I MANUALI
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Emanuela Reale
ITALIANO SCRITTO per l'esame di Stato
• Gli autori del ’900 e l’analisi del testo • Il saggio breve e l’articolo di giornale • Il tema di storia e di attualità
Emanuela Reale Italiano scritto per l’esame di Stato Consulenza alla progettazione: Fabio Cioffi Responsabile editoriale: Beatrice Loreti Art director: Marco Mercatali Responsabile di produzione: Francesco Capitano Redazione: Carla Quattrini Progetto grafico e impaginazione: Antonio Lepore Copertina: Curvilinee Foto: Shutterstock © 2014 ELI - La Spiga Edizioni Via Brecce - Loreto tel. 071 750701 www.elilaspigaedizioni.it Stampato in Italia presso Grafiche Flaminia – Trevi (PG) 14.83.015.0 ISBN 978-88-468-3208-5 L’editore è a disposizione degli aventi diritto tutelati dalla legge per eventuali e comunque non volute omissioni o imprecisioni nell’indicazione delle fonti bibliografiche o fotografiche. Le fotocopie non autorizzate sono illegali. Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione totale o parziale così come la sua trasmissione sotto qualsiasi forma o con qualunque mezzo senza previa autorizzazione scritta da parte dell’editore.
Presentazione In questo libro troverai… tutto ciò che ti serve per preparare al meglio la prova scritta dell’esame di Stato • • • • • • • • •
i memoconcetti: un ripasso organizzato, per punti essenziali, sui 12 principali autori del Novecento, con tutti gli elementi necessari per svolgere poi l’analisi del testo su quell’autore; consigli e criteri per scrivere bene l’analisi del testo (TIPOLOGIA A della prima prova); 20 analisi del testo svolte, a partire da brani in prosa e in poesia degli autori del Novecento; consigli e criteri per svolgere un buon saggio breve (TIPOLOGIA B della prima prova); 12 saggi brevi svolti (3 per ciascuno dei 4 AMBITI possibili: artistico-letterario, storico-politico, socio-economico e tecnicoscientifico); tutte le indicazioni per scrivere un bell’articolo di giornale (la seconda possibilità, oltre al saggio breve, della TIPOLOGIA B); 4 articoli di giornale svolti (uno per ciascuno dei 4 ambiti possibili); consigli e criteri per scrivere un buon tema: un tema storico (TIPOLOGIA C) oppure un tema di ordine generale (anche chiamato tema d’attualità: TIPOLOGIA D); infine, 10 temi svolti: 5 temi storici e 5 di attualità.
Troverai soprattutto… esempi pratici, suggerimenti concreti, visualizzazioni di ciò che dovrai fare il giorno dell’esame
Saprai come funziona l’analisi del testo assegnata all’esame: tutte le 20 analisi di questo libro sono costruite secondo la falsariga di quelle ministeriali.
SEZIONE 2
3. Giovanni Pascoli, Il gelsomino notturno
5
E s’aprono i fiori notturni1, nell’ora che penso a’ miei cari2. Sono apparse in mezzo ai viburni3 le farfalle crepuscolari4.
Un’ape tardiva sussurra trovando già prese le celle10. 15 La Chioccetta11 per l’aia azzurra12 va col suo pigolìo di stelle13.
Da un pezzo si tacquero i gridi : là sola una casa bisbiglia. Sotto l’ali dormono i nidi6, come gli occhi sotto le ciglia.
Per tutta la notte s’esala l’odore che passa col vento. Passa il lume su per la scala; 20 brilla al primo piano: s’è spento14...
5
Dai calici aperti7 si esala 10 l’odore di fragole rosse. Splende un lume là nella sala8. Nasce l’erba sopra le fosse9.
È l’alba: si chiudono i petali un poco gualciti; si cova, dentro l’urna molle e segreta15, non so che felicità nuova. da Canti di Castelvecchio (1903)
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i fiori notturni: i fiori del gelsomino notturno, che sbocciano nelle sere d’estate con intenso profumo. a’ miei cari: amici e parenti scomparsi. viburni: grossi arbusti con fiori bianchi. le farfalle crepuscolari: le farfalle notturne, che nascono al crepuscolo e muoiono all’alba. i gridi: le voci del giorno. i nidi: gli uccelli che abitano i nidi. Dai calici aperti: dalle corolle sbocciate dei gelsomini notturni. nella sala: nella casa degli sposi che ancora vegliano. sopra le fosse: sul ciglio dei fossi, intorno alle tombe dei cimiteri.
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prese le celle: occupate le celle dell’alveare. La Chioccetta: il nome contadino che indica la costellazione delle Pleiadi. l’aia azzurra: il cielo. col suo pigolìo di stelle: il tremolio della luce delle stelle che formano la costellazione. s’è spento...: nella casa degli sposi si spegne . l’urna molle e segreta: il luogo dolce e intimo coincide sia con il calice del fiore, che all’alba si richiude, sia con la camera degli sposi.
La poesia fu pubblicata per la prima volta da Giovanni Pascoli (1857-1913) nel luglio del 1901 in un opuscolo nuziale, come omaggio dell’autore all’amico Gabriele Briganti, nell’occasione del suo matrimonio. Entrò poi nella raccolta dei Canti di Castelvecchio del 1903. Nel volume il testo era introdotto da questa dedica, in cui l’autore si identificava con il figlioletto dell’amico nato nel frattempo: “E a me pensi Gabriele Briganti risentendo l’odor del fiore che olezza nell’ombra e nel silenzio: l’odore del Gelsomino notturno. In quelle ore sbocciò un fiorellino che unisce […]: voglio dire, gli nacque il suo Dante Gabriele Giovanni”. La vicenda del gelsomino notturno, fiore che sboccia al calare delle tenebre e si richiude alle prime luci dell’alba, incornicia uno dei momenti più segreti dell’esistenza umana: quello che, nella vita matrimoniale, corona l’intimità fra i due sposi. 1. COMPRENSIONE DEL TESTO Riassumi il contenuto del testo proponendone una tua parafrasi. 2. ANALISI DEL TESTO 2.1. Individua la struttura metrica del componimento. 2.2. Analizza la struttura compositiva del testo e illustra il particolarissimo modo di Pascoli di costruire le sue liriche e di esprimere i suoi contenuti. 2.3. Dal testo emergono alcuni temi tipici del mondo pascoliano: rintracciali e mettili in rapporto alla più generale visione del mondo dell’autore. 2.4. Analizza ora il linguaggio del testo. Metti in luce, in particolare, le immagini che ritieni più significative e spiegane il significato. 2.5. Esponi le tue considerazioni conclusive in un commento personale di sufficiente ampiezza. 3. INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI Sulla base dell’analisi condotta, illustra la “visione del mondo” espressa nel testo e approfondisci la ricerca con opportuni collegamenti ad altri testi di Pascoli. Alternativamente, soffermati sul grado di attualità / inattualità dei ragionamenti di Pascoli sulla famiglia e sul matrimonio.
SEZIONE 2
Svolgimento 1. COMPRENSIONE DEL TESTO
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Partendo dalla presentazione che trovi nelle righe precedenti, dopo aver riletto alcune volte l’intera lirica, riassumine il contenuto informativo (movimenti del poeta nei luoghi; altre presenze reali; figure immaginarie). Un ignoto visitatore (forse controfigura dello stesso poeta) approda, in modo misterioso, in un luogo non ben definito: lo si può pensare un’isola, come suggerisce il titolo, perché il suo paesaggio è incontaminato e isolato dal resto del mondo. Vediamo il personaggio proseguire verso l’interno, un grande bosco ombroso. All’improvviso è richiamato indietro dal battere d’ali di un uccello che, levandosi dall’acqua, ne agita la superficie. Un’immagine indefinita appare e scompare; poi ricompare agli occhi del visitatore nelle forme di una ninfa, un’antica divinità, che sta come sdraiata su un albero (per la precisione un olmo). Il viaggiatore, vagando tra visioni evanescenti ed altre più concrete, arriva sul margine di un prato dove si muovono figure surreali, forse fanciulle: su di loro l’ombra del bosco si posa come cala la sera in un uliveto. I raggi di sole passano attraverso i rami. Un gregge di pecore, sparpagliato sul prato illuminato dal sole, bruca l’erba. Le mani del pastore, illuminate da un debole raggio di luce, appaiono umide per il calore e trasparenti come il cristallo.
2. ANALISI DEL TESTO 2.1.
A quale personaggio si riferiscono i verbi scese, “s’inoltrò”, “vide” (due volte), “giunse” (nei versi 2, 3, 8 ,9 e 13)? Che tempi del verbo sono? I verbi “scese”, “s’inoltrò”, “vide” e “giunse” sono tutti al passato remoto e si riferiscono al pastore. I tempi passati danno alle visioni e alle sensazioni un’atmosfera di lontananza: tutto sfuma nel simbolo.
2.2.
Cerca le forme dei verbi all’imperfetto. A quali elementi e aspetti della scena si riferiscono? Quale contrasto creano questi verbi all’imperfetto con quelli indicati nella domanda precedente? Le forme verbali all’imperfetto sono: “erasi sciolto” (v. 5); “languiva” (v. 7); “rifioriva” (v. 8); “era”, “dormiva” (v. 10); “s’addensava” (v. 14); “distillavano” (v. 17); “s’erano appisolate” (v. 19); “brucavano” (v. 21); “erano” (v. 23). Il tempo imperfetto dilata i confini della visione: abbiamo così la sensazione di un evento che pare sospeso e sfumato.
2.3.
Molte parole indicano l’ombra, la sera, il sonno: è davvero sera o si tratta di un contrasto tra zone del paesaggio? Nota e commenta le espressioni “ove sera era perenne” (v. 1), “acqua torrida” (v. 6), “la coltre luminosa” (v. 22). Nella poesia si fa riferimento sia a zone illuminate sia a zone non illuminate dal sole. Al sole sta un ruscello la cui acqua è “torrida” (v. 6), così come sta l’erba brucata dalle pecore (a ciò si riferisce la “coltre luminosa” del v. 22); invece è all’ombra la “proda ove sera era perenne” (v. 1). Questa espressione si riferisce all’ombra fitta e continua che avvolge nel silenzio la fitta foresta. Ma il sostantivo “sera” non è utilizzato per dare un’indicazione temporale concreta (infatti al v. 15-16 il poeta dirà “come / sera”); esso serve invece a suggerire vaghezza e indefinitezza della realtà. Siamo totalmente lontani dall’esperienza comune: la poesia ci ha trasportati in un’atmosfera, dove è possibile ricercare un senso più profondo e nascosto dell’esistenza.
2.4.
Spiega, anche con l’aiuto del dizionario, le parole proda (v. 1), larva (v. 7) e simulacro (v. 12). “Proda” significa la parte di riva a contatto diretto con l’acqua; “larva”, invece, in questo contesto significa ‘fantasma, spettro’ e anche “illusione”; infine, “simulacro” indica “parvenza, immagine irreale” (nella poesia è un sinonimo di “larva”). Questi termini suggeriscono un’atmosfera di sogno, una visione in cui è difficile distinguere la verità dall’illusione (infatti la parola “simulacro” rimanda anche a una realtà simulata, probabilmente falsa).
2.5.
Imparerai a rispondere puntualmente ai quesiti dell’analisi del testo, mediante i modelli di analisi che ti verranno forniti.
Quale scena descrivono i versi 4-6? Metti insieme le sensazioni che ricavi dalle espressioni “rumore di penne”, “stridulo batticuore”, “acqua torrida” e dal verbo “erasi sciolto”. I versi 4-6 raffigurano un uccello nell’atto di prendere il volo. Il misterioso viaggiatore sull’isola si volta indietro, richiamato dal battito d’ali (“rumore di penne”) dell’uccello che si libra in aria (a questa immagine allude il verbo “erasi sciolto”). Le ali dell’uccello scuotono l’acqua come un batticuore scuote chi lo prova: l’espressione “stridulo batticuore” traduce la sofferenza che accompagna la vita di uomini e animali.
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3
Saggio breve 2 - Ambito artistico-letterario
2
SAGGIO BREVE
ambito artistico-letterario
ARGOMENTO: Gli affetti familiari [Assegnato all’esame di Stato del 2003]
Familiarizzerai con il “format” ufficiale del saggio breve: l’“argomento” (da non confondere con il titolo), le consegne ministeriali, il dossier dei documenti.
CONSEGNE Sviluppa l’argomento scelto o in forma di “saggio breve” o di “articolo di giornale”, utilizzando, in tutto o in parte, e nei modi che ritieni opportuni, i documenti e i dati forniti. Se scegli la forma del “saggio breve” argomenta la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio. Premetti al saggio un titolo coerente e, se vuoi, suddividilo in paragrafi. Se scegli la forma dell’”articolo di giornale”, indica il titolo dell’articolo e il tipo di giornale sul quale pensi che l’articolo debba essere pubblicato. Per entrambe le forme di scrittura non superare cinque colonne di metà di foglio protocollo.
DOCUMENTI
1
2
In morte del fratello Giovanni Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo di gente in gente, me vedrai seduto su la tua pietra, o fratel mio, gemendo il fior de’ tuoi gentili anni caduto. La Madre or sol, suo dì tardo traendo, parla di me col tuo cenere muto; ma io deluse a voi le palme tendo, e sol da lunge i miei tetti saluto.
SEZIONE 3
Sento gli avversi Numi, e le secrete cure che al viver tuo furon tempesta, e prego anch’io nel tuo porto quïete.
Svolgimento
Questo di tanta speme oggi mi resta! Straniere genti, l’ossa mie rendete allora al petto della madre mesta. U. FOSCOLO, Sonetti, (1802)
M. BUONarrOTI, Sacra famiglia (1504)
Il possibile titolo del tuo saggio breve
3
A mia moglie, in montagna Dal fondo del vasto catino, supini presso un’acqua impaziente d’allontanarsi dal vecchio ghiacciaio, ora che i viandanti dalle braccia tatuate han ripreso il cammino verso il passo, possiamo guardare le vacche. Poche sono salite in cima all’erta e pendono senza fame né sete, l’altre indugiano a mezza costa dov’è certezza d’erba e senza urtarsi, con industri strappi,
Manca la divisione in paragrafi per non spezzare
brucano; finché una leva la testa a ciocco verso il cielo, muggisce ad una nube ferma come un battello. E giungono fanciulli con frasche che non usano, angeli del trambusto inevitabile, e subito due vacche si mettono a correre con tutto il triste languore degli occhi che ci crescono incontro. Ma tu di fuorivia, non spaventarti, non spaventare il figlio che maturi.
il ragionamento: questo saggio ha carattere più argomentativo Un dato storico in primo piano La tesi fondamentale del saggio: Costituzione=democrazia
G. ORELLI, L’ora del tempo , (1962)
Ricostruzione storica: prima della Costituzione La storia del fascismo brevemente riassunta dal punto di vista più vicino alla Costituzione (i diritti e le libertà)
145
Ribadita la tesi di fondo
Il contesto storico in cui nacque la Costituzione
Il confronto con lo Statuto Albertino Doc. 2
Saprai come impostare, e come scrivere al meglio, il tuo saggio breve: infatti tutti i 12 saggi brevi svolti sono accompagnati, sulla sinistra, da indicazioni, commenti, suggerimenti pratici.
doc. 5
L’attuale Costituzione della Repubblica italiana, approvata dall’Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947, costituisce l’affermazione della democrazia dopo 20 anni di dittatura fascista. In quella fase Mussolini aveva imposto un regime illiberale, nel quale il Patito fascista aveva finito per occupare interamente lo Stato italiano, in uno sforzo di controllo totale anche della società. Lo Statuto Albertino, in vigore durante il “ventennio”, non era riuscito a impedire che lo Stato italiano cadesse nelle mani di un regime autoritario, né, tantomeno, aveva garantito l’esercizio di libertà vitali come quella di stampa, di associazione, d’informazione e, prima di tutto, il diritto di voto. Ognuno di questi diritti e di queste libertà fu stravolto da una dittatura, il cui esito finale furono l’ingresso in guerra al fianco della Germania, la rovinosa sconfitta militare, il disfacimento dello Stato, la guerra civile durante la Resistenza. In sostanza “il fascismo aveva condotto il paese alla catastrofe” (Bobbio). Perciò la Costituzione repubblicana, entrata in vigore il 1° gennaio del 1948, fu varata con l’intento fondamentale di garantire che non si ripetesse mai più quanto era riuscito a Mussolini, ovvero lo sradicamento dei più basilari diritti umani, civili e politici. La Costituzione nacque in un contesto storico particolarmente difficile. L’Italia era prostrata da gravissime sofferenze materiali e, prima ancora, morali: l’assenza di democrazia dopo il 1922 aveva infatti disabituato gli Italiani a interessarsi da protagonisti della vita dello Stato. La Costituzione del 1948 rappresentò sul piano democratico un grande progresso: se lo Statuto Albertino, emanato nel 1848 dal re sabaudo Carlo Alberto, era stato (come ricorda P. Calamandrei nel documento 2) il frutto della volontà di un individuo solo, la Costituzione di un secolo più tardi nacque invece, dal contributo di molti partiti e forze. In tal modo poteva riprendere anche nel nostro Paese quel “cammino percorso dai diritti di libertà” in età moderna, come ricorda ancora Calamandrei nel documento 5: un cammino interrotto nel ventennio fascista, che in questo senso costituì un fenomeno storico di arretramento e sconfitta. Quel cammino riprese, almeno in parte, nel momento della Resistenza al nazifascismo. La Resistenza fu una guerra di popolo che suscitò grandi speranze di rinnovamento (di “palingenesi”, dice
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I 4 modelli di articolo di giornale ti aiuteranno a comprendere i “segreti” di questa affascinante modalità di scrittura.
SEZIONE 4
tema di ordine generale
Il quadro più vasto delle Costituzioni moderne:
LA COSTITUZIONE REPUBBLICANA, PRIMO PASSO VERSO UN’ITALIA DEMOCRATICA E PIENAMENTE MODERNA
2
L’età contemporanea vede l’affermarsi di un’etica individualistica e competitiva, che mette al primo posto il soddisfacimento degli istinti e privilegia l’apparenza sulla sostanza. Secondo voi è ancora possibile, in questo contesto, una qualche forma di impegno sociale e civile, attraverso cui l’individuo possa vivere valori più autentici e affermare il primato della solidarietà sull’egoismo privato?
Svolgimento Il primo paragrafo introduce il tema sottolineando la compresenza di due elementi opposti: si anticipa così la successiva analisi (prima l’egoismo diffuso, poi l’impegno sociale)
Inizia l’analisi delle manifestazioni dell’egoismo contemporaneo Prima manifestazione di egoismo
Per dare concretezza al discorso, i riferimenti sono scelti nell’ambito dell’esperienza personale di chi scrive
Seconda manifestazione di egoismo: il bullismo
Terza manifestazione di egoismo: alcol ecc. Linguaggio e riferimenti tratti dall’esperienza personale dello studente Il nuovo capoverso introduce un nuovo argomento: la realtà è più sfaccettata Gli elementi positivi Primo riferimento concreto al positivo: il volontariato Un giudizio personale per arricchire la trattazione
Il mondo di oggi ci presenta molti esempi di una società chiusa nel suo “privato”, poco disposta a uscire da questa dimensione e a impegnarsi per gli altri. Questa però può rivelarsi solo un’impressione superficiale: infatti, se analizziamo con attenzione il contesto umano e sociale che ci circonda, troveremo anche casi e situazioni che ci documentano modi di vivere differenti e sicuramente più positivi. Di certo il panorama generale non è confortante. L’egoismo oggi assume molte forme, come posso riscontrare anche soltanto fermandomi al contesto dei giovani miei contemporanei. Non è difficile incontrare, per esempio, esperienze di consumismo sfrenato, che arrivano a escludere dal gruppo chi non è vestito “bene” o all’ultima moda: l’apparire diviene in questo modo una sorta di regola di vita. Tutto ciò nella generale indifferenza verso i bisogni degli altri: c’è chi non può permettersi certi abiti o oggetti firmati, e viene per questo emarginato; c’è chi chiede attenzione, ma deve “intrupparsi” come un numero nel gruppo, senza poter dire la propria o influire sulle scelte degli altri; ecc. L’egoismo diviene qualche volta prepotenza e violenza, come accade negli episodi di bullismo di cui sono stato personalmente testimone. Ribellarsi è difficile, ma accettare passivamente queste sopraffazioni dei più deboli è davvero sbagliato. Un’altra forma di egoismo, secondo me, è quella di chi cerca di dimenticarsi dei problemi stordendosi nell’alcol o, peggio, facendosi una “canna”: anche questo rifugio nei “paradisi artificiali” è una chiara manifestazione di egoismo, perché mette al primo e unico posto se stessi, invece della relazione con gli altri. Se questa è la situazione generale, così come risulta da una rapida analisi del mondo giovanile a me vicino, devo dire però che il panorama, per fortuna, non si limita solo a queste manifestazioni negative. Esistono infatti tante esperienze di generosità, di altruismo, di impegno: forse le si nota di meno, o le si vede “dopo”; ma esistono, per fortuna. Penso per esempio alle varie forme di volontariato, che coinvolgono me (sono volontario sull’ambulanza) come anche tanti giovani della mia età, in svariati campi. Esistono numerose associazioni che si occupano dei più deboli, di chi è solo, ha fame, degli anziani abbandonati, ecc.: so che si tratta di
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L’articolo di giornale 2 - Ambito artistico-letterario
Svolgimento La destinazione editoriale Occhiello prima del titolo vero e proprio Il titolo dell’articolo La circostanza d’attualità da cui si parte (doc. 4) L’obiezione alla tesi (l’Italia Paese diviso) La tesi: l’Italia è un grande Paese e può essere orgogliosa di sé
I due elementi fondamentali di unità
Il connettivo Perciò salda la tesi alla circostanza d’attualità
L’articolo è abbastanza breve; non ha sottotitolo, ma inizi in grassetto, per differenziare i suoi capoversi Nuove obiezioni alla tesi (i fattori di divisione: v. doc. 1)
L’obiezione discussa e rigettata da un altro argomento Linguaggio giornalistico: frasi brevi, sintassi piana
Conclusione dell’obiezione Il testo è un articolo di commento e d’opinione = testo argomentativo La tesi (l’Italia è “un”) viene riproposta inglobando le ragioni dell’obiezione (i fattori di divisione sono forti)
Il tema tradizionale non può essere un problema, grazie ai 10 temi svolti e commentati.
Articolo scritto per la pagina culturale di un quotidiano UNITI, ALMENO UN GIORNO
RitRoviamo l’oRgoglio dell’Unità L’Italia che oggi arriva al suo 150° compleanno, e lo celebra in Parlamento e nelle piazze, è un Paese su molti aspetti diviso. Dalla storia, e dalla geografia. Sulla memoria storica, e sugli interessi territoriali. Ma è un grande Paese, che può essere orgoglioso del contributo di bellezza, sapere, lavoro che con i suoi artisti, scienziati, emigranti ha dato all’umanità. Il Paese degli ottomila Comuni, che a ogni collina cambia accento, paesaggio, costumi e prodotti, ma che mantiene una vocazione universale: la classicità e la cristianità, i Cesari e i Papi; il Rinascimento, con cui insegnò al mondo a raffigurare e pensare le cose, e il Risorgimento, con cui si riaffacciò sulla scena internazionale. Perciò oggi è giusto festeggiare, tutti insieme; senza che questo implichi essere tutti d’accordo, condividere la stessa idea dell’Italia. Il Risorgimento che unificò la penisola scontentò cattolici e repubblicani, e comportò una guerra civile al Sud. Anche la Costituzione nacque alla fine di un sanguinoso scontro interno. Il dopoguerra è stato segnato prima dalle contrapposizioni ideologiche, poi da quelle personali. Oggi la festa è contestata al Nord dai leghisti - anche se non da tutti - e al Sud da un movimento che sarebbe riduttivo definire neoborbonico, e presto troverà una sua forma di rappresentanza politica, una lega del Mezzogiorno. Ma Paesi considerati più patriottici del nostro hanno alle spalle divisioni anche peggiori. Gli Stati Uniti furono lacerati da una guerra civile che lasciò il Sud pressoché distrutto. I francesi si sono trucidati tra loro negli anni della Rivoluzione e della Comune. Spagna e Regno Unito si misurano da decenni con separatisti armati. Eppure i nostri vicini e alleati si riconoscono in valori comuni. Ciò che unisce è più di ciò che divide. Perché lo stesso non dovrebbe valere per noi? Non si tratta di ricostruire in laboratorio impossibili memorie condivise, ma di riconoscere che pure noi italiani abbiamo un passato di cui possiamo andare fieri e un futuro ricco di possibilità. L’attaccamento alle piccole patrie, ai dialetti, ai Comuni è giusto e utile, è la ricchezza che il mondo globale ci chiede; e può stare assieme al legame con la patria comune che ci comprende tutti.
Materiale online Sul sito della casa editrice (www.elilaspigaedizioni.it) troverai ulteriori prove d’esame.
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Indice Sezione 1 GLI AUTORI DEL NOVECENTO. MEMOCONCETTI
Sezione 3 IL SAGGIO BREVE E L’ARTICOLO DI GIORNALE (tipologia b)
1. Gabriele D’Annunzio .................................................................................................
8
2. Giovanni Pascoli ..............................................................................................................
12
Il saggio breve: che cos’è e come si fa ............................................. 134
3. Italo Svevo ................................................................................................................................
16
1. Ambito artistico-letterario: La percezione
4. Luigi Pirandello .................................................................................................................
21
dello straniero nella letteratura e nell’arte ......................... 139
5. Giuseppe Ungaretti ....................................................................................................
25
2. Ambito artistico-letterario: Gli affetti familiari ................ 145
6. Umberto Saba ....................................................................................................................
29
3. Ambito artistico-letterario: Amore, odio, passione . 149
7. Eugenio Montale ............................................................................................................
33
4. Ambito storico-politico: La crisi economica
8. Alberto Moravia ................................................................................................................
38
del 1929 ...................................................................................................................................... 154
42
5. Ambito storico-politico: Come e perché la Shoah?
10. Cesare Pavese .....................................................................................................................
46
6. Ambito storico-politico: La nascita della Costituzione
11. Primo Levi .................................................................................................................................
50
repubblicana: il laborioso cammino dalla dittatura
12. Italo Calvino ...........................................................................................................................
54
ad una partecipazione politica compiuta nell’Italia
9. Carlo Emilio Gadda ....................................................................................................
159
democratica ........................................................................................................................... 164 7. Ambito socio-economico: Le trasformazioni Sezione 2 L’ANALISI DEL TESTO (tipologia a)
provocate dai mutamenti sociali negli ultimi decenni nella struttura della famiglia italiana .............. 168
L’analisi del testo: che cos’è e come si fa ....................................
60
1. D’Annunzio, Epodo ......................................................................................................
65
2. D’Annunzio, da Il compagno dagli occhi senza cigli
67
3. Pascoli, Il gelsomino notturno ..................................................................
70
4. Pascoli, Nebbia .................................................................................................................
73
5. Svevo, da Senilità ..........................................................................................................
77
6. Svevo, Prefazione, da La coscienza di Zeno .......................
81
7. Pirandello, da Il fu Mattia Pascal .........................................................
84
8. Pirandello, da Il piacere dell’onestà ................................................
87
9. Ungaretti, In memoria ...........................................................................................
92
10. Ungaretti, L’isola ..............................................................................................................
95
11. Saba, La capra ...................................................................................................................
98
12. Montale, La casa dei doganieri ............................................................. 101 13. Montale, Mia vita, a te non chiedo lineamenti ............. 104 14. Moravia, da Gli Indifferenti ............................................................................. 107 15. Gadda, Autoprefazione, da La cognizione del dolore 111 16. Pavese, La notte .............................................................................................................. 115 17. Pavese, La luna e i falò ........................................................................................ 118 18. Levi, da Se questo è un uomo .................................................................. 121 19. Calvino, Tamara, da Le città invisibili ............................................ 126
8. Ambito socio-economico: Origine e sviluppi della cultura giovanile .......................................................................................... 171 9. Ambito socio-economico: Città e periferie: paradigmi della vita associata, fattori di promozione della identità personale e collettiva ............................................... 175 10. Ambito tecnico-scientifico: La questione ambientale ..........................................................................
