ć›¸é “ La via della calligrafia 1
A cura di Marta Citterio Elena Nironi
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書道 La via della scrittura · A cura di Marta Citterio Elena Nironi
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Indice · La calligrafia
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· La pratica
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· Gli strumenti
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· La carta
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· Sigillografia
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· Le origini
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· Le cinque forme · Kana
· Il Sutra del cuore
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Shodō · · · Shodō è l'arte giapponese della
calligrafia. Questa arte è una forma espressiva profondamente spirituale che ha una tradizione di centinaia di anni e che ha caratterizzato la vita delle persone per centinaia di anni in tutta l'Asia. Non si tratta solo di un semplice esercizio di bella scrittura ma è una delle piu' antiche e importanti forme d'arte di tutto l'Oriente.
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La calligrafia
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L
’ uso del termine occidentale “calligrafia”, l’arte della bella scrittura, non riesce ad esprimere correttamente il significato della pratica legata alla scrittura in Estremo Oriente.
Il carattere 道 viene usato in numerose occasioni per contraddistinguere la pratica di un’arte, che richiede un impegno costante e che in diversi modi può assumere le caratteristiche di un “percorso” che conduce, tramite un perfezionamento tecnico, a un affinamento interiore dell’individuo.
Nella lingua cinese anticamente veniva usato semplicemente il termine shu che significa “scrittura”, al pari di come noi ci esprimiamo quando parliamo di pittura, musica, danza, ecc.
Dō è anche il carattere che indica il dao (tao), la via, cioè il processo di mutamento e di divenire di tutte le cose su cui si basa la filosofia taoista.
In seguito esso venne abbinato a un altro carattere che diede vita al termine composto shufa che significa “arte della scrittura”: · shu – scrivere · fa – metodo / arte di fare
Questo termine, in Giappone, venne applicato, soprattutto dal XIX secolo, a numerose arti tradizionali in conseguenza agli influssi che ebbe in particolare il buddhismo sulla loro pratica, intesa come “percorso”: kendō 剣道 (“scherma”), judō 柔道, kyūdō 弓道 (“tiro con l’arco”), chadō 茶の湯 (anche definita cha no yu “cerimonia del tè”), ecc.
書 + 法 In Giappone per la medesima pratica viene invece usato il termine shodō che, tradotto, assume il significato di “via della scrittura”: · sho – scrittura · dō – via / percorso
書 + 道 A sinistra Foto di Flavio Gallozzi
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"La virtù splende, l'abilità non è importante" Maestro zen Hakuin Ekaku Zenj
Un ritratto del “cuore”
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La via, o l’arte della scrittura, costituisce in ogni caso un insieme composto da: · nozioni e conoscenze storiche, stilistiche, formali, ecc. · un processo d’apprendimento e di applicazione di tecniche. La pratica permette e favorisce: · l’espressione degli stati d’animo, dei sentimenti · l’affinamento della sensibilità e il perfezionamento di sé, la collaborazione e l’instaurarsi di corrette relazioni sociali e di lavoro.
In alto Enso (Nel Buddhismo Zen si pensa che il carattere dell'artista e la sua indole siano pienamente rivelati dal modo in cui disegna un Enso. Solo una persona che è mentalmente e spiritualmente completa può disegnare un vero Ensō.) Nella pagina a destra Lezione di Aikido, foto di Jonas Ahlberg
L’azione del pennello converte in segni i gesti del calligrafo. Questi segni possono essere decisi o incerti, veloci o lenti, sottili o spessi, ma contengono sempre una forza che tradizionalmente viene definita il qi/ki 氣 (traducibile approssimativamente in “energia vitale”). Questa forza circola nei singoli segni e nei rapporti che s’instaurano tra di loro. Scrivendo un carattere si fornisce la rappresentazione di un’idea, ma tracciandolo in calligrafia si tende a trasmettere soprattutto la relazione che s’instaura tra il qi/ki del calligrafo e la circolazione del qi/ki che il carattere possiede. Volendo esprimere in altri termini questo concetto si può dire che l’istantaneità della calligrafia permette di registrare un ritratto del “cuore” del calligrafo. Sulla carta viene tracciato un percorso che sgorga dalla sua interiorità.
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Cosa scrivere?
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Una parola, una frase, una poesia, una preghiera, ecc. Ciò che importa è riuscire a trasmettere lo spirito, il senso, l’emozione o cosa si vuole, sul foglio, di modo che le parole colpiscano gli occhi, lo sguardo di chi le osserva. Lo Shodō è una arte antica che si pratica con strumenti tradizionali, è tuttavia sempre aperta a qualsiasi possibilità di arricchimento dello spirito e di espressione. Rimangono immutati i suoi principi.
Nella pagina a destra Foto di Flavio Gallozzi
Sembra che il grande maestro di calligrafia Wang Xi Zhi ( 303-361) 王羲之 , riferendosi al metodo con cui impugnare il pennello, abbia detto: “se intende scrivere un tratto, una linea, una curva, sia nello stile regolare che nel corsivo devi scrivere con tutta la tua forza” . La simmetria è abbandonata per realizzare una prospettiva spaziale con più fuochi. Si ricerca l’equilibrio nell’irregolarità e nell’asimmetria.
Anche quando i tratti del pennello e caratteri sono organizzati in posizione apparentemente sbilanciate, tuttavia c’è uno scheletro stabile che lega ogni elemento e ne costituisce l’armonia. Una altro calligrafo e poeta, He Shao Ji 何紹基 (1799-1873), diceva: “lo spirito deve essere tondo ed il principio con cui si scrive è il cerchio”. Ed infatti i gesti del calligrafo si compiono su percorsi circolari, senza soluzione di continuità, immediati e ritmati.
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Processo di preparazione e disegno di Enso. Lo Shodo come meditazione. Video di Paul Foxton
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La pratica
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La posizione di scrittura
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Durante la scrittura il corpo deve essere il più libero possibile e deve partecipare interamente all’esecuzione; a tale scopo la posizione che si assume è molto importante. Nella posizione seduta di scrittura il foglio, posto di fronte al calligrafo, deve trovarsi alla giusta altezza (poco al di sotto dell’ombelico) per evitare di dover sollevare eccessivamente il braccio che non deve appoggiare sul piano di scrittura. Il busto deve stare eretto, ma non essere rigido, per favorire una regolare respirazione. Quando si eseguono calligrafie su fogli di piccole o medie dimensioni in genere si lavora al tavolo, seduti per terra (in “seiza” o a gambe incrociate), su una sedia, oppure stando in piedi.
Le calligrafie di grandi dimensioni vengono generalmente eseguite stando in piedi con il foglio posato su un tavolo o sul pavimento; è soprattutto in queste occasioni che interviene un’intera partecipazione del corpo nel gesto esecutivo.
