maldestro e non ci sono scuse per questo... Anzi, una sì.» Le scoccò uno sguardo seducente. Isobel si girò e sentì nel petto un tintinnio, come il rintocco di un campanello. «La mia documentazione su di voi e su questa agenzia era piena di errori.» Isobel lo fissò. La stava studiando in modo aperto, come se fosse abituato a valutare le persone. «Maledettamente poco professionale» continuò. «Roba da dilettanti. Non c'è da stupirsi se non credete che io sia un duca.» «Vi ho chiesto di andarvene» gli ricordò Isobel debolmente. Non aveva importanza chi era. Doveva andarsene. Drummond Hooke, la riunione... Fece per raggiungere la porta, ma lui la fermò poggiando una mano sul battente sopra la sua testa. «Prima dobbiamo parlare di questo viaggio.» «Ma non potete intendere davvero...» Nel cervello le turbinavano duchi, il Ministero degli Esteri, eroi nazionali e una documentazione su di lei. Tutto inverosimile, ma neanche tanto. Isobel entrò e si avvicinò alla scrivania. Dietro il bancone, Samantha sollevò la testa e fissò l'uomo con uno sguardo penetrante. «Lo hai trovato, vedo.» Il tono faceva pensare a un serpente scoperto nel fienile. «Piacere di conoscervi» la salutò l'uomo in tono amabile. «Siete riuscito a trovare la nostra porta?» ribatté Samantha. «Già» confermò lui. 17


«Glielo hai detto?» chiese Samantha a Isobel. Lei la guardò con aria assente. Il suo unico pensiero era: Non gli dirò niente. «Devo informarvi, signore, che tra dieci minuti abbiamo una riunione molto importante» spiegò Samantha. «Il proprietario di questa agenzia arriva dallo Shropshire per esaminare l'andamento degli affari e a quel punto tutti i clienti devono...» «Non è un cliente» la corresse Isobel con il cuore in gola. «Samantha, potresti preparare il tè? Mr. Hooke apprezza queste piccole attenzioni.» «Ho già messo sul fuoco il bollitore» rispose Samantha, passando con lo sguardo da lei all'uomo. «Vai a controllare» le ordinò Isobel. «Ma non ha ancora fischiato...» «Per favore.» «Va bene. Vado a prendere la sciabola?» «Samantha!» L'assistente uscì con lentezza esagerata e Isobel si sedette in fretta dietro la scrivania. Con quella familiare barriera tra loro, fece un respiro profondo e si girò verso l'uomo, per poi togliersi i guanti con uno strattone frustrato. «Possiamo ricominciare?» chiese lui. «Ve ne andrete tra dieci minuti?» «Mi chiamo Northumberland – North, se preferite – e sono qui per prenotare un viaggio.» Si avvicinò con due falcate disinvolte. Isobel si fece forza per sopportare quella vicinanza. Nel vicolo buio era facile fuggire, ma ora la luce del sole entrava dalla vetrata e lo illuminava come un angelo e lei era intrappolata dietro la scrivania. Controllò l'ora. Come mai l'aveva evitata per giorni e adesso la seguiva all'interno dell'agenzia? Forse era meglio cambiare tattica e assecondarlo. «Il viaggio è per voi?» chiese prendendo una penna. «Sì.» 18


