Megan Hart
Vanilla
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Vanilla Mira Books © 2015 Megan Hart Traduzione di Alessandra De Angelis Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2016 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione HC gennaio 2016 Terza edizione Harmony Passion marzo 2018 HARMONY PASSION ISSN 1970 - 9951 Periodico mensile n. 139 del 29/03/2018 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 71 dello 06/02/2007 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano
Prologo
La tatuatrice era china sul mio polso e stava seguendo con l'ago il contorno del disegno. Il ronzio della macchinetta non era sgradevole, e neanche il lieve bruciore che provavo mentre tracciava le ombreggiature. La mia pelle assorbiva bene l'inchiostro e la ragazza emise un mormorio di approvazione. «Viene bene» disse annuendo. «Sarà fichissimo.» Mi provocava dolore, ovviamente. I tatuaggi fanno sempre male; ne avevo altri due, una piccola stella a sei punte sul fianco destro e un sole fiammeggiante al centro della zona lombare, molto sexy. Di quest'ultimo non mi ero esattamente pentita, però non ne ero neppure del tutto soddisfatta. Però quello sul polso mi bruciava più degli altri. Non che me ne lamentassi. In fondo ci si tatua proprio per ricordare qualcosa per sempre; è un dolore catartico, che rimane anche quando il disegno è completato, il rossore scompare e le crosticine cadono. La pelle conserva la memoria di quella sensazione, come se volesse rammentare cosa si provi a farsi marchiare per non dimenticare. «Che ne pensi?» La ragazza si tirò indietro e mi tamponò la pelle per togliere il colore in eccesso. «È bello» la rassicurai. Avevo scelto di tatuarmi l'interno del polso proprio perché non avrei dovuto guardarmi allo specchio per vederlo; l'avrei avuto sempre davanti agli occhi, che lo volessi o no. Il disegno stilizzato in nero e grigio era grande come una moneta da cinquanta centesimi ed era semplice ma chiaro e netto. La pelle intorno ai bordi era leggermente rossa e in rilievo, e bruciava un po'. Sarebbe guarita e il tatuaggio sarebbe stato perfetto, ma avrebbe continuato a dolermi ogni volta che l'avessi guardato. 5
La tatuatrice inclinò il capo di lato con aria incuriosita. «Perché proprio un coniglio? A dire il vero di solito non lo chiedo. Ha un significato personale, giusto?» Feci un cenno d'assenso. «Sì.» «Se mi avessi chiesto una farfalla, una fatina o un fiore non te l'avrei neanche domandato. Non sta a me giudicare il motivo per cui qualcuno sceglie un disegno, non sono affari miei. Però un coniglio è particolare. Che significato ha?» «È per non dimenticare» risposi, sibillina. Lei mi rivolse un sorriso sagace e non insistette, evitando di chiedermi cosa non volessi dimenticare. «Mi sembra giusto. Sei contenta?» Il mio obiettivo nel tatuarmi non era esattamente di essere contenta. Volevo qualcosa di permanente e che mi facesse male. Ma in effetti la ragazza aveva soddisfatto esattamente la mia richiesta dandomi proprio quello che volevo, un perenne ricordo doloroso. Inoltre il coniglio era venuto proprio come nella bozza che lei aveva disegnato su mia indicazione. Perciò non potei fare altro che annuire. «Sì, sono contenta» le dissi. «È perfetto.»