L’impugnatura del pennello Il pennello va usato sempre in posizione verticale, badando costantemente al controllo della posizione della sua punta. Secondo la tecnica tradizionale il manico va impugnato circa a 4 cm dall’attaccatura delle setole, o più in alto, con il pollice e l’indice contrapposti; quindi si posano il dito medio sotto l’indice e le altre due dita dalla parte del pollice.
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Il pennello non va stretto in modo rigido, ma deve essere tenuto con fermezza per permettere all’intero corpo, tramite il braccio, di trasmettergli i propri impulsi. La mano libera va appoggiata sulla carta in modo da contribuire a modulare la pressione da imprimere alla punta del pennello. Nella pagina Foto di Flavio Gallozzi
I tratti: le “entrate” e le “uscite” In calligrafia un singolo segno, o tratto, eseguito dal pennello è composto da tre parti o momenti esecutivi: · un’entrata costituita dal momento in cui il pennello viene abbassato e entra in contatto con la carta. · uno sviluppo costituito dallo spostamento del pennello verso la direzione d’arrivo; con esso vengono definiti lo spessore del tratto, la sua regolarità, il dosaggio d’inchiostratura in relazione alla velocità esecutiva; · un’uscita consistente nello staccarsi del pennello dalla carta, determina il profilo dell’estremità finale del tratto. 22
In generale esistono due tipi di entrate e di uscite, quelle nascoste (o indirette) e quelle dirette. Le prime sono volte a nascondere la traccia che lascia la punta del pennello quando tocca la carta e, nella forma di scrittura kaisho 楷書, si eseguono appoggiandolo in direzione opposta a quella del tracciato che dovrà seguire il pennello (questo vale per le entrate, nel caso delle uscite l’operazione viene invertita). Secondo la tecnica adottata ne conseguono dei profili arrotondati (usati nella forma tensho 篆書) o più angolati (nel kaisho e nel reisho 隷書).
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In alto Carattere di "ShodĹ?" NElla pagina a sinistra calligrafo intento nella ShodĹ?
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Le entrate dirette vengono invece applicate prevalentemente nelle forme di scrittura corsiva o corrente e lasciano una traccia abbastanza evidente della punta del pennello. L’esecuzione delle varie parti di un carattere deve rispettare un preciso ordine compositivo, che in buona parte è determinato da motivi pratici legati al percorso che deve seguire il pennello nell’esecuzione. Esistono diverse classificazioni dei tratti che compongono i caratteri; qui ne viene presentata una serie che li raggruppa in otto tipi fondamentali con le loro varianti, per un totale di 38 tratti suddivisi in: · punti (dian) · tratti ascendenti da sinistra verso destra (tiao) · tratti orizzontali (heng) · tratti verticali (shu) · tratti obliqui che scendono curvi verso sinistra (pie) · tratti obliqui che scendono ispessendosi verso destra e erminano affilandosi lungo l’orizzontale (na) · tratti uncinati (gou) · tratti spezzati (zhe).
Nella pagina a sinistra Foto di Flavio Gallozzi
A sinistra Foto di Flavio Gallozzi
Il carattere yong (eterno) è composto da tutti e otto i tratti fondamentali e sovente figura nei manuali per principianti. Carattere Yong scritto dal monaco-calligrafo giapponese contemporaneo Tanaka Jomyō con uno stile personale e piuttosto libero nella forma di scrittura kaisho.
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La copiatura e l’apprendimento della tecnica L’arte di maneggiare il pennello è uno dei segreti della calligrafia; costituisce il sapere che si eredita dai propri maestri e verrà tramandato agli allievi. Non si tratta però di una conoscenza intellettuale, ma di una pratica costituita da un insieme di gesti e movimenti precisi. Il primo esercizio con cui si confronta un principiante è la copiatura.
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Questa fase iniziale è fondamentale e serve a: · apprendere la tecnica · prendere coscienza delle proprie caratteristiche · entrare nel ritmo esecutivo del modello, coglierne lo spirito per riprodurlo senza perdersi nell’imitazione.
L’esercizio di copiatura (rinsho) si differenzia in livelli progressivi: · (keirin) copia esatta di tratti, spazi, proporzioni, ritmi, ecc; · (hairin) copia a memoria, cercando di rispettare la forma esteriore e lo stile del modello; · (irin) copia finalizzata a rispettare le caratteristiche stilistiche di un modello piuttosto che la sua forma esteriore. All’esercizio di copiatura rinsho fa seguito uno stadio più avanzato e complesso che consiste nel: · (hōsho), l’ applicazione di uno stile con caratteri diversi da quelli del modello.
La scelta del testo
Nella pagina a destra Child Prodigy Minamoto no Shigeyuki Executing Calligraphy, Torii Kiyonaga, 1783, Museum of fine art Boston
Che cosa si scrive in calligrafia? Una semplice parola, un aforisma, una breve riflessione personale, una poesia, un estratto da un testo classico, una preghiera, ecc. Ciò che maggiormente conta è la trasmissione dell’emozione del calligrafo, la sua interpretazione e la risultante traduzione formale del senso più profondo del testo adottato.
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Gli strumenti Secondo la tradizione i principali strumenti usati in calligrafia sono: · il pennello 筆 · la barretta d’inchiostro 墨 · la pietra per sciogliere e contenere l’inchiostro 硯 · la carta 紙 Essi vengono generalmente definiti i “Quattro tesori” del calligrafo perché il loro impiego è indispensabile e corrispondono agli strumenti usati nella pittura tradizionale cinese. Da ciò deriva una stretta unione tra le due arti che vennero frequentemente praticate in parallelo da molti artisti.
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古池や 蛙飛びこむ 水の音
Il pennello 筆 (fude) Esistono numerose varietà di pennelli, che devono rispondere ad esigenze diverse: la forma di scrittura prescelta, le dimensioni dei caratteri da eseguire, lo stile, l’abilità e le preferenze del calligrafo. Le loro caratteristiche variano in base alla forma, ai materiali e alle dimensioni. Una particolare importanza è attribuita ai tipi di setole di cui sono composti, che si possono grosso modo suddividere in: · setole rigide kōgō (cavallo, daino, tasso, volpe, coniglio) · setole morbide nangō (capra) · setole miste rigide-morbide kengō. 30
In alto Haiku di Matsuo Bashō "Il vecchio stagno! La rana si tuffa Il suono dell'acqua"
A sinistra esempio di pennello e suzuri con inchiostro
La differente proporzione tra la lunghezza e il diametro delle setole può incidere parecchio sui risultati che si desidera ottenere. Ad esempio quelli che si presentano con una punta piuttosto corta sono adatti alla scrittura nella forma (reisho 隷書), mentre quelli con la punta allungata e il diametropiuttosto ridotto sono prevalentemente usati per la scrittura nella forma (sōsho 草書). La leggenda attribuisce a Meng Tian, verso il 250 a.C., l’invenzione del pennello in pelo di cammello. È probabile che il suo fu piuttosto un adattamento o un affinamento di uno strumento già esistente.
