Una modella per lo sceicco

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JANE PORTER

Una modella per lo sceicco


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: His Defiant Desert Queen Harlequin Mills & Boon Modern Romance © 2015 Jane Porter Traduzione di Erika Nessi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2017 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione Collezione Harmony luglio 2017 Questo volume è stato stampato nel giugno 2017 da CPI, Barcelona COLLEZIONE HARMONY ISSN 1122 - 5450 Periodico bisettimanale n. 3197 del 28/07/2017 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 22 del 24/01/1981 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano


Prologo Fremendo di rabbia, lo sceicco Mikael Karim, re di Saidia, osservò il servizio fotografico di alta moda che si stava realizzando nel suo deserto, chiedendosi come quella donna potesse pensare di entrare in uno stato straniero sotto falsa identità e credere di farla franca. A quanto pareva, il mondo era pieno di stolti, e molti di questi appartenevano alla famiglia Copeland. Serrando la mascella e ribollendo d'ira, Mikael aspettò il momento giusto per intervenire. Era stato spinto al limite e avrebbe risposto a quel gesto di sfida con una punizione puntuale. Un re non negoziava, non implorava e non doveva ingraziarsi nessuno. Saidia era un piccolo regno, ma era potente. Il suo governo tollerava il mondo occidentale, ma gli stranieri non potevano entrare in quello stato infrangendo la legge e non aspettandosi alcuna ripercussione. Jemma Copeland era una sciocca. Assomigliava molto al padre, dato che entrambi si facevano beffa delle leggi, credendo di esserne superiori. Forse Daniel Copeland era riuscito a farla franca, ma sua figlia non sarebbe stata altrettanto fortunata. La signorina Jemma Copeland avrebbe pagato per i suoi errori.

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1 I numerosi impegni lavorativi avevano insegnato a Jemma Copeland a ignorare le distrazioni e le preoccupazioni, sulle quali preferiva non riflettere per potersi invece concentrare su ciò che doveva fare. Nelle ultime due ore, non aveva fatto caso alla torrida calura del Sahara, al persistente buco allo stomaco e ai pregiudizi che in patria, negli Stati Uniti, erano stati associati al nome dei Copeland. Era riuscita a essere indifferente al calore, alla fame e alla vergogna, ma non all'individuo alto e vestito di bianco che si trovava in piedi alle spalle del fotografo e che la osservava insieme a una mezza dozzina di uomini con sguardo cupo e duro. Conosceva quell'uomo. D'altronde, come non poteva? Aveva partecipato al matrimonio della sorella cinque anni prima a Greenwich, dove ogni donna presente non aveva potuto fare a meno di notare lui, lo sceicco Mikael Karim. Era alto e incredibilmente affascinante, oltre che essere il nuovo e ultramilionario sovrano di Saidia. Tuttavia, quel giorno non avrebbe dovuto essere presente sul set, bensÏ sarebbe dovuto essere a Buenos Aires per tutta la settimana. La sua improvvisa apparizione con una parata di lussuosi SUV neri con i finestrini oscurati aveva messo a disagio l'intera troupe. Non sembrava essere molto felice. Il suo sesto senso suggerÏ Jemma che sarebbe accadu6


