Una naufraga per lo sceicco

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1037 - Una sposa da proteggere - T. Brisbin 1038 - Diario di una signorina del ton - J. McQuiston 1039 - Il signore del deserto - M. Kaye 1040 - A spasso con un libertino - E. Leigh 1041 - La missione della novizia - M. Moore 1042 - Passato, scandali e fiori d'arancio - C. Linden 1043 - Per il cuore di un'attrice - E. Redgold 1044 - Un dono inaspettato - A. Burrows 1045 - La maschera del libertino - E. Leigh 1046 - Un campione per Miss Jenna - B. Scott 1047 - Inciso nel cuore - E. Hobbes 1048 - L'errore di Caroline - A. Everett 1049 - Cuori sotto assedio - N. Locke 1050 - Il vicario e la scrittrice - E. Leigh 1051 - Incontri proibiti con il visconte - J. Justiss 1052 - Una debuttante da sposare - V. Lorret 1053 - Per coraggio e per amore - M. Fuller 1054 - Pericolo a corte - J. Landon 1055 - Un bacio sconveniente - C. Kimberly 1056 - Una naufraga per lo sceicco - M. Kaye 1057 - Manuale per zitelle impenitenti - J. McQuiston 1058 - Il rapimento di Lady Fia - T. Brisbin 1059 - Il coraggio di Lily - J. MacLean


MARGUERITE KAYE

Una naufraga per lo sceicco


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Sheikh's Mail-Order Bride Harlequin Mills & Boon Historical Romance © 2016 Marguerite Kaye Traduzione di Francesca Tilli Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2017 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici marzo 2017 Questo volume è stato stampato nel febbraio 2017 da CPI, Barcelona I GRANDI ROMANZI STORICI ISSN 1122 - 5410 Periodico settimanale n. 1056 dello 01/03/2017 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano


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Regno di Murimon, Arabia, maggio 1815 La luce stava iniziando a calare, mentre il viaggio di Kadar si approssimava alla fine. L'uomo condusse la carovana, volutamente modesta – il dromedario che cavalcava e due muli da soma – lungo l'ampio fondovalle in cui l'oasi piÚ estesa di Murimon alimentava campi e frutteti, riparati dallo spietato sole del deserto da fitte file di palme, cariche di datteri. Ulteriore protezione veniva offerta dalle svettanti rupi dei monti Murimon che aveva appena attraversato, la cui roccia grigio-argentea, screziata d'ocra, oro e bruno, brillava sotto i raggi. L'insediamento sorto presso l'oasi, ai piedi dei monti, consisteva in un'erta accozzaglia di case e di tetti che si abbarbicavano precari al pendio, lasciando ogni prezioso lembo di terra pianeggiante libero per le colture. La lieve brezza spandeva nell'aria un delizioso aroma di capra arrostita, unito a un tenue brusio di voci. C'erano ben poche possibilità che venisse riconosciuto, visti i sette anni di esilio volontario da poco 5


terminati e il torpore in cui il regno era caduto a causa del recente profondo lutto. Ma lui stornava ugualmente lo sguardo mentre guidava il dromedario e la piccola colonna di muli oltre l'abitato, verso l'ultimo valico montano che doveva oltrepassare, la kefiah calata sul viso a lasciare scoperti soltanto gli occhi. Il fratello non avrebbe approvato un così basso tenore nel viaggiare. Butrus avrebbe cavalcato in fasti regali, in testa a una sontuosa carovana volta a proclamare la sua maestosità, a incoraggiare il popolo a rendere omaggio al proprio sovrano, ad ammirarlo e riverirlo, crogiolandosi nell'opulento splendore del suo stato principesco. Ma Butrus era morto. Era Kadar il Principe di Murimon adesso. E l'ostentazione era estranea alla sua indole, sebbene stesse cominciando a capire che le sue visioni personali differivano sovente da quelle dei sudditi e dalle aspettative che nutrivano su di lui. Regnava da tre brevi mesi e l'intera gamma e il peso delle responsabilità che era stato costretto ad assumere stavano divenendo più chiari. Responsabilità che non sarebbero mai ricadute su di lui se il fato non si fosse rovesciato in modo tanto crudele. Era rimpatriato per partecipare alle nozze del fratello come ospite d'onore. Aveva invece preso parte al suo funerale. Il regno di Kadar non era più la biblioteca di palazzo in cui era in pratica cresciuto, ma l'intera nazione. I suoi sudditi non erano più libri, ma persone. Invece di studiare tomi polverosi in una sede di apprendimento e interpretare i complessi sistemi giuridici, sia antichi sia moderni, di altri paesi, per altri governanti, doveva applicare in prima persona le leggi del proprio, seduto a giudizio su un trono reale. 6


