Vita segreta di una gourmet

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JESSICA TOM

VITA SEGRETA DI UNA GOURMET traduzione di Silvia Arienti


ISBN 978-88-6905-122-7 Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Food Whore William Morow, an Imprint of HarperCollins Publishers © 2015 Jessica Tom Traduzione di Silvia Arienti Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2016 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione HC giugno 2016


Vita segreta di una gourmet


Dedica

Ed ecco che arriva una sontuosa fetta di foie gras, guarnita da sbaffi di confettura di cipolle e steli d'aglio arricciati e vaporosi come riso soffiato. Appoggiata su un lato, appare più alta dei suoi pochi centimetri. Vi affondi il coltello, dapprima lentamente. La consistenza è pastosa e, in un attimo, la lama viene risucchiata verso il piatto mentre osservi stupito il fois gras dividersi in due. Fuoriesce un liquido verde, ipnotico come lava. Coraggio, prendine una forchettata. Intingi il raffinatissimo foie gras nella crema di piselli. Raccogli anche gli elementi di contorno, e assaggia. Posa la forchetta sul bordo del piatto e rifletti: come può una portata dall'aspetto così puro ed essenziale regalare sensazioni talmente elettriche e stimolanti? Mi viene in mente una parola giapponese, Baku-shan. Una ragazza che di spalle sembra affascinante, ma vista da davanti si rivela sgradevole. Questo piatto non è affatto sgradevole, ma offre quel pizzico di turbamento, quella sensazione di timore misto a eccitazione, come quando la ragazza si volta e ti mostra la verità.


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Il ricevimento doveva essere informale e divertente, invece la tensione nell'aria era palpabile. Notai che alcune persone indossavano camici bianchissimi (i ricercatori), mentre altre sfoggiavano giacche di tweed (gli antropologi). Un piccolo gruppo, all'incirca della nostra età, portava pantaloncini e felpe con cappuccio (i fondatori di startup informatiche). Nella sala erano riuniti tutti i vari tipi di professionisti dell'industria alimentare, dai ristoratori ai produttori di cibi confezionati. Noi studenti cercavamo di accaparrarci i tutor migliori, come satelliti bisognosi di un pianeta attorno a cui ruotare. «Hai visto Helen?» chiesi a Elliott, che aveva già un impiego presso il giardino botanico di New York, nel Bronx, ma mi aveva accompagnato alla festa di benvenuto per solidarietà. Nonostante avesse partecipato con me a tre delle sue conferenze e fosse assolutamente in grado di riconoscerla, controllò di nuovo la fotografia di Helen prima di passare in rassegna la folla. «Helen... Helen... dove sei Helen?» disse tra sé, stringendo gli occhi. «Vuoi che faccia un giro? Ti mando un SMS se la vedo.» Senza aspettare un mio cenno d'approvazione, Elliott partì in perlustrazione. Il mio Elliott era così – buffo e gentile, sapeva farmi girare la testa anche solo standomi vicino. Un bravo ragazzo. 9


Ma non gli piaceva mangiare. Non rifiutava certo un buon pasto e non era affatto schizzinoso, niente del genere. È solo che il cibo non gli interessava. Se delle pietanze avessero cercato di comunicargli qualcosa, lui probabilmente si sarebbe gentilmente defilato dalla conversazione. Questo non vuol dire che non fosse sempre disposto ad aiutarmi. Stavo finalmente per iniziare il master dell'Università di New York in Scienza dell'Alimentazione ed ero pronta a tutto pur di lavorare con Helen. La commissione aveva già ricevuto la mia richiesta di tirocinio e in cinque giorni avrei scoperto la mia destinazione, ma forse – sottolineo forse – avrei potuto ottenere ciò che desideravo conquistandola durante questo ricevimento. Helen è una donna formidabile. I suoi articoli di critica gastronomica per il New York Times erano leggendari, ma vado matta soprattutto per i suoi libri di memorie e di cucina. Libera da vincoli giornalistici, la sua scrittura coinvolgente e intensa è in grado di catapultarti nel cuore di ogni ricetta e di ogni storia. Leggendo i suoi libri ti ritrovi seduto nella cucina azzurra della sua infanzia nel Massachusetts, soffri con lei per la sua breve storia d'amore con uno chef francese e condividi le sue fatiche di madre in carriera. Contavo di sedurla con dei biscotti Dacquoise di mia invenzione, preparati con anacardi, mandorle, noci e noci pecan. Ero certa che l'avrebbero convinta a prendere in considerazione la mia richiesta. Non erano infatti dei semplici biscotti. Proprio loro, tempo prima, mi avevano inaspettatamente avvicinata a Helen. Mio nonno si trovava in ospedale per gravi disturbi cardiaci e polmonari. Per un mese mia madre aveva lavorato di notte per poter trascorrere le giornate con lui. Mio padre, dopo il lavoro, andava a farle compagnia e a tranquillizzarla. 10


