PAULLINA SIMONS
UNA VALIGIA PIENA DI SOGNI traduzione di Roberta Zuppet
ISBN 978-8-86905-059-6 Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Lone Star Harper An Imprint of HarperCollins Publishers © 2015 Paullina Simons Traduzione di Roberta Zuppet Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con HarperCollins Publishers Limited, UK Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2016 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione HarperCollins maggio 2016
Dedica
A Natasha, la mia prima luce splendente
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Ci sarà tempo per uccidere e creare, e tempo per tutte le opere e i giorni delle mani che sollevano e lasciano cadere una domanda sul tuo piatto; tempo per te e tempo per me, e tempo anche per cento indecisioni, e per cento visioni e revisioni. T.S. Eliot, Il canto d’amore di J. Alfred Prufrock
Pagina
Romanzo
PARTE PRIMA Chloe e Mason, Hannah e Blake No, a diciassette anni non si può essere seri. Una sera, al diavolo le limonate e le birre, e i caffè rumorosi, e le luci splendenti! Si va sotto i tigli verdi della passeggiata. [...] Innamorato. Preso, fino al mese d’agosto. Innamorato. I tuoi sonetti la fan ridere. [...] Quella sera torni ai caffè splendenti, torni a ordinare limonate o birre. No, non si può essere seri a diciassette anni, quando i tigli della passeggiata sono verdi. Arthur Rimbaud, Romanzo
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INSANITY'S HORSE Chloe, seduta per conto suo sullo scuolabus durante la corsa verso casa, al di là dei binari ferroviari, sognava le spiagge di Barcellona e magari uno sconosciuto lussurioso che la mangiasse con gli occhi. Cercava di coprire le voci di Blake, Mason e Hannah, che urlavano come forsennati discutendo animatamente dei pro e dei contro di scrivere un racconto per soldi. Frammenti di canzoni suonavano le loro note poetiche e confuse nel vuoto della sua testa. Under the boardwalk like no other lover he took my hand and said I love you forever, il tutto soverchiato all'improvviso dall'ineguagliabile grido di Freddie Mercury: Barcelonaaaaaaaaa! Posò il palmo sul vetro. Erano quasi arrivati. Menomale, così forse quello psicodramma sarebbe finito. Fuori dai finestrini polverosi inzaccherati dalla recente ondata di piogge, oltre la ferrovia, vicino a una radura delimitata da pioppi, scorse un tabellone sbiadito con un arcobaleno gigantesco, che due operai in tuta bianca, appollaiati ciascuno su una scala a pioli, stavano nascondendo sotto la pubblicità del Mount Washington Resort, sulle White Mountains, reduce da una ristrutturazione. Ebbe appena il tempo di leggere lo slogan sul cartellone sottostante prima che lo scuolabus lo superasse. JOHNNY PRENDI IL FUCILE. Questo la spinse a riflettere sul significato filosofico del gesto di coprire un arcobaleno. Poco prima della fermata ricordò dove aveva visto quel disegno. Era la réclame del Lone Star Pawn and Gun Shop a Fryeburg, che fungeva 11
insieme da banco dei pegni e negozio di armi. Quell'illuminazione non rispose al quesito più ampio, ma se non altro a quello più immediato. «Che razza di scemo ha pensato che un arcobaleno fosse un simbolo adatto a un negozio di armi?» aveva commentato la madre di Hannah. Mossa dall'astio verso gli uomini e la vita, ci era andata per pignorare l'anello di fidanzamento. Aveva ricavato settanta dollari, con cui aveva portato le due ragazze a mangiare l'aragosta a North Conway. Si erano beccate tutte un'intossicazione. Alla faccia degli arcobaleni. Era stato il cosiddetto karma? O fu semplicemente ciò che successe dopo? Alle 3.40 in punto di quel pomeriggio, lo scuolabus azzurro si fermò, con estrema prudenza e lentezza, vicino ai pini all'imboccatura di Wake Drive, una strada sterrata oltre un'altra strada sterrata, segnalata da un masso su cui era dipinta una balena nera. I quattro ragazzi saltarono giù nella polvere. Poiché era l'allegro mese di maggio e faceva quasi caldo, vestivano secondo la moda dei giovani nei posti sperduti: jeans e camicie scozzesi. Anche se, in verità, non indossavano mai nient'altro, a prescindere da che fosse in corso una tormenta o un'ondata di afa. In quale universo la signora Mencken poteva parlare per cinque minuti dell'annuale Acadia Award for Short Fiction – alla fine della lezione d'inglese, subito prima della pausa pranzo, quando in classe non c'era anima viva che prestasse ascolto a qualcosa di diverso dal gorgoglio del proprio stomaco vuoto – e convincere Blake e Mason di essere diventati