Quando emerse dallo stretto valico fermò il dromedario. Sotto di lui vi era il palazzo, con l'ampia corte già illuminata dalle lanterne appese alle file di palme che proteggevano l'ingresso con precisione militare. Anche il tortuoso sentiero che si snodava dalle rupi fino al porto era illuminato, e le fiaccole baluginavano nella luce che rapida scemava come astri che salutavano il crepuscolo. Ancora più in basso, si vedevano i due bracci avvolgenti del porto, la massa scura delle navi e la vasta distesa del Mar Arabico. Il sole stava tramontando all'orizzonte e il globo dorato striava il cielo di vermiglio, scarlatto, arancio e rosa scuro. Il ritmico sciabordio delle onde sulla riva pareva una ninnananna sussurrata. Il mare era ciò che più gli era mancato negli anni trascorsi all'estero. Nessun altro mare era di un azzurro così intenso e profumava l'aria di quella combinazione unica di salsedine e calura. Inspirò a fondo. Il viaggio relativamente breve che aveva appena compiuto in un principato vicino – la sua prima visita ufficiale di Stato – lo aveva cambiato in modo irrevocabile, costringendolo ad accettare che il suo volere, i suoi desideri non contavano più. O piuttosto era stato l'esito di quella visita a produrre un simile effetto. Era anzitutto un principe adesso e secondariamente un uomo. La sua eredità non voluta doveva avere la priorità assoluta. Poteva rassegnarsi ad assumere la custodia del regno che aveva sempre amato. Ma quanto alla sconosciuta che aveva ereditato in sposa... No! Tutto il suo essere si ribellava. Gli echi del passato, i ricordi oscuri e dolorosi che aveva rifuggito attraverso mezzo mondo avevano ancora il potere di 7


straziargli il cuore. Non poteva sopportarlo. Ma era suo dovere... ed era in grado di farlo. Non doveva comparare passato e presente. Non doveva indulgere sulle similitudini, bensì concentrarsi sulle differenze. Tanto per cominciare, quella specifica donna aveva palesato con chiarezza la propria indifferenza nei suoi confronti, sentimento che, malgrado l'innegabile avvenenza, lui ricambiava appieno. Ciò avrebbe dovuto facilitare le cose. Nessun bisogno di fingere. Nessun obbligo di dichiarare false emozioni che era incapace di provare. Né adesso né mai. Eppure continuava a dover lottare con se stesso per accettare quel contratto privo di passione. Doveva rafforzare il proprio animo. Doveva tenere a mente che quel matrimonio era ciò che la sua gente chiedeva, ciò che al paese serviva. Doveva onorare la memoria del fratello realizzando l'ambizione di quest'ultimo di una nuova dinastia reale e di un degno successore. E, aspetto ancora più importante per Kadar, avrebbe disposto di una cospicua dote, una somma con cui trasformare Murimon, conducendolo nel XIX secolo e attuando la propria visione dorata dell'avvenire del suo popolo. Sì, era in grado di farlo. Era un immane sacrificio personale, ma valeva la pena compierlo. Mar Arabico, tre settimane prima La tempesta si stava addensando minacciosa all'orizzonte ormai da un po'. Dalla sua postazione, divenuta ormai fissa sul ponte del veliero East Indiaman Kent, Lady Constance Montgomery osservava le cupe nubi raccogliersi e avanzare una dopo l'altra nel lonta8


no scenario, come in risposta a un invisibile segnale. Erano in mare da nove settimane. Secondo le stime del capitano Cobb ne sarebbero occorse altre tre per raggiungere Bombay, la loro destinazione. Soltanto tre settimane e lei avrebbe incontrato per la prima volta l'influente mercante della Compania britannica delle Indie orientali che sarebbe divenuto suo marito. Per quanto si sforzasse, non riusciva a non provare una stretta allo stomaco ogniqualvolta le veniva rammentato l'onere che le stava facendo attraversare mezzo mondo. Aveva osteggiato quelle nozze, convenienti per tutti tranne che per lei. Aveva argomentato. Aveva proposto svariate alternative. Con sua vergogna, era persino ricorsa alle lacrime. Ma quando ogni stratagemma era fallito, quando era diventato chiaro che il suo destino era segnato, si era arresa. Imbarcandosi sul Kent a Plymouth, aveva avuto l'impressione che più che salire a bordo di una nave stesse gettandosi da una scogliera, gli occhi serrati per non vedere la terra correrle incontro. La terra, nella forma di quell'unione combinata, non si precipitava verso di lei, ma si faceva inesorabilmente più vicina a mano a mano che l'East Indiaman solcava l'oceano con venti mutevoli, approssimandosi sempre più a Bombay. Constance aveva cominciato a temere l'arrivo. Quel matrimonio – come qualsiasi altro, del resto – era contrario a ogni sua inclinazione. Oh, cielo! Si era ripromessa di non tornarvi più sopra. Ciò che era fatto era fatto, l'affare era stato concluso. Poiché, senza dubbio, quelle nozze altro non erano che una transazione commerciale sotto falso nome. Mr. Gilmour Edgbaston aveva versato a suo 9