Tutti i giovedì prendevo il treno da New Haven fino a New York, poi cambiavo in direzione di Yonkers. Di lunedì tornavo al campus, ogni volta più sconsolata. Il viaggio era sopportabile, però detestavo un'infermiera scortese e negligente, a causa della quale le lenzuola del nonno erano ruvide e troppo corte. Ma ciò che mi sconvolgeva davvero era il cibo, decisamente inappropriato per un ospedale: pollo e patatine fritte, hamburger, insalata con bacon e salse di ogni tipo. Il nonno aveva sempre avuto un debole per i dolci e mi addolorava vederlo mangiare torte e biscotti confezionati e pieni di conservanti. Tornata al campus, inventai quindi i miei personali biscotti Dacquoise, a base di meringa, che il nonno avrebbe adorato. Cucinavamo insieme da quando ero una bambina, ma questa creazione era diversa dalle altre. È stata l'ultima cosa che ha mangiato. Elliott mi aiutò a prepararli per il funerale e, in seguito, mi spinse a condividere la mia storia e la mia ricetta con il giornale dell'università, lo Yale Daily News. Raccontai una delle nostre ultime sessioni culinarie, proprio prima che partissi per il college. In quell'occasione, il nonno mi insegnò a preparare il poulet aux noix de cajou, il pollo con anacardi del suo natio Senegal. Prendemmo il treno fino a Little Senegal, una piccola comunità nel cuore di Harlem, e comprammo anacardi non sgusciati, impossibili da reperire altrove perché i gusci contengono sostanze irritanti simili a quelle dell'edera velenosa. Facemmo fuoriuscire i fluidi tossici e li sgusciammo a mano. Avremmo potuto prendere delle scorciatoie, ma scegliemmo la procedura più lunga. Terminai l'articolo con la ricetta dei miei biscotti Dacquoise. Comprai le noci e ritornai a Little Senegal per gli anacardi. Io ed Elliott li lavorammo per eliminare la tossicità, li sbollentammo, li lasciammo in ammollo e poi li to11


stammo. E questa era solo la preparazione degli anacardi. Anche per le meringhe il processo fu faticoso. Ci vollero otto ore di cottura, ma ogni passaggio mi faceva sentire più vicina al nonno. È stato in assoluto il pezzo più personale che abbia mai scritto. Fu pubblicato nella primavera del mio secondo anno di università e suscitò molta curiosità. I redattori del giornale mi affidarono la rubrica di cucina, per la quale inventai ricette originali legate alle mie esperienze di vita. Mi piaceva. Un mese prima della pausa estiva, il New York Times mi contattò per un'intervista. Mi dissero che Helen Lansky si era imbattuta per caso nella mia rubrica e che la mia scrittura le ricordava la sua. Rimasi senza parole. Helen era il mio idolo e avere la sua approvazione cambiò la mia vita. L'idea era di raccontare varie esperienze tra cui la mia, ma alla fine divenni l'argomento principale dell'articolo. Pubblicarono perfino la ricetta dei miei biscotti Dacquoise e Helen scrisse una nota: Queste creazioni sono un gesto d'amore. Alcune persone scrivono. Altre sanno cucinare. Poche, come la signorina Monroe, sentono l'urgenza di fare entrambe le cose: raccontare una storia attraverso il cibo. Fino a quel momento mi sentivo persa, non sapevo che direzione prendere. Ma, leggendo le sue parole, ebbi un'illuminazione: cibo e scrittura. Helen Lansky. Incrementai la frequenza della rubrica a due volte alla settimana, e passai le mie estati a lavorare per il New Haven Register. Non tornavo quasi mai a casa, anche se i miei genitori non abitavano molto lontano. Il giorno prima della festa di benvenuto, io ed Elliott avevamo sfornato una teglia di biscotti, la cui ricetta era col tempo giunta all'apice della perfezione: morbidi e croc12


