Una sposa inaspettata

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LUCY MORRIS

Una sposa inaspettata


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Viking Chief's Marriage Alliance Harlequin Mills & Boon Historical Romance © 2021 Lucy Morris Traduzione di Giorgia Lucchi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2021 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici ottobre 2021 Questo volume è stato stampato nel settembre 2021 da CPI Black Print, Spagna, utilizzando elettricità rinnovabile al 100% I GRANDI ROMANZI STORICI ISSN 1122 - 5410 Periodico settimanale n. 1277 dello 09/10/2021 Direttore responsabile: Sabrina Annoni Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distribuzione canale Edicole Italia: m-dis Distribuzione Media S.p.A. Via Carlo Cazzaniga, 19 - 20132 Milano HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano


Prologo

Gyda seguì con lo sguardo la barca funeraria del marito, sospinta in mare aperto dal vento. Bruciava luminosa, quale simbolo sfolgorante dell'influenza e del potere dello Jarl Halvor. Le ancelle, impassibili, le erano accanto. Non avrebbero sentito la mancanza del loro signore, né tantomeno l'avrebbe sentita lei. Tutte avevano conosciuto i colpi della mano di Halvor. «Siamo in pensiero per te» disse Erica, la sua ancella e amica più fidata. «Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato. Mi sono preparata.» «I tuoi arazzi non basteranno per fuggire.» «I miei arazzi insieme a un po' d'argento. Basteranno.» Dovevano bastare. «Attenta, mia signora. Presto Baldor farà la sua mossa. La gente ama te e detesta lui. Il mio Viggo dice che metà dei guerrieri non lo sostiene. Sospetta una disputa tra i fratelli. Ma se Baldor riuscirà a sposarsi prima che i suoi fratelli ritornino, questi 5


non oseranno mettere in dubbio la sua successione. Oh, guarda, ecco che arriva.» «Ssh!» sibilò Gyda, preoccupata per l'incolumità dell'amica. Baldor, il figlio di Halvor, si stava dirigendo verso di loro. Era il figlio maggiore, ma era sempre stato debole e malaticcio, proprio come sua moglie, che era morta la primavera precedente. Se Baldor non avesse ereditato il temperamento del padre, Gyda avrebbe provato pietà per lui. «È un peccato che tu abbia deciso di non seguire mio padre nell'altra vita.» Mentre parlava tirò su con il naso e Gyda sentì rivoltarsi lo stomaco. «Tuo padre verrà accolto nel Valhalla dalla sua prima moglie oltre che dalla seconda. Non sentirà la mia mancanza.» «Questo è vero.» Le si avvicinò e il suo alito fetido le sfiorò la guancia. «Dobbiamo parlare.» Gyda indietreggiò. «Di cosa?» «Di come potrai mantenere la tua posizione qui, diventando la mia donna. Di come potremo governare insieme.» Sorrise, mostrando i denti ingialliti. «Tuo padre è morto soltanto ieri.» «E oggi piangiamo la sua perdita. Ma domani...» Si allontanò e lei serrò la mandibola. Le ancelle la osservarono preoccupate. «Mi servirà una nave» disse.

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Mare del Nord, costa della Northumbria, 880 d.C. La nave fendeva inarrestabile le onde turbolente, ma Thorstein Bergson temeva comunque che fosse ormai troppo tardi per aiutare i sopravvissuti del relitto spezzatosi contro le rocce. Vento e pioggia gli pungevano il volto, mentre onde alte come montagne facevano sollevare e ricadere la sua nave con una furia spietata. Thorstein, però, conosceva quelle acque al pari del palmo della sua mano, non come quegli sfortunati viaggiatori che si erano avvicinati troppo alla costa. Sopra il relitto dominava una collina, in cima alla quale ardeva solitaria una quercia. Colpita da un fulmine, bruciava dall'interno, con i rami anneriti protesi verso il cielo. Nella prima luce dell'alba, sembrava un faro ardente di morte e distruzione. I sopravvissuti al naufragio, ammesso che ce ne fossero, avrebbero dovuto lasciare un'offerta ai piedi di quell'albero. Senza la luce di quelle fiamme, Thorstein non avrebbe mai scorto la loro nave e non 7


