Vacanza venezuelana

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Susan Andersen

Vacanza venezuelana


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Running Wild HQN Books © 2015 Susan Andersen Traduzione di Sabina Di Luigi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2017 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Romance agosto 2017 Questo volume è stato stampato nel luglio 2017 da CPI, Moravia HARMONY ROMANCE ISSN 1970 - 9943 Periodico mensile n. 187 del 18/08/2017 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 72 dello 06/02/2007 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano


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Santa Rosa, El Tigre - Sud America La donna dai capelli biondi entrò nel bar come se fosse la proprietaria del locale, attirando subito l'attenzione di Finn Kavanagh. Era stato un pomeriggio carico di impulsi diversi e lui fu contento di aver assecondato quello che lo aveva portato fin lì. Era arrivato nella capitale di quel piccolissimo Stato sudamericano neanche tre quarti d'ora prima. Stanco per la lunga giornata di viaggio, aveva deciso di andarsene dritto alla pensione che un fornitore della Kavanagh Construction gli aveva raccomandato. Ma quando, alzando lo sguardo, era stato attratto dal movimento continuo della cabinovia sopra di lui, si era messo lo zaino in spalla e aveva cercato la stazione più vicina per salirci. Andando verso la sommità del ripidissimo versante nord aveva potuto godersi dall'alto il panorama dell'estesa città a valle che brulicava di vita. Le montagne tutt'intorno e un fiume che fendeva in due la città rendeva quella veduta, già di per sé fantastica, qualcosa di assolutamente spettacolare, tanto da indurlo a tirar fuori la macchina fotografica. Tuttavia, più la cabina era salita lungo il ripido pendio verso il capolinea, più la zona sottostante aveva rivelato il suo degrado. Nei bassifondi c'erano baracche addossate le une alle altre e, a giudicare dal mosaico di tetti, chi le abitava le aveva realizzate con materiali di fortuna. Altre abitazioni peri5


colanti, costruite su dei pali, affioravano dalla vegetazione rigogliosa dei pendii. Dalla prospettiva di cui Finn godeva dall'alto, la zona gli sembrava ridotta in quello stato di povertà da tempo immemorabile. Al contrario, appariva più che benestante la donna che era appena entrata nel locale. Finn corrugò la fronte. Ripensandoci, non era del tutto vero. L'impressione che dava non era quella di una ragazza ricca. Una cosa era certa, però: era uno spettacolo per gli occhi. Un vero spettacolo. Non era in grado di dire con esattezza cosa lo attraesse di lei. Era carina, sì, anche se non era proprio il suo tipo. Non che gli piacesse un tipo in particolare, ma sinceramente non aveva mai avuto un debole per le ragazze punk. E lei lo era senza ombra di dubbio, con i capelli biondi scalati ai lati e mossi in cima, che formavano una frangetta che le arrivava fino alle sopracciglia. Era un look che non aveva niente a che vedere con ciò che lo attraeva di solito, eppure c'era qualcosa in lei che gli procurava un indubbio friccico. E in tutta sincerità non riusciva a capire il perché. Era di media altezza, aveva i capelli biondi e gli occhi azzurri, ma, insomma, a trentaquattro anni di donne del genere Finn ne aveva viste in abbondanza. Anche se non poteva dire di aver incontrato tante bionde da quando era arrivato in quella parte di mondo, in fondo era lì da meno di un'ora. A Seattle, la città in cui aveva sempre vissuto, non erano certo una rarità. E per quanto la donna avesse un bel corpo, non era il tipo da far perdere la testa. Forse dipendeva dalla grande energia che sprigionava e che creava intorno a lei una sorta di aura rossa. O forse era l'impressione che fosse parecchio navigata. In fondo, un uomo cosa avrebbe potuto chiedere di più? Bevendo la birra ghiacciata che aveva ordinato, si mise comodo sulla sedia e la osservò avvicinarsi al bancone. E non si creò problemi a 6


