Una Cenerentola alla corte di Francia

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Per Michelle Styles.

Non mi permetterai mai di arrendermi, rinunciare e fermarmi. Mi impedirai sempre di smettere di credere in me stessa. Non avrei mai scritto questo libro se non fosse stato per te. Non sarei qui se non ci fossi stata tu. Grazie è del tutto inadeguato, ma, finché non mi verrà in mente niente di meglio, dovrà bastare.

Per Carly.

Grazie per le innumerevoli ore che mi hai dedicato. Non ne avevi il dovere, ma lo hai fatto lo stesso.

Grazie per avermi resa una scrittrice migliore.

Dedica

Château de Velay, Languedoc, Francia meridionale, aprile 1771

L'edera si increspava in onde delicate sul muro di pietra del potager, l'orto recintato. Le foglie lustre sfioravano il capo chino, coperto dalla cuffia, della giovane serva. Stava rannicchiata in un angolo, con le spalle tremanti, e singhiozzava piano, ma la sua pena era tangibile.

Bastien St. Clare, Marquis de Velay, era in piedi a pochi passi di distanza. La chiamò in un sussurro: «Lilas?».

Lei sollevò di scatto la testa e sbarrò gli occhi, mostrandogli che erano del medesimo colore dei lillà bagnati di rugiada. Le lacrime scivolavano sulle guance, scure quasi quanto le sue. «Monsieur le Marquis!» Si asciugò in fretta il volto umido e si alzò con movimenti scomposti. «Pardonnez-moi, monsieur.» Gli rivolse una rapida riverenza. «Non vi avevo notato.»

Il piacere di vederla combatteva con la preoccupazione per la sua sofferenza. «Lilas, perché piangete? Vi posso aiutare?»

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Lei aprì la bocca per parlare e Bastien si protese un poco in avanti, in attesa della risposta. Poi, però, un'ombra di diffidenza le calò sugli occhi e le labbra si richiusero.

«Non è niente, monsieur.»

Un fremito d'allarme gli percorse le membra. Per la prima volta da quando la conosceva, Lilas gli teneva un segreto.

E questo non andava affatto bene.

«Lilas, sapete che mi potete confidare il problema.»

«Davvero?» Il tono era incredulo.

Bastien corrugò la fronte. «Cosa significa?» Pronunciò la frase con maggior asprezza di quanto non avesse voluto.

«Pardonnez-moi, monsieur.» Lilas arretrò di un passo e si inchinò di nuovo. «Vi ho mancato di rispetto.»

Lui inarcò le sopracciglia. «Temo di avere battuto la testa prima di venire qui. Di norma non vi comportate da domestica con me, quando siamo soli.»

Gli occhi della fanciulla si accesero come fiamme gemelle. «Non capisco cosa intendiate, monsieur.»

La tensione che gli aveva attanagliato le spalle si dissolse nel giro di un istante. Almeno era chiaro che la vera Lilas era ancora presente dietro i modi sottomessi, inadatti alla sua persona.

Tuttavia restava la domanda: perché quell'atteggiamento? Anche se Bastien era il figlio del padrone e lei una serva, l'aveva sempre aiutata nel corso degli anni. L'aveva difesa ogniqualvolta era stata maltrattata dai dipendenti della dimora paterna a causa di una presunta negligenza.

«Mi rifiuto di andarmene finché non mi spiegate cosa vi turba, Lilas.»

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«Non posso, monsieur.» La voce alta disperse al vento ogni parvenza di sottomissione. «Non lo capite?»

Bastien scosse la testa. «No» le rispose con calma.

Lilas puntò gli occhi su un oggetto invisibile alle sue spalle. «Non ha niente a che fare con voi.» Affondò i denti in un angolo del labbro inferiore. «Almeno non credo.»

Lui avanzò per andarle di fronte e catturare il suo sguardo. «Parlate per enigmi, Lilas. Di che si tratta? Cos'è successo?»

Lei trasse un respiro profondo. «Sono stata convocata dal Duc de Languedoc. Devo recarmi nel suo studio entro mezz'ora.»

Bastien arretrò di un passo. «Père? Cosa vuole da voi mio padre?»

Un'immobilità innaturale la sopraffece. «Non lo sapete?»

