STEPHANIE LAURENS
Una rivelazione per Therese Cynster
Immagine di copertina: Lee Avison/Trevillion Images
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Gamers Lovers Savdek Management Proprietary Limited The name Stephanie Laurens is a registered trademark of Savdek Management Proprietary Ltd. © 2021 Stephanie Laurens Traduzione di Lucia Rebuscini
Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.
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© 2022 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici Special novembre 2022
Questo volume è stato stampato nell'ottobre 2022 da CPI Moravia Books
I GRANDI ROMANZI STORICI SPECIAL ISSN 1124 5379 Periodico mensile n. 331S del 26/11/2022 Direttore responsabile: Sabrina Annoni Registrazione Tribunale di Milano n. 368 del 25/06/1994 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distribuzione canale Edicole Italia: m dis Distribuzione Media S.p.A. Via Carlo Cazzaniga, 19 20132 Milano
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5 ottobre 1851 Alverton House, Mayfair
Devo andarmene. Lord Devlin Cader, settimo Conte di Alverton, giaceva appagato nel letto di sua moglie, con una coperta intrisa dei profumi del piacere carnale gettata sopra le membra.
Non voleva muoversi, né in quel momento, né mai. Ma... Si sentiva rassicurato dal corpo caldo della moglie, allungato di fianco a lui, e il suo io interiore insisteva nel pensare che non c'era alcuna buona ragione per cui non potesse rimanere dove si trovava e lasciare che gli eventi facessero il loro corso.
Eppure, mentre i suoi muscoli erano immobili e rilassati, la sua mente aveva preso vita, mossa dalla consapevolezza che, a causa delle sue impulsive e avventate parole del giorno precedente, esisteva un certo grado di urgenza nel decidere cosa fare e nel cercare di riflettere razionalmente: cosa che gli era pressoché impossibile restando disteso accanto a Therese, con il profumo di rose che si sollevava dai suoi capelli e il calore della sua pelle che gli solleticava i sensi.
A parte tutto ciò, se lei si fosse svegliata, con l'approssimarsi dell'alba, e lo avesse trovato ancora lì, sarebbe rimasta sorpresa e gli avrebbe posto delle domande, e lui non aveva idea di cosa rispondere.
Nulla che fosse abbastanza innocuo, almeno. Come spie-
garle che, per gli ultimi cinque anni, aveva fatto credere a lei e a chiunque altro ciò che si sarebbe potuto definire l'estremo inganno? Non che avesse finto di amarla quando non era vero, ma aveva convinto tutti, lei compresa, di non amarla, quando invece era così.
Rendersi conto che non avrebbe saputo come rispondere a sua moglie lo spinse ad allontanarsi da lei. Per sua fortuna, Therese era ancora profondamente addormentata.
Devlin si voltò supino e guardò verso il tetto del baldacchino del grande letto matrimoniale. Le parole che lui e sua moglie si erano scambiati il giorno prima, al pranzo di nozze del fratello maggiore di Therese, echeggiarono con chiarezza nella sua mente.
Sono così felice per il caro Christopher. Avevo quasi abbandonato ogni speranza che fosse tanto ragionevole da sposare una donna come Ellen, che ne avrebbe riconosciuto le qualità, le prospettive... Anche se credo che sia stato quasi costretto dalle circostanze a notarla.
Non erano state tanto le parole di Therese, quanto il tono orgoglioso e il sospiro soddisfatto che ne era seguito che lo avevano inaspettatamente infastidito e spinto a dare quel l'incauta risposta.
Forse il tuo caro Christopher ha finalmente aperto gli occhi e ha preso esempio da me.
Naturalmente, si era morso la lingua, ma ormai era troppo tardi.
Therese si era offesa e aveva pensato di dirgli il fatto suo, rammentandogli, come ben sapevano tutti, che lei aveva dovuto insistere per portarlo all'altare. O almeno così lei credeva ancora.
Lui avrebbe potuto rimediare con un sorriso, imputando l'errore alla cattiva memoria; lei se lo aspettava e avrebbe accettato con benevolenza la sua ritirata, ma Devlin aveva intravisto un velo di tristezza nei suoi riflessivi occhi grigiazzurri e non era riuscito a impedirsi di mormorare: Ops.
Una parola così piccola e insignificante, eppure, dato il
contesto, il tono, e il carattere di Therese, era stato come spingerla a proseguire e a indagare sul suo significato fino a quando lei non avesse scoperto tutto e si fosse convinta di capire lui e il loro matrimonio.
Devlin era convinto che quella piccola parola avrebbe fatto da esca, permettendogli di condurla passo a passo fino alla scoperta della verità che le aveva sempre nascosto.
Therese sarebbe stata più propensa a crederci se lo avesse scoperto da sola, piuttosto che se lui avesse cercato di convincerla.
Questo era ciò che si era detto Devlin dopo quell'episodio.
Ripensando agli eventi del giorno prima, realizzò che il commento di Therese riguardo a Christopher, che aveva avuto la sensibilità e il coraggio di riconoscere l'amore quando lo aveva trovato, era stata l'ultima goccia che lo aveva spinto oltre l'orlo del precipizio su cui era sospeso. Therese era stata la prima della sua generazione di Cynster a sposarsi e, di conseguenza, negli ultimi quattro anni, loro due avevano partecipato a una serie di matrimoni. Ora facevano parte di un gruppo di coppie che si incontravano regolarmente a eventi quali il matrimonio di Christopher ed Ellen. Quando aveva dato vita a quell'inganno, Devlin non aveva previsto l'effetto che avrebbe avuto su di lui essere circondato da coppie unite in un matrimonio basato sulla consapevolezza del reciproco amore. Più di qualsiasi altra cosa, questo aveva fatto sì che lui si rendesse conto che, con l'inevitabile trascorrere degli anni, avrebbe voluto invecchiare così, in un sincero rapporto d'amore.