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L'arco della spina dorsale di un uomo ha qualcosa di stupendo e poetico, quando è in ginocchio a testa china, con le mani giunte dietro la schiena. E cosa dire della sua nuca, esposta in tutta la sua vulnerabilità? O dei ventagli carnosi delle dita dei piedi che premono sulla moquette della stanza d'albergo, ruvida di quel tanto che serve per irritare le ginocchia con lo sfregamento quando vi cammina carponi, come se le sue rotule arrossissero pudiche... Anch'io, poi, gli avrei lasciato dei segni sul corpo, attenta a dosare la forza in modo che scomparissero altrettanto presto. Sapevo di non poterlo marchiare in modo visibile; eravamo d'accordo su questo sin dall'inizio. In ogni caso non volevo fargli troppo male. Non era mai stato il mio intento; non era così che mi piaceva giocare. Magari un lieve bruciore, un colpetto ben assestato qua e là, lo schiocco di una striscia di cuoio sulla pelle nuda, un morso, un graffio; sapevo usare tutto quello che serviva per farlo rabbrividire e gemere. Preferivo sempre raggiungere il mio scopo promettendo piacere invece del dolore. A noi andava bene così. Quando entrai nella camera d'albergo, vidi Esteban che mi aspettava in quella posizione. Le luci erano tutte spente e la stanza era illuminata esclusivamente dal sole al tramonto che filtrava attraverso le tende. Lui sarebbe stato propenso a fare i nostri giochi con le finestre aperte e la camera invasa dalla luce cruda e impietosa, che avrebbe esposto completamente ogni parte dei nostri corpi. Ero io a preferire le luci basse in modo che i contorni fossero indistinti; quell'atmosfera irreale rendeva tutto più facile, come se fossimo in un sogno. «Ti ho portato un regalo» esordii posando la borsa a tracolla. 7
La feci cadere pesantemente sulla scrivania di proposito, in modo da indurlo a chiedersi cosa contenesse, e quel pensiero lo agitasse un po'. Esteban non era rivolto verso di me e non si girò mentre tiravo fuori dalla borsa il contenuto, benché dalla tensione dei suoi muscoli si capisse che avrebbe voluto disperatamente sbirciare. Con lentezza esasperante, disposi ordinatamente i regali che gli avevo portato. A volte programmavo scrupolosamente quello che avremmo fatto nel nostro appuntamento mensile. Creavo mentalmente una scena nei minimi dettagli in modo da essere sicura che tutto andasse come previsto. Ma quel giorno no; ero pronta a tutto. Mi sentivo aperta a un'ampia gamma di possibilità che non avevo neanche immaginato. Con il braccio dietro la schiena per nascondere quello che tenevo in mano, misi la sedia davanti a lui e mi sedetti, lasciando risalire leggermente la gonna sulle gambe per provocarlo facendogli intravedere il bordo delle calze. Gl'insinuai un piede tra le ginocchia, sfiorandogli l'interno della coscia con il tacco. Lui sorrise ma non si mosse. Si era leccato le labbra, e la bocca era leggermente lucida di saliva. Mi chinai e gli misi una mano sulla guancia; lui si strofinò contro il mio palmo come un gatto. «Bravo» mormorai porgendogli una scatolina da gioielliere che un tempo conteneva un braccialetto. «Apri.» Lui la prese e si sedette sui talloni, tolse il coperchio e vide all'interno un nastro nero. Fu scosso da un leggero brivido quando lo tirò fuori. Il nastro si srotolò come un serpente di raso e scivolò carezzevole sulle sue mani. Mi guardò mentre glielo avvolgevo intorno ai polsi che mi porse incrociandoli. Non strinsi troppo e lasciai le due estremità abbastanza lunghe per passarne una intorno al collo e con l'altra arrivare in basso fino al pene già eretto che legai in una specie di cappio. «Credevo che mi avresti immobilizzato, in modo che non potessi sfuggirti» commentò con il suo delizioso accento esotico che mi provocava sempre un fremito ogni volta che apriva bocca. «Se mi servisse qualcosa di più... costrittivo per averti in mio potere, potrei anche andarmene» replicai. Esteban ebbe un brivido e chiuse gli occhi per un istante. Quando li riaprì, aveva lo sguardo fosco, velato dal desiderio. 8