180
11. Ambito tecnico-scientifico: Social network, Internet, New Media .............................................................................................................................. 185 12. Ambito tecnico-scientifico: Le responsabilità della scienza e della tecnologia ........................................................... 190 L’articolo di giornale: che cos’è e come si fa ...................... 194 1. Ambito artistico-letterario: Il piacere della lettura ... 198 2. Ambito storico-politico: L’unità d’Italia, oggi .................... 201 3. Ambito socio-economico: Le trasformazioni provocate dai mutamenti sociali negli ultimi decenni nella struttura della famiglia italiana .......................................... 205 4. Ambito tecnico-scientifico: Social network, Internet, New Media .............................................................................................................................. 208
20. Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore .......... 129
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Sezione 4 IL TEMA DI STORIA (tipologia c) E IL TEMA DI ATTUALITÀ (tipologia d) Scrivere un tema per l’esame di Stato .............................................. 212 Il tema di argomento storico 1. La Grande Guerra: un conflitto di tipo completamente nuovo .......................................................................................... 218 2. Cittadinanza femminile e condizione della donna nel divenire dell’Italia del Novecento ........................................... 220 3. Il mondo diviso in due «blocchi», la guerra fredda, la difficile distensione ............................................................................................ 222 4. La fine del colonialismo moderno e l’avvento del neocolonialismo tra le cause del fenomeno dell’immigrazione nei Paesi europei ............................................. 224 5. Storia e memoria del passato .................................................................. 227 Il tema di ordine generale (o di attualità) 1. “L’industrializzazione ha distrutto il villaggio, e l’uomo, che viveva in comunità, è diventato folla solitaria nelle megalopoli. La televisione ha ricostruito il “villaggio globale”, ma non c’è il dialogo corale al quale tutti partecipavano nel borgo attorno al castello o alla pieve. Ed è cosa molto diversa guardare i fatti del mondo passivamente, o partecipare ai fatti della comunità”. (G. TAMBURRANO, Il cittadino e il potere) Discuti l’affermazione citata, precisando se, a tuo avviso, in essa possa ravvisarsi un senso di “nostalgia” per il passato o l’esigenza, diffusa nella società contemporanea, di intessere un dialogo meno formale con la comunità circostante ................................................................................................................................ 232
2. L’età contemporanea vede l’affermarsi di un’etica individualistica e competitiva, che mette al primo posto il soddisfacimento degli istinti e privilegia l’apparenza sulla sostanza. Secondo voi è ancora possibile, in questo contesto, una qualche forma di impegno sociale e civile, attraverso cui l’individuo possa vivere valori più autentici e affermare il primato della solidarietà sull’egoismo privato? ..... 234 3. La musica - diceva Aristotele (filosofo greco del IV secolo a.C.) - non va praticata per un unico tipo di beneficio che da essa può derivare, ma per usi molteplici, poiché può servire per l’educazione, per procurare la catarsi e in terzo luogo per la ricreazione, il sollievo e il riposo dallo sforzo. Il candidato si soffermi sulla funzione, sugli scopi e sugli usi della musica nella società contemporanea. Se lo ritiene opportuno, può fare riferimento anche a sue personali esperienze di pratica e/o di ascolto musicale ..................................................................................................... 236 4. Oggigiorno le problematiche ecologiche (sviluppo sostenibile, rispetto dell’ecosistema, ecc.) sembrano entrate a far parte della coscienza collettiva. Ciascuno di noi è chiamato ad acquisire e a sviluppare il senso di una maggiore responsabilità dell’utilizzo delle risorse naturali e nei propri comportamenti ambientali ........................................................................... 238 5. “Nel futuro ognuno sarà famoso al mondo per quindici minuti”. Il candidato, prendendo spunto da questa “previsione” di Andy Warhol, analizzi il valore assegnato alla “fama” (effimera o meno) nella società odierna e rifletta sul concetto di “fama” proposto dall’industria televisiva (Reality e Talent Show) o diffuso dai social media (Twitter, Facebook, Youtube, Weblog, ecc.) ......................................................................................... 240
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Memoconcetti
1 SEZIONE
GLI AUTORI DEL NOVECENTO
SEZIONE 1
1. Gabriele D’Annunzio La vita n Nasce a Pescara nel 1863 da famiglia borghese. Durante gli studi liceali nel collegio Cicognini di Prato pubblica una prima raccolta di versi, dal titolo latineggiante Primo vere. n Dal 1881 al 1891 vive a Roma, dove frequenta l’Università, senza però laurearsi. Compone poesie e novelle (Terra vergine, 1892); soprattutto, frequenta il “bel mondo” della capitale. Collabora con riviste e periodici e si segnala come brillante giornalista. Sposa nel 1883 Maria Hardouin, da cui avrà tre figli, ma da cui si separa dopo pochi anni. Quel matrimonio gli consente l’agognato ingresso nell’aristocrazia romana. Fa parlare di sé per le sue avventure sentimentali, per i duelli e il lusso sfrenato: cerca così di sfuggire alla disprezzata esistenza dei comuni borghesi. Nel 1889 pubblica il suo primo romanzo, Il piacere. n Nel 1894 inizia una lunga relazione sentimentale con l’attrice drammatica Eleonora Duse. Nel 1897 è eletto deputato della Destra al Parlamento. Nel 1900 però, per protestare contro le leggi antidemocratiche del Governo, clamorosamente passa sui banchi della Sinistra. Nel 1895 esce il romanzo Il trionfo della morte; nel 1896 Le vergini delle rocce. Approfondisce il suo disprezzo per il mondo borghese, gretto e affarista. n Dal 1898 al 1909 vive nel lusso e nella mondanità in una villa detta “La Capponcina”, presso Pisa. Qui scrive, oltre al romanzo Il fuoco, anche le prime opere teatrali oltre alle Laudi in versi (in 3 libri: Maia, Elettra, Alcyone), capolavoro della sua produzione poetica. n Il dannunzianesimo (l’imitazione di D’Annunzio nel modo di esprimersi e di vivere) è ormai una moda, ma nella vita quotidiana lo scrittore è pressato dai debiti. Si trasferisce
MEMOCONCETTI
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perciò, dal 1910 al 1914, a Parigi, dove non rinuncia a una dispendiosa vita da “esteta”. Scrive nuove opere teatrali, prose romanzesche e articoli per il “Corriere della sera”. n Nel 1915 ritorna in Italia, impegnandosi nella propaganda in favore dell’intervento italiano nel primo conflitto mondiale. Si arruola – malgrado l’età – come volontario e partecipa ai combattimenti, compiendo imprese coraggiose e clamorose e cercando soprattutto il “bel gesto”, in cui fondere eroismo ed estetismo. In un’incursione aerea perde un occhio; durante la degenza in ospedale compone il romanzo Notturno (1916). n Nel 1919, deluso dal trattato di pace, organizza una “legione” di volontari e occupa la città istriana di Fiume, dove istituisce uno Stato di cui si proclama dittatore (“Reggenza del Carnaro”). L’avventura si protrae fino alla fine del 1920. n Dal 1921 risiede nella villa-museo che si è fatto costruire a Gardone Riviera (il “Vittoriale”). Qui, circondato da cimeli letterari e di guerra, alimenta il mito di se stesso. Il regime fascista a parole lo esalta, nei fatti lo tiene in disparte, né D’Annunzio ha stima di Mussolini. La vena creativa decade; lo scrittore muore nel 1938.
L’importanza di D’Annunzio nella letteratura del Novecento
n D’Annunzio riveste grande importanza non solo nella storia letteraria, ma anche in quella sociale e politica. Ha incarnato il modello dell’individuo antiborghese e aristocratico. La sua appassionata eloquenza infiammava le folle; l’impresa di Fiume (1919-20) costituirà un modello per la marcia su Roma (1922) di Mussolini. n D’Annunzio è uno scrittore aperto alla sperimentazione e alla ricerca letteraria. È uno dei primi, in Italia, a fare propri i modelli del simbolismo francese. Tratta con buoni risultati tre generi letterari: la poesia, il romanzo e il teatro (oltre al genere minore del giornalismo). n Assieme a Pascoli, D’Annunzio incarna i caratteri del primo decadentismo, quello più legato ai miti dell’estetismo (“fare della vita un’opera d’arte”) e del superomismo (vivere una “vita inimitabile”). n Il suo influsso letterario si è prolungato in varie forme nel Novecento. Le sue liriche d’impronta simbolista saranno un punto di partenza per i poeti successivi; la prosa di Notturno ha influenzato le ricerche della “prosa d’arte”; il suo teatro simbolico ha segnato la fine del dramma verista e realista. n Famoso al suo tempo, D’Annunzio è stato poi emarginato dalla critica a causa del suo appoggio al fascismo. Attualmente è in corso una sua rivalutazione critica.
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Gli autori del Novecento: memoconcetti
MEMOCONCETTI
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OPERE IN VERSI
ROMANZI
TEATRO
PROSE AUTOBIOGRAFICHE E DI MEMORIA
Le opere •
Raccolte giovanili: Primo vere (1879) e Canto novo (1882), ispirate a Carducci. Il giovane poeta canta l’immersione nella natura (è il panismo dannunziano).
•
Raccolte poetiche dell’estetismo: Intermezzo di rime (1883), Isottèo-La Chimera (1890), intonate a eleganza letteraria e a temi erotico-sensuali.
•
Poesia simbolista: Poema paradisiaco (1893), con toni più smorzati e una tenue musicalità. Ispirerà le ricerche dei poeti crepuscolari.
•
Capolavori della maturità: i primi tre libri delle Laudi (1903, Maia, Elettra e soprattutto Alcyone). In Alcyone il poeta s’immerge nel paesaggio, utilizzando i sensi come bocche spalancate sui sapori, sugli odori, sulle vibrazioni di quel grande corpo animato che è la natura estiva in tutto il suo splendore.
•
1912-1918, Merope e Asterope (canti di guerra), in conclusione delle Laudi.
•
Il piacere (1889), opera che celebra il superuomo (Andrea Sperelli, controfigura dell’autore) e la sua capacità di vita splendida e “inimitabile”.
•
1891-1892: Giovanni Episcopo e L’innocente, due romanzi improntati da una ambigua “bontà” (per imitazione dei narratori russi).
•
Opere del superuomo: Il trionfo della morte (1894), Le vergini delle rocce (1895), Il fuoco (1900), Forse che sì forse che no (1910). Il primo celebra il mito del decadere di tutte le cose, nel contesto di un amore impossibile. Gli altri tre sono romanzi politici, ispirati da Nietzsche.
•
Notturno (1916): romanzo autobiografico di tipo nuovo, scritto in un periodo di forzata immobilità e cecità. Lo stile è più intimo e sincero.
•
1896-1899: drammi in prosa (La città morta, La Gioconda, La gloria) scritti per Eleonora Duse, ispirati da forte passionalità e dalla figura del poeta-superuomo.
•
1900-1912: tragedie in versi (Francesca da Rimini, La figlia di Iorio, La fiaccola sotto il moggio, La nave, Fedra, Parisina) su personaggi storici: lo stile ricercato le rende poco adatte alla rappresentazione.
•
1911-13 Le Faville del maglio (articoli letterari pubblicati sul “Corriere della sera”); La Leda senza cigno (racconto lungo, di carattere introspettivo).
•
1912-13 Il compagno dagli occhi senza cigli (rievocazione di un’amicizia giovanile).
Nella sua ricca sperimentazione letteraria, D’Annunzio toccò anche altri generi:
ALTRI GENERI DELLA SPERIMENTAZIONE DANNUNZIANA
•
la scrittura giornalistica, soprattutto negli anni giovanili (cronache mondane per quotidiani e periodici romani);
•
racconti e novelle (nel 1882 pubblicò Terra vergine e nel 1902 i Racconti della Pescara), interessanti per l’immersione nella campagna abruzzese e nel mondo dei suoi “primitivi” contadini;
•
discorsi politici, motivati dalla propaganda interventista del 1915 e dall’impresa di Fiume del 1919-1920;
•
sceneggiature cinematografiche (La nave, 1907; Cabiria, 1914): assieme a Pirandello, D’Annunzio fu uno dei primi scrittori europei a cogliere le grandi potenzialità del nuovo linguaggio artistico.
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SEZIONE 1
MEMOCONCETTI
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La poetica •
La prima esperienza europea assimilata da D’Annunzio è l’estetismo, coltivato negli stessi anni da scrittori francesi (Mallarmé, Huysmans, Proust) e inglesi (Oscar Wilde). All’estetismo si collegano il romanzo Il piacere, le raccolte giovanili di versi e molte liriche delle Laudi (in particolare di Alcyone).
•
Per l’estetismo, l’unico valore autentico è la Bellezza. “Fare la propria vita come si fa un’opera d’arte” è il programma di D’Annunzio e del protagonista de Il piacere: crearsi cioè una “vita inimitabile”, in cui non valgono le regole che esistono per la massa. Infatti pochi sanno davvero cogliere il valore della Bellezza.
•
Per l’esteta “bello” è tutto ciò che è aristocratico, prezioso, unico. Può essere un oggetto o una situazione, un singolo verso come la sensazione dell’Assoluto.
•
Il bello lo si gode con i sensi (sensualità), nell’esteta sempre desti e più sviluppati.
ESTETISMO
All’estetismo si collegano panismo e vitalismo, tra loro strettamente legati: •
Il panismo, presente in Canto novo ma trionfante in Alcyone, costituisce la gioia sublime di sentirsi tutt’uno con la natura. Tale unione è vissuta con tutto l’io e specialmente con i sensi, e dà al poeta quasi la sensazione di essere simile all’antico dio Pan (che in greco indica sia una divinità agreste, sia “il tutto”).
•
Il vitalismo è l’amore per l’azione, per lo slancio, anche per alcuni aspetti della modernità come la “macchina” (l’automobile, l’aeroplano, la motosilurante), che moltiplica la possibilità d’azione dell’uomo. È anche amore per la guerra, sentita come trionfo della forza sulla debolezza ottusa della ragione.
•
D’Annunzio assimilò questa tematica dopo una lettura (in verità piuttosto superficiale) di alcune opere del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche (1844-1900), che sviluppavano una radicale critica a certezze e valori tradizionali. Nel saggio Così parlò Zarathustra (1883-85) Nietzsche annunciava la “morte di Dio”. Solo il “superuomo” si riscatta dal decadere di tutte le cose, dando un nuovo inizio alla storia umana.
•
L’influsso di Nietzsche si avverte nel passaggio dal romanzo Il trionfo della morte (1894) al successivo Le vergini delle rocce (1895). Il protagonista del primo è un individuo debole e sconfitto; invece il protagonista del secondo, Claudio Cantelmo, è esaltato per la sua forza, per l’orgogliosa individualità e la volontà di dominio sugli altri. L’autore condivide con lui il rifiuto della morale comune, che compete agli “schiavi”, e il progetto di una forma di governo oligarchica, che garantisca a un classe “superiore” il controllo della massa.
•
Basandosi su questa visione del superuomo/esteta, D’Annunzio idealizza un personaggio capace di utilizzare abilmente la parola per suggestionare e orientare le masse anche in senso politico. Il protagonista del romanzo Il fuoco, Stellio Éffrena, sa dominare le masse con il potere dell’arte.
•
D’Annunzio non è solo lo scrittore del panismo, vitalismo e superomismo. Questi aspetti convivono in lui con il gusto per le atmosfere torbide, malate, decadenti, da cui nascono tormenti interiori e situazioni morbose.
•
Questi temi impregnano diversi testi dannunziani, dal Piacere al romanzo Il trionfo della morte (1894), emblematico già nel titolo. Li ritroviamo anche in Alcyone: tale raccolta canta infatti lo splendore dell’estate, colto però al suo tramonto, nel momento in cui si annuncia l’autunno. I segni della decadenza sono ovunque e il poeta li assapora, affascinato.
•
Proprio questi, a parere di molti critici, sarebbero gli aspetti migliori (o comunque i più sinceri) dello scrittore.
PANISMO / VITALISMO
SUPEROMISMO (o superominismo)
IL “DECADERE DI TUTTE LE COSE”
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Gli autori del Novecento: memoconcetti
MEMOCONCETTI
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Lo stile •
D’Annunzio prende all’inizio come modello Carducci. Da lui apprende i caratteri di una poesia sempre portata all’eloquenza e, spesso, anche alla retorica, accompagnata dal costante uso di termini colti, tratti dal linguaggio letterario e aulico.
•
Al modello carducciano egli aggiunge l’imitazione dei poeti decadenti europei, in particolare francesi. Essi suggeriscono a D’Annunzio il ricorso ad atmosfere suggestive e musicali.
•
Dai poeti simbolisti egli desume soprattutto il tema della continua ricerca della Bellezza, che suggerisce questi artifici formali: - continui riecheggiamenti di altri poeti (D’Annunzio ama citare numerosi poeti del passato);
IL LINGUAGGIO POETICO DANNUNZIANO
LO STILE DI ALCYONE
- il preziosismo formale nella scelta di vocaboli e suoni; - presenza di grecismi e latinismi nel linguaggio e di ricordi mitologici nei contenuti. •
D’Annunzio si serve regolarmente di raffinati artifici compositivi (la semplicità è del tutto assente in lui). Il risultato è una poesia sontuosa e magniloquente, ricca di enunciazioni altisonanti. Il poeta accumula gli oggetti, uno dopo l’altro, in preziose elencazioni, che finiscono però per porre le cose tutte sullo stesso piano. Diversi critici hanno accostato questo linguaggio alla lirica barocca del XVII secolo.
•
Alcune liriche del Poema paradisiaco risultano invece di tono più intimo e sommesso, quasi “crepuscolare”: è una conferma dell’incessante sperimentalismo della scrittura dannunziana.
•
Nei suoi momenti migliori (in particolare in parecchi componenti di Alcyone) D’Annunzio poeta raggiunge una musicalità sottile e sfumata, ricca di suggestioni e fortemente allusiva. Questa, a giudizio della critica, è la parte più felice della poesia dannunziana.
•
Immagini, analogie, associazioni d’idee si sommano e s’intrecciano, senza pause. Il mondo appare, al poeta in ascolto, come un’immensa, indifferenziata macchia di colore. La sintassi si scioglie in una sola, vastissima struttura paratattica; le parole appaiono scelte essenzialmente per i loro valori fonici. Sembra quasi che al poeta non interessi esprimere un messaggio o un contenuto preciso, all’infuori della dilatazione dei sensi dentro il paesaggio animato.
•
D’Annunzio costituisce un decisivo momento di passaggio fra il romanzo dell’Ottocento (romanticismo e verismo) e il romanzo, psicologico e simbolista, del Novecento.
•
Abile manipolatore di modelli, egli studiò a fondo le novità introdotte nella letteratura dal romanzo verista e in particolare il “discorso indiretto libero” di Verga, o l’uso di un narratore interno e non esterno rispetto al mondo rappresentato. Di tali novità D’Annunzio si serve con molta libertà e anche con forti prese di distanza rispetto al modello. È infatti animato da una visione del mondo assai diversa da quella di Verga: sotto i fatti egli vuole sempre far correre una rete fitta di simboli; inoltre non rinuncia affatto a dare un giudizio su ciò che descrive.
•
Nella sua opera narrativa più famosa, Il piacere, incontriamo spesso il discorso indiretto libero, utilizzato per mettere in luce i pensieri del personaggio nel momento stesso del loro svolgersi: così già aveva operato Verga, ma D’Annunzio mescola tutto ciò all’intervento del narratore, che commenta a suo modo i pensieri stessi e li giudica. Ciò finisce, tra l’altro, per porre una certa “distanza critica” tra l’autore e il modello (letterario e umano) dell’esteta.
•
Le caratteristiche della sua prosa rimangono costantemente la ricerca dell’eleganza formale a tutti i costi, il “barocchismo”, la suggestione dei toni e delle immagini. Sono i caratteri tipici della narrativa del superuomo (Il piacere, Le vergini delle rocce, Il fuoco). Molte pagine, però, appaiono troppo eloquenti e appesantite dalla ricercatezza di immagini e parole con le quali l’autore vuole divulgare il suo personaggio-superuomo.
•
In altre pagine (in L’innocente, nel Trionfo della morte, in certi passaggi anche del Piacere e del Fuoco) risalta invece il senso della “decadenza” e della sconfitta, tradotto con immagini più sfumate e con un tono più dimesso e malinconico.
•
In Notturno (1916) la fase del superuomo appare superata. La narrazione sembra vivere di brevi momenti e “frammenti” distaccati; l’onda dei ricordi si affida alla suggestione di brevi istanti di luce. La parola retorica dei primi romanzi lascia campo a uno stile più frammentario, più intimo e personale.
LO STILE DEI ROMANZI
LA SVOLTA DI NOTTURNO
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2. Giovanni Pascoli La vita n Pascoli nasce nel 1855 nelle campagne di San Mauro di Romagna, in una famiglia numerosa ma agiata. Il padre Ruggero, infatti, è amministratore della grande tenuta dei principi Torlonia. n Un evento choc per il futuro poeta accade il 10 agosto 1867: Ruggero Pascoli viene assassinato in un agguato mentre sta rincasando. La famiglia perde così il proprio sostegno; negli anni successivi verrà colpita da altri lutti e disgrazie. n Grazie alla generosità dei Torlonia, Giovanni può frequentare le scuole presso il collegio degli Scolopi, prima a Urbino poi a Firenze. Terminato il liceo nel 1873 può iscriversi, grazie a una borsa di studio, alla facoltà di Lettere a Bologna, dove insegna Carducci. A Bologna frequenta ambienti studenteschi socialisti e anarchici. n Nel 1879 viene condannato a tre mesi di carcere per aver partecipato a una manifestazione anarchica; perde così la borsa di studio. L’esperienza della reclusione incide profondamente su di lui: rinuncia agli ideali rivoluzionari, abbracciando teorie socialiste più generiche e umanitarie. n Laureatosi nel 1882, insegna latino e greco nei licei di Matera, poi Massa, Livorno e Roma. Scrive intanto versi, in italiano e in latino; nel 1891 vince per la prima volta il concorso di poesia latina di Amsterdam; nello stesso anno pubblica la sua prima raccolta di versi, Myricae. n Dal 1884, a Massa, vive insieme alle sorelle minori Ida e Mariù, con le quali cerca di tenere unito quello che rimane del nucleo familiare d’origine, da lui chiamato “nido”. Dopo le nozze di Ida (vissute dal poeta come un tradimento del
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“nido”), egli rimane a vivere con la sorella Mariù, che sarà la sua erede e depositaria dei suoi manoscritti. n Dal 1895 il centro degli affetti di Pascoli e della sua ispirazione poetica, il suo “nido”, si sposta dalla Romagna alla Garfagnana (nell’Appennino lucchese): risiede infatti nella casa di vacanze di Castelvecchio in Garfagnana, acquistata con i proventi delle vittorie di Amsterdam. n Nel 1897, quarantaduenne, Pascoli vince la cattedra di letteratura latina all’università di Messina. Nello stesso anno pubblica l’importante prosa Il fanciullino, base della sua poetica. Pubblica in questi anni tre volumi di innovativi studi su Dante. Nel 1903 si può trasferire a Pisa; in quell’anno pubblica i Canti di Castelvecchio. Nel 1907 passa a insegnare letteratura italiana a Bologna, occupando la cattedra che era stata di Carducci. n Sul piano politico, il socialismo umanitario di Pascoli si muta in un “socialismo patriottico”, di carattere piuttosto conservatore. Nel 1911 il poeta prende posizione pubblica a favore della guerra di Libia. A Barga pronuncia il celebre discorso La grande Proletaria si è mossa, a favore dell’imperialismo italiano. Muore di malattia allo stomaco e al fegato nel 1912.
L’importanza di Pascoli nella letteratura del Novecento
n Pascoli è, con D’Annunzio, il principale esponente del primo decadentismo in Italia. Aggiornando la tradizione poetica italiana nel linguaggio e nei contenuti, egli si accosta, in modo originale, alla poesia simbolista europea, della quale è uno tra i maggiori interpreti. n L’opera di Pascoli è caratterizzata da una continua sperimentazione sul piano concettuale, sintattico, metrico, lessicale. I temi sono, in apparenza, semplici e quasi banali: la gioia e la semplicità della vita a contatto con la natura, i buoni sentimenti, il valore della famiglia e della casa. Ma sono interpretati alla luce della visione del “fanciullino”, che della realtà sa cogliere, in controluce, aspetti nuovi e diversi: nasce così un’idea intuitiva e a-logica della poesia. n Pascoli “riscrive” il genere lirico, allontanandolo dalla tradizione classica (in auge ancora nella poesia romantica e nel suo maestro Carducci), pur senza tradirla completamente. Per esempio non rinuncia, nei suoi componimenti, alla metrica, ma crea forme metriche in buona parte nuove. n La sperimentazione pascoliana investe soprattutto il linguaggio, fresco, antiletterario, che sembra crescere a diretto contatto con la realtà semplice della campagna e con le sue umili forme di vita. È la lingua del “fanciullino”, che dà vita a visioni ed esperienze lontanissime dalla poesia di scuola e più intime e originali. n L’originalità maggiore di Pascoli risiede nell’attenzione verso l’aspetto fonico, per cui spesso i suoi testi appaiono costruiti sull’effetto, sulle impressioni evocate dal succedersi dei suoni.
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Gli autori del Novecento: memoconcetti
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Le opere •
Il titolo è latino: Myricae significa “tamerici” (un genere di arbusti selvatici). Pascoli lo trae da un verso della IV egloga di Virgilio (Non omnes arbusta iuvant humilesque myricae, “non a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici”).
•
Protagoniste della raccolta sono perciò le cose semplici e umili. Il libro raccoglie quadretti - sempre in pochi versi - che delineano immagini della vita della campagna (Lavandare, Arano, Novembre); Pascoli (e il “fanciullino” che è in lui) cerca in ogni cosa elementi di poesia, ma preferibilmente li trova nella natura. La vita campestre è idealizzata dal poeta, privata degli aspetti più realistici (descritti, per esempio, da Verga).
•
In alcune liriche emergono memorie della propria terra e dell’infanzia (Romagna, X Agosto), alimentate dall’attaccamento al “nido famigliare” e dai profondi dolori a esso connessi.
•
Il libro d’esordio pascoliano si differenzia moltissimo dalla tradizione poetica, sia romantica sia carducciana, così come dallo stile di D’Annunzio. Pascoli sperimenta temi nuovi (immagini brevi e soggetti umili e dimessi) e uno stile nuovo, in cui si evidenzia l’uso dell’analogia, del simbolo e della suggestione suggerita dai suoni.
•
I Poemetti apparvero dapprima uniti (1897), poi distinti in Primi poemetti (1904) e Nuovi poemetti (1909).
•
Pascoli si cimenta qui in liriche di lunghezza anche notevole, in forma di poemetti appunto, per i quali adopera la terzina, già usata da Dante. È la differenza maggiore rispetto a Myricae.
•
Un buon numero di poemetti viene a disegnare la storia romanzata di una famiglia toscana, vista attraverso i vari momenti e lavori della vita contadina.
•
Il poemetto Italy narra la vicenda di una famiglia di contadini lucchesi emigrati in America e poi rientrati in Italia. Interessante è il linguaggio, un impasto di toscano e di italo-americano.
•
I Canti di Castelvecchio sono così chiamati dal luogo (Castelvecchio di Garfagnana) in cui il poeta passa le vacanze estive: qui egli vuole ricostituire, con la sorella, il “nido” familiare.
•
Predominano, come sempre, i temi tratti dalla campagna e dalla vita semplice della natura. Molte liriche alludono al mondo infantile, ai ricordi dell’infanzia, ai familiari scomparsi. Il paesaggio toscano dei dintorni di Castelvecchio arriva spesso a sovrapporsi, nel ricordo e nel simbolo, a quello romagnolo, in cui Pascoli era cresciuto.
•
In queste poesie cresce l’utilizzo del simbolismo e dell’analogia, gli strumenti poetici più idonei a cogliere il mistero di cui il poeta si sente circondato.
•
Il titolo prende spunto dalla rivista letteraria “Il convito”, diretta da Adolfo De Bosis, su cui Pascoli stampò via via questi 20 poemi (in realtà poemetti). Il titolo allude anche agli antichi carmi latini, i solenni canti recitati durante i banchetti (in latino convivia).
•
Pascoli si avvicina all’estetismo contemporaneo (v. D’Annunzio e il parnassianesimo francese). I contenuti rievocano infatti miti classici, personaggi (Omero, Esiodo, Odisseo-Ulisse, Achille, Alessandro Magno, ecc.) ed episodi del mondo antico. Spesso però emergono i temi più cari al poeta: gli eroi appaiono attraversati da dubbi e inquietudini, minacciati dall’insuccesso in un mondo pieno di mistero, su cui incombe la morte.
•
Il linguaggio è raffinato, carico di simboli. Pascoli rivaleggia con i poeti antichi, costruendo fitte reti di citazioni e di allusioni.
•
Nelle ultime raccolte poetiche (Odi ed inni del 1906, Poemi italici del 1911, Le canzoni di re Enzo del 1911, i Poemi del Risorgimento del 1913) Pascoli abbandona la poetica del fanciullino per trattare temi storici o di virtù civili, in un linguaggio molto artificioso.
•
Saggio in prosa Il fanciullino (pubblicato nel 1897 sulla rivista letteraria “Il Marzocco”).
•
Libri di studi su Dante: Minerva oscura (1898), Sotto il velame (1900), La mirabile visione (1902).
MYRICAE (1891)
POEMETTI (1897- 1909)
CANTI DI CASTELVECCHIO (1903)
POEMI CONVIVIALI (1904)
ALTRE OPERE
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SEZIONE 1
MEMOCONCETTI
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La poetica
Pascoli ha affidato la sua concezione poetica al lungo e importante scritto Il fanciullino (1897).
IL CONTESTO STORICOCULTURALE
IL POETA “FANCIULLO”
•
La poetica di Pascoli riflette il rifiuto del positivismo, la sfiducia nella scienza e perfino nella ragione umana come metodo principale di conoscenza.