Sebbene avesse cambiato idea sul matrimonio già da tem po, non aveva mai preso alcuna decisione su come correggere la convinzione di Therese. Aveva vacillato per mesi e, il giorno prima, il suo io interiore, sempre più impaziente, aveva colto al volo l'occasione e lo aveva spinto verso quel l'insolita, impulsiva semirivelazione.
Dentro di sé, sapeva di essersi trattenuto senza una valida
ragione e il suo io irrequieto aveva deciso di agire di sua volontà. Nel corso degli anni, il suo io ci aveva sempre visto giusto; la sua reticenza ad agire era una sorta di debolezza: Devlin sapeva di dover fare una cosa, ma continuava a procrastinare.
Girò la testa sul cuscino e guardò Therese, lasciando indugiare lo sguardo sui suoi lineamenti rilassati nel sonno.
Aveva detto a sufficienza da risvegliare il suo spirito indagatore; poi, aiutato dalle circostanze, aveva frustrato tutti i suoi tentativi di sapere di più. Avendo portato i bambini con loro, Therese aveva deciso che non si sarebbero fermati per la notte nella sua casa natale, Walkhurst Manor, nel Kent, dal momento che gli sposi avrebbero soggiornato lì e la casa non era così grande da ospitare tutti. Come le altre coppie, lui, Therese e i bambini avevano fatto ritorno in città, ed erano stati tra i primi a lasciare la festa. Lungo la strada, si erano fermati a cenare a Sevenoaks e poi avevano proseguito per Londra, arrivando ad Alverton House poco prima di mezzanotte.
Grazie ai bambini e alla servitù onnipresente, Therese non aveva potuto fargli domande sul suo inspiegabile commento e, dopo avere messo a letto i bimbi, si erano ritirati nelle rispettive stanze. Più tardi, come faceva di solito, Devlin l'aveva raggiunta nel suo letto. Nel farlo, era stato certo che, appena varcata la soglia, lei sarebbe stata troppo distratta per fargli delle domande e, in seguito, troppo esausta per avere l'energia di discutere.
Devlin poteva sentire il suo respiro, pacato e rassicurante com'era lei. Competente, affidabile, risoluta, leale. Therese era tutto questo e molto di più.
Da quando aveva posato gli occhi su di lei, nella sala da ballo di Lady Hendrick, aveva capito che Therese incarnava tutto ciò che lui desiderava in una moglie. Quando l'aveva guardata per la prima volta negli occhi grigiazzurri, aveva capito, al di là di ogni dubbio, che la sua vita in quel momen to era irrevocabilmente cambiata. L'aveva amata, si era
innamorato di lei, completamente e, grazie a Dio, Therese si era innamorata di lui.
Era arrogante da parte sua esserne tanto sicuro? Devlin non l'aveva mai incoraggiata a confessarlo, dal momento che era deciso a non ammettere di nutrire quei sentimenti nei suoi confronti, eppure...
Sebbene non potesse sapere con assoluta certezza cosa Therese provasse per lui, la sua conoscenza delle donne gli garantiva che il piacere che condividevano in quel letto cosa che, malgrado le sue numerose precedenti esperienze, lui non aveva sperimentato con nessun'altra era la manifestazione dell'emozione che albergava in entrambi, nonostante Devlin avesse sempre omesso la verità.
Ora che aveva socchiuso la porta che custodiva il suo segreto e che aveva invitato Therese a entrare, nello stesso modo in cui aveva inizialmente tramato per impedirle di intuire la verità, avrebbe dovuto essere molto cauto.
Per prima cosa doveva alzarsi e lasciare il suo letto. Subito, prima che lei si svegliasse e lo trovasse ancora lì. Per infondere maggiore credibilità al fatto che il loro matrimonio fosse del tutto convenzionale e non un'unione d'amore, Devlin non si era mai fatto trovare al suo fianco al mattino. La lasciava che ancora dormiva e, per quanto ne sapeva Therese, lui passava quasi l'intera notte nel proprio letto. Non poteva immaginare che, invece, raramente la lasciava prima dell'alba.
Sebbene il sole non fosse ancora sorto, l'alba non era lontana. Devlin si costrinse a rispettare il copione che aveva scritto e si alzò dal letto. Immediatamente rimpianse il calore del corpo di Therese. Infilò la vestaglia, l'allacciò in vita e uscì dalla porta che metteva in comunicazione i loro appartamenti.
Quando fu nella sua camera, anziché infilarsi tra le lenzuola fredde, si avvicinò alla finestra, scostò le pesanti tende e guardò oltre Park Lane, verso il parco. Alcune foglie e rano ancora attaccate ai rami delle vecchie querce e dal ter-
reno si sollevava una nebbiolina che avvolgeva gli alberi scheletrici.
Devlin fissò quel gelido panorama pensando a cosa lo avesse spinto a nascondere il proprio amore. I suoi genitori e il loro matrimonio. E, più recentemente, quello del suo migliore amico. Quando aveva sposato Therese, le sue ragioni gli erano parse valide, innegabili, ovvie, e la decisione che aveva preso incontrovertibilmente corretta.
Da ragazzo, era convinto di avere constatato di prima ma no i danni che poteva subire un uomo, anche uno dal carattere forte, che, dopo essersi innamorato di una donna dalla personalità decisa, aveva commesso l'errore di confessare il proprio amore. Il matrimonio dei suoi genitori gli aveva dato una dura lezione su ciò che poteva accadere a un gentiluomo così incauto da ammettere di amare la propria moglie. Agli occhi di Devlin, la madre aveva approfittato del marito, dando il suo amore, le sue premure e le sue attenzioni per scontati, calpestando il suo orgoglio e la sua posizione e sminuendolo di fronte ai figli e alla servitù. Il padre non aveva mai protestato e Devlin lo aveva visto inghiottire l'orgoglio e obbedire alla moglie. Era stato costretto a restare a guardare impotente, senza poter fare nulla, mentre le vessazioni della madre erano peggiorate nel corso degli anni, benché solo in privato. Di fronte al mondo, il Conte e la Contessa di Alverton erano stati una coppia perfetta.
