Laura Martin UNA DEBUTTANTE IN PERICOLO
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: A Pretend Match for the Viscount Harlequin Historical © 2022 Laura Martin Traduzione di Rossana Lanfredi
Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises ULC. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.
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© 2023 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici gennaio 2023
Questo volume è stato stampato nel dicembre 2022 da CPI Black Print, Spagna, utilizzando elettricità rinnovabile al 100%
I GRANDI ROMANZI STORICI
ISSN 1122 - 5410 Periodico settimanale n. 1338 del 18/01/2023 Direttore responsabile: Sabrina Annoni Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distribuzione canale Edicole Italia: m-dis Distribuzione Media S.p.A. Via Carlo Cazzaniga, 19 - 20132 Milano
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A Linda, la mia meravigliosa editor.
La tua dolce guida ha significato tanto per me nel corso degli anni e ha dato forma a tutti i miei libri.
Girando su se stessa, Eliza sollevò la testa e guardò il soffitto. Sopra di lei, un lampadario scintillava della luce di cento candele; le loro fiamme si riflettevano sugli specchi del soffitto, donando alla stanza un aspetto irreale. La sala da ballo cominciava ad affollarsi, gli invitati continuavano ad arrivare e lei vibrava di eccitazione. Questo era ciò che aveva aspettato per tutta la vita. Quella era la prima vera notte della sua Stagione londinese, la notte in cui sarebbe cominciata la sua nuova esistenza.
«Sembri felice, Eliza» osservò Lucy, avvicinandosi e prendendo sottobraccio l'amica.
«Lo sono. Questa non è l'esperienza più meravigliosa che tu abbia mai vissuto?»
Lucy le rivolse un sorriso indulgente. Eliza sapeva che l'amica non condivideva il suo entusiasmo per la Stagione mondana, ma anche che non avrebbe mai fatto niente per smorzare la sua eccitazione.
«Hai visto Lord Wilson?» Eliza si sollevò sulle punte dei piedi per osservare meglio la sala. Prima di arrivare a Londra, non le era mai importato granché di essere piccola, ma in città ciò significava che doveva
spesso allungare il collo mentre le sue compagne, più alte, potevano vedere tutto più facilmente.
«No.» Lucy si fece più vicina. «Ma fai attenzione con lui. Ha una pessima fama.»
«Oh, sono tutti pettegolezzi, sai come l'alta società ami chiacchierare.»
«Sì, ma le voci devono pur avere un fondamento.»
Eliza scosse il capo. «Non preoccuparti per me. So che siamo appena arrivate dalla campagna, ma io possiedo più buonsenso della maggior parte di queste debuttanti cresciute nelle loro magioni dorate.»
Lucy annuì; sembrò sul punto di aggiungere qualcosa, poi però serrò con forza le labbra.
«Camminiamo un po' per la stanza. Voglio ricordare ogni dettaglio di questa notte.»
Sottobraccio, le due giovani si fecero strada tra gli invitati, che andavano aumentando. Erano poche le persone che Eliza riconobbe e che sorrisero loro mentre passavano. Lei e le altre erano a Londra da quattro settimane e quello era il loro primo, vero ballo. Lady Mountjoy, la gentildonna generosa e affabile che aveva portato Eliza a Londra dal Somerset per permetterle di vivere le gioie della Stagione mondana insieme ad altre tre giovani debuttanti, aveva voluto che si ambientassero un po', prima di presentarle in società. L'inizio della loro Stagione era stato inoltre ritardato da un breve ritorno nel Somerset per partecipare alle nozze di un'amica con il nipote di Lady Mountjoy. Quello, dunque, era il loro primo ballo, la loro presentazione formale in società, ma le settimane precedenti non erano andate sprecate. La loro patronessa si era assicurata che fossero viste passeggiare per Hyde Park o prendere il tè con alcuni membri influenti dell'alta società. C'erano state
persino un paio di cene ed era stato in quelle occasioni che Eliza aveva conosciuto Lord Wilson.
«Eccolo là!» esclamò quasi gridando per la gioia, e fece appena in tempo a stamparsi in faccia un sorriso composto prima che lui guardasse nella sua direzione. Lord Wilson ricambiò il suo sorriso ed Eliza sentì il cuore esultare quando lo vide staccarsi dal gruppo con il quale conversava e venire verso di lei. Lucy le mormorò qualcosa che Eliza non afferrò prima di scomparire in sottofondo.
«Siete davvero incantevole stasera, Miss Stanley» dichiarò Lord Wilson, chinandosi sulla sua mano. «Ditemi che mi avete riservato il primo ballo.»
Eliza venne percorsa da un brivido di trepidazione mentre lui la guardava con occhi speranzosi, e capì che era nata proprio per questo. La sua vita le era sembrata incompleta quando viveva nel Somerset, aveva sempre avuto l'impressione di non appartenere a quel posto. Là, invece, era dove voleva essere, dove era destinata a essere.