Sbuffando in maniera poco signorile, le rispose: «Mio padre non giudica opportuno informarmi delle sue intenzioni, Lilas. Si assicura soltanto che io obbedisca». Il tono duro si addolcì un poco. «Comprendo quello che provate.»

«Davvero? Come potreste?»

Lui gonfiò il petto. «Capisco più di quanto non pensiate.» Al verso beffardo che le sfuggì dalle labbra, Bastien aggrottò le sopracciglia. «Dubitate delle mie parole? Ci credete tanto diversi?»

«Non lo siamo, Monsieur le Marquis?»

Scherno e cinismo permeavano l'uso dell'appellativo formale. Seguì un lungo silenzio, carico di tensione.

Poi Bastien ridacchiò, scuotendo il capo. «Proprio per questo vi ho sempre apprezzata.»

Lilas rimase a bocca aperta. «Monsieur...?»

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«Ormai vi conosco da dieci anni. Non obbedite perché vi è richiesto, ma perché lo scegliete.» Si avvicinò ancora, portandosi davanti a lei. «Pensate che abbia dimenticato la fille des cendres, la piccola serva dalle guance sporche di cenere, presentata al personale da ma mère?» Senza quasi rendersene conto, sollevò una mano e le sfiorò un lato del viso.

Lei trasalì, ma non indietreggiò. Lo osservò, invece, con occhi allarmati e profondi, colmi d'interrogativi. In un lampo di consapevolezza, Bastien si rese conto di toccarla per la prima volta, eppure gli sembrava naturale quanto respirare.

La pelle di Lilas era davvero così morbida e calda, oppure era solo la novità del contatto? Incapace di distogliere lo sguardo dalle proprie dita scure contro la sua carnagione bruna, continuò ad accarezzarla con delicatezza.

«E questa fille des cendres utilizzava la cenere che raccoglieva per creare splendide opere d'arte.»

Le prese i polsi e la fissò negli occhi. Le lacrime cessarono e lei recuperò il solito atteggiamento arguto e caparbio. Con i polpastrelli dei pollici, Bastien trovò un angolino di pelle all'interno dei polsi, lasciato esposto dalle maniche.

La guardò di nuovo in volto. «Non nascondetemi mai nulla, Lilas. Né i vostri segreti né voi stessa.»

Lei inclinò la testa da un lato. «Mi sarebbe possibile riuscirci con voi, monsieur?»

«Non permetterò a nessuno di noi due di scoprirlo.»

Lilas incurvò le labbra in un sorriso. «Che briccone siete!»

«Sì, lo sono» ammise Bastien.

Con il pollice, tracciò lenti circoli all'interno di un

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polso. La pelle era morbida proprio come sulla guancia. Vederla in quel modo, toccarla così, contribuiva alla scoperta della sua persona, sempre ricca di sorprese.

Avevano un rapporto speciale sin dai tempi in cui lei era stata assunta al servizio della sua famiglia, quando Bastien aveva dodici anni. Se Lilas fosse stata una nobildonna, quella... amicizia tra loro non si sarebbe mai sviluppata. Invece, grazie al cielo, era continuata nel corso degli anni.

L'uniforme da lavoro inamidata pareva posticcia su di lei. Le mancava, infatti, il portamento da serva sottomessa. Al loro primo incontro, il suo corpicino scarno e malnutrito di bambina di otto anni e i suoi occhi dalle sfumature viola lo avevano fronteggiato con impudenza. Il piccolo mento squadrato era rimasto proteso in avanti, malgrado il tremore.

Per anni Lilas aveva svolto il suo dovere in maniera ammirevole, tuttavia nelle profondità degli occhi viola erano sempre rimaste accese fiamme di ribellione. Magari era proprio quella spavalderia infernale a spronarlo a sostenere la sua causa ogni volta che poteva. Un simile fuoco interiore meritava la libertà, anche se apparteneva a un'umile domestica.

Quel giorno qualcosa in lei aveva risvegliato una percezione prima sconosciuta. Bastien era incapace di definirla, comunque averla toccata gli aveva aperto gli occhi sul suo essere donna.