•
Per lui la realtà non conta tanto in sé (realtà oggettiva), quanto per come l’uomo riesce a vederla e a “sentirla” dentro di sé (realtà soggettiva). Secondo Pascoli, la realtà esterna si coglie non con il ragionamento, ma immedesimandosi istintivamente in essa.
•
Secondo Pascoli, in ogni uomo c’è un fanciullo, che è capace di commuoversi e di provare ogni giorno nuove sensazioni. Egli sogna anche a occhi aperti, scopre il lato attraente e misterioso di ogni cosa, vola con la fantasia in mondi meravigliosi; ha mantenuto la facoltà di parlare con gli alberi e gli animali...
•
Secondo Pascoli solo i poeti, divenuti adulti, sanno ascoltare e assecondare il “fanciullino” che è dentro noi tutti. Per questo appunto sono poeti: infanzia e poesia sono strettamente collegate. Il poeta infatti è colui che ha mantenuto la capacità, tutta infantile, di meravigliarsi e di intuire, piuttosto che di ragionare.
•
Il poeta-fanciullo, dunque, sa vedere tutto con occhi nuovi, diversi da quelli della gente comune: riesce a sentire le analogie e le misteriose relazioni fra le cose, a cogliere il lato bello e commovente di ogni situazione, ad andare sempre, con la fantasia, oltre le semplici apparenze.
•
Secondo Pascoli la poesia, in quanto parla al cuore degli uomini, smuove i sentimenti più puri e ha perciò un immenso valore umano e sociale; essa però vale in quanto è poesia, non in quanto affermi valori, magari alti, umani, sociali, religiosi o politici. Dunque, quando la poesia si piega ad affermare qualunque messaggio o valore, cessa di essere vera poesia, tradendo la sua essenza e la sua funzione.
•
È forte la distanza tra Pascoli e la poesia risorgimentale e carducciana: egli afferma un’idea di poesia “pura”, che rifiuta di propagandare ideali esterni alla poesia stessa.
LA POESIA “PURA”
I temi privilegiati nelle raccolte pascoliane (con l’eccezione delle ultime) sono tre. •
La campagna entra da protagonista in moltissime liriche, sia sotto forma di quadretti di vita campestre o come descrizione di oggetti naturali (fiori, cespugli, o gli uccellini di cui viene talora riportato il verso particolare), sia nel ricordo di aspetti della vita contadina.
•
L’infanzia (quella del poeta o l’infanzia di altri) è la stagione dello stupore e della scoperta del mondo, dell’incerto confine fra realtà e sogno. Essa ispira le molte figure e situazioni infantili di Pascoli (a volte un po’ fastidiose per la nostra sensibilità). Su questa infanzia aleggia però un sentore di morte, perché essa è anche la stagione dell’incontro con il male del mondo, quindi con il buio, il pericolo, il terrore di restare soli, la morte.
•
Il nido entra in numerose poesie pascoliane (molte hanno come protagonisti gli uccellini). Non è solo un’immagine reale, ma anche un simbolo: nido è un ambito protetto dal mondo esterno, dove si agitano forze oscure e misteriose; è la famiglia, oltre la quale, per il fanciullo/poeta, il mondo è male e dolore; per estensione il nido è anche la Patria, madre dei suoi figli (così canta l’ultimo Pascoli). Secondo la critica, il nido di Pascoli costituisce un sintomo del suo istintivo diffidare del mondo esterno, di ciò che è sconosciuto.
•
Da studente Pascoli ebbe orientamenti socialisti e anarchici; in seguito s’indirizzò verso un socialismo di stampo umanitario e sentimentale (fu quindi contrario alla lotta di classe voluta da Marx). Celebrò perciò la fratellanza fra gli uomini, la bontà reciproca, ecc.
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Tali valori si traducono per Pascoli nella concordia e collaborazione fra le classi sociali. La famiglia agricola, con la sua mentalità solidaristica (unione fra i membri e laboriosità), incarna bene tali valori. Viceversa il poeta guarda con sospetto alla città e all’industria.
•
Pascoli, inoltre, appoggiò la politica colonialista del governo Giolitti perché convinto che le colonie potessero sanare la piaga dell’emigrazione e che anche l’Italia, nazione “proletaria”, dovesse far valere i suoi diritti.
TRE TEMI PREVALENTI
L’IDEOLOGIA SOCIALE E POLITICA
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Gli autori del Novecento: memoconcetti
MEMOCONCETTI
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Lo stile •
Pascoli rifiuta l’uso della sintassi poetica tradizionale. Questa poneva una precisa gerarchia fra gli elementi del discorso, e quindi richiamava a un’idea dell’universo ben chiara e precisa, in cui l’uomo riesce a orientarsi. Pascoli ritiene invece che noi siamo circondati di mistero e che il mondo non è assolutamente chiaro.
•
Da qui l’uso di frasi ellittiche (senza soggetto o verbo) e l’uso sistematico della coordinazione al posto della subordinazione: gli elementi del periodo vengono accostati uno all’altro, spesso senza neppure l’uso della congiunzione.
SUL PIANO SINTATTICO (livello della struttura del periodo)
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Pascoli utilizza quelle figure retoriche che si prestano a evocare sensazioni suggestive.
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Usa spesso la sinestesia: - v. l’espressione di foglie un cader fragile, dove “fragile”, che dovrebbe per logica essere riferito a “foglie”, viene invece collegato grammaticalmente a “cadere”;
SUL PIANO RETORICO (abbellimento del discorso poetico: uso delle figure retoriche)
SUL PIANO LESSICALE
- v. l’espressione Dai calici aperti si esala / l’odore di fragole rosse: l’immagine del “rosso” viene accostata a una sensazione che dovrebbe essere non visiva. •
Costante è l’uso dell’analogia: un paragone velocissimo, in cui sono soppressi i passaggi logici intermedi fra due termini e vengono accostati due concetti che fra loro non avrebbero un nesso logico. Il nesso è fornito solo dall’immaginazione del poeta. Per es.: Soffi di lampi; Sospiro di vento; Tra il nero un casolare:/un’ala di gabbiano.
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In molte sue poesie Pascoli adopera il linguaggio “pregrammaticale” dei bambini, e quello “agrammaticale” degli illetterati, per esempio i contadini. Così avviene in Italy, in cui mescola il dialetto dei contadini toscani al linguaggio degli italo-americani di Brooklyn, che definiscono gli “affari” col termine bisini, corruzione di business.
•
A volte adopera vocaboli tratti dal linguaggio tecnico e settoriale di un dato mestiere, per esempio quello del contadino, e allora cerca la massima precisione (cosa non usuale in poesia). Appartengono a questa categoria nomi di piante e fiori.
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In altri suoi testi (per es. nei Poemi conviviali) Pascoli ricerca un linguaggio raro e prezioso, anche arcaico, che intende avere un valore di suggestione e suscitare un’eco e una sensazione di mistero nel lettore (similmente a quanto faceva D’Annunzio).
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Il poeta fa largo uso dell’onomatopea (l’imitazione del suono). Per indicare un temporale dice: Un bubbolìo lontano...; altrove sente tintinni a invisibili porte; riproduce nei suoi versi lo sciabordare delle lavandare, o scrive un fru fru tra le fratte.
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L’onomatopea, oltre a evocare un rumore esistente in natura, ha un valore suggestivo: richiama al lettore un che di indeterminato, lontano e perciò spesso minaccioso e inquietante. In ogni caso ciò che è indefinito e lontano ha di per sé valore evocativo capace di suggestionare.
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Particolari onomatopee sono quelle dedicate ai suoni degli uccelli, riportati con puntigliosa precisione (scilp, videvitt, chiù). Il punto di partenza pascoliano rimane sempre quello infantile: il bambino è impressionato dal grido dell’uccello; riferire direttamente tale grido costituisce una voluta regressione verso l’infanzia.
•
Pascoli abbandona i metri popolari cari ai romantici, come la ballata. Riutilizza sistemi metrici e ritmici tradizionali o antichi (il sonetto, la terzina di endecasillabi danteschi, le strofe della poesia greca e latina), ma in modo nuovo: ricerca infatti accenti e pause sino ad allora sconosciute. La tradizione assume così valori non tradizionali.
•
Talora egli spezzetta il verso con puntini di sospensione, punti esclamativi e/o interrogativi, allo scopo di far percepire in azione il punto di vista del fanciullino, vera voce narrante: un punto di vista istintivo, che origina un discorso “non logico”.
(l’uso delle parole)
SUL PIANO FONICO (i suoni delle singole parole)
SUL PIANO METRICO (la struttura della composizione poetica)
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SEZIONE 1
3. Italo Svevo La vita n Ettore Schmitz (solo in seguito avrebbe assunto lo pseudonimo letterario di “Italo Svevo”) nasce il 19 dicembre 1861 a Trieste, città all’epoca facente parte dell’impero austroungarico. La sua famiglia è di origine ebraica. n Dopo un’infanzia felice, viene mandato (1873) con due fratelli nel collegio di Segnitz in Baviera, dove resta cinque anni. Conclude quindi gli studi commerciali presso l’Istituto Revoltella di Trieste, presso cui sarà poi docente. Nel frattempo decide di abbracciare la cultura italiana e compie da autodidatta la propria formazione letteraria: legge gli autori classici italiani nella biblioteca civica di Trieste; scrive abbozzi di commedie e si appassiona ai romanzi del francese Zola. Frequenta inoltre l’amico pittore Umberto Veruda. n Dal 1880 lavora presso la Banca Union di Trieste come impiegato (una condizione poi riflessa nel romanzo, in parte autobiografico, Una vita). Intanto, con lo pseudonimo di Ettore Samigli, pubblica articoli di critica sul quotidiano “L’Indipendente”. Nel 1892 pubblica il suo primo romanzo, Una vita, firmandolo con lo pseudonimo di Italo Svevo (che, come lui stesso scrisse, “sembra voler affratellare la razza italiana e quella germanica”). n Nel 1896 sposa Livia Veneziani, figlia di un affermato industriale triestino. Qualche anno dopo, nel 1899, entra a lavorare come dirigente nella ditta di vernici sottomarine del suocero. Nel 1898 dà alle stampe il suo secondo romanzo, Senilità. n L’indifferenza di pubblico e critica verso le sue opere lo
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induce ad abbandonare la letteratura. S’impegna quindi a fondo nel commercio; per conto della ditta Veneziani risiede per lunghi periodi a Londra. A Trieste, nel 1906, prende lezioni d’inglese da James Joyce, che risiede per qualche tempo in città. Intorno al 1908 Svevo legge (tra i primi intellettuali in Italia) le opere di Freud, fondatore della psicoanalisi. n Ritorna alla letteratura dopo un ventennio di silenzio: dal 1919 al 1922 elabora il suo terzo romanzo, La Coscienza di Zeno, pubblicato nel 1923. L’opera ottiene scarsissimi echi sulla stampa e questo nuovo insuccesso amareggia profondamente Svevo. L’amico Joyce (a cui aveva inviato, per amicizia, una copia della Coscienza) si adopera però, da Parigi, per far conoscere il romanzo; una recensione favorevole scrive, in Italia, il giovane Eugenio Montale. n Esplode così, nel 1926, il “caso Svevo”: da perfetto sconosciuto, l’autore conosce un’improvvisa celebrità. Si dedica perciò a nuove opere, narrative e teatrali, ma mentre sta lavorando a un quarto romanzo di memorie, muore improvvisamente a Motta di Livenza (13 settembre 1928), a seguito di un incidente automobilistico.
L’importanza di Svevo nella letteratura del Novecento
n Svevo è uno scrittore “di frontiera”: nasce e si forma a Trieste, ha esperienze letterarie e culturali più mitteleuropee che italiane, non si sente obbligato verso la nostra tradizione letteraria: è dunque più libero, rispetto agli scrittori del suo tempo, di accostarsi ai modelli (in particolare Joyce) della narrativa europea. n Proprio questa estraneità alla tradizione italiana impedì alla critica di riconoscere subito il suo valore. Fu “scoperto” dalla critica poco prima di morire, dopo essere stato ignorato per circa trent’anni. Da allora, però, è divenuto un punto di riferimento decisivo del romanzo italiano contemporaneo. n Sul piano letterario, Svevo costituisce un’importante voce del decadentismo europeo, in quanto pone al centro di ogni sua opera la figura dell’”inetto”, l’antieroe, opposto al superuomo dannunziano, perché non solo non sa dominare il mondo esterno, ma, anzi, ne viene schiacciato. n Il decadentismo di Svevo è di taglio critico e conoscitivo, molto diverso dal decadentismo estetizzante di D’Annunzio e dal simbolismo poetico di Pascoli. Svevo predilige far parlare la realtà (realismo), anche se la realtà cui guarda non è quella esterna, ma quella interna: la realtà delle zone segrete della coscienza, delle inquietudini e dei turbamenti della psiche. Fu tra i primissimi scrittori europei, infatti, a fare largo uso della psicoanalisi freudiana come fondamentale elemento narrativo. n Anche sul piano dello stile e del linguaggio Svevo rivela decisive novità: nelle sue opere, infatti, scava nell’interiorità del personaggio, utilizzando largamente il metodo del monologo interiore e, a tratti, del “flusso di coscienza”.
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Le opere TRAMA •
UNA VITA (1892)
•
•
Il romanzo è la “biografia” di Alfonso Nitti, che lascia il suo villaggio nel Carso per impiegarsi nella Banca Maller di Trieste. È però scontento di quel lavoro, che giudica meschino. Ha ambizioni intellettuali; vuole scrivere un romanzo, ma fallisce. S’innamora di Annetta, ma non riesce a conquistarla. Alfonso è un “inetto”; analizza se stesso, ma non fa che rinunciare alla vita. Molto diverso è Macario, cugino di Annetta e rivale di Alfonso in amore, prototipo dell’individuo dotato di senso pratico e uomo di successo.
CARATTERI •
Come un romanzo del naturalismo, Una vita inizia con una lettera (che annuncia l’arrivo di Alfonso a Trieste) e finisce con una lettera che annuncia la sua morte. È dunque inquadrato in una cornice di “fatti”.
•
Una vita è, però, tutt’altro che un romanzo naturalistico: la storia di Alfonso viene ricostruita attraverso la biografia interiore del personaggio, i suoi monologhi, le sue aspirazioni fallite, le sue inettitudini.
•
Alfonso si suicida, perché in sostanza scopre che c’è troppa sproporzione tra i suoi sogni e la realtà, cui non sa adeguarsi: egli è il primo dei “teoristi” sveviani, sognatori e malati d’inet titudine, sconfitti nella lotta per l’esistenza.
Alla fine Alfonso, sconfitto e deluso, si ritira dalla “lotta per la vita” e si suicida.
TRAMA
CARATTERI
•
Emilio Brentani è un piccolo borghese, romanziere fallito e “senile”, non d’età (ha 35 anni), ma di spirito. Inizia una relazione con Angiolina, una donna “facile” di cui, senza volerlo, s’innamora. È manovrato dalla bella e abile popolana, ma di ciò non si accorge perché è del tutto privo di senso pratico.
•
Alfonso Nitti, in Una vita, si era suicidato; Emilio riesce almeno a sopravvivere a se stesso: si accontenta di idealizzare Angiolina, nel ricordo. Ma è anche lui uno sconfitto dalla vita: è vecchio a soli trent’anni, nessuno legge le sue opere, ed è sconfitto nell’amore, che credeva di poter dominare, ma di cui ha perso ben presto il controllo.
•
Al carattere introverso di Emilio si oppone quello, pratico e utilitarista, dell’amico scultore Stefano Balli. Stefano è l’uomo privo di scrupoli, che ha successo con le donne (anche con Angiolina); la sua figura ricorda direttamente quella di Macario in Una vita.
•
Senilità approfondisce il tema della malattia (poi centrale nella Coscienza di Zeno): Emilio e Amalia sono malati, soffrono amaramente la distanza che sussiste tra i sogni e la realtà. Invece Angiolina e Stefano sono sanissimi e pieni di vita.
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Emilio ha una sorella, Amalia, come lui sognatrice solitaria. Innamorata, senza speranze, di Balli, si consola con l’alcool e muore dopo lunga agonia. Ella rappresenta il “doppio” narrativo del suo infelice fratello.
•
•
Emilio, deluso per i tradimenti di Angiolina, decide di ritirarsi anzitempo: ricorderà per sempre non la vera Angiolina, bensì una sua immagine idealizzata, un “simbolo” di bellezza e bontà (inesistenti).
Senilità è già pienamente un romanzo psicologico: la storia emerge infatti soltanto attraverso il filtro della memoria e del giudizio soggettivo di Emilio. Tutti gli eventi principali (e anche il tempo in cui la vicenda accade) prendono vita in una dimensione solo psicologica e “soggettiva”, come accadrà anche nella Coscienza di Zeno.
SENILITÀ (1898)
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LA COSCIENZA DI ZENO (1923)
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TRAMA
CARATTERI
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•
Il nome del protagonista è significativo: “Zeno” deriva forse dal greco xénos, “straniero”; il cognome “Cosini”, diminutivo di “cosa”, esprime la piccolezza del personaggio, non più eroe, come voleva la tradizione, ma uomo normale e insignificante, per giunta inetto e malato.
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Zeno è un personaggio ambiguo e paradossale. Rispetto ai protagonisti dei primi romanzi sveviani, egli non soccombe, anzi, trova parziali vittorie e soddisfazioni. In realtà, evita di lottare; prende tutto con ironia e indifferenza, accetta le contraddizioni che fanno parte della vita comune e riesce in tal modo a tenere a freno la nevrosi che, secondo Svevo, penalizza tutti gli uomini.
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Il tema della malattia caratterizza l’intera opera. L’ultima pagina contiene una profezia apocalittica sul destino dell’umanità: una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni farà esplodere il pianeta, che solo così potrà, forse, tornare alla salute.
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L’autore rinuncia a una ricostruzione puntuale e graduale dei fatti. Zeno ricorda, da vecchio, gli eventi del passato senza però dare a essi un ordine; scrive di getto i propri ricordi, obbedendo al suggerimento del dottor S. In questo procedere disordinato del racconto, che non segue alcun disegno prestabilito, ma obbedisce al libero fluire dei ricordi nella mente di Zeno, si rivela tutta la novità e sperimentalità della scrittura sveviana.
Su consiglio del dottor S., medico psicanalista, Zeno redige un diario di ricordi: il suo scopo è guarire dalla nevrosi e smettere di fumare. Poi però Zeno ha interrotto la cura. Per vendicarsi il dottor S. pubblica quel diario privato, scritto in sei parti staccate, che non rispecchiano la cronologia dei fatti, ma solo il disordinato affollarsi dei ricordi nella “coscienza” del protagonista.
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Emerge così per sequenze non lineari la storia di Zeno. Egli ha interrotto gli studi di chimica e giurisprudenza; è inetto al lavoro e a ogni attività pratica. Si è inimicato il padre e non riesce a smettere di fumare. In ogni sua cosa Zeno è ������������������������������ maldestro, e sembra “inciam�������� pare nelle cose”, come Charlot.
•
È innamorato di Ada, che però preferisce Guido. Vorrebbe Alberta, ma anch’ella lo rifiuta. Si rassegna alla terza delle sorelle Malfenti, cioè Augusta, che invece lo ama: Augusta, che sopporta con serenità la sua abulia e le sue ansie di malato immaginario, si rivelerà sorprendentemente la sposa più adatta a lui.
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Zeno collabora come può (in un rapporto ambiguo di amore-odio) con il cognato Guido, commerciante. Questi tradisce Ada; vorrebbe fingere di suicidarsi, ma muore davvero, ingerendo una pozione consigliatagli (forse non per sbaglio) da Zeno. E quando Zeno va al funerale di Guido… sbaglia funerale!
•
Nel finale Zeno ha un colpo di fortuna e si arricchisce con il commercio di guerra (siamo al tempo della prima guerra mondiale).
Gli autori del Novecento: memoconcetti
MEMOCONCETTI
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UN INTELLETTUALE DI FORMAZIONE EUROPEA Svevo accostò autori e opere di respiro europeo, che gli procurarono un vantaggio decisivo rispetto ad altri autori italiani coevi.
La poetica •
In età giovanile Svevo accolse le idee evoluzionistiche di Darwin: ne riprende perciò alcuni temi (per es. l’idea della continua lotta per la sopravvivenza, e il motivo del soccombere degli individui più deboli di fronte ai più forti). Di Darwin, però, Svevo respinge il parallelismo tra comportamento umano e animale.
•
Sempre in età giovanile, Svevo lesse le opere del filosofo tedesco Arthur Schopenauer, da cui riprese l’idea di volontà, in particolare di volontà di vivere: essa però, secondo Svevo, produce angoscia e disordine nel mondo. Nei due primi romanzi sveviani, il tema della volontà ispira gli sforzi dei protagonisti, Alfonso e Emilio, di differenziarsi dagli altri, gli “uomini comuni”.
•
Più avanti ebbe modo di leggere Freud. La psicoanalisi ispirerà la struttura narrativa della Coscienza di Zeno, in cui ritroviamo anche sogni, atti mancati, lapsus: tutti strumenti tipici dell’indagine psicoanalitica e ricorrenti nel terzo romanzo sveviano.
•
Costantemente attenti all’introspezione, a “guardarsi dentro”, i tre protagonisti di Svevo finiscono per sentirsi estranei rispetto alla realtà che li circonda. Ciò li allontana dai valori piccolo-borghesi, incentrati sull’azione e sulla produttività.
•
A sua volta tale sensazione di separatezza finisce per rafforzare in questi personaggi il bisogno dell’analisi interiore, facendo scattare meccanismi di difesa.
•
In particolare: - In Alfonso Nitti l’inettitudine si manifesta nella radicale incapacità di risolvere positivamente le contraddizioni della vita interiore. Il conseguente fallimento esistenziale lo porterà alla rinuncia a vivere e al suicidio finale.
I PROTAGONISTI “INETTI” L’inettitudine è la caratteristica saliente dei protagonisti sveviani.
- In Emilio Brentani l’inettitudine è una condizione psicologica dominata dall’autoinganno, dall’incapacità di chiarire i propri sentimenti e il proprio vissuto interiore. - Infine in Zeno Cosini l’inettitudine è esemplificata dalla “malattia”. Il personaggio non è in sintonia con il mondo che lo circonda: tale inadeguatezza gli fa compiere azioni non consequenziali ai propri desideri originari (non riesce a smettere di fumare, sposa Augusta anziché Ada, sbaglia funerale, ecc.).
•
L’ironia può servire come strumento critico, per sottolineare impietosamente l’immaturità psicologica dei personaggi e raffigurarne così le contorsioni psichiche.
•
Nella Coscienza di Zeno gli stessi rapporti tra i personaggi finiscono per ribaltarsi sotto lo sguardo ironico dell’autore: per esempio, l’amico-rivale Guido fallisce nell’impresa commerciale, accumula debiti, inscena un finto suicidio e suo malgrado morirà, mentre l’inetto Zeno si riscatta a poco a poco… fino a fare fortuna con il commercio!
•
Il terzo romanzo si conclude con un ultimo scarto di ironia, o di grottesco, assegnando l’unica possibile speranza di rinnovamento a una “esplosione enorme”, a una “catastr�������������������������������������������������������������������� ofe inaudita”, vista quale sola occasione di palingenesi e purificazione per l’umanità.
•
Sul piano letterario l’ironia crea esilaranti effetti di vera e propria comicità.
UN PRIMO RIMEDIO: L’IRONIA Di fronte al male del mondo e ai guasti della psiche individuale, Zeno accoglie il rimedio dell’ironia.
UN SECONDO RIMEDIO: LA SCRITTURA LETTERARIA Scrivere serve a conoscersi meglio.
Per Svevo scrivere romanzi e racconti non è un fine (com’era per gli scrittori della tradizione), ma semmai uno strumento, utilissimo per cogliere più a fondo l’animo individuale, per svelare le complesse dinamiche della coscienza. Svevo riprese questa convinzione da Freud. Perciò, nelle pagine del suo Diario, l’autore stesso afferma che la scrittura ha senso solo quando giova a mettere a nudo le verità profonde (e nascoste) del nostro essere.
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SEZIONE 1
MEMOCONCETTI
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Lo stile •
Svevo non è uno scrittore di professione, perciò è meno legato alle forme tradizionali. La sua scelta fondamentale è il realismo: la letteratura, cioè, non deve abbellire la realtà, o ricrearne una alternativa, ma deve solo testimoniare questa realtà, bella o brutta che sia. La malattia, l’imperfezione, vanno mostrate come sono; il realismo di Svevo è anzitutto fedeltà alla vita.
•
Di conseguenza egli rifiuta il classicismo e sceglie uno stile vivo, parlato (vicino, per più aspetti, al dialetto).
•
Nei primi due romanzi si coglie un certo impaccio nell’uso della lingua italiana: a Trieste si parlava il triestino; inoltre Svevo aveva dimestichezza con le lingue straniere (prima il tedesco, poi l’inglese) e non con l’italiano letterario.
•
Si spiega così, in Una vita e in Senilità, la presenza di un curioso impasto lessicale: termini e modi di dire dialettali (triestini), tedeschi, francesi. Quanto alla sintassi, alcuni costrutti sono un po’ forzati; si riscontrano anche anacoluti.
•
D’altra parte lo scrittore stava faticosamente procedendo, da autodidatta, alla propria formazione letteraria, leggendo i classici della tradizione italiana. Ciò lo porta, nelle prime opere, a utilizzare in maniera spesso poco felice arcaismi (parole antiquate) e toscanismi (termini della tradizione letteraria toscana).
•
Anche questa impurità della lingua conferma l’originalità letteraria di Svevo.
•
Nel terzo romanzo il linguaggio di Svevo si fa più sicuro, più “aderente alle istanze analitiche dello scrittore” (B. Maier). Lo scrittore raggiunge così uno stile peculiare, diversissimo dalla tradizionale prosa italiana.
•
Sul piano linguistico l’opera si caratterizza per un linguaggio “parlato”, colloquiale, adeguato ai caratteri di un romanzo-diario scritto a uso privato.
•
Sul piano narrativo, la Coscienza di Zeno adotta una particolare tecnica in fieri: l’opera, cioè, prende forma poco per volta, crescendo pian piano su se stessa. Il racconto è svolto in prima persona e il narratore s’identifica con il protagonista; in apparenza i due livelli coincidono, ma a creare distanza tra personaggio e narratore c’è il fatto che l’io narrante descrive avvenimenti risalenti a quando era molto più giovane. Inoltre la narrazione non è mai condotta in modo lineare: l’io narrante attua un continuo passaggio da ieri a oggi, dalla memoria al giudizio critico. C’è lo Zeno che scrive nel presente, e quello che racconta del proprio passato; e mentre racconta, fa uso continuo dell’analessi o flashback (per informare il lettore su ciò che precede) e della prolessi o anticipazione (per informare sui fatti futuri).
•
Il risultato finale è che viene sconvolta la scansione cronologica degli avvenimenti: il tempo acquista una dimensione puramente psicologica, coerentemente alle ricerche degli autori europei coevi (Proust, Joyce, Mann e altri).
•
Svevo fa largo uso del monologo interiore: dà, cioè, la parola al personaggio che pensa a voce alta.
•
Tale procedimento, attuato già nei due romanzi giovanili, si fa sistematico nella Coscienza di Zeno: qui la narrazione pare “trasformarsi in un dialogo tra l’attore che subisce i fatti e l’autore che s’insinua nello spazio della coscienza per commentarli e giudicarli” (M. Guglielminetti).
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Dopo forti perplessità iniziali, la critica ha riconosciuto che il linguaggio e lo stile sveviani sono funzionali sia a rendere realisticamente il modo di esprimersi dei personaggi di Svevo, sia a esprimere il tormentato lavoro d’introspezione del narratore.
•
Svevo testimonia la fine delle certezze tipica della cultura d’inizio Novecento, scettica sul fatto che esistano strumenti intellettuali capaci di far luce sul mondo interiore. I suoi personaggi sono parenti stretti degli antieroi, incerti e perplessi, del romanzo europeo di quei decenni.
