Una lady intraprendente

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JOANNA SHUPE

Una lady intraprendente


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Lady Hellion ZEBRA BOOKS This edition is published by arrangement with Kensington Publishing Corp. and Silvia Donzelli Agency © 2015 Joanna Shupe Traduzione di Marianna Mattei Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2017 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Storici Seduction ottobre 2017 Questo volume è stato stampato nel settembre 2017 da CPI, Barcelona I GRANDI STORICI SEDUCTION ISSN 2240 - 1644 Periodico mensile n. 69 dello 04/10/2017 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 556 del 18/11/2011 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano


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Londra, febbraio 1820 Imbottire l'inguine dei pantaloni richiedeva un sorprendente grado di perizia. Se eccessivo, il rigonfiamento avrebbe attirato troppo l'attenzione. Se insufficiente, rischiava di scivolare lungo la gamba. Per fortuna Lady Sophie Barnes era abbastanza esperta da saper ottenere l'equilibrio perfetto. Nessuno, guardandola in quel momento, avrebbe mai creduto di avere davanti a sé una donna di ventisette anni, figlia di un ricco e potente marchese – non negli eleganti panni da gentiluomo che la coprivano da capo a piedi. Allo stesso modo, nessuno avrebbe mai creduto che la sua occupazione preferita fosse condurre indagini per conto di una categoria di donne a cui gran parte dei londinesi non voleva nemmeno pensare. Seppure fredda e sgradevole, la serata aveva dato i propri frutti. Quando Sophie raggiunse la carrozza, il vetturino balzò a terra per aprirle lo sportello. All'interno sedeva Alice, la sua cameriera, imbacuccata tra le coperte. La domestica attese finché lo sportello non si fu richiuso prima di esordire: «Ebbene, milady?». Sophie batté sul soffitto per ordinare al cocchiere di partire, quindi si tolse dalla tasca del pastrano un foglio ripiegato. 5


«Nessuna traccia di Natalia, ma ho trovato questa.» Beth, la giovane che aveva richiesto i servigi di Sophie, temeva che alla sua amica Natalia fosse capitato qualcosa. Anche se ora Beth si era trovata un protettore, Natalia continuava a lavorare in una taverna al porto dove, per guadagnare qualche soldo in più, bisognava portarsi i clienti al piano di sopra. Le due ragazze si scrivevano immancabilmente ogni settimana, ma Natalia ormai non dava notizie di sé da un mese. Quella sera Sophie era riuscita a entrare nella camera di Natalia e l'aveva perquisita. Peccato che l'unica lettera che aveva trovato fosse scritta in russo. Sophie allungò le gambe, prive dell'impedimento delle sottane, mentre la carrozza rimbombava nell'oscurità. I calzoni erano davvero un'invenzione spettacolare. «Vorrei tanto sapere cosa dice. Ma Beth parla solamente inglese.» «Dobbiamo trovare qualcuno che sappia il russo, milady.» Un nome le balenò nella mente. Un nome a cui cercava di pensare non più di cinque – o dieci – volte al giorno. Spesso senza riuscirci. «Io conosco qualcuno che parla russo. Lord Quint. Durante un ricevimento all'Ambasciata Russa, tre anni fa, tenne una breve conferenza.» Sophie vi aveva assistito, restando in piedi in fondo alla sala. Non aveva compreso una singola parola, ma milord era stato fenomenale. Nell'illustrare una recente scoperta scientifica aveva catturato l'attenzione di tutti i presenti, riuscendo addirittura, in diverse occasioni, a strappare una risata a quegli arcigni dei russi. Alice fece schioccare la lingua. «Ahimè, milord non lo parlerà ancora per molto, questo è poco ma sicuro.» «Cosa intendi dire?» Il suo tono secco fece scattare Alice sull'attenti. «Pensavo che milady lo sapesse. Quell'uomo ha un piede nella fossa. Tre... no, forse quattro giorni fa, ho incontrato una delle sguattere di milord. È in balia della febbre. Non permette ai domestici di accudirlo, né al dottore di entrare.» A Sophie parve che lo stomaco le fosse precipitato attraverso il pavimento della carrozza, finendo nella polvere delle 6