sarebbe corso in aiuto. Non aveva ancora capito perché stesse mettendo a repentaglio la sua vita e quella dei suoi uomini per aiutare degli sconosciuti. Perlomeno, la tempesta che aveva infuriato per tutta la notte si stava ormai placando. Thor non batteva più il suo martello nel cielo e la pioggia andava attenuandosi. Il suo amico Magnus lo raggiunse a prora, si appoggiò alla testa di serpente scolpita nel legno e schioccò la lingua mentre seguiva lo sguardo di Thorstein. «Non dovremmo avvicinarci troppo agli scogli, potremmo incorrere nel medesimo destino.» Thorstein brontolò il suo assenso. La tempesta scemava, ma quegli scogli erano infidi perfino con il mare calmo. In quel momento, le correnti erano impetuose. Magnus lo osservò, meditabondo. «Con ogni probabilità saranno tutti morti prima che li raggiungiamo.» Thorstein si rabbuiò, incrociando le braccia sul petto possente. La nave rallentò per avviare la virata necessaria ad affiancare il relitto. Mentre la nave virava, i due si mossero appena, facendo leva sulle gambe per avere maggiore stabilità. Il massiccio bracciale di Thorstein scintillò nella luce ambrata dell'alba, intanto che i suoi occhi fissavano la quercia in fiamme, la cicatrice sul volto sensibile alle sferzate del vento. «La porterò più vicino che posso» disse Magnus. Lui annuì. Accigliato, osservò i naufraghi che erano aggrappati allo scafo mezzo capovolto. Le facce pallide ed esauste sembravano teschi nella luce debole del mattino. 8


Un mantello color blu intenso attirò l'attenzione di Thorstein. Era una sfumatura rara, riservata ai nobili più ricchi. Era quella la ragione per cui Thor lo aveva mandato là? Salvare un nobile e aggiudicarsi una ricompensa? Thorstein incrociò le braccia sul petto e divaricò le gambe mentre la nave beccheggiava. Non gli servivano ricchezze, il suo tesoro era sepolto al sicuro nella sua sala. No, la ragione per cui era stato chiamato in loro aiuto doveva essere un'altra. «Sapete nuotare?» chiese ai sopravvissuti, la voce che arrivò fino a loro come un ruggito potente. «Rischiamo d'incagliarci se ci avviciniamo di più.» Molti uomini dell'equipaggio naufragato si gettarono in acqua e cominciarono a nuotare verso di loro. Thorstein gettò una cima oltre la murata e i suoi uomini fecero lo stesso. Lo sguardo tornò al mantello blu. Era una donna a indossarlo; alcune ciocche di capelli biondo cenere le ricaddero sul viso quando si girò verso il sole. Si mosse e Thorstein notò che aveva un portamento da regina, la testa eretta e la schiena dritta. Notò anche che era alta, persino per una donna vichinga; aveva la stessa altezza dell'uomo con i capelli rossi con il quale sembrava discutere. Thorstein fu quasi dispiaciuto per lui, vedendo che la donna lo fissava imperiosa e lo tempestava di parole, come frecce incendiarie. Doveva certamente essere la moglie viziata di quello sfortunato viaggiatore. Provò una certa pena: una moglie del genere, per quanto bella, era una maledizione. Lei non saltò in acqua come gli altri, ma fissò 9


l'uomo dall'alto in basso e scosse la testa con ostinazione, la mandibola serrata. Thorstein rimase sorpreso nel vedere l'uomo prorompere in un grido di frustrazione e tuffarsi in acqua. A quel punto lei si voltò verso Thorstein e lo fissò decisa, gli occhi grigiazzurri che scrutavano attenti. Non trasalì, come facevano alcune donne, nel vedergli la cicatrice a forma di croce sul volto. E lui sentì crescere dentro di sé un senso di rispetto nei confronti di quella donna. Alcuni consideravano vergognoso che portasse su di sé il simbolo della religione dei nemici, ma Thorstein non provava alcuna vergogna. La donna si girò e lui la perse di vista. Dov'era finita? Vide il relitto oscillare nella corrente e attese con impazienza crescente che la donna tornasse, ma lei non tornava. L'uomo con i capelli rossi fu issato a bordo della nave e, ancor prima che riuscisse a riprendere fiato, Thorstein gli chiese spiegazioni. «Che cosa sta facendo la tua donna? La marea sale rapida, il relitto si spezzerà!» L'uomo guardò il relitto con una smorfia di sdegno. «Quella non è la mia donna! Da quando è salita a bordo della mia nave, ha causato soltanto guai. Se hai un po' di buonsenso, lascerai che il mare se la prenda.» Una strana soddisfazione pervase Thorstein al pensiero che quell'uomo non fosse il marito. Osservò i naufraghi della ciurma, sparsi sul ponte della sua nave come pesci morti. Nessun sopravvissuto 10