L'abbigliamento lasciava tutto all'immaginazione, ma per la prima volta lui notò la perfetta pelle scura, il nasino all'insù, dalle narici strette, e la bocca carnosa di un bruno rosato, con il labbro superiore appena più pieno di quello inferiore.

Bastien scosse la testa nel tentativo di scacciare simi-

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li pensieri. Lilas era a servizio nella dimora di suo padre. Per quanto lo riguardava, non aveva mai considerato lei né nessun'altra domestica come un oggetto di conquista.

Lo avrebbe evitato anche ora.

Lasciò la presa sui polsi e fu colto da un senso di smarrimento. «Ditemi cosa vi passa per la mente, Lilas. Come mai piangevate?»

Quando la vide massaggiarsi un polso, sentì lo stomaco contrarsi in maniera inspiegabile. Tentava forse di cancellare la sensazione del contatto fisico?

«Credo di conoscere il motivo per cui sono stata convocata.»

Distogliendo lo sguardo dalle sue mani, lui le domandò: «E quale sarebbe?».

«Penso che vostro padre intenda licenziarmi.»

«Licenziarvi?»

Il tono incredulo di Bastien alleviò il peso sul cuore di Lilas. La reazione dimostrava, infatti, che i sospetti nei suoi confronti erano infondati. Il che lasciava una sola possibilità: Madame Fournier, la cuoca, si era recata ancora una volta dal Duc de Languedoc.

«Temo di sì.»

«Perché?»

«Penso che Madame Fournier si sia lamentata di me.»

«La farò sbattere per strada» ringhiò lui a denti stretti.

Anche se il futuro le turbinava davanti agli occhi al pari di una nebbia oscura, Lilas sentì il cuore alleggerirsi ancora di più. Per qualche ora orribile, infatti, era stata convinta che Bastien avesse a che fare con la convo-

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cazione del duca. Avrebbe dovuto immaginare che era impossibile.

«Dubito che potreste. Il padrone è il Duc de Languedoc e la sua parola è definitiva. Ma forse è meglio così.»

«Perché mai?» Bastien aggrottò le sopracciglia sopra gli occhi color oro. «Cosa intendete?»

Lilas non rispose, incantata. Nello sguardo dorato di Bastien St. Clare coglieva un sentimento nuovo, mai visto in passato. Un paio di volte, spinta dalla sofferenza per i maltrattamenti subiti da parte degli altri domestici, si era rifugiata tra le sue braccia, cercando il conforto che avrebbe potuto offrirle un fratello maggiore.

Tuttavia non poteva ignorare che lui l'aveva toccata in quel modo per la prima volta dacché si conoscevano.

Mentre cresceva, le erano state rammentate molto spesso le loro differenti condizioni sociali. Benché la difendesse come se lo fosse stato, Bastien St. Clare non era suo fratello, ma il figlio del padrone. Un uomo al quale Lilas doveva obbedire. Dopo averlo compreso e accettato, aveva smesso di rivolgersi a lui per farsi consolare.

Quel giorno, però, era differente.

Bastien non aveva affatto uno sguardo da fratello.

Tuttavia lei si rifiutava di credere che la vedesse in un modo diverso dalla servetta incaricata di raccogliere la cenere, che aveva sempre protetto.

«Lilas, cosa intendete?» le domandò ancora.

«Non ho alcun desiderio di eccellere nel compito di lavare le verdure, monsieur.»

«Oh?»

«Sin dal mio arrivo dall'orfanotrofio ho pulito la vostra casa, lavato i panni e servito i pasti. E in tutto ho

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dato prova di riguardo e umiltà. Mi sono impegnata per lavorare come dovuto in una dimora fiera e prestigiosa.»

Lui emise un verso di gola. «E...?»

«Non conta cosa faccia, è comunque insufficiente. Sono sempre e soltanto la trovatella mulâttresse, la piccola mulatta.»

«Avrebbe potuto capitarvi una sorte peggiore» replicò lui, senza cattiveria.

«Sono grata per essere sfuggita a un avvenire più fosco» concordò Lilas con un cenno. Se quel giorno la Duchesse de Languedoc non si fosse impietosita di lei, quando era venuta al brefotrofio per le sue opere di beneficenza, chissà quali dure prove le sarebbero toccate.