origliare cosa ordinasse, solo che non gli servì a un granché perché la donna parlò a raffica in un fluente spagnolo. Quindi a dividerli c'era la barriera linguistica. La cosa lo smontò. Chissà perché aveva avuto la sensazione che fosse americana. Forse per via della pelle e dei capelli chiari in una stanza di persone dalla carnagione e dai capelli scuri. O forse per i bermuda e la doppia canotta, o per la postura spavalda con le spalle dritte e il petto in fuori. In ogni caso, il suo spagnolo era fluente e diverso da quello che aveva sempre sentito parlare dagli americani. Non era un esperto, ma avrebbe scommesso che fosse la sua prima, se non unica, lingua. Accidenti. L'inattesa delusione che provò lo spinse a staccarsi dallo schienale. No. Meglio così. Era andato a El Tigre per stare tranquillo, in parte perché aveva semplicemente bisogno di una vacanza e in parte perché nell'ultimo periodo aveva cominciato a mettere in discussione le proprie scelte. Scelte che fino a non molto tempo prima aveva ritenuto del tutto soddisfacenti. Attribuiva la colpa dei suoi attuali ripensamenti al fratello. Dei sette fratelli Kavanagh, era Finn quello più legato a Devon sia per l'età sia per gli interessi in comune, e l'anno prima Dev si era sposato. Pareva così innamorato di sua moglie Jane che Finn quasi provava imbarazzo per lui. Tuttavia, sentiva stranamente anche un po' d'invidia. E la cosa era tanto strana che non riusciva a capacitarsene. Nonostante zia Eileen – o forse in parte a causa sua – insistesse dicendo che era arrivata l'ora di abbandonare la vita da scapolo per l'amore di una brava ragazza, Finn si era sempre compiaciuto del suo status di single. Non era mai stato nemmeno lontanamente sfiorato dal desiderio di passare dall'io al noi. Ne aveva fin sopra i capelli di quelle fesserie che sentiva ogni giorno lavorando a fianco a fianco con i fratelli. Perciò quando a un tratto aveva cominciato a chie7


dersi perché si fosse congratulato con se stesso solo per aver evitato di stare con una donna speciale per più di una notte, o durante un weekend, aveva sentito dentro di sé un'irrequietezza mai provata prima. Una sensazione fastidiosa che aveva raggiunto punte estreme quando Finn aveva cominciato a domandarsi se non fosse giunto il momento di unirsi alla schiera di adulti impegnati in una relazione monogama. Perciò, diamine, sì che era agitato. I suoi pensieri non si erano mai avventurati in quella direzione e non era per niente felice che lo stessero facendo ora. Solo l'idea di aver considerato la possibilità di sistemarsi gli ricordò quanto avesse invece bisogno di allontanarsi da tutto per capire se lo voleva veramente, se era davvero il momento di crescere e unirsi al nutrito gruppo di ammogliati che rappresentava una parte consistente della sua famiglia allargata. Oppure se si era solo fatto condizionare da tutte le fesserie sulla felicità che lo avevano circondato negli ultimi giorni. Il suo io profondo gli suggeriva che si trattava della seconda ipotesi, ma con i pensieri da adolescente innamorata che gli frullavano in testa ultimamente chi poteva dire se il suo io profondo non stesse invece reagendo in senso contrario per compensare quel nuovo sentimento? In ogni caso, non c'era bisogno di risolvere subito tutto. Ciò di cui aveva bisogno quella sera era bersi la sua birra, ammirare la bella ragazza che aveva davanti e cercare di capire su quali percorsi gli sarebbe piaciuto fare trekking in quella parte delle Ande. E rilassarsi. Sì, soprattutto quello. Più di ogni altra cosa, era andato lì per rilassarsi. Era in assoluto il peggior compleanno che Magdalene Deluca ricordasse. Oddio, anche altri prima dell'adolescenza erano stati pessimi, ma era normale se si avevano dei genitori che spedivano una ragazzina in collegio per riuscire ad avere tempo libero da dedicare alla loro missione di aiutare i 8


