Una gentildonna in cerca di guai

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SARAH MACLEAN

Una gentildonna in cerca di guai


Immagine di copertina: Lee Avison / Arcangel Images Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Rogue Not Taken Avon Books An Imprint of HarperCollins Publishers © 2015 Sarah Trabucchi Traduzione di Anna Polo Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con HarperCollins Publishers, LLC, New York, U.S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2017 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici Special luglio 2017 Questo volume è stato stampato nel giugno 2017 da CPI, Moravia I GRANDI ROMANZI STORICI SPECIAL ISSN 1124 - 5379 Periodico mensile n. 243S del 14/07/2017 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 368 del 25/06/1994 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano


1 IL TONFO DI SOPHIE IN SOCIETÀ Londra, giugno 1833 Se solo la Contessa di Liverpool non avesse adorato tanto le creature acquatiche, forse le cose sarebbero andate in modo diverso. Forse nessuno avrebbe assistito agli eventi del 13 giugno, l'ultima, leggendaria festa in giardino della stagione mondana del 1833. Forse la buona società londinese si sarebbe dispersa per la campagna in un idillio estivo. Forse. Un anno prima, però, la Contessa di Liverpool aveva ricevuto in dono sei pesciolini arancioni e bianchi, che si diceva fossero diretti discendenti di quelli amati dallo Shogun del Giappone. Sophie la riteneva una notizia infondata – il Giappone era notoriamente isolato dal resto del mondo – ma Lady Liverpool era fierissima dei suoi animaletti e se ne prendeva cura con passione quasi fanatica. I sei pesciolini iniziali erano diventati ventiquattro e al posto della grande boccia in cui le creature erano state consegnate ora c'era un piccolo stagno. I pesciolini avevano acceso la fantasia della contessa e il tema del suo ricevimento era diventato la Cina, sebbe5


ne la nobildonna conoscesse quel Paese ancora meno del Giappone. Ricevendo gli invitati in una diafana ed elaborata tenuta di seta bianca e arancione che ricordava gli amati pesciolini, Lady Liverpool aveva così spiegato la propria decisione. «Nessuno sa niente del Giappone. È tremendamente isolato, dunque non si può usarlo come tema per un ricevimento. La Cina gli è molto vicina... è praticamente la stessa cosa.» Quando Sophie aveva ribattuto che non era affatto la stessa cosa, la contessa era scoppiata in una risatina, agitando un braccio completo di pinne di seta. «Oh, non preoccupatevi, Lady Sophie. Anche in Cina ci sono pesci, ne sono sicura.» Sophie aveva lanciato alla madre uno sguardo colmo di disapprovazione per una simile ignoranza, ma lei non l'aveva degnata d'attenzione. Per settimane aveva insistito che il Giappone e la Cina non erano affatto la stessa cosa, ma nessuno sembrava disposto ad ascoltarla. La madre era fin troppo grata per aver ricevuto un invito a quella festa sofisticata. In fondo, le sorelle Talbot erano famose per le loro tenute fantasiose. Insieme al resto dell'aristocrazia si erano presentate a Liverpool House in un tripudio di broccati rosso e oro, ognuno più intricato dell'altro, con l'aggiunta di assurdi cappellini che avevano certo tenuto occupate le sarte di Londra a lavorare giorno e notte da quando erano arrivati gli inviti alla festa di Lady Liverpool. Sophie però aveva resistito alle insistenze materne perché partecipasse a quella farsa. Con grande sgomento della famiglia, era arrivata con un banale vestito giallo chiaro. E così in quella bella giornata di metà giugno Lady 6