Poi, il più grande amico di Devlin, James, Visconte Hem mings, aveva sposato una virago, solo per amore. Nonostante tutti fossero concordi nel dire che James e Veronica erano follemente innamorati, i due non facevano altro che criticarsi.
Se Devlin avesse avuto bisogno di un'altra lezione sui pericoli di un matrimonio tra un gentiluomo come lui e una donna dal carattere forte, gli Hemmings gliel'avevano data.
L'esperienza del matrimonio dei suoi genitori e la sua osservazione della relazione degli Hemmings avrebbero dovuto spingerlo a rifuggire l'istituzione del matrimonio, ma poi
aveva ereditato la contea e tutto il ton si era aspettato da lui che si sposasse per assicurare la successione. A dire il vero, se fosse rimasto scapolo fino alla sua morte, suo fratello Melrose, minore di lui di sette anni, sarebbe diventato conte, ma nessuno, loro due per primi, aveva pensato che quella fosse una saggia opzione. Al presente, Melrose, che ora aveva ventinove anni, non aveva ancora mostrato alcun segno di volersi accasare o di intraprendere seriamente qualunque cosa.
Di conseguenza, quando Devlin aveva guardato Therese negli occhi per la prima volta e aveva capito che lei prometteva di essere tutto ciò che lui aveva sempre desiderato in una moglie, aveva iniziato a corteggiarla nonostante la sua reputazione di possedere un carattere talmente forte da rasentare la spietatezza e nonostante incarnasse il genere di donna che lui era deciso a evitare. Così, malgrado lei fosse l'ultima femmina al mondo di cui avrebbe voluto chiedere la mano, con uno sguardo un solo, fatale sguardo Therese gli aveva fatto cambiare idea.
Ma non aveva modificato la sua determinazione a impedirle di sapere che lui l'amava.
Fino al giorno prima, Devlin non le aveva mai lasciato anche solo intuire i suoi veri sentimenti.
Fissando la nebbiolina che ora ricopriva il parco, fece una smorfia. Si era sempre considerato così astuto e, in effetti, lo era stato. Aveva utilizzato la convinzione di Therese per portarla fuori strada, manipolando la sua interpretazione dei fatti. Lei era talmente sicura della propria capacità di osservare, capire e controllare che non le era mai venuto in mente che in lui aveva incontrato il suo maestro, o almeno una persona attenta quanto lei e sicuramente più disonesta.
E ora lui si trovava a dovere districare la ragnatela di falsità che l'aveva incoraggiata a immaginare. Doveva assolutamente gestire la situazione senza rendere pericolante l'edificio che poggiava sulle fondamenta del loro matrimonio. Lui non voleva danneggiare in alcun modo ciò che già ave-
vano, la loro interazione che si era evoluta nel corso degli anni e l'esistenza calma e ordinata di cui godevano insieme ai loro figli e alla servitù. Era ben consapevole che tutto funzionava alla perfezione solo grazie a Therese, la quale organizzava ogni cosa con efficienza, tanto che la tranquilla atmosfera che regnava in casa loro era l'invidia di molti suoi pari.
Nell'agire, impulsivamente o meno, non voleva rischiare di nuocere alla loro relazione, ma negli anni in cui aveva investito con successo il suo denaro in nuove industrie aveva imparato che a volte valeva la pena correre qualche rischio.
Osservare il matrimonio dei cugini di Therese, la consapevolezza dei benefici che derivavano dall'amore reciproco la gioia, la felicità, la condivisione, la vicinanza così suggestiva e ammaliante lo aveva tentato e sedotto a tal punto da indurlo a inghiottire l'orgoglio, accettare la realtà e ammettere che, se esisteva anche la più piccola possibilità di avere lo stesso tipo di unione per lui e per Therese, era pronto a lottare e a sacrificare qualcosa pur di raggiungere quell'obiettivo. Quanto e che cosa avrebbe dovuto sacrificare non era del tutto chiaro, ma con le sue incaute parole del giorno prima aveva fatto il primo, irrevocabile passo verso quel tipo di matrimonio che, se non fosse stato per la sua reticenza nel riconoscere l'amore, avrebbero potuto già vivere da cinque anni.
Socchiudendo gli occhi, osservò la nebbia che offuscava il parco. Non aveva dovuto corteggiare Therese; al contrario, l'aveva manipolata affinché fosse lei a persuaderlo ad andare all'altare. E ora toccava ancora una volta a lui gestire quella transizione e, dal momento che intendeva avere successo, aveva bisogno di un piano per convincere la donna che era sua moglie già da cinque anni che lui l'amava quanto lei amava lui.
Era già mattina inoltrata quando Therese, infine, aprì gli
occhi. Sbatté le palpebre, poi si girò sulla schiena ed ebbe la conferma, come sempre, che Devlin se ne era già andato da tempo, perché, passando il palmo della mano sul lenzuolo, lo sentì freddo.
Sospirando al ricordo del piacere che avevano condiviso, si stiracchiò, allungò le braccia sopra la testa e poi si rannicchiò di nuovo sotto le coperte. Mentre fissava il tetto del baldacchino di seta color lilla, ripercorse gli eventi del giorno prima. Il suo sorriso si fece più ampio quando rammentò la felicità evidente di Christopher ed Ellen. Era rimasta deliziata nel vederli tanto innamorati.
Poi ricordò lo strano commento di Devlin. Il sorriso scomparve e Therese aggrottò la fronte.
Durante il viaggio di ritorno a Londra ci aveva ripensato un'infinità di volte e non era riuscita a capire cosa lui avesse inteso dire.
Conosceva suo marito: non era avvezzo a fare commenti astrusi.
«Cosa diavolo voleva dire?»