Nel corso dei secoli la produzione di pennelli si affinò parecchio raggiungendo una complessità e una cura notevoli negli esemplari di qualità superiore. L’archeologia infatti ci mostra che già nel secondo millennio a.C. erano presenti strumenti in peli animali montati su bastoncini, sicuramente usati per decorare le ceramiche. Nel corso dei secoli la produzione di pennelli si affinò parecchio raggiungendo una complessità e una cura notevoli negli esemplari di qualità superiore.
Per ottenere una corretta elasticità, permettere un forte assorbimento dell’inchiostro e un suo ben dosato rilascio sulla carta i migliori pennelli sono composti da più strati concentrici di peli di lunghezza differente, disposti attorno a un nucleo centrale che funge da serbatoio. Questa caratteristica, che li differenzia dai pennelli usati in pittura in Occidente, permette una differenziata modulazione del tratto e la scrittura di più caratteri senza ricorrere continuamente all’assorbimento di nuovo inchiostro.
In alto esempi di vari tipi di pennelli
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L’inchiostro 墨 (sumi) Secondo la tradizione l’inchiostro da scrittura è quasi esclusivamente nero e si presenta in forma solida, pressato in barrette. Già presente in epoca Shang, l’inchiostro nero ha subito una lunga evoluzione tecnica. Testimonianze ricavate da scavi archeologici documentano l’esistenza di barrette d’inchiostro solido, costituito da nerofumo e colla, all’epoca dei Regni Combattenti. La sua fabbricazione viene perfezionata in epoca Jin, parallelamente alla diffusione dell’uso della carta in calligrafia.
Da allora ne vennero prodotte numerose qualità, secondo altrettante materie prime e varianti tecniche. La sua preparazione per l’applicazione avviene sciogliendolo tramite lo strofinamento nell’acqua che viene versata nella pietra-calamaio. Generalmente è composto da una miscela di fuliggine di legno resinoso o olio vegetale, colla animale, sostanze vegetali profumate (muschio, canfora, ecc.) e numerosi additivi finalizzati a fornire sfumature cromatiche particolari.
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La sua qualità varia principalmente in base alla purezza e alla raffinazione della materia prima colorante. La colorazione nera dell’inchiostro può variare in numerose tonalità e riflessi differenti tendenti a colorazioni cromatiche più o meno fredde o calde.
Nelle due pagine esempi di inchiostro su apposita pietra durante l'utilizzo.
La pietra per inchiostro 硯 (suzuri) I più antichi “calamai” che conosciamo datano della dinastia Han 漢 e consistono in piatti di bronzo, sovente sostenuti da tre piedini e dotati di coperchio. Di epoca Jin se ne conservano varietà di forma analoga, ma in argilla. In seguito, di pari passo con l’evoluzione dell’industria dell’inchiostro, in epoca Tang 唐 si giunse all’affermarsi della pietra come materia prima più adatta.
Tra le diverse varietà impiegate quelle che si dimostrarono più efficaci furono le due varietà di scisto di She e di Duan, ancor oggi tra le più celebri e ricercate. La pietra per inchiostro può attualmente presentarsi in forme piuttosto diversificate ma, generalmente, è caratterizzata da una parte incavata più profondamente che funge da serbatoio e da una un poco più rialzata usata per strofinare la barretta d’inchiostro. Numerose pietre sono sagomate e decorate da raffigurazioni naturalistiche che, secondo la lavorazione e il progetto possono costituire vere e proprie opere d’arte.
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Nella pagina: esempio di pietra per inchiostra Nella pagina a fianco: esempio di poggia pennello e porta pennelli
Altri strumenti in uso nella calligrafia Oltre ai “Quattro tesori” del calligrafo vengono usati diversi altri strumenti, tra i quali i seguenti: · fermacarta (bunchin) 文鎮; · panno di feltro (shitajiki) 下敷 su cui appoggiare il foglio durante la scrittura; · poggiapennelli (fudeoki) 筆置; · contenitore per l’acqua (suiteki) 水滴; · piccolo paravento paraspruzzi; · stuoie portapennelli (fudemaki) 筆巻.
Come si può intuire, la loro funzione può essere assolta da altri strumenti non specificamente prodotti per l’uso in calligrafia. Ciò ha fatto sì che questi strumenti, nel tempo, siano stati prodotti con minori limitazioni alla creatività, nelle forme più varie, spesso molto elaborate e riccamente decorate. Nella loro produzione si sono sbizzarriti artigiani e artisti, dando vita a pezzi anche di grande valore, rivolti più al mercato collezionistico che a coloro che praticano la calligrafia.
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浪の花 と雪もや水 にかえり花 Nella pagina Haiku di Matsuo Bashō "Fiori sull’onde. Tra la pioggia e la neve volan petali."
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La carta 紙 (kami)
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La carta usata nell’arte della calligrafia non è un semplice supporto amorfo su cui si stende l’inchiostro, ma è un importante elemento con cui si deve imparare a dialogare. È una materia che si potrebbe quasi definire “viva”, dotata di caratteristiche particolari. Bisogna conoscerne l’assorbenza, apprezzarne il colore, la consistenza e la texture per abbinarvi l’inchiostro più adatto.
La sua superficie partecipa alla definizione dell’opera in modo determinante; basti considerare il fatto che costituisce tutto lo spazio non occupato dall’inchiostro e che quindi è la sua texture superficiale a corrispondere al “vuoto” che nasce dal “pieno” del tratto creato dallo scorrere del pennello. Anche se in molte occasioni prima di iniziare una calligrafia
non si bada molto alle sue caratteristiche, dai primi tocchi di pennello ci si accorge quale sia la sua rispondenza e quali siano le sue qualità. Un’adeguata scelta della carta è quindi molto importante per ottenere l’effetto calligrafico desiderato, ma anche per far sì che l’opera finita sia coerente con la circostanza per cui è stata eseguita.
Forse potrà risultare un po’ eccessivo includere tra i piaceri derivanti dalla pratica della calligrafia quello prodotto dal profumo dell’inchiostro, dall’ammirazione dell’armoniosa forma di un pennello, dalla delicata sensazione prodotta al tatto da una carta artigianale o ancora dalla vista della sua struttura osservata in controluce. Eppure anche questo può corrispondere a una forma di rispetto nei confronti della competenza dell’artigiano che li ha prodotti e del lavoro che esso ha “prestato”.