figli di altre persone. Guardando il bicchierino di tequila che il barista le aveva appena servito, Magdalene era molto tentata di mandarla giù in un sol colpo e porgere il bicchiere vuoto perché gliene servissero un'altra. In fondo le piaceva spassarsela, proprio come a qualsiasi altra donna, e anche se alzava un po' il gomito... be', lì non c'era nessuno al quale dover rendere conto del proprio comportamento. Le sfuggì una risatina amara. Ma guarda un po'! Nonostante ciò, si allontanò dal bancone, andò a sedersi a un tavolo vicino e rimase con lo sguardo fisso sul suo drink lievemente ambrato. Poi prese una fettina di lime, la morse e lo mandò giù in un unico sorso. Rabbrividì mentre l'alcol le scendeva in gola e le circolava nelle vene. Non ebbe effetto, però, sul gelo che aveva in fondo all'anima. Ma la colpa era sua, perché non imparava mai la lezione, accidenti. Si era concessa un periodo di congedo dalla vita in California per andare laggiù. Nelle ultime due lettere sua madre, Nancy Deluca, aveva espresso una grande preoccupazione per come il cartello della droga di Munoz, malgrado la sua strenua opposizione, continuasse a reclutare alcuni dei ragazzini e delle ragazzine adolescenti che i Deluca avevano preso sotto la loro ala. Non erano state solo le lettere a portare Mags a El Tigre, anche se a quelle era dovuta la sensazione di inquietudine che aveva in fondo all'anima. Era stato il fatto che le comunicazioni con sua madre si erano bruscamente interrotte subito dopo averle ricevute. Era stato quello a indurla a partire. Quell'improvvisa mancanza di notizie le aveva fatto venire un brutto presentimento. Perché, anche se gli Stati Uniti assieme con il nuovo e più mite regime di El Tigre si erano dati da fare per fermare la proliferazione dei cartelli della droga, molte organizzazioni criminali esistevano ancora. Come pure le violenze che commettevano. E nonostante le irrorazioni erbicide aeree promosse dal governo, le piantagioni di coca illegali non erano state estirpate. Alcune delle tenute 9


con una produzione minore erano state abbandonate, ma i cartelli più grandi avevano solo ridotto la loro attività e l'avevano ridistribuita su appezzamenti di terreno più piccoli e più difficili da raggiungere. Mags non vedeva i genitori da anni, ma non aveva pensato nemmeno per un istante che il fervore di sua madre potesse essere diminuito nel periodo in cui non si erano viste. Nancy non si era mai fatta problemi a esprimere il proprio dissenso per tutto ciò che riteneva sbagliato. Il timore di Mags era che potesse essere stato proprio quello a mettere in pericolo i suoi genitori. Non impari mai la lezione, eh? Aveva scoperto di essere una fessacchiotta. Ma no, perché essere così modesta? Era proprio la regina delle fessacchiotte. Infatti aveva mollato tutto e speso i pochi risparmi che aveva. E ancor peggio aveva mandato all'aria una carriera di tutto rispetto da truccatrice in una trilogia di film ambientati nello spazio che avrebbero sbancato il botteghino. Una produzione per la quale aveva cercato di lavorare da oltre un anno. E tutto per poi correre in soccorso dei genitori. Dio santo, non era paradossale che quando si era presentata a casa loro la padrona di casa le aveva detto che i missionari se n'erano tornati negli Stati Uniti per un anno sabbatico? Avevano preso e se n'erano andati. Senza dirle niente. Sapeva che non doveva meravigliarsi più di tanto, o sentirlo come un tradimento. Insomma, l'aveva imparato cinque mesi, due settimane e tre giorni dopo il suo tredicesimo compleanno che non solo non era una priorità nella vita dei suoi genitori, ma anche che era un ostacolo alla missione che erano andati a compiere a El Tigre. Perciò, se non sentivano il bisogno di comunicarle che sarebbero rientrati negli Stati Uniti per un po', be'... d'accordo, allora. In fondo non era una novità. E francamente non gliene importava un bel niente. O non un granché, comunque. 10