Liverpool si impietosì alla vista della povera, scialba Lady Sophie – la Talbot che non era la più carina, la più divertente o quella che suonava meglio il pianoforte – e suggerì al giovane pesce fuor d'acqua di visitare i suoi pesciolini nel loro ambiente ideale. Sophie accettò con prontezza la proposta, ben felice di sfuggire a quel branco di ridacchianti aristocratici che evitavano con cura lei e la sua famiglia. Nessuno sguardo era più sfacciato di quello che eludeva un oggetto, soprattutto quando l'oggetto in questione era impossibile da ignorare. Quegli sguardi avevano seguito le giovani sorelle Talbot da quando erano entrate nella buona società. Cinque debutti in quattro anni. Con il passare del tempo gli inviti erano andati diminuendo. Sophie avrebbe preferito che la madre rinunciasse al sogno di fare delle figlie le beniamine della buona società, ma sapeva che era impossibile. Di conseguenza si trovava a nascondersi dietro gli arbusti, sagomati secondo l'arte topiaria, che abbondavano nel giardino dei Liverpool o a fingere di non sentire gli insulti nei confronti delle sorelle, sussurrati così spesso che ormai non erano neanche più sussurri. Seguì con sollievo le indicazioni della padrona di casa per raggiungere l'enorme, leggendaria serra dalle pareti di vetro, piena di un'incredibile varietà di piante. Là almeno non ci sarebbero stati pettegolezzi. Sophie si mise alla ricerca dello stagno per i pesci, facendosi largo tra alberi di limone in vaso e incredibili felci, fino a quando non sentì uno strano suono. Sembrava un grido ritmico e inquietante, come se qualche povera creatura venisse torturata in mezzo ai rododendri. 7


Sophie era una ragazza coscienziosa e la creatura in questione sembrava bisognosa di assistenza, così si mise a indagare. Purtroppo, quando scoprì la fonte del rumore divenne chiaro che la donna non aveva alcun bisogno di aiuto. Anzi, stava già ricevendo una notevole assistenza dal cognato di Sophie. Inutile dire che la donna non era la sorella di Sophie. Una volta superata la sorpresa iniziale, lei si sentì in diritto di interrompere la scena. «Vostra Grazia» lo chiamò in un tono colmo del suo disprezzo per quel momento, quell'uomo e quel mondo che gli aveva dato tanto potere. La coppia si immobilizzò. Una graziosa testa bionda sbucò da sotto il braccio del duca, coronata da un'enorme pagoda di seta rossa da cui pendeva una miriade di nappe dorate. Due grandi occhi azzurri la fissarono sgranati. Il Duca di Haven non degnò Sophie di uno sguardo. «Lasciateci» le ordinò. Non c'era niente al mondo che Sophie odiasse di più dell'aristocrazia. «Sophie? La mamma ti sta cercando... Ha bloccato il Capitano Culberth sul campo da croquet e continua a colpirlo con il suo enorme ventaglio. Dovresti salvare quel poveretto.» Sophie chiuse gli occhi, cercando di scacciare quelle parole e chi le aveva pronunciate. Si girò di scatto, nel tentativo di bloccare la sorella. «No, Sera...» «Oh!» Seraphina, Duchessa di Haven nata Talbot, si fermò di colpo svoltando un angolo tra le piante in vaso e contemplò la scena. Le sue mani si posarono sul ventre sporgente dove stava crescendo il futuro Duca di Haven. 8


«Oh.» Sophie le lesse in viso una sorpresa sconvolta, presto seguita dalla tristezza e poi da una sorta di fredda calma. «Oh» ripeté la Duchessa di Haven. Il duca non si mosse e non degnò di uno sguardo la moglie, la madre del suo futuro erede. Affondò invece una mano nei riccioli biondi e parlò alla piega del collo della sua amante. «Ho detto di lasciarci.» Sophie guardò Seraphina, alta, forte e decisa a nascondere tutte le emozioni che stava di certo provando... che Sophie non poteva fare a meno di provare per lei. Avrebbe voluto che la sorella parlasse, che combattesse per sé e il figlio non ancora nato e invece Seraphina si girò dall'altra parte. Sophie non riuscì a trattenersi. «Sera! Non gli dici niente?» La più grande delle sorelle Talbot scosse la testa con un movimento rassegnato che scatenò in lei rabbia e indignazione. Sophie si girò verso il cognato. «Se lei non lo fa, lo farò io. Siete disgustoso, pomposo, odioso e ripugnante.» Il duca le rivolse uno sguardo sprezzante. «Devo continuare?» lo incalzò Sophie. La bionda nelle sue braccia sussultò. «Ma insomma! Parlare in questo modo a un duca è terribilmente offensivo!» Sophie resistette all'impulso di strapparle dalla testa quello stupido cappello e di usarlo per picchiarli entrambi. «Avete ragione. Ma sono io l'offesa in questa situazione.» «Sophie» la chiamò piano Seraphina. Lei avvertì l'urgenza nel suo tono, la pressione perché si allontanasse da quella scena. Il duca si staccò con un sospiro dalla donna, le abbas9