L’origine della carta risale in Cina a un’epoca non ben precisata, probabilmente coincidente con la fine degli Han occidentali 西漢 (Xi Han 206 a.C.8 d.C.). Sembra che nel 105 d.C. Tsai Lun, ministro dell’agricoltura, per la sua fabbricazione suggerì l’uso del “china grass”, del gelso e del bambù. Solo nel corso del IV secolo però sarebbe stata applicata come supporto in calligrafia, per sostituire le tavolette di legno e le lamine di bambù. La sua fabbricazione nei secoli seguenti passò in Corea e da lì venne esportata in Giappone.
Nel 751 la tecnica di produzione arrivò a Samarcanda tramite alcuni prigionieri cinesi e si diffuse rapidamente in tutta l’Asia Minore. Gli Arabi ne estesero la fabbricazione all’Africa del nord e ai loro possedimenti in Spagna dove, nel 1154 a Dativa, sorse una cartiera. Nel XIII secolo l’industria della carta giunse in Italia (Fabriano, 1276) e in gran parte dell’Europa. Tra le qualità di carta più rinomate prodotte attualmente in Cina, vi sono le Xuanzhi (carta di Xuan) provenienti dalla regione di Xuanchen nel sud-est dell’Anhui, in particolare a Jingxian.
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La carta in Giappone
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La carta giapponese di produzione artigianale viene genericamente chiamata washi 和紙 . Secondo la tradizione la sua tecnica di produzione venne importata nel paese nel 610 dal monaco coreano Donchō. La sua diffusione fu rapida e fino all’epoca Muromachi (1392-1573) venne prodotta da piccole aziende familiari che ne elaborarono un grande numero di varietà, tramandandone l’arte della fabbricazione di generazione in generazione. Si calcola che già in epoca Nara (710-794) vi fossero almeno 200 tipi diversi di carta. In epoca Heian (794-1192) si giunse alla piena maestria nella sua produzione, intensificandone le differenze nella texture, nell’assorbenza, nel colore, ecc. Dal XII secolo l’aumento costante della richiesta fece crescere ulteriormente la produzione e fece si che nelle diverse regioni ne vennero sviluppate delle varietà specifiche adatte a usi particolari: calligrafia, pittura, decorazione (lanterne), componenti architettoniche (shōji), stampa, suppellettili (ventagli, ombrelli), imballaggi, ecc. Nella pagina carte decorate per usi particolari, come decorazione. Nella pagina a destra Haiku di Matsuo Bashou (1644-1694) "Nulla si muove penetra le rocce canto di cicale"
静けさや 岩に染 み入る 蝉の声
Se in calligrafia prevalentemente vengono usate carte “bianche”, ne esistono anche di colorate, a tinte naturali diverse, o con l’inclusione di elementi vegetali (foglie e fiori secchi) e minerali (oro, mica, ecc.) adatte ad occasioni particolari. I procedimenti di fabbricazione di queste varietà sono gelosamente custodite dai loro produttori e spesso i loro prezzi raggiungono cifre considerevoli. Attualmente la tradizione della washi si perpetua soprattutto nei villaggi del nord dell’isola principale (Honshū) e nelle prefetture di Nagano, Ehime, Gifu, Fukuoka, Tottori, Yamanashi, Fukui, Kōchi, Saitama e Shimane. Seguendo la tradizione, la washi viene prodotta con le fibre della corteccia di diversi alberi come ad esempio il gelso kōzo (carta Choshi 楮紙), il ganpi (carta Hishi 斐紙 o Ganpishi 雁皮紙), il mayumi (carta Danshi 檀紙), il mitsumata (carta Mitsumatagami 三椏紙), oppure con fibre di canapa asa (carta Mashi 麻紙) o fibre di riso (carta Warashi). La corrente carta da calligrafia per esercizi, di fattura industriale, in Giappone viene generalmente prodotta con legno d’importazione (Canada e Siberia). Il suo costo naturalmente è molto inferiore rispetto a quello della carta artigianale, ma ciò vale anche per la sua qualità!
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Sigillografia In una calligrafia la presenza dell’impronta di un sigillo 印 (yin), unico elemento colorato accanto ai tratti neri della scrittura, costituisce un importante elemento compositivo. L’apposizione di un sigillo può incidere in modo determinante nella definizione dell’equilibrio dell’opera. Se le sue dimensioni, la sua forma e la sua posizione non sono adeguate può costituire un elemento di disturbo che annulla l’armonia di una scritta accuratamente studiata ed eseguita.
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Secondo il genere di calligrafia la collocazione dei sigilli e della firma sono stabilite in posizioni piuttosto precise. Generalmente la firma viene scritta a sinistra, circa a metà dell’altezza del foglio; il sigillo recante il nome del calligrafo viene impresso sotto essa; poco più in basso si può collocare un secondo sigillo (di uguali dimensioni) che indica il nome della scuola o dell’associazione a cui appartiene il calligrafo. Un altro sigillo contenente una scritta che può essere composta da più caratteri, corrispondenti a una breve poesia, una citazione o un motto famoso, ecc. può essere collocato sul foglio in alto a destra. Nelle opere libere la posizione della firma e delle impronte dei sigilli può essere scelta con estrema libertà, solo in base a principi di equilibrio generale. Il colore della pasta per sigilli è generalmente rosso; ne esistono però numerose varianti di tinta che vanno dal vermiglio all’alizarina, dal cremisi al rosso veneziano, ecc.
Nelle due pagine bozzetti e definitivi della progettazione di sigilli con inserzioni floreali del graphic designer Wynki MOK (Hong Kong)
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Breve storia della sigillografia 篆刻 (zhuanke/“l’arte dell’incisione dei sigilli”) I sigilli, dalle loro origini, svolgono diverse funzioni ufficiali e private, ma ognuno di essi, in base alla propria forma, contiene anche un valore estetico. Le funzioni utilitaristico comunicative dei sigilli possono essere così suddivise: · indicare il nome dell’autore o del proprietario (sigilli personali); · esprimere frasi o caratteri propiziatori o protettivi; · comunicare contenuti edificanti o sentimenti mediante citazioni e testi poetici o religiosi. 46
Accanto ai sigilli recanti caratteri di scrittura vi sono quelli figurati (soprattutto raffiguranti animali), che hanno generalmente le funzioni di mettere in evidenza gli emblemi dell’autore, proteggere dagli influssi negativi o suscitare buoni auspici. L’impiego dei sigilli nasce dall’esigenza di indicare e garantire la proprietà e l’autenticità dei beni e dei documenti. Le più antiche testimonianze a noi pervenute sono tre sigilli in bronzo, non ancora decifrati, risalenti all’epoca Shang 商 (XVI-XI secolo a.C.). Dalla successiva dinastia Zhou 周 (XI sec.- 256 a.C.) ci sono invece pervenuti numerosi sigilli in bronzo e in terracotta, oltre la metà dei quali è stata decifrata. La gran parte di essi presenta iscrizioni che indicano la funzione ufficiale o i titoli nobiliari dei loro proprietari, come ad esempio: “Capo dell’Armata a sinistra del centro”, “Sigillo del Generale”, “Sigillo del re Changwu”.