strade di Southwark. Quel che le aveva riferito Alice doveva per forza essere vero. La rete di domestici da cui la cameriera ricavava le proprie informazioni avrebbe fatto sfigurare i servizi segreti di qualsiasi nazione. Quint... con un piede nella fossa. Oh, Dio! Sophie sapeva bene che, qualche tempo prima, nel corso dell'incendio scoppiato a casa di Maggie, il visconte era stato sfiorato da una pallottola. Ma era convinta che si fosse ristabilito. Tutti avevano convenuto che la ferita non era grave. Dannazione, se solo non fosse stata così presa dalla propria vita... Batté con il pugno sul soffitto. Il cocchiere aprì la finestrella che dava sull'interno della carrozza e, producendosi nella voce più bassa e profonda che le riuscì, Sophie gli ordinò: «Fermatevi all'angolo sudoccidentale di Berkeley Square». Quint viveva all'estremità opposta della piazza su cui si trovava anche la dimora del padre di Sophie, dunque lei sarebbe scesa lì e Alice avrebbe continuato il tragitto. «Cosa volete fare, milady?» Non era ovvio? «Voglio salvarlo.» Alice ansimò. «Non potete presentarvi alla sua porta...» Agitò la mano per indicare l'inconsueta tenuta della padrona. «... vestita così.» «Perché no?» «Non permetteranno a uno sconosciuto di entrare e di vederlo, anche se abbigliato da gentiluomo. E poi...» «Non iniziare nemmeno a parlarmi di salvaguardare le apparenze. A quello ho rinunciato molto tempo fa, Alice. Non ti preoccupare, in un modo o nell'altro, riuscirò a entrare in casa sua.» Il tempo di giungere all'ingresso della servitù della residenza di Quint le bastò a inventare una storia plausibile. Venne ad aprirle una donna anziana dagli occhi assonnati in cuffia da notte, il volto rugoso corrucciato. «Sono qui» disse Sophie parlando con il vocione, «su richiesta di Sua Grazia il Duca di Colton, per visitare Sua Signoria il Visconte Quint.» 7


La donna sollevò il lume e squadrò Sophie da capo a piedi. «Siete un medico?» «Un valletto, ma posseggo vaste conoscenze nel campo della medicina.» «E vi manda un duca, avete detto?» Sophie sollevò il mento. «Sì. E non credo che Sua Grazia sarebbe felice di sapere che mi avete lasciato qui sulla soglia a gelare.» La donna si scostò per consentirle di entrare. Una volta in cucina, Sophie si tolse il pastrano. «Dove posso trovare milord?» «Nelle sue stanze. Non permette a nessuno di entrare, nemmeno al dottore. Gli altri domestici se ne sono quasi tutti andati. Probabilmente nel giro di uno o due giorni ci ritroveremo anche noi per strada.» Senza aggiungere altro, la donna si girò e imboccò il corridoio. Doveva trattarsi della cuoca, s'immaginò Sophie seguendola. «Prendete le scale» borbottò la domestica consegnandole la lampada prima di proseguire diritto. Dopo un paio di tentativi andati male, Sophie trovò finalmente gli appartamenti padronali. All'interno l'aria era fredda e stantia, nessuno si era preoccupato di riattizzare il fuoco. La luce lunare filtrava dalle finestre quel tanto sufficiente a permetterle di scorgere una sagoma inerte sotto le coltri. Quint. Signore, fa' che sia vivo! Corse da lui e soffocò a stento un gemito. Dio del cielo! Le sue condizioni erano peggiori di quanto avesse temuto. Aveva la pelle arrossata, le labbra gonfie e screpolate. Gli occhi chiusi erano cerchiati da aloni bluastri. Con il fiato mozzato dalla paura, Sophie appoggiò la mano laddove la gola non era avvolta dalle bende. Pur scoprendogli la pelle rovente, emise un sospiro di sollievo nel sentire il pulsare del sangue. Debole, ma presente. Depose la lampada sul comodino. «Oh, Damien» sussurrò, incapace di trattenersi gli scostò delicatamente i capelli sudati dal viso febbricitante. «Ecco quel che capita a voler fare a 8