padre l'esorbitante somma di cui questi aveva bisogno per salvare le proprietà. La merce, ovvero lei, era in transito in direzione opposta. Non serve a nulla prendersela con il destino, si ammonì la mercanzia più costosa sulla nave. L'unica cosa da fare è trarre il meglio dalle circostanze. Un ottimo proponimento, che non era poi così difficile attuare, si era persuasa prima di imbarcarsi. Ma allora era stata incoraggiata dai sorrisi felici della madre e dalle sue rassicurazioni che stesse facendo la cosa giusta. Adesso, così lontana da casa, con troppo tempo per considerare la realtà della propria situazione, non era affatto certa che la filosofia spicciola della madre che il denaro fosse la radice di tutti i mali e la fonte di ogni felicità avesse qualche fondamento. Non che vi avesse mai creduto. Aveva dovuto fingere di farlo, poiché il padre non aveva dato scelta alla moglie e questa era stata costretta a chiedere a lei quel sommo sacrificio. Constance ne soffriva. Ne soffriva molto più di quanto avesse mai dato a vedere alla genitrice. Molto più di quanto volesse ammettere persino con se stessa, perciò si sforzava di non pensarci e vi riusciva, per lo più. Eppure eccola di nuovo a rimuginare, inutilmente. Quando potrei spendere il mio tempo in modo ben più produttivo riflettendo su come far sì che il mio matrimonio non diventi una prigione in cui scontare una condanna a vita, si rimproverò. Il suo cuore sprofondò. Adesso non voleva pensare a questo. Non voleva costringersi ad avere un atteggiamento positivo riguardo a un qualcosa di tanto negativo. Le rimanevano ancora tre settimane a bordo. 10


Tre ultime settimane di libertà. Tre ulteriori settimane in cui approfittare al massimo delle incredibili opportunità di osservare il firmamento che la lunga traversata le offriva, navigando sotto cieli sconosciuti, oltrepassando l'equatore fino all'emisfero australe, prima di risalire di nuovo in quello boreale nella fase finale della rotta. Era poco probabile, tuttavia, che quella notte il telescopio le mostrasse qualcosa di significativo. Le nubi si erano fuse in un'unica mole di un minaccioso color peltro, con il centro di un denso grigio ferro. Intorno a lei l'equipaggio si affannava con il sartiame. Sembrava, al pari dei nembi, che il placido Mar Arabico, con il suo blu orlato di cristallo, stesse formando un'unica massa spumosa, trasformandosi in un mare più sinistro, che si muoveva in un grande moto ondoso, sollevando il Kent oltre l'orizzonte, per poi rituffarlo nelle profondità dei flutti. Constance si rifugiò sotto l'albero maestro al centro del veliero, ma gli spruzzi le inzuppavano il viso e l'abito da viaggio. Sopra di lei, a un'altezza spaventosa sulla coffa, un marinaio rivolgeva al resto dell'equipaggio segnali agitati. «È meglio che scendiate sottocoperta, milady» l'avvertì uno degli ufficiali di bordo. «Stiamo facendo rotta verso il riparo della costa, ma non sono certo che riusciremo a scampare alla tempesta. La situazione potrebbe farsi un po' agitata.» «Un po'?» Sballottata dal Kent che cavalcava i marosi come uno stallone imbizzarrito, Constance rise. «Mi pare minimizzare.» «Ebbene sì, perciò fareste meglio a scendere subito. Se il golfo di Biscaglia vi è sembrato burrascoso, vi 11