«Tanti bambini muoiono all'orfanotrofio molto prima di compiere otto anni. Le suore non erano crudeli, ma nemmeno affettuose con me.»

Spesso accompagnata dalla fame, dalla malattia e dalla miseria, Lilas aveva scoperto di possedere una qualità che le aveva impedito di soccombere al destino toccato a centinaia di orfanelli, prima di lei. Il bruciante desiderio di migliorare non si era mai attenuato. Al contrario, era divampato in un rogo.

Quel fuoco impossibile da spegnere ardeva ancora nel suo animo.

«Sarò sempre riconoscente alla Duchesse de Languedoc per avermi portata via da quel posto. Ma devo forse inginocchiarmi e ringraziare Santa Marta perché sono diventata brava a rifare i letti e lavare i vestiti? Debbo pregare la Vergine di aiutarmi a prendere il posto di Madame Fournier come cuoca di casa, così da potermi vendicare con lei?»

Lui le afferrò di nuovo un polso. «È questo che vole-

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te? Ditemelo, e la farò scacciare all'istante.»

Una parte di lei sapeva che, se avesse davvero richiesto il licenziamento della cuoca, sarebbe stata accontentata subito da Bastien.

Lo sentì aumentare un poco la pressione del pollice sulla pelle sensibile e rimase come paralizzata, con l'impressione che la peluria invisibile del corpo si rizzasse e sfiorasse l'interno degli indumenti. Quel tocco leggero le suscitava una brama indefinita, che esigeva di essere appagata e, nel contempo, alimentata.

«No, non lo voglio» rispose con sincerità. Avrebbe davvero dovuto ritrarre la mano... «Madame Fournier e tutti coloro che mi disdegnano vedono soltanto una serva entrata nelle grazie del figlio del padrone. Pensano che mi consideri al di sopra delle mie condizioni.» Le fiamme nel suo animo si animarono quando si azzardò a esprimere ciò che non aveva mai dichiarato ad alta voce. «Non si rendono conto che sono davvero al di sopra del loro rango.»

Subito alzò lo sguardo verso gli occhi di Bastien. Non vi colse ombra di scherno né disprezzo. Con il pollice, lui continuò a tracciare circoli intorno alla vena dilatata, generando un fremito involontario.

«Lo siete?» le domandò in un sussurro.

«Loro sono soddisfatti di servire per il resto della vita, mentre io no. Per questo venire licenziata dal duca potrebbe, in realtà, essere una benedizione della Vergine.»

Calò di nuovo il silenzio. Lilas avvertiva l'ardore dello sguardo di Bastien, celato in parte dalle palpebre, così come quello del pollice, a contatto con la sua pelle.

Poi, all'improvviso, lui la lasciò. Lei trasalì per la perdita inattesa. Il sole si nascose dietro le nuvole e un

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soffio di vento le increspò l'abito, raffreddandola come se la mancanza del contatto avesse provocato un gelo insolito.

Scuotendo il capo all'idea, Lilas rimase ad ascoltarlo. «Comprendo il vostro problema» le stava dicendo. «Credete forse che, nell'aristocrazia, uno come me sia davvero accettato?»

Lei si accigliò. «Siete figlio di un duca che, a sua volta, proviene da un lungo e prestigioso lignaggio, monsieur.»

Il tono divenne duro. «Mio zio, il Comte de Clareville, sostiene che mio padre ha rovinato generazioni di sangue blu sposando mia madre. Ai suoi occhi, non si è soltanto unito in matrimonio con una cittadina comune, ma anche con una donna dal retaggio diverso. Un'idea intollerabile per lui.» Il pomo d'Adamo ebbe un piccolo sobbalzo. «Que Dieu repose son âme.»

Quelle tristi parole incupirono l'umore di entrambi, al pari di invisibili gocce di pioggia. Desiderosa di scacciare la malinconia per la scomparsa della madre di Bastien, avvenuta due anni prima, Lilas gli toccò un braccio in segno di solidarietà. I muscoli si contrassero sotto le sue dita. «Oui, monsieur. Che Dio doni riposo alla sua anima.»

Lo vide abbassare gli occhi sulla sua mano e la ritirò all'istante.

Lui si accigliò. «Se verrete licenziata, cosa farete?»