LA FONDAMENTALE SCELTA DEL REALISMO
LE INCERTEZZE LINGUISTICHE DEI PRIMI DUE ROMANZI
L’ORIGINALITÀ STILISTICA DELLA COSCIENZA DI ZENO
IL MONOLOGO INTERIORE
NEL GIUDIZIO DELLA CRITICA
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Gli autori del Novecento: memoconcetti
4. Luigi Pirandello La vita n Pirandello nasce ad Agrigento, in Sicilia, il 28 giugno 1867, da famiglia agiata (il padre è proprietario di zolfare in Sicilia). Dopo studi regolari, pubblica nel 1889 la raccolta poetica Mal giocondo. Nel 1891 si laurea in filologia romanza a Bonn, in Germania. Si trasferisce quindi a Roma, ove s’introduce negli ambienti letterari della capitale e frequenta scrittori siciliani come Capuana, Ojetti, Fleres e altri. Nel 1893 scrive il suo primo romanzo, L’esclusa, che sarà pubblicato nel 1901. n Nel 1894 sposa la conterranea Antonietta Portulano; dal matrimonio nasceranno tre figli, Lietta, Stefano e Fausto. Nello stesso anno 1894 si allaga la grande zolfara del padre presso Aragona: per la famiglia di Pirandello è un colpo grave. Il dissesto economico procura un grave trauma psichico nella moglie, che più avanti diverrà vera follia. Per mantenere la famiglia, Pirandello comincia a insegnare materie letterarie presso l’Istituto Superiore di Magistero Femminile di Roma (tale docenza si protrarrà dal 1897 fino al 1922). n Nel 1904 esce il romanzo Il fu Mattia Pascal, con discreto successo. Qualche anno dopo l’autore inizia a scrivere racconti per il “Corriere della sera”. Si dedica anche a scrivere per il teatro; nel 1910 sono rappresentati a Roma gli atti unici La morsa e Lumìe di Sicilia. L’attività di drammaturgo diviene via via prevalente: i drammi pirandelliani, molto nuovi per la loro impostazione, sollevano critiche ma anche consensi presso pubblico e critica. Grande successo
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ottengono nel 1923 a Parigi Sei personaggi in cerca d’autore e Enrico IV. n Nel 1924, con un gesto imprevedibile, s’iscrive al Partito Nazionale Fascista; i rapporti con il regime si raffredderanno però molto presto. Nel 1925 conosce Marta Abba, che diverrà la sua ispiratrice e la prima attrice del Teatro d’Arte (o degli Odescalchi), fondato e diretto dallo stesso Pirandello. L’autore segue la compagnia in lunghe tournées in Europa e in Sud America. Nello stesso 1925 esce l’ultimo suo romanzo, Uno, nessuno e centomila. n Nel 1929 lo scrittore è nominato Accademico d’Italia; l’anno successivo, a conferma di una notorietà ormai internazionale, viene girato a Hollywood il film Come tu mi vuoi, tratto da un suo dramma. n Nel 1934 Pirandello vince il Premio Nobel per la letteratura. Muore nel dicembre 1936; le sue ceneri sono inumate presso la casa natale di Agrigento.
L’importanza di Pirandello nella letteratura del Novecento
n Pirandello è uno degli scrittori italiani più conosciuti e amati dal grande pubblico. Le sue commedie sono spesso rappresentate nei teatri; la sua vasta opera narrativa appartiene al canone delle opere “classiche” della nostra letteratura e trova sempre nuovi lettori. n Il fascino di Pirandello nasce dall’originalità dei suoi temi, dalla diversità dei suoi personaggi, dalla novità delle situazioni e delle strutture letterarie da lui elaborate. Sono vicende e situazioni che intrigano, malgrado i paradossi e le stranezze che vivono. Tali paradossi (teorizzati nella poetica pirandelliana dell’“umorismo”) non sono però fini a se stessi. Nascono invece dalla profonda crisi culturale che Pirandello mette a nudo: il disagio dell’uomo novecentesco, che si aggira in un mondo che non comprende più e in cui si sente estraneo e solo. n L’angoscia più profonda che si avverte nelle opere di Pirandello nasce però da questo fatto: a esserci a volte sconosciuto, è anzitutto il nostro stesso io. Chi siamo noi? Da dove veniamo? Qual è il nostro destino? Domande che i protagonisti di Pirandello si pongono, ma a cui non trovano risposte. Anche questa crisi d’identità è una ragione d’interesse e di fascino. n Accanto ai contenuti così nuovi e conturbanti, l’importanza di Pirandello nasce dalla novità formale delle sue opere. Tanto nelle novelle e nei romanzi, quanto nei drammi teatrali, Pirandello ha sperimentato una lingua molto vicina al “parlato” quotidiano, priva di bellezza e di elaborazione letteraria. Il realismo è la misura tipica di Pirandello, così come lo è di Svevo, l’autore che più di tutti gli si può accostare tra quelli del primo Novecento.
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Le opere
Pirandello esordì, in campo letterario, come poeta in versi, ma i tre generi in cui ha lasciato l’impronta inconfondibile della sua personalità sono la novella, il romanzo e il teatro.
LE NOVELLE Pirandello scrisse 246 racconti, molti dei quali contengono vicende e personaggi destinati a essere sviluppati nelle opere teatrali. Li ha raccolti nel vasto corpus intitolato Novelle per un anno.
I ROMANZI
•
Situazioni e personaggi sono di stampo realistico, ma poi l’autore “forza” la realtà, spingendola fino al limite del paradosso, se non dell’assurdo.
•
Il narratore non ha spiegazioni per quanto accade; sembra sorpreso come i suoi lettori. Narra perciò «di sbieco», con uno stile “umoristico”, che diviene l’immagine eloquente del caos del mondo.
•
Quelli di Pirandello sono degli “antiromanzi”: la narrazione non spiega la realtà, ma semmai complica ogni possibile spiegazione, spiazzando personaggi e lettori.
•
Il messaggio finale è che nulla, nella vita umana, può essere accettato per come appare. Si tratta di un tema tipicamente novecentesco: Pirandello è vicino a Svevo e agli altri grandi narratori europei del primo Novecento, come Mann, Kafka, Musil.
Pirandello scrisse sette romanzi: •
L’esclusa (1901);
•
Il turno (1902);
•
Il fu Mattia Pascal (1904);
•
Suo marito (1911), poi ribattezzato Giustino Roncella nato Boggiòlo;
•
I vecchi e i giovani (1909): è un “romanzo storico”, ambientato in Sicilia nel secondo Ottocento;
•
Si gira... (1915; la 2a edizione, con titolo Quaderni di Serafino Gubbio operatore, 1925): il primo romanzo europeo ambientato nel mondo del cinema;
•
Uno, nessuno e centomila (1925-26): è un romanzo “filosofico”, quasi privo di trama e tutto sospeso nella riflessione.
•
- nel Fu Mattia Pascal avviene una “dissoluzione” dei fatti in nome dell’assoluto primato della “coscienza”, o dell’inconscio; - opere come Si gira... o come Uno, nessuno e centomila adottano una moderna struttura a diario: i “fatti” (scarsissimi) nascono dal soliloquio del personaggio-narratore, che ricorda, narra, commenta.
•
Molti drammi di Pirandello trattano il tema dei conflitti che avvengono all’interno della famiglia e dell’incomunicabilità tra i suoi componenti. A questo tema sono dedicati Così è (se vi pare), Il berretto a sonagli, Il giuoco delle parti, L’uomo, la bestia e la virtù, ecc.
•
Pirandello ha raccolto tre suoi testi nella “trilogia” del “teatro nel teatro”: Sei personaggi in cerca d’autore, capolavoro del teatro italiano del Novecento; Ciascuno a suo modo e Questa sera si recita a soggetto.
•
In Questa sera si recita a soggetto un gruppo di attori propone al pubblico un dramma “da fare”, elaborato lì per lì, senza copione scritto (cioè appunto “a soggetto”), dopo aver cacciato dal palcoscenico il loro invadente regista. È un tema nuovissimo, che mette in primo piano il problema del concreto “farsi” del teatro davanti agli spettatori.
•
Altri tre testi della produzione tarda (Lazzaro, La nuova colonia, I giganti della montagna) sono stati invece raccolti dall’autore nella trilogia del “teatro dei miti”: sono detti miti perché in essi la riflessione si sposta verso un orizzonte assoluto, “mitico”, più lontano dalle contingenze della vita comune.
IL TEATRO Pirandello scrisse oltre 40 testi teatrali, in varie forme: •
atto unico: Lumìe di Sicilia (1910); L’uomo dal fiore in bocca (1923), ecc.;
•
dramma in tre atti: Così è (se vi pare) (1917); Sei personaggi in cerca d’autore (1921); Enrico IV (1922); I giganti della montagna (1934, incompiuto), ecc.;
•
dramma in versi: La favola del figlio cambiato (1934);
•
teatro in dialetto siciliano: Il berretto a sonagli (1917); La giara (1917); La patente (1919), ecc.
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Sul piano formale: - I vecchi e i giovani sembra riprendere l’ossatura del romanzo ottocentesco;
Gli autori del Novecento: memoconcetti
MEMOCONCETTI
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La poetica
Alla base delle opere pirandelliane vi sono alcuni concetti di carattere filosofico. Da essi discende la particolare poetica pirandelliana dell’umorismo.
IL RELATIVISMO Nulla è certo; i “fatti”, scrive Pirandello, sono “sacchi vuoti che non si reggono”.
IL VITALISMO Da Georg Simmel e Henri Bergson, Pirandello apprende che la realtà è perenne slancio vitale, incessante movimento.
L’IDENTITA’ ASSENTE In ciascuno di noi coesistono più personalità diverse, ignote al soggetto stesso.
EVASIONE E FOLLIA I protagonisti di Pirandello si sentono a disagio nell’esistenza, come forestieri di passaggio in un luogo sgradevole. Perciò vogliono evadere da tutto.
•
Il relativismo di Pirandello proclama l’assenza di una verità unica e sicura su cui poter tranquillamente contare: le pretese di obiettività avanzate dalla scienza sono assurde. Siamo nel clima post-positivistico e irrazionalistico d’inizio Novecento.
•
Ciascuno vede le cose a modo suo, ed esistono solo tante verità parziali, tutte soggettive. Perciò non possiamo mai comunicare davvero con gli altri, poiché manca una base certa - la realtà - di contatto.
•
Tutto, secondo il vitalismo, si trasforma da uno stadio all’altro. Ciò che si stacca da tale magma e prende forma individuale, incomincia a morire.
•
Nasce da qui il tipico tema pirandelliano del contrasto vita/forma. Infatti noi vogliamo darci una personalità individuale e stabile, attribuirci una nostra forma, per distinguerci dal fluire indifferenziato della vita. Ma è solo un’illusione. Non esiste questa personalità stabile, perché essa è diversa per noi in ogni momento in cui pensiamo a noi stessi, ed è diversa per tutti quelli che ci guardano.
•
Noi però vogliamo illuderci a ogni costo: indossiamo delle maschere, fittizie, ma utili per meglio vivere in mezzo alle convenzioni sociali. L’inganno però prima o poi si svela: le nostre maschere e le nostre presunte certezze.
•
L’io individuale non è più sicuro di essere se stesso; si sente frammentato in tanti diversi stati d’animo e tante sfaccettature di personalità, neppure coerenti fra loro, ma diverse in base alle circostanze.
•
Noi avvertiamo con dolore tale sensazione di essere al contempo “tanti” e “nessuno”, di non poter contare su un vero “io”. È il disagio di vivere che prende tutti i protagonisti di Pirandello.
•
Essendo ragionatori, i personaggi pirandelliani sono capaci di smascherare la falsità e la mancanza di significato del mondo: perciò vivono la vita con “straniamento”.
•
Inoltre evadono dalla realtà, negli unici modi che sono loro consentiti: a) tramite l’immaginazione che li trasporta altrove; b) oppure tramite la follia; quest’ultima si rivela non solo una felice scappatoia, ma addirittura un modo alternativo – e più fecondo – di vedere la vita e noi stessi nella vita.
•
Al centro dell’umorismo – e quindi dell’arte pirandelliana – vi è il “sentimento del contrario”. Pirandello lo spiega con un esempio: se vedo una signora anziana con i capelli tinti e il viso impomatato, avverto che essa è il contrario di quello che una signora della sua età dovrebbe essere: ho l’“avvertimento del contrario”, che mi fa sorridere. Ma se rifletto sul fatto che quella donna agisce così solo nella speranza di trattenere a sé il marito più giovane, anziché riderne avrò pietà di lei. Passerò allora al “sentimento del contrario”, che è la base del vero umorismo.
•
L’umorismo è l’atteggiamento che sa cogliere le contraddizioni della realtà, che ci permette di vederla da tanti punti di vista differenti: vediamo così il tragico che è sempre presente, anche nelle situazioni che ci appaiono ridicole. L’umorismo unisce indissolubilmente il comico e il tragico.
•
L’umorismo, secondo Pirandello, è una visione adatta ai nostri tempi, in quanto riflette una realtà che noi sentiamo come frantumata e disarmonica, o assurda.
LA POETICA DELL’UMORISMO Strettamente legata alla concezione della vita è la concezione dell’arte: Pirandello la enuncia nel suo saggio L’umorismo (1908).
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SEZIONE 1
MEMOCONCETTI
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Lo stile
Lo stile usato da Pirandello è perfettamente coerente con la sua poetica. •
Nei racconti Pirandello sconvolge regolarmente la verosimiglianza delle situazioni, portandovi l’assurdo e il grottesco.
•
Rispetto al racconto verista, da cui prende le mosse, la narrazione breve di Pirandello si differenzia perché non vuole ritrarre il vero in modo oggettivo, ma semmai fotografare con brevi flashes le mille situazioni e assurdità della vita umana, sottolineando ogni volta l’inesplicabilità di quanto accade.
•
Per rendere questi contenuti, egli elimina ogni elemento aulico e nobile, presente nella tradizione letteraria italiana. Adotta un originale linguaggio “espressionistico”: una prosa nervosa, convulsa, piena di argomentazioni affannose, di domande, di esclamazioni, di parole alterate con accrescitivi, peggiorativi, suffissi, prefissi, in modo da sconvolgere le aspettative del lettore.
LO STILE DEI RACCONTI
Nel Fu Mattia Pascal (1904) osserviamo un chiaro superamento della modalità narrativa ottocentesca. •
Non c’è un narratore esterno alla storia, ma il racconto è condotto dal protagonista, secondo la sua ottica spesso deformante. Il narratore, che conosce già la fine della storia (diversamente dal lettore), si colloca in una posizione “straniata”, in cui non si lascia coinvolgere (manca dunque qualsiasi patetismo), ma osserva se stesso dall’esterno.
•
I primi due capitoli narrano al presente l’antefatto: il narratore descrive se stesso e le proprie intenzioni.
•
Poi inizia il racconto vero e proprio, sotto forma di memorie scritte da lui alla fine della vicenda. Ne scaturisce un racconto soggettivo, sempre parziale e che dà l’impressione di essere inaffidabile.
•
Sul piano linguistico, l’autore adotta la parlata comune, smorza ogni punta di retorica e di eleganza; ne viene fuori una lingua media che talvolta assume l’aspetto del parlato attraverso l’impiego di ripetizioni, interiezioni, esclamazioni: tutti elementi tipici della comunicazione quotidiana.
LO STILE DEI ROMANZI
Anche Uno, nessuno e centomila è scritto in prima persona, in forma retrospettiva. •
Il romanzo si presenta come un diario: un ininterrotto monologo, condotto sotto la forma del discorso indiretto libero.
•
La voce narrante racconta senza posa e in modo convulso, frammentato, in sintonia con i gesti apparentemente assurdi compiuti dal protagonista.
•
Dal punto di vista linguistico, il linguaggio scenico dei drammi pirandelliani è concitato, nervoso, in ciò molto simile a quello dei romanzi e delle novelle.
•
Dal punto di vista delle strutture teatrali, Pirandello opera un’importante “rottura” dello spazio tradizionale del teatro, basato sulla divisione fra palcoscenico e pubblico. Nei suoi drammi, gli spettatori non sono più passivi osservatori. Per ottenere questo risultato, Pirandello ricorre ad alcuni artifici: per esempio, fa irrompere gli attori dal fondo della sala.
•
La novità principale è il “teatro nel teatro”: mettere in scena l’atto stesso della messa in scena (Il giuoco delle parti, Sei personaggi, Enrico IV), o l’impossibilità di scrivere un dramma (Sei personaggi) o di rappresentarlo (Giganti della montagna). Viene così rotto quel patto, quella convenzione su cui si reggeva lo “spettacolo” del teatro tradizionale. Infatti in Pirandello non si rappresenta più uno “spettacolo”, ma tutta la drammaticità della vita, con le sue sofferenze e le sue contraddizioni.
IL LINGUAGGIO TEATRALE
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Gli autori del Novecento: memoconcetti
5. Giuseppe Ungaretti La vita n Nasce nel 1888, da genitori toscani, ad Alessandria d’Egitto: la città, all’epoca, è un centro vivo e cosmopolita, sede di varie comunità etniche (Arabi, Inglesi, Italiani, Greci). Ungaretti vi compie gli studi, conosce la poesia contemporanea europea, frequenta poeti e intellettuali residenti ad Alessandria (il greco Costantino Kavafis, l’italiano Enrico Pea). Ha contatti epistolari con i redattori della rivista “La voce”. n Nel 1912 si reca a Parigi per completare la sua formazione: la capitale francese è un altro centro vivissimo di elaborazione culturale e Ungaretti entra a contatto con le esperienze più vive dell’avanguardia (futurismo, cubismo, ecc.). Frequenta, tra gli altri, il pittore Picasso, il poeta Apollinaire, l’italiano Tommaso Marinetti. Pubblica le prime poesie sulla rivista futurista “Lacerba”. n Ungaretti si sente uno sradicato alla ricerca di una “Patria”: quando scoppia la prima guerra mondiale (1914) è dunque interventista. Viene quindi arruolato nella fanteria (1915) e inviato a combattere nel Carso, tra Gorizia e Trieste. L’esperienza bellica ispira le liriche raccolte nel Porto sepolto, pubblicato nel 1916. n Finita la guerra, vive a Parigi, lavorando presso l’ambasciata italiana e scrivendo come corrispondente sul “Popolo d’Italia”. Nel 1919 esce l’importante raccolta Allegria di naufragi, che include anche il precedente Porto sepolto. Nello stesso anno l’autore sposa la francese Jeanne Dupoix. Poco dopo aderisce al fascismo e si trasferisce in Italia, a Roma, dove lavora al Ministero degli Esteri.
MEMOCONCETTI
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n Nel 1933 pubblica la raccolta Sentimento del tempo, dove, sul piano contenutistico, si avverte un forte sentimento religioso, preludio alla conversione. n Dal 1936 al 1942 vive in Brasile, insegnando letteratura italiana presso l’Università di San Paolo. Nel 1939 gli muore il figlio Antonietto, di soli 9 anni: la tragica esperienza, assieme alle vicende del secondo conflitto mondiale, costituirà il nucleo tematico della terza raccolta Il dolore (1947). Nel 1942 Ungaretti ritorna in Italia, insignito dal fascismo del titolo di Accademico d’Italia. n L’atteggiamento favorevole al regime procura al poeta, dopo il 1945, gravi problemi: viene infatti escluso dall’insegnamento e la critica gli mostra diffidenza. È però una parentesi: gli viene infatti assegnato un incarico all’Università di Roma; negli ultimi anni della sua vita è circondato, sia in Italia sia all’estero, di notevole fama letteraria. Non arriva però per lui il premio Nobel, assegnato invece, nel 1959, a Quasimodo. n Ungaretti muore a Milano nel 1970.
L’importanza di Ungaretti nella letteratura del Novecento
n Ungaretti, formatosi prima ad Alessandria d’Egitto e poi a Parigi, nel vivo fiorire delle avanguardie, è rimasto sempre in contatto con autori stranieri: è poeta di formazione e di statura internazionale. Questo gli procura evidenti vantaggi, rispetto a molti altri poeti italiani, e lo sollecita a tentare vie nuove, lontane dalla tradizione della nostra letteratura. n Le prime raccolte mostrano grandi novità (l’andamento fortemente spezzato, la ricerca dell’essenzialità della parola, sciolta dai legami sintattici e grammaticali), frutto dei contatti di Ungaretti con le avanguardie poetiche d’inizio secolo. n In seguito la poesia ungarettiana supera la dimensione “distruttiva” delle avanguardie, per giungere a una sintesi “costruttiva” molto personale: in essa si mostrano i principali elementi della grande lirica europea del Novecento (poesia “pura”, simbolismo). n L’opera di Ungaretti ha segnato un momento decisivo per la poesia italiana del Novecento. Egli è stato riconosciuto come maestro da un’intera generazione di poeti italiani, in particolar modo quelli che verranno definiti ermetici: su di loro le sue ricerche formali e tematiche hanno esercitato un’influenza determinante.
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SEZIONE 1
MEMOCONCETTI
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IL PORTO SEPOLTO La prima raccolta di poesie pubblicata da Ungaretti; uscì a stampa in soli 80 esemplari nel 1916 a Udine.
Le opere •
La raccolta nasce nel contesto della prima guerra mondiale (per l’Italia: 1915-’18), a cui il poeta partecipò come volontario sul sanguinoso fronte del Carso.
•
Combattendo in trincea, il poeta-soldato si trova costantemente a contatto con la morte e soprattutto con la “fisicità” di essa, come appare per es. dalla lirica Veglia: Un’intera nottata/buttato vicino/a un compagno/massacrato/...
•
Tale situazione ispira una riflessione su due elementi: - l’inutilità e la crudeltà della guerra, l’angoscia di chi vi prende parte; - il mistero della condizione umana, sospesa sull’orlo del mistero o dell’assurdo.
•
La raccolta fu pubblicata per interessamento di Ettore Serra (da non confondersi con il critico letterario Renato Serra), giovane ufficiale del Commissariato militare di Udine. A Ettore Serra è dedicata l’ultima poesia della raccolta, Commiato.
•
Il titolo accosta due termini dissonanti tra loro: l’idea dell’allegria e quella del naufragio: nell’esperienza di guerra e più in generale nella condizione umana, gli estremi (vita e morte, felicità e dramma) si toccano e s’intrecciano.
•
L’immagine del naufragio allude al naufragio dell’umanità, che in guerra smarrisce le ragioni per cui, invece, vale la pena di vivere.
•
L’allegria è la gioia di chi, pur nella tragedia della guerra, scopre l’attaccamento alla vita, il sentimento della bontà, l’“allegria” di ricominciare.
ALLEGRIA DI NAUFRAGI Pubblicata a Firenze nel 1919, ripropone le poesie del Porto sepolto, ma aggiungendone altre. Uscì di nuovo nel 1931 (e poi ancora nel 1942), arricchita di altre liriche, con il titolo di L’Allegria.
•
I motivi conduttori del libro sono dunque: - la denuncia dei mali della guerra; - l’affermazione della volontà di vivere, malgrado le brutture della guerra; - un sentimento di autentica fratellanza rispetto a tutti gli uomini.
SENTIMENTO DEL TEMPO Pubblicata nel 1933 (e poi, con varianti, ripubblicata nel 1936 e nel 1942), raccoglie liriche composte fra il 1919 e il 1933: poesie in apparenza più “tradizionali” rispetto alla fase dell’Allegria, ma che, in realtà, proseguono la modernissima ricerca del poeta.
•
Filo conduttore del libro è la scoperta del “tempo”. Il poeta evoca, per successive immagini e intuizioni, vari momenti del giorno e dell’anno (O notte, Ultimo quarto, Notte di marzo, Di luglio), oppure tappe significative della sua esistenza (La madre).
•
Altre liriche hanno invece soggetto mitologico (Sirene, Apollo) a sottolineare il tempo più remoto in cui l’umanità era innocente.
•
Guardando al passato, proprio e di tutti, il poeta canta l’ansia di trovare l’innocenza, che l’uomo moderno ha perduto, il desiderio di riassaporare i valori eterni, che superino il breve spazio di ciò che è contingente.
•
Nasce da qui la religiosità di Ungaretti. Essa ispira liriche ricche di sentimento religioso: La pietà, La preghiera, Dannazione.
•
Sul piano del linguaggio, è chiara, in Sentimento del tempo, l’intenzione dell’autore di riprendere certi aspetti formali della tradizione lirica italiana (per es., i versi endecasillabi e la costruzione per strofe).
•
Tale desiderio di recupero del passato si ricollega a quel generale movimento letterario di “ritorno all’ordine” che seguì le avanguardie storiche. Negli anni Venti tale tendenza diede vita alla rivista “La Ronda”.
L’ultima fase della poesia di Ungaretti tocca due diverse tematiche. LE ULTIME RACCOLTE Il dolore (1947), La terra promessa (1950), Un grido e paesaggi (1952), Il taccuino del vecchio (1960).
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•
La prima (espressa soprattutto nel Dolore) è quella della sofferenza. Essa si lega a eventi drammatici, sia personali - la morte del fratello e poi del figlio Antonietto – sia collettivi, perché riguardano il “dolore” della guerra.
•
Il tema del dolore ritorna al centro della raccolta Un grido e paesaggi, del 1952.
•
L’altra tematica è quella del ritorno a un mondo perfetto, un mondo perduto ma di cui in qualche modo l’uomo ha mantenuto il ricordo. È il tema che ispira La Terra promessa, è un poemetto incentrato sulla figura di Enea che raggiunge il luogo che gli è destinato.
Gli autori del Novecento: memoconcetti
MEMOCONCETTI
3
La poetica •
La formazione letteraria di Ungaretti si compie all’estero: prima in Egitto (Alessandria), poi in Francia (Parigi). Perciò egli non manifesta alcun senso di sudditanza verso Pascoli e D’Annunzio, i modelli poetici allora imperanti in Italia; non ha rapporti neppure con i crepuscolari, altra corrente poetica di primo Novecento.
•
È molto influenzato dalla poesia francese contemporanea, quella delle “avanguardie” di Mallarmé, Apollinaire, Valery, e dalle idee futuriste, conosciute a Parigi.
•
Ungaretti è però sempre cosciente di appartenere a una comunità ideale, l’Italia, e vuole comunicare con essa: perciò ritorna in patria all’inizio della guerra.
•
La poesia di Ungaretti nasce sempre da un sentimento o una sensazione: un dato psicologico, legato alla sua esperienza biografica. Egli non vuole però descrivere realisticamente alcuna realtà, neppure quelle interiori; la realtà diviene per lui lo spunto di partenza per la ricerca di autenticità, di sé e di tutto.
LA FORMAZIONE LETTERARIA Un poeta vicino alle avanguardie europee.
LA CONCEZIONE DELLA POESIA Poesia, per Ungaretti, è illuminazione improvvisa, scoperta e rivelazione, sia pure frammentaria, dell’essere.
•
Lo sforzo del poeta è quello: - di discendere nelle profondità del proprio io, nell’abisso di sé; - di evocare una verità che emerge dal profondo e da molto lontano; - di riportare alla luce frammenti di verità.
Sono i temi della lirica che dà il nome alla sua prima raccolta, Il porto sepolto. •
La poesia di Ungaretti equivale dunque a una rivelazione di un’intuizione che era sepolta nella coscienza del poeta o nella sua memoria. Essa illumina improvvisamente un aspetto della realtà delle cose, un loro segreto. Poetare significa esprimere questa illuminazione, questa scoperta (vissuta perciò con un atteggiamento di meraviglia) di un frammento dell’immensità che lo circonda (M’illumino / d’immenso).
•
Tale frammentarietà di visione fa sì che Ungaretti non voglia mai divenire un “vate” o un “maestro”: in ciò è lontanissimo da D’Annunzio ed è molto novecentesco.
•
Nell’Allegria, prima e fondamentale raccolta ungarettiana, il tema centrale è la guerra, con la collegata esperienza della sofferenza e della morte. La visione del soffrire e del morire, però, ispira al poeta una passione per la vita e un intenso sentimento di fratellanza verso gli uomini. Il poeta si rappresenta come un naufrago che è sfuggito alla morte e che vuole vivere, nonostante tutto (...E subito riprende/il viaggio/come/dopo il naufragio/un superstite/lupo di mare).
•
Il tema del dolore (già ben presente nell’Allegria) ritorna in tutte le successive raccolte: Ungaretti stesso, del resto, si definì “uomo di pena”. Tale tema si esprime, nelle sue opere, in vari modi:
I TEMI Sono soprattutto tre i temi cari a Ungaretti: la guerra, il dolore, il ricordo.
- nella prima raccolta (L’Allegria) il dolore s’identifica soprattutto con l’esperienza della guerra, e quindi della morte e della sofferenza; - successivamente (in Sentimento del tempo) egli scopre il vuoto interiore, il bisogno di Dio, la propria fragilità umana; - infine (Il dolore) il poeta canta ancora l’esperienza del dolore, sia personale (la morte del fratello e soprattutto del figlio) sia collettivo (la guerra): ma in Ungaretti dal dolore nasce sempre una condizione positiva.
LA RELIGIOSITÀ Una dimensione importante in tutta la poesia di Ungaretti.
•
Molto presente è il tema del ricordo. In quanto dimensione psicologica tipica dell’essere umano, è una delle tematiche più presenti in Ungaretti, addirittura protagonista della raccolta Sentimento del tempo.
•
Nasce dalle intuizioni poetiche, grazie a cui l’autore riscopre la realtà: può così entrare, per brevi istanti, in sintonia con l’Universo e l’Eternità e quindi con Dio.
•
Soltanto implicita nella prima raccolta, L’Allegria, la religiosità diviene via via sempre più dichiarata nelle successive opere.
•
Tuttavia Ungaretti non si è mai legato alla fede religiosa della Chiesa.
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MEMOCONCETTI
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LA RIVOLUZIONE ESPRESSIVA DI UNGARETTI Dal punto di vista formale, Ungaretti opera una vera rivoluzione espressiva, decisiva nella poesia del Novecento.
IL RIFIUTO DI METRICA E RETORICA TRADIZIONALI Ungaretti rifiuta la metrica (costruzione poetica) e la retorica (costruzione del discorso) tradizionali.
Lo stile •
La novità maggiore di Ungaretti appare fin dalle liriche giovanili del Porto sepolto.
•
Tale novità consiste nel fatto che il discorso poetico viene espresso in forme concentrate e ridotte all’essenziale, in modo da esprimere con la maggiore immediatezza possibile le emozioni e i sentimenti forti, essenziali, radicali generati in lui dall’orrore della guerra. Stile e contenuto, dunque, si corrispondono perfettamente.