Ripensò a quando erano uno accanto all'altra nella sala da ballo di Bigfield House. Lei stava osservando con affetto Christopher ed Ellen che si muovevano tra gli invitati. Devlin era al suo fianco ora che ci pensava, le era rimasto incollato per buona parte della giornata e quindi aveva sentito il suo sospiro di felicità e l'aveva ascoltata rallegrarsi del fatto che Christopher avesse avuto il buonsenso di riconoscere la possibilità di essere felice che Ellen rappresentava e di sposarla.
Doveva essere stato il suo sospiro o il suo commento a spingerlo a dire: Forse il tuo caro Christopher ha finalmente a perto gli occhi e preso esempio da me.
Therese aggrottò la fronte. «Ma questo non ha assolutamente senso.»
Dopo avere analizzato le sue parole, insieme all'intonazione della sua voce e a tutti gli altri piccoli indizi utili a chiarire il pensiero del marito, che lei aveva imparato a ri-
conoscere nel corso degli anni, si ritrovò ancora in alto mare.
Si strinse le coperte al petto e aggrottò ancora di più la fronte. Non era solo confusa per quelle parole, ma era anche confusa all'idea di essere confusa; normalmente non incontrava alcuna difficoltà a interpretare le parole di Devlin.
Persino più criptica era stata la sua risposta quando lei gli aveva chiesto una spiegazione. Anziché ridere, ammettendo di avere dimenticato che era stata lei a trascinarlo all'altare, piuttosto che il contrario, Devlin aveva incontrato il suo sguardo e, con una strana luce negli occhi verde nocciola, le aveva sorriso e aveva mormorato: Ops.
Therese risentì quella singola sillaba risuonare nella propria mente e socchiuse gli occhi, riducendoli a due fessure. D'un tratto, scosse la testa, scostò le coperte e decise di relegare il commento enigmatico del suo bel marito nei recessi più oscuri della mente, prima di alzarsi dal letto.
Il freddo di quella mattina di tardo autunno si insinuò sotto la fine camicia da notte di seta mentre lei prendeva la vestaglia dalla sedia su cui era posata. Dopo avere infilato l'indumento di lana, attraversò a grandi passi la stanza dal pavimento coperto da folti tappeti e tirò la corda della campanella per chiamare Parker, la sua cameriera personale.
Poi allacciò la vestaglia e si avvicinò alla finestra. Afferrando le tende con entrambe le mani, le aprì e si affacciò sul roseto. Fuori c'era nebbia. Guardò quello che di solito per lei era un panorama rilassante e sentì di nuovo nella propria mente quel commento: Ops.
I bambini ricorrevano spesso a quella parola, come faceva Devlin quando giocava con loro. Di solito la usava per sottolineare un errore, spesso deliberato o scherzoso.
Therese incrociò le braccia sotto il seno. «In cosa riteneva di avere fatto un errore nel suo commento?»
Forse nel suggerire una somiglianza nel modo in cui erano arrivati all'altare loro due e Christopher ed Ellen?
A giudicare dalle parole che aveva usato, quella pareva la
risposta più ovvia, ma più continuava a ripensare alle parole che Devlin aveva pronunciato, soprattutto al modo con cui aveva detto ops, con una certa luce negli occhi, e meno riusciva a convincersi che il significato fosse quello.
In realtà, Devlin aveva pronunciato ogni singola parola deliberatamente e nel farlo l'aveva guardata dritta negli occhi. No, aveva voluto dirle qualcosa di diverso e Therese era sempre più certa che il suo ops non indicava che lui volesse ritrarre ciò che aveva appena detto.
«Che uomo esasperante!» Soprattutto perché, più ci pensava e più aveva l'impressione che lui avesse voluto farle capire qualcosa. Un'allusione, un invito a stare al suo gioco. Tuttavia lei non aveva idea di quale fosse il gioco, e non ne era affatto felice.
Parker entrò dopo avere bussato alla porta, seguita da una domestica con una brocca di porcellana colma di acqua fumante.
Quando la cameriera la guardò, Therese aveva di nuovo assunto la sua abituale espressione serena. «Aspetto visite questa mattina e nel pomeriggio dovrò uscire. Suppongo che l'abito da giorno di seta rosa sia il più adatto.»
Scacciando dalla mente l'irritante ops di suo marito, si apprestò ad affrontare la giornata.
Therese entrò nella sala della colazione e non si stupì di trovarla vuota.
Portland, il maggiordomo, le scostò la sedia. «Sua Signoria ha fatto colazione presto, signora, e poi è uscito a cavallo nel parco» mormorò.
Therese se lo aspettava. Prese il tovagliolo e lo spiegò. «Grazie, Portland.» Lanciò un'occhiata verso la credenza. «Solo tè e pane tostato, per favore... e magari anche un po' di marmellata di fragole.» «Certo, signora.»
Mentre Portland usciva per andare a prendere il tè, Therese si sorprese a guardare la sedia vuota di Devlin, ramma-
ricandosi di non essere stata abbastanza ferma, la sera prima, sulla sua decisione di chiedergli spiegazioni appena lui era entrato nella sua stanza. Sfortunatamente, quando era successo, le era parso il momento inappropriato per dare inizio a un interrogatorio. A parte tutto il resto, lei continuava a considerare Devlin nudo immensamente conturbante, quindi, anche se fosse riuscita a fargli una domanda, con ogni probabilità non avrebbe ricordato la sua risposta.
Portland tornò con la teiera e il resto della sua colazione. Therese lo ringraziò con un sorriso, si versò una tazza di tè e si apprestò a spalmare burro e marmellata sulla fetta di pane, che addentò fissando nel vuoto e rammentando la realtà del suo matrimonio.
Sebbene avesse capito sin dal loro primo incontro che Devlin era attratto da lei, non si era mai illusa che lui l'amasse. Né aveva immaginato che lui, con il tempo, l'avrebbe amata. Lo aveva sempre considerato improbabile, e nulla negli ultimi cinque anni le aveva fatto cambiare idea.