sò le gonne e la mise giù dal tavolo su cui era appollaiata. «Andatevene.» «Ma...» «Ho detto di andarvene.» La donna capì di essere già stata dimenticata e obbedì, sistemandosi le nappine e lisciando le pieghe della gonna prima di allontanarsi. Il duca si girò, ancora intento ad abbottonarsi i pantaloni, e la sua duchessa distolse lo sguardo. Sophie non lo fece e si parò davanti a lei, come se potesse proteggere la sorella dall'uomo orribile che aveva sposato. «Se pensate di spaventarci con la vostra volgarità, non funzionerà.» Lui inarcò le sopracciglia. «Ovvio. La vostra famiglia sguazza nella volgarità.» Voleva ferirla e c'era riuscito. La famiglia Talbot costituiva lo scandalo dell'aristocrazia. Il padre di Sophie era un conte di recente nomina, avendo ricevuto il titolo dieci anni prima dall'allora re. Lui non aveva mai confermato il pettegolezzo, ma si diceva che l'avesse ottenuto grazie alla sua fortuna, basata sul carbone. Secondo alcuni, Jack Talbot l'aveva vinto in una partita a faraone, secondo altri la concessione del titolo era un pagamento per la sua disponibilità a saldare un debito imbarazzante contratto dal Principe Reggente. Sophie non lo sapeva e non se ne curava. Dopotutto il titolo del padre non aveva niente a che fare con lei e quel mondo aristocratico non era certo l'ambiente che avrebbe scelto per sé. In realtà avrebbe scelto qualsiasi mondo, ma non quello dove la gente era così pronta a criticare e maltrattare le sue sorelle. Sollevò il mento e squadrò il cognato. «Non sembra che vi facciate problemi a spendere i nostri soldi.» 10


«Sophie» la richiamò ancora la sorella. Questa volta il tono di rimprovero era chiaro. Lei si girò verso Seraphina. «Non è possibile che tu voglia proteggerlo. È vero, no? Prima di te il ducato era in rovina. Dovrebbe ringraziarti in ginocchio perché sei arrivata a salvare il suo nome.» «Salvare il mio nome?» Il duca si sistemò una manica della giacca. «Siete proprio una stupida, se pensate che le cose siano andate così. Ho procurato io a vostro padre tutti i suoi investitori aristocratici. Lui esiste grazie alla mia benevolenza. E spendo con piacere i vostri soldi, visto che ritrovarmi intrappolato in un matrimonio con quella sgualdrina di vostra sorella mi ha reso lo zimbello della buona società.» Sophie soffocò un sussulto davanti a quell'offesa. Conosceva le storie sulle manovre della sorella per prendere all'amo il duca e ricordava le vanterie della madre quando la figlia maggiore era diventata duchessa, ma questo non giustificava comunque un simile insulto. «Aspetta un figlio da voi» gli ricordò. «Così dice.» Il duca le superò, diretto all'uscita della serra. «Dubitate che sia incinta?» lo richiamò lei sconvolta. Fissò Seraphina, che teneva lo sguardo abbassato e le mani intrecciate sul ventre sporgente, come se volesse proteggere il bambino da quel mostro di suo padre. Poi Sophie si rese conto del vero significato di quella frase e corse dietro al duca. «Non potete dubitare che sia figlio vostro...» L'altro si girò con uno sguardo freddo e sprezzante. Non guardava Sophie, però, ma sua moglie. «Io dubito di ogni parola che sgorga da quelle labbra infide.» Si gi11