meno di un valletto, razza di sciocco che non siete altro.» Quando gli esaminò la ferita, dalla gola di lui scaturì un suono strozzato e sofferente. Il taglio era rosso e infiammato e quando Sophie lo premette lievemente ne fuoriuscì del liquido. Quint emise un altro rantolio, cercando di scostarsi. Perlomeno dava segni di vita. Con passo deciso, Sophie andò a tirare il campanello e frattanto stilò nella propria mente una lista di tutto ciò che le serviva. Era arrivata in tempo o troppo tardi? Ignorando l'apprensione che le serrava lo stomaco, giurò a se stessa di farcela. Non gli avrebbe permesso di morire. «Mi avete udito, Quint?» disse ad alta voce. «Voi. Non. Morirete.» Dieci minuti e innumerevoli tirate di campanello dopo, finalmente comparve un domestico dall'aria sonnolenta e scarmigliata. Ovviamente era stato destato dal proprio sonno, ma Sophie non provava alcuna compassione per la servitù di quella casa. Avevano abbandonato il loro padrone, che gliel'avesse chiesto lui poco importava. A suo modo di vedere, era una condotta inaccettabile. Quint si meritava senz'altro maggiore riguardo. «Sveglia tutti i domestici. Di' alla cuoca di far bollire dell'acqua. Mi servono lenzuola e asciugamani puliti. Portami anche ogni singolo medicamento che avete in casa. E manda a chiamare un dottore.» «Ma...» «Niente ma. Il tuo padrone è tra la vita e la morte e io intendo salvarlo, quindi fa' quel che ti dico. E ora corri!»

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Aprile 1820 «Avete visite, milord.» Damien Beecham, Visconte Quint, non si diede nemmeno la pena di sollevare lo sguardo sul suo nuovo maggiordomo, restando concentrato sul fascio di carte davanti a sé. Doveva annotare quell'idea. Subito, prima che fosse troppo tardi. «Date la solita risposta, Turner.» Il maggiordomo si schiarì la voce. «Con il dovuto rispetto, milord, mi chiamo Taylor.» Quint fece una smorfia. Non lo si poteva certo criticare per essersi dimenticato il nome del ragazzo, il quale era alle sue dipendenze da appena qualche giorno. O invece quella era un'ulteriore conferma che le sue peggiori paure si stavano avverando? Erano passati quasi tre mesi da quando gli avevano sparato. Tre mesi e non era ancora migliorato. Oh, la ferita si era rimarginata, la febbre era scesa, eppure tutto il resto era peggiorato. Depose la penna nel calamaio con un sospiro, ripetendo tra sé il motto che aveva adottato da qualche settimana a quella parte. Resta occupato. Tieni attiva la mente, finché puoi. Preparati al peggio. Riportò lo sguardo sul cifrario che aveva davanti. «Le mie scuse, Taylor. Niente visite. 10


Mai. Fino a nuovo avviso non voglio vedere nessuno.» «La signorina aveva previsto che milord avrebbe rifiutato, quindi mi ha chiesto di dirvi il suo nome: Lady Sophie Barnes. Mi ha anche chiesto di aggiungere che è decisa a entrare, indipendentemente dal consenso di milord.» Quint si accigliò. Sophie era lì? Perché mai? All'irritazione si sostituì un senso di oppressione al petto. Non se la sentiva di vedere nessuno, tanto meno lei. «No. Non se ne parla. Ditele che...» Prima che potesse terminare la frase, Sophie irruppe nella stanza. Soffocando un'imprecazione, Quint gettò via la penna, si alzò e strappò la giacca dallo schienale della sedia su cui l'aveva drappeggiata, rinfilandosela e inchinandosi in un sol gesto. «Lady Sophie.» La conosceva da anni: cinque quasi sei, per l'esattezza. E ogni volta che la vedeva era travolto da una strana emozione che gli dava alla testa. Ai suoi occhi non esisteva donna più straordinaria di lei. Aveva corti capelli castano chiaro, che alla luce della lampada si accendevano di riflessi dorati. Per essere una donna era alta, con un fisico snello e slanciato che si muoveva con estrema disinvoltura. Aveva il naso e gli zigomi punteggiati di lentiggini che sembravano danzare quando rideva – un evento che si verificava sovente. La gente restava stregata da quella risata e Quint non faceva eccezione. «Lord Quint, grazie di avermi ricevuto.» Tenendosi fermo il cappellino, Sophie si esibì in una riverenza, tanto per recitare la parte della giovinetta a modo. Ma chi conosceva bene la figlia del marchese non si sarebbe mai lasciato fuorviare dalle apparenze. Sophie e Julia Seaton, Duchessa di Colton, erano amiche per la pelle, e nel corso degli anni si erano cacciate in una serie infinita di guai. L'ultimo giunto alle orecchie di Quint aveva comportato il salvataggio delle due sciagurate da una bisca dove si era scatenata una rissa. «Avevo forse altra scelta?» rispose lui in tono secco. Sophie rise, per nulla offesa, e Quint scorse Taylor fermo 11