Aveva il labbro superiore imperlato di sudore e vi passò rapidamente la punta della lingua, come per assaggiare il sapore salato della sua agitazione. Mi esaltava notare quanto fosse colpito dalle mie parole. Mi piegai verso il suo volto e lo baciai proprio all'angolo delle labbra, senza infrangere un'altra delle nostre regole, quella di non baciarci mai sulla bocca. Era un accordo tacito, ma che avevamo sempre rispettato. Gli accarezzai i capelli scuri e indugiai con le dita sulla nuca, sentendolo irrigidirsi sotto il mio tocco. Feci scivolare le labbra lungo il contorno del suo volto fino all'orecchio. «Apri» ripetei. Esteban capì subito a cosa mi riferissi e socchiuse la bocca, arrendevole, obbediente. La sua sottomissione era stupenda; era mio, almeno in quei momenti. Gl'infilai l'indice in bocca e lui lo morse delicatamente, scherzoso. Gli presi forte il mento per bloccarlo ed Esteban emise un sospiro che si trasformò in un gemito lieve quando lo strinsi più forte e attirai il suo viso verso il mio, provocandolo con le labbra a un soffio dalle sue, nella promessa di un bacio che sapevamo entrambi che non gli avrei mai dato. Ma era anche quello che ci eccitava, l'altalena inebriante tra promessa e rifiuto. Feci scorrere l'indice umido per la sua saliva lungo il torace e l'addome fino a raggiungere la sua splendida erezione. Quando protese il bacino verso la mia mano con un ringhio sommesso, ma deciso, gli strinsi forte il pene e gli sussurrai piano all'orecchio: «Zitto». Ubbidiente, Esteban non emise più neanche il minimo suono. Sentivo il pene che pulsava, stretto nel pugno. Gli misi di nuovo un dito in bocca e stavolta non lo morse ma lo succhiò. Gli accarezzai lentamente il pene stretto dal nastro poi spostai la mano verso il basso per racchiudergli i testicoli nel palmo. «Dimmi cosa vuoi» gli ordinai. A volte, prima di un nostro incontro, mi facevo mandare un elenco delle sue fantasie e dei suoi desideri, nonostante lo scopo della mia richiesta non fosse quello di accontentarlo, cosa che sapevamo entrambi. Stavolta non gliel'avevo domandato, ma non avevo programmi ed ero irrequieta. Mi sentivo intrappolata dalle esigenze del lavoro, della famiglia e della mia vita in generale, perciò volevo distrarmi. Ero curiosa di sapere se quello che Esteban desiderava fosse qualcosa che ero disposta a concedergli. 9
«Voglio baciarti» mi disse. «Lì.» «Qui?» Sollevai la gonna per fargli vedere il bordo degli slip di pizzo, poi mi premetti le dita tra le gambe e sollevai un sopracciglio. «Per favore» aggiunse. «Forse.» Risi della sua espressione frustrata e mi chinai a prendergli il volto fra le mani per guardarlo negli occhi. «Sei un tesoro» gli dissi, come se stessi parlando a un cagnolino. Esteban inclinò il capo e socchiuse gli occhi. «Voglio darti piacere.» «Lo so. E io voglio sentire la tua bocca su di me.» A quelle parole fu scosso da un tremito che mi strappò una risatina. Era così facile turbarlo! «Ma non ancora» dichiarai, tagliente, mandando in frantumi le sue speranze. «Sali sul letto.» Esteban batté più volte le palpebre e non reagì con prontezza. Me l'aspettavo, e difatti avevo già afferrato il nastro legato intorno al pene, che strattonai per sottolineare il mio ordine. Sapevo che non gli avrebbe fatto male quanto la mia disapprovazione perché aveva impiegato troppo tempo ad alzarsi in piedi. Chi non ha mai tentato di alzarsi stando in ginocchio con le mani legate senza appoggiarsi non può capire quanto si possa essere goffi e sgraziati nel farlo. Non era impossibile, oltretutto considerato che il nastro era essenzialmente decorativo. Però Esteban detestava dimostrarsi impacciato, ed era anche per questo che lo strattonai di nuovo per mettergli fretta senza dargli il tempo di riprendere l'equilibrio. Ci ritrovammo a faccia a faccia; io stringevo ancora il nastro e con i tacchi ero un paio di centimetri più alta di lui, quel tanto che serviva per guardarlo dall'alto in basso e non dritto negli occhi. Anche quello era stato fatto di proposito. «Devo ripetertelo, Esteban?» gli chiesi, severa. «No, mia signora.» «Dimmi cosa vuoi.» «Voglio darti piacere.» Adoravo sentire il tremito nella sua voce. Più tardi gliel'avrei fatto dire di nuovo in spagnolo, gli avrei chiesto d'insegnarmi a rispondere, e avremmo riso insieme del mio pessimo accento. Ma per il momento non c'era niente da ridere. Tra noi non c'era alcuna complicità. Solo trepidazione. 10