garantisco che non era nulla in confronto a ciò che si abbatterà su di noi. Adesso, se volete scusarmi.» Il naviglio sbandò di nuovo. L'albero scricchiolò in modo allarmante sopra di lei. Lo scalzo Jack Tars rimaneva ancorato con tenacia al tavolato zuppo, intento a guidare l'enorme trealberi verso acque più sicure. Diversi soldati del Trentunesimo Reggimento di Fanteria, destinati in India, stavano offrendo il loro aiuto, apparendo molto più instabili dei marinai. Constance era l'unica civile rimasta sul ponte. Le mogli e i figli dei soldati e gli altri venti passeggeri privati, inclusa Mrs. Peacock – la moglie di un mercante, di ritorno in India, che il padre aveva remunerato per farle da accompagnatrice e salvaguardare la sua preziosa reputazione durante il viaggio – erano tutti al sicuro e all'asciutto sottocoperta. Avrebbe davvero fatto bene a raggiungerli. Stava diventando pericoloso restare sul ponte, ma era anche incredibilmente corroborante. Ecco un anelito di vera libertà. Trovò un punto più sicuro sotto l'albero maestro, dove non intralciava l'equipaggio e non era in vista. Sebbene a ogni sommovimento del veliero le sobbalzasse lo stomaco, aveva scoperto quasi subito durante la traversata di essere un'ottima navigatrice e di non soffrire affatto il mal di mare. Gli schizzi, carichi di salsedine, le pizzicavano la pelle. I capelli stavano sfuggendo all'acconciatura spettinata e le sferzavano le guance, sventolandole all'impazzata sul viso. Il vento si era alzato e mugghiava e sibilava tra il sartiame, facendo cigolare le vele. Anche la nave protestava contro la tempesta, le assi gemevano in modo quasi umano nello sforzare i chiodi e il sigillante che le saldavano. Gli spruzzi erano diventati una densa fo12


schia attraverso cui Constance riusciva a malapena a intravedere le sagome frenetiche dei marinai. A un tratto il veliero si inclinò con violenza a babordo, sbalzandola via dal suo nascondiglio, facendola slittare senza controllo sul ponte, finché le sue mani che si agitavano convulse non riuscirono ad afferrare una cima. I flutti si erano trasformati in muri d'acqua altissimi che si infrangevano sui ponti. Aggrappata disperatamente alla corda, Constance era vagamente consapevole che altri corpi scivolavano attorno a lei. L'imbarcazione si piegò di nuovo, stavolta a tribordo. Gli uomini presero a gridare con voci aspre per la paura. Sottocoperta le donne strillavano. Quando il Kent si inclinò pericolosamente sull'acqua, Constance pensò che non si sarebbe più raddrizzato. Per qualche miracolo non fu così, ma un fracasso annunciò il divellersi dell'albero di mezzana dall'assito. Seguì il caos. Urla. Squarciarsi di vele. Legname in frantumi. Le grida rauche e disperate dei marinai che tentavano di salvare la nave, i passeggeri e loro stessi. Il calpestio sordo sui ponti. E soprattutto il ruggito e gli schianti del mare che combatteva per il predominio. Non fu una lotta facile. Il Kent era stato costruito per cavalcare simili tempeste e il capitano era un uomo di esperienza. Barcollando come un ubriaco, il veliero si diresse a gran velocità verso le acque più calme della costa arabica. Donne e bambini, soldati e marinai si riversarono sul ponte superiore, arrampicandosi da sotto per aggrapparsi ai resti dell'albero caduto, al sartiame, alle vele strappate, gli uni agli altri. 13


Constance, gettata contro l'albero prodiero, le gonne aggrovigliate in una fune, assistette a tutto questo attraverso una patina di spruzzi, raggelata dalla paura ma fermamente decisa a sopravvivere. Era fortificante quella determinazione, in quanto prova che il suo spirito non era stato addomesticato né spezzato. Non si sarebbe lasciata morire. Continuò a tenersi, mentre la nave, sballottata e sommersa dai flutti, si piegava e vorticava, tanto che persino il suo stomaco protestò, finché non comparve la terraferma e con essa la promessa di salvarsi, una volta lasciata alle spalle la tempesta o esaurita la sua furia. Stava allentando la dolorosa presa sulla cima quando l'albero maestro d'un tratto cedette, trascinando con sé quello prodiero. Il Kent si rovesciò a tribordo, scagliandola oltre il ponte, scaraventandola in aria e lanciandola a capofitto nel Mar Arabico. Regno di Murimon, Arabia Si trovava abbandonata in quel remoto villaggio arabo di pescatori da circa tre settimane quando le autorità vennero infine a cercarla. Constance osservò dalla riva il grosso sambuco attraccare nella cala che fungeva da porto. Al suo cospetto i piccoli pescherecci rientrati con la pescata del giorno parevano minuscoli. Lo scafo slanciato, ricoperto di una lacca brillante con decorazioni dorate, aveva a poppa un abitacolo chiuso il cui tetto formava un ulteriore ponte coperto da un tendone. La vela latina era scarlatta. Gli abitanti del villaggio le si assieparono intorno. Sapevano anche loro che l'arrivo di quell'imbarcazione significava la sua imminente partenza. Constance 14