rò e Sophie fissò la sorella, alta, orgogliosa e colma di un freddo riserbo. Tranne per la lacrima che le rigava una guancia mentre guardava il marito che si allontanava. In quel momento Sophie non riuscì più a sopportare quell'ambiente di regole, gerarchie e disdegno. Non era nata in quel mondo e non lo aveva mai scelto. Era un mondo che odiava. Seguì il cognato, decisa a vendicare la sorella. Lui si voltò, forse perché udì la disperazione con cui la moglie chiamava il suo nome, o forse perché il suono di una donna che gli correva dietro era strano e sorprendente, o forse ancora perché Sophie non poté fare a meno di esprimere a voce alta la sua frustrazione. Gli diede una spinta con tutte le sue forze. Se il duca non si fosse voltato, già sbilanciato... Se lei non avesse avuto lo slancio dalla sua parte... Se il terreno non fosse stato scivoloso per i lavori accurati eseguiti dai giardinieri... Se la Contessa di Liverpool non avesse tanto amato i suoi pesciolini... «Piccola strega!» urlò il duca, finito lungo disteso nello stagno, con le ginocchia sollevate, i capelli scuri e fradici incollati alla testa e gli occhi colmi di un'ira furibonda. «Ti distruggerò!» Sophie trasse un profondo respiro – sapeva di averla fatta grossa – e rimase sui bordi dello stagno con le mani sui fianchi, fissando il cognato in genere maestoso. In quel momento però non lo era affatto. Non riuscì a trattenere una risatina. «Voglio proprio vedere» lo sfidò. «Sophie» la chiamò la sorella con voce colma di sgomento, rimpianto e dolore. 12


«Oh, Sera» mormorò lei. Si girò con un sorriso, ignorando il suono delizioso dei borbottii del cognato. «Non dirmi che questa scena non ti è piaciuta.» Sophie non se l'era mai goduta tanto in tutto il tempo trascorso a Londra. «Mi è piaciuta» ammise la sorella con voce sommessa. «Ma purtroppo non l'ho vista solo io.» La duchessa indicò qualcosa dietro di lei. Sophie si girò e vide tutta la buona società londinese che la fissava attraverso le enormi vetrate della serra. La pubblica umiliazione cominciò quasi subito. Non aveva importanza che il cognato meritasse in pieno i vestiti fradici, gli stivali rovinati e l'imbarazzo. Non aveva importanza che un uomo pronto a sbandierare le sue scappatelle davanti alla moglie incinta e alla sorella nubile di lei fosse un mostro. Non aveva importanza che lo scandalo avrebbe dovuto riguardare lui e solo lui. Gli scandali non si addicevano ai duchi, mentre restavano attaccati come miele alle sorelle Talbot. Da quando Jack Talbot era diventato Conte di Wight e tutta Londra aveva concentrato l'attenzione sulla volgare, rozza e poco aristocratica famiglia, la fama scandalosa non li aveva più lasciati. Le sorelle venivano chiamate le Spudorate S, visto che si chiamavano nell'ordine Seraphina, Sesily, Seleste, Seline e Sophie. Sophie preferiva quel nomignolo a quello ancora meno lusinghiero che girava nei saloni da ballo, nelle sale da tè e nei club per gentiluomini. Un chiaro ammonimento, da quando Seraphina era riuscita a intrappolare un duca nel matrimonio. Il significato era chiaro: il denaro aveva assicurato loro un titolo nobiliare, la casa ele13