all'improvviso scrittori anziché trasportatori di rifiuti? «Il personaggio è tutto» dichiarò Chloe ostinata, fissando il terreno. «Il personaggio è la storia.» La strada, lunga circa un chilometro e mezzo, era tutta in discesa tra i pini. Serpeggiava nella foresta fitta, restringendosi, attraversando i binari, circondando il laghetto e finendo in una radura tra aghi di pino e disordine. Non più una strada, solo polvere, ed era lì che vivevano. Proprio in fondo. Chloe e Mason, Hannah e Blake. Due coppie, due fratelli, due migliori amiche. Una ragazza bassa, una alta e due ragazzi robusti. Be', perlomeno Blake. Negli ultimi anni, da quando loro padre si era fratturato la schiena, Mason, più mingherlino, si era dedicato totalmente allo sport. A scuola, era centrocampista nella squadra di calcio e interbase in quella di baseball. Blake invece aveva il fisico goffo di un uomo che vive in una località rurale e sa fare un po' di tutto: sollevare qualunque 12
cosa, costruire qualunque cosa, guidare qualunque cosa. Non si tagliava i capelli folti e ondulati da mesi e non si radeva da settimane. Le Timberland marroni erano sudice, la cintura vecchia di sei anni. La camicia scozzese taglia XL era di suo padre, i Levi's erano usati. I suoi occhi marrone chiaro saettavano qua e là, luccicanti, sorridenti, pieni di buonumore. Accanto a lui, suo fratello pareva figlio di un aristocratico. I capelli di Mason erano diritti e ispidi, ma la ruvidità era voluta. Era un vezzo modaiolo. A differenza di Blake, che si rotolava giù dal letto e correva a scuola senza darsi neppure una spazzolata, Mason si alzava presto e si pettinava con cura. Le ragazze adoravano i suoi capelli e davano il tormento a Chloe. Oh, cinguettavano, sei così fortunata, puoi accarezzarli ogni volta che vuoi. Mason si radeva ogni giorno e non portava camicie scozzesi, bensì T-shirt nere e grigie. Era monocromo e aveva sempre i jeans freschi di bucato. Calzava scarpe da ginnastica. Non spaccava la legna ma giocava a baseball. Non sembrava il fratello di Blake, con la sua corporatura asciutta e compatta, gli occhi azzurro intenso e il viso serio e dolce. In più, a differenza di Blake, era di poche parole. Quando, in silenzio, teneva per mano Chloe, lo faceva sempre con gentilezza. Non la tirava, non la strattonava né le dava ordini. Era un gentiluomo. Non che Blake non si sforzasse di esserlo con Hannah, ma somigliava al suo vecchio pastore tedesco. Ansimava, infangava senza tante cerimonie ogni pavimento, gocciolava gelato e salsa di pomodoro ovunque, e camminava con la leggiadria di un elefante. Le sue continue gaffe suscitavano un misto di esasperazione e tenerezza. Accanto a Blake c'era Hannah. Benché Chloe la trovasse un tantino androgina con la sua corporatura slanciata e mascolina – fianchi stretti, vita spigolosa, seni piccoli e alti, capelli corti sempre tirati indietro – gli altri, specialmente i ragazzi, non erano d'accordo. Il viso era levigato e opalescente, con lineamenti simmetrici, armoniosi ed equilibrati e lo sguardo attento. Gli occhi, castani e imperturbabili, erano così seri e curiosi da dare sempre l'impressione che Hannah fosse interessata, che stesse ascoltando il suo interlocutore. Chloe sapeva che era uno stratagemma: lo sguardo fisso permetteva alla sua amica di perdersi nei propri pensieri. Hannah si truccava, pur non avendo soldi da spendere in prodotti di bellezza, ma cercava di avere un aspetto acqua e sapone, et voilà, la perfezione assoluta. Incedeva con la grazia fluida di una ballerina. Si era esercitata negli arabesque e nei soubresaut davanti al lungo specchio della sua camera, sperando che un giorno avrebbe smesso di 13
crescere e che i suoi genitori avrebbero potuto pagarle le lezioni di danza. Alla fine le lezioni erano state inserite nell'accordo di divorzio, ma ormai Hannah era alta quasi un metro e ottanta, troppo per essere sollevata da qualcuno di diverso da Blake, che certo non era un danzatore classico. Con la sua eleganza distaccata, si muoveva e parlava come se non avesse alcun legame con la minuscola Fryeburg, nel Maine, anzi con tutto il Paese. Calzava sempre un paio di ballerine, anche quando arrancava tra fango e aghi di pino. Niente Timberland da maschiaccio, per lei. Spingeva il petto infuori quasi avesse i tacchi alti e un blazer di Chanel. Si comportava come se si considerasse troppo raffinata per il luogo in cui aveva avuto la sfortuna di nascere e non vedesse l'ora di sorseggiare vino sulla Rive Gauche e di dipingere la Senna accanto ad