to presto qualcosa di sgradevole. Sperava di avere torto, desiderando solo finire quel servizio per poter ripartire l'indomani mattina, come da programma. Lo sceicco non si era presentato il giorno prima. Era stata una giornata lunga ed estenuante, con molti scatti in altrettante location, sotto il sole cocente. Tuttavia, non si era lamentata, dato che aveva bisogno di quel lavoro ed era lieta di poter continuare ad avere quell'occupazione. Era ancora sbalordita per la velocità con cui la sua vita era stata stravolta. Solo un anno prima, infatti, era una delle ragazze più invidiate d'America, per la sua bellezza, ricchezza e vita sociale. La sua famiglia era potente e influente, oltre ad avere case sparse un po' ovunque nel mondo, e lei e le sue bellissime sorelle comparivano costantemente sulle copertine dei giornali. Tuttavia, anche i più potenti possono cadere e la famiglia Copeland si era ritrovata giù dal piedistallo a causa della rivelazione che il padre, Daniel, era stato implicato nella più grande truffa del secolo a danno di ignari investitori. Da un giorno all'altro, i Copeland erano diventati la famiglia più odiata d'America. Jemma arrivava a fatica a fine mese. Le conseguenze dell'arresto del padre e il bombardamento mediatico sul caso avevano, infatti, distrutto la sua carriera. Il fatto che lei lavorasse e si mantenesse da quando aveva diciotto anni non aveva avuto alcuna importanza per il pubblico. Era considerata semplicemente come la figlia di Daniel ed era odiata, disprezzata e derisa. Attualmente si poteva considerare fortunata a poter lavorare ancora, nonostante con i profitti della sua carriera, un tempo brillante, riuscisse a malapena a coprire le spese. Quando l'agenzia le aveva proposto quel nuovo ingaggio, con tre giorni di riprese e due di viaggio, aveva accettato subito, perché avrebbe comportato ben cinque giorni di paga. Era quindi volata verso il regno di Saidia, situato a sud del Marocco e stretto tra il Sahara occidentale e l'o7


ceano Atlantico. Aveva lottato per quell'opportunità anche quando il consolato le aveva negato la richiesta di visto. Non era legale, ma a mali estremi, estremi rimedi: aveva fatto di nuovo domanda per il visto fingendo di essere la sorella, Morgan Xanthis, e usando il suo passaporto. Rischiando grosso, era riuscita a ottenere il permesso, dato che aveva bisogno di quel denaro per poter pagare la rata del mutuo del mese successivo. Vestita con una lunga pelliccia di volpe e stivali alla coscia, stava soffocando sotto il sole cocente. Che importanza aveva se sotto era completamente nuda? Il lavoro era lavoro. Un giorno, sarebbe tornata alla gloria di un tempo. Avrebbe lasciato che tutti la ammirassero, compreso quello sprezzante sceicco e le sue guardie, perché non si sarebbe fatta intimidire. Quei vestiti erano bellissimi, la sua vita eccitante e non aveva nulla di cui preoccuparsi. Nonostante quella decisa presa di posizione, il sudore le stava imperlando i seni e stava scivolando lungo la pancia nuda. Doveva essere sensuale e non sentirsi a disagio. Con quella determinazione, fece un respiro profondo, si sporse in avanti e si mise in posa. Keith, il fotografo australiano, si lasciò scappare un fischio di approvazione. «Così è perfetto, bellezza! Ancora uno scatto, grazie!» L'attimo di autocompiacimento venne subito cancellato dallo sceicco, che si stava avvicinando a Keith. Era alto e aveva spalle larghe, che facevano sembrare minuscolo l'australiano. Jemma si era dimenticata di quanto Mikael Karim fosse affascinante. Aveva fatto servizi fotografici in altri paesi e aveva avuto modo di incontrare diversi sceicchi che erano per lo più uomini bassi e tarchiati, con occhi languidi e guance piene. Mikael Karim era invece giovane, snello e fiero. La veste bianca faceva risaltare la sua altezza e le ampie spalle. La mascella era squadrata e le sopracciglia scure incorniciavano gli occhi 8


neri e intensi. Stava guardando oltre la spalla del fotografo e il suo sguardo penetrante la colpì. Jemma non riuscì a guardare oltre. Sembrava che volesse dirle qualcosa. Nonostante il caldo, rabbrividì e sentì una morsa allo stomaco. Un campanello d'allarme risuonò nella sua mente: quell'uomo era pericoloso. Si richiuse subito la pelliccia, stringendola a sé, essendosi resa conto all'improvviso di essere nuda. Sbuffando insoddisfatto, Keith abbassò la macchina fotografica per un secondo. «Hai perso tutta la tua intensità. Sii sensuale!» Jemma osservò lo sceicco. Sprigionava una tensione letale, che la fece tremare e le fece venire la pelle d'oca. C'era qualcosa che non quadrava. In quel modo, però, l'irritazione del fotografo, che non poteva vedere l'espressione del sovrano alle sue spalle, si acuì. «Dai, concentrati! Dobbiamo finire il servizio, tesoro!» Aveva ragione. Lei era lì per lavorare e doveva concludere quel servizio. Doveva concentrarsi o non avrebbe lavorato mai più. Fece quindi un respiro profondo, si raddrizzò e sollevò il mento verso il sole, percependo i lunghi capelli scivolarle sulla schiena quando scoprì le spalle, esponendo la pelle nuda. «Bene» commentò Keith, facendo cenno all'assistente di sistemare il pannello riflettente. «Mi piace, continua.» La donna scosse il capo, lasciando che la chioma cadesse a metà schiena, abbassando la pelliccia sui seni. «Perfetto! Così sì che è sensuale! Non fermarti, adesso sì che ti sei accesa!» Era proprio così, pensò lei, inarcando la schiena e facendo in modo che i seni si esponessero al calore del sole. Nel mondo dello sceicco Karim quella posa poteva anche essere disdicevole e oltraggiosa, ma quello era il suo lavoro e doveva portarlo a termine. Cancellò quindi 9