sulla soglia a fissarla con la bocca spalancata. Bisognava ammettere che lo stesso Quint aveva più volte avuto una reazione simile, trovandosela davanti. «Non c'è altro, Taylor. Lasciate la porta accostata, per favore.» Il maggiordomo annuì e si congedò, lasciando il massiccio uscio aperto di uno spiraglio in osservanza delle regole del decoro. Un fatto assurdo, se si considerava che quella visita era già di per sé dannatamente indecorosa. «Spero che siate perlomeno accompagnata da una cameriera, Sophie.» «Ma certo. È nell'atrio, probabilmente a civettare con quel bamboccio che chiamate maggiordomo.» Incurvò le labbra in un sorrisetto impertinente che ormai gli era familiare. Una volta, dopo avergli rivolto quel sorriso, si era abbandonata contro di lui e aveva schiuso le labbra... appena prima che Quint la baciasse. Quel ricordo gli fece quasi dimenticare di non voler assolutamente nessuno per casa. Era già abbastanza fastidioso dover sopportare il personale domestico. «Non ricevo visite» le comunicò. «E tutto questo non gioverà di certo alla vostra reputazione.» Lei agitò la mano, incurante. «Nessuno si interessa di una zitella di quasi trent'anni. E ora vogliamo sederci?» Quint sapeva bene che gli anni erano solo ventisette, ma contraddirla non sarebbe servito a nulla. Si guardò attorno. Ogni superficie disponibile era cosparsa di libri, carte e ingranaggi meccanici. Per non parlar del fatto che il suo scrittoio era occupato da tre grossi tomi di medicina – tutti dedicati ai disturbi mentali. Con gesti rapidi, Quint li richiuse uno dopo l'altro, spostandoli sul pavimento. Infine fece il giro dello scrittoio per liberare una sedia su cui far accomodare Sophie. «Grazie.» Lei si sedette con gesti aggraziati e assunse una posa compunta, il cappellino appoggiato in grembo. «Vi chiedo scusa per aver fatto irruzione. Il maggiordomo ha provato a mandarmi via, ma non sono mai riuscita a incontrarvi altrove. In pratica conducete una vita da recluso.» 12


Meglio recluso che in manicomio. Quint si sedette dietro lo scrittoio e disse: «Sono molto occupato». Lei inarcò un sopracciglio. «Così occupato da perdervi la conferenza inaugurale della Royal Society, martedì scorso?» «Avevo un altro impegno» fu la debole scusa che le propose. «Un altro impegno? E quale? Finora non vi eravate mai perso una singola conferenza inaugurale. Non che io mi ricordi, perlomeno.» Lui cercò di non reagire, scacciando il desiderio di digrignare i denti. «Non mi ero reso conto che i miei impegni fossero affar vostro.» Lei sospirò. «Oh, cielo. Vi ho già fatto arrabbiare. E non sono nemmeno arrivata a illustrarvi il motivo della mia visita.» «Vale a dire che, rivelandomelo, mi farete infuriare ancor di più?» «Sì, suppongo che non approverete affatto, ma non ho altri a cui rivolgermi.» «Come mai provo un pressante desiderio di sbattervi la porta in faccia senza nemmeno darvi modo di parlare?» Lei balzò in piedi, così anche Quint si accinse ad alzarsi. «No» lo fermò. «Per favore, rimanete seduto. È che stando in piedi riesco a pensare più lucidamente.» A malincuore, Quint tornò a sedersi. Non aveva idea di cosa lei volesse ma, essendoci di mezzo Sophie, avrebbe potuto trattarsi di qualsiasi cosa. In qualunque guaio si fosse cacciata, a lui non importava. Non poteva importargliene. Doveva mantenere una saggia distanza tra sé e gli altri, soprattutto con coloro che lo avevano conosciuto prima dell'incidente. Perciò sarebbe stato ad ascoltarla e poi l'avrebbe messa alla porta. Rimase in attesa mentre lei percorreva il pavimento dello studio, il cappellino che dondolava contro la coscia. Era chiaramente nervosa. Indossava un abito costoso ed elegan13