Mags raddrizzò la schiena. Perché mai, poi, ci stava pensando? Le famiglie erano quello che erano; lamentarsene era inutile. Guardandosi intorno per distrarsi, si accorse che un uomo la stava osservando. Molto bene. Proprio quello che le serviva... un cascamorto del posto che cercava di rimorchiare. Anche se... Quando i suoi occhi lentamente si posarono su di lei e i loro sguardi si incrociarono, Mags non riuscì a guardare altrove. Su una cosa si era sbagliata: magari i suoi colori erano tipici del posto, ma era senza dubbio americano. Era evidente dal vestiario e dalla dentatura perfetta. I capelli castani gli ricadevano sugli occhi profondi color cioccolato. Le costò un certo sforzo decidersi a distogliere lo sguardo. Considerato com'era andata la giornata, però, mettersi a fissare come un allocco le spalle ampie che spiccavano su un corpo, a quanto pareva, asciutto e muscoloso, forse non migliorava la situazione, e allora tornò a soffermarsi sul viso. La pelle che aderiva alle ossa e il naso affilato gli conferivano l'aspetto austero di un monaco trappista. Però quando Magdalene incrociò di nuovo i suoi occhi scuri, vi scorse uno strabiliante calore. E per un istante fu tentata di avvicinarsi al suo tavolo e lasciare che succedesse qualcosa. Aveva in corpo parecchia adrenalina che le sarebbe piaciuto smaltire. Ma... no. Era meglio tornare al rottame di macchina che aveva lasciato a valle, dove finiva il quartiere disagiato che i suoi genitori avevano frequentato negli ultimi tempi e iniziava una zona caratterizzata da un po' più di benessere. O dove, se non altro, Mags aveva avuto meno timore di ritrovare l'auto senza ruote e privata dei suoi pochi accessori. Con un ultimo sguardo desolato al monaco sexy, prese la borsa enorme con cui andava in giro e se la mise a tracolla mentre si dirigeva verso l'uscita. Nel bar non regnava certo il silenzio, ma il frastuono della 11


strada che la travolse non appena uscì la sconvolse. Il motore di un SUV di lusso rombò nell'accendersi e delle motociclette altrettanto rumorose sfrecciarono tra le onnipresenti, vecchie Volkswagen bloccate nel traffico. C'erano ragazze e ragazzi che ridevano e chiacchieravano e si chiamavano l'un l'altro mentre si facevano strada tra la folla per entrare nei bar e nei ristoranti. Una ragazzina con una grossa bici passò a un centimetro dai piedi di Mags. Dopo essere sfuggita con un balzo all'investimento, si fermò un attimo accanto a un carretto pieno di manghi trainato da un asino, per evitare la calca e cercare di riorientarsi. Comprò due dei frutti rossi e verdi e li mise nella borsa, poi zigzagò per arrivare alla strada che l'avrebbe riportata a quella percorsa prima per risalire dalla vallata. Dopo aver saputo che i genitori se n'erano andati senza lasciare uno straccio di recapito, le era venuto l'istinto irrefrenabile di liberarsi della rabbia che la rendeva nervosa e ansiosa. Ma aveva forse ripreso l'auto a noleggio, come avrebbe fatto una persona intelligente, ed era andata dritta all'aeroporto per salire sul primo aereo che la portasse via di lì? Oh, no. Aveva pensato bene di risalire la ripida collina fino a dove si trovava in quel momento. Ripensandoci le sembrava una cosa senza senso, ma quando l'aveva pensata era apparso un modo efficace per placare l'agitazione. E per certi versi aveva funzionato. In quel momento non le andava granché di rifare la strada fino a valle. Tuttavia, prima si decideva a scendere il ripido pendio, prima sarebbe riuscita a tornarsene in California. Non c'era bisogno di lei a El Tigre, era evidente. E poiché era stato solo il giorno prima che si era trovata costretta a rifiutare il posto nella produzione cinematografica, magari c'era ancora una speranza di recuperarlo. Speriamo. Si rendeva conto benissimo che quel lavoro avrebbe dato una spinta enorme alla sua carriera. Come mi12