gante a Mayfair, gli abiti splendidi e stravaganti, i cavalli di razza, le carrozze fin troppo ornate, ma non avrebbe mai potuto garantire loro un lignaggio nobile. Dunque le ragazze avrebbero fatto di tutto pur di insinuarsi nei circoli aristocratici. Per questo le chiamavano le Figlie Pericolose. La definizione era dovuta alle tre sorelle nubili più grandi, ognuna delle quali si trovava nel bel mezzo di uno stravagante corteggiamento con uno spasimante ugualmente stravagante. Erano corteggiamenti scandalosi e a rischio costante di fare una fine ingloriosa. Sesily era conosciuta come la musa di Derek Hawkins, artista famoso e proprietario e stella dell'Hawkins Theater. Non poteva vantare un titolo nobiliare, ma si dava comunque delle arie, un atteggiamento che aveva conquistato Sesily. Sophie invece non riusciva a capire che cosa trovassero sua sorella e il resto della buona società in un uomo così insopportabile. Seleste era coinvolta in un tira e molla emotivo e pubblico con il Conte di Clare, un nobile bello e spiantato. Erano la coppia più drammatica che Sophie potesse immaginare, sempre pronti a litigare davanti a interi saloni da ballo, per poi cadere l'uno nelle braccia dell'altra. Seline era corteggiata da Mark Landry, proprietario delle scuderie Landry e ormai temibile concorrente di Tattersall nelle aste per l'acquisto di purosangue. Landry era un tipo alquanto chiassoso e volgare senza una goccia di sangue blu, ma se avesse sposato Seline – cosa che Sophie riteneva possibile – l'avrebbe resa la più ricca delle sorelle Talbot. Tali corteggiamenti attiravano continui commenti e le giovani Talbot adoravano quell'attenzione costante; con 14


grande sgomento della madre facevano di tutto per tentare i giornali scandalistici. Ogni cenno di disapprovazione le spingeva a comportamenti ancora più indecorosi. Con l'eccezione di Sophie. A ventun anni era l'unica ad aver evitato ogni scandalo. Lei era convinta che le cose stessero così perché si curava poco dei dettami e delle opinioni della buona società, che in qualche modo pareva capirlo. Ora però il Duca di Haven era bagnato fradicio, con i pantaloni prima impeccabili cosparsi di pezzetti di flora d'acqua dolce, e la buona società non sembrava più disposta a ignorare Sophie, fino a quel momento considerata l'unica tranquilla delle Figlie Pericolose. Sophie uscì dalla serra a testa alta, le guance in fiamme, e scrutò la folla. Duchesse, marchese e contesse la guardavano dietro i ventagli in movimento e i loro sussurri assomigliavano al frinire delle cicale in una giornata estiva. Non era la reazione delle signore al suo gesto a sconvolgerla, però: in fondo le aveva viste per anni diffondere pettegolezzi e godersi uno scandalo dopo l'altro. Era quella degli uomini. In base alla sua esperienza i gentiluomini londinesi non si curavano molto dei pettegolezzi, preferendo lasciarli alle loro mogli per dedicarsi a diversivi più virili. Pareva però che le cose cambiassero quando veniva coinvolto uno di loro. Duchi, marchesi e conti dai titoli altisonanti la fissavano a loro volta e nei loro occhi Sophie lesse qualcosa di più intenso di una semplice disapprovazione. In genere il disgusto veniva definito freddo, ma quel giorno sembrava caldo come il sole. Sophie sollevò una 15