ogni pensiero dalla mente e si focalizzò sull'offrire l'immagine che la troupe desiderava avere. Girò le spalle e la pelliccia scivolò dalle braccia, sfiorandole le cosce. «Perfetto, tesoro.» Keith stava fotografando all'impazzata. «Bellissima, continua così. Sei una dea, il sogno di ogni uomo!» Non era né una dea né un sogno, ma poteva fingere di esserlo per un breve lasso di tempo. Fingere le permetteva di respirare e di rifuggire da quello che stava succedendo a casa. Sentì la nausea. Casa, che incubo. Scacciando la tristezza, si voltò e, sollevando il mento e i fianchi, lasciò cadere la pelliccia, esponendo i seni. Keith fischiò sottovoce. «Ancora di più.» «No!» urlò lo sceicco. La sua voce echeggiò come un tuono, facendo zittire immediatamente gli stilisti, i truccatori e i tecnici delle luci. Tutti si voltarono verso di lui. Jemma lo fissò, esterrefatta. L'espressione del sovrano era furiosa. La bocca era serrata e gli occhi fiammeggiavano quando tolse la macchina fotografica dalla mano di Keith. «Basta così!» sbottò. «Ne ho abbastanza di tutti voi.» Lanciò un'occhiataccia alle tende e al gruppo. «Avete finito di lavorare qui.» Poi si voltò di nuovo e fissò Jemma. «E tu, signorina Copeland, copriti e vai nella tenda. Mi occuperò di te tra poco.» La giovane si coprì, ma non si mosse. Lo sceicco l'aveva chiamata Copeland, non Xanthis, il cognome che aveva usato per la richiesta del visto. Cadde nel panico e il cuore prese a batterle all'impazzata. L'aveva riconosciuta dopo tutti quegli anni! Quella possibilità la sconvolse. Si era ricordato di lei! Tremando, Jemma richiuse la pelliccia. «Cosa è successo?» sussurrò, nonostante conoscesse già la risposta. La sua vera identità era stata scoperta. Non sapeva come, ma era in grossi guai. 10


«Penso che tu lo sappia» rispose il re. «Adesso vai nella tenda e aspettami.» Non era sicura che le gambe l'avrebbero retta. «Perché?» «Sarai informata delle accuse che ti riguardano.» «Non ho fatto nulla di sbagliato.» La guardò di sottecchi. Serrò la mascella e la squadrò da capo a piedi. «Hai sbagliato tutto, signorina Copeland. Sei in guai seri. Vai subito nella tenda e se hai un briciolo di intelligenza, vedi di obbedirmi.» Jemma aveva molto più che un briciolo di intelligenza. Possedeva, infatti, anche un'immaginazione fervida, che le rese il percorso verso la tenda ancora più atroce. Cosa le sarebbe successo? Quali erano le accuse formali? Quale sarebbe stata la pena? Cercò di darsi una calmata e si concentrò nell'arginare quei pensieri negativi. Farsi travolgere dal panico non sarebbe servito a nulla. Sapeva di essere entrata nel paese illegalmente e aveva accettato di partecipare a quel servizio fotografico a cui il governo non aveva concesso il proprio benestare. Inoltre, aveva mostrato il seno in pubblico, violando la legge di Saidia. Aveva commesso tutto ciò solo perché, non contando più sull'appoggio economico della famiglia da quando aveva diciotto anni, si arrangiava sempre da sola. Era una donna adulta di successo ed era determinata a sfondare senza dover implorare aiuti. A posteriori, però, forse chiedere la carità sarebbe stato più saggio. Nella tenda che fungeva da guardaroba, Jemma si sfilò la pesante pelliccia e indossò una vestaglia di cotone rosa pallido, allacciandola in vita. Mentre si sedeva sulla sedia di fronte allo specchio da trucco, le sembrava di sentire ancora la voce dello sceicco... Hai sbagliato tutto... Aveva ragione. Aveva sbagliato ogni cosa. Pregò che 11