altre bellissime persone dalle inclinazioni artistiche. I suoi occhioni tondi erano perennemente umidi. Era fatta così. Piangeva per farsi amare. Chloe invece non aveva gli occhi umidi né le gambe lunghe. Quando Hannah non c'era, non le importava di essere bassa ma, accanto all'amica alta ed esile come un giunco, si sentiva una pigmea. Uno dei suoi maggiori pregi fisici erano i capelli castani diritti come spaghetti, luminosi e striati di biondo. Non faceva nulla per ottenere quell'effetto. Erano così, punto e basta. Una cascata di seta sempre pulita, spazzolata, naturale e leggera. Non si truccava perché voleva distinguersi dalle altre ragazze dell'ultimo anno, che andavano matte per l'eyeliner pesante, i top succinti, i jeans di una taglia troppo piccoli e i sabot alti otto centimetri (o più!) su cui percorrevano i corridoi della Fryeburg Academy, con il costante rischio di cadere o di incespicare, e forse era proprio quello lo scopo. Sexy ma impotenti. Un'eresia per Chloe, che evitava di esibire il proprio corpo e usava scarpe comode. Dopotutto, dove andava per doversi mettere in ghingheri? Al bowling? In gelateria? Al lago? In giardino? E sentiva cosa dicevano i ragazzi delle tipe che si vestivano, tanto per fare un esempio, come l'odiosa Mackenzie O'Shea. Una vagonata di psicofarmaci non sarebbe bastata per cancellare il trauma se avesse scoperto che parlavano di lei in quei termini. Il suo viso, con la pelle chiara e priva di imperfezioni, pagava un po' lo scotto di quella insulsaggine apparente, ma era impossibile nascondere la curva superiore degli zigomi o gli occhi ben distanziati, leggermente inclinati verso l'alto in un sorriso perenne. Aveva ereditato le labbra irlandesi da suo padre, ma gli occhi e le guance da sua madre, e 14
per questa ragione la sua faccia, come il suo corpo, non era ben proporzionata. Il rapporto tra occhi e labbra non era equilibrato, come quello tra corpo e seno. Non c'era abbastanza corpo per il seno enorme che un destino crudele le aveva appioppato. Forse l'assurdo caos dentro di lei – le capacità matematiche che facevano a pugni con la confusione esistenziale – aveva una componente genetica, ma non c'erano scuse cosmiche per quei seni giganteschi. Chloe dava la colpa a sua madre. Era più che giusto. Era tutta colpa sua. Per convincersene bastava guardare Hannah. Ogni dettaglio di quella ragazza pareva essere stato selezionato con cura. Alta, flessuosa, snella, occhi bocca capelli naso delle dimensioni giuste, né troppo grandi né troppo piccoli, mentre Chloe passava la vita a nascondersi sotto reggiseni riducenti e magliette di una taglia in più. Temeva che non l'avrebbero presa sul serio se la avessero considerata un corpo anziché una persona. Chi mai avrebbe ascoltato le sue spiegazioni sui movimenti delle stelle, sulle migrazioni mitocondriali o sulle decapitazioni durante una certa rivoluzione, se vedeva solo due tette con le gambe? Troppo prosperosa per fare la ballerina classica, troppo bassa per essere una bomba sexy. Il fatto che Mason non fosse d'accordo – o giurasse di non esserlo – dimostrava solo la sua scarsa capacità di giudizio. Lo scuolabus li scaricava sulla stessa strada rurale da tredici anni. Asilo, elementari, medie, liceo prestigioso. Presto non ci sarebbero più stati pulmini azzurri né corse pomeridiane su terreni sconnessi. Di lì a un mese si sarebbero diplomati. E poi? Be', e poi... «Non essere prevenuta verso il mio racconto, Chloe» disse Blake. «È solo all'inizio. Concedigli una possibilità. È una bella storia. Vedrai.» «Giusto» gli fece eco Mason. Avendo dieci mesi meno di Blake, ammirava suo fratello, anche se questo non significava che dissentisse da Chloe, come dimostrato dalla sua allegra strizzatina d'occhio. Lei lo prese per mano mentre superavano il prato dove il vecchio Leary, attorniato da tutti i rottami che possedeva, cercava di farli sembrare meno inutili nella speranza di venderli. «Blake, ragazzo mio» urlò, «avevi detto che saresti passato dopo la 15