Therese aveva affrontato la ricerca di un marito il marito giusto per lei nel suo solito modo organizzato e metodico. Aveva accettato che, essendo una Cynster, fosse possibile, persino probabile, che anche lei sarebbe stata colpita da quella che i suoi fratelli e i suoi cugini definivano la maledizione dei Cynster, una pulsione apparentemente irrefrenabile che spingeva ogni membro della famiglia a sposarsi per amore. Di conseguenza, sin dalla sua prima apparizione in società, valutando ogni gentiluomo che incrociava il suo cammino, si era aspettata che avrebbe trovato l'uomo giusto e si sarebbe innamorata.
Therese, però, era ben consapevole che l'affermazione: Un Cynster si sposa sempre per amore, non garantiva che il suddetto amore fosse reciproco. Si era lanciata nella sua ricerca con la mente aperta, ma quando, all'età di ventun anni, si era imbarcata nella sua terza Stagione, aveva già imparato molto su se stessa e su come la consideravano i gentiluomini del ton . Aveva sentito commenti a sufficienza e, nel cor-
so degli anni, quei commenti erano diventati sempre più frequenti: lei era troppo suscettibile, aveva un carattere troppo forte, era troppo decisa e, soprattutto, voleva controllare ogni cosa. Era considerata troppo sotto molti aspetti per essere ritenuta da un gentiluomo una compagna desiderabile. Era destinata a essere una moglie scomoda.
Ma poi aveva incontrato Devlin ed era stata investita da un'emozione così potente da non poter dubitare, nemmeno per un minuto, di cosa si trattasse. Si era innamorata all'istante. E sebbene non si fosse mai illusa che anche lui l'amasse sicuramente non nello stesso modo compulsivo e incontrollabile in cui lei amava lui per qualsiasi altro aspetto Devlin era più che idoneo e, dal loro primo incontro, Therese si era data da fare per convincerlo che era la moglie perfetta per lui.
Ci erano voluti mesi di persuasione, di tenacia e di corteggiamento, ma alla fine Devlin aveva accettato di sposarla; e da allora, come lei aveva previsto, erano sempre andati d'accordo. Forse lui non l'amava, ma le era affezionato e la trattava con gentilezza, a volte con indulgenza, però sempre con un sincero affetto che lei trovava rassicurante e confortante. Con il tempo, per lei, Devlin era diventato un porto sicuro dove trovare riparo dalle tempeste della vita.
Così era il loro matrimonio. Perché allora Devlin aveva suggerito che i motivi per cui Christopher aveva sposato Ellen rispecchiavano i suoi?
Therese aggrottò la fronte, masticando perplessa l'ultimo boccone di pane. «Non ha senso.» Sbatté le palpebre. «A meno che...»
A meno che, paragonando Christopher a se stesso, Devlin volesse riferirsi ad altri aspetti del matrimonio.
«Certo.» Therese riandò con la mente al pranzo di nozze, udì di nuovo le parole del marito, e infine l'irritazione di non sapere cosa avesse inteso dire si dissipò. «È così!» Sod disfatta, sollevò la tazzina e sorseggiò il tè.
Devlin si era riferito agli innegabili vantaggi di sposare
una dama del ton : una perfetta padrona di casa, una donna in grado di gestire la servitù, una buona madre per i propri figli, e così via. Tutte ragioni che lo avevano convinto a sposare lei. Non essendo stato motivato dall'amore, aveva focalizzato l'attenzione su altri incentivi.
Therese continuò a sorseggiare il tè con lo sguardo fisso sulla sedia vuota e annuì. «Questo spiega il suo ops.» Non si riferiva a un errore che lui aveva fatto, ma a quello che forse aveva fatto lei nel credere che il suo commento avesse attinenza con l'amore.
«Sì, ora è tutto chiaro» mormorò, annuendo con decisione ed esaminando il suo commento attraverso il prisma di una nuova consapevolezza.
Con la sensazione di essersi finalmente liberata dalla ragnatela che la imprigionava, posò la tazzina e pensò alla giornata che l'aspettava.
Doveva riconoscere che, per quanto riguardava gli aspetti materiali del matrimonio, in qualità di moglie di Devlin, non aveva alcun motivo per lamentarsi, e nemmeno lui aveva mai lasciato intendere che non fosse soddisfatto. Dopotutto, la vita di Therese stava procedendo esattamente come lei l'aveva immaginata, tutto era sotto il suo controllo.
Eccetto, naturalmente, Devlin. In qualche modo, lui era sempre riuscito a sfuggire al suo controllo. Therese lo sapeva e lo sapeva anche lui. A volte, lei coglieva un'espressione sul suo viso che le faceva pensare che il marito considerasse i suoi sforzi di controllarlo perché, naturalmente, lei ancora ci provava con affettuoso divertimento, come se il suo cercare di manipolarlo lo rendesse stranamente felice, sebbene lui riuscisse a osteggiare qualsiasi suo tentativo, tranne quelli con cui era d'accordo.
Therese sbuffò. Una cosa che aveva imparato nel corso degli ultimi cinque anni era che il suo bel marito seguiva una legge tutta sua. Aveva concluso che semplicemente non lo capiva abbastanza da poterlo controllare, tuttavia Devlin trattava bene lei, i bambini, la servitù e chiunque altro e
Therese non voleva cambiare nulla della loro vita.
Aggrottando la fronte, spinse indietro la sedia. Avrebbe solo voluto che lui non fosse stato tanto criptico. Quel mattino aveva già perso troppo tempo ed energie nel cercare un significato a un commento a cui, in altre circostanze, non avrebbe nemmeno fatto caso.
Per fortuna, se lo era lasciato alle spalle. Quando Portland le scostò la sedia, Therese si alzò, lo ringraziò con un sorriso, e si diresse verso il salottino per occuparsi dei suoi primi doveri della giornata.
All'ora di pranzo, come spesso faceva, Therese raggiunse i bambini nella nursery. Non riusciva a farlo tutti i giorni, ma i bambini l'attendevano con ansia per poter condividere con lei l'eccitazione delle loro attività mentre, sotto lo sguardo della bambinaia Sprockett, tentavano di nutrirsi in modo almeno accettabile.