«Ma naturalmente, Lord Wilson. Non potrei concedere il primo ballo a nessun altro.»
Mentre si voltavano, un uomo la urtò. Era più colpa di Eliza che sua, ma lui si fermò e si scusò.
«Vi chiedo perdono» disse, la voce così bassa e quieta che lei la udì a stento, con tutto il chiasso circostante.
«Badate a dove andate, Thannock» lo rimproverò Lord Wilson.
Eliza vide l'altro gentiluomo guardare freddamente Lord Wilson, poi girare sui tacchi e allontanarsi.
Samuel, Lord Thannock, controllò l'orologio da taschino e si chiese se qualcuno avrebbe notato che lui se
ne andava così presto. Di certo, però, quarantacinque minuti erano un tempo più che sufficiente da trascorrere a eventi come quello. In fondo, non era di buona compagnia e si era già soffermato a sufficienza con i padroni di casa.
Avendo cura di non incontrare lo sguardo di nessuna delle speranzose, giovani debuttanti allineate lungo le pareti della stanza, si diresse verso la porta ed emise un sospiro di sollievo quando si trovò fuori dalla folla. L'atmosfera era più tranquilla nel vasto atrio, ora che tutti gli invitati erano arrivati e si trovavano o nella sala da ballo o nel salotto accanto, dove si giocava a carte. Prevedendo di congedarsi presto, una volta soddisfatti gli obblighi sociali, Samuel non aveva portato un cappotto.
Lasciata la sala da ballo, girò a destra e si diresse verso la porta principale, ma, prima di varcare la soglia nella fredda aria notturna, udì qualcosa che lo indusse a fermarsi. Da qualche parte, alle sue spalle, sentì una profonda voce maschile, seguita dalla risatina incerta di una donna.
«Suvvia, non ci vedrà nessuno.»
«Dovremmo tornare.»
«Un minuto solo, lo prometto.»
Sam decise di non scoprire di chi si trattava. Di certo la coppia preferiva non avere intrusioni in quella tresca clandestina, e lui non desiderava ritrovarsi coinvolto nel loro segreto. Fece un altro passo verso la porta e udì ancora la voce della donna. Questa volta nel suo tono colse qualcosa che non andava.
«Credo che dovremmo tornare nella sala da ballo.»
«Ssh, qualcuno potrebbe sentirci e voi sareste completamente rovinata.»
A quella frase seguì un breve silenzio, poi Sam udì un grido spaventato e provò un immediato moto di repulsione. Non era mai stato tipo da intromettersi in faccende che non lo riguardavano, tuttavia in quel caso non esitò. Si voltò e in pochi passi attraversò l'atrio, tendendo le orecchie per cercare di capire dove la coppia si fosse nascosta. Mentre spalancava una porta dopo l'altra, sentì una brusca inspirazione, poi un grido soffocato.
Trovò i due nascosti nella terza stanza, la donna schiacciata sotto il suo compagno, che dava le spalle alla porta. Sam notò un volto femminile pietrificato, due occhi spalancati e una bocca coperta da una grossa mano.
In un secondo, senza dare all'uomo la possibilità di accorgersi che lui e la giovane non erano più soli, attraversò la camera. Afferrò l'uomo per il colletto, lo staccò dalla signorina e lo spinse via, guardandolo con una certa soddisfazione finire sul pavimento.
«Siete ferita?» chiese, scrutando la giovane donna che aveva davanti, il suo vestito sgualcito, le sopracciglia aggrottate, uno sguardo di terrore negli occhi. D'istinto allungò una mano per confortarla, ma si fermò in tempo. Di certo l'ultima cosa che lei voleva in quel momento era che un altro uomo la toccasse.
«Che cosa diavolo ci fate qui, Thannock?» sibilò Lord Wilson, rimettendosi in piedi.
Sam lo ignorò. Aveva sempre trovato Wilson insopportabile e volgare, ma non pensava fosse capace di arrivare a tanto.
«Desiderate che vada a chiamare qualcuno?»
Lei scosse il capo, raddrizzando la schiena.
«State ficcando il naso in questioni che non vi ri-
guardano, Thannock. Lasciate in pace me e Miss Stanley.»
Sam si girò verso il giovane visconte, torreggiando su di lui grazie alla sua superiore altezza. «Uscite» ordinò, la voce quieta ma dura. «Uscite e restate fuori.»
«Io non prendo ordini da voi.»
Sam fece un passo avanti e Lord Wilson, d'istinto, indietreggiò. Per un lungo momento esitò, poi si diresse verso la porta, fermandosi sulla soglia.