non voleva lasciare quel luogo, e tuttavia era consapevole di doverlo fare. Non poteva rimanere lì per sempre, in quello stato di bonaccia. Il mare aveva momentaneamente lavato via ogni sua responsabilità, ma il futuro che paventava incombeva ancora da qualche parte all'orizzonte. Quella lucida barca avrebbe costituito il primo passo del viaggio che doveva riprendere. Bashir, l'anziano del villaggio nella cui casa era stata accudita, rivolse un saluto formale all'ufficiale che sbarcò senza quasi attendere che il sambuco venisse ormeggiato. Un uomo alto e spigoloso, dai penetranti occhi nocciola sotto folte sopracciglia, con una barba a punta e mani ossute e impeccabili. Il viso scavato e l'espressione sofferente stonavano con le vesti lussuose. Il volto contratto in una smorfia, tirò fuori una pergamena, srotolandola con gesto plateale. «Lady Constance Montgomery?» Per quanto suonasse strano pronunciato con quell'accento, era proprio il suo nome. Desolata, lei eseguì una goffa riverenza. La ferita che aveva sulla fronte cominciò a pulsare. Una delle donne le aveva tolto i piccoli punti soltanto quella mattina; la pelle tirava, ma il dolore lancinante dietro le palpebre era svanito da tempo e i conseguenti mal di testa erano quasi scomparsi. «Vi porgo il benvenuto nel regno di Murimon. Verrete con me.» Era un ordine, non una richiesta. Mentre l'ufficiale prendeva Bashir da una parte, Constance ebbe appena il tempo di rivolgere addii veloci e lacrimosi. Pochi minuti dopo stringeva le mani dell'anziano nelle proprie, esprimendo al meglio che poteva i propri umili ringraziamenti, prima di essere condotta a bordo del sambuco. 15


Trascorse il viaggio rannicchiata nell'abitacolo, schiacciata da una paura inaspettata nel sentire l'imbarcazione salpare. Era ridicolo da parte sua, essendo il mare calmo e piatto, il cielo del tutto terso e il vento una leggera brezza. Ma come aveva posato il piede nudo sul ponte e avvertito il lieve oscillare della barca, un freddo sudore le aveva ricoperto la pelle. Le orecchie le si erano riempite di nuovo del fragore delle onde, dello spezzarsi degli alberi e delle grida dei passeggeri del Kent. Fortunatamente, l'ufficiale che la scortava pareva ben contento di lasciarla sola, sebbene lei non avesse idea se per ragioni di decoro o semplicemente perchĂŠ indispettito dalla sua presenza. Il sole stava calando quando giunsero al porto. Constance scese barcollante dal sambuco e salĂŹ su una portantina coperta, incurante di tutto tranne che dell'essere sulla terraferma. Nel momento in cui i portantini partirono rapidi, chiuse gli occhi nello sforzo di ricomporsi, accorgendosi che la strada saliva e di poco altro. Quando la deposero in un'immensa corte circoscritta, sbattĂŠ le palpebre al bagliore di quelle che sembravano un migliaio di candele, ma lo zelante ufficiale le mise premura, non lasciandole altra scelta che seguirlo. Lo fece dunque lungo i lustri pavimenti di marmo di interminabili corridoi. Doveva avere un aspetto impresentabile con la pelle scottata dal sole, la cicatrice che le marchiava la fronte, i piedi scalzi e la ruvida tunica marrone che le era stata prestata e la cui taglia era a dir poco il doppio della sua. Come giunsero davanti a un'imponente porta a due battenti, presidiata da una mastodontica guardia con 16


un'enorme sciabola, la realtà della situazione in cui si trovava si abbatté su di lei. Era in un paese straniero, sola, alla totale mercé di chiunque si trovasse al di là di quella porta. Il capitano Cobb, forse? Presumeva vi fossero altri superstiti al naufragio. Era troppo orribile immaginare che seicento anime fossero perite e per miracolo soltanto lei fosse sopravvissuta. Oppure un dignitario di corte? Un carceriere? L'eunuco di un harem? Sbiancò. Scosse le pieghe dell'abbondante tunica affinché coprissero le punte dei piedi nudi, e si scostò i capelli dal viso. Il cuore martellava. Le gambe tremavano. Lo stomaco sfarfallò senza controllo nel momento in cui i battenti si aprirono.

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Una naufraga per lo sceicco MARGUERITE KAYE REGNO DI MURIMON, 1815 - Constance naufraga al largo delle coste arabe. Portata nel palazzo dell'affascinante Principe Kadar, sperimenta per la prima volta la libertà e il piacere.

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