•
La rivoluzione espressiva operata da Ungaretti eserciterà una determinante influenza sulle successive correnti della poesia italiana ispirate – come saranno, per es., gli ermetici – alla poesia “pura” di stampo simbolistico.
•
Seguendo l’esempio dei futuristi e delle avanguardie letterarie parigine, Ungaretti ricorre al verso libero, privo di rime e perfino di punteggiatura. La scelta del verso libero si traduce nell’uso di versi molto brevi, che spezzano totalmente il ritmo e che mettono in evidenza le singole parole.
•
Tutto ciò serve al poeta per rappresentare le cose essenziali, quelle “che veramente contano” nell’esistenza umana; il suo scopo è rendere visibili lo sconcerto morale e le acute sofferenze causate della guerra.
•
L’intento dell’autore è valorizzare al massimo la parola poetica: la singola parola, che il poeta isola nella pagina o inserisce in versi brevissimi. In tal modo, le parole acquistano una rilevanza e una pregnanza di significato che la consuetudine d’uso spesso aveva loro tolto. Ogni parola sembra, nelle liriche ungarettiane, nascere ex novo, come evocata da un lontano silenzio. Essa assume così valore simbolico, vibrando di una sua risonanza interiore.
•
Nella sintassi di Ungaretti sono fortemente scandite le pause, gli “a capo” e soprattutto gli spazi bianchi, che equivalgono ai silenzi, da cui la parola nasce. Tutto ciò serve a caricare le parole di una fortissima tensione emotiva, accentuata dall’assenza di punteggiatura.
•
L’analogia è una figura cara ai poeti simbolisti come Rimbaud. Essa stabilisce un nesso solo psicologico fra oggetti diversi e di per sé lontani. L’analogia “brucia”, per così dire, ogni “discorso”, per stabilire un nesso solo psicologico, tutto intuitivo, fra oggetti diversi.
•
Per esempio, in San Martino del Carso si crea l’analogia cuore=paese: il poeta, infatti, paragona il proprio cuore al paese sbriciolato dai bombardamenti (S. Martino, appunto). Tale paragone non è espresso esplicitamente, ma rimane implicito. Le case sono diroccate e distrutte, ma – dice Ungaretti – il mio cuore è ancora più straziato, per i tanti amici morti.
•
In Sentimento del tempo il poeta, coerentemente con l’ampliarsi dei temi, sembra ritornare alle forme metriche della tradizione lirica italiana, da Petrarca a Leopardi (endecasillabo e settenario), alle strofe, alla punteggiatura, a una sintassi più elaborata. Egli però non vuole semplicemente “ritornare all’ordine”, come intendeva la rivista “La Ronda”. Vuole invece riscoprire “dal di dentro” la metrica classica, facendola coincidere con le sue necessità espressive. In sostanza Ungaretti non rinnega il linguaggio dell’Allegria: solo, esso diviene più maturo.
•
La sintassi è sempre lineare e paratattica, ma meno frammentata. Il ritmo poetico è fortemente scandito, ricco di silenzi e di pause cariche di tensione emotiva.
•
Le immagini acquistano un più forte valore simbolico. Tra esse un posto decisivo spetta ancora all’analogia. Nell’Allegria, però, essa era di comprensione abbastanza semplice e immediata; invece adesso l’analogia diventa più sottile, a volte di ardua interpretazione, perché si carica di simboli complessi.
•
Anche questo secondo Ungaretti esercita una fondamentale influenza sulla nascente poesia ermetica, in particolare quella di Salvatore Quasimodo e Alfonso Gatto.
LA “PAROLA” AL CENTRO Ungaretti respinge anche la tradizionale sintassi poetica, fatta di un discorso ben costruito, con subordinate e coordinate.
L’USO DELL’ANALOGIA Come i simbolisti, i futuristi e i vociani, Ungaretti attribuisce grande importanza non al discorso logico, ma all’analogia.
L’EVOLUZIONE DI SENTIMENTO DEL TEMPO Dopo la stagione lirica del l’Allegria, lo stile di Ungaretti in parte cambia.
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Gli autori del Novecento: memoconcetti
6. Umberto Saba La vita n Nasce a Trieste nel 1883 da padre di origini veneziane, Ugo Poli, e da madre ebrea, Rachele Cohen. Il padre abbandona la famiglia prima che il figlio nasca. Saba vive così l’infanzia e la giovinezza con la madre, segnata dal rancore, e con l’amata balia slovena Peppa Sabatz. Divenuto adulto, rifiuterà il cognome paterno e adotterà quello di Saba, ispirandosi al nome della balia e alla parola ebraica che significa “pane”. n Frequenta, senza diplomarsi, le scuole commerciali e compie letture irregolari. Inizia presto a lavorare in uno studio commerciale. Come Svevo, Saba è nato suddito dell’impero austro-ungarico, ma sceglie di essere italiano: nel 1903 si trasferisce prima a Pisa, poi a Firenze. Qui conosce alcuni intellettuali del gruppo della “Voce” (Papini, Prezzolini). Ottiene la cittadinanza italiana; nel 1908 compie il servizio militare a Salerno e Firenze. Al ritorno sposa Carolina Woefler, l’adorata Lina, cantata in molte sue poesie. Da lei ha nel 1909 la figlia Linuccia. n Escono nel 1903 le sue prime poesie (Il mio primo libro di poesia), ripubblicate nel 1911 con il titolo di Poesie. Segue nel 1912 Coi miei occhi, un libro edito dalla “Voce”. Nel 1921 Saba riunirà queste raccolte giovanili nella prima edizione del Canzoniere. n Dopo la prima guerra mondiale Saba torna a Trieste, divenuta ormai una città italiana, e vi apre una libreria antiquaria. Attraverso un frequentatore della libreria, Bobi Bazlen,
MEMOCONCETTI
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conosce Montale e altri scrittori italiani. Continua a scrivere versi, che pubblica in raccolte (Figure e canti del 1926, Preludio e fughe del 1928, Parole nel 1934, ecc.) destinate a confluire nel Canzoniere. n Quando il regime fascista (1938) promulga le leggi razziali, deve lasciare Trieste: si rifugia prima a Parigi, poi a Roma, quindi a Firenze, dove è aiutato da alcuni amici, fra cui Montale. Dopo il 1945, si ristabilisce a Trieste. n Nel 1948 pubblica la seconda edizione del Canzoniere, salutato con favore dalla critica. In questa fase scrive molto in prosa: Scorciatoie e raccontini (1946), Storia e cronistoria del Canzoniere (1944-47, è un auto-commento ai suoi versi scritto in terza persona) e il romanzo autobiografico Ernesto, rimasto incompiuto. n Nel corso degli anni si aggrava la malattia nervosa che lo ha accompagnato per tutta la vita; nel 1953 è ricoverato in una clinica romana. Nel 1956 muore Lina. Saba si trasferisce a Gorizia, dove muore nel 1957.
L’importanza di Saba nella letteratura del Novecento
n Come Svevo, Saba nasce a Trieste, una città di frontiera tra l’impero austro-ungarico e l’Italia, aperta agli influssi dell’Europa centrale. n Come Svevo, inoltre, Saba è di origini ebraiche. Ciò ispira la sua tipica tematica dell’”uomo di pena”: tuttavia il tema del dolore, in Saba, non assume intonazioni tragiche, ma serve in sostanza ad alimentare il tema della necessaria fraternità e solidarietà umana. n Sempre come Svevo, Saba coltiva una forte attenzione alla psicoanalisi. Malgrado l’apparente semplicità e solarità dei suoi componimenti, l’ispirazione di Saba non sfugge ad ambiguità e contraddizioni, condizionata com’è dallo scavo nel profondo dell’io. Egli stesso, inoltre, è tormentato per tutta la vita da disturbi nervosi, che lo fanno sentire spesso forzatamente “diverso” rispetto alla vita degli altri. n Sul piano formale, la poesia di Saba si lega alla tradizione poetica italiana: egli recupera il verso endecasillabo e la struttura del sonetto. Incarna una ricerca di facilità, di chiarezza, di comunicatività, tutti elementi poco comuni a inizio Novecento. Anche i suoi contenuti (l’adesione a cose comuni e a personaggi del popolo, un forte senso morale e una concezione positiva della vita) erano poco apprezzati, all’epoca. n Ai suoi tempi, Saba appariva un poeta arretrato, estraneo alle esperienze più recenti (le avanguardie, la “poesia pura” incarnata in Italia da Ungaretti, Montale e dagli ermetici). Perciò prima del 1945 Saba fu piuttosto isolato ed ebbe recensioni critiche poco favorevoli. n La sua importanza storica si avvertirà negli anni Cinquanta-Sessanta, quando nella poesia italiana si riscoprirà un linguaggio meno “ermetico” e si riscopriranno temi più vicini alla realtà comune. Si capirà allora meglio il valore delle scelte compiute in precedenza da Saba. Poeti come Sandro Penna, Attilio Bertolucci e Giorgio Caproni incarneranno questa linea definita “sabiana” dalla critica.
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Le opere
Il Canzoniere raccoglie poesie scritte fra il 1900 e il 1954; l’autore vi lavorò in una continua opera di aggiornamento, fino alla definitiva edizione del 1957, l’anno stesso della morte.
LA STRUTTURA DEL CANZONIERE
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Il Canzoniere non costituisce una semplice raccolta di tutte le poesie di Saba, ma un “libro” con una sua precisa struttura: l�������������������������������������������������������� ’autore infatti arricchì a poco a poco di inediti la sezione delle poesie giovanili; ed escluse dall’edizione definitiva del Canzoniere alcuni testi pubblicati in precedenza nelle singole raccolte.
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Si struttura in dieci sezioni, attraverso le quali si delinea una sorta di storia della vita esteriore e interiore del poeta, al punto che l’opera è stata definita un’“autobiografia in versi” o addirittura un “romanzo in versi”.
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Uno dei temi principali del Canzoniere è l’amore, che Saba canta spesso con accenti molto concreti e talora persino erotici. Un posto d’onore spetta perciò alla moglie Lina, assieme però ad altre figure, tra cui anche l’amata balia slovena Peppa Sabatz e la figlia Linuccia. Saba ha dell’amore una visione molto concreta e anche erotica.
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Molto presenti nel Canzoniere sono gli animali: il poeta si sente attratto dalla vita semplice della natura, che contempla con un fervore quasi religioso.
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Un tema ricorrente è quello di Trieste, che per Saba è “la città” per definizione, amata sia nei suoi angoli segreti, sia – e forse più – nei suoi quartieri popolari e affollati, in cui il poeta ama perdersi, uomo tra gli uomini.
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Grande peso ha anche la raffigurazione di sé e lo scavo nell’interiorità. Tutto il Canzoniere appare una sorta di “romanzo autobiografico” (non lontano, in un certo senso, dalla Coscienza del suo grande conterraneo Svevo), nel quale l’autore non teme di ritrarre anche gli aspetti più contraddittori, le “voci discordi” che si affollano nel suo animo, da quella ottimista alla “voce”, invece, amara se non disperata.
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Soprattutto nelle raccolte Cuor morituro e Il piccolo Berto, pubblicate negli anni Trenta, emerge l’elemento psicoanalitico: il poeta analizza il proprio passato con gli strumenti dell’analisi freudiana, ponendo al centro del discorso la balia amatissima, la madre troppo severa, oltre naturalmente a se stesso.
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Saba coglie una doppia tendenza in se stesso: da una parte aspira alla solitudine, dall’altra, però, vorrebbe confondersi nella vita collettiva, essere uno dei tanti (perciò i critici parlano del “populismo” di Saba). ����������������������������������������������������� Perciò dà grande spazio agli umili personaggi del popolo, a cui si sente affettivamente vicino (i soldati, i garzoni, gli operai ecc.).
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Il tentativo di entrare in comunione con gli altri uomini ispira le raccolte scritte dopo il 1942-1945. Il poeta si fa osservatore, commentatore, di avvenimenti collettivi, tra cui la guerra, ma anche i primi segni del benessere, le polemiche politico-culturali, persino il popolarissimo gioco del calcio, al quale sono dedicate ben cinque poesie.
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Scorciatoie e raccontini (1946) è una raccolta di prose brevi e incisive in cui, con un linguaggio essenziale e tendente all’aforisma, Saba tratta temi di vario tipo (dall’arte alla filosofia, dalla poesia alla guerra alla religione).
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Nel volume Ricordi-Racconti (1956) l’autore ha invece raccolto i suoi racconti, comparsi via via su riviste e giornali. In essi si ritrovano i temi tipici della poesia sabiana: la città di Trieste, gli ambienti popolari, l’autobiografismo ecc.
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Storia e cronistoria del Canzoniere (1948) è un curioso “saggio” in cui Saba, assumendo lo pseudonimo di Giuseppe Carimandrei, si fa critico di se stesso, commentando e spiegando in terza persona la propria opera. Viene confermata così quella tendenza all’autoanalisi tipica del Canzoniere.
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Infine nel 1975 è stato pubblicato postumo Ernesto, un romanzo incompiuto a sfondo autobiografico, scritto nel 1953. L’opera riguarda una materia complessa e scottante: Saba narra, con grande sincerità e vivezza, l’iniziazione al sesso di un adolescente attraverso un’esperienza omosessuale.
I TEMI PRINCIPALI
GLI SCRITTI IN PROSA Oltre ai versi Saba ha scritto numerose prose. Si conferma così la dimensione narrativa tipica anche del Canzoniere: “raccontare”, sia in versi che in prosa, è indispensabile per Saba.
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Gli autori del Novecento: memoconcetti
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La poetica •
I poeti, secondo il giovane autore, devono porsi un unico obiettivo: la “poesia onesta”. Saba indica come modello Manzoni, opponendolo a chi (come D’Annunzio, il riferimento è implicito) insegue il successo “per uno sfrenato desiderio di originalità”.
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L’onestà è l’unico valido criterio per scrivere poesia. Onestà significa anzitutto “chiarezza interiore”, sincerità morale. Essa porta il poeta a immergersi nel flusso vitale della vita comune, a farsene interprete, a gioirne e a soffrirne come e più di tutti gli altri.
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Perciò a Saba interessano non sensazioni eccezionali o intuizioni inesprimibili, bensì le cose di tutti i giorni. La sua poesia attribuisce più importanza al contenuto che non alla parola.
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Queste scelte si contrapponevano nettamente sia al dannunzianesimo, cioè all’idea di poesia come artificio, esibizione di abilità linguistica, insincerità conclamata; sia alle poetiche dell’avanguardia, che puntavano tutto sulla innovazione formale e sul rifiuto della tradizione (a cui invece Saba si richiamava esplicitamente).
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La poetica sabiana si avvicinava invece, per l’ansia di sincerità e per la tendenza autobiografica, ad alcune esperienze che in quegli anni erano condotte dalla rivista fiorentina “La Voce”. Saba entrò in contatto con alcuni esponenti della “Voce”, ma se ne distaccò quasi subito, constatato che la sua ricerca andava in direzione comunque differente.
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Secondo Saba il poeta deve scavarsi dentro: ma non per limitarsi a constatare la presenza in sé stesso di contraddizioni irrisolte o per complicare i propri temi, bensì per raggiungere una superiore chiarezza. Chiarezza è una virtù additata a tutti coloro che scrivono: bisogna essere chiari, dire le cose chiaramente, per essere comprensibili.
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Al fondo della poetica sabiana c’è un’ansia di comunicazione con i lettori. Da qui le scelte formali della poesia sabiana:
LA “POESIA ONESTA” Nel 1911 Saba pubblicò un testo teorico dal titolo Quello che resta da fare ai poeti, importante chiarimento di poetica.
LA “CHIAREZZA” Come sappiamo da Storia e cronistoria del Canzoniere (1948), Saba aveva pensato d’intitolare il suo canzoniere Chiarezza: termine in deliberata opposizione alle ricerche simbolistiche, all’espressionismo dell’avanguardia, al frammentismo vociano.
- l’adozione di un linguaggio piano e colloquiale, vicino al linguaggio dei crepuscolari (rispetto ai poeti crepuscolari, però, Saba si distingue per la mancanza d’ironia, oltre che per l’assenza di quelle nostalgie del passato e di quegli autoritratti in chiave decadente tipici di Corazzini, Gozzano, Moretti ecc.); - la scelta di tematiche narrative e descrittive, più che “liriche” in senso stretto: tematiche, dunque, non astratte o troppo simboliche, ma comprensibili ai lettori comuni.
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•
I modelli di Saba sono alcuni scrittori sette-ottocenteschi, in particolare Parini, Foscolo e Leopardi. Saba li addita come propri modelli in modo senz’altro ingenuo, ma che denota la sua volontà d’inserirsi nella grande tradizione lirica italiana (non dimentichiamo che egli proveniva da una realtà provinciale e di confine com’era Trieste). Il recupero di questa tradizione risponde a diversi obiettivi: - darsi una misura e una regola;
IL RECUPERO DELLA TRADIZIONE
- allontanarsi dalle esperienze coeve della poesia simbolistica e della poesia “pura” (quella a cui guardano invece Ungaretti e Montale). •
Si spiegano così: - da una parte il rifiuto da parte di Saba dei versi liberi e degli esperimenti simbolistici o avanguardistici;
La volontà d’inserirsi nel solco della grande tradizione italiana.
- dall’altra, la sua predilezione per le forme chiuse come il sonetto, o per un verso caro alla tradizione come l’endecasillabo, o infine per le rime, anche le più tradizionali, come fiore / amore (come lui stesso dice nella lirica Amai: “Amai trite parole che non uno / osava. M’incantò la rima fiore / amore, / la più antica difficile del mondo...”). •
Peraltro negli anni Trenta (in particolare nella raccolta Parole) Saba si confrontò direttamente con l’esperienza ermetica e soprattutto con Montale. Da tale confronto trasse qualche spunto (per esempio in Parole si attenua il carattere narrativo dei testi); ma nel complesso lo stesso Saba rivendicò (giustamente) l’originalità della sua posizione e l’estraneità all’ermetismo.
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Lo stile
La più forte ambizione di Saba è riuscire a diventare “unito” agli altri, affratellato alla loro esperienza di vita, partecipe cioè di quella che egli definisce la calda vita che avvolge tutti. Anche il linguaggio, con la sua semplicità e comprensibilità, deve concorrere a questa operazione. •
Nelle sue poesie ricorrono di continuo i versi della tradizione, soprattutto l’endecasillabo e il settenario; e s’incontrano forme strofiche classiche, come sonetti, canzonette, strofe di madrigale.
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Alla tradizione ci riporta anche l’andamento ritmico dei componimenti di Saba, spesso vicino al “canto” (del resto, non a caso, l’opera s’intitola Canzoniere). Da qui l’uso di assonanze, consonanze e di frequenti rime: proprio le componenti disdegnate dagli altri poeti coevi.
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Di tali scelte metrico-ritmiche lo stesso Saba ha fornito la motivazione: “C’era - scrive parlando di sé in terza persona - nel profondo della sua natura, qualcosa che aveva bisogno di appoggiarsi sempre al più solido, al più sicuro, a quello che aveva fatto le sue prove in un lungo, nel più lungo possibile passato, per poi partire da quello alla conquista di se stesso”. La fedeltà alla tradizione, dunque, nasce innanzitutto come bisogno di sicurezza, come ricerca di riferimenti certi, da contrapporre polemicamente alle ricerche formali tipiche della poesia contemporanea (del futurismo, dell’espressionismo vociano, dell’ermetismo).
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D’altra parte l’adozione dei moduli della tradizione letteraria serve a Saba per arginare l’eccesso di prosasticità che deriva invece dai contenuti, ispirati quasi sempre da una realtà umile e quotidiana.
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Inoltre il ricorso a uno stile “classico” serve a creare una certa distanza dalle inquietudini interiori e dalle pulsioni irrazionali: l’attenta elaborazione formale serve cioè al poeta per maneggiare e dominare i moti dell’anima, senza essere travolto dalla loro immediatezza e istintività.
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Saba adotta “trite parole”: un lessico concreto e immediato, pienamente adeguato a quell’ideale di poesia “onesta” da lui vagheggiato. Il suo linguaggio vuole essere aderente alla realtà, lontano dai preziosismi e dai rimandi analogici. Il critico Debenedetti ha così definito il lessico sabiano: “In lui [...] la parola è quella domestica, la prima venuta: parole senza storia”.
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Peraltro Saba sa che questa è una scelta controcorrente e difficile da seguire fino in fondo, perché il linguaggio della poesia non è quello della prosa. Perciò, in certi momenti, ritroviamo nelle sue liriche alcune forme auliche, appartenenti al lessico letterario: il poeta, però, sa rinnovarle e utilizzarle in modo che non risultino mai logore né banali.
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Il tipico impasto sabiano di aulico e di prosaico, di antico e di nuovo, è quindi tutt’altro che umile e risulta solo in apparenza facile. La semplicità delle forme e dei contenuti non esclude, infatti, la profondità del discorso che scaturisce dai suoi versi, tanto che Pier Paolo Pasolini considerava Saba “il più difficile dei poeti contemporanei”.
UNO STILE “CLASSICO” Sul piano formale, la caratteristica più evidente di Saba è la fedeltà ai moduli poetici della grande tradizione ottocentesca.
I DUE LIVELLI DEL LESSICO Un impasto di “parole senza storia” e di termini letterari.
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Gli autori del Novecento: memoconcetti
7. Eugenio Montale La vita n Nasce a Genova nel 1896, ultimo di cinque fratelli e in una famiglia agiata. Trascorre la giovinezza a Genova, ma i mesi estivi li passa nella casa di famiglia a Monterosso, nelle Cinque Terre. Studia ragioneria, ma è più interessato a poesia e musica: dal 1915 al 1923 studia canto operistico presso il maestro E. Sivori. La musica sarebbe rimasta una delle sue passioni costanti. Nel 1917 viene arruolato e mandato al fronte della prima guerra mondiale, come ufficiale di fanteria. n Al ritorno si dedica alle amate letture letterarie e filosofiche. Nel 1925 Piero Gobetti gli stampa il suo primo volume di poesia, Ossi di seppia. Nello stesso anno Montale firma il Manifesto antifascista promosso da Benedetto Croce. n Nel 1927 può rendersi economicamente indipendente e trasferirsi a Firenze, grazie a un impiego presso l’editore Bemporad. Nel 1929 è nominato direttore del Gabinetto scientifico-letterario Vieusseux. Negli anni di Firenze Montale conosce la futura moglie Drusilla Tanzi (che sarà da lui cantata con lo pseudonimo di “Mosca”) e frequenta la giovane americana Irma Brandeis (“Clizia”). Frequenta inoltre Salvatore Quasimodo, Carlo Emilio Gadda, Elio Vittorini nei ritrovi presso il caffè delle “Giubbe rosse” e collabora a diverse riviste letterarie. Nel 1938 perde l’incarico di direttore del Vieusseux per non aver prestato giuramento di fedeltà al fascismo. Nel 1939 pubblica il suo secondo libro di poesie, Le occasioni.
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n Durante la seconda guerra mondiale Montale, ritornato a Genova, sopravvive lavorando come traduttore, soprattutto dall’inglese: traduce testi di Eliot, Shakespeare, Melville, Pound (tali traduzioni saranno poi raccolte nel 1948 nel volume Quaderno di traduzioni). n Dopo la guerra si dedica stabilmente all’attività di giornalista prima al “Corriere d’Informazione” (per il quale scrive le cronache musicali) e poi, dal 1948, al “Corriere della Sera”. Qui divide la sua stanza di lavoro con Indro Montanelli. I suoi interventi in prosa sono raccolti nei volumi Farfalla di Dinard (1956) e Fuori di casa (1969). Dal 1951 si trasferisce perciò a Milano. n Nel 1956 esce una terza raccolta di poesie, La bufera e altro, cui segue un nuovo, lungo periodo di “silenzio”, fino al 1971. In quell’anno stampa infatti la raccolta Satura (1971), cui seguiranno Diario del ‘71 e del ‘72, Quaderni dei quattro anni e Altri versi. Nel frattempo è stato nominato senatore a vita (1967). Nel 1975 vince il premio Nobel per la letteratura. Muore a Milano nel 1981, nella sua casa di via Bigli.
L’importanza di Montale nella letteratura del Novecento
n Montale occupa un posto di rilievo nella letteratura mondiale del Novecento, di cui è una voce inconfondibile. È stato uno degli interpreti maggiori di quella crisi dell’io e della società che caratterizza tanta letteratura del Novecento. Egli ha espresso la “negatività della vita”, “il male di vivere”, come lui stesso dice. Sono rimasti famosi i versi “Codesto solo oggi possiamo dirti, / ciò che non siamo, ciò che non vogliamo” e “Spesso il male di vivere ho incontrato…” (da Ossi di seppia). n Tale dichiarazione di negatività si collega alla crisi culturale del Novecento, che accantona i miti di scienza e progresso, che cerca di scendere nelle profondità dell’io per ritrovarvi un’ultima autenticità. Ma la negatività espressa da Montale ha anche una dimensione storica: proprio mentre si stava imponendo il fascismo, il giovane poeta di Ossi di seppia denuncia le false certezze su cui poggiavano la cultura e la società del tempo. Non a caso l’editore di Ossi di seppia fu Piero Gobetti, uno dei più lucidi intellettuali antifascisti. n Sul piano strettamente letterario, Montale si ricollega alla linea della nuova poesia novecentesca, che abbandona la sonorità tradizionale, la metrica di un tempo e le immagini solenni: egli sceglie invece un poetare “scabro ed essenziale”, in linea con i suoi contenuti. n Nell’ultimo Montale, invece, prevale la critica alla società massificata, alla comunicazione falsa, alla spersonalizzazione delle relazioni e dei rapporti umani. È il Montale di Satura e degli ultimi libri, che non teme neppure di irridere i propri versi più famosi e il suo ruolo di “poeta laureato”.
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Le opere
Montale ha scritto solo quattro libri di versi, da Ossi di seppia, del 1925, a Satura, uscito nel 1971 (quelli successivi a Satura rientrano pienamente nel nuovo filone “satirico”). A ciascuno di questi quattro libri si collega una diversa stagione poetica, fatta di contenuti e stile particolare. Oltre che poeta, Montale è stato anche: - prosatore, sempre e solo nella misura della prosa breve: è stato autore di prose d’arte (o elzeviri) e cronista musicale; - traduttore di poeti stranieri, specialmente angolofoni: v. le traduzioni da Thomas Stearns Eliot e da Shakespeare.
Raccolte di poesia
OSSI DI SEPPIA, 1925 La prima raccolta segna una forte e consapevole novità, sul piano sia dei contenuti sia dello stile.
LE OCCASIONI, 1939
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Il libro vuole anzitutto esprimere il “male di vivere”, l’infelicità che il giovane poeta coglie nella condizione umana, priva di senso e senza possibilità di riscatto. Montale dà voce a questa sua visione della vita traducendo concetti e sensazioni in immagini concrete e oggetti precisi: il rivo strozzato, il muro che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia, la foglia riarsa.
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Sul piano formale l’autore, come egli stesso dice, si propone “la semplicità e la chiarezza, a costo di sembrar poveri”. Rispetto al “lusso” e alla retorica di D’Annunzio, sceglie una lingua “povera” e contenuti quotidiani. La seconda poesia del libro, I limoni, mostra già un chiaro rifiuto dei poeti laureati e un’ambientazione umile, quotidiana.
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Nel libro, i due gruppi di liriche più importanti sono Ossi di seppia e Mediterraneo.
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La serie di Ossi di seppia è quella che dà titolo all’opera. Si compone di 22 brevi poesie, tra cui alcune molto celebri: Non chiederci la parola, Meriggiare pallido e assorto, Spesso il male di vivere ho incontrato, Forse un mattino andando in un’aria di vetro, Cigola la carrucola del pozzo. In esse l’autore sperimenta uno stile scabro ed essenziale e il suo tipico “paesaggio dell’aridità”, colto nell’ora del meriggio, del sole a picco che sgretola ogni cosa: tale paesaggio vuole essere un’espressione eloquente del male di vivere.
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Nelle nove più ampie poesie di Mediterraneo (tra cui Antico, sono ubriacato dalla voce, Noi non sappiamo quale sortiremo domani, Avrei voluto sentirmi scabro ed essenziale) il poeta canta il motivo del mare: si rivolge al mare come a un padre, lo invoca come realtà grande, viva, pura. La salsedine del mare, infatti, sa spurgare ogni imperfezione, levigando gli ossi di seppia e gli altri ciottoli del fondo e riducendoli a una loro (anche modesta) bellezza.
•
Le ultime poesie del libro (tra cui Arsenio, lirica tradotta nel 1928 da T.S. Eliot) si arricchiscono di elementi più simbolici, che torneranno nelle Occasioni.
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Rispetto a Ossi di seppia, l’ambientazione si fa più raccolta: dall’esterno (l’assolato paesaggio ligure) si passa all’interno (in casa, in una intimità soffusa).
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Al centro è ora il rapporto amoroso con la donna (Clizia = Irma Brandeis), ma esso è precario, difficile. La donna, in realtà, non c’è più; torna solo attraverso i lampi, i barlumi del ricordo.