scuola per aiutarmi con la maledetta sega a nastro. Non sono ancora riuscito ad accenderla.» «Certo, signor Leary.» «Sega a nastro?» borbottò Mason. «Che cosa se ne fa quel vecchio brontolone di una sega a nastro? Qui intorno c'è solo terriccio morbido.» «Vuole costruire un rifugio antiatomico» bisbigliò Blake, sorridendo all'uomo. «È per questo che accumula blocchi di calcestruzzo.» «Che cos'è una sega a nastro?» domandò Chloe. «Chi se ne frega» intervenne Hannah. «Un rifugio antiatomico? Gli manca qualche rotella.» «Blake, non subito?» insistette il signor Leary. «Ho qualcosa da mettere sotto i denti per te e i tuoi amici. Ciambelle.» «Grazie, signore, ma ora non posso.» In quel momento Blake aveva altro per la testa. Doveva decidere una volta per tutte quale direzione dare alla sua vita turbolenta. I guai erano cominciati quando aveva compiuto diciotto anni nel luglio precedente e si era iscritto al Woodsmen Day alla fiera di Fryeburg. Aveva partecipato a cinque gare: abbattimento di un albero, uso della sega a telaio, lancio dell'ascia, rotolamento del tronco e taglio del ceppo. Aveva perso la seconda, la quarta e la quinta, perciò sarebbe stato logico ipotizzare che avesse imparato la lezione e che se ne sarebbe andato con la coda tra le gambe – due su cinque non era di certo un grande risultato – ma niente da fare. Aveva battuto di sei secondi il miglior tempo di quell'anno per l'abbattimento dell'albero, completando l'impresa in ventitré secondi netti, e aveva stabilito un record assoluto nel lancio dell'ascia con sei centri di fila. La vittoria gli aveva dato alla testa. Aveva cominciato a camminare tronfio lungo le strade sterrate e i corridoi dell'Academy, quasi avesse vinto un oro alle Olimpiadi. Chloe gli aveva fatto presente che la Fryeburg Academy – che i ragazzi del posto frequentavano gratis grazie a un accordo fiscale tra la scuola e lo Stato del Maine – era uno dei licei più importanti degli Stati Uniti. «Qui non gliene frega un cazzo a nessuno della tua ascia» gli ripeteva, ma lui faceva orecchie da mercante. Subito dopo, Blake e Mason avevano partecipato alla gara indetta dal signor Smith per il corso di educazione tecnica... e avevano vinto! Mason era abituato a vincere, con la sua sfilza di trofei sportivi che faceva bella mostra di sé sul comò, ma Blake era diventato insopportabile. Si comportava come se fosse in grado di fare qualunque cosa. 16
Scrivere, per esempio. Non era che non meritassero di vincere. Il compito era: Create un'azienda di successo. Chi avrebbe mai immaginato che quei due avrebbero preso il loro lavoretto part time e l'avrebbero trasformato in un asso nella manica? Con il furgone decrepito del padre, visitavano le case intorno ai laghi di Brownfield e Fryeburg e, in cambio di qualche spicciolo, si offrivano di portare via la spazzatura. Ebbene, in quella parte del Maine quasi tutti reagivano imbracciando una doppietta, ma alcuni – vedove, malati di mente – accettavano di sborsare qualche monetina per sbarazzarsi di vecchi frigoriferi, spazzaneve rotti, rastrelli arrugginiti, giornali, motoseghe portatili. I ragazzi erano forti e lavoravano sodo, così dopo la scuola e il sabato montavano sul furgone e cercavano di non farsi sparare mentre raggranellavano qualche dollaro. Dopo aver pubblicato un'inserzione sul Penny Saver, avevano scoperto l'esistenza di un'azienda nazionale di trasporto dei rifiuti, la 1-800-GOTJUNK, il che non aveva fatto altro che stimolare il loro spirito competitivo. A forza di lusinghe, avevano convinto Hannah a disegnare il logo: SERVIZIO RACCOLTA RIFIUTI FRATELLI HAUL. ALLA TUA SPAZZATURA PENSIAMO NOI. Non era niente male. Avevano fatto fare una decalcomania, l'avevano appiccicata sul furgone, avevano verniciato la carrozzeria di un orrendo verde limetta – era il colore più lontano da quello della robaccia che trasportavano, aveva spiegato Blake – avevano usato le loro discutibili capacità di adulazione per persuadere Chloe a creare un conto economico, e avevano calcolato che se avessero lavorato a tempo pieno, assunto due aiutanti e acquistato un altro furgone munito di sollevatore, avrebbero guadagnato centinaia di migliaia di dollari nel giro di tre anni. Centinaia di migliaia! Avevano pensato anche alla pubblicità: Pagine gialle, il North Conway Observer, spot televisivi, tre annunci radiofonici. Poi lo Chevrolet del padre aveva tirato le cuoia. Aveva più di vent'anni. Burt Haul aveva comprato quel furgone con motore diesel a otto cilindri nel 1982, prima di sapere che, una generazione dopo, i suoi due figli ne avrebbero avuto bisogno per avviare un'azienda fittizia. Gli era così affezionato che, anche dopo l'incidente in cui aveva rischiato di perdere la vita, si era rifiutato di liberarsene e l'aveva ricostruito di tasca propria. «Ho accompagnato vostra madre a casa con quel furgone dopo che ci siamo sposati» aveva detto ai ragazzi. «Quel coso è l'unica ragione per cui sono vivo oggi. Non me ne separerò per niente al mondo.» Ma ora il motore era come la sega a nastro del signor Leary. Defunto. 17