Avrebbe deriso la sua decisione? Certo che no. Lilas si fidava di Bastien come di nessun altro. Abbandonata dai genitori, ignorata dalle suore che l'avevano allevata e ostracizzata dagli altri domestici, non aveva motivi per riporre fiducia nell'umanità.

Lasciò vagare lo sguardo sulle siepi di bosso che de-

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limitavano le aiuole di erbe aromatiche, ortaggi e piante da frutto e lo soffermò su un albero sul quale iniziava a germogliare la vita.

«Catturerò la luce dell'alba e il silenzio della notte.»

«Significa che intendete consacrarvi all'arte?»

Una sorta di entusiasmo sfrenato la pervase. «Quando dipingo, non sono una donna. Nemmeno una persona.»

In quei momenti diveniva tutt'uno con la sua opera e sentiva assopirsi il fuoco infernale dentro di lei. Soltanto allora provava un senso di libertà.

«Cosa siete, dunque?» le domandò con dolcezza.

«Sono dominata dall'arte. Mentre dipingo, assecondo la sua volontà. Non mi pone alcun limite. Quando me ne andrò di qui, prenderò in mano la mia vita. Non dovrò più obbedire a nessuno.»

«Sono un signore così tremendo, Lilas?»

Lei scosse la testa. «Siete il figlio del mio padrone e mio amico.»

«Qualunque cosa accada, è giusto che affiniate il vostro talento. Che diventiate una vera artista.»

«Ma in che modo? È improbabile che venga accettata come apprendista.»

«Farò il possibile per garantirlo.» Gli occhi dorati non esprimevano alcuna esitazione. «Non vi abbandonerò, Lilas.»

«Perché lo fate? Non sono nessuno.»

«Vi ho mai trattata come se non foste nessuno?»

«No, mai.»

Bastien le prese di nuovo la mano e ne accarezzò il dorso con il pollice. Lilas lasciò quasi calare le palpebre per il piacere. Non avrebbe avuto difficoltà ad abituarsi a quel tocco.

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«La vostra pelle è tanto morbida» mormorò lui. «Perché l'ho scoperto proprio il giorno in cui ve ne andate? Avrei potuto...»

«Pardonnez-moi, Mademoiselle Villemarette.»

Con un sussulto, si girarono all'istante e trovarono, dietro di loro, un lacchè dal volto inespressivo. Se aveva visto le loro mani unite, non ne dava segno.

Lilas tentò di allontanare la propria, ma Bastien la trattenne. Impossibilitata a sottrarsi alla presa, deglutì per inumidire la gola secca. «Oui, monsieur?»

«Il Duc de Languedoc desidera ricevervi adesso.»

Il cuore di Lilas precipitò sotto i piedi. Aprì la bocca per rispondere, ma venne preceduta da Bastien.

«Mademoiselle Villemarette arriverà tra poco.»

Il domestico tossicchiò. «Il Duc de Languedoc ha sottolineato l'urgenza della sua richiesta.»

«Avete riferito il messaggio. Ora andate pure» lo congedò lui con un brusco cenno.

Dopo un rapido inchino, il lacchè si allontanò.

«Non permetterò che vi succeda alcunché, Lilas.»

Gli occhi dorati fissarono i suoi con vibrante intensità. Lilas sentì sorgere qualcosa tra loro. Richiamava alla mente il battito delle ali di un uccellino in procinto di lasciare il nido. Cauto, molto cauto, eppure ansioso di volare.

Cercò di nuovo di ritrarre la mano, ma lui le intimò: «Non vi muovete».

Lei si immobilizzò. «Monsieur...»

«Non vi muovete, ho detto.»

La sua voce le scivolò come un brivido lungo la schiena. Incapace di pensare, Lilas lo vide chinare il capo. Un lieve tremore le percorse il corpo mentre il volto di Bastien si avvicinava al suo.

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Mon Dieu! Stava per baciarla?

Lei rivolse lo sguardo alla sua bocca, notandone la pienezza. Che effetto avrebbe fatto sentirla contro la propria?

Mentre gli occhi di Lilas si chiudevano, Bastien ruotò appena il capo e sfiorò con le labbra il bordo pieghettato della cuffia, poi si spostò sulla tempia e infine sull'orecchio. Lei represse a stento un fremito quando udì il suo sussurro.