«Come vi ho già detto, organizziamo principalmente vacanze per una clientela femminile.» «Ma siete capace di prenotare un passaggio per un uomo? È possibile?» Isobel sospirò, avvicinò la sedia alla scrivania e tenne la penna sopra un foglio bianco. «Dove volete andare?» Sollevò lo sguardo fingendo un interesse professionale. «In Islanda.» L'aria professionale e distaccata si dissolse. Isobel sbatté le palpebre, strinse la penna e una goccia d'inchiostro cadde sul foglio. «Come avete detto?» chiese alla goccia. «In Islanda, l'isola del nord ceduta di recente alla Danimarca» spiegò lui. «Coperta di vulcani e immagino di... ghiaccio, visto il nome.» Isobel sentì il sangue che defluiva dal viso e un istante dopo le guance che prendevano fuoco. «Perché?» chiese a fatica. «Ho degli affari da sbrigare sull'isola» le rispose vago. «Collegati con la... pastorizia?» indagò Isobel con voce strana, alta e affannosa. «Con l'allevamento di capre? Al momento gli unici lavori possibili in Islanda sono questi e l'agronomia.» «No» rispose cauto. «È una missione per conto del Ministero degli Esteri, ve l'ho detto.» Isobel chiuse gli occhi. Ancora quella storia. «E perché non prenotano loro il vostro viaggio? Se la Corona vi manda in terra straniera, può di certo occuparsi di questo tipo di dettagli.» «Il mio ufficio potrebbe farlo, ma ci vorrebbe del tempo che non ho. Inoltre, questa è una missione molto delicata, più segreta di tante altre. Sono venuto da voi perché dalle informazioni raccolte per preparare questa missione è emerso il nome di una certa Isobel Tinker di un'agenzia viaggi in Lumley Street. Mi è stato fatto intendere che voi potreste conoscere molte cose dell'Islanda, più di chiunque si occupi di viaggi al ministero. E così eccomi qui.» 19


«State scherzando.» Isobel lasciò cadere la penna. Non ricordava una conversazione così falsa, eppure così terribilmente possibile. Se era davvero un agente segreto e aveva accesso a informazioni su privati cittadini, era possibile che il suo ufficio sapesse qualcosa di lei? Era rimasta ferma per anni, si era comportata bene e... Isobel chiuse gli occhi: lo zio aveva forse lasciato dietro di sé una scia di documenti quando l'aveva salvata? Quel tipo strano sapeva davvero qualcosa sul periodo che lei aveva corso in Islanda? «Non è uno scherzo» le assicurò. «E a giudicare dalla vostra espressione, direi che il fatto che io vi abbia cercata non vi coglie del tutto di sorpresa.» «Sono sorpresa, invece. E sconvolta» sussurrò lei. Era la verità. «Perché?» «Perché l'Islanda è un'isola praticamente sconosciuta, impossibile da raggiungere per sette mesi all'anno e difficile per gli altri. La destinazione meno ricercata di tutta la Scandinavia.» Era vero anche questo, ma la sua sorpresa derivava da ben altro. «I pochi abitanti sono semplici contadini o proprietari terrieri. Non ci sono alberi. Definirla remota è un eufemismo.» Riprese la penna e tornò a infilarla nel calamaio, poi spinse la sedia lontana dalla scrivania. «Questo è tutto ciò che ho tempo di dire al riguardo, Mr...» «North» la corresse lui. «Ve l'ho già detto, sono il Duca di Northumberland.» «Smettetela di ripeterlo, per favore.» «È il mio nome.» «Voi non siete un duca... non lavorate per il re... non siete venuto nella mia agenzia viaggi per prenotare un viaggio per un'isola che io...» Non poteva dirlo. «Non vendete vacanze in Islanda?» chiese. Pareva decisamente confuso. 20


«No.» «Davvero?» «Davvero.» «Perché no?» «Perché non credo che vogliate davvero viaggiare fin là.» Perché l'Islanda mi ha quasi distrutta e il ricordo è troppo doloroso, pensò. «Be', è là che devo andare» insistette lui scrollando le spalle gigantesche. «Allora dovrete trovare un altro agente di viaggio, perché questa richiesta è al di fuori della mia esperienza» ribatté Isobel. «Ma la documentazione su di voi...» «Non nominate più questa documentazione, il Ministero degli Esteri e la vostra supposta identità di duca» sbottò lei. Lui sbatté le palpebre. Sul suo bel viso si era dipinta una sincera confusione. Isobel socchiuse gli occhi, piantò le dita sulla scrivania e si chinò verso di lui. «Mi dispiace, ma non posso aiutarvi. Dovete trovare qualcun altro. Come vi ho già detto, ho una riunione molto importante e ora...» Fece un respiro profondo. «... temo proprio di dovervi chiedere di...» Venne interrotta dall'arrivo di Mr. Drummond Hooke.

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