Mi allontanai da lui ed Esteban oscillò in avanti quando slacciai il nastro e lo lasciai cadere a terra. Era stato solo un capriccio, un modo divertente per cominciare e bello da vedere. Un aperitivo. L'avevo visto in una merceria mentre ero in giro per fare delle commissioni per mia madre e avevo pensato immediatamente a Esteban. Mi ero accorta che pensavo sempre più spesso a lui tra un incontro e l'altro, ma preferivo evitare di analizzarne i motivi. «Stenditi supino.» Lui fece un passo indietro, poi un altro, infine si girò e salì sul letto carponi prima di mettersi in posizione. Aveva abbassato il copriletto prima del mio arrivo e mi soffermai a godermi lo spettacolo di quel bell'esemplare di maschio disteso sul lenzuolo candido. Mi strappai alla contemplazione quasi con rammarico e mi diressi verso la scrivania dove avevo disposto gli oggetti che avevo portato per i nostri giochi. Avevo scelto il nastro d'impulso perché mi era parso interessante da usare, ancora di più al pensiero che avrebbe trasformato Esteban in una specie di dono infiocchettato che avrei fatto a me stessa. Invece l'oggetto liscio che presi non era stato un acquisto fatto seguendo l'estro del momento. Anzi, avevo impiegato molto tempo a scegliere il tipo giusto, facendo parecchie ricerche in Internet. Era piuttosto pesante e non sembrava un sex toy ma piuttosto una scultura moderna, perché era di vetro temperato trasparente con spire azzurre, rosse e arancioni, come se al suo interno ci fosse una piccola tempesta. Era freddo al tatto, ma assorbiva calore in fretta al contatto con il corpo. Sul foglietto che accompagnava il prodotto c'era scritto che si poteva lavare in lavastoviglie, benché l'idea mi lasciasse dubbiosa. Ne possedevo uno simile, più lungo e un po' più grosso, ma questo particolare modello aveva una curva perfetta per stimolare la prostata. Era un gadget ideato per un uomo, non per una donna. Con il sex toy di vetro in una mano e un flacone di lubrificante nell'altra, mi avvicinai al letto e m'inginocchiai tra le gambe di Esteban. «Ti ho portato un altro regalo» annunciai. Lui si puntellò sui gomiti per alzarsi a guardare e sorrise contento. «Cos'è?» «Lo sai benissimo.» Posai il lubrificante sul letto e feci scorrere la mano lungo l'in11
terno della sua coscia, verso l'alto. Esteban si depilava il torace e lo scroto ma non le gambe, e la peluria scura mi solleticò le dita. Gli accarezzai il pene poi spostai i polpastrelli verso il basso e lui allargò subito le ginocchia per permettermi di racchiudere più agevolmente i testicoli. Mosse i fianchi ed emise un mugolio sommesso, un suono che m'inebriò. «Guarda che bell'uccello, come mi desidera» lo lodai, passando un dito tutt'intorno al glande e poi sulla goccia di umore fluido, trasparente, che si era formata sulla punta. La raccolsi con il polpastrello dell'indice e me la portai alle labbra, più per provocarlo che per mio gusto, ma la sua reazione m'infiammò. Non potevo negare che vederlo già così duro e fremente ancora prima che lo stimolassi mi eccitava sempre moltissimo. «Dimmi cosa vuoi» gli chiesi di nuovo, ma con voce bassa e calda come una carezza, non imperiosa e autoritaria come uno schiaffo. Esteban allargò ancora di più le gambe e puntò i piedi sul letto piegando le ginocchia. Stringeva il lenzuolo nei pugni per trattenersi perché aveva voglia di toccarmi ma sapeva di non poterlo fare. Per un attimo pensai che mi sarebbe piaciuto se ci avesse provato, tanto per il gusto di punirlo per avere osato. Non gli avrei mai fatto veramente del male, ma un po' di disciplina non guastava mai. «Voglio vederti» rispose. Finsi di riflettere; continuando a tenere il sex toy di vetro, con l'altra mano giocherellai con i bottoni della camicetta e ne slacciai lentamente uno, poi due, scoprendo un capezzolo. Il vantaggio di avere i seni piccoli è quello di poter fare a meno del reggiseno, e sapevo che Esteban ne era eccitato perché una volta mi aveva confessato che lo faceva impazzire. Mi fermai e lui