te, ma stivaletti dall'aria alquanto vissuta. Niente gioielli. Uno spirito pratico nascosto sotto i fronzoli di una dama di società. Interessante. Ma quel che lo irritava di più era trovarla ancora così affascinante, dopo che lei lo aveva brutalmente respinto tre anni prima. «E quello che diamine sarebbe?» gli chiese d'un tratto lei, indicando una tazzina da tè abbandonata sullo scrittoio. Quint balzò in piedi e afferrò la chicchera dimenticata, che conteneva un intruglio gelatinoso di color verde-marrone, ricavato da una miscela di erbe e spezie. L'aspetto era disgustoso quanto il sapore. Nascose il tutto nel cassetto dello scrittoio. «Perché siete qui, Sophie?» Lei si mise a braccia conserte, un gesto che attirava lo sguardo sui suoi seni piccoli ma invitanti. Lui si costrinse a distogliere gli occhi mentre Sophie diceva: «Di norma presenterei questa richiesta a Colton o Lord Winchester, ma come sapete nessuno dei due è disponibile. Voi siete l'unico a cui possa chiederlo». «Voi mi lusingate, signora.» Lei si arrestò, inchiodandolo con uno sguardo inflessibile. «Non volevo offendervi, lo sapete. E smettetela di rendermi le cose difficili.» «D'accordo. Mi rendo disponibile a fungere da ripiego. E ora sputate il rospo, Sophie.» Lei raddrizzò le spalle e sollevò il mento. «Dovete farmi da padrino.» Lord Quint non balbettava mai. Né arrossiva o si distraeva. Logico, razionale e imperturbabile in modo esasperante, il visconte era noto per il proprio sangue freddo, Sophie lo sapeva bene. Era una delle cose che apprezzava di più in lui. Così, quando lo vide rimanere a bocca aperta, si preparò al peggio. 14


«Da padrino?» Quint sollevò le sopracciglia. «Volete che vi faccia da padrino? In un duello? Del genere dieci passi in un campo all'alba?» «Esattamente.» «E con chi, in nome di Ercole, vi battereste?» Lei si mordicchiò il labbro, chiedendosi se esistesse un modo di indurlo ad accettare senza dovergli fornire delle spiegazioni. «Ha importanza?» Lui aggirò il massiccio scrittoio per portarlesi davanti. Sophie era abbastanza alta e lui la superava di qualche pollice. Le piaceva il fatto che non la sovrastasse più di tanto, perché ciò le permetteva di vedergli bene il viso, un viso molto interessante. Acuti occhi castani con pagliuzze dorate. Una mandibola forte e squadrata. Zigomi alti e affilati che bilanciavano un naso troppo mascolino per poter essere definito grazioso. Lui aveva i capelli spettinati, gli abiti sciupati e abbinati a casaccio. No, non era tipo da provocare svenimenti nelle sale da ballo, ma d'altronde Sophie non era mai stata attratta dalla perfezione. Ed era proprio quello il problema. L'intelligenza di quell'uomo era tale che gran parte della gente faticava perfino a comprenderla. In molti lo trovavano strano. Scorbutico. Scostante. Non partecipava ai balli e non faceva visite di cortesia. Ma Sophie aveva l'impressione che non si curasse affatto di quelle opinioni negative, ammesso che si soffermasse a considerarle. Trasudava sicurezza di sé e un'incrollabile fiducia in principi razionali basati su fatti ben documentati. La sua capacità di ricordare persino il più insignificante dettaglio letto quindici anni prima affascinava Sophie oltre ogni dire. Quint si mise a braccia conserte. «Sì, è molto importante. E se debbo farvi da padrino non credo proprio che riuscirete a tenermi nascosta a lungo l'identità dello sfidante... a meno che non abbiate in mente di bendarmi. Ma tutto questo è irrilevante, poiché non posso, per una questione di coscienza, 15