canti al tempo stesso, grazie a un fragile guscio che si manteneva intatto per circa diciotto ore prima di cedere all'umidità. In quel momento, tenevo stretto il contenitore, il mio orgoglio e la mia garanzia di successo. «Ehi» mi disse un ragazzo alto e robusto mentre scandagliavo la stanza alla ricerca di Helen. «Stai cercando qualcuno?» Con il suo faccione rosso e la camicia a quadri di flanella sembrava arrivasse dal Polo Nord, anche se fuori faceva caldissimo. «Già» risposi. «Conosci Helen Lansky? Curava la rubrica gastronomica per il New York Times e per un certo periodo ha lavorato anche come critica. Ora scrive libri di cucina...» «Helen! Certo che conosco Helen!» Sembrava al tempo stesso offeso e divertito. Questo era il master di Scienza dell'Alimentazione e i partecipanti erano persone preparate. «È strano che non sia ancora arrivata, vero?» continuò. «Il suo stile è così impeccabile e preciso. Mi aspettavo che fosse una persona super puntuale.» Annuii. «Anch'io. Spero che arrivi presto. Sai per caso come vengono assegnati i tirocini?» Sollevò entrambe le mani davanti a sé. «Non saprei. L'intera procedura è come una scatola nera. Ho sentito un ragazzo dire che la selezione è più casuale di una lotteria. Vogliono sottoporre gli studenti a stimoli diversi. Ma la sorella di un mio amico ha ottenuto la sua prima scelta e ora insegna all'Università della California.» Scrollò le spalle ed entrambi sospirammo. Non rimasi certo sorpresa. Solo un ingenuo può pensare che la vita a New York sia facile. «Be'... io sono Kyle Lorimer» disse il ragazzo. Allungò una mano calda e morbida come del pane appena sfornato. Si dondolò sui talloni come se fosse alla fermata del treno che portava a Helen Lansky e non potesse fare altro che aspettare. 13


«Tia Monroe» risposi prima di congedarmi. Sembrava simpatico, ma non intendevo distrarmi in un momento così cruciale. Avevo occhi solo per Helen. Scrissi un SMS a Elliott: Ancora niente? Dato che non c'era campo, mi diressi verso l'uscita. Quando finalmente l'SMS partì, la vidi dall'altro lato della strada: una donna minuta, con indosso una giacca di seta verde lime e dei pantaloni di velluto. I suoi folti capelli neri erano raccolti sulla nuca. Aveva un aspetto a metà tra una concubina esotica e una zia zitella. Camminai verso il marciapiede, raggiante. Era la situazione ideale. Avrei potuto farmi notare prima che la folla di studenti l'aggredisse. Mentre attraversavo la strada, mi resi conto però che non era da sola. Un uomo esile dall'aria elegante e malaticcia le stava di fronte. Helen, sulle punte, lo stava rimproverando. Infastidita, mi bloccai. Cosa dovevo fare adesso? Quest'uomo era letteralmente tra i piedi! Mi avvicinai furtivamente. I loro volti erano ora a poca distanza e le loro parole perfettamente udibili. Immaginai che l'uomo si accorgesse di me e che Helen si sarebbe quindi voltata. Ma non accadde. Rimasi lì imbambolata, con un sorriso sempre meno convinto sulle labbra. Non era mia intenzione origliare, ma dovevo rimanere vicina per trattenere Helen non appena avesse finito di parlare con quell'uomo. «Non essere irragionevole!» strillò Helen. «Voglio solo aiutarti, impedendoti di fare qualcosa di cui potresti pentirti. Mi sta a cuore il tuo futuro, anche se a te non interessa.» Avanzai ancora di un passo, tendendo le orecchie. Di cosa stavano parlando? «Aiutarmi, Helen? Non mi risulta di avere bisogno di aiuto» sbuffò l'uomo. 14