«Non pensate che avreste potuto avere più di questo, Miss Stanley... voi andate bene per una rapida strusciata, ma io e voi apparteniamo a mondi diversi.»
Dall'espressione della giovane, Sam capì che Wilson aveva toccato un nervo scoperto, anche se lei cercò coraggiosamente di nasconderlo ed emise un respiro di sollievo una volta che il visconte fu uscito. Per un lungo momento chiuse gli occhi e fece alcuni profondi, tremanti respiri, mentre il colore tornava lentamente sulle sue guance.
«Vi chiamate Miss Stanley, vero?» Sam non la conosceva, a parte il fatto di averla urtata, in precedenza. Il nome, tuttavia, gli era vagamente familiare e si domandò se non fosse una delle debuttanti che Lady Mountjoy aveva portato a Londra per la Stagione.
Era graziosa, anche così scarmigliata. Minuta di corporatura, con i riccioli scuri sfuggiti all'elaborata acconciatura che le accarezzavano le spalle. Nei suoi occhi verdi c'era una vitalità che gli fece venire voglia di fissarli, ma, ancora una volta, si trattenne in tempo.
«Sì. Grazie.»
Sam annuì e la guardò con attenzione sistemarsi il vestito. Faceva del suo meglio per far sembrare che non fosse successo niente, ma lui notò piccoli segnali – se-
gnali che sarebbero sfuggiti a un osservatore meno attento di lui – dai quali si capiva che Miss Stanley faticava a mantenere il controllo di sé.
Guardò la porta, domandandosi se lei non avrebbe preferito vederlo uscire, poi silenziosamente si rimproverò. Era lui che avrebbe preferito uscire, detestando ogni tipo di dramma, tuttavia quella donna aveva bisogno di aiuto e lui non avrebbe più potuto definirsi un gentiluomo se l'avesse lasciata sola.
«Sedete» le ordinò bruscamente. «Prendetevi un minuto.»
«Sto bene.»
«Tremate.»
Miss Stanley si guardò le mani come se fossero oggetti misteriosi, poi si lasciò cadere sui cuscini di un sofà. Sam non conosceva bene la residenza londinese dei Mountjoy, ma tutte le dimore dei ricchi si somigliavano a tal punto che, una volta che si era stati in almeno mezza dozzina di esse, ci si poteva orientare facilmente al loro interno. Così i suoi occhi saettarono verso gli scaffali e individuarono quasi subito ciò che cercavano: un decanter di brandy e due bicchieri di cristallo.
«Ecco qui.» E versò due generose dosi del liquore ambrato, porgendo un bicchiere a Miss Stanley. Restò sorpreso quando la vide mandarlo giù d'un sorso, reagendo con una piccola smorfia al bruciore che sentì in gola, ma senza tossire.
«Ora penserete che sono una vera sciocca» dichiarò Miss Stanley a quel punto, sollevando per un istante lo sguardo su di lui, prima di tornare ad abbassarlo risolutamente sul grembo.
Rammentando il consiglio del padre di contare sempre fino a tre prima di criticare qualcuno, Sam restò in
silenzio, infine scosse la testa. «Lord Wilson è il solo colpevole qui» replicò quietamente. «Voi non dovreste temere di stare da sola con nessuno.»
Lei annuì, mentre le lacrime le velavano gli occhi, ma le scacciò via. «Sono una sciocca, voi però siete gentile a sostenere il contrario.»
Sam camminava avanti e indietro davanti a lei, impaziente di lasciarla e di tornare alla solitudine della sua casa, ma qualcosa nel suo tono lo indusse a fermarsi e a prendere posto sul sofà, al suo fianco. Ebbe cura di non sedersi troppo vicino a lei, e per qualche istante restarono entrambi in silenzio.
Cercava qualcosa di rassicurante da dire, quando tutti e due s'irrigidirono nel sentire un rumore all'esterno della stanza. Lord Wilson si era sbattuto la porta dello studio alle spalle quando era uscito, tuttavia ora si udì l'inconfondibile click del pomolo che girava. Voci provenivano da fuori, voci di uomini che ridevano e chiacchieravano.
Il primo impulso di Sam fu di fuggire, ma non v'era nessun posto dove andare. Si trovava in una stanza buia con una signorina scarmigliata. Certo, sarebbero stati sorpresi a sedere innocentemente sul sofà, ma ciò non li avrebbe salvati dallo scandalo di essere da soli.
Miss Stanley sembrava terrorizzata quanto lui e in procinto di alzarsi, come se stesse pensando di nascondersi dietro una pianta in vaso o sotto la scrivania di mogano.
Il volume delle voci all'esterno crebbe, ma la maniglia aveva smesso di girare e Sam sperò che la fortuna li assistesse.
«Dobbiamo nasconderci» sussurrò Miss Stanley.