Con la dinastia Qin 秦 (221-206 a.C.) l’unificazione della scrittura conduce, anche nella produzione dei sigilli, all’adozione generalizzata della forma di scrittura 小篆 zhuan minore/shōten, la più usata fino ad oggi in questo campo. L’affermazione del supporto cartaceo nella scrittura ebbe un influsso anche nell’impressione dei sigilli, siccome in precedenza essi venivano prevalentemente impressi nell’argilla.
Nella pagina fianco esempio di sigillo inciso nel legno
Sotto la dinastia Tang 唐 (618-907) l’attenzione verso i sigilli si accentuò e venne riscoperta la tradizione dei periodi Zhou, Qin e Han 漢 (206 a.C.-220 d.C.), ma fu solo nel XVI secolo che iniziò la vera arte dell’incisione dei sigilli da parte dei letterati. Fino ad allora l’esecuzione veniva svolta da artigiani che fondevano nel metallo o incidevano nella pietra i caratteri disegnati da letterati o da funzionari.
Fu il calligrafo Wen Peng (1498-1573) che scoprì le caratteristiche di compattezza e di morbidezza di un tipo di pietra che ben si prestava alla lavorazione con semplici punte d’acciaio (piccoli scalpelli). Alla fine del XVI secolo si diffuse quindi la sigillografia vera e propria e da allora i letterati e gli artisti diedero vita a opere sempre più raffinate e aderenti alle proprie esigenze estetiche, caratterizzandole con l’incisione di tratti personali ed espressivi.
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L'origine delle cinque forme 49
Un Sensei intento nello ShodĹ?
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Nel corso del tempo la scrittura cinese, la scrittura Han kanji 漢字, ha subito un’evoluzione che l’ha portata a far sì che ogni carattere possa essere scritto in forme diverse. Questi cambiamenti si sono estesi fino alla fine della dinastia dei Jin occidentali (265-316 d.C.), dando vita alle cinque differenti forme di scrittura shotai tuttora praticate. Nelle epoche seguenti i cambiamenti furono di carattere stilistico, legati alle diverse interpretazioni creative, personali, dei calligrafi. Secondo recenti ritrovamenti le origini della scrittura cinese sarebbero testimoniate da incisioni con disegni stilizzati su gusci di tartaruga ritrovati in tombe risalenti al 6600-6200 a.C. a Jiahu nella provincia di Henan. Le prime solide testimonianze di protopittogrammi consistono in disegni stilizzati su frammenti di terracotta risalenti al periodo neolitico. Quelli che possiamo invece considerare i primi veri caratteri arcaici di scrittura, incisi su frammenti di ceramica, datano dal III millennio e appartengono alla cultura di Longshan. Nella pagina L'Imperatore Wu Di , fondatore della Dinastia Jin Occidentale
Queste iscrizioni, che nel loro insieme mostrano già l’esistenza di un sistema di scrittura maturo, hanno un seguito in quelle risalenti al periodo delle dinastie Shang 商 (XVI XI secolo a.C.) e Zhou 周 (XI sec.- 256 a.C.).
Kobun
I primi generi di scrittura (appartenenti alla forma Tensho) diffusi fino all’affermarsi della Dazhuan vengono generalmente raggruppati nel genere Kobun 古文 che si tratti di scritte su metallo, ossa o carapaci.
古文
Scrittura antica o arcaica
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Nella pagina Esempi di segni grafici in kobun
甲骨文 Kōkotsubun Jiaguwen
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Scritte a carattere divinatorio su ossa animali
Costituita da caratteri incisi su jiaguwen 甲骨文 e su bronzi ritrovati in altari, la scrittura delle epoche Shang 商 e Zhou 周 si caratterizza per una moltitudine di varianti locali. Le strutture fondamentali della scrittura cinese, dai jiaguwen, sono giunte a una stabilizzazione formale verso l’epoca dei Regni Combattenti 戰國 (453-256 a. C. ). Usata per più di un millennio, la scrittura su jiaguwen si caratterizza come poco uniforme, i caratteri e le loro proporzioni non sono definite. In un unico testo si possono trovare caratteri di dimensioni diverse in disposizioni e allineamenti irregolari. Molte scritte risultano essere state tracciate a pennello prima di venire incise e in seguito riempite con colore rosso. I testi, caratterizzati da ripetitività, sono di diversa lunghezza e concernono prevalentemente pratiche divinatorie, ma anche riti o registrazioni di avvenimenti. In alto Jiaguwen su carapace di tartaruga
Kibun
Sempre risalenti alle epoche Shang 商 e Zhou 周 (diffuse tra XIV-VIII sec. a.C.) sono state rinvenute numerose scritte su bronzi usati a scopo rituale, in particolare vasi e campane. Per gran parte appartenente al genere Kobun 古文, la scrittura Kibun 金文, soprattutto agli inizi mantiene molte caratteristiche della Kōkotsubun Jiaguwen 甲骨文 ma gradualmente subisce un’evoluzione che la porta ad essere più arrotondata e di struttura più compatta, avvicinandola alla Dazhuan 大傳. Le ultime manifestazioni di scrittura su bronzo, contraddistinte da un maggior ordine e allineamento dei caratteri, sono tracciate nel genere Dazhuan.
金文
Scritte su metallo
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A destra Iscrizione su un recipiente di tipo "ding", XI secolo
大傳 Daiten Dazhuan
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Zhuan maggiore
Documentata da numerose scritte su metallo, in lacca su tavolette di giada, ceramica, tavole di bambù e sigilli. I caratteri sono scritti in modo piuttosto complesso, mantenendo una serie di varianti stilistiche locali. Nelle sue forme più tarde diventa più uniforme, con caratteri più semplici. In seguito alla riforma della scrittura, e l’adozione del Zhuan minore, si raggruppano in essa anche tutte le scritture precedenti. La distinzione tra Zhuan maggiore e minore avvenne sotto gli Han 漢 quando si definì la scrittura ufficiale migliorata con l’Imperatore Qin Shihuangdi 秦始皇帝 aveva ordinato al proprio Primo Ministro Li Si 李斯 la riorganizzazione e l’unificazione della scrittura. Nella pagina Esempio di caratteri usati nella scrittura Daiten Dazhuan
Questo la caratterizza come la prima forma di scrittura veramente regolare. Esistono diversi stili di scrittura Zhuan minore, ma nel tempo venne abbandonata come forma di scrittura comune poichè sostituita con altre, solo nell’epoca della dinastia Han, rimase riservata ad occasioni particolarmente solenni. Il suo uso in seguito rimase legato quasi esclusivamente all’ambito calligrafico e in epoca Tang 唐 venne studiato e ne vennero elaborati nuovi stili che servirono da modello a numerosi calligrafi dei secoli seguenti.