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Il ricordo è un altro grande tema del libro. Il poeta canta gli oggetti quotidiani (una cappelliera, cani e gatti, un fiore, ecc.), che risvegliano le memorie amorose. Ma lo scorrere del tempo minaccia il ricordare; il poeta tiene un filo del passato, ma l’altro si è come dissolto (v. La casa dei doganieri).
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Le cose rivelano e nascondono, la donna appare e sparisce. Il linguaggio del poeta si fa perciò più oscuro e allusivo: (specie nel gruppo dei 20 Mottetti, i brevi componimenti al centro del libro). Il poeta non racconta e non descrive (come in Ossi di seppia); si limita a evocare oggetti emblematici, simboli di stati d’animo privati, intimi. Perciò il lettore fa fatica a ricostruire le occasioni a cui il poeta allude (incontri, episodi, gesti...): allo stesso modo il poeta fatica a riannodare quei legami con il passato.
In questo secondo libro Montale si avvicina alle esperienze della poesia ermetica.
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Gli autori del Novecento: memoconcetti
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L’ispiratrice è ora Clizia, che al poeta lontano invia i propri messaggi. Clizia potrebbe forse salvare il poeta (e tutti gli altri) dalla bufera, ma in realtà è anch’essa invischiata nel dramma della guerra. Il suo compito è rischiosissimo e ricorda la funzione salvifica di Cristo (peraltro mai nominato esplicitamente): ella sconterà le colpe di tutti, espiandole col proprio dolore (v. le maggiori liriche al centro del libro: Iride, La primavera hitleriana).
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La riflessione sulla morte e sulla sopravvivenza resta comunque ispirata a valori laici e terreni. Montale non vuol aderire né alla fede né ad altre ideologie totalizzanti (v. le due liriche che chiudono il libro, Piccolo testamento e Il sogno del prigioniero).
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In una breve prosa (Visita a Fadin) inserita nel libro, l’autore propone perciò la scelta etica della decenza quotidiana, la morale laica, cioè, del “vivere in dignità di fronte a se stessi”.
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L’ultimo Montale rivoluziona con coraggio la sua poesia. Il titolo Satura si richiama all’antica “satira” latina e ai suoi caratteri: varietà di stile e contenuti, critica dei vizi della società, parodia dei temi “alti” e impegnativi.
•
Un primo tema di Satura spicca nei due gruppi di Xenia che aprono il libro. La parola Xenia significa “i doni all’ospite”, ma qui il destinatario non c’è più: la moglie “Mosca”, a cui il poeta s’indirizza, è morta da poco. La rievocazione del poeta è affettuosa, ma il colloquio impossibile, come accadde con Clizia: v. Caro piccolo insetto, Avevamo studiato per l’eternità, Ho sceso, dandoti il braccio. Parlando con la moglie assente, intanto, il vecchio poeta esorcizza il problema angoscioso della morte.
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Un secondo tema è la balbuzie del linguaggio, originata dalla comunicazione di massa. Il vecchio poeta è ora un giornalista: lo scrivere è divenuto per lui un fatto “feriale”. Gli argomenti sono presi da fatti privati, cronaca spicciola, mentre il linguaggio si fa più basso. Montale vuole, in tal modo, denunciare il fatto che l’uomo non parla più, ma “è parlato” dai mass-media; la poesia finisce per assomigliare anch’essa a un inutile ritaglio di giornale.
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Un terzo tema è la critica alla vita sociale contemporanea: il poeta osserva dall’interno, nascosto come un ectoplasma (La storia), il farsi e il disfarsi della realtà quotidiana.
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Infine, il tema religioso: Satura si chiude con la lirica L’ Altro. Ma Dio, come la verità, resta assente, il cielo e la terra si confondono: ogni fede, per Montale, è di fatto impossibile.
LA BUFERA E ALTRO, 1956 Prosegue la linea delle Occasioni: tema amoroso in un quadro di precarietà; poetica dell’oggetto emblematico. Però la dimensione si allarga: dalla sfera privata alla bufera della seconda guerra mondiale.
SATURA, 1971 e altre raccolte “satiriche”: Diario del ‘71 e del ‘72, 1973; Quaderno di quattro anni, 1977; Altri versi, 1980.
Opere in prosa Gli scritti in prosa di Montale si possono suddividere in alcuni gruppi: •
prose d’arte, di carattere letterario: raccolte nel volume Farfalla di Dinard, 1956 (2ª ed. ampliata 1960): sono scritti brevi, caratterizzati da immagini tipicamente montaliane e segrete allusioni;
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prose di origine giornalistica: raccolte nei due volumi Auto da fé (1966) e Fuori di casa (1969): riflessioni su fatti d’attualità, ritratti di grandi protagonisti della cultura, amare riflessioni ispirate allo “spurgo” dei mass-media;
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prose di critica letteraria: poi raccolte nel volume Sulla poesia (1976);
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prose di critica musicale: poi raccolte nel volume Prime alla Scala (1981).
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La poetica •
Montale (diversamente da Ungaretti, che parte da una posizione di dolore e pena per arrivare a una affermazione di fede e di speranza) non abbandona mai il punto centrale della sua visione del mondo, che è la negatività totale, la consapevolezza del nulla e dell’aridità della vita. Ritroviamo in questa posizione qualche aspetto dell’esistenzialismo, la filosofia più diffusa negli anni Trenta e Quaranta.
Montale è un grande interprete di quella crisi dell’io e della società che caratterizza tanta letteratura del Novecento.
•
La poesia montaliana non intende affatto abbellire la realtà e mascherare il male di vivere, la “disarmonia” che l’autore ritrova in se stesso come in tutto il mondo. Vuole invece dichiararla, senza compiacimenti ma con la dignità del testimone, con un atteggiamento che è stato paragonato a quello di Leopardi.
•
A Montale manca il conforto della fede, ma mancano anche le aspettative indotte da possibili ideologie, perché egli nutre sempre scetticismo e distacco verso tutte le posizioni che pretendono di definire con certezza la verità.
LA FORMAZIONE E I MODELLI
•
Da Pascoli e soprattutto da Gozzano Montale ricava la tendenza a rifiutare la parola poetica “classica”, aulica e remota, in favore di una parola precisa, determinata, prosastica.
•
Di Gozzano accetta pure la sottile ironia, con cui corrode i significati dell’esistenza, e l’uso dell’accostamento di termini aulici con termini colloquiali e quotidiani.
•
Da D’Annunzio, poeta tanto diverso da lui, prende sia la tendenza a instaurare un rapporto privilegiato fra l’io e il paesaggio naturale, particolarmente quello marino, estivo e assolato, sia il gusto per la parola colta e preziosa, che egli poi, con effetto straniante, contrappone a quella quotidiana.
•
La poesia di Montale, a differenza di quella di Ungaretti e degli ermetici, non utilizza l’accostamento di immagini e concetti distanti per mezzo dell’analogia. Dunque Montale non aderisce alla poetica dell’ermetismo; si avvicina al simbolismo europeo e alla “poesia pura”, anche se in modo personale.
•
Egli adopera la tecnica, forse ricavata dall’esempio delle liriche del poeta inglese T. S. Eliot, detta del “correlativo oggettivo”: si tratta di rappresentare oggetti, che hanno valore emblematico perché sono fortemente collegati con sentimenti e sensazioni e ricchi, quindi, di valore psicologico. Invece di rivelare le proprie emozioni, Montale le affida a “oggetti emblematici”, che si caricano, simbolicamente, di altri significati. Perciò il linguaggio montaliano risulta denso e di grande concretezza: parla dell’io solo attraverso le cose (➔ Lo stile).
•
Nella prima raccolta (Ossi di seppia) all’oggetto si accompagna ancora il “commento” psicologico ed esistenziale (“Spesso il male di vivere ho incontrato:/era il rivo strozzato che gorgoglia/...). Nelle successive raccolte (Le occasioni e La bufera e altro) sparisce il commento, così come qualsiasi nota di contestualizzazione: rimane solo la pura rappresentazione o evocazione di oggetti e/o di personaggi. Si ha quindi una vera “poetica dell’oggetto”, e quest’ultimo viene caricato di forte densità espressiva.
•
Tutto ciò fa di Montale il poeta più lontano dall’effusione sentimentale che era tipica dei poeti romantici: non coltiva l’effusione dell’io, ma un estremo pudore nel rivelare i propri sentimenti.
•
L’adozione di questa tecnica comporta un rischio, ben avvertibile in molte liriche di Montale: il rischio dell’oscurità, di generare cioè forti difficoltà interpretative. Infatti il poeta non chiarisce gli antefatti e i riferimenti di ciò che dice; il lettore si trova davanti a cose e situazioni di ardua decifrazione.
•
Negli ultimi libri, da Satura in poi, Montale abbandona queste tecniche simbolistiche (correlativo oggettivo, poetica dell’oggetto emblematico).
•
Adotta invece temi comuni e impoetici, il linguaggio si abbassa fino ad abbracciare le espressioni del parlato quotidiano. Tutto ciò serve al poeta come strumento di critica della realtà sociale contemporanea.
LA VISIONE “NEGATIVA” DEL MONDO
Montale compie la propria formazione culturale nel clima simbolista e decadente. Egli assorbe e rielabora la lezione di tre poeti a lui precedenti: Pascoli, D’Annunzio e Gozzano.
LE TECNICHE POETICHE Montale non va confuso con gli ermetici: elabora una tecnica poetica assai personale.
LA NOVITÀ DEGLI ULTIMI LIBRI La svolta del vecchio poeta.
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Gli autori del Novecento: memoconcetti
MEMOCONCETTI
4
Lo stile
Montale ha condotto, lungo il mezzo secolo e più della sua attività poetica, una lunga ricerca stilistica, linguistica, poetica: lo scopo è di pervenire all’espressione più precisa e adeguata al sentimento dell’autore. •
Montale non segue le suggestioni della poesia d’avanguardia: contrappone anzi alla poetica simbolista, espressione di una fede nell’inconscio e nell’irrazionale, una costante pratica della ragione. Per questo motivo, Montale utilizza un periodare sintattico e non paratattico: almeno in ciò, il suo discorso poetico si allontana dalle ricerche delle avanguardie per rimanere vicino alle scelte della tradizione.
•
Benché sempre orientato al “discorso” razionale, la sintassi poetica di Montale presenta un’evoluzione, dall’uno all’altro libro:
LA SINTASSI E LA METRICA
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in Ossi di seppia appare spesso breve e lineare;
Uno stile che non dimentica la tradizione, ma che risulta sempre molto personale.
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poi però, sia nelle Occasioni sia nella Bufera, si fa più ampio e complesso. In questi due libri il periodare diviene ellittico (le frasi sono cioè prive di verbo, la cui presenza potrebbe, invece, dare maggiore comprensibilità al testo). Anche il lessico si fa sempre più prezioso e allusivo;
-
gli ultimi libri costituiscono invece un caso a sé ➔ v. oltre.
•
Sul piano metrico Montale, senza posizioni precostituite, a volte adopera il verso libero, a volte invece ricorre alla tradizionale strofa e alla rima, lasciando talora spazio ai metri tradizionali, specie l’endecasillabo. In ogni caso, sul piano ritmico, quella di Montale è una poesia anti-musicale, del tutto priva di retorica e di solennità, pur se nasce da un attento studio della nostra tradizione letteraria e degli autori contemporanei (Montale è sempre un autore assai colto).
•
Per la scelta dei termini, Montale prende spunto sia da Pascoli e Gozzano, sia da D’Annunzio, nel senso che mescola forme aulico-letterarie a forme del tutto prosastiche e quotidiane. In generale privilegia i termini tratti dalla lingua quotidiana, anche se fa spesso ricorso ai vocaboli tecnici e a quelli difficili.
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Si tratta quindi di un “plurilinguismo”, adatto a esprimere la sua “poetica dell’oggetto”: il fine del poeta è designare e individuare gli oggetti con precisione e rigore, rifuggendo l’indeterminatezza e il vago.
•
Nelle ultime opere Montale adopera uno stile sempre più ironico e spesso sarcastico, e un lessico adatto a rendere la cronaca della vita quotidiana, quindi molto simile al linguaggio parlato.
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Il tono è quello di un discorso impuro, ove tutto si mescola. Il poeta usa ancora, a tratti, termini colti e “poetici”, ma alternandoli a espressioni dei mass-media, parole gergali, neologismi, ecc. In questo modo la poesia acquista l’apparenza della non-poesia, della prosa.
IL LESSICO Il vocabolario montaliano rivela un impasto molto originale.
MONTALE “SATIRICO” La novità delle ultime opere sul piano linguistico e stilistico.
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SEZIONE 1
8. Alberto Moravia La vita n Alberto Pincherle (lo pseudonimo, Moravia, è il cognome della madre) nasce a Roma nel 1907 in una famiglia agiata; la madre è di origine ebraica. Per motivi di salute (soffre di tubercolosi ossea) deve per lunghi periodi curarsi in sanatorio. La sua formazione culturale avviene perciò come autodidatta; legge con passione romanzi moderni, in particolare Dostoevskij. n Inizia a scrivere appena ventenne per giornali e riviste; sulla rivista “900” di Massimo Bontempelli pubblica i primi racconti. Nel 1929 stampa a proprie spese il romanzo Gli indifferenti, che ottiene successo e attenzione da parte dei critici. Moravia è così incentivato a scrivere con continuità. Nei romanzi Le ambizioni sbagliate (1935), La mascherata (1941) e Agostino (1945) sviluppa una critica sempre più corrosiva verso la società italiana e la mentalità dominante. Il fascismo, perciò, guarda a lui con sospetto. Nel 1935 tiene, su invito di Giuseppe Prezzolini, alcune conferenze a New York. Nel 1941 sposa Elsa Morante. n Dopo il 1945, accogliendo le suggestioni del neorealismo, prende ispirazione da ambienti popolari e utilizza una lingua ricca di elementi parlati e talora dialettali. Sono i caratteri dei romanzi La romana (1947), La disubbidienza (1948) e La ciociara (1957), confermati dalle raccolte L’amore coniugale e altri racconti (1949), Racconti romani (1954) e Nuovi racconti romani (1959).
MEMOCONCETTI
1
n Nei romanzi Il conformista (1951), Il disprezzo (1954) e soprattutto La noia (1960) ripropone, come negli Indifferenti, l’analisi di una difficile condizione esistenziale in un contesto borghese. Moravia utilizza gli strumenti della filosofia esistenzialista e del marxismo, da lui approfonditi negli anni precedenti. Continua a collaborare a quotidiani (“Corriere della Sera”) e riviste (“L’Espresso”), occupandosi anche di cinema. Nel 1953 fonda la rivista letteraria “Nuovi Argomenti”, che dirige a lungo. Continua intanto a scrivere romanzi, racconti, raccolte di articoli e saggi, oltre a diversi testi teatrali, tra cui L’intervista (1966) e Il dio Kurt (1968). Viaggia in Cina e Giappone (1967), in Africa (1972), in Urss, da cui trae spunti per interessanti resoconti di viaggio. n Nel 1963 Moravia aveva iniziato una lunga relazione con la più giovane scrittrice Dacia Maraini; nel 1986, dopo la morte di Elsa Morante, sposa la spagnola Carmen Llera. Nel 1984 è eletto come deputato al Parlamento europeo per il Partito Comunista italiano. Muore a Roma nel 1990.
L’importanza di Moravia nella letteratura del Novecento
n L’importanza di Moravia si lega anzitutto agli Indifferenti (1929): con quel romanzo giovanile l’autore anticipava i temi e i modi di una narrativa neorealistica destinata ad affermarsi soltanto dopo il 1945. n La grande novità de Gli indifferenti si fonda su due elementi: a) un senso concreto, vivissimo, della realtà sociale e psicologica, del tutto alternativo sia rispetto al culto della forma proprio della coeva “prosa d’arte”, sia rispetto al tono aulico della nostra tradizione letteraria; b) lo sviluppo di una tematica molto moderna e nuova come l’incomunicabilità. n In seguito la figura di Moravia si è imposta come centrale nella cultura (non solo letteraria) italiana. L’autore ha assunto un ruolo molto attivo nel dibattito culturale degli anni Sessanta e Settanta, divenendo un indiscutibile punto di riferimento. n Animato da grande curiosità e apertura intellettuale, Moravia ha introdotto nel nostro paese un atteggiamento europeistico in netto contrasto sia con la chiusura autarchica dell’epoca fascista, sia con la ristrettezza di orizzonti degli scrittori minori del neorealismo. n Questi meriti convivono peraltro con alcuni limiti: la narrativa di Moravia, anche per la vasta gamma d’interessi dello scrittore, appare talora priva della necessaria profondità. Inoltre, nelle ultime opere, risulta monotona e letterariamente discutibile.
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Gli autori del Novecento: memoconcetti
MEMOCONCETTI
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Le opere
A giudizio della critica, le opere migliori di Moravia sono quattro romanzi: Gli indifferenti (1929), Agostino (1945), La ciociara (1957) e La noia (1960).
• Il romanzo si snoda nell’ambiente dell’alta borghesia romana, sul finire degli anni
Venti, quando cioè il fascismo corrode già da anni l’atmosfera italiana. In tale contesto si consuma la relazione tra Leo Merumeci e la sua più anziana amante, la vedova Mariagrazia. La coppia è ormai matura e stanca. I figli di Mariagrazia, Carla e Michele, ormai adulti, vivono con disagio, ma senza ribellioni, l’insofferenza di Leo verso la donna e le scenate della madre, gelosa di Lisa, una vecchia fiamma dell’amante.
•
Dopo che Leo è riuscito a irretire Carla e a possederla, Michele si sente costretto a intervenire in qualche modo contro Leo, ma nel profondo della sua indifferenza non prova reali motivi di indignazione. Cerca di provocare, ma senza convinzione e a freddo, Leo; arriva anche al punto di tentare di ucciderlo, ma tale tentativo naufraga in modo quasi ridicolo. Alla fine Michele si rassegna e cede alla corte assillante di Lisa, mentre Mariagrazia accetta l’inevitabile: Leo sposerà Carla.
•
Quando il romanzo uscì, suscitò forti polemiche, in quanto raffigurava l’ambiente della borghesia romana alla fine degli anni Venti con una scrittura di forte stampo realistico e con un atteggiamento di severa critica. Moravia ha affermato che la genesi del romanzo non va cercata in una volontà di denuncia, quanto nel desiderio di dare una testimonianza della società borghese dall’interno e senza intenti ideologici. È vero però che il giovane scrittore in molte pagine evidenzia l’aridità della vita borghese, la sua mancanza di valori, l’“indifferenza” come categoria esistenziale.
•
Il protagonista Agostino è un adolescente che ha sempre vissuto sotto la protezione della madre, vedova, ma ancora giovane. Durante una vacanza al mare, un giovane corteggia la madre, che non resta indifferente. Sentendosi escluso, Agostino si accosta a una banda di ragazzi del popolo, affiatati tra loro, molto più maturi di lui, soprattutto per quanto riguarda il sesso, e amici di un bagnino omosessuale. I nuovi amici dileggiano Agostino per la sua ingenuità.
•
Agostino scopre l’esistenza della dimensione sessuale, fino ad allora ignorata; capisce che deve uscire dal mondo dell’infanzia e che non sarà facile raggiungere quello degli adulti. Vorrebbe introdursi in una casa di tolleranza, ma gli viene impedito l’ingresso. Vorrebbe parlare alla madre, ma riesce solo a chiederle di non trattarlo più da bambino come ha fatto finora, suscitando nella donna un sorriso di incomprensione.
GLI INDIFFERENTI Il romanzo d’esordio di Moravia.
AGOSTINO Racconto lungo pubblicato nel 1945.
LA CIOCIARA Romanzo di stampo neorealista (1957).
LA NOIA Romanzo psicologico del 1960, vicino, nella sua tematica, agli Indifferenti.
L’opera s’ambienta al tempo della seconda guerra mondiale. Sono tre i protagonisti: Cesira, una contadina della Ciociaria, la figlia Rosetta e il giovane partigiano Michele. Le due donne, in fuga da Roma occupata dai nazisti, scoprono la generosità di una famiglia di contadini che li ospita; Michele (il nome è lo stesso del protagonista degli Indifferenti) è un giovane studente, idealista e partigiano, che sacrifica la propria vita per salvare i parenti e i contadini, lasciandosi catturare dai Tedeschi, che lo fucilano. Quando arrivano i “liberatori” alleati, le cose peggiorano, perché Cesira e Rosetta sono violentate; la ragazza, sconvolta, inizia a prostituirsi.
Protagonista è Dino, un borghese che non sa più stabilire un rapporto positivo con la vita reale. Afflitto dalla noia, si dedica alla pittura ma non riesce neppure in questo modo a ritornare a vivere pienamente. Distrugge perciò la tela alla quale sta lavorando. Conosce e diviene l’amante di Cecilia, ma il loro rapporto non può essere normale: Dino avverte che la donna gli sfugge, che è disponibile a tutto e a tutti, e perciò inafferrabile. Solo alla fine, dopo aver tentato il suicidio e dopo aver pianificato, invano, l’assassinio di Cecilia, l’uomo accetta che ella abbia una sua vita all’infuori della propria.
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SEZIONE 1
MEMOCONCETTI
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La poetica 1) Prima fase (da Gli indifferenti, 1929, ad Agostino, pubblicato nel 1945): realismo borghese di Moravia. In queste opere l’autore dà vita a una narrativa realistica, ma anche fortemente critica verso i suoi personaggi borghesi.
LE TRE FASI DI MORAVIA Nella produzione di Moravia si possono distinguere tre diversi periodi.
2) La seconda fase (dal 1947, l’anno della Romana, al 1957, anno della Ciociara) è quella del neorealismo di Moravia. I protagonisti sono personaggi popolari che costituiscono un’alternativa positiva rispetto al mondo borghese. 3) La terza fase è quella del ritorno al romanzo psicologico. Si va dal 1960 (La noia) alla morte dell’autore. Caduta la positività del popolo, Moravia ritorna all’analisi di una borghesia sempre più in crisi, priva di valori e di vitalità. In quest’ultima fase la narrativa di Moravia si carica di elementi saggistici: le vicende servono a esemplificare una tesi, ad analizzare un problema, da un punto vista essenzialmente di studio, prima che narrativo.
1) Sin dall’inizio (Gli indifferenti) Moravia pone al centro della propria ricerca la riflessione sulla borghesia, la sua classe sociale di provenienza. Moravia è uno scrittore consapevolmente borghese, che, da un punto di vista borghese, mette a tema la borghesia e scrive contro la borghesia.
LE CINQUE BASI DELLA NARRATIVA DI MORAVIA Alcuni caratteri ritornano spesso nella narrativa di Moravia, in alcune opere di più e in altre meno. Appaiono tutti presenti nel romanzo d’esordio, Gli indifferenti.
2) Per rappresentare la vita della borghesia, Moravia attinge da Bontempelli il recupero del genere “romanzo”, inteso come narrazione fondata sull’intreccio, sulla trama, sull’avventura “romanzesca”. La borghesia sa vivere solo di intrighi, inganni, tresche più o meno avventurose: dunque la struttura del romanzo coincide con il suo oggetto di rappresentazione. 3) Nella sfera borghese contano solo due “valori”: il sesso e il denaro, gestiti come strumenti utili a possedere le persone (qui Moravia attinge a Freud e a Marx). Mediante l’indagine spregiudicata dei comportamenti sessuali l’autore scava nell’interiorità dei personaggi: il sesso ���������������������������������������������������������������� è �������������������������������������������������������������� il modo – l’unico – di cui essi dispongono per entrare in contatto con gli altri. 4) I protagonisti di Moravia (intellettuali o adolescenti che siano) sono personaggi impotenti e in crisi, incapaci di ribellarsi davvero alla borghesia, la classe in disfacimento a cui in genere appartengono. 5) L’autore raffigura la realtà in modo oggettivo ma anche critico (è la poetica del realismo critico moraviano): fonde, nelle sue opere, lucida razionalità e passione morale, anche se quest’ultima è tutta riassorbita nei fatti e negli oggetti della narrazione. Moravia si rifà alle tesi del critico marxista ungherese G. Lukács; afferma infatti: “Questo realismo di specie scientifica è quello che Lukàcs chiama realismo critico […] Il realismo non può non insistere su certi contenuti, come per esempio il sesso e il danaro, in quanto questi contenuti sono, nella realtà, strettamente connessi con l’alienazione”.
IL PESSIMISMO E LE SUE BASI CULTURALI L’opera di Moravia esprime un forte pessimismo, motivato dai riferimenti culturali dell’autore.
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•
Pessimismo: i personaggi di Moravia sono per lo più condotti ad agire dalle circostanze esterne, cui non sanno opporsi. Sono privi di una vera libertà di azione, mancano di una prospettiva positiva. A eccezione di alcune opere “neorealistiche”, più positive, la visione moraviana della vita e degli uomini risulta nera, greve, senza riscatto. L’autore mette a fuoco i temi dell’estraneità, della passività di fronte alla vita e della insensatezza della condizione umana.
•
È del tutto assente dalla prospettiva di Moravia la fede religiosa. Neppure l’ideologia politica (il marxismo, a cui Moravia è molto vicino) può dare veramente senso alla vita. Quest’ultima è caratterizzata dalla difficoltà di entrare in rapporto armonico con gli altri e col mondo (temi dell’incomunicabilità e della solitudine).
•
L’ideologia marxista serve a Moravia per spiegare la situazione di “alienazione” dell’uomo moderno dalla sua vera essenza, causata dal sistema capitalistico.
•
Moravia, nelle ultime opere, ha largamente utilizzato la psicoanalisi come strumento d’indagine per meglio indagare l’irrazionalità (data da pulsioni contrastanti) dei comportamenti umani.
Gli autori del Novecento: memoconcetti
MEMOCONCETTI
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LO STILE DEL DISTACCO EMOTIVO La sua scrittura è rinomata per lo stile semplice e austero, caratterizzato dall’uso di un vocabolario comune inserito in una sintassi sempre precisa, talora elaborata e perfino elegante.
TECNICHE DI RAPPRESENTAZIONE TEATRALI Negli Indifferenti, in particolare, si riscontrano tecniche di rappresentazione teatrali: come se lo scrittore, a mo’ di un regista sul palcoscenico, metta i personaggi sotto un fascio di luce quando è necessario porli in evidenza.
Lo stile •
Sul piano strutturale Gli indifferenti è un’opera costruita in modo classico, si potrebbe dire ottocentesco, in terza persona. Questa scelta verrà poi ripresa in tutti i romanzi maggiori di Moravia.
•
Come un osservatore quasi naturalista, che segue la teoria dell’impersonalità, l’autore rifiuta di calarsi dentro la realtà umana e sociale: la sua volontà è quella di dare ai lettori una rappresentazione “a freddo”, neutra, della vita borghese, perché non vi scorge nulla di “caldo” e attraente.
•
Da tale non-condivisione, che anzi è definibile come repulsione morale, si origina il distacco del narratore e quindi la sua scelta di una lingua scialbo-quotidiana, di uno stile grigio, lucido, raziocinante.
•
Negli Indifferenti in particolare, ma anche in altre opere, la scrittura non si limita alla minuziosa descrizione di oggetti e di ambienti: il realismo si fa addirittura violento in molte pagine nelle quali il narratore si sofferma ad analizzare gli aspetti più sordidi o disgustosi dei personaggi. Accanto a una componente naturalistica, allora, emerge un tono espressionistico, tipicamente novecentesco. Molte situazioni sgradevoli vengono rese con un linguaggio brutale, aspro se non spietato, inedito nella narrativa italiana precedente.
•
Uno stile più “letterario” e maggiore calore emotivo si avvertono, in parte, nei romanzi e racconti della fase neorealistica. Qui si denotano anche frequenti inserzioni in dialetto romanesco.
•
Nelle pagine di saggistica e nei resoconti di viaggio Moravia tocca temi “caldi” e appaganti intellettualmente, e perciò si permette una “partecipazione linguistica” che rimane in gran parte esclusa dalla sua narrativa.
•
La presenza di tecniche teatrali negli Indifferenti è rilevabile fin dalla presentazione dei personaggi, introdotti non con una descrizione, bensì con una specie di entrata in scena. La prima frase del romanzo esemplifica bene questo procedimento: “Entrò Carla”. E il primo capitolo si chiude con l’uscita di scena della stessa Carla, che si allontana proprio come su un palcoscenico: “uscì nel corridoio dietro la madre”.
•
Per tutto il romanzo prosegue questo gioco delle entrate e delle uscite dei personaggi da un palcoscenico, dove ciascuno recita fino in fondo una parte già stabilita dall’inizio. Si arriva così alla scena finale, in cui quattro protagonisti scendono una rampa di scale, scomparendo agli occhi del lettore.
•
Queste modalità si possono collegare al vivo interesse di Moravia per il teatro e per il cinema, i cui testi e le cui sceneggiature richiedono precise didascalie per la messa in scena.
•
La sua analisi sociale può a volte sfiorare il cinismo per la sua freddezza e per la assoluta mancanza di fedi o ideologie consolatorie, ma è sicuramente acuta. Se si riflette sulle date di pubblicazione di alcuni suoi romanzi si trova che spesso Moravia, per la modernità dei temi trattati, ha saputo anticipare tendenze successive (per es. l’esistenzialismo negli Indifferenti, la “scuola dello sguardo” nella Noia, ecc.).