non potrei mai permettervi di affrontare un duello.» Senza cravatta, il suo collo muscoloso era ben visibile, riportando alla mente di Sophie l'occasione in cui aveva sperimentato di persona la possanza di quel fisico asciutto. Quando lui l'aveva stretta così forte da mozzarle il fiato. Ma erano passati anni ormai: era accaduto prima che Quint s'innamorasse di un'altra. A Sophie sorse un nodo in gola e il rimpianto per poco non la travolse, ma si sforzò di metterlo a tacere. «Non vedo come potreste impedirmelo. Non ho bisogno del vostro permesso.» Lui inclinò il capo di lato per sottoporla a un attento scrutinio. «E se dicessi di no?» Sophie fece spallucce. «In un modo o nell'altro me la caverei.» «Compromettereste la vostra reputazione.» «La mia reputazione è già compromessa... ed è proprio per questo che ho accettato la sfida. Per riscattarmi.» Lui sbuffò esasperato. «È ridicolo.» «Oh, solo perché sono una donna non posso difendere il mio onore?» «Non l'ho mai detto. Per quanto mi riguarda, le donne sono libere di duellare, se lo desiderano. La stupidità non è prerogativa di questo o quell'altro sesso. Ciò che è ridicolo è illudersi che nessuno venga a saperlo. Ai giorni nostri tenere segreto un duello è pressoché impossibile.» «Sì, ma voi non lo direte a nessuno. E nemmeno io, ovviamente.» «Ma potrebbe farlo il vostro rivale, o il medico che dovrà togliervi la pallottola dal petto. Ma tutto questo non conta, visto che non posso farvi da padrino.» «Non potete... o non volete?» Un rossore gli colorò gli zigomi. Era imbarazzato? Sophie non l'aveva mai visto arrossire. Mai. «Non posso» le rispose. «E vi sconsiglio vivamente di andare avanti con questa follia.» Era la tipica, insopportabile arroganza maschile che So16


phie era costretta a subire da una vita. Tra regole idiote e aspettative poco realistiche, l'esistenza di una donna inglese era più soffocante del corsetto dopo un pasto da dodici portate. «Devo. E volete dirmi perché intendete rifiutare?» «No. Voi volete dirmi perché intendete duellare?» Lei scosse il capo. «No. Non posso.» Lui le si avvicinò, facendole battere più forte il cuore. A quella distanza vedeva il suo petto alzarsi e abbassarsi, e l'ombra di barba incipiente sul suo viso. Il suo addome asciutto sovrastato da spalle ampie e possenti. Da lui si diffondeva un calore che arrivava fino in quei punti del corpo di Sophie che una signora non avrebbe mai dovuto nominare. Quint era un'intricata combinazione di intelligenza e prestanza fisica... una combinazione che lei trovava assolutamente irresistibile. Per non parlare delle sue labbra piene e decise, le cui doti la giovane aveva potuto constatare di persona. «Non potete o non volete?» le domandò, riconquistandosi la sua attenzione. Non le piaceva affatto quando qualcuno usava le sue stesse parole contro di lei, così ignorò quella domanda e tentò di sviare il discorso. «Perlomeno mi insegnerete come si fa?» Gettò un'occhiata alla pila di libri sul pavimento dietro lo scrittoio, quella che Quint aveva nascosto quando lei era entrata. Erano riviste mediche sulle... malattie mentali. Dalla prima all'ultima. E perché mai non voleva che lei le vedesse? «A duellare? Volete imparare come si spara a una persona in mezzo a un campo?» Lo guardò. «Sì. Non ho mai sparato in vita mia.» «Il difficile non è sparare, bensì colpire il bersaglio.» «Credevo che lo scopo del duello fosse mancarlo, il bersaglio.» «Mancare deliberatamente il bersaglio non è considerato un gesto da gentiluomo. Non avete letto il Codice del duello? Il fine è difendere il proprio onore senza farsi ammazza17