Tenendo sulle ginocchia la piccola Horatia di diciotto mesi che aveva preso il nome dalla bisnonna, ma veniva chiamata da tutti Horry Therese le guidò gentilmente la mano, mentre la bambina tentava ostinatamente di padroneggiare la forchetta.
«Il mio cerchio andava più veloce!» dichiarò Spencer, un robusto bambino di quattro anni, gonfiando il petto.
«Ma il mio era subito dietro» precisò Rupert, minore di Spencer di un anno, sorridendo al fratello.
Therese li guardò compiaciuta. Il terzetto era tornato da un'uscita nel parco insieme alle bambinaie solo pochi minuti prima e le loro guance paffute erano ancora arrossate dal freddo e i loro capelli arruffati dal vento. Entrambi i maschi avevano ereditato i colori dal padre occhi nocciola e capelli castano scuro mentre Therese era stata informata da sua madre e dalle zie che Horry era esattamente uguale a lei alla sua età, con i vaporosi riccioli color oro, le guance di porcellana e i grandi occhi azzurro chiaro.
Mentre li incoraggiava a mangiare, Therese ascoltava le
loro chiacchiere e cercava di mantenere l'attenzione su di loro e di non permettere alla propria mente di distrarsi e di tornare alle conclusioni che aveva tratto sull'irritante commento di Devlin. La stava facendo impazzire. Aveva risolto l'enigma, perché allora non riusciva a liberarsi di quel fastidioso incidente?
D'un tratto, i bambini guardarono verso la porta aperta e i loro visi si illuminarono. Therese conosceva il motivo; si voltò e vide Devlin entrare sorridendo nella stanza.
Non era giusto, dopo cinque anni di matrimonio, che Devlin riuscisse ancora senza sforzo ad attirare la sua attenzione. Posò avidamente lo sguardo sul suo viso, sui quei lineamenti aristocratici, sulla sua figura alta e slanciata e sull'eleganza dei suoi abiti, e si abbeverò della sua innata grazia da predatore.
Lui si avvicinò al tavolino a cui erano seduti i bambini, insieme a Therese e alla bambinaia. Rivolse un vago cenno di saluto a Sprockett e poi arruffò i capelli dei figli, prima di accucciarsi accanto a loro.
Sorrise a Horry, che saltellava sulle ginocchia di Therese, cantando da , da , da , e agitando le manine grassocce e appiccicose. Facendo attenzione a evitare le sue dita, accarezzò la soffice guancia della figlia, facendola gorgheggiare di felicità, poi si rivolse ai due maschi e chiese loro quali avventure avessero avuto quella mattina.
Therese approfittò di quel momento per incoraggiare Horry a finire il pollo e a raccogliere l'ultimo pisello.
Dopo avere ascoltato il resoconto dei figli, Devlin guardò Therese. «Finite di mangiare adesso, perché io sono venuto a prendere vostra madre per il pranzo e sapete che sarà più contenta se le farete vedere i vostri piatti vuoti prima che lei se ne vada.»
I due bambini sorrisero a Therese e si misero d'impegno per finire il pollo prima di divorare il loro pudding.
Lei si concentrò per aiutare Horry a portarsi alla bocca con il cucchiaino il dolce, chiedendosi se Devlin intendesse
pranzare insieme a lei. Supponeva che fosse così. Lui non pranzava spesso a casa, ma, evidentemente, quel giorno intendeva farlo.
Therese pensò di approfittare di quell'occasione per avere la conferma delle proprie conclusioni sull'esasperante commento di Devlin, ma qualcosa in lei le impediva di porgli una domanda diretta, come se, interrogandolo su quell'argo men to, potesse indurlo a pensare che lei volesse mettere in discussione le basi del loro matrimonio.
Nulla era cambiato tra loro e non aveva bisogno di sentirselo dire da lui.
Scacciando quel pensiero, sorrise a Horry, la quale era felice di avere scoperto il fondo della ciotola del suo dolce e lo stava colpendo entusiasta con il cucchiaino. Therese glielo tolse di mano e lo lasciò cadere nella ciotola, poi le posò un bacio sui riccioli e, scambiando un'occhiata con una delle bambinaie, le porse la piccola.
Mentre parlava con i figli, Devlin aveva osservato Therese con attenzione e aveva visto un'ombra passare nei suoi occhi grigiazzurri, indicazione del fatto che, nonostante fosse impegnata con Horry, lei stava pensando ad altro.
Lui si augurava che stesse ancora pensando al suo commento del giorno prima e, in particolare, al suo ops. Incontrò lo sguardo della moglie e le sorrise, poi si alzò e le porse la mano.
Therese mise la mano nella sua e Devlin l'aiutò ad alzarsi. Una volta in piedi, lei ritrasse la mano e lui non poté fare altro che lasciarla andare. Dopo essersi lisciata il vestito, lei salutò i bambini, lanciò un bacio a Horry e lo precedette fuori dalla porta.
Devlin la seguì in corridoio e, fianco a fianco, si diressero verso le scale. «Portland mi ha assicurato che avrebbero tenuto la zuppa al caldo, ma immagino che lui e i camerieri stiano aspettando.»
«Non mi ero reso conto che fosse così tardi.» Devlin la
guardò e attese. Quando Therese non diede segno di voler approfittare del momento per dare inizio all'inquisizione, si spostò su un argomento innocuo. «Che programmi hai per il resto della giornata?»
«Questo pomeriggio dovrò fare un paio di visite e poi, se il tempo reggerà, probabilmente andrò un po' al parco.»
«E questa sera?»
«Fortunatamente, i balli sono diminuiti, ma Lady Walton ha organizzato un ricevimento e si aspetta che io partecipi.»
«È un'amica di tua madre?»
«Più che altro una conoscenza, ma mia madre ha menzionato il ricevimento e, dal momento che si trova a Somersham, mi ha chiesto di accompagnarla.»