«Be', per me è sempre più evidente dalle tue parole e dal tuo aspetto. E ora perché mai vuoi partecipare a questo ricevimento? Ci saranno il direttore del Madison Park Tavern e molti altri professionisti del settore. Ognuno di loro potrebbe riconoscerti.» Pronunciò ad alta voce le ultime parole, poi abbassò il tono e inspirò. Quando parlò di nuovo, sembrava tesa, come se fosse sul punto di scoppiare in lacrime. «Michael» udii a malapena attraverso i rumori della strada, «sei il critico gastronomico del New York Times. Non si tratta di un gioco.» Non potei fare a meno di sussultare e inciampare nei miei stessi piedi. Michael. Michael Saltz, l'attuale critico del New York Times. Il successore di Helen, a parte qualche figura di passaggio. Per alcuni, era la persona più temuta di New York, l'uomo che aveva il potere di determinare il successo o la fine di ogni ristorante della città. Ero elettrizzata. Certo, Helen era stata il suo capo quando aveva lavorato al New York Times, ma lui era un critico che viveva nell'anonimato e questo conferiva alla mia scoperta un sapore di proibito. Voleva partecipare al ricevimento? Non c'era da stupirsi che Helen fosse così turbata. Non era un posto adatto per un critico del suo calibro che teneva a mantenere nascosta la sua identità. Era come se un pentito festeggiasse con i suoi ex compagni di galera. Perché correre questo rischio? Mi feci ancora più vicina. Erano così assorti nella loro conversazione, che non pensavo mi avrebbero notato. Non mi avevano prestato attenzione fino a quel momento. E invece... Michael Saltz distolse lo sguardo da Helen e si soffermò su di me. Fu una frazione di secondo, sufficiente però perché capisse la situazione. 15


In quel momento, un autobus lasciò scendere dei passeggeri, impedendomi la visuale. Cercai di non perdere di vista Helen, finché mi sentii sfiorare il gomito. Sollevai lo sguardo e vidi Michael Saltz. Helen era scomparsa. «Ehi, ciao» disse. Aveva un lieve difetto di pronuncia, che non si sforzava di nascondere. «Sembra proprio che tu abbia perso l'autobus.» «Già, è vero!» Sorrisi e assunsi un'aria il più tranquilla possibile, considerato che ero stata sorpresa a origliare una conversazione che sapevo bene essere privata. «Cioè, volevo dire, no. Lo stavo aspettando, ma poi mi sono ricordata che dovevo rimanere qui per un... impegno.» Non volevo fargli sapere che ero allo stesso ricevimento a cui Helen gli aveva sconsigliato di partecipare. Sfortunatamente, abbassò lo sguardo sul tesserino dell'università sul quale comparivano tutti i miei dati: Tia Monroe, Yonkers, NY, Yale, critica gastronomica e antropologia culturale. «Dunque, Tia, sei diretta al ricevimento laggiù, vero? Vedo che sei al primo anno del master, che hai frequentato Yale e che sei una scrittrice.» «Sì, signore» ammisi. «Sai chi sono io?» Era un uomo dall'aspetto strano. I suoi zigomi erano sporgenti e nodosi. Indossava un impeccabile completo da uomo – fodera di seta, bottoni di pelle, motivi scozzesi e cuciture perfette. Ma qualcosa non tornava. Che senso aveva portare un abito su misura così abbondante da farti sembrare un clown? «Lei è...» Mi guardai intorno nuovamente alla ricerca di Helen, ma il marciapiede era deserto. «Coraggio, lo puoi dire.» «Lei è Michael Saltz, il critico gastronomico del New York Times» risposi. Voleva che dicessi la verità e l'accontentai. Cos'altro avrei potuto fare? Annuì solennemente. «Proprio così, hai fatto centro.» Non mi sentii lusingata da queste parole. Dal suo tono 16


sarcastico, si capiva che non avrebbe voluto essere smascherato. Ma c'era da dire che non era stato molto discreto. «E stai portando questi... biscotti... al ricevimento?» domandò, accennando con lo sguardo al contenitore di plastica che custodivo sotto il braccio. «Ecco, sì» risposi. «Sono i miei biscotti Dacquoise alle noci. Si può dire che sono la mia specialità...» «Oh!» esclamò Michael Saltz. «Quei biscotti Dacquoise? Da quanto mi ricordo, è stata la ricetta più cliccata per tre mesi di fila. Non creata da un professionista, bensì da una talentuosa studentessa del college di nome...» I suoi occhi si illuminarono e si riposarono sul mio tesserino. «Tia Monroe. Stavo proprio cercando qualcuno come te. Quindi tu sei il prodigio di cui si è tanto parlato, giusto?» Stava cercando qualcuno come me? Cosa voleva dire? «Oh, non so se mi definirei così. Inoltre, quell'articolo è uscito ormai da molto tempo.» Mi sentii in dovere di rispondere con umiltà, anche se in realtà non mi stancavo mai di sentirmelo dire. Le mie creazioni erano sempre state un affare privato, ma, dopo l'articolo, avevo vissuto il mio momento di gloria. Ero stata sommersa da e-mail di lettori che mi chiedevano altre ricette, ed ero stata perfino invitata da un'emittente locale a cucinare dal vivo. Ma a poco a poco avevo smesso di ricevere messaggi. L'apparizione in TV non aveva rinvigorito la mia notorietà e la gente si era dimenticata di me. Da quel momento avevo dedicato ogni momento libero alla scrittura, sacrificando la mia vita privata, con la certezza che l'articolo che stavo scrivendo sarebbe stata la scintilla che mi avrebbe riportato alla ribalta. Di tanto in tanto ricevevo un'e-mail o un tweet che davano un senso alle mie giornate. Ma, a parte questo, solo il silenzio. Avevo continuato comunque per questa strada. New Haven, le lezioni, gli articoli per il 17