re. E piazzare la pallottola laddove causi il minor danno possibile.» «Vedete quanto poco ne so? Potreste insegnarmelo.» «No. Non posso farmi coinvolgere. Dovreste semplicemente porgere le vostre scuse alla signora che avete offeso e chiudere la questione.» «Scusarsi è impossibile. E perché non potete farvi coinvolgere?» Lui si mise le mani sui fianchi. «Per parecchi motivi. Sei, a essere precisi. Vorreste conoscerli in ordine alfabetico o di importanza?» Lei sospirò. Le cose stavano andando di male in peggio. Non aveva altri a cui rivolgersi, nessuno con cui confidarsi nella certezza che avrebbe mantenuto il segreto. Lei e Quint erano amici... più o meno. In considerazione di quanto era accaduto tra loro, Sophie si era illusa che lui avrebbe accettato. Che, perlomeno, si sarebbe mostrato ansioso di proteggerla. Cosa poteva fare per convincerlo? «D'accordo. Chiederò a qualcun altro.» Lui inarcò un sopracciglio con espressione fin troppo saccente. «E a chi affiderete questo prezioso incarico?» Lei si frugò rapida nella mente in cerca di un nome, di qualche pettegolezzo che le fosse giunto alle orecchie. «Si dice che Lord MacLean abbia partecipato a un certo numero di duelli. Senz'altro sarà esperto in materia.» «È anche un libertino. Ha disonorato tutte le vergini di Edimburgo ed è venuto a Londra per disonorarne altre. La vostra reputazione non sopravvivrebbe.» «Questo non ha importanza.» Per una lunga serie di motivi. «Voglio solo ricevere le nozioni principali. E se non me le insegnerete voi, troverò qualcuno disposto a farlo.» Lui strinse i denti, gli occhi fissi in quelli di lei, pervasi da un'emozione che Sophie non vi aveva mai visto. Era forse dubbio? Quel pensiero la fece indugiare. Quint agiva sempre con grande disinvoltura, di rado metteva un piede in fallo. Le uniche critiche che gli venivano mosse riguardava18


no aspetti di cui non si curava affatto, quali il suo taglio di capelli del tutto fuori moda e il suo pessimo gusto nel vestirsi. Ma stavolta c'era qualcosa di diverso, in lui. Sembrava... insicuro. «Fate pure quel che reputate più opportuno» concluse lui, portandosi le dita alle tempie per massaggiarsele. «Mi scuso di non poter accontentare la vostra richiesta. Taylor vi accompagnerà all'uscita.» S'inchinò e si diresse alla porta. Sophie lo guardò andare via, esterrefatta tanto per la sua scortesia quanto per l'espressione provata del suo viso. «Quint» lo chiamò, rivolta alla sua schiena. Lui si fermò, ma senza voltarsi. «State bene?» «Mai stato meglio» rispose, prima di sparire in corridoio. «No» sussurrò lei nella stanza ormai vuota. «Non credo proprio.» «Non ci avete messo molto» disse Alice, la cameriera di Sophie, mentre ritornavano a piedi verso la dimora cittadina dei Barnes. «Milord ha accettato, milady?» «No.» Quando incrociarono un paio di attempate dame uscite a godersi il raro sole primaverile, Sophie sorrise educatamente. Le strade di Mayfair erano di nuovo affollate: ovunque si guardasse si scorgevano carrozze e cavalli, un chiaro segno dell'imminente inizio della stagione mondana. Sul petto di Sophie calò un peso che ormai le era tristemente familiare. I mesi a venire sarebbero stati un inferno, un susseguirsi di visite dalla modista, frivole chiacchiere da salotto e balli con i giovanotti che la sua matrigna avrebbe cercato di rifilarle. Il tutto fingendo di ignorare gli sguardi altrui, colmi di curiosità e compassione. Non poteva incolpare altri che se stessa. Certi errori erano irreparabili. Alice le si affiancò. «E ora cosa farete?» «M'inventerò qualcosa. Non preoccuparti, Alice.» 19


Una lady intraprendente JOANNA SHUPE LONDRA, 1820 - Lady Sophie Barnes è una donna decisa che non accetta un no come risposta, soprattutto quando si aggira per i bassifondi di Londra per difendere i diritti degli emarginati e delle ragazze di strada in difficoltà. Le sue buone intenzioni, però, la mettono in serio pericolo e l'unico che può aiutarla è Lord Quint, l'uomo che le ha spezzato il cuore anni prima. Quando l'attrazione fra i due si fa più intensa e passionale, una serie di intrighi rischia di frapporsi tra loro...

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Un'offerta scandalosa HARPER ST GEORGE INGHILTERRA, IX SEC. - Magnus si risveglia privo di memoria, nudo e su una pila di corpi da bruciare. È un guerriero che ha partecipato a una battaglia, ma non sa se dalla parte dei vichinghi o dei sassoni. Il ritorno alla vita coincide con l'incontro con Aisly, resa vedova dagli odiati vichinghi e assoggettata alla volontà del suocero. Quando Magnus la salva da un aggressore, lei non può esimersi dal prendersi cura di quello sconosciuto che risveglia nel suo cuore forti e nuove pulsioni. Davanti alla scandalosa offerta che Magnus le fa, il tumulto interiore della donna si trasforma in travolgente desiderio. Dal 20 dicembre


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