«Non c'è nessun posto dove nascondersi.»
«Dietro le tende.»
«Vedrebbero i nostri piedi.»
«Sotto la scrivania?»
«E se guardano sotto? Sembreremmo colpevoli.»
«Dobbiamo fare qualcosa.»
Sam si era sempre ritenuto immune da sguardi e toni imploranti, ma qualcosa negli occhi di Miss Stanley lo colpì al cuore e, contro ogni buonsenso, si ritrovò ad annuire. La cosa migliore sarebbe stata sistemarsi ai lati opposti della stanza e cercare di assumere un'aria più indifferente possibile. Oppure Miss Stanley sarebbe potuta correre verso la porta, uscire a testa bassa e sperare che nessuno la riconoscesse.
Invece condusse la signorina dietro il pesante tendaggio, come lei aveva suggerito, facendole cenno di sedersi sul davanzale e sollevare i piedi. Lui fece lo stesso, acutamente consapevole delle gambe di lei premute contro le sue mentre si stringevano nello spazio ristretto.
«Mountjoy ha detto che c'è un altro mazzo di carte sulla scrivania» dichiarò una voce maschile pochi attimi dopo, quando la porta si aprì e il rumore dalla sala da ballo divenne più forte.
Sam non andava a messa ogni domenica, ma in quel momento chiuse gli occhi e pregò che gli uomini trovassero in fretta le carte e uscissero prima che lui o Miss Stanley facessero qualcosa che li avrebbe traditi.
«Sbrigatevi, sono in un momento fortunato e non voglio perdere la possibilità di dissanguarvi tutti, per una volta.»
«Trovate.»
Un'ondata di sollievo pervase Sam nel sentire i passi attraversare la stanza. Forse Miss Stanley aveva avuto
ragione a insistere affinché si nascondessero. Si voltò verso di lei e, inorridito, la vide scivolare giù dallo stretto davanzale: il vestito di seta era troppo liscio e non faceva presa sulla pietra. Alla fine, lei precipitò in avanti, contro la tenda, ed emise uno strillo quando si ritrovò sul pavimento.
«Che cosa diavolo sta succedendo?» esclamò uno degli uomini con voce divertita.
«Vi prego» rispose Miss Stanley, «fingete che io non sia qui.»
Sam non poté fare a meno di ammirare il suo coraggio e per un momento sembrò che i gentiluomini contemplassero l'idea di esaudire la sua richiesta, poi però sentì altre voci e un sussulto inorridito.
Consapevole di non poter permettere che lei affrontasse da sola gli sguardi accusatori di una folla che cresceva ogni istante di più, uscì da dietro la tenda e aiutò Miss Stanley ad alzarsi.
C'erano tre uomini sulla soglia e, nel raddrizzarsi, lui vide anche un gruppo di signore più anziane. Dapprima ci fu un momento di silenzio, a cui seguì un mormorio di disapprovazione. Sam raddrizzò le spalle e fece un passo avanti; intendeva fare da scudo a Miss Stanley, evitarle quegli sguardi malevoli. Con un leggero tocco sul suo braccio, tuttavia, lei attirò la sua attenzione e scosse il capo, e lui provò un moto di ammirazione. Uno scandalo non lo avrebbe danneggiato troppo, ma avrebbe rappresentato la fine di tutte le speranze che Miss Stanley poteva avere riposto nella Stagione. Si sarebbe sparlato di lei per settimane, per mesi.
«Oh, eccovi» dichiarò la voce della padrona di casa, che si faceva largo tra la piccola folla ed entrava nella stanza. «So che vi avevo promesso di raggiungervi cin-
que minuti fa, ma ho perduto la cognizione del tempo.»
Si guardò poi intorno, come se soltanto allora notasse il gruppo di persone radunate. Con un'aria eccitata, fece un cenno a una donna che Sam vagamente riconobbe e sussurrò con chiarezza: «Stanno mettendo a punto gli ultimi dettagli del loro fidanzamento. Oh, io adoro pianificare le nozze».
Sam deglutì, come se nella stanza si soffocasse. I suoi polmoni bruciavano e avrebbe voluto spalancare la bocca per introdurvi dell'aria, ma una gelida occhiata di Lady Mountjoy lo indusse a curvare le labbra in un sorriso sereno.
«Vogliamo sedere, miei cari, abbiamo così tanto di cui parlare.»
Lady Mountjoy prese posto al centro del sofà, dando dei colpetti sui cuscini su entrambi i lati. Come due marionette, Sam e Miss Stanley obbedirono.
Già pensando ai luoghi che intendeva visitare, Eliza tornò ad appoggiarsi al petto del marito, ancora incapace di credere che non fingevano più. Ora, e per sempre, Sam sarebbe stato suo marito e nessuno avrebbe potuto portarglielo via.
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