mano senza riflettere, come per bloccare quella vampata ardente. «Sophie!» La madre arrivò di corsa, un ampio sorriso stampato in faccia e la voce abbastanza alta da sovrastare il brusio degli invitati. La contessa indossava un vestito rosso scuro, che sarebbe apparso scandaloso se non fosse stato per l'enorme, ridicolo copricapo dello stesso colore che, le era stato assicurato, costituiva l'ultima moda cinese. In quel momento però Lady Wight non era interessata al cappello, ma fissava la figlia minore con uno sguardo colmo di panico. Le tre sorelle di mezzo la seguivano come stravaganti anatroccoli. «Sophie! Che scenata hai fatto!» esclamò la contessa. «Sembrava una scena degna di una di noi» osservò Sesily. Il seno florido pareva sul punto di prorompere dalla scollatura generosa del vestito aderente e vistoso. Naturalmente Sesily era il tipo da sfoggiare una tenuta simile e apparire la tentazione incarnata. «Haven sembrava pronto a ucciderti.» Ti distruggerò! «Credo che l'avrebbe fatto, se non fossimo dei personaggi così pubblici» replicò Sophie. «Così sfortunatamente pubblici» sibilò la madre. Sesily inarcò le sopracciglia e passò la mano sulla scollatura, come per spazzolare un invisibile granello. «E se non fosse stato così fradicio.» «Non c'è bisogno che tu metta in mostra il seno, Sesily. Ce l'abbiamo tutte» la rimproverò Seleste attraverso un impalpabile velo dorato che le ricadeva sul viso e il collo da un copricapo simile a una corona. Seline scoppiò in una risatina. 16


«Ragazze!» sibilò la madre. «Sei stata davvero magnifica, Sophie» dichiarò Seline. «Chi avrebbe detto che fossi capace di una cosa simile?» Sophie le rivolse uno sguardo feroce. «Cosa vuoi dire?» chiese. «Non è il momento, ragazze» intervenne la madre. «Non vedete che questa storia potrebbe rovinarci tutte?» «Sciocchezze» replicò Sesily. «Quante minacce di rovina dobbiamo affrontare prima che vi rendiate conto che siamo come gatti dalle sette vite?» «C'è un limite anche per i gatti. Dobbiamo riparare questo danno. Subito» dichiarò la Contessa di Wight, prima di ricordare che si trovavano davanti a tutta la buona società londinese. «Abbiamo visto cos'è successo» aggiunse a voce abbastanza alta perché la sentissero tutti. «Povero duca!» Sophie si bloccò stupefatta. «Povero?» «Ma certo!» La voce della contessa salì di un'ottava. Sophie sbatté le palpebre. «Sarà meglio che l'assecondi» le consigliò Seline, mentre tutte le sorelle la circondavano come grandi cormorani dorati, completi di ventagli sventolanti e nappine ondeggianti. «O la mamma impazzirà per il timore di finire in esilio.» «Io non mi preoccuperei» replicò Seleste. «Non credo che ci esilierebbero. Non riescono quasi a tenersi al passo con noi.» Sesily annuì. «Appunto. Adorano le nostre sconvenienti scenate. Cosa farebbero senza di noi?» Non aveva tutti i torti. «Ci eleveremo al di sopra di ognuno di loro. Guarda la nostra Seraphina.» 17


«Seraphina è sposata con un vero somaro» obiettò Sophie. «Sophie, bada a come parli!» La madre sembrava sul punto di svenire per il panico. Le sorelle annuirono. «Sarà meglio evitare quella parte» suggerì Sesily. «È scivolato ed è finito nello stagno, è chiaro» proclamò la contessa. Gli occhi azzurri erano così sgranati da indurre Sophie a chiedersi se potessero schizzare dalle orbite. All'improvviso ebbe una visione della madre che cercava a tentoni nell'erba ben curata i globi oculari, con l'assurdo, enorme copricapo che le penzolava dalla testa incapace di sopportarne il peso. Che scena. Sophie scoppiò in una risatina. «Non ti azzardare!» sibilò la madre tra i denti. La risatina divenne uno sbuffo. «Povero, povero Haven!» continuò la Contessa di Wight, una mano premuta sul petto. Furiosa, Sophie decise che ne aveva abbastanza. La sua famiglia non era più stata la stessa da quando era arrivato quel dannato titolo nobiliare. La madre era diventata contessa e le sorelle ricchissime giovani signore, così che la buona società era stata costretta ad accettare la loro presenza. E all'improvviso quelle donne che Sophie pensava non si curassero tanto del nome e del denaro avevano dato un grande peso a quei simboli di prestigio e ricchezza. Non avevano mai capito la verità: una fanciulla della famiglia Talbot poteva anche sposare un membro della famiglia reale, ma non sarebbe mai stata davvero benaccetta nell'alta società. Sopportavano la loro presenza per18