giornale, la speranza di un futuro. Sentire ora che Michael Saltz si ricordava di me... mi lasciò senza fiato. Era una sensazione ancora più elettrizzante perché, nonostante fossero passati anni, una persona illustre come lui mi aveva riconosciuto. «Lasciami indovinare. Vorresti lavorare come tirocinante per un blog? Il Globber? Il Diner Nation?» «No» risposi. «Non mi interessano i blog. Voglio scrivere libri di cucina e mi piacerebbe affiancare...» «Helen! Ora capisco. Ovviamente il piccolo prodigio desidera diventare la tirocinante di Helen. Da quel che ricordo, le piaceva sia la tua scrittura sia la tua ricetta. Era lei a dirigere la rubrica gastronomica quando finisti in prima pagina, vero?» Chiuse gli occhi e agitò le mani davanti a sé, come l'indovino che avevo visto due isolati più avanti in Sullivan Street. «C'era anche una foto che ti ritraeva seduta in sala da pranzo con una ciotola di ciliegie.» Bingo. Le sue parole mi scaldarono il cuore e mi godetti quel momento. Non era una persona esattamente piacevole, ma aveva un tono persuasivo e leggermente insistente. Mi resi conto che stavo perdendo minuti preziosi. Avevo la possibilità di parlare con Helen prima che i tirocini venissero assegnati e non potevo sprecare altro tempo. E tuttavia, lui riprese a parlare e io ad ascoltare. «Fantastico!» continuò. «Starai pensando che sia merito di Helen, è così? Fammi indovinare... sei fresca di college. Yale, nientemeno. Dopo quell'articolo, credi di dovere tutto a lei, il nostro impavido direttore di quegli anni. Ma non sai niente di come funzionano le cose nel mondo reale.» Rise, beffardo. Io invece non mi divertivo affatto. Mi vennero in mente i discorsi dei miei genitori. Erano appassionati di cucina, era il loro modo di veicolare le emozioni. Tuttavia, pensavano che il mio corso di studi fosse poco concreto. Avevo 18


comunque deciso di andare avanti per la mia strada. Inoltre, Michael Saltz stava cercando di farmi sentire come una ragazzina che segue il suo idolo d'infanzia senza avere nessuna esperienza del mondo. Forse aveva ragione, ma non mi importava. Ci sono delle cose che lasciano il segno. Helen era il mio mito. Aveva fatto comparire il mio nome sul New York Times. Era stata lei ad aiutarmi a scegliere il mio percorso. «Ma... dei biscotti?» riprese, non vedendomi reagire. «Credi davvero che in questa città si ottenga qualcosa con dei semplici biscotti? No, devi pensare a qualcosa di meglio.» Afferrò il contenitore e sollevò il coperchio. Proprio in quel momento, gli scivolò dalle mani e i biscotti caddero per terra. Una mattinata passata a scovare i migliori ingredienti, un pomeriggio a cuocere quattro tipi di noci, una notte a infornare cinquanta biscotti per poi selezionarne solo i dodici meglio riusciti. Tutto per niente. Con un solo gesto aveva rovinato i miei piani. «Perché l'ha fatto?» gridai e mi precipitai a raccoglierli, ma si erano sparsi sul marciapiede sporco. Pensai subito a un piano B. Ripulirli? Prepararne altri e spedirglieli? In entrambi i casi, la prima cosa da fare era allontanarsi da Michael Saltz. «Oh, mi dispiace terribilmente» si scusò, anche se non sembrava affatto addolorato. Feci per voltarmi, certa di non voler parlare mai più con questo psicopatico, ma lui mi venne dietro. «E dimmi» ricominciò. «Da quanto mi ricordo, questi preziosi biscotti Dacquoise sono molto impegnativi. Quanti tipi di noci hai usato? Tre? Quattro?» Lo trafissi con lo sguardo. Li aveva fatti cadere per terra e ora voleva sapere come li avevo preparati? «Quattro» risposi. «E le ho sgusciate una per una.» «Anacardi non sgusciati? Come diavolo ci sei riuscita? Appartengono alla stessa famiglia...» 19