Nessuno aveva i soldi per un altro furgone, nemmeno usato. Burt e i suoi figli, pieni di vergogna, avevano cominciato a farsi scarrozzare nella Subaru di Janice Haul. Un duro colpo per il loro orgoglio maschile. Hannah e Chloe avevano cercato di consolare i due ragazzi ricordando loro che la Fratelli Haul non era una vera azienda, esisteva solo sulla carta, non nella realtà. Ma Blake e Mason si erano lasciati prendere troppo la mano da quel sogno. Chloe ne sapeva qualcosa. Erano così entusiasti della pseudosocietà che avevano deciso di abbandonare gli studi nel bel mezzo dell'ultimo anno e di lavorare finché non avessero racimolato abbastanza soldi per comprare un furgone, certi che nel loro settore conseguire il diploma sarebbe stato utile quanto portare acqua al mare. Le ragazze avevano sudato sette camicie per farli restare a scuola. Alla fine era stata Chloe a trovare le parole giuste: «Credete che i miei mi permetteranno di uscire con due sfaccendati?». Aveva funzionato anche se l'effetto non era stato istantaneo come aveva sperato. Così... l'ultimo anno era finito, il furgone era ancora rotto e Janice non solo doveva andare al lavoro e al supermercato ma anche dividere la sua tanto denigrata station wagon con due ragazzi irrequieti che avevano amici, interessi e impegni diversi. Per guadagnare qualche soldo, Blake e Mason (soprattutto Blake, perché il fratello preferiva allenarsi) spalavano la neve, tosavano l'erba, sbrigavano commissioni per gli anziani. Fino al giorno in cui saltarono giù dallo scuolabus blaterando di sogni. Bisognava dargliene atto. Quando quei due si mettevano in testa qualcosa, qualunque cosa, non c'era verso di dissuaderli. «Chloe, di' la tua. Ascolta quello che sto dicendo. Perché non è una bella storia?» Blake era sempre irritato dalle reazioni laconiche dell'amica alle sue iniziative. «Perché finora non mi hai detto niente che mi invogli a leggere.» «Ma non ho smesso di parlare neanche per un secondo!» Chloe allargò le mani come a dire appunto. «Chi sono i protagonisti?» «Non ha importanza. Posso finire prima di essere giudicato?» «Significa che non hai ancora finito? E non ti sto giudicando.» «Sì, invece. È questo il tuo principale difetto.» «Non...» Blake allungò l'indice fin quasi a toccarle la bocca. «La premessa del racconto è... Mi stai ascoltando? Due ragazzi gestiscono un deposito rottami.» 18
«Fin qui ci sono.» «Dicono di scrivere di ciò che si conosce.» «Fin. Qui. Ci. Sono.» «Due ragazzi gestiscono un deposito rottami e un giorno trovano qualcosa di raccapricciante.» «Per esempio? Portate via solo sacchetti di patatine e biscotti.» «E involucri di preservativi.» Blake sorrise, rallentò e le cinse le spalle con il braccio muscoloso. «Hannah, tieni a bada il tuo ragazzo.» Chloe lo spinse via. «Comunque, dov'è la storia?» «Che cosa può avere più potenziale narrativo di una novantenne che getta via un sacco pieno di preservativi usati?» sghignazzò Blake. «Non preservativi usati» lo corresse Mason. «Involucri di preservativi.» Chloe guardò Hannah in cerca di sostegno. «Possiamo passare oltre? Che cos'altro avete?» «Non lo sappiamo ancora» rispose Mason. «Hannah, ti piace finora, vero?» «Ma finora non c'è niente!» protestò Chloe. «Non l'ha chiesto a te!» interloquì Blake. Avevano dieci minuti per inventarsi qualcosa prima di arrivare a destinazione. Troppo pochi. Blake li condusse fuori strada, lontano da casa, sui binari che attraversavano i boschi e dividevano la loro piccola parte di lago da quella più grande e suggestiva. Con le braccia in fuori e gli zaini in spalla camminarono in equilibrio sulle rotaie arrugginite, saltando per scavalcare le traversine. Scrivere una storia per soldi! Che assurdità. Il primo premio dell'Acadia era di diecimila dollari. Chloe sapeva che il Flannery O'Connor Award for Short Fiction esisteva da più tempo ed era sicuramente più prestigioso, ma il premio era solo di mille dollari e bisognava scrivere almeno quarantamila parole. Persino una schiappa in matematica era in grado di capire che quarantamila diviso mille dava un magro risultato. «Il gioco non vale la candela» aveva commentato Mason. Finché non si era presentata l'occasione di vincere diecimila dollari per una novella. Blake non aveva nemmeno idea di cosa fosse una novella finché Chloe non glielo aveva spiegato. Per i due fratelli, una somma così generosa sarebbe stata una manna dal cielo. Avrebbe significato un furgone nuovo e l'avvio della società. Il resto della loro vita, insomma. Si comportavano come se l'avessero trovata per strada. Rimaneva solo da contare i soldi. 19