In basso Esempi di caratteri Shōten
Shōten
Frutto di un’evoluzione del Zhuan maggiore, avvenuta nel periodo del regno Qin 秦 (221-206 a.C.), il Zhuan minore si definì sotto il regno di Wang Zheng 王征 dei Qin, che si attribuì il titolo di imperatore dopo aver unificato la Cina. Nella riforma politica e amministrativa impose al paese lo sviluppo della cultura, ordinò al Primo Ministro Li Si di standardizzare e unificare la scrittura. Da quest’opera derivarono la nascita del Zhuan minore 小篆. La nuova scrittura unificata risultò meno complessa e per la prima volta nella storia della scrittura cinese i caratteri vennero tracciati in uno spazio regolare, un rettangolo verticale.
小篆
Zhuan minore
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Nagayama Norio Sensei
Le cinque forme 蒃書 Tensho scrittura sigillare 隷書 Reisho scrittura degli scrivani 草書 Sōsho scrittura corsiva 揩書 Kaisho scrittura normale 行書 Gyōsho scrittura corrente o semicorsiva
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蒃書 Tensho 58
Nella pagina Scrittura Tensho in epoca Qing. Deng Shiru (1743-1805)
Scrittura sigillare, IX sec. a.C. E’ la prima forma codificata di scrittura cinese. Per estensione raggruppa tutte le forme di scrittura precedenti la nascita della forma Reisho 隷書. È anche sinonimo del termine Zhuanzi 莊子.
La figura di Cheng Miao 程族 conserva l’onore nella storia della calligrafia, nonostante sia appurato che la nascita è dovuta a più persone. Nell'epoca degli Han 漢 (206 a.C.-220 d.C.) se ne svilupparono diverse varianti stilistiche, testimoniate da opere scritte su lamine di bambù o legno, ma soprattutto incise nella pietra. Tra le principali caratteristiche vi sono: · la scrittura regolare dei caratteri in un immaginario rettangolo · il differenziato spessore dei tratti, accentuato nelle entrate e nelle uscite · la riduzione dei tratti curvi, sostituiti da tratti rettilinei e spezzati ad angolo · la semplificazione della composizione dei caratteri.
Reisho
Il termine deriverebbe da "dipendere da" ed entrò come scrittura usata in epoca Qin (221-206 a.C.) dai funzionari o scrivani, nella redazione dei documenti di governo. Si caratterizza come scrittura popolare, finalizzata alla redazione di documenti non ufficiali. La sua diffusione avvenne in seguito alla seconda riforma della scrittura attuata dal primo imperatore Qin 秦 che ne sollecitò l’impiego. Secondo la tradizione, Cheng Miao, un funzionario condannato a dieci anni di prigione per aver offeso l’imperatore. Egli, durante la reclusione avrebbe semplificato la scrittura Dazhuan dando vita a una nuova forma. Così l’imperatore lo fece liberare e lo nominò censore.
隷書
Lo stile degli scribi, III sec. a.C.
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In alto Deng Shiru, Album dei Quattro Stili
草書 Sōsho 60
Scrittura corsiva o stile d’erba, III sec. a.C.
Il termine Sōsho indica una forma di scrittura legata, semplificata ed eseguita rapidamente, traducibile con i termini "corsivo" o "corsivo rapido". Già tra la fine della dinastia Qin 秦 e l’inizio della successiva dinastia Han si sviluppò dal Reisho 隷 書 una scrittura corsiva, definita Zhangcao 章草. In seguito dalla Zhangcao si svilupparono le scritture corsive moderne, definite Jincao 今草. La comparsa della scrittura corsiva fu determinata da motivi simili a quelli che portarono alla nascita delle forme di scrittura regolari: la necessità di scrivere in modo più semplice e più rapidamente. Nella pagina Particolare del Rotolo della calligrafica corsiva e semicorsiva
In alto Lu Ji Album Ping Fu dinastia dei Jin occidentali, inchiostro su carta.
Sōsho · Zhangcao
Nella Zhangcao 章草 la scrittura dei caratteri è sciolta e le pennellate legano i tratti. La sua diretta derivazione dal Reisho 隷書 si riscontra nelle entrate e nelle uscite, che ne conservano le caratteristiche; soprattutto le parti terminali e le oblique sono ancora contraddistinte dal suo tipico modo di tracciare “bozhe”. Una gran parte delle più antiche scritte in Zhangcao a noi pervenute consiste in testi eseguiti su lamine in bambù o legno, usate per la trasmissione di ordini governativi e di cui non si conoscono gli autori.
章草
Scrittura corsiva antica
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今草 Sōsho · Jincao
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Scrittura corsiva moderna II sec. d.C.
Nata verso la fine degli Han漢 e creata dal calligrafo Zhang Zhi 张智 al fine di riformare la Zhangcao. L’innovazione fu l’introduzione del tracciato di più caratteri in "un solo colpo di pennello". Tra le altre caratteristiche vi sono una libertà nel tracciato dei caratteri, che risultano sintetizzati, con dimensioni variabili e posizioni oblique. Può essere suddivisa in tre generi: · le scuole di Corsivo maggiore Dacao e di Corsivo folle Kuangcao 狂草 · la scuola dei “Due Wang”: Wang Xizhi 王羲之 e suo figlio Wang Xianzhi 王獻之, che risulta meno legata nei tratti, elegante e di una perfetta continuità nel rapporto tra le varie parti. · Il terzo genere di corsivo scaturisce dalle opere di Sun Guoting 孫虔禮, grande teorico e uno dei maggiori continuatori dell’opera di Wang Xizhi. Nella pagina Huai Su Presentazione autobiografica, dinastia Tang, inchiostro su carta.
揩書
Scrittura normale II sec. d.C.
Kaisho
È la forma di scrittura regolare maggiormente usata. Da essa sono derivati i più diffusi caratteri grafici stampatello. Deriva da un’evoluzione della forma Líshu tra la fine dell’epoca Han e l’inizio dell’epoca Wei (220-265 d.C.) e raggiunse la fioritura nell’epoca dei Jin Orientali (317-420). I caratteri sono più semplici di quelli nella forma Reisho 隷書 e sono contenuti in un ideale quadrato.