lo sceicco accettasse le sue scuse e le permettesse di fare ammenda. Non aveva avuto intenzione di insultare lui, il suo paese e la sua cultura in alcun modo. Si raddrizzò sulla sedia nell'udire delle voci all'esterno della tenda. Qualcuno stava parlando velocemente e a bassa voce. Erano due uomini e una donna. Jemma riconobbe quest'ultima: era Mary Leed, l'editrice della rivista Catwalk. Di solito era imperturbabile, ma in quel momento sembrava in preda al panico. La modella deglutì a fatica e sentì una stretta allo stomaco. Quella situazione non andava bene. Non sarebbe dovuta partire. Non avrebbe dovuto correre quei rischi. Ma cosa avrebbe potuto fare altrimenti? Arrendersi? Crollare? Finire sulla strada, senza un tetto sulla testa, povera e indifesa? No. Non aveva alcuna intenzione di scendere a quel livello o di essere compatita o derisa. Aveva sofferto abbastanza per colpa del padre. Aveva tradito i suoi clienti, i suoi soci d'affari, i suoi amici e addirittura la sua stessa famiglia. Lui poteva anche essere egoista, spietato e criminale, ma il resto dei Copeland erano delle brave persone. Brave persone, ripeté silenziosamente, allungando una gamba per slacciare gli stivali alla coscia. La sua mano tremava al punto che le era difficile sfilarseli. Sarebbe stato più intelligente fare il servizio fotografico a Palm Springs piuttosto che a Saidia, la cui legislazione sulla condotta morale era severa. Quel regno era sì stabile e tollerante, ma non era una democrazia e non si piegava ai bisogni di ricchi occidentali come altri paesi. Era uno stato conservatore e fino a due generazioni prima, i matrimoni erano organizzati. I capi tribù rapivano le future spose dai villaggi vicini. Una cosa del genere era impensabile agli occhi dell'Occidente, ma assolutamente accettabile in quella nazione. Jemma stava sfilando il secondo stivale quando il pannello della tenda si aprì e Mary fece il suo ingresso 12


insieme allo sceicco Karim. Due guardie reali controllavano l'uscita. La modella si alzò piano e guardò alternativamente i due. Il viso della direttrice era pallido e le labbra erano serrate. «Abbiamo un problema.» Cadde il silenzio. Jemma strinse le mani sulle ginocchia. Mary non la guardò negli occhi. «Stiamo per concludere il servizio e faremo immediatamente ritorno alla capitale. Dobbiamo affrontare alcune denunce legali e pagare delle multe, ma pensiamo di sbrigare queste seccature velocemente, in modo che la troupe e il gruppo possano ritornare in Inghilterra domani o il giorno seguente.» Esitò a lungo prima di aggiungere: «La maggior parte di noi potrà quindi tornare in Inghilterra domani... ma temo che tu, Jemma, non potrai venire con noi». La modella sobbalzò. «Perché no?» «Le accuse contro di te sono diverse. Noi siamo finiti nei guai per averti ingaggiata, invece tu...» La voce le morì in gola, non permettendole di concludere la frase. Non ce ne era bisogno. Jemma sapeva bene la ragione per cui era nei guai. L'unica cosa che non conosceva era la sanzione a cui doveva andare incontro. «Mi dispiace.» Fece un respiro profondo. «Mi dispiace molto.» «Non mi interessa» tagliò corto l'uomo. «Ho commesso un errore.» «Un errore è mettersi un paio di scarpe di colori diversi, un errore è dimenticarsi di ricaricare il cellulare... Entrare in un paese illegalmente, con un'identità falsa e con una finta motivazione non è un errore! Non avevi alcun permesso lavorativo, né il visto. Nulla!» La voce dello sceicco tuonò per la rabbia. «Quello che hai commesso era deliberato ed è un reato, signorina Copeland!» Jemma si mise una mano sulla pancia, sentendosi nauseata. Non aveva mangiato molto, come ogni giorno in 13