sembrava tanto abbiente da poter essere il marito di quella donna, e Thorstein si domandò se non fosse scomparso durante la tempesta. Si rabbuiò nel notare che il cuore gli accelerava i battiti a quell'idea. Che cosa gli importava? Se non avesse fatto presto, sarebbe certamente annegata. Uno schianto, seguito da un tonfo micidiale, riportò l'attenzione di Thorstein sul relitto. L'albero maestro si era rotto e, cadendo, aveva spezzato in due lo scafo. Con un'imprecazione selvaggia, si tolse il mantello e la tunica, calciò via gli stivali e si tuffò. Bang! Con le mani tremanti, Gyda fissò l'albero maestro che si era abbattuto a pochi pollici dai suoi piedi. Stava per fare un passo in più e prendere il forziere con l'argento, quando l'albero le era caduto davanti. Non per la prima volta, si domandò come facesse a essere ancora viva. Viaggiava da giorni tra vento e pioggia, bagnata fin nelle ossa, quando la nave era naufragata sugli scogli. Capì perché il timoniere avesse ordinato a tutti di trovare il punto più alto sul relitto. L'acqua gelata, altrimenti, li avrebbe uccisi. Essere visti e salvati da chi si trovava a terra era la loro unica speranza. Quasi si pentì di essere scesa per salvare il forziere con l'argento, e tuttavia che male avrebbe potuto farle qualche momento in più nell'acqua? I soccorsi erano arrivati e tutto sarebbe andato bene: doveva solo sbrigarsi. 11


Invece l'albero maestro era caduto proprio sopra il suo argento e la vela scarlatta lo ricopriva come un sudario. Gyda rabbrividì ricordando le grida degli uomini che erano stati scaraventati fuori bordo e inghiottiti dal mare scuro. Che ne sarebbe stato di lei adesso? Era stata una follia ignorare il consiglio del timoniere? Tutto ciò che possedeva era andato perduto, a eccezione dell'argento. Quello avrebbe fatto la differenza nel suo futuro. Doveva assolutamente riprenderselo. Senza, sarebbe stata ancora una volta alla mercé degli uomini... No, se c'era anche solo una possibilità per salvare la propria libertà, lei avrebbe corso il rischio! Un cadavere galleggiava nell'acqua che saliva intorno ai suoi piedi, ma Gyda cercò di ignorarlo. Poco prima, l'albero in fiamme che illuminava l'altura e il chiarore latteo dell'alba le avevano infuso speranza. Aveva scorto il forziere con l'argento e aveva sperato di riuscire a recuperarlo. In quel momento, tuttavia, mentre avanzava in mezzo a morte e distruzione e i suoi piedi agonizzavano per il gelo letale, si chiese se non avesse perduto il senno. Le dolevano le dita per il freddo, mentre fissava il suo carico prezioso. Le casse riempite con i frutti di anni di fatiche erano sparse sugli scogli, insieme con il loro straordinario contenuto. Vesti e tuniche magnifiche, abbellite da preziose sete bizantine oppure orlate di pelliccia, arazzi complessi intessuti con la lana più pregiata. Beni sfarzosi che avrebbe potuto vendere nei mercati di Jórvík. Tutto ormai in rovina, come il suo futuro. Aveva immaginato di cominciare una nuova vita 12


a Jórvík. Grazie a quel carico si sarebbe guadagnata da vivere lavorando come tessitrice e sarta in proprio, come soltanto una vedova poteva fare. A quel punto si chiese se avrebbe potuto vivere a Jórvík. Possibile che gli dei pretendessero ancora altro da lei? Amavano le donne coraggiose, e lasciare Viken era stato il gesto più coraggioso che Gyda avesse mai compiuto. Erano adirati con lei a causa delle sue mancanze come moglie? Messi da parte i pensieri per il matrimonio fallito, afferrò la drizza e pensò che, se fosse riuscita a spostare l'albero, avrebbe potuto riprendersi il forziere. Forse non tutto era perduto. Un'onda impetuosa investì la murata del relitto, schizzando Gyda di acqua gelata dalla testa ai piedi. La nave scricchiolò e gemette come un animale morente. Lei tirò la fune con tutte le sue forze. Tossì, sputando acqua di mare che le dava la nausea. Il peso delle vesti inzuppate la schiacciava, togliendole le forze, mentre la marea saliva dalle caviglie alle ginocchia con una velocità terrificante. Strinse le dita insanguinate sulla fune e fece leva con i piedi contro una cassa. Non poteva fallire. «Donna, sei impazzita?» gridò la voce di un uomo sopra di lei. Gyda socchiuse gli occhi nella luce del nuovo giorno. Era il loro soccorritore, lo aveva visto poco prima, orgogliosamente ritto a prora della sua nave. Le era parso che tutto il suo corpo vibrasse dell'energia di un comandante; era il genere d'uomo che la estasiava e la terrorizzava allo stesso tempo. «Devi andartene subito se non vuoi che la nave ti crolli addosso!» 13