«Capisco.» Devlin rammentava di avere conosciuto Lord Walton a una riunione di azionisti della ferrovia.
Giunti in fondo alle scale, si diressero verso la saletta che veniva usata per i pranzi in famiglia, molto più piccola e intima della sala da pranzo principale, al cui tavolo potevano sedersi comodamente cinquanta persone.
Devlin scostò la sedia di Therese a un capo del tavolo e andò a sedersi a quello opposto. Non appena si fu accomodato, Portland, che era in attesa, arrivò con la zuppiera.
Quando, dopo essersi assicurato che una porzione fosse sufficiente per loro, uscì per riportare la zuppiera in cucina, lasciando come testimone solo Dennis, il valletto, Devlin attese che la moglie facesse chiarezza nei suoi pensieri e iniziasse a interrogarlo. Era perfettamente consapevole che, per tutto ciò che aveva a che fare con lui, la curiosità di Therese era insaziabile.
Lei rimase in silenzio tanto a lungo da spingerlo a chiedersi se ci fosse qualcosa che non andava, ma poi lei alzò lo sguardo e incontrò i suoi occhi. «Volevo chiederti...»
Finalmente! Devlin la guardò per invitarla a proseguire.
«... se hai concluso i tuoi affari all'esposizione.»
Perplesso, lui rispose che la cosiddetta Esposizione Universale che occupava il Crystal Palace di Joseph Paxton, at-
tualmente situata all'interno di Hyde Park, si sarebbe conclusa nel giro di dieci giorni.
«Ho sentito dire che intendono smontare l'edificio e spostarlo altrove, è vero?»
Devlin annuì. «A Sydenham. Paxton ha disegnato una struttura che può essere facilmente smontata e riassemblata.» Perché stava discutendo di ingegneria con sua moglie, che, invece, avrebbe dovuto interessarsi di ben altro?
L'espressione di Therese non suggeriva che lei fosse sopraffatta dalla curiosità. «Suppongo che ci sarà una fervente attività all'interno del parco nei prossimi giorni.» Abbassò gli occhi come per riflettere e li rialzò quando Portland fece ritorno con un vassoio di carne arrosto. «Devi ricordarmi di parlarne alla bambinaia, sono certa che ai ragazzi piacerebbe vedere il palazzo di vetro.»
Portland sorrise con benevolenza nel porgere il vassoio a Devlin, che si servì della carne e poi delle verdure che gli porse Dennis. Aveva difficoltà ad assimilare il concetto che sua moglie, solitamente avida di notizie, fosse del tutto disinteressata ad approfondire i suoi commenti deliberatamente provocatori del giorno prima.
Mentre pranzavano, con una serie di abili domande, Therese spostò la conversazione su vari argomenti connessi all'esposizione. Devlin rispose, ma era sempre più spiazzato.
Non si era aspettato che lei assumesse quell'atteggiamento. Era sicuro che lei non poteva avere dimenticato quel che le aveva detto, ma non aveva immaginato che sarebbe spettato a lui toccare l'argomento.
Il pranzo si concluse senza che Therese desse segno di dover sopprimere il bisogno di fargli domande. Lei si alzò e lui fece altrettanto, e insieme lasciarono la sala da pranzo.
Therese gli sorrise serenamente, come se non avesse alcuna preoccupazione. «Sarà meglio che mi sbrighi.»
Devlin si fermò. Anche lei si fermò e lo guardò stupita.
«Mi sono reso conto che ieri, al pranzo di nozze, ho ri-
sposto a una tua domanda in modo piuttosto criptico.»
Therese sollevò il mento; alla luce fioca del corridoio, Devlin non riuscì a leggere il suo sguardo. «Ah! Quel tuo ops?»
Lui annuì, e il suo disagio crebbe quando Therese fece un sorriso tirato.
«Pensavi che mi avesse infastidita al punto da essere insaziabilmente curiosa?» Non sembrava turbata, semmai quasi divertita.
Devlin aveva la sensazione di trovarsi su un terreno sdrucciolevole e non gli piaceva affatto. «Almeno moderatamente curiosa» ammise dopo un attimo.
L'espressione di Therese si dissolse in un sorriso rilassato che non lo convinse. «Non ho bisogno di pormi delle domande e di formulare ipotesi» disse in tono rassicurante, posandogli una mano sul braccio, «soprattutto riguardo al nostro matrimonio. So esattamente cosa intendevi dire.»
Devlin la guardò con crescente trepidazione. «Davvero?»
Lei annuì. «Hai pensato che, sposando Ellen, Christopher sia stato mosso dalle stesse ragioni che hanno spinto te a sposare me: assicurarsi i riconosciuti benefici del matrimonio. Entrambi sappiamo su cosa è basata la nostra unione e non ho equivocato il tuo ops.»
Devlin cercava disperatamente qualcosa da dire.
Therese sorrise e gli si avvicinò per sussurrare: «Non pre occuparti, non mi hai turbata, ho capito». Gli diede ancora un paio di pacche sul braccio e poi fece per andarsene. «Ora devo proprio scappare, altrimenti arriverò in ritardo da Lady Kettering.»
Lui rimase impalato in mezzo al corridoio in uno stato di totale incredulità e seguì con lo sguardo la moglie che si allontanava in un fruscio di seta.
Devlin entrò nel suo studio e chiuse accuratamente la porta. Poi si diresse verso la grande poltrona di cuoio dietro la scrivania e vi si lasciò cadere.
Ancora incredulo, ripensò a quanto era appena successo. «Dannazione!» Stava guardando al completo e totale fallimento di quello che aveva immaginato sarebbe stato un facile primo passo per guidare Therese lungo la strada che l'avrebbe portata a rendersi conto che lui l'amava.
Sebbene non avesse preso in considerazione la sua interpretazione, ora capiva come lei fosse giunta a quella conclusione. Sfortunatamente, il fatto che lei avesse cercato e trovato una spiegazione diversa, piuttosto che sospettare la verità, non lasciava presagire che avrebbe seguito i suoi indizi.