ché non potevano permettersi di perdere i consigli e l'acume del nuovo conte o le ricche doti delle figlie. Dopotutto il matrimonio era l'affare più importante del Paese. La famiglia di Sophie lo sapeva più di chiunque altro e adorava quel gioco con tutte le sue macchinazioni. Lei però non voleva saperne. Era sempre stato così. Aveva passato i primi dieci anni della sua vita nell'idillio di un'esistenza agiata, ma senza titoli nobiliari. Aveva giocato nelle verdi colline intorno a Mossband e imparato dalla nonna a preparare le sfoglie ripiene – il cibo preferito del padre a pranzo – nella cucina della famiglia Talbot. Era andata a cavallo nella cittadina per ritirare la carne dal macellaio e il formaggio dal formaggiaio e non aveva mai sognato un marito aristocratico. Immaginava un futuro solido e soddisfacente accanto al figlio del panettiere del paese. Poi suo padre era diventato conte e tutto era cambiato. Sophie non metteva piede a Mossband da dieci anni, da quando la madre aveva chiuso la casa per trasferirsi a Londra. La nonna era morta un anno dopo il trasferimento e le sfoglie erano state definite troppo ordinarie per un conte. Il macellaio e il formaggiaio adesso consegnavano le loro merci all'entrata sul retro dell'imponente residenza di Mayfair e il figlio del panettiere era ormai un ricordo vago e distante. Nessun altro membro della famiglia sembrava avere problemi a adattarsi a quel nuovo mondo che Sophie non aveva mai desiderato né richiesto. E nessuno sembrava curarsi del fatto che lo odiava. Così nei giardini di Liverpool House, davanti a tutto il ton che la guardava, Sophie si stancò di fingere di essere come quella gente. Quello non era il suo mondo e lei non 19


aveva bisogno della loro accettazione. Aveva del denaro e due gambe capaci di portarla via di là. Guardò le sorelle, tutte agghindate e sicure che un giorno avrebbero dominato quell'ambiente esclusivo, e capì che non sarebbe mai stata come loro. Gli scandali non le erano mai piaciuti; non aveva mai desiderato quel mondo, con tutti i suoi ornamenti e le sue trappole, dunque perché avrebbe dovuto inchinarsi alle sue regole? Dopo ciò che era successo quel giorno la buona società non l'avrebbe più accolta; per una volta dunque poteva anche dire la verità. Quando si è in ballo bisogna ballare, come amava dire suo padre. Si girò verso le sorelle. «Naturalmente. È una farsa che Sua Grazia abbia umiliato a tal punto nostra sorella da non lasciarmi altra scelta se non assumere il ruolo dell'eroina e vendicare il suo onore, visto che nessuno degli altri cosiddetti gentiluomini lo ha fatto» dichiarò a voce abbastanza alta da farsi sentire da tutti. «Bisogna davvero compatire Sua Grazia: poveretto, è cresciuto in un mondo che lo ha illuso e indotto a pensare che il titolo lo renda un gentiluomo, mentre in realtà è uno zoticone, come la maggior parte dei suoi pari. E anche qualcosa di peggio, che fa rima con zoticone.» La madre sgranò ancora di più gli occhi. «Sophie! Le signore non parlano così!» Quante volte era stata rimproverata perché il suo comportamento non era abbastanza signorile? Quante volte avevano cercato di modellarla secondo l'immagine perfetta di quel mondo aristocratico che non l'avrebbe mai accettata? Che non avrebbe mai accettato nessuno di loro, se non perché aveva bisogno dei loro soldi? «Non mi 20