«Sarete una grande artista, Lilas. Non sono disposto ad accettare niente di meno da voi. Desidero che il ritratto nuziale mio e della mia futura sposa venga eseguito soltanto da voi, e per un compenso esorbitante.»

Lei sentì il petto contrarsi e gli occhi bruciare. Era ovvio che non aveva inteso baciarla. Reprimendo una risata incerta, scacciò all'istante il sogno assurdo, effimero, che si era appena delineato. «Monsieur, farò del mio meglio per scalfire il vostro patrimonio.»

Infine Bastien lasciò la presa. «Venite. È ora d'incontrarci con mio padre.»

Un diavoletto malizioso la spronò a rispondere: «Non sono stata io a causare il ritardo».

Api rabbiose ronzavano nel cervello di Lilas. Con insopportabile tenacia, le conficcavano i pungiglioni nella mente. Lei stentava a credere alle parole appena udite. Non poteva essere vero.

Schiarendosi la gola, serrò le dita sulle braccia. «Mio padre... sta venendo qui?»

«Oui, mademoiselle.» Il Duc de Languedoc si esprimeva in tono pacato, in contrasto con il portamento militare. «Mi rendo conto dell'enorme sorpresa per voi, ma ho ricevuto un messaggio da vostro padre, che è un

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mio caro amico. Si chiama Louis Moreau, Comte de la Baux. Tra pochi giorni verrà qui per fare la vostra conoscenza.»

«Incroyable...» sussurrò lei, lasciandosi cadere sull'ottomana ben imbottita.

Un padre.

Aveva un padre!

La sua mente vorticava all'idea. Lanciò un'occhiata a Bastien e vide il proprio sbalordimento rispecchiato nei suoi occhi. Mescolato ad altro... Lilas, però, era troppo sconvolta per tentare di definirlo. Riusciva soltanto a pensare che, in realtà, non era orfana. Aveva un padre e...

«E mia madre?»

Il duca scosse la testa. «È tutto piuttosto sconcertante, Mademoiselle Moreau.»

Lilas trasalì. Con che velocità il Duc de Languedoc era passato al suo nuovo cognome! Le suore dell'orfanotrofio le avevano attribuito Villemarette. Però non era il suo nome, non più.

Liberò la mente per continuare ad ascoltare il nobiluomo mentre raccontava.

«Vostra madre morì di parto. Noi eravamo convinti che fosse defunta anche la nascitura.» Con uno sguardo intenso come quello del figlio, si sedette sul divanetto di fronte a lei. «Vostra madre si chiamava Atalyia. Era una donna bellissima, adorata da vostro padre. La sua scomparsa rappresentò una grave perdita per il Comte de la Baux, che però, in seguito, sposò una vedova con un figlio. Anche loro sono ansiosi di conoscervi.»

Lilas fremette. Una famiglia. Aveva una famiglia! Un padre, una matrigna e un fratello acquisito. Era fin troppo da assimilare. Malgrado l'ondata di euforia, era

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travolta dalla curiosità. Tanti interrogativi minacciavano di farla affogare.

«Monsieur le Duc, come mi ritrovai nell'orfanotrofio? Per quale motivo...?»

«Purtroppo, mia cara, non ho nessuna risposta alle vostre domande. Vostro padre, a giudicare dalla missiva, è perplesso quanto voi per questa svolta inattesa. So soltanto che, di recente, ha appreso da un messaggio anonimo che eravate ospite del vicino brefotrofio sin dalla nascita. Dopo qualche ricerca, ha scoperto con immenso sollievo che siete qui. Conosco molto bene il Comte de la Baux e vi assicuro che non troverà pace finché non avrà risolto l'enigma della vostra scomparsa, avvenuta diciotto anni fa.»

Troppe emozioni la soffocavano. Una famiglia, un padre, il mistero della sua nascita e della sua sparizione... Come comprendere tutto ciò?

Era necessario capire tutto subito, in quel preciso istante? No. Per il momento Lilas avrebbe riposto le informazioni in un angolo della mente per concentrarsi sull'aspetto più importante: stava per incontrare la sua famiglia!