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In alto Chu Suiliang Prefazione al Canone Buddhista della Pagoda Yan, dinastia Tang, calco.
隷書
Scrittura semicorsiva o corsivo corrente, III-IV sec. d.C.
Gyōsho 64
Nella pagina Mi Fu Rotolo di poesie Gangxian, dinastia Song, inchiostro su carta.
È la forma di scrittura usata maggiormente nella vita quotidiana in Cina, in Giappone e in Corea. La sua nascita segue immediatamente quella del Kaisho 揩書 , da cui deriva, semplificandone la scrittura dei caratteri, combinando o sopprimendo parte dei loro tratti, rendendo l’esecuzione più veloce. La tradizione attribuisce la sua invenzione a Liu Desheng.
L’opera più antica è Boyuan tie, il Manoscritto a proposito di Bo Yuan di Wang Xun 王羲之 (350-401). Diversamente dalle altre forme di scrittura non ha vere e proprie regole e può essere eseguita in modo piuttosto libero. Può quindi presentarsi in varianti stilistiche "rigide", simili al Kaisho, oppure avvicinarsi al Sōsho tramite scelte più libere e sintetiche. In quest’ultimo caso viene chiamata Xingcao.
蒃書 隷書 草書 揩書 隷書 In alto le cinque forme di scrittura. A destra esempio di Shodō.
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いろは Iroha 66
Iroha いろは è un poema giapponese probabilmente scritto in epoca Heian (794-1179). Originariamente fu attribuito al fondatore del Buddismo Shingon in Giappone, Kūkai, ma ricerche recenti sostengono che la data di composizione sia postuma al periodo Heian. È famoso perchè è contemporaneamente un pangramma e un isogramma,
ovvero è una frase di senso compiuto in cui vengono utilizzate tutte le lettere dell'alfabeto, inoltre ogni parola è composta da lettere le quali ricorrono tutte lo stesso numero di volte. La traduzione più conosciuta è quella del professor Ryuichi Abe che nel 1999 pubblica The Weaving of Mantra: Kûkai and the Construction of Esoteric Buddhist Discourse che recita:
Although its scent still lingers on the form of a flower has scattered away. For whom will the glory of this world remain unchanged? Arriving today at the yonder side of the deep mountains of evanescent existence, we shall never allow ourselves to drift away intoxicated, in the world of shallow dreams.
Inglese
Giapponese contemporaneo
以呂波耳本部止 千利奴流乎和加 餘多連曽津祢那 良牟有為能於久 耶万計不己衣天 阿佐伎喩女美之 恵比毛勢須
Ci sono diversi stili di scrittura giapponese per diversi usi. Il più utilizzato è il kaisho 揩書. Il Gyōsho 行書 è spesso associato per la scrittura a mano, mentre il sōsho 草書 viene associato alla scrittura fatta attraverso l'uso di un pennello. Vi sono anche le due calligrafie più tradizionali ed antiche: il reisho 隷書 detto "square style" e il tensho 篆書 detto "seal style". Di seguito sono rappresentati i vari stili elencati in precedenza, che riportano il testo preso dal poema Iroha.
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Tensho Sopra un maestro calligrafo nell'atto di scrivere in sōsho
Reisho
SĹ?sho 68
Kaisho
Gyōsho
Confronto delle cinque forme attraverso lo stesso ideogramma. · · · 69
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Kana Kana è un termine generico per indicare i due sillabari fonetici giapponesi hiragana 平仮名 e katakana 片仮名 come pure l'antico sistema man'yōgana. Tutti questi si svilupparono dagli ideogrammi di origine cinese conosciuti in Giappone con il nome di kanji 漢字, in alternativa o in aggiunta a questi; la parola kana significa "carattere prestato", perché derivato dal kanji. L'invenzione dei kana è tradizionalmente attribuita a Kūkai, monaco buddista vissuto tra l'ottavo e il nono secolo d.C.
A sinistra: Opera di Tōyō Sesshū
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La calligrafia giapponese dei primi secoli dopo l’introduzione della scrittura
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Quando venne introdotta in Giappone, la calligrafia cinese aveva compiuto gran parte del suo percorso evolutivo e si erano già assestate chiaramente le diverse forme di scrittura: il tensho 篆書, il reisho 隷書, il sōsho 草書, il gyōsho 行書 e il kaisho 楷書. Per alcune di queste scritture si potrebbe quasi affermare che gran parte dello sviluppo, non solo formale ma anche stilistico, si fosse già compiuto; in particolare per il tensho e per il reisho che hanno un notevole apporto creativo e artistico. Scritture come il sōsho, il gyōsho e il kaisho subirono invece ulteriori innovazioni stilistiche di notevole rilievo durante le epoche Tang 唐 (618-907) e Song 宋 (960-1276).
"Kana"
Come in Cina, anche nell’arcipelago nipponico gran parte delle opere calligrafiche degli ultimi secoli del primo millennio e nelle epoche seguenti, fu legata all’attività dei letterati e dei religiosi, consistendo prevalentemente nella trascrizione di testi poetici, letterari, epistolari, celebrativi, ecc. Dall’introduzione della scrittura in Giappone, nel corso dei secoli, fino ai giorni nostri i classici della letteratura cinese e i sutra scritti in cinese furono ripetutamente copiati dai calligrafi giapponesi e costituirono una delle loro maggiori fonti di ispirazione.
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Nei primi secoli i giapponesi si limitarono a scrivere in cinese e di conseguenza anche i loro esordi calligrafici furono totalmente ricalcati sulla tradizione continentale. Dopo questo periodo iniziarono i tentativi di adattare la scrittura cinese alla lingua giapponese che portarono alla nascita dei Man’yōgana 万葉がな, caratteri cinesi usati dal punto di vista fonetico, tecnicamente sganciati dal loro significato originario. Questo termine deriva dall’uso dei kanji praticato nel Man’yōshū 万葉集, un’antologia poetica risalente circa al 759, in epoca Nara 奈良時代 (710-794).