E la piccola guastafeste Chloe non doveva nemmeno sognarsi di far presente che: 1. non avevano neanche l'ombra di un racconto; 2. non erano scrittori; 3. ci sarebbero stati almeno altri cinquecento concorrenti che a. forse avevano una storia e b. erano scrittori; 4. uno di loro avrebbe potuto essere Hannah, che probabilmente di racconti ne aveva da vendere; 5. un furgone nuovo costava più di diecimila dollari. Chloe non riuscì a trattenersi. Doveva dire qualcosa. Se solo avesse imparato a stare zitta come Hannah o Mason, la sua vita sarebbe stata molto più semplice. «Chi sono i ragazzi del deposito rottami?» «Noi. Blake. Mason. Stiamo facendo una passeggiata, cercando di stare lontani dai guai, e d'un tratto... pam! Sono i guai a venire da noi.» «Pam» ripeté Chloe. «Blake ha ragione» intervenne Mason. «Abbiamo trovato delle cose disgustose.» «Per esempio?» «Ratti morti.» «E allora? Una persona che non vuole avere ratti morti in casa non è una storia. Più che altro, un'ovvietà.» «Una volta abbiamo trovato dei gioielli.» «I gioielli vanno bene. E poi?» «Okay, niente gioielli, allora. Qualcos'altro.» Chloe lanciò un'occhiata ad Hannah, che procedeva accanto ai binari, un po' in disparte, senza ascoltare. Blake cercò di demolire lo scetticismo incrollabile dell'amica. «Scoprono qualcosa di orripilante, in grado di cambiare tutto. Mason, cosa possono trovare di così scandaloso e terribile?» «Il vero amore?» Chloe sorrise. «Non è quel genere di storia, mia cara Haiku» ribatté Blake con una luce divertita negli occhi. «È un racconto da uomini. Non c'è spazio per l'amore, per quanto vero e terribile. Giusto, tesoro?» Saltando giù, urtò Hannah. «Giusto» confermò lei. Mason aveva altre proposte. «Una volta ci siamo imbattuti in una vecchia valigia. Era piena di serpenti. E un'altra volta siamo incappati in un coniglio vivo.» «Sì» confermò Blake. «Era squisito. Ma Chloe non ha tutti i torti. Ci 20
serve una storia, fratello.» Si batté il palmo della mano sulla fronte. «Trovato. Che ne dite di una testa umana nella spazzatura?» Chloe non si scompose, quasi come se una scoperta così orrenda fosse all'ordine del giorno. «Interessante. E poi?» Blake scrollò le spalle. «Perché vuoi sapere a tutti i costi cosa succede dopo?» Lei intuì che l'amico aveva preso la faccenda sottogamba. Ciò che gli Haul facevano per guadagnarsi da vivere... quello era lavoro. Invece lì dovevano solo farsi venire in mente qualche parola e disporla nell'ordine armonioso che avrebbe assicurato loro la vittoria. Blake era convinto che fosse un gioco da ragazzi. «Hai ragione, questa devozione servile alla trama è indice di mentalità gretta» lo rimbeccò Chloe. «Comunque, va' avanti.» «Lo scrittore blatera di ciò che succede dopo e, appena tu lettore indovini cosa sta per accadere, ti addormenti oppure hai voglia di ucciderlo.» «Dunque quale sarebbe il trucco? Non dare mai al lettore quello che desidera?» «No, dargli quello che non sapeva di volere.» Blake si comportava come se invece lui lo sapesse. Svoltarono verso casa. «Trovano una testa umana» riprese mentre lui e Chloe procedevano lungo il sentiero sempre più angusto, seguiti da Hannah e Mason. Qualche centinaio di metri più in avanti, la strada sterrata si restringeva in una corsia su cui sarebbero potuti passare un furgone, una macchina o una persona... uno alla volta, però. «Ma non un teschio.» Blake si girò verso Hannah sgranando gli occhi. «Una testa, appena staccata dal corpo. È ancora ricoperta di carne. E non sanno cosa fare. Indagare? Chiamare la polizia?» «Secondo me dovrebbero indagare» disse Mason, raggiungendoli. «Le indagini sono divertenti.» «Ma anche pericolose.» «Il pericolo va benissimo» osservò Hannah. «Il pericolo è la storia.» No, Chloe avrebbe voluto correggere la sua incorreggibile amica. Il pericolo è pericolo. Non è la storia. «E se fare troppe domande alle persone sbagliate li mettesse in pericolo mortale?» si sforzò Blake. Chloe si chiese se ne esistessero altri tipi. «Qualcuno deve metterli a tacere. Ma chi?» «Quelli che hanno staccato la testa dal corpo, ovviamente.» «Ma perché qualcuno dovrebbe fare una cosa simile?» intervenne Mason. 21