emise un gemito carico di frustrazione che mi fece ridere. Si unì alla mia risatina e subito mi piegai su di lui per rimetterlo al suo posto; si stava rilassando troppo. Mi sostenni sul letto con la mano che reggeva l'oggetto di vetro e misi l'altra sul suo busto mentre gli sfioravo il mento con le labbra prima di dargli un morsetto giocoso. «No, non te lo sei ancora meritato.» A quel punto non riuscì più a dominarsi; mi mise le mani sulle cosce e le fece risalire verso i fianchi, sollevando l'orlo della gonna. Mi baciò la guancia poi fece scendere le labbra fino al collo che mordicchiò e succhiò sapendo quanto mi piacesse. 12
«Forse posso convincerti» mi sussurrò all'orecchio, spostando le mani verso i seni per accarezzarli. Sfiorò con i pollici i capezzoli sopra la stoffa leggera della camicetta ed emise un lieve gemito nel sentirli indurirsi. «Se ti tocco è più facile...» Gli diedi uno schiaffetto leggero e gli presi il mento con forza fra due dita, conficcando le unghie nella pelle. Esteban s'irrigidì e chiuse gli occhi all'istante, poi spostò subito le braccia sopra il capo intrecciando le dita. La sua reazione fu come un potente afrodisiaco che scatenò in me un'eccitazione incontenibile. «Mi toccherai quando te lo permetterò» replicai, perentoria, con voce bassa e minacciosa. «Sì, mia dea.» «Sai quanto mi piace sentirtelo dire?» Lasciai la presa e leccai i segni a mezzaluna delle unghie per compensare. «Guardami.» Esteban obbedì senza indugio. Mi spostai e mi misi a cavalcioni della sua gamba per aderire con il sesso sulla coscia e fargli sentire quanto fossi bagnata attraverso il pizzo degli slip. Il suo pene ebbe immediatamente un sussulto. Mi umettai un dito con il lubrificante e glielo premetti contro la rosetta stretta dell'ano, sentendo i muscoli che si contraevano. All'inizio della nostra relazione avevamo subito messo le cose in chiaro e parlato esplicitamente di quello che ci eccitava e che non ci piaceva, dei rispettivi limiti, sia quelli superabili sia quelli irremovibili, delle rispettive esigenze e aspettative. Avevamo deciso le parole d'ordine per interrompere i giochi e stilato elenchi dettagliati per essere sicuri di non avere escluso nulla. Volevamo un accordo che ci soddisfacesse entrambi. Eravamo stati pragmatici, forse anche troppo razionali; d'altronde, la nostra non era una storia d'amore. Perciò sapevo fin dove potevo spingermi con Esteban. Non era la prima volta che giocavo con quella parte del suo corpo, ma era pur vero che fino a quel giorno non l'avevo mai stimolato con un oggetto, ma solo con le dita o la lingua. Esteban mi aveva confessato che una delle sue fantasie era quella di essere penetrato e io volevo accontentarlo. In apparenza il nostro rapporto poteva sembrare incentrato sulla soddisfazione dei miei desideri, in realtà l'obiettivo era quello di appagarci entrambi. Esteban voleva compiacermi e a me eccitava 13
sottometterlo, ma ciò che mi esaltava ancora di più era notare come lo stimolavano anche le piccole cose che gli facevo. Era gratificante vederlo accendersi e fremere di desiderio con il minimo gesto. Adoravo farlo venire; i suoi orgasmi erano un tributo che mi doveva e che meritavo per la mia capacità di farlo impazzire. Il vetro freddo del sex toy si era riscaldato al contatto con la mia mano. Gli graffiai leggermente l'interno delle cosce, gli feci il solletico ai testicoli con il tocco leggero dei polpastrelli prima di versargli del lubrificante sul pene e accarezzarlo. Mi fermai appena lui cominciò a muovere i fianchi per assecondare il ritmo del mio pugno chiuso che andava in su e in giù. Esteban trasalì. «Ti prego!» Gli pizzicai un capezzolo con forza e subito lui protese istintivamente il bacino verso la mia mano. «Sai che mi piace da impazzire sentirti parlare spagnolo, perciò cos'è che devi dirmi?» «Por favor» ansimò. Era disteso e con le gambe aperte; non si era spostato di un millimetro da quella posizione nonostante non fosse legato, perché non gli avevo dato il permesso di muoversi. Però sollevò i fianchi verso l'alto dando qualche spinta come se stesse mimando l'amplesso, finché non gli strinsi forte il pene alla base