cui doveva lavorare, sapendo che le foto sarebbero risultate migliori con la pancia piatta. «Cosa posso fare per rimediare?» Mary lanciò a Karim un'occhiata supplichevole. Lui scosse il capo. «Nulla. Lo staff della rivista dovrà comparire in tribunale e pagare le sanzioni. Tu, invece, dovrai affrontare un processo diverso e sarai condannata di conseguenza.» «Verrò quindi separata da tutti gli altri?» «Sì.» Lo sceicco si rivolse alla redattrice. «Lei con il resto della troupe può andarsene immediatamente. I miei uomini vi accompagneranno per garantire la vostra sicurezza.» Guardò quindi Jemma. «Tu, invece, verrai con me.» Mary annuì e se ne andò. Con il cuore che batteva all'impazzata, la modella la guardò andare via in silenzio, per poi voltarsi verso lo sceicco. Era arrabbiato, furioso. Solo tre anni prima, lei sarebbe crollata, piangendo. Quella però era la vecchia Jemma, la ragazza cresciuta nella bambagia, protetta dal fratello e da tre presuntuose ma affettuose sorelle. Non era più quella ragazza. Aveva dovuto affrontare molti ostacoli e ne era uscita vincente e rafforzata. «Quindi dove vanno i criminali, sceicco Karim?» chiese con calma, incrociando lo sguardo scuro del sovrano. «In prigione.» «Andrò in prigione?» «Sì, se dovessi comparire davanti alla corte domani. Tuttavia, non sarai processata dal nostro tribunale regolare, bensì dal capo della mia tribù e sarà lui il tuo giudice.» «Avrò quindi una corte e un giudice diversi da quelli di Mary e dello staff?» «Sì, perché loro sono accusati di crimini contro lo stato di Saidia, mentre tu...» Si fermò, osservando il bel 14


volto della donna allo specchio, chiedendosi come avrebbe reagito. «Tu sei accusata di crimini contro i Karim, la famiglia reale. Sarai processata da un giudice della mia tribù, che ascolterà le accuse contro di te ed emetterà il verdetto.» La donna non commentò. Sollevò un sopracciglio, sbigottita. «Non capisco. Cosa ho fatto contro la tua famiglia?» «L'hai derubata. L'hai disonorata.» «Non è vero. Non conosco nemmeno la tua famiglia!» «Tuo padre sì.» Jemma si zittì. La scia di devastazione causata dalle azioni del padre avrebbe mai avuto fine? Fissò Mikael, temendo quello che le avrebbe detto. «Ma io non sono mio padre.» «No, ma lo rappresenti.» «Non è vero.» «Sì, invece. Nelle culture arabe, si è sempre parte della propria famiglia. Sarai legata alla tua famiglia per tutta la vita, ecco perché è così importante onorarla. Tuttavia, tuo padre ha rubato ai Karim, disonorando e gettando nella vergogna la mia famiglia. Così facendo, ha disonorato l'intera Saidia.» Jemma deglutì a fatica. «Ma io non sono come mio padre!» «Tu sei sua figlia e sei qui illegalmente. È ora di ripagare il torto commesso. Espierai le tue colpe e quelle di tuo padre.» «Non ho più alcun rapporto con lui. Non lo vedo da anni.» «Non è il momento di discuterne. Ci attende un lungo viaggio e ti suggerisco di finire di cambiarti, così potremo partire.» Intrecciò le dita tra loro. «Ti prego!» «Non dipende da me.» 15