«Non lo so ancora, ma siamo sulla strada giusta. Haiku, che ne pensi?» «Continuate a lavorarci.» Chloe usò il tono più scoraggiante che riuscì a trovare. «Aspettate! Ci sono!» esclamò Blake. «E se si imbattessero in una valigia? Sì, una valigia misteriosa! Blu. Oddio, ci sono. Ecco la mia storia.» Si fermò e si voltò verso le ragazze, raggiante, arrossato ed emozionato. «La valigia blu. Che ve ne pare?» Batté le mani. «È fantastico, cavolo!» Hannah sorrise. Chloe si strinse nelle spalle. «È un bel titolo per un giallo, ma un titolo non è una storia. Che cosa c'è nella valigia? Quando avrai deciso an che questo, Blake, allora sì che avrai un racconto.» Lui rise con la solita indifferenza ai dettagli. Preferiva soffermarsi sul quadro generale. «James Bond va sempre in un Paese straniero a risolvere misteri e acciuffare i cattivi. Una magnifica ambientazione esotica, piena di alcol, donne e pericoli.» Chloe si trattenne a stento dall'urlare. Era abituata a nascondere l'esasperazione davanti a sua madre, ma quella situazione era molto diversa. «James Bond è una spia del governo. È pagato per uccidere. Non fruga tra i rifiuti in cerca di teste mozzate.» Mason esultò. «Un Paese straniero! Blake, sei un genio.» All'improvviso si zittì e si fece serio. «Però... aspetta. Noi due non siamo mai stati all'estero.» Blake sbarrò la strada alle ragazze, facendo un sorriso eloquente. «Non ancora.» Loro rimasero impassibili. Solo Chloe ebbe un sussulto impercettibile. Oh no!, pensò. Non vorrà mica... «Veniamo in Europa con voi» annunciò Blake. «Mason ha ragione, sono un genio. La soluzione al mistero della valigia è in Europa. Cavolo, sarà strepitoso. E ci stiamo pensando solo da cinque minuti. Figuratevi cosa otterremo tra qualche giorno.» Si batté il palmo sul petto. «Potremmo vincere l'ambito premio letterario.» «Quale?» chiese Chloe. «Non saprei. Quello che assegnano al miglior libro dell'anno. L'Oscar dei libri. Il Grammy, l'Emmy.» «Il Pulitzer?» «Quello che è. Non è questo l'importante. L'essenziale è scrivere qualcosa che piaccia alla gente.» Chloe si piegò verso Hannah. «Quello squilibrato del tuo ragazzo ha 22
appena detto che vuole venire in Europa con noi...» «Non può essere» sussurrò l'altra, sconcertata. «Gli farò un discorsetto...» Blake la allontanò da Chloe. «Hannah, quando partite per Barcellona?» «Non lo so. Chloe, quando partiamo?» «Non lo so.» «Mason, ecco la nostra destinazione, fratello. Barcellona! Il racconto culminerà laggiù.» Blake rise. I due ragazzi si diedero il cinque e si scambiarono una spallata. «Ma hai detto che non è quel genere di storia...» si intromise Chloe. «Se finisce a Barcellona, Haiku, dovrà essere una storia per tutti i gusti. Non è lì che si tiene la corsa dei tori?» «Santo cielo, no. Quella è a Pamplona.» «Aspettate» disse Hannah. «Blake, non state pensando seriamente di venire con noi, vero?» «Ormai è deciso. Sì che veniamo, tesoro!» Mason era scioccato. «Andiamo in Europa? Mi stai prendendo per il culo.» «Non è un'idea geniale?» L'altro ammutolì. «Blake...» Finalmente Hannah diede un contributo significativo alla conversazione. «Rifletti. Non vuoi veramente scrivere un racconto, giusto? Il concorso è aperto a tutti i residenti del Maine. La concorrenza sarà spietata. Probabilmente ci saranno almeno centinaia di partecipanti solo nella nostra scuola. Tutti i membri della rivista letteraria presenteranno una storia.» «Hai letto quella rivista?» Blake dondolò le braccia, saltellando lungo la strada. «Si chiama Insanity's Horse, Dio santo, il cavallo della follia.» Rise. «Solo per il titolo, quei deficienti andrebbero esclusi dalla partecipazione. Ti ricordi il pensiero del mese di aprile? La parodia delle piramidi che traduce in realtà la passione primitiva è una rappresentazione prolissa della prosa fallica. Secondo me, questo è un esempio lampante di prosa fallica. No» aggiunse in tono allegro e vivace, «non sono preoccupato.» Come era potuto succedere? In meno di un minuto, Blake e Mason avevano mandato in frantumi il sudato sogno adolescenziale delle due ragazze. Hannah smise di ascoltarli e costrinse Chloe a rallentare. «Devo assolutamente parlarti. Fai un salto da me prima di cena?» 23