per bloccarlo. Con un luccichio nello sguardo, si passò la lingua lungo il labbro inferiore poi disse qualcos'altro in spagnolo. Le poche parole che conoscevo di quella lingua si limitavano a quelle che mi servivano per leggere il menu in un ristorante messicano e ordinare da mangiare. Non capii assolutamente cosa dicesse, ma non era importante; avrebbe potuto recitare una poesia o la lista della spesa, per me sarebbe stato uguale. Ciò che contava era l'effetto eccitante che i suoni avevano su di me quando uscivano dalle sue labbra, ed Esteban lo sapeva. In risposta alla sua provocazione, premetti di più il dito lubrificato sull'ano, provocandogli un altro sussulto. «È questo che vuoi?» «Oh, sì! Ti prego... Compláceme, por favor...» Gli mostrai l'oggetto di vetro. «È questo che vuoi?» ripetei. Esteban cercò di rispondere ma dalle sue labbra uscì solo un mugolio strozzato. Sorridendo gratificata, lo feci scorrere lungo la sua gamba e glielo posai per qualche istante sul ventre per fargliene sentire il peso. Il suo sguardo si velò all'istante per il desiderio, e mi rivolse un sorriso vacuo. 14
Conoscevo dominatrici che godevano nel vedere i loro schiavi piangere e gemere, agonizzanti. Io invece preferivo quando l'uomo che era in mio potere si contorceva e m'implorava di porre fine al suo tormento perché stava impazzendo di piacere, non perché gli stessi facendo male. Suscitare desiderio mi gratificava perché appagava un mio bisogno profondo che non ero mai riuscita ad analizzare né a comprendere appieno. Sapevo solo che mi piaceva, ed Esteban mi faceva provare le sensazioni che desideravo. Sapevo che sarebbe bastato accarezzargli il pene ancora un po' e sarebbe esploso nell'orgasmo, ma solo quando gliel'avessi concesso, e lì risiedeva il mio potere. Avevo il controllo del suo piacere; in quel momento, lo possedevo. In fondo, quale donna non si sarebbe sentita gratificata nell'essere considerata una dea? Sentivo il desiderio pulsarmi tra le gambe mentre spalmavo il lubrificante sull'oggetto di vetro e lo premevo leggermente contro l'ano. Esteban emise un sibilo e tese tutti i muscoli. «Apri» sussurrai, passandogli una mano sul pene in una carezza rassicurante. Il modello del sex toy aveva la forma perfetta per entrare agevolmente e la curva diretta verso il suo ventre gli stimolava la prostata con precisione anatomica. La base si allargava e terminava con una specie d'impugnatura che impediva d'introdurlo troppo profondamente e permetteva di tenerlo saldamente in mano per muoverlo avanti e indietro. Al primo affondo, Esteban emise un grido gutturale che poteva sembrare di dolore; tuttavia lo conoscevo bene e avevo imparato a decifrare la natura dei suoni che uscivano dalle sue labbra, perciò sapevo perfettamente che provava un lieve disagio ma che il piacere era più intenso del fastidio. Lasciai la presa e gli accarezzai nuovamente l'interno delle cosce, risalendo verso il pene ma senza toccarlo, poi mi piegai su di lui e gli bisbigliai all'orecchio: «Cosa vuoi?». «Darti piacere.» Sorreggendomi con una mano, con l'altra abbassai gli slip lungo le cosce e li sfilai, buttandoli via con un calcio, poi sollevai lentamente la gonna per mostrargli il sesso nudo, incorniciato dalle calze e dalle giarrettiere del reggicalze. Il pene di Esteban ebbe un piccolo sobbalzo sul ventre. 15
Se solo qualche anno prima mi fosse stato detto che un'erezione si muoveva da sola avrei riso e l'avrei ritenuta un'invenzione da letteratura erotica; invece ora sapevo benissimo che il pene aveva vita propria ed era in grado di sussultare e pulsare per l'eccitazione senza neanche essere toccato. «Voglio sentire la tua bocca su di me, Esteban.» Lui gemette e mosse i fianchi come se il suo pene stesse tentando di penetrare il vuoto. Ero sicura che il suo retto stesse serrando il cilindretto di vetro. Mi misi a cavalcioni sopra il suo viso, girandomi verso il suo pene, in modo da offrire il sesso alle sue labbra e alla sua lingua. Stavolta fui io ad annaspare e a gemere quando la bocca abile di Esteban cominciò a stimolarmi. Mi abbassai sfregandomi contro la sua lingua e appoggiai le mani sulle sue anche, protendendomi