Ops!
Aveva fatto un errore, questo era certo. Aveva pensato di poter usare lo stesso approccio di cinque anni prima per suscitare la sua curiosità e condurla alla verità. Era stato certo di essere nel giusto pensando che Therese avrebbe creduto al suo amore se lo avesse scoperto da sola, ma quel tentativo era stato surclassato dal successo che aveva avuto nel convincerla che lui non la amava.
Devlin ripensò a ciò che si erano detti. Qualcosa lo aveva fatto sentire a disagio. Trascorsero parecchi minuti prima che riuscisse a individuare cos'era stato: il tono di voce di Therese e il fatto che lei non lo avesse guardato negli occhi mentre gli spiegava cosa lui avesse intenso dire con quella parola incauta e impulsiva.
Vulnerabile fu l'aggettivo che gli venne in mente.
Non gli piaceva l'idea di averla ferita, ma... Si costrinse a pensare di nuovo alla loro conversazione, con maggiore attenzione, e poi imprecò a fior di labbra.
Chiuse gli occhi. Aveva agito d'impulso, senza ponderare bene le proprie azioni. Costringendola ad analizzare le ragioni che lei credeva essere alla base del loro matrimonio, l'aveva obbligata ad affrontare quella che Therese considerava la verità, e cioè che lui non l'amava.
Vulnerabile. L'aveva fatta sentire vulnerabile, ecco cosa c'era dietro al nervosismo che aveva percepito.
Devlin conosceva bene la vulnerabilità causata dall'amore, dall'ammissione dell'amore. Di fondo, la vulnerabilità indotta dall'amore era stata proprio il motivo per cui lui aveva rifiutato a lungo di ammettere di amarla.
E ora?
«È ovvio» mormorò, «ora dovrò essere molto più attento e prudente per non suscitare sentimenti avversi.» Questo avrebbe richiesto un certo grado di raffinatezza e attenzione ai dettagli, più di quanto avesse fatto fino a quel momento.
Dopo avere trascorso parecchi minuti a incolparsi per essere stato tanto maldestro da provocare una reazione indesiderata, giunse alla conclusione che il fatto che Therese si sentisse ancora vulnerabile nel credere che lui non l'amava era, in realtà, rassicurante. «Almeno, mi ama ancora.» Se non fosse stato così, non si sarebbe sentita in quel modo.
Un risultato positivo dal mio primo, disastroso tentativo di riscrivere la nostra relazione.
Devlin riconsiderò ciò che era avvenuto. Sebbene fosse turbato dalla fragilità che aveva percepito sotto la solita armatura d'acciaio di Therese, che testimoniava l'amore che ancora lei nutriva per lui, di per sé quella non era una cosa che lui voleva cambiare. Non era un segnale che desiderava eradicare.
Ciò che voleva cancellare era la causa, per la precisione, la radicata convinzione della moglie che lui non ricambiasse il suo amore. Una volta raggiunto lo scopo, la reticenza di Therese di mostrare apertamente il suo amore per lui sarebbe svanita insieme, si augurava, al suo sentirsi vulnerabile.
Si era già fatto un'immagine mentale di come sarebbe andata: Therese gli avrebbe mostrato apertamente il suo amore, rafforzato e supportato dall'assoluta e incrollabile consapevolezza che i suoi sentimenti erano ricambiati, che Devlin l'amava quanto lei amava lui, in un matrimonio in perfetto stile Cynster.
Quello era l'obiettivo che era determinato a raggiungere per entrambi.
Devlin guardò dentro di sé e trovò solo una ferrea determinazione e un'incrollabile fermezza.
Fece un respiro profondo e assunse una posizione più comoda. «Ma come?»
In teoria, avrebbe potuto dirle semplicemente la verità. Dopotutto, era stato quello lo scopo del suo ops, spingerla a fargli domande e a estorcergli la verità. Questo sistema avrebbe funzionato; invece, se le avesse rivelato la nuda verità, lei non gli avrebbe creduto. Era stato troppo efficiente nel convincerla che lei conosceva la sua mente e, cosa più importante, il suo cuore. Con le sole parole non sarebbe riuscito a modificare la convinzione che le aveva istillato nel corso di cinque anni.
Se le avesse semplicemente detto la verità, non solo dubitava che lei gli avrebbe creduto, ma, peggio ancora, temeva che un tale tentativo l'avrebbe di sicuro spinta a non avere più fiducia in lui. Si sarebbe chiesta cosa avesse in mente e chissà a quali conclusioni sarebbe giunta!
Nonostante Devlin l'avesse ingannata con le sue omissioni, con tutte le cose che non le aveva detto, non le aveva mai mentito, e preferiva continuare su quella strada.
Prese una matita e iniziò a tamburellare sulla scrivania. «Se le parole non sono un'opzione perseguibile...»
Aggrottò la fronte, soppesando le varie possibilità. Dal momento che era stato lui a dare quella forma al loro matri mo nio, se ora voleva modificarla, toccava a lui intraprendere le azioni necessarie. «Sono pronto a fare qualsiasi cosa per aprirle gli occhi e farle capire che la amo e l'ho sempre amata.»
Udire quelle parole lo aiutò a mettere a fuoco il problema. Avrebbe potuto, decise, rimandare a dopo la rivelazione su quando si era innamorato di lei. Il primo passo essenziale per raggiungere l'obiettivo desiderato era convincere la mo glie che lui l'amava adesso .
Tenuto conto dei loro caratteri, l'unico approccio possibile, quello che poteva convincerla che si sbagliava nel crede-
re che lui non ricambiasse i suoi sentimenti, era dimostrarle... la realtà. Therese era una donna molto acuta e razionale; avrebbe creduto a ciò che avrebbe inequivocabilmente visto.
Devlin valutò quell'idea per lunghi minuti, poi, determinato, lasciò cadere la matita sulla scrivania. «Le azioni hanno sempre più valore delle parole.»
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