Attonita, guardò di nuovo Bastien. La stava ancora fissando, tuttavia la sorpresa aveva lasciato il posto a un'espressione nuova, che la lasciava perplessa. Anziché mostrarsi compiaciuto per la sua buona sorte, infatti, pareva costernato. Il silenzio era pesante. Ma per quale motivo?

«Vi dirò quello che so, Mademoiselle Moreau. Vostro padre, al suo arrivo, potrà rispondere alle altre domande, mi auguro.»

«Quando sarà qui?»

«Tra due settimane, se non prima.»

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Due settimane. Mancavano quattordici giorni all'incontro con l'uomo che l'aveva procreata.

«Perdonate l'impertinenza, Monsieur le Duc, però, vi prego... Rivelatemi ciò che vi è noto riguardo alla mia famiglia.»

Lilas era come una spugna assetata d'acqua. L'inattesa scoperta della sua identità... Bramava ogni goccia di conoscenza.

Gli occhi del Duc de Languedoc parvero smarrirsi in lontananza. «Noi – Louis, mia moglie Carmen e io – ci eravamo recati alla colonia di Saint-Domingue per fare visita alla famiglia di Carmen ed eravamo in viaggio per rientrare in Francia.»

«La Duchesse de Languedoc?»

«La mia dea...» mormorò il duca con riverenza. «Era una donna libera che avevo conosciuto laggiù, mentre ero ospite di un amico, proprietario di una piantagione.

I miei occhi non avevano mai visto tanta bellezza finché non mi smarrii nei suoi...» Lasciò spegnere la voce e, qualche istante dopo, riprese a parlare. «Eravamo diretti a casa, quando fummo colpiti da una tempesta imprevista. I marosi fecero a pezzi il nostro piccolo vascello e i pochi membri dell'equipaggio morirono affogati.»

«Terribile!»

«Lo fu.» Il duca contrasse gli angoli della bocca. «Avevo il terrore di perdere la mia consorte, sposata da meno di due anni, ma una barca di cimarrónes, schiavi fuggiaschi, giunse in nostro aiuto e ci portò sulla loro isola. Appena approdati, fummo trascinati a terra e circondati da guardie. Ero sicuro che ci avrebbero uccisi, però Carmen si lanciò su di me per farmi da scudo con il proprio corpo.» La gola ebbe un lieve sussulto. «Sono

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convinto che sia stata la sua presenza a salvarci. I cimarrónes non avevano alcun motivo per fidarsi dei bianchi: l'odio nei confronti degli Inglesi era profondo, benché il conflitto fosse ormai concluso. Carmen pronunciò qualche parola nella loro lingua e, chissà come, riuscì a fermarli. Ci legarono – anche mia moglie – e ci condussero nell'entroterra, tra le montagne dell'isola.»

Il Duc de Languedoc proseguì raccontando a Lilas che gli ex schiavi li avevano imprigionati tutti quanti, tranne la consorte, che era stata portata al cospetto della Regina Nanny, loro sovrana e obeah, potente maga e guaritrice. Parlando con Carmen, questa aveva appreso che lui e Louis non erano inglesi, ma francesi.

«Parecchie volte pensai che ci avrebbero ammazzati. In quel periodo Atalyia, vostra madre, venne dov'eravamo rinchiusi e curò Louis, che si era ferito durante il naufragio. Nel corso delle settimane il legame tra loro crebbe, malgrado l'evidente disapprovazione degli altri cimarrónes.» Il duca le lanciò uno sguardo significativo. «Tuttavia Atalyia era una discendente diretta della Regina Nanny e, in quanto tale, aveva un certo influsso sulla popolazione. Credo che sia stato proprio questo a tenerci in vita. Quando Louis guarì, grazie a lei i sospetti nei nostri confronti erano ormai sfumati e ci fu dato un vascello per rimetterci in mare. Alla nostra partenza, Atalyia decise di accompagnarci e, poco dopo il ritorno in Francia, divenne la moglie di Louis.»

Lilas restò senza fiato, incapace di credere alle proprie orecchie. Ascoltare la storia dell'incontro tra i suoi genitori non fece altro che acuire la sua brama di conoscenza. Voleva sapere tutto della famiglia di sua madre, di quella di suo padre e altro ancora.

Molto altro!

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