•
D’altra parte, però, gli è stata rimproverata l’eccessiva insistenza su alcune tematiche (il sesso, l’estraneità psicologica, lo squallore borghese), con il conseguente rischio di ripetersi. Limiti della sua narrativa appaiono:
GIUDIZIO CRITICO COMPLESSIVO A Moravia la critica riconosce il merito di una lucida intelligenza nell’analisi sociale e di una notevole capacità narrativa, che lo ha reso in grado, almeno sino agli anni Sessanta, di utilizzare con grande efficacia il genere narrativo.
-
la freddezza assoluta, quasi filosofica, con cui Moravia procede, costruendo spesso più delle “dimostrazioni di tesi” che dei personaggi;
-
la volontà di essere un “testimone” di situazioni psicologiche e sociali, lo porta però a scegliere regolarmente quelle più cupe, grevi e prive di prospettive di riscatto umano: di qui l’eccessivo indugiare su aspetti ripugnanti della vita, come la malattia fisica e morale, o sulle situazioni morbose e scabrose.
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SEZIONE 1
9. Carlo Emilio Gadda La vita n Carlo Emilio Gadda nasce nel 1893 a Milano da una famiglia dell’alta borghesia, impoveritasi a causa di alcune manie di grandezza dei genitori. A questa prima frustrazione se ne aggiungono altre. A 16 anni rimane orfano di padre. Inoltre, nonostante la sua passione per la letteratura, viene costretto dalla madre a diventare ingegnere elettrotecnico, e a svolgere di conseguenza una professione per cui nutre sempre una profonda antipatia. n Nella prima guerra mondiale si presenta come volontario ed è ufficiale degli alpini. Vive però l’esperienza della trincea in maniera profondamente negativa, a causa della delusione provata di fronte all’inettitudine e inefficienza dei comandi e della stessa macchina bellica italiana. Dopo la tragica morte del fratello sul campo di battaglia, inoltre, egli stesso è fatto prigioniero a Caporetto e condotto in Germania. L’esperienza della guerra, dunque, accresce e rende definitivo il suo senso di incapacità di vivere. n Dopo la guerra Gadda alterna alla professione di ingegnere, che lo porta per lunghi periodi a lavorare all’estero, gli studi di filosofia e l’attività di scrittore: dal 1926 pubblica saggi critici sulla rivista fiorentina “Solaria”; poi scrive racconti e romanzi, pubblicati anch’essi a puntate
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sulle riviste e poi raccolti in volume solo molto più tardi. n In un primo tempo Gadda aderisce al fascismo, poi se ne distacca, anche se mai in modo aperto sino al 1945. n Dal 1940 al 1950 vive a Firenze, dove può coltivare numerosi e importanti contatti culturali, anche se rimane riservato e schivo. Dopo il 1950 risiede a Roma, prima come impiegato alla RAI, e poi, finalmente, come romanziere di fama: soprattutto dopo che Garzanti ebbe pubblicato in volume il Pasticciaccio. n La notorietà, però, lo mette a disagio. Trascorre perciò i suoi ultimi anni lontano dalla vita pubblica, in solitudine volontaria ma spesso disturbata dalla nevrosi, sino alla morte, avvenuta nel maggio 1973.
L’importanza di Gadda nella letteratura del Novecento
n Gadda è stato un testimone e protagonista del passaggio di una parte significativa della letteratura italiana dal realismo allo sperimentalismo. n Uno dei suoi temi preferiti è la critica verso le ipocrisie del potere, verso l’inefficienza e la stupidità collettiva. Gadda è uno degli scrittori più critici e demistificatori della letteratura novecentesca. n Un aspetto di forte novità è la ricerca, da parte dello scrittore, di una nuova espressività stilistica, che ricorre alla deformazione della lingua, in forma espressionistica. Gadda sottopone la realtà a una carnevalesca deformazione, intrecciando i vari codici espressivi in un pastiche (mescolanza di alto e di basso) che ha pochissimi riscontri nella tradizione della nostra letteratura, tradizionalmente orientata alla linea aristocratica (temi eletti e parole scelte) di Petrarca e dei suoi imitatori. n Questo stile espressionistico di Gadda non è fine a se stesso: ha il compito di registrare l’inafferrabilità del mondo e un’acuta sofferenza personale. Il critico Roscioni ha rilevato in Gadda una “disarmonia prestabilita”: disarmonia c������������������� ome progetto letterario adeguato al “male di vivere”. Tutto ciò avvicina Gadda agli autori maggiori del Novecento.
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Gli autori del Novecento: memoconcetti
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Le opere •
Nel romanzo Gadda rilegge la propria vita con una lucida volontà di analizzare sia il proprio mondo interiore, sia la società borghese lombarda, nel contesto dell’Italia fra le due guerre.
•
La vicenda narrata è ambientata in un immaginario paese sudamericano, il Maradagàl. Qui sorgono le ville dove si ritira la borghesia arricchita, che l’autore descrive come stupida e orgogliosa, della vicina città. In una casa in evidente sfacelo vive, insieme alla vecchia madre, l’ingegner don Gonzalo Pirobutirro che, stanco e malato, non frequenta nessuno, tranne un medico che va spesso a fargli visita. A lui egli si confida, svelando un mondo interiore torbido, e con accenti di rabbia contro tutto e tutti. In particolare don Gonzalo si accanisce contro la figura della madre, per la quale egli nutre un rapporto viscerale, fatto di amore e di rancore per come ella ha vissuto e ha condizionato la vita del figlio.
•
Dal romanzo, incompiuto, emerge un quadro di sofferenza personale ma anche di disprezzo per l’intera realtà sociale. La narrazione presenta molti aspetti autobiografici: Gadda vi analizza con la massima lucidità le fonti del suo personale malessere, ricorrendo anche, per quanto riguarda i rapporti con le figure dei genitori, alle scoperte della psicoanalisi. L’analisi dello scrittore approda a un esito sconfortante: la società è falsa e corrotta, non è possibile alcun riscatto né politico né morale. L’unica consolazione (in ciò Gadda si avvicina a Svevo) è che il mondo dei “sani” è in realtà un mondo di falsi sani, che nasconde le sue piaghe dietro un velo di vanità.
•
La narrazione, molto frammentaria, si dipana in dieci capitoli (“disegni”). S’ispira a momenti autobiografici della fanciullezza, tra molte divagazioni, dedicate alla satira dell’ambiente sociale.
•
Gadda mette in ridicolo con ferocia gli atteggiamenti della borghesia lombarda, di cui rappresenta (anche con il supporto di un corrosivo linguaggio) modi di dire e di pensare. Sotto atteggiamenti apparentemente dignitosi, egli scopre la malvagità e l’ottusità dei comportamenti, ai quali riserva il proprio disprezzo.
•
Siamo a Roma del 1927, al tempo del fascismo. Il commissario Ciccio Ingravallo deve indagare prima su un furto di gioielli e poi sull’omicidio di Liliana, una donna dell’alta borghesia. L’inchiesta lo porta a smuovere un mondo fatto sia di personaggi “minori”, come cameriere, fattorini, bottegai, malavitosi, sia di borghesi apparentemente “per bene”, che hanno forti legami col potere economico e politico. Tutti svelano comportamenti avidi e ipocriti.
•
Ingravallo è un poliziotto-filosofo, che vorrebbe trovare un ordine razionale nel mondo e anche nell’inchiesta che sta svolgendo. Quest’ultima, però, diventa sempre più ingarbugliata: il protagonista acquista consapevolezza che non c’è mai una causa sola e certa per ogni avvenimento, ma tante possibili cause, e neppure razionali. Infine, quando l���������������������������������� ’inchiesta sembra vicina a individuare l’assassino, la narrazione si interrompe.
•
La vicenda è ricca di colpi di scena, che consentono all’autore di approfondire lo studio dei caratteri e l’indagine interiore dell’animo umano. Sul piano letterario, l’opera è interessante per la disgregazione della struttura narrativa: la trama non procede in modo lineare, ma è volutamente frammentata e dispersa, a causa delle continue divagazioni del narratore. Tali digressioni, condotte con inesauribile inventiva linguistica, creano nei lettori l’impressione di un continuo ribollire, un muoversi esasperato di ogni cosa. Alla fine, tanto per Ciccio Ingravallo quanto per il lettore, l’impressione è che la realtà diventi inafferrabile, come lo è il filo dell’indagine.
LA COGNIZIONE DEL DOLORE Romanzo pubblicato frammentariamente nel 1938-1941; in volume apparve nel 1963 e poi (in ed. definitiva, ma non ancora compiuta) nel 1970.
L’ADALGISA. DISEGNI MILANESI Romanzo pubblicato frammentario nel 1944, e rimasto non concluso.
QUER PASTICCIACCIO BRUTTO DE VIA MERULANA Romanzo non compiuto, costruito come un romanzo “giallo”; pubblicato prima (in parte) in rivista nel 194647 e poi, molto accresciuto, in volume nel 1957.
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La poetica •
“Il barocco e il grottesco – dice Gadda – albergano già nelle cose”. L’armonia, anche quella “cosmica”, è impossibile: la realtà è un “pasticciaccio” nel quale è impossibile muoversi seguendo un’unica direttrice.
•
Anche l’io appare allo scrittore un “viluppo” inestricabile, del quale è impossibile venire a capo con gli strumenti dell’analisi razionale.
•
Gadda ha riflettuto a lungo anche sulla condizione esistenziale dell’individuo: il “male di vivere”, la mancanza di riferimenti sicuri, la solitudine e l’incomunicabilità, la “cattiveria” del mondo con cui deve misurarsi.
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Anche su questo piano l’ordine a cui aspira lo scrittore è degenerato nel caos. I valori etici della borghesia ottocentesca sono stati traditi e cancellati dalla furbizia, dalla falsità, dalla superficialità e dall’ignoranza dei “signori novi de commerci”, dei “pescicani” arricchitisi con loschi traffici durante la prima guerra mondiale.
•
Il declino della borghesia lombarda è per Gadda l’emblema di una crisi morale e civile più ampia della quale lo scrittore si fa storico e giudice. Egli scopre “nel particolare di Milano l’universale storico della borghesia in declino” (Sergio Antonielli).
•
Per Gadda la realtà non si fonda su un meccanico processo di cause ed effetti; anzi, le apparenze che noi percepiamo del mondo sono aggrovigliate come un gomitolo. Compito della letteratura è registrare l’intricata complessità di tutto ciò: se “barocco è il mondo”, tale realtà richiede, per essere rappresentata, una scrittura altrettanto grottesca e barocca.
•
Lo stesso Gadda addita Manzoni come un punto di riferimento essenziale per il proprio lavoro. Di lui, egli ammira il rigore intellettuale e la capacità di analisi della realtà. Tuttavia mentre per l’autore dei Promessi Sposi la realtà è il campo in cui si esplica l’attività (misteriosa ma razionale) della Provvidenza, per Gadda la realtà è un guazzabuglio incomprensibile, privo di senso, doloroso e assurdo. Da qui il carattere antimanzoniano della scrittura di Gadda. Mentre Manzoni fondò l’italiano letterario moderno, fornendo nei Promessi Sposi lo strumento di unificazione e uniformazione linguistica, Gadda sceglie invece la mescolanza linguistica, una scrittura barocca e disordinata (➔ Lo stile).
“BAROCCO È IL MONDO” Al centro della riflessione gaddiana è il tema della complessità e della molteplicità del reale: la realtà appare a Gadda arzigogolata, strampalata, deformata, “barocca” e “grottesca”.
L’IMPIETOSA ANALISI DELLA BORGHESIA MILANESE Gadda s’impegna, oltre che nelle riflessioni filosofiche sulla realtà e sulla condizione esistenziale dell’uomo, in un’attenta analisi della realtà sociale del suo tempo.
IL COMPITO DELLA LETTERATURA Per Gadda lo scrittore deve partire dalla realtà. Non, però, per rispecchiare la vita secondo i modi tradizionali del realismo, ma per coglierla in profondità mediante uno sforzo di conoscenza che vada oltre la superficie di ciò che appare.
Caratteristiche della “disarmonia prestabilita” del romanzo gaddiano: •
l’andamento non lineare della narrazione, continuamente interrotta da episodi collaterali, da digressioni e descrizioni meticolose. Il lettore difficilmente può calarsi nella trama e identificarsi con i personaggi: la sua attenzione è piuttosto indirizzata verso il pastiche linguistico, verso il gioco verbale;
•
la ripetizione di temi, situazioni, immagini: ossessionato dall’idea della poliedricità e della complessità delle cose, Gadda offre molti esempi di descrizione multilaterale dei fatti: ogni evento ha molte facce e può essere raccontato da punti di vista diversi;
•
l’incompiutezza di molti suoi scritti, a riprova dell’impossibilità di rinchiudere in un testo definitivo la realtà;
•
la disinvoltura con cui Gadda ha spostato interi capitoli da un libro all’altro, o ha frammentato i suoi romanzi, suddividendoli in racconti poi ospitati in libri diversi.
LA STRUTTURA DISGREGATA DEL ROMANZO GADDIANO La visione del mondo si riflette nella struttura dei romanzi di Gadda: non più la struttura compatta e armoniosa del romanzo ottocentesco, adeguata a una visione organica della realtà, ma una struttura disgregata e frammentaria, riflesso di un mondo caotico e labirintico.
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Gli autori del Novecento: memoconcetti
MEMOCONCETTI
4
Lo stile
Gadda, in tutte le sue opere, costituisce uno degli scrittori più originali della letteratura contemporanea dal punto di vista della sperimentazione formale e linguistica. Per lui la critica ha coniato la definizione di “scrittore espressionista”. •
Se la realtà è barocca e grottesca, per essere rappresentata richiede una scrittura altrettanto barocca e grottesca. Lo scrittore deve quindi creare una propria lingua, con scelte stilistiche originali e personali.
•
Il linguaggio gaddiano assume perciò una fisionomia sperimentale, lontanissima dalla lingua classica della letteratura. I critici evidenziano le due caratteristiche tipiche della scrittura gaddiana: - il pastiche (mescolanza), a più livelli: uso dei più diversi registri linguistici e stilistici; contaminazione di lingua e dialetto; mescolanza di termini antichi e letterari e di forme popolari; parole di sua invenzione (neologismi);
LA SCRITTURA “BAROCCA” E GROTTESCA DI GADDA Il realismo in Gadda assume i caratteri della continua invenzione linguistica.
LA SPERIMENTAZIONE LINGUISTICA NEI DUE CAPOLAVORI Due romanzi nuovissimi anche sul piano linguistico e formale.
L’ESPRESSIONISMO
- la deformazione caricaturale delle parole e “straniamento” linguistico, al fine di mostrare anche umoristicamente il grottesco della realtà. •
Altrettanto personale è l’andamento del discorso, dove si alternano continue figure retoriche a digressioni, lunghi elenchi di parole e giochi verbali.
•
In Gadda l’invenzione, la manipolazione e la deformazione del linguaggio diventano modalità finalizzate alla ricostruzione del reale. Tutto, infatti, serve a evidenziare il lato nascosto dell’esistenza umana e della realtà sociale in cui l’uomo vive.
•
Nella Cognizione del dolore, il pastiche è favorito dall’ambientazione del romanzo: ai diversi dialetti, introdotti dagli emigrati italiani nel Maradagàl, si aggiunge lo spagnolo maccheronico, lingua “ufficiale” dell’immaginario paese (multilinguismo).
•
Inoltre, per variare continuamente il punto di vista della narrazione e mostrare la complessità del reale, che resta inconoscibile, lo scrittore nella Cognizione ricorre all’uso di registri diversi e di toni contrastanti (pluristilismo).
•
In Quer pasticciaccio brutto de via Merulana la ricchezza lessicale ed espressiva nasce dal continuo passaggio da un dialetto all’altro: romanesco (il dialetto prevalente), veneto, molisano (parlato dal commissario Ingravallo).
•
Assai nuova è poi, nel Pasticciaccio, anche l’alternanza continua tra il racconto in terza persona e gli inserti di discorso indiretto libero. Nel corso di una frase in italiano medio, il narratore introduce un registro linguistico diverso (per lo più dialettale) o un cambiamento stilistico (per lo più linguaggio della burocrazia), passando senza stacchi dalla narrazione oggettiva alla registrazione di un punto di vista particolare.
•
Per le sue peculiari caratteristiche, la scrittura gaddiana rientra in quella linea definita “espressionista”, che attraversa i secoli e che è caratterizzata da una scrittura trasgressiva rispetto alle regole della tradizione classica.
•
In questa linea si segnalano autori isolati, come Teofilo Folengo (autore del poema Baldus, scritto in latino maccheronico) o il commediografo veneto Ruzante, entrambi vissuti nel XVI secolo.
•
I precedenti più vicini a Gadda sono gli scrittori della Scapigliatura (in particolare Carlo Dossi), ma lo scrittore milanese porta alle estreme conseguenze il loro espressionismo linguistico, grazie soprattutto all’ampio uso dei dialetti.
La cifra stilistica più tipica di Gadda.
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SEZIONE 1
10. Cesare Pavese La vita n Nasce nel 1908 a Santo Stefano Belbo, nelle Langhe piemontesi, da famiglia piccolo-borghese di origini contadine. Quando ha sei anni gli muore il padre, cosa che influirà sul suo senso di isolamento e sulla sua emotività, accentuati dall’educazione severa che riceve dalla madre. Studia al liceo D’Azeglio di Torino col professor Augusto Monti, personalità di grande prestigio. n Nel 1930 si laurea in lettere, con una tesi sul poeta americano Walt Withman. Dal 1933 inizia a collaborare con la casa editrice Einaudi, traducendo scrittori americani (Melville, Dos Passos, Faulkner e altri). Diviene amico di alcuni intellettuali torinesi, come Giancarlo Pajetta, Leone Ginzburg, Norberto Bobbio, Giulio Einaudi.
per motivi di salute. Dopo l’8 settembre del 1943 si rifugia nelle Langhe.
n Nel 1934 dirige la rivista “Cultura” al posto di Ginzburg, arrestato per antifascismo. Nel 1935 la rivista viene soppressa. Pavese, che pure non s’interessa direttamente di politica, è coinvolto nell’atmosfera di sospetto che circonda gli intellettuali torinesi del gruppo “Giustizia e libertà”: viene condannato a un anno di confino in Calabria. In tale circostanza inizia a scrivere il diario, pubblicato postumo con il titolo Il mestiere di vivere.
n Finita la guerra, s’iscrive al PCI. Giungono i primi riconoscimenti come scrittore, mentre prosegue la sua attività letteraria. Pubblica nuove opere, molto importanti, come i Dialoghi con Leucò, La casa in collina, La bella estate. Intanto il disagio esistenziale di Pavese aumenta: malgrado la sua iscrizione al PCI, non è portato per l’impegno politico; le sue opere, e soprattutto il suo interesse per i miti, suscitano perplessità anche fra gli intellettuali di sinistra. Alcuni progetti di sceneggiature cinematografiche non vanno a buon fine; infine subisce un’ennesima delusione sentimentale.
n Nel 1936, rientrato a Torino, pubblica la sua prima raccolta di versi, Lavorare stanca. Continua nella sua attività di traduttore e collaboratore per Einaudi. Nel 1939 scrive Il carcere; nel 1941 esce Paesi tuoi, con cui inizia a farsi apprezzare dalla critica. Viene esonerato dal servizio militare
n Le ultime opere, nel 1950, sono La luna e i falò e la raccolta di versi Verrà la morte e avrà i tuoi occhi. Nello stesso anno Pavese ottiene il Premio Strega con il romanzo La bella estate, pubblicato nel 1949. Alla fine dell’agosto 1950 si suicida a Torino in una camera di albergo.
MEMOCONCETTI
1
L’importanza di Pavese nella letteratura del Novecento
n Pavese, come Vittorini, rappresenta un momento di sofferto passaggio fra il modello di scrittore degli anni tra le due guerre, dalla formazione letteraria ancora classica, e l’intellettuale del dopoguerra, aperto a esperienze più larghe (culturali, politiche, internazionali). n Ha contribuito a far conoscere in Italia scrittori nordamericani, che hanno avuto una funzione importante per la nostra letteratura, contribuendo a svecchiare le sue forme. n Dal diario di Pavese, Il mestiere di vivere, pubblicato postumo nel 1952, emerge il “bisogno feroce di uscire dalla propria solitudine”: lui stesso lo ha definito “il problema della vita”. Tale problema è stato al centro della sua scrittura, donandole un’intensità profonda. n Pavese ha trattato questo tema dell’incomunicabilità in modo particolare: diversamente da Moravia e Gadda, non lo ha riferito a una classe sociale o a una situazione storica; lo ha invece vissuto come un suo problema esistenziale, nella sua chiave più caratteristica, che è quella “mitica”. Tale problema di comunicazione rimase per lui irrisolto nella sua vita, segnandone rapidamente la fine. n Molto originale, infine, l’approfondimento, da parte di Pavese, del tema del mito, che attraversa un po’ tutta la letteratura del Novecento. Pavese gli ha dedicato l’opera Dialoghi con Leucò (1947), che, attraverso una serie di brevi e scarni dialoghi tra i personaggi della mitologia classica, indaga il valore universale del mito, sulla base di suggestioni antropologiche e psicoanalisi (soprattutto junghiane). Secondo Pavese, un mito è un fatto che appartiene alla storia dell’umanità, oltre che a quella individuale di ciascuno di noi. Lo scrittore ha cari i miti, perché la letteratura è ricerca e riscoperta dell’infanzia e delle origini, e in queste, ricerca del senso del nostro essere.
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Gli autori del Novecento: memoconcetti
MEMOCONCETTI
2
LE POESIE La novità anti-ermetica di Lavorare stanca.
Le opere •
Pavese esordisce come poeta: nel 1936 pubblica il suo primo libro, Lavorare stanca, composto da una quarantina di liriche. Ancora in seguito Pavese si dedicherà alla poesia in versi (v. i volumi La terra e la morte, pubblicato nel 1947, e Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, postumo, del 1951).
•
In Lavorare stanca appaiono gran parte dei motivi che caratterizzeranno tutto Pavese: il tema della solitudine e del contrastato rapporto uomo/donna; il dissidio città/campagna; il mito della natura e la sua interpretazione simbolica; il tema del sesso e della violenza.
•
In queste poesie Pavese si oppone alle coeve esperienze ermetiche. Egli infatti adotta: - immagini e linguaggio fortemente realistici, pur se proiettati verso il simbolo e il “mito”; - una chiara tendenza a risolvere l’elemento lirico in racconto, in narrazione: il giovane poeta ricorre a personaggi, situazioni e vicende narrative, così da oggettivare i suoi riferimenti, evitando la prima persona singolare; - l’utilizzo di una metrica originale, basata su un verso libero molto lungo (“Camminiàmo una séra sul fiánco di un cólle”), sull’esempio del poeta statunitense Walt Whitman.
•
L’autore mette a confronto due caratteri e due mentalità (il meccanico torinese Berto e il rozzo contadino Talino): mentre Berto, a cui è affidato il racconto in prima persona, è capace di un’analisi e di un controllo superiori, Talino manifesta però una maggiore vivezza, nella sua violenta naturalità.
Pubblicato nel 1941, il romanzo s’impose per la violenza realistica del tema e del linguaggio.
•
Nella contrapposizione di Berto e Talino emerge la contrapposizione tra città e campagna, uno dei temi fondamentali dell’opera di Pavese.
•
L’opera rivela una forte novità, sia linguistica, sia tematica; servì da esempio al neorealismo che stava per svilupparsi, ma è nel complesso un po’ acerba sul piano letterario.
LA BELLA ESTATE
•
Pubblicato nel 1949, è un trittico di romanzi brevi scritti in tempi diversi dell’autore: La bella estate (1940), Il diavolo sulle colline (1948) e Tra donne sole (1949).
In tre diverse storie l’autore tratta le stesse tematiche: il passaggio dall’adolescenza alla maturità tramite la scoperta della vita, dell’amore e del sesso; a questa esplorazione seguono la delusione e la sconfitta.
•
Pavese raggiunge notevole profondità psicologica (soprattutto con le figure femminili) semplicemente mostrando i suoi personaggi in azione (evitando quindi il tradizionale “realismo psicologico”).
•
Protagonista è “Anguilla”: emigrato dalle Langhe negli Stati Uniti prima della guerra, egli ritorna nel suo paese ormai ricco. Pensa di poter recuperare almeno in parte il mondo della propria infanzia e di poter vincere così la solitudine a cui il lungo esilio l’ha costretto.
•
Quella di Anguilla è però un’illusione: attraverso i dialoghi con l’amico d’infanzia Nuto, egli capisce che gli sconvolgimenti a cui la storia ha sottoposto le campagne sono troppo profondi. Tutto è cambiato: i falò che un tempo si accendevano alla luna per fecondare la terra, sono diventati il simbolo della morte e della distruzione portate dalla guerra.
•
L’irrecuperabilità del passato, dell’innocenza e della purezza infantile si conferma così non solo sul piano privato e psicologico, ma anche su quello storico e collettivo.
PAESI TUOI
LA LUNA E I FALÒ Romanzo del 1950, capolavoro di Pavese.
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SEZIONE 1
MEMOCONCETTI
3
La poetica •
Pavese contestualizza personaggi e situazioni in una precisa condizione: - in una condizione sociale, in quanto appartengono a determinate classi sociali; - in una condizione storica, perché sono inquadrati in un periodo ben definito, con le sue coordinate politiche ed economiche.
TRA REALISMO E SIMBOLO Benché vicino al neorealismo, Pavese manifesta una maggiore ricchezza e complessità rispetto agli autori neorealistici.
•
Nonostante questa contestualizzazione, le narrazioni di Pavese non si possono definire del tutto realistiche. Infatti oltre alla realtà esse vogliono, contemporaneamente, definire anche una condizione assoluta: una condizione “mitica”.
•
Perciò la narrativa di Pavese non appartiene pienamente al neorealismo, malgrado gli indubbi punti di contatto con esso. Pavese arricchisce il realismo di una dimensione simbolica (“mitica”) ed esistenziale, che costituisce uno degli esiti migliori del romanzo italiano del dopoguerra.
•
Egli studiò a fondo questo fenomeno culturale, servendosi, per analizzarlo, di più punti di vista (da quello del filosofo settecentesco Giovan Battista Vico, a quello di Nietzsche, sino allo psicanalista Jung). Scrisse anche un saggio sul mito: Del mito, del simbolo e d’altro.
•
Il mito è una narrazione, che viene fortemente idealizzata ed entra nel bagaglio culturale di una comunità. I miti sono alla base della poesia antica, ma sono pure un momento assai importante dell’infanzia: in quest’età il mito viene vissuto in modo spontaneo, e perciò è assimilato nella sua interezza.
•
Ma mito, per Pavese, è anche una condizione assoluta dell’essere uomini, una condizione fuori dalla storia: un modo d’essere fissato nell’inconscio, individuale e collettivo. In questa chiave, sono ugualmente “mito”:
LA CATEGORIA DEL MITO Pavese “interpreta” e ricostruisce la realtà attraverso la categoria del mito.
- l’innocenza infantile; - la spontaneità della campagna, contrapposta alla consapevolezza della città (fonte d’infelicità); - il sesso, per il suo potere liberante e rasserenante (ma il poeta sconta amaramente, su di sé, l’impossibilità di pervenire a tale liberazione).
L’opposizione fondamentale delle opere pavesiane è quella fra campagna e città.
CITTÀ/CAMPAGNA, E ALTRE OPPOSIZIONI Il mito più resistente in Pavese è quello della campagna, a cui si contrappone la dimensione (pure “mitica”) della città.
•
La campagna è, di volta in volta, “terra” oppure, spesso, “collina” (Pavese nacque sulle colline delle Langhe e visse a Torino, città ai piedi della collina). La collina, la terra, la vigna, sono i luoghi della vita selvaggia, della vitalità istintiva e libera, dove si possono costruire rapporti sinceri con gli altri uomini. Pavese osserva però la campagna con gli occhi dell’intellettuale: non nasconde i problemi socio-economici e socio-culturali del mondo contadino, ma in lui prevale una dimensione non realistica (e dunque “mitica”) della campagna. La campagna, dunque, finisce per identificarsi con il mondo dell’infanzia e dell’adolescenza, con l’aspirazione a una natura semplice e incorrotta (pur nella sua violenza originaria).
•
La città è rappresentata invece come spazio di solitudine, di vagabondaggi inutili per le vie, di rapporti sessuali tristi, in una parola di “morte interiore” e d’incomu nicabilità con gli altri individui.
•
In Pavese sono poi aperte altre opposizioni: - fra uomo e donna, visti come antagonisti fra loro; - fra l’impegno sociale e politico e la desolata solitudine, che è esistenziale, ma anche dovuta all’incapacità di impegnarsi; - fra paese natale e sradicamento da esso (chi torna alle proprie origini non riesce a trovarvi la felicità che si aspettava); - fra innocenza (situazione mitica propria dell’infanzia) e angoscia di vivere.
•
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Queste opposizioni sono presentate come aperte e non risolte: da qui il senso del fallimento, sempre presente in Pavese.