«... dell'edera velenosa, lo so. Il mio ragazzo mi ha aiutato a fare fuoriuscire i liquidi tossici» dissi infuriata, «e ora dobbiamo rifarlo daccapo a causa sua. Ma prima devo parlare con Helen... senza biscotti, grazie a lei.» Stavo per andarmene, quando Michael Saltz mi si parò davanti. Io stavo sul marciapiede, mentre lui aveva un piede in strada. Un taxi gli si accostò così vicino che temetti lo investisse. «Scusa ancora, sono stato uno sciocco. Ma è chiaro che, oltre a essere una cuoca e una scrittrice provetta, desideri davvero lavorare con Helen. Ho ragione?» Mi girai dall'altra parte, impaziente che il semaforo dei pedoni diventasse verde, ma lo guardai con la coda dell'occhio. Non aveva intenzione di desistere, rimase immobile anche quando un'altra auto si fermò a pochi centimetri da lui. «Sì» ammisi. «Faresti qualsiasi cosa per lei?» Finalmente scattò il verde. Scesi dal marciapiede e dissi: «Sì, è così». Attraversai la strada e mi guardai intorno per controllare se Michael Saltz mi stesse seguendo. Ma era rimasto fermo nello stesso punto, con un ghigno inquietante sul volto. Non appena misi piede nell'ingresso, Elliott mi corse incontro. «Tia, eccoti finalmente!» esclamò, senza fiato. «È arrivata qualche minuto fa. Andiamo! Le stanno già tutti intorno! Ho cercato di mandarti un SMS, ma...» Non c'era tempo di raccontare a Elliott di Michael Saltz. Ci affrettammo a ispezionare la stanza, ma non c'era traccia di Helen. «L'abbiamo persa?» mi chiese Elliott, sinceramente dispiaciuto. 20


Intravidi Kyle e corsi da lui, alla ricerca disperata di informazioni. Ero stata a tanto così da Helen, perché diavolo avevo sprecato tutto quel tempo con Michael Saltz? «Hai visto Helen?» chiesi, ansante. «Oh, ciao» disse Kyle. «Sì, è stata qui per cinque o dieci minuti, poi se n'è andata. Sono riuscito a scambiare con lei solo poche parole.» «Le hai parlato?» «Già... voglio fare il tirocinio con lei, quindi certo che le ho parlato. Molti l'hanno addirittura sommersa di regali. Tu le hai parlato?» La domanda fu come un colpo basso. No, non le avevo parlato e forse non l'avrei mai fatto. Avevo bruciato la mia occasione? Salii alcuni gradini per avere una visuale migliore della sala. Era ancora piena di gente, ma mancava l'unica persona che desideravo vedere. Sentii un colpetto sulla gamba. Abbassai lo sguardo e vidi Elliott, con un'espressione seria e diffidente dipinta sul volto. «Ehi» disse, «stavo chiedendo in giro notizie di Helen e questo signore mi ha detto di sapere dove trovarla.» Fece un cenno verso Michael Saltz, che mi scrutava con occhi da predatore. «Tia!» vorrei farmi perdonare per l'incidente di poco fa. Ti metterò in contatto con Helen. Mandami la tua richiesta di tirocinio. Mi assicurerò che Helen la legga e ne parli con la commissione.» Tirò fuori una biro, scarabocchiò un generico indirizzo e-mail e porse il bigliettino a Elliott. «Devo andare adesso, ma mi rendo conto di non essermi ancora presentato. Sono Paul.» «Piacere, Elliott» disse rispondendo alla stretta di mano. Con l'altro braccio, mi cinse la schiena come a dire: non ti preoccupare, ti proteggo io da questo strano personaggio. Ne fui sollevata. Allo stesso tempo, ero stupita dalla tenacia di Michael Saltz. Era entrato nonostante la mia sfu21