Gyda lo fissò sgomenta, lasciando che lo sguardo scorresse sul suo corpo statuario, come per confermare a se stessa che era impazzita. L'uomo aveva lunghe gambe che teneva divaricate, e fianchi stretti che si allargavano nel torace ampio. I capelli lunghi brillavano come ali di corvo nella luce del mattino, e l'espressione del volto era torva. La tunica leggera, ormai fradicia, gli si era appiccicata al petto e, sotto il lino sottile, Gyda poteva scorgere il guizzo dei muscoli. Era imponente e spaventoso. Distolse lo sguardo per concentrarsi sul proprio compito. Per quanto si sforzasse, però, non riusciva a spostare l'albero, e le dita intirizzite sembravano incapaci di stringere la drizza. «Nessuna merce vale la tua vita, donna!» esclamò l'uomo. Sentendosi rimproverare, lei alzò la testa di scatto. «Perché non mi aiuti, invece di gridare?» «Non c'è tempo, la marea sta salendo.» «In tal caso, o mi aiuti o te ne vai. Non intendo andarmene senza il mio argento!» ribatté lei. Era un rischio, e trattenne il respiro in attesa della reazione di lui. L'uomo le andò più vicino. Sebbene fosse accigliato, Gyda lo vide avvicinarsi e sentì un fremito di sollievo scenderle lungo la schiena. Notò che l'uomo era straordinariamente agile per la sua stazza. Appoggiava mani e piedi con rapidità e cautela, mentre scendeva lungo il ponte spezzato. «Bene, ora prova a sollevare l'albero mentre io...» 14


Gyda non poté dire altro che si ritrovò sollevata da due braccia robuste e caricata in spalla. La sorpresa le svuotò i polmoni e le ci volle un momento per radunare i pensieri. Poi lo sdegno prevalse. «Che cosa fai?» gridò, battendogli i pugni sulla schiena con tutta la forza che le rimaneva dopo quelle ultime ore estenuanti. «Ti salvo la vita! E adesso smettila di contorcerti come un'anguilla!» E le parole brusche furono sottolineate da una pacca sulle natiche. «Come osi? Mettimi giù!» gridò lei. Lui si arrampicò sul ponte, sfruttando cime e tavole di legno che incontrò lungo il percorso. In più di un'occasione un pezzo della nave gli si ruppe tra le mani, ma lui riuscì sempre a spostarsi in posizione migliore con una destrezza sorprendente. Sembrava un gigantesco orso con l'agilità di una capra di montagna. Gyda si placò non appena capì che la nave era davvero prossima ad andare in pezzi e cominciò a temere per la loro vita. Giunto in fondo al ponte, l'uomo la posò sulla chiglia e lei si accorse che ormai il relitto era inclinato su un fianco. Il mare, prorompendo dagli scogli, aveva aperto un'enorme falla nella chiglia. Espirò intimorita quando un'onda particolarmente violenta le fece vibrare le assi sotto i piedi intirizziti. Si aggrappò all'unica cosa di cui poteva fidarsi in quel mondo in continuo movimento: le braccia del suo soccorritore. Con le dita premette sui bicipiti mentre oscillava verso di lui, un porto sicuro nella tempesta. L'uomo l'afferrò dalla vita e, nonostante gli strati di tessuto, Gyda percepì la forza e il calore 15


delle sue dita. Lo guardò negli occhi azzurri: erano tersi come il cielo della mietitura e sembravano altrettanto infiniti. «Sai nuotare?» chiese lui. Gyda annuì con aria assente. I ricordi di lunghe giornate estive trascorse a nuotare nei fiordi con le sue sorelle emersero nella sua mente, subito portati via dal vento. Non poteva pensare a quei giorni perduti, non in quel momento. Le tremarono le gambe per l'intensità con cui lui la guardò. Gli occhi del suo soccorritore si spalancarono e lei capì che il tremore non era delle sue gambe, ma dello scafo sotto i suoi piedi. Lui l'afferrò dalla vita e la sollevò. Una cosa che non le accadeva da quando era bambina era successa per ben due volte in pochissimo tempo. Poi lei gridò quando lui la gettò nel mare vorticoso e la seguì subito dopo.

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