Gli autori del Novecento: memoconcetti
MEMOCONCETTI
4
Lo stile Obiettivo dello scrittore è una prosa che vuole essere vicina al parlato e quindi alla realtà. •
Dal verismo Pavese ha ripreso il linguaggio semplice e popolare e l’andamento a tratti dialettale, senza temere di ricorrere a espressioni grammaticalmente discutibili. Sull’esempio di Verga, Pavese utilizza termini tipici della parlata piemontese: “coltivi” per “poderi coltivati”, “lo metti nel buono” per “lo metti sulle colture”, pleonasmi (“Qui ci avevo giocato anch’io”), ripetizioni (“calmo calmo”), anacoluti (“la luna... bisogna crederci per forza”).
•
Dalla letteratura nordamericana, invece, Pavese ha derivato altri due aspetti formali, sempre allo scopo di imitare il parlato: essi sono l’uso sistematico del dialogo e la paratassi. - L’elemento su cui si innerva il racconto è il dialogo intenso (e scandito da ripetizioni che ne ritmano le rapide battute). I dialoghi di Pavese sono poi spesso inframezzati dal ripetersi del verbo “dire” (“E dice”, “Dico”, “Dicono”, ecc.), come accade nella prosa di Ernest Hemingway.
LE NOVITÀ DELLO STILE Sul piano dello stile Pavese ha operato importanti innovazioni.
- La paratassi (l’accumulo sintattico, ora per asindeto, ora per polisindeto) è la struttura usata per riprodurre il periodare semplice del parlato. •
Quando si legge Pavese, la sensazione generale è quella di una prosa molto armonica ed elegante: ciò perché l’autore è attentissimo agli elementi ritmici (ripetizioni, costrutti parallelistici, l’asindeto e l’inserzione di veri e propri versi). Tale ritmicità vuole suggerire il fatto che nella (e al di sopra della) realtà rappresentata è presente un più alto livello simbolico.
•
Per Pavese alcuni critici parlano, a ragione, di “racconto lirico” (si milmente a quanto avviene al Vittorini di Conversazione in Sicilia): una dimensione che caratterizza sia i versi di Lavorare stanca, sia le prose narrative, con i suoi elementi di liricità e di ritmo, d’intensità delle immagini e di gusto metaforico.
•
Alla maggior parte dei critici, le opere narrative di Pavese appaiono piuttosto ripetitive, in quanto costruite su un limitato nucleo di miti e di opposizioni; al tempo stesso, volutamente, non sono realistiche e spesso la trama è inconsistente (Pavese stesso conia per loro la definizione di “realtà simbolica”) perché allo scrittore importa non tanto la realtà oggettiva, ma quella segreta, che sta oltre le apparenze.
•
Un simile atteggiamento si può definire come decadente: questo infatti venne rimproverato a Pavese, in anni di esasperato “impegno sociale”. Ma oggi gli studiosi avvertono che il decadentismo non va inteso di per sé come un limite: alcune opere di Pavese risultano infatti di notevole valore letterario. È in sostanza sbagliato sia fare di Pavese un neorealista, sia rimproverargli di essere un neorealista “mancato”.
•
Formatosi negli anni di “Solaria”, Pavese si ��������������������������� è ������������������������� sempre sforzato di coniugare impegno morale e impegno letterario, e non gli si può negare un ruolo decisivo nel rinnovamento della prosa in Italia. Questa è la convinzione comune, oggi, da parte della critica.
INTERPRETAZIONI CRITICHE SU PAVESE
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SEZIONE 1
11. Primo Levi La vita n Primo Levi nasce a Torino il 31 luglio 1919 da una famiglia ebraica della borghesia professionale piemontese. Il padre, ingegnere, è un lettore curioso e ispira al figlio una grande passione per la lettura e per lo studio dei narratori dell’Ottocento e del Novecento. Compie gli studi nel più prestigioso Liceo Classico di Torino (il D’Azeglio), appassionandosi alle materie scientifiche, la chimica soprattutto. n Durante gli anni universitari sono introdotte in Italia, come già in Germania, le “leggi razziali” antiebraiche. Nel 1940 l’Italia entra in guerra. Levi si laurea in ingegneria chimica nel 1941 e nell’autunno del 1943 aderisce a una banda partigiana che opera sulle montagne piemontesi. Poche settimane dopo viene arrestato e deportato nel campo di concentramento di Buna-Monowitz, presso Auschwitz. Le vicende della deportazione, della sopravvivenza nel Lager e del ritorno a casa sono narrate da Levi stesso nei primi due romanzi, Se questo è un uomo e La tregua.
di lasciare la professione tecnica e di dedicarsi interamente alla letteratura. Nascono altri racconti e raccolte di poesie, tra cui Ad ora incerta, del 1982. Nel 1982 Levi pubblica un romanzo storico, Se non ora, quando?, che racconta le vicende di una banda partigiana costituita da ebrei e operante nelle pianure russe, bielorusse e polacche. Il saggio autobiografico La ricerca delle radici esce nel 1981, accompagnato da poesie, traduzioni, articoli e saggi su giornali e riviste. Questi ultimi sono raccolti in L’altrui mestiere, pubblicato nel 1985.
n Rientrato in Italia, a Torino, Levi si dedica alla sua attività di ingegnere chimico, ma la scrittura letteraria si affianca via via in modo più intenso a essa. Nel 1975 esce Il sistema periodico, una sorta di autobiografia i cui capitoli sono intitolati ad un elemento chimico e ciascun elemento è posto in relazione con gli eventi e i personaggi di cui si narra nel capitolo stesso. Nel 1978 Levi pubblica il romanzo a episodi La chiave a stella, nel quale espone anche la sua decisione
n L’ultima opera di Levi è I sommersi e i salvati, del 1986, una raccolta di scritti attraverso i quali lo scrittore torna a riflettere sull’esperienza del Lager e ne analizza gli aspetti più tremendi e ambigui. Contro ricostruzioni storiche revisioniste (che tendono a negare o a ridurre la portata dello sterminio degli ebrei), Levi continua a combattere con scritti, interviste e interventi pubblici fino alla morte, avvenuta l’11 aprile del 1987.
MEMOCONCETTI
1
L’importanza di Levi nella letteratura del Novecento
n I due romanzi Se questo è un uomo e La tregua sono le opere più significative dedicate alla testimonianza sull’Olocausto ebraico: attendibili documenti di un sopravvissuto sull’orrore di Auschwitz e, insieme, testi di grande respiro e valore letterario. n Il messaggio fondamentale che lo scrittore ha lasciato, rispetto al nazismo e allo sterminio degli ebrei, è “non dimenticare”: un’esigenza avvertita oggi alla base della Giornata della memoria, celebrata il 27 gennaio di ogni anno in commemorazione delle vittime del nazismo. n Oggigiorno è in atto una forte riscoperta delle opere di Levi, sia di quelle dedicate all’Olocausto, sia delle altre, di carattere saggistico, storico e poetico. Si va imponendo la coscienza che l’autore di Se questo è un uomo fu uno scrittore completo, dotato di notevole originalità e ricchezza. n Levi non era scrittore di professione, ma un ingegnere chimico. La formazione scientifica è piuttosto rara per gli autori della nostra letteratura; Levi ha saputo coniugare i due saperi (scienza e letteratura) in modo assai fecondo.
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Gli autori del Novecento: memoconcetti
MEMOCONCETTI
2
Le opere •
•
Il romanzo, scritto subito dopo il ritorno dell’autore in Italia dalla prigionia di Auschwitz, uscì a stampa nel 1947, ma inizialmente venne ignorato da pubblico e critica. Suscitò invece forte interesse dopo la sua ristampa nel 1958; tradotto in molte lingue, si diffuse in tutto il mondo. L’opera intende fornire una testimonianza veritiera per due scopi: - per studiare “alcuni aspetti dell’animo umano” allorché l’individuo viene messo in situazioni estreme di sofferenza e degradazione; - e per soddisfare l’impulso di “raccontare agli altri, di fare gli altri partecipi” delle atrocità commesse nei Lager nazisti.
SE QUESTO È UN UOMO Il libro testimonianza della drammatica esperienza vissuta dall’autore nel Lager di BunaMonowitz, presso Auschwitz, dal marzo 1944 al gennaio 1945.
•
Il racconto si sviluppa nell’arco di 17 capitoli. Levi viene catturato nel dicembre del 1943 dalla Milizia fascista, con la sua banda partigiana. Si dichiara ebreo ed è rinchiuso nel campo di Fossoli, presso Modena; di lì (marzo 1944) è deportato nel lager di Buna-Monowitz. Levi narra il disumano viaggio in treno e il rituale dell’arrivo al campo (denudamento, rasatura, tosatura, doccia, vestizione, tatuaggio del numero di matricola).
•
Passa poi a descrivere la vita del campo e il lavoro forzato a cui sono sottoposti i prigionieri. Il Lager è un mondo separato, in cui “la lotta per sopravvivere è senza remissione, perché ognuno è disperatamente, ferocemente solo”. Compaiono numerosi personaggi: giovani e anziani, ebrei dell’Europa orientale e occidentale; alcuni forti e capaci di resistere, altri distrutti nel corpo e nella psiche.
•
Nell’ultimo capitolo alla narrazione si sostituisce il diario: Levi rievoca in ordine rigoroso gli eventi dei 10 giorni (18-27 gennaio 1945) che precedettero la liberazione del campo da parte dell’esercito sovietico.
•
L’opera, composta nel 1961-62, uscì a Torino nel 1963. All’inizio si ricollega a Se questo è un uomo; si conclude con il ritorno di Levi a Torino, dopo nove mesi di peripezie.
•
Dal Lager, affollato da una massa di sopravvissuti e di moribondi, Levi parte in compagnia del greco Mordo Nahum, un commerciante che lo guida verso la libertà. Giungono prima al campo di sosta di Katowice, retto dai russi; dopo questa sosta, inizia il vero e proprio viaggio di ritorno, che segue un itinerario imprevedibile e spesso irragionevole, dettato dalle circostanze. Il ritmo si fa più rapido negli ultimi capitoli. Levi e i compagni attraversano i paesi dell’Europa Orientale, poi la Germania e l’Austria, infine entrano in Italia dal Brennero. A Vienna e a Monaco di Baviera l’autore incontra i tedeschi sconfitti e coglie la loro volontà di non ammettere le atrocità commesse dal Nazismo.
•
Libro del ritorno dei sopravvissuti, La tregua costituisce una sorta di moderna Odissea. L’indagine sugli aspetti più intimi dell’uomo si fa, rispetto a Se questo è un uomo, più profonda; il viaggio di ritorno viene ad assomigliare a un viaggio verso e dentro l’uomo. Da qui la ricerca “moralistica” dell’autore, che dà spazio alla sua visione pessimistica e lucida del mondo.
•
L’opera non possiede una trama vera e propria, perché ogni capitolo narra un episodio a sé stante. Protagonisti sono Faussone (un operaio italiano, specializzato in montaggi di strutture metalliche, che passa periodi di lavoro più o meno lunghi all’estero) e lo stesso autore, che per ragioni di lavoro si è recato in Urss: qui i due si sono conosciuti e familiarizzano, raccontandosi episodi della loro vita e della loro professione.
•
Il messaggio finale del romanzo è la necessaria serietà e precisione con cui bisogna svolgere il proprio lavoro: in esso si può trovare il senso della propria esistenza.
•
Il linguaggio è colorito, un po’ dialettale e un po’ gergale; Levi dà sfogo al suo gusto per la divagazione, per il racconto pittoresco.
LA TREGUA Secondo romanzo di Primo Levi: continuazione e conclusione di Se questo è un uomo.
LA CHIAVE A STELLA Romanzo del 1978, che segna il definitivo passaggio di Levi dalla professione di chimico alla letteratura.
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SEZIONE 1
MEMOCONCETTI
3
ESEMPI E MODELLI
La poetica •
Scopertosi (quasi per caso) scrittore, Primo Levi va alla ricerca delle opere e degli autori che lo hanno segnato fin dall’adolescenza, dal punto di vista umano, prima che letterario. Questa inchiesta è approdata al saggio La ricerca delle radici, uscito nel 1981: Levi vi ha riunito 30 brani tratti da libri che possono essere considerati la sua “antologia personale”.
•
Levi afferma di avere letto e amato Gioachino Belli e Carlo Porta (due autori dialettali dell’Ottocento); Omero, Marco Polo, Conrad e altri scrittori accomunati dalla passione per il viaggio e l’avventura, alcuni per una lontana parentela ebraica (Giobbe, Mann, Babel’) e altri per amicizia personale (Mario Rigoni Stern, Stefano D’Arrigo).
•
Dice di aver incluso nella sua antologia anche Remorques, il romanzo (1935) del francese Roger Vercel, perché, pur ignorando dell’autore “tutto, perfino se è vivo o morto”, è stato per lui un libro fondamentale: lo ha infatti letto il 18 gennaio 1945, “nella notte spaventosa in cui i tedeschi esitarono fra l’ucciderci e il fuggire, e decisero per la fuga” (episodio ricordato nelle ultime pagine di Se questo è un uomo).
•
Da La ricerca delle radici possiamo anche cogliere quale ruolo Levi assegni alla cultura: un ruolo indubbiamente centrale. Egli vuole dialogare con i libri, ricercando le proprie radici nei libri. Alla letteratura (e alla civiltà che la esprime) egli attribuisce una duplice capacità:
Attraverso le letture da lui più amate, Levi suggerisce una propria autobiografia o ritratto ideale.
- anzitutto la capacità di capire la realtà (a partire dalla realtà umana), - in secondo luogo, la capacità di salvare ciò che di più “umano” c’è nell’uomo. IL COMPITO DELLA CULTURA
•
Ad Auschwitz, Levi ha potuto misurare la verità di questa doppia vocazione della cultura. Infatti, persino nel Lager, laddove cioè si misurava l’abbrutimento della disumanizzazione, alcuni sapevano però restare pienamente uomini. Questa sopravvivenza diventava possibile per chi riusciva a conservare nell’intimo i valori che la cultura (si noti: non la fede religiosa, o l’amore) gli aveva trasmesso.
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È questo il significato del capitolo Il canto di Ulisse, uno dei più belli di Se questo è un uomo: Levi vi ripercorre mentalmente il canto XXVI dell’Inferno, dedicato da Dante al mitico eroe greco. Nell’epilogo dell’episodio dantesco Levi scorge “qualcosa di gigantesco che io stesso ho visto ora soltanto, nell’intuizione di un attimo, forse il perché del nostro destino, del nostro essere oggi qui…”. Il valore dei grandi libri sta proprio qui, nel farci intuire una possibile risposta ai perché dell’esistenza umana, anche nelle situazioni in cui questo non sembrerebbe possibile.
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Alla base della narrativa di Levi vi è precisamente lo sforzo di cogliere in profondità i problemi, i valori, i significati della vita dell’uomo. Lo scrittore torinese sente infatti la necessità di risalire dalle situazioni concrete a un livello più alto: vuole scoprire i nessi tra esperienza ed essenza dell’uomo.
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Perciò egli non si accontenta di descrivere o raccontare quello che accade, né si limita a rappresentare come si comportano determinati individui posti in certe situazioni. Vuole invece capire se quegli atteggiamenti, quei comportamenti hanno valore universale, se fanno parte dell’umanità in quanto tale. Sia nel Lager, sia fuori dal Lager, l’uomo compie delle scelte di vita, agisce consapevolmente o inconsapevolmente: è possibile, oltre che doveroso, cercare di capirne razionalmente il perché.
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Nelle pagine di Se questo è un uomo, Auschwitz si configura come un universo disumano di cui l’autore indaga le caratteristiche e, nella misura in cui gli è possibile, le cause. Ciò che è necessario, sembra dire Levi, è capire, analizzare ciò che è successo, affinché non possa più ripetersi in futuro. Appunto tale aspetto di indagine e di analisi differenzia il romanzo di Levi da tanti altri documenti dell’epoca, pure ugualmente veritieri e nobili.
Il duplice compito della cultura: capire e salvare ciò che è “umano”.
SVELARE L’ESSENZA DELL’UOMO La letteratura non deve semplicemente testimoniare, ma scendere più in profondità e svelare l’essenza dell’umanità.
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Gli autori del Novecento: memoconcetti
MEMOCONCETTI
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Lo stile •
La struttura letteraria di Se questo è un uomo risponde a un doppio criterio: - da un lato, l’autore narra in ordine cronologico i fatti, dalla sua cattura alla liberazione;
LA STRUTTURA DI SE QUESTO È UN UOMO Un romanzo che vuole presentarsi come documento e testimonianza.
- dall’altro, ogni capitolo si presenta quasi come autonomo, perché Levi mette a tema una tappa di volta in volta differente della propria esperienza, così da attribuire a ogni passaggio un valore simbolico. •
La narrazione è spesso frammentaria, perché Levi vuole narrare fatti e persone che gli sono rimasti impressi nel ricordo. Spesso le sequenze narrative sono inframmezzate da riflessioni e considerazioni dell’autore sulla vita umana, sul problema dell’esistenza del male nel mondo, sull’unicità dell’esperienza che egli si è trovato a vivere.
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L’opera di Levi, come ha dichiarato Giovanni Raboni, “nasce dalla ragione, dalla lettura morale della realtà, da quella capacità di capire la propria sofferenza e di vivere la propria indignazione come patrimonio comune a tutti gli uomini”.
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Il linguaggio dell’opera è asciutto e crudo: Levi registra cose ed eventi in modo apparentemente impassibile, affinché la bestialità della vita del Lager emerga semplicemente dai dati di fatto. Il tono resta sempre lucido ed equilibrato, sostenuto da grande pulizia stilistica e formale.
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Sono espulsi perciò tutti quegli elementi di colore, come gli aggettivi o gli avverbi, che potrebbero essere utilizzati in funzione emotiva o “strappalacrime”. Del resto, di fronte a una degradazione così evidente e così totale, non c’è bisogno di esprimere sdegno o indignazione: bastano i fatti nudi e crudi, più eloquenti di tante parole.
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Il tempo prediletto dal narratore è il presente storico, al posto dei tempi narrativi (imperfetto o passato remoto). Il critico Pier Vincenzo Mengaldo ha interpretato questo particolare come un monito affinché tutti ricordiamo che “Auschwitz non è un’esperienza che l’autore, e nessuno, possa ritenere esaurita, circoscritta in un suo tempo trascorso”. Usare con tanta sagacia un elemento tecnico per caricarlo di significato, è un’operazione che solo i grandi scrittori sanno fare.
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La caratteristica principale della Tregua è una maggiore letterarietà. A differenza del precedente romanzo, quest’altro non nasce sotto l’urgenza di raccontare, ma riflette maggiore consapevolezza, da parte dello scrittore, circa la propria esperienza. Così egli stesso ha dichiarato: “Credo si distingua agevolmente che [questo libro] è stato scritto da un uomo diverso: non solo più vecchio di 15 anni, ma più pacato e tranquillo, più attento alla tessitura della frase, più consapevole: insomma, più scrittore in tutti i sensi buoni e meno buoni del termine”.
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Personaggi, ambienti e vicende sono rappresentati in modo più vivace rispetto al primo romanzo, anche grazie ad un uso particolare del linguaggio: nel romanzo compaiono tante lingue, le lingue europee, i dialetti, vari miscugli di lingue diverse creati dai reduci del Lager per comunicare tra loro.
LO STILE E IL LINGUAGGIO Una prosa razionale, priva di enfasi, affidata al l’eloquenza delle cose.
LO STILE DI LA TREGUA Un’opera più narrativa e vivace rispetto a Se questo è un uomo.
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SEZIONE 1
12. Italo Calvino La vita n Nasce nel 1923 a Santiago di Cuba, dove lavora il padre, famoso agronomo; anche la madre è studiosa di botanica. Nel 1925 la famiglia rientra in Italia, a Sanremo. Dopo gli studi classici, Calvino si iscrive nel 1941 ad Agraria di Torino; all’inizio del ‘43 si trasferisce a Firenze. Dopo l’8 settembre del 1943 si sottrae agli obblighi di leva della Repubblica Sociale e si unisce alla brigata partigiana “Garibaldi”, assumendo il nome di battaglia di Santiago. n Nel 1945 si reiscrive all’università di Torino, ma a Lettere; si laurea nel 1947. Nel frattempo aderisce al Partito Comunista. In questo periodo di vivi fermenti intellettuali, Calvino inizia a pubblicare articoli e racconti. Nel 1947, incoraggiato ed aiutato da Pavese, pubblica per Einaudi il suo primo romanzo, Il sentiero dei nidi di ragno, cui seguono i racconti riuniti di Ultimo viene il corvo (1949). n Lavorando stabilmente per la casa editrice Einaudi frequenta Pavese e Vittorini. Il suicidio di Pavese (1950) lo scuote parecchio. Nel 1951 compie una viaggio in Urss, scrivendo un reportage per “l’Unità”. Nel 1952 pubblica Il visconte dimezzato. Si dedica inoltre, sempre per Einaudi, a raccogliere e riscrivere le Fiabe italiane: ulteriore stimolo, per lui, alla pratica del genere fantastico. I fatti politici del 1956 lo convincono a uscire dal Partito Comunista. Dal 1959 collabora con Vittorini nella direzione della rivista “Il Menabò”. Trascorre alcuni mesi negli Stati Uniti. Nel 1964 si sposa a L ’Avana con un’argentina, da cui ha nel 1965 una figlia.
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n Nel 1967 si trasferisce a Parigi, dove rimarrà sino al 1980. Nella capitale francese frequenta gli scrittori raccolti attorno all’OULIPO (“Laboratorio di letteratura potenziale”) ed entra così in contatto con la letteratura combinatoria e le teorie dello strutturalismo. Da Parigi assiste allo scoppio della contestazione studentesca. Gli anni parigini segnano una fase d’intensa attività e di studi: Calvino si occupa di cibernetica, fantascienza, matematica, cosmologia, oltre che di teorie di analisi del linguaggio. Nascono i romanzi Le Cosmicomiche (1965), Ti con zero (1967), Le città invisibili (1972), Il castello dei destini incrociati (1973) e Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979). n Nel 1980 ritorna in Italia, stabilendosi con la famiglia a Roma, dove continua a collaborare con Einaudi e con diversi giornali (fra cui “la Repubblica”). Nel 1983 dà alle stampe l’ultima opera narrativa, i racconti di Palomar. Muore nel settembre del 1985, mentre lavora a una serie di conferenze da tenere presso l’università americana di Harvard, per improvvisa malattia.
L’importanza di Calvino nella letteratura del Novecento
n Calvino è ritenuto il più importante narratore italiano del secondo Novecento: un autore che oggi costituisce un riferimento necessario per tutti gli scrittori (in particolare per i narratori) italiani successivi. n Sul piano delle scelte di poetica, Calvino ha sempre voluto sperimentare in piena libertà nuovi temi e forme stilistiche, in sintonia con l’evoluzione del proprio mondo interiore e anteponendo la responsabilità dell’essere scrittore a ogni ideologia politica. n Ha saputo cogliere, come nessun altro in Italia, l’importanza dei movimenti letterari emergenti: la fantascienza, la letteratura combinatoria, la narrativa come struttura di segni. n L’opera di Calvino costituisce una lucida testimonianza dei problemi del nostro tempo. Nei suoi romanzi e racconti, egli ha messo a tema questioni come il bisogno umano di conoscere il mondo, la ricerca di quale significato generale attribuire alla realtà e alla vita umana, il tema dell’impegno civile dell’intellettuale: problemi quanto mai attuali ancora oggi. n L’importanza di Calvino, peraltro, supera la stretta dimensione letteraria. Con la sua opera di intellettuale e di teorico della letteratura, egli occupa un posto di grande rilievo nella cultura del dopoguerra, a partire dalla rilettura critica, da lui operata, sul neorealismo.
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Gli autori del Novecento: memoconcetti
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Le opere e la poetica •
Pin, il protagonista del Sentiero dei nidi di ragno, è un ragazzo che, rimasto orfano di entrambi i genitori, vive con la sorella prostituta nei bassifondi della sua città. Per caso entra in contatto con una banda di partigiani e rimane con loro, pur sentendosi estraneo a quella gente, che non solo è più adulta di lui, ma che è mossa da motivazioni umane e ideologiche che egli non capisce. Le avventure vissute da Pin conservano per lui sempre i caratteri della fiaba: egli si aggira nel bosco e tra gli eventi della guerra sui monti con l’atteggiamento stupito e ingenuo tipico della sua età.
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Calvino attenua di molto il realismo della vicenda, assumendo il punto di vista del protagonista, un ragazzo privo di valori morali o politici, che guarda al mondo ancora con gli occhi dell’infanzia. Anche gli altri personaggi dell’opera sono, a ben vedere, degli antieroi: un gruppo male assortito di individui, ai margini della legalità. Dunque lo scrittore rinuncia a dividere il mondo in “buoni” e “cattivi”, o a giudicare gli uomini in base a categorie strettamente politiche.
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Questi caratteri sono confermati dall’importante Prefazione che nel 1964 l’autore aggiunse al Sentiero; ritornano, inoltre, nei racconti di Ultimo viene il corvo (1949): testi ispirati dal tema di guerra e Resistenza ma anche dal motivo dell’infanzia come magica stagione della scoperta del mondo.
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I racconti degli anni Cinquanta e Sessanta (La speculazione edilizia, La nuvola di smog, La giornata di uno scrutatore, Marcovaldo) raffigurano il contesto storico-sociale dell’Italia del dopoguerra dal punto di vista della grande città operaia (Torino). Emergono problematiche di attualità, come l’urbanizzazione di grandi masse di contadini, il lavoro alienante della fabbrica, la solitudine, lo smog, ecc. Ma interessante è il tono leggero, dal vago sapore di favola, con cui Calvino tratta questa materia narrativa.
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Specialmente nei racconti del ciclo di Marcovaldo, ovvero Le stagioni in città (riuniti in volume nel 1963) emerge a tratti una vena umoristica e surreale, lontanissima da ogni legame con il neorealismo. Calvino si conferma scrittore “sperimentale” e aperto al nuovo.
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Il “fantastico” di Calvino è di tono molto particolare, perché si lega al mondo reale dell’ambientazione storica ed è condotto con un linguaggio di rigoroso razionalismo. Lo scopo è quello di analizzare la realtà umana, secondo l’esempio del “racconto filosofico” settecentesco.
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Il visconte dimezzato (1952) racconta la storia del visconte Medardo, diviso in due da una palla di cannone in una cinquecentesca guerra contro i turchi: le due metà, una buona e una cattiva, seminano male e bene nel mondo, finché si sfidano a duello e infine vengono riattaccate.
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Nel Barone rampante (1957), ambientato nel Settecento, il protagonista Cosimo vede il mondo dall’alto degli alberi, dove ha deciso di trascorrere l’esistenza: il razionalismo dell’epoca dei “lumi” ispira la limpida analisi del protagonista, che vuole dimostrare come sia possibile vivere liberi, anche se fuori dal mondo normale;
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Il cavaliere inesistente (1959), ambientato al tempo di Carlo Magno, è la storia di Agilulfo, un cavaliere che non esiste: privo di corpo, egli è solo un’armatura vuota, ridotto quindi a pura ragione. Intorno a lui fervono avventure. La perfezione razionale di Agilulfo è però teorica, mentre l’imperfezione degli altri paladini è, perlomeno, viva e reale.
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Alla stagione del racconto fantastico appartiene anche il libro delle Fiabe italiane (1956). Calvino raccoglie e riscrive fiabe provenienti dalle diverse tradizioni regionali d’Italia.
IL PARTICOLARE NEOREALISMO DI CALVINO Il primo romanzo di Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, esce nel 1947, in un clima dominato dal neorealismo. L’opera s’ispira in effetti al tema neorealistico per eccellenza: la Resistenza, ma lo tratta in un modo molto originale e assai poco “neorealistico”.
IL REALISMO LEGGERO DI MARCOVALDO Negli anni Cinquanta e Sessanta Calvino scrive diversi racconti realistici e socialmente “impegnati”.
LETTERATURA FANTASTICA COME FORMA DI CONOSCENZA Uno dei generi prediletti da Calvino è quello della letteratura fantastica. Il suo primo frutto è la trilogia dei Nostri antenati, costituita da tre romanzi, pubblicati nell’arco degli anni Cinquanta.
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Le cosmicomiche (1965) e Ti con zero (1968) raccolgono racconti in cui l’autore tratta tematiche insolite per la nostra letteratura: leggi della fisica, dell’astronomia, della biologia. Lo sfondo scientifico diviene lo spunto di partenza per narrare racconti fantastici.
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Le due opere prendono spunto da scoperte scientifiche o da ipotesi sull’origine e lo sviluppo dell’universo; ma poi la fantasia si libera in una continua girandola d’invenzioni. Il tempo è indefinito e dilatato (si va da un arcaico passato di formazione dell’universo a un ipotetico futuro di anni-luce che scorrono in un attimo); lo spazio varia dai microorganismi alle galassie.
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I personaggi sono esseri indefiniti e fantastici, che però si comportano come individui comuni: c’è chi è insofferente verso gli “ultimi arrivati”, chi vuole prepararsi le tagliatelle nello spazio, ecc. Calvino dà così un tocco di umorismo alla sua personalissima “fantascienza”.
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In realtà non si può