preoccuperei» rispose davanti a tutta Londra. «Tanto non ci considerano certo delle signore.» Le sue sorelle si irrigidirono. «Sophie!» esclamò Seline, la voce colma di incredulità mista a un certo rispetto. «Be', non me l'aspettavo» commentò Sesily. La contessa abbassò la voce fino a ridurla a un sussurro. «Che cosa ti ho detto riguardo all'esprimere le tue opinioni? Distruggerai te stessa e le tue sorelle! Non fare qualcosa che poi rimpiangerai.» Sophie invece non abbassò la voce. «Il mio unico rimpianto è che lo stagno non fosse più profondo. E pieno di squali.» Non sapeva bene che reazione aspettarsi. Sussulti, forse, o magari sussurri, striduli strilli femminili, o perfino cupi borbottii maschili. Non le sarebbe dispiaciuto qualche svenimento. Non si aspettava il silenzio, però. Non si aspettava quel freddo, severo disinteresse, o il modo in cui tutti gli invitati si voltarono e ripresero a conversare come se lei non avesse aperto bocca. Come se non fosse nemmeno presente. Il che le rese piuttosto facile girarsi e andarsene.

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Questo mese Il tesoro più prezioso Candace Camp Scozia, 1807 - Meg Munro è una guaritrice delle Highlands che vede il Conte di Mardoun, un affascinante inglese, come un nemico.

Il dono di Lucilla Cynster Stephanie Laurens Scozia, 1848 - Lucilla Cynster possiede un dono premonitore con cui ha riconosciuto in Thomas Carrick il proprio compagno di vita.

Le ragioni del cuore Courtney Milan Londra, 1838 - Il Marchese di Blakely vuole dimostrare che Madame Esmeralda è un’imbrogliona. Ma la bella sirena tentatrice...

Una gentildonna in cerca di guai Sarah Maclean Inghilterra, 1833 - Sophie fugge da un ricevimento e incappa nel Marchese di Eversley, che ha parecchi altri guai in serbo per lei!

Imperdonabile inganno Lorraine Heath Londra, 1874 - Quando Drake Darling salva l’altezzosa Lady Ophelia, approfitta della sua temporanea amnesia per farle credere di...

Il bacio del libertino Judith James Inghilterra, 1659 - Elizabeth si concede a William de Veres senza riserve. Anni dopo, i due si incontrano a corte e la passione inevitabilmente...


Il gioco degli opposti SABRINA JEFFRIES Inghilterra, 1830 - Edwin Barlow, Conte di Blakeborough, è intenzionato a trovare moglie. Così, quando un amico gli chiede di prendersi cura della sua impetuosa pupilla, Lady Clarissa Lindsey, bisognosa di protezione a causa di un corteggiatore troppo invadente, Edwin accetta con l'idea di partecipare alla Stagione e portare così avanti la propria ricerca. La vivace, brillante e sfrontata Clarissa non corrisponde certo alle sue preferenze, tuttavia nel momento in cui la situazione con il minaccioso spasimante precipita, Edwin comprende che l'unico modo per salvare lei e risolvere i propri problemi è combinare un matrimonio di pura facciata. Peccato, però, che Clarissa smuova in lui tutte le emozioni che è sempre stato riluttante a provare: rabbia, divertimento, frustrazione e, soprattutto, desiderio...

La scandalosa signora del duca MEGAN FRAMPTON Londra, 1844 - Da due anni ormai Lady Margaret Sawford vive ai margini della società, dopo essere stata ripudiata dai genitori per aver rifiutato una vantaggiosa proposta di matrimonio da parte di un duca. Ma determinata e indipendente, non si è mai data per vinta. Scrivendo romanzi pubblicati a puntate su un giornale londinese e giocando a carte, provvede a se stessa e alle donne vittime di abusi che chiedono il suo aiuto. L'insolito incontro con un affascinante sconosciuto con una benda sull'occhio, durante una festa, le fa sperare di aver trovato il compagno ideale, non sottomesso alle noiose e insulse restrizioni dell'etichetta. Quando però scopre che quello che credeva un corsaro ribelle è in realtà un duca, oltremodo rispettoso di quelle restrizioni, Margaret non può fare a meno di stuzzicarlo per fargli scoprire l'ebbrezza della libertà.

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