verso il pene. Leccai il glande, assaporando la goccia di umore vischioso che ne fuoriusciva, ma non lo presi in bocca. Volevo provocarlo ma stavo stuzzicando anche me stessa perché sapevo che avrei perso il controllo appena avessi cominciato a succhiarlo. Non lo rimproverai quando Esteban mi mise le mani sui fianchi. Mi piaceva che mi stringesse spasmodicamente, lasciandomi il segno. Ripresi in mano l'estremità del sex toy; mentre mi muovevo sopra Esteban, facendomi portare all'orgasmo dalla sua lingua, impressi al cilindretto una leggera pressione costante e ritmica, non avanti e indietro per penetrargli l'ano, ma contro la prostata per stimolarla. Esteban protese il pene verso di me e io ne accarezzai la punta con le labbra, ma mi fermai quando sentii la sua esclamazione sommessa. Dimenai il bacino per aumentare la pressione della sua lingua sul clitoride all'unisono con quella con cui gli stimolavo la prostata. «Senti...» dissi con il respiro leggermente affannoso. Non avevo più il tono severo e autoritario, avevo difficoltà a esprimermi, ma volevo che Esteban percepisse l'effetto che aveva su di me e capisse che mi stava dando piacere. «Lo senti?» «Sì, oh, sì!» Mi tirai su spingendo sull'anca di Esteban. Sentivo la solidità dell'osso sotto il mio palmo. Guardai il pene che aveva assunto una sfumatura intensa man mano che s'inturgidiva sempre di più, anelando a trovare sollievo dal tormento nell'orgasmo. Non 16
era circonciso, e per me era una novità affascinante. «Mi piace il tuo uccello» gli dissi in tono pragmatico mentre sfioravo il prepuzio che si era ritratto, scoprendo il glande lucido e violaceo. Mi sollevai di quel tanto che bastava perché dovesse stendersi per raggiungere la mia carne palpitante; ero già così vicina al piacere da voler prolungare ancora per qualche istante la tensione pulsante che precedeva l'orgasmo. «È bello, così grosso...» «È tutto tuo» dichiarò solennemente Esteban. Gli permisi di mentirmi perché volevamo entrambi fingere che fosse così. «Sono tuo, appartengo a te... Oh...» Pronunciò altre parole in spagnolo in tono appassionato; gli uscirono dalle labbra accompagnate da un sospiro che aveva il suono disperato e avido del suo desiderio. Fu ciò che mi serviva per abbandonarmi infine all'estasi. Mi riabbassai sulla sua bocca e lasciai che mi divorasse mentre ero sollevata in ginocchio e mi muovevo sulle sue labbra fino a venire, sorreggendomi con le mani aperte sul suo busto. Ero scossa dagli spasmi del piacere mentre Esteban mi teneva saldamente i fianchi. Il suo pene ebbe un fremito e lui emise un grido soffocato dalla mia carne; con la vista offuscata dal godimento osservai i getti vischiosi di seme che gl'inondavano il ventre. Venne senza che l'avessi toccato, e fu un'impresa che mi esaltò e mi proiettò verso un nuovo orgasmo così intenso da farmi girare la testa. Quando le contrazioni si acquietarono mi staccai da lui e mi distesi sul letto, languida e appagata. Rimanemmo immobili per qualche istante; il nostro respiro affannoso era l'unico suono udibile nella stanza benché io avvertissi anche il martellare cupo del mio cuore nelle orecchie. Esteban mi aveva poggiato una mano sulla gamba. Avevo la testa così vicina a lui che se l'avessi girata avrei potuto baciargli il lato del ginocchio. Mi alzai a sedere e presi dal comodino una salvietta che Esteban aveva preso dal bagno e messo vicino al letto prima del mio arrivo. Tirai fuori il cilindretto di vetro e lo avvolsi nell'asciugamano; ne usai un'estremità per pulire il ventre di Esteban, poi lo posai sul comodino. Infine mi girai e mi stesi accanto a lui, rannicchiata con la testa sulla sua spalla. Lui era nudo e io ancora tutta vestita, tranne che per gli slip. Gli misi una mano sul ventre caldo e ancora leggermente ap17