«Ma tu sei il re!» «E i re devono far valere i principi di obbedienza, remissività e rispetto, anche per i visitatori stranieri.» Jemma era così sconvolta da quelle parole e dalle loro implicazioni da non riuscire a ragionare con lucidità. Non la aiutava di certo il battito accelerato del cuore, che la faceva sentire frastornata e intontita. La minacciosa guardia di sicurezza dell'aeroporto internazionale di Tagadir li aveva avvertiti. Aveva detto loro che lo sceicco Karim era un sovrano assoluto, che possedeva l'intero deserto e ogni sua duna di sabbia. Il loro interprete aveva sussurrato, nel lasciare l'aeroporto: «Sua altezza, lo sceicco Karim, non è il semplice sovrano del paese, è il paese stesso». Jemma respirò lentamente, cercando di schiarirsi le idee. Avrebbe dovuto prendere sul serio quegli avvertimenti. Avrebbe dovuto comportarsi lucidamente, e non come una disperata. Tutto quello che doveva fare in quel momento era rimanere calma. Ci sarebbe stato di certo un modo per farlo ragionare. Sicuramente non doveva essere un'abitudine quella di sbattere in cella ragazze occidentali! «Vorrei fare ammenda» disse sottovoce, osservando lo sceicco, la cui espressione era ben lontana dall'essere gentile. Sulla sua bocca non c'era un minimo accenno di dolcezza. «Lo farai. Dovrai farlo.» Jemma trasalì per la durezza del suo tono. Lo sceicco poteva anche essere bello come un attore di Hollywood, ma nel suo sguardo non c'era alcun calore umano. Era un uomo freddo e lei sapeva fin troppo bene come quel tipo di uomo potesse essere pericoloso. Le persone senza cuore erano distruttive e se non fosse stata attenta, sarebbe stata rovinata. «Potrei pagare una multa? Una sanzione?» 16


«Non sei nella posizione di comprarti la salvezza, signorina Copeland. La tua famiglia è in bancarotta.» «Potrei chiedere a Drakon...» «Non chiamerai nessuno» la interruppe acido. «Non permetterò che Drakon ti tiri fuori dai guai. Potrà anche essere l'ex marito di tua sorella, ma è anche mio amico dai tempi dell'università e da quanto ne so, ha quasi perso il suo intero patrimonio per colpa di tuo padre. Penso che Drakon abbia già pagato caro il fatto di essere collegato a voi Copeland. È tempo che tu e la tua famiglia la finiate di aspettarvi che siano gli altri a pagare per i vostri guai e che vi assumiate le responsabilità dei vostri errori.» «Sarà anche così, ma Drakon non è crudele. Non approverebbe mai che tu...» La voce le si strozzò in gola nell'incrociare lo sguardo cupo di Mikael. La rabbia divampava in quegli occhi, facendola fremere. «Io cosa, signorina Copeland?» le chiese, con una sottile vena di minaccia nella voce profonda. «Cosa non approverebbe?» Jemma non riuscì a rispondere. Doveva stare attenta. Non poteva permettersi di inimicarsi lo sceicco, non quando aveva bisogno della sua protezione. Doveva persuaderlo e fare in modo che lui la vedesse come la vera Jemma, non come la figlia di Daniel Copeland. Era essenziale non irritarlo, altrimenti sarebbe stato facile per lui annientarla. Era potente e spietato. Gli occhi le bruciavano di lacrime e il labbro le tremava. Lo morse, nel tentativo di impedire di emettere suoni. La paura si era impossessata di lei, ma non sarebbe crollata, scoppiando a piangere. «Non approverebbe il fatto che io abbia infranto le tue leggi» disse a bassa voce, cercando di restare calma. «Non approverebbe il fatto che abbia usato il passaporto di mia sorella. Sarebbe furioso» aggiunse, sollevando il 17


mento per incrociare lo sguardo di Karim. «E deluso.» Mikael sollevò un sopracciglio. «Da me. Sarebbe deluso da me.» Quindi, raccogliendo il poco coraggio rimasto e stringendosi nella delicata vestaglia, si tolse lo stivale e lo pose sul pavimento, vicino all'altro. Si diresse quindi verso il tavolino, per togliere il trucco dal viso.

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