nimo le avrebbe permesso di abbandonare l'altra attività. Creare degli alieni con trucchi e silicone sarebbe stato un modo efficace per allontanare l'ansia. Le sarebbe proprio servito in quel momento. Camminò per un bel tratto e poi si ricordò che all'andata aveva visto una stazione della cabinovia quando cercava un posto per parcheggiare. Non ricordava con esattezza dove e non conosceva affatto Santa Rosa. Ai bei tempi, prima del collegio, lei e la sua famiglia avevano vissuto nella movimentata città di Tacna, più a sud, poi in una piccola località nel nord dell'Amazzonia. La funivia andava da nord a sud e viceversa, quindi anche se a piedi era un bel tratto di strada tra la stazione e la macchina, almeno sarebbe stato in piano. Ed era meglio che dover scendere lungo i ripidi pendii. Soddisfatta della bella pensata, Mags fece dietrofront e riprese la strada dalla quale era arrivata. Aveva appena raggiunto la strada principale e l'estremità opposta dell'isolato dove si trovava il bar in cui si era fermata per un drink, quando all'improvviso un uomo si materializzò dal nulla e la spinse contro il muro dell'edificio. Con il cuore in gola, Mags inspirò a fondo per mettersi a urlare a squarciagola. Prima che riuscisse a farlo, però, una mano ruvida le coprì la bocca. L'uomo, che non era molto più alto di lei – e doveva essere più giovane di almeno una decina d'anni – si avvicinò con il viso al suo. «Tolgo la mano se mi assicuri di non urlare» le disse in uno spagnolo dialettale. «Non voglio farti del male, ma lo farò se non collabori. Comprende?» Non proprio, ma Mags assentì col capo. «Bene» le disse, togliendo la mano e scostandosi un po'. «Verrai con me. Victor Munoz vuole parlarti.» Sbadigliando, Finn indugiò un momento in strada fuori dal bar e si guardò intorno per orientarsi. La lunga giornata 13


di viaggio cominciava a farsi sentire e lui si era deciso a cercare la pensione che gli era stata consigliata. Pur sapendo che la stazione della funivia era a sinistra, lo sguardo gli andò d'istinto sulla destra. E scosse la testa. «Oh, ancora tu.» La stessa bionda punk che aveva catturato la sua attenzione nel bar. Finn non capiva proprio perché lo attraesse tanto, ma non riusciva a distogliere gli occhi da lei e un ragazzo appena ventenne che si trovavano a faccia a faccia poco distanti da lui. Li fissò perplesso. Anche se era giovane, il ragazzo aveva l'aria minacciosa. Forse per il modo in cui le stava addosso tenendola contro il muro o forse per l'abbigliamento da teppistello. Il motivo poco importava. Lei non sembrava contenta, e anche se Finn non riusciva a sentire cosa si stavano dicendo, ebbe la netta sensazione che stessero discutendo. E fu prima di vedere quel delinquente afferrarle il braccio quando lei gli mise le mani sul petto per respingerlo. Finn si mosse verso di loro. Mentre si avvicinava, udì il rapido scambio di battute nella lingua del posto, e quando fu a pochi passi da loro vide lei irrigidirsi di colpo, poi liberarsi il braccio con uno strattone. Ma invece di spintonare di nuovo il ragazzo, lei gli si accostò con un atteggiamento di sfida. «Cosa?» Alzò la voce con un tono incredulo, e sebbene quel tipo l'avesse colta alla sprovvista, ciò non le impedì di puntargli un dito sul petto. «Sentiamo, Speedy Gonzales» gli disse con un'aria autoritaria che colpì persino Finn, abituato a clienti ben più aggressivi di quella ragazza. Il delinquente strinse le labbra. «Non mi chiamo Speedy Gonzales» replicò rabbioso, sentendosi evidentemente insultato. E il fatto che reagisse a quel modo non perché lei avesse sfidato la sua autorità, ma perché aveva usato un soprannome così poco macho, rafforzò l'impressione di Finn che il tipo fosse molto giovane. Il ragazzino le scansò il dito dal petto. «Mi chiamo Joaquin.» 14