piccicoso, poi la spostai sul pene che si era afflosciato; l'intimità di quel momento mi aveva intenerita e avevo voglia di accarezzarlo. Gli baciai una spalla e chiusi gli occhi, avvolta dal suo profumo, sapendo che mi sarebbe rimasto sui vestiti. L'avrei portato su di me per il resto della serata finché non avessi fatto la doccia. Per il momento non volevo muovermi né togliermi dalla pelle il suo odore. Lui avrebbe fatto la doccia prima di andare via, come sempre, attento a non conservare addosso tracce del nostro incontro, mentre a me piaceva. Non gli avevo mai chiesto il perché; non volevo sentire la risposta che mi avrebbe dato. Sentimmo vibrare il suo cellulare sul comodino ma non lo guardammo. Lui mi accarezzò i capelli e mi strinse a sé; magari era un gesto insignificante, ma lo notai, oh, se lo notai! Aveva preferito abbracciarmi invece di rispondere alla chiamata, e per me non era cosa da poco. Però qualche secondo dopo che il telefono aveva smesso di vibrare, sospirò, mi baciò una tempia e annunciò: «Devo andare». Mi strofinai contro di lui; ero tentata di riprendere il mio tono autoritario, però la verità era che avrei potuto dargli ordini ma lui avrebbe fatto solo quello che avesse voluto. Perciò gli diedi un morsetto alla spalla, tanto per strappargli un sibilo, e mi staccai per farlo alzare. Andò a fare la doccia e, quando uscì dal bagno con un asciugamano avvolto intorno ai fianchi, frizionandosi energicamente i capelli, gli porsi nel palmo della mano aperta il mio ultimo dono. Esteban posò l'asciugamano e si sedette sul bordo del letto accanto a me, intenerendomi con le sue gote arrossate per la sorpresa. Prese lo stimolatore anale di silicone, simile a quello che avevo usato prima, ma più piccolo, sottile e leggero. Non mi guardò ma si appoggiò a me e nascose il viso contro il mio collo mentre io gli cingevo le spalle con un braccio. «Sei così buona con me!» mi disse. «Vorrei che pensassi a me nei giorni in cui non siamo insieme.» «Penso a te ogni notte prima di addormentarmi.» «Davvero?» Gli strofinai le labbra sulla guancia, compiaciuta. Quando feci per allontanarmi, lui mi tenne stretta a sé ancora per qualche secondo e io gli accarezzai i capelli, coccolandolo. 18
«Non voglio andarmene» bisbigliò. E allora resta, fu la risposta che mi venne spontaneamente alle labbra. Invece rimasi zitta, mi staccai da lui e gli presi la mano tra le mie. Non era la prima volta in cui gli assegnavo un compito da eseguire tra un incontro e l'altro, ma non avevo mai aggiunto un attrezzo da usare. «Portalo per me al lavoro» gli dissi stringendogli le dita intorno all'oggetto. «Non tutti i giorni, solo quando te lo chiederò.» Lui annuì, come sapevo che avrebbe fatto, poi fece quello che volevo da lui: mi disse di sì.
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Disposta a tutto di Laura Carter Lui è terribilmente ricco e bello, lei è una delle avvocatesse più promettenti di Londra. Quando si incontrano, tutto quello di cui hanno bisogno sembra essere una sala riunioni per discutere di un'acquisizione societaria ostile. Scarlett è una donna seria e ambiziosa, rispettosa delle regole, con una storia faticosa alle spalle... finché il milionario Gregory Ryans non irrompe nella sua vita. Se in principio sembra solo business, quando le labbra di quell'uomo così sexy si posano sulla sua pelle, ogni resistenza risulta vana. Scarlett non può reprimere i sentimenti che stanno nascendo dentro di lei e si scopre disposta ad assecondare tutti i desideri di quell'uomo, anche i più biechi. Gregory, però, non le ha detto tutta la verità: il suo passato rischia di schiacciare il loro promettente futuro insieme...
Vanilla di Megan Hart Elise sa cosa vuole a letto, e fa sempre in modo di ottenerlo. Da tempo ormai placa la sua sete di dominio con una serie di uomini ben felici di sottomettersi e inchinarsi davanti a lei. Ma la soddisfazione sessuale è ben altra cosa rispetto all'amore. Elise lo sa bene, in passato è rimasta scottata, avendo donato il proprio cuore avventatamente. Quando incontra Niall, l'intesa che prova è intensa ed elettrizzante. Quell'uomo è bello, intelligente e dolce come la vaniglia. Elise, nonostante i suoi tentativi, non riesce a impedirsi di amarlo. I gusti sessuali di Niall, però, sono molto lontani da ciò che lei cerca da un uomo. Come può funzionare una relazione dove entrambi gli amanti vogliono essere il partner più forte?
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Questo volume è stato stampato nel febbraio 2018 da CPI Moravia Books