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In realtà nelle varie composizioni in Man’yōgana la scelta dei caratteri non era del tutto indifferente al significato originario, ma ne teneva conto arricchendo il contenuto di rinvii simbolici. Questo artificio si rivelò complesso e di difficile applicazione date la numerosa scelta di caratteri a disposizione per esprimere la pronuncia di un singolo termine della lingua giapponese e le possibili varianti di lettura che si suddividono nei seguenti due gruppi: Shakuon kana 借音仮名 adottati in base alla loro lettura “on” (alla cinese) e Shakkun kana 借訓仮名 che si basano sulla lettura “kun” (giapponese). La ricerca di una soluzione adeguata per scrivere in lingua giapponese condusse alla creazione di due sistemi paralleli derivati dalla scrittura semplificata di un ristretto numero di caratteri cinesi già inclusi nei Man’yogana: katakana 片仮名 e hiragana 平仮名. Il katakana nacque in ambito buddhista per le annotazioni della fonetica dei kanji, e si sviluppò per mezzo di una riduzione formale dei caratteri di scrittura normale (kaisho). L’hiragana consistette in un’evoluzione formale dei caratteri dalla scrittura corsiva (sōsho).
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In rosso i segmenti di man'yĹ?gana adattati in katakana
Shikishi Gli shikishi 色紙 sono tradizionali supporti di carta, di spessore variabile, utilizzati in Giappone per calligrafie e poesie o per dipinti. La loro origine e diffusione si può far risalire ai periodi medio Heian e Kamakura. Denominati "shikishigata", questi cartoncini con calligrafie poetiche venivano attaccati alla parte superiore dei paraventi e delle porte scorrevoli. I testi che vi venivano scritti erano intonati ai dipinti sui quali erano affissi.
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I formati degli shikishi Per le misure gli shikishi si suddividono in: · Hime shikishi 9×9 cm (hime: "principessa") 姫色紙 · Sunmatsuan shikishi 3,6×12 cm あ色紙 · Sho shikishi 18×15 cm (sho: "piccolo") 小色紙 · Chū shikishi 21,2×18,2 cm (chū: "medio") 中色紙 · Dai shikishi 27,2×24,2 cm (dai: "grande") 大色紙
Le caratteristiche dei supporti di scrittura degli shikishi Le due facce degli shikishi possono essere diversamente colorate o decorate; sia quella che fa da supporto al testo calligrafico, sia quella posteriore. I più semplici sono a fondo bianco da entrambi i lati ma già dalle epoche antiche esistevano shikishi dai fondi colorati, tra essi i Kumogami 雲紙 (carta nuvola) tinti a sfumato di blu e di viola e i Suminagashigami 墨流し紙 (decorati a inchiostro con la tecnica suminagashi). Il loro impiego per la scrittura in kana ha portato allo sviluppo di nuove qualità di carta, di diversa assorbenza rispetto a quelle in uso generalmente per la scrittura in caratteri cinesi, e di varia conformazione di superficie (texture).
Nelle pagine successive Esempi di formati shikishi
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Il Sutra del cuore
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般若心経 Hannya shingyō: il Sutra del cuore
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Hannya shingyō: il Sutra del cuore L’Hannya shingyō 般若心経, noto in italiano come Sutra del cuore, appartiene al canone della Perfezione della Saggezza, composto da circa centomila versi, ed è un testo che racchiude l’essenza dell’insegnamento del buddhismo mahayana. Composto intorno al IV secolo, è un testo fondamentale, studiato e recitato in ambito zen e tibetano e considerato estremamente significativo anche dalla scuola shingon giapponese, il cui fondatore, Kūkai, ne scrisse un commento.
L’Hannya shingyō viene quotidianamente recitato alla fine delle sessioni di zazen e lo si può considerare uno dei testi principali a cui si riferiscono tutte le scuole zen. Recitare l’Hannya shingyō è segno di devozione e genera "meriti". La pratica calligrafica legata alla scrittura del Sutra del cuore costituisce quasi una "disciplina" specifica, a cui si dedicano con regolarità numerosi calligrafi, unendo nella sua esecuzione la ricerca di affinamento tecnico e stilistico ai principi espressi nel testo.
Italiano Oh Shariputra, la forma non è che vuoto, il vuoto non è che forma; ciò che è forma è vuoto, ciò che è vuoto è forma; lo stesso è per sensazione, percezione, discriminazione e coscienza. Tutte le cose sono vuote apparizioni, Shariputra. Non sono nate, non sono distrutte, non sono macchiate, non sono pure; non aumentano e non decrescono. Perciò nella vacuità non c’è forma né sensazione, né percezione, né discriminazione, né coscienza; Non ci sono occhi né orecchi, naso, lingua, corpo, mente; Non ci sono forma né suono, odore, gusto, tatto, oggetti; né c’è un regno del vedere, e così via fino ad arrivare a nessun regno della coscienza; non vi è conoscenza, né ignoranza, né fine della conoscenza, né fine dell’ignoranza, e così via fino ad arrivare a né vecchiaia né morte; né estinzione di vecchiaia e morte; non c’è sofferenza, karma, estinzione, via; non c’è saggezza né realizzazione. Dal momento che non si ha nulla da conseguire, si è un bodhisattva. Poiché ci si è interamente affidati alla prajna paramita, la mente non conosce ostacoli; dal momento che la mente non conosce ostacoli non si conosce la paura, si è oltre il pensiero illusorio, e si raggiunge il Nirvana. Poiché tutti i Buddha del passato, del presente e del futuro si affidano interamente alla prajna paramita, conseguono la suprema illuminazione. Sappi dunque che la prajna paramita è il grande mantra, il mantra più alto, il mantra supremo e incomparabile, capace di placare ogni sofferenza. Ciò è vero. Non è falso. Perciò io recito il mantra della prajna paramita, Che dice: Gate, gate, paragate, parasamgate, bodhi, svaha! (andate, andate, andate insieme all’altra sponda, completamente sull’altra sponda, benvenuto risveglio!)
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Bibliografia Shodo. Lo stile libero. Calligrafia, tradizione e arte contemporanea, Norio Nagayama e Bruno Riva, Casadeilibri, 2005. History of Japanese Art, Penelope Mason e Donald Diwiddie, Prentice Hall and Harry N. Abrams, 2004. Lineamente di storia della lingua giapponese, Aldo Tollini, Einaudi, 2001-2002 Poesie. Haiku e scritti poetici , Matsuo Basho e M. Muratsu, La Vita Felice, 1997.
Sitografia www.calligrafia-bokkyokai.org www.bokushin.org www.flaviogallozzi.com www.pinterest.com www.wikipedia.com www.toki.tokyo www.shodocalligraphy.wordpress.com www.art-virtue.com www.cultor.org/Orient/Shodo/S.html www.japancalligraphy.eu www.grammar.nihongoresources.com
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書道 La via della calligrafia a cura di Marta Citterio e Elena Nironi Corso di Typographic design Docente James Clough Laurea in Design della comunicazione / AA 2017-2018 Politecnico di Milano Stampato in Sef - Grafiche Mainardi, Milano Font FreightNeo Pro Hiragino Sans ヒラギノ酸素 Carta Washi Unryu
Washi Tenjin
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