«Potresti anche essere Gesù in persona» replicò lei, «la domanda sarebbe la stessa: dove sono in miei?» Fu allora che Finn si rese conto che la ragazza bionda parlava in americano. Ma un attimo dopo lei passò allo spagnolo, ripetendo perentoria le stesse domande, almeno così presumeva. Finn non aveva idea di cosa quel tipo, Joaquin, le avesse detto tanto da scatenare la raffica di domande che lei gli aveva fatto come una mitragliatrice automatica. Dall'espressione della faccia, però, il ragazzo sembrava essersi reso conto di aver commesso un grosso errore. E la cosa era potenzialmente pericolosa, perché i ragazzi di quell'età avevano un bisogno smisurato di dimostrare la loro virilità in ogni occasione. Considerato che poteva essere anche un violento appartenente a una gang, le cose potevano mettersi male. Com'era prevedibile, mentre lo stava osservando, Joaquin mise la mano dietro la schiena. Poiché era di profilo, Finn vide chiaramente il calcio di una pistola e Joaquin che cercava di prenderla sotto il lembo della maglietta. Finn si mosse prima che il bastardo estraesse l'arma dai pantaloni. Senza avere il tempo di riflettere, si sfilò lo zaino dalle spalle e con falcate degne di un campione di salto in lungo, si avvicinò. E tenendo lo zaino per gli spallacci colpì il giovane alla testa. Seguì un rumore sordo e poi il teppista cadde in ginocchio. La pistola gli sfuggì di mano e scivolò qualche metro più in là. Finn si lanciò per recuperarla, preoccupato solo di tenerla fuori dalla portata del ragazzo. Ma prima che riuscisse ad afferrarla, vide la lama di un coltello mostruoso abbassarsi sulle sue dita. Imprecando a tutto spiano, Finn si ritrasse. Cristo santo. Il ragazzo doveva avere la testa di ferro per essersi ripreso così presto. Era evidente che Joaquin non aveva nessuna intenzione di lasciargli mettere le mani sulla pistola, almeno non senza far scorrere un po' di sangue. 15


Non vedendo altre possibilità, Finn diede un calcio all'arma per mandarla il più lontano possibile da entrambi. «Andiamo, andiamo, andiamo!» lo incitò la ragazza bionda trascinandolo per una mano e mettendosi a correre verso la funivia. In pochissimo tempo furono alla stazione. Saltellando da un piede all'altro come un bambino a cui scappava la pipì, lei tirò fuori dalla tasca una manciata di El-TIP, i pesos locali, lanciando continue occhiate alle spalle. Poi di colpo si fermò. «Merda! Sta venendo qui.» Si guardò intorno disperata. «Che cavolo, qui non c'è nessuno che venga in aiuto quando serve?» disse, infilando le monete nella macchinetta per fare i biglietti. «Mi avevano detto che queste stazioni erano piene di personale di sicurezza.» Premette i tasti in modo frenetico finché la macchinetta sputò due biglietti e lei riprese Finn per mano. «Dai, andiamo!» Passarono attraverso i tornelli e andarono verso la cabina che ondeggiando lentamente si posizionava per far salire i passeggeri. Quando uscirono quelli in arrivo, poiché in attesa c'erano solo loro due, salirono subito a bordo. Insieme si voltarono a guardare Joaquin che correva verso la biglietteria automatica e spingeva da parte una donna che stava per usarla. «Che bravo ragazzo» borbottò Finn. «Mi sorprende che non abbia saltato il tornello.» Strano. L'idiota non sembrava proprio il tipo che rispettava le regole. «La polizia non si è fatta vedere quando sarebbe servito, e cioè quando Joaquin ha tirato fuori la pistola, ma, secondo mia madre, se salti un tornello ti sono subito addosso.» La porta si chiuse con un sibilo e con un leggero strattone la cabina riprese a muoversi a velocità normale. Finn inspirò a fondo per la prima volta da quando tutto era cominciato e con lentezza espirò. Avendo finalmente un attimo di tregua dal pericolo, si rimise lo zaino sulle spalle e sistemò con cura gli spallacci. 16


Poi rivolse l'attenzione alla ragazza bionda. Aveva delle labbra soffici davvero splendide, una bella pelle e una leggera fossetta, che però in quel momento non gli smossero un bel niente. La guardò invece dritto negli occhi azzurri. E innervosito le chiese: «Chi sei? E si può sapere che cavolo sta succedendo?».

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