riata e nonostante Helen gli avesse sconsigliato di partecipare al ricevimento. Mi sentivo anche un po' lusingata. «E, Tia» aggiunse Michael Saltz, rivolgendosi nuovamente a me, «è stato un piacere.» Allungò una mano e, non appena gli porsi la mia, serrò la presa e si chinò avvicinando le sue labbra secche e fragili. Rabbrividii sentendo il suo naso freddo sfiorarmi il polso. Elliott mi afferrò il braccio libero e mi trascinò via. Mi voltai e vidi Michael Saltz salutarmi con un sorrisetto. «Ehm, scusa per averti portato quel tipo viscido. Chi diavolo era?» «Era...» Il cuore mi martellava nel petto così forte che riuscivo a malapena a respirare. Cosa gli potevo dire? Era il critico gastronomico del New York Times. Un amico ostinato di Helen. Uno che si era imbucato al ricevimento. Un uomo dall'aspetto esile e malaticcio che mi inquietava, mi indispettiva e – a essere sincera – mi affascinava. Era colui che avrebbe segnalato a Helen la mia richiesta di tirocinio. Ma cosa ci guadagnava in cambio? Non riuscendo a inquadrarlo, per prendere tempo ricalcai la sua bugia. Era chiaro che non aveva voluto rivelare la sua identità a Elliott e decisi di reggergli il gioco. «Si chiama Paul.» Elliott tirò un sospiro di sollievo, come se la mia risposta spiegasse tutto. «Bene, meno male che ci siamo liberati di lui.» Feci un cenno di approvazione, ma sentivo ancora il bacio di Michael Saltz sulla mia pelle. Io ed Elliott avevamo programmato di fare un giro del nostro quartiere alla ricerca di buoni ristoranti. Ma, dopo quel disastroso ricevimento, non avevo voglia di socializzare. Così, m'inventai una scusa e rimasi nel mio appartamento a riflettere. 22


La mia richiesta di tirocinio era ormai spedita. Volevo iniziare l'anno con il piede giusto e lavorare con Helen. Col senno di poi, mi rendevo conto che avevo colto molte occasioni d'oro al liceo e al college. Ma, dopo quell'articolo sul New York Times, ero rimasta ferma ad aspettare che la fortuna bussasse alla mia porta. Mi ero dedicata con tutto il cuore a quella rubrica seguita solo da una manciata di persone. E avevo creduto di ottenere un tirocinio così ambito con dei biscotti. Anche se non volevo ammetterlo, Michael Saltz mi aveva messo la pulce nell'orecchio. Dovevo rimboccarmi le maniche. In tutti quegli anni di studio, il mio unico pensiero era stato quello di lavorare con Helen. Perché avrei dovuto lasciare il mio futuro nelle mani degli altri quando avevo la possibilità di dare una spinta al destino? Non mi esaltava l'idea di accettare l'aiuto di uno sconosciuto stravagante e misterioso, ma avevo deciso che non potevo più stare con le mani in mano ad aspettare. Ero a New York, una città dove se non sgomiti, vieni schiacciato. Non potevo permettere che accadesse. Tirai fuori dalla tasca l'indirizzo e-mail di Michael Saltz. L'aveva annotato sullo scontrino di un ristorante, il Sargasso. Il totale: seicentosei dollari. Ogni voce descriveva con poche parole piatti elaborati: terrina di frattaglie, risotto di segale, bignè di papaya. Era una dimensione diversa da quella di Helen. Sulla mia mensola riposavano quindici dei suoi libri e nessuno di loro menzionava il risotto di segale. Di cosa sapeva? Digitai l'indirizzo e-mail – una sequenza casuale di lettere e numeri – premendo i tasti uno per uno. Mi limitai a un messaggio breve e conciso, con la sensazione che fosse un gesto sbagliato e poco corretto: Buongiorno – Le allego la mia richiesta di tirocinio. Grazie. Mi faccia sapere se 23


Helen ha bisogno di altre informazioni. Ripensandoci, cancellai l'ultima frase. In fondo era lui quello che mi stava facendo un favore. Mi faccia sapere se posso fare altro per lei. Premetti il tasto invio. Non ho mai capito perchÊ scelse proprio me. Forse aveva intuito dai miei biscotti che ero disposta a tutto. Oppure da quella frase – se posso fare altro per lei – gli era parso chiaro che sarei stata alle sue regole se mi avesse promesso di avvicinarmi a Helen. Non rispose a questa e-mail, ma in seguito mi scrisse dal suo indirizzo personale.

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