«È per Barcellona?» L'altra studiò il suo volto inespressivo. «Sì e no. Hai già il passaporto?» Chloe tacque. «Chloe! Te l'ho detto. Ci vogliono due mesi per riceverlo. Dai, vuoi mandare tutto all'aria?» «Certo che no. Ma è facile per te parlare, hai diciotto anni. A me serve la firma dei miei.» «E allora?» «Prima devo avvisarli che voglio partire, no?» «Non glielo hai ancora detto? Non posso crederci!» «Già.» Anche Chloe trovava incredibili un sacco di cose. Blake era lì davanti, con il respiro affannoso e gli occhi ardenti. «Che cosa dobbiamo fare per richiedere il passaporto?» «Andare all'ufficio postale» lo informò Hannah. «Ma portate anche Chloe, perché nemmeno lei sa cosa fare.» «Sì che lo so, ma...» Hannah sbatté le ciglia. «Volete accompagnarci davvero? Mi raccomando, non illudeteci per poi tirarci un bidone. Sarebbe crudele.» «Io non ti deludo mai, vero, tesorino?» Afferratala, Blake finse di danzare con lei e le pestò i piedi, strappandole un urlo. «Sai dov'è Barcellona, vero?» Hannah gli cinse il collo con le braccia. «In Spagna. E sai dov'è la Spagna, no? In Europa. Cioè in un altro continente. Cioè non vi servirà solo il passaporto, che costa più di cento dollari, ma anche un biglietto aereo, biglietti ferroviari e forse, non saprei, soldi per vitto e alloggio.» Mason parve dubbioso, ma Blake scrollò le spalle con allegra noncuranza. «Sai cosa si dice, tesorino.» La strinse. «Bisogna spendere soldi per fare soldi. Idem per i diecimila dollari che vincerò con il racconto. Non possiamo avviare l'azienda finché non vinciamo il concorso, e non possiamo vincere il concorso finché non facciamo quest'altra cosa.» «Quest'altra cosa» interloquì Chloe, «sarebbe immischiarvi nel sogno della mia vita?» «Esatto. Mase, sbrighiamoci. Dobbiamo procurarci i passaporti. Non c'è tempo da perdere.» Quando accelerarono, i loro stivali sollevarono una nuvola di polvere. «A proposito, dov'è l'ufficio postale?» urlò Blake. «Vuoi scherzare? Non sei mai stato all'ufficio postale di Fryeburg?» Hannah diede una gomitata a Chloe. «Non ci sei mai stata nemmeno tu, signorina.» L'altra ricambiò il gesto. «Sì, invece, piantala.» 24
Blake tirò suo fratello. «Diamoci una mossa. Vuoi un passaggio, Chloe?» Gli Haul vivevano a tre case dalla sua, oltre lo stagno tra i pini e le betulle. «Sì» rincarò Hannah, affondandole l'indice nella schiena. «Vuoi un passaggio per andare a richiedere il passaporto?» «No, grazie.» L'altra le diede uno schiaffetto alla mano. «Mi faccio portare da mia madre.» Le ragazze seguirono i due fratelli con lo sguardo, quindi si incamminarono di nuovo. Hannah scrollò il capo. Per l'angoscia? Per lo stupore? Chloe non avrebbe saputo dirlo. «Immagino che andrò in Spagna con il mio ragazzo e il tuo, ma senza di te.» «Molto spiritosa.» «Lo trovi divertente? Non puoi iniziare la tua vita da adulta facendotela sotto dalla fifa. Di cosa hai paura? Fai come me. Io non ho paura di niente» scherzò Hannah. Ma Chloe sentì solo "Fai come me". Non è come un calcio nei denti? si interrogò, irrigidendosi. Avevano quasi raggiunto la radura davanti al suo bungalow verde. Hannah rallentò come se volesse indugiare, ma Chloe allungò il passo come se non ne avesse la minima intenzione. «Devo essere diplomatica» affermò. «Mi serve il loro permesso per partire. Non posso metterli davanti al fatto compiuto.» «Se non cominci a comportarti da adulta, non puoi pretendere che ti trattino come tale.» Chloe non aveva nessuna voglia di parlarne. Hannah aveva ragione, ma diceva sempre cose scontate in modo da indurla non solo a pensare, ma anche a desiderare, che avesse torto. «Gli parlerò stasera.» Si affrettò ad attraversare la radura. «Non dire niente di Mason e Blake.» «No?» Poiché la signora Haul e Lang andavano a fare la spesa insieme, il venerdì, Chloe aveva la sensazione che il segreto avrebbe avuto vita breve. «Okay» concesse Hannah, «ma procedi per gradi con tua madre. Non tirare fuori la cinese che è in lei. La fai sempre arrabbiare. Prima accenna al viaggio, poi aspetta. La partenza dei ragazzi potrebbe essere un'idea campata per aria. Dove troveranno i soldi? Lasceranno perdere, vedrai.» Chloe non rispose. Chiaramente Hannah non conosceva il suo ragazzo. Era impossibile dissuaderlo da qualsiasi cosa. Un racconto, poi! Come per avvalorare la sua tesi, la Subaru di Janice Haul spuntò 25
tra gli alberi e Blake abbassò il finestrino, rallentò e suonò il clacson. «Andiamo a richiedere i passaporti!» urlò. «A dopo!» Chloe si rivolse all'amica. «Dicevi?» «Okay, hai ragione. Ma acqua in bocca con tua madre.» «Di cosa volevi parlarmi?» A separare le orecchie della madre di Chloe dai problemi di Hannah c'era solo una zanzariera sottile. Hannah agitò la mano. «Dopo» disse cupa.
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Ringraziamenti Alle mie editor, due donne geniali, indulgenti, forti come rocce e dotate della pazienza di un santo: mille grazie ad Anna Valdinger per essersi occupata delle questioni importanti e aver tenuto al sicuro il mio vino, e a Denise O’Dea per aver migliorato ogni riga con il suo occhio acuto.
Questo volume è stato stampato nell'aprile 2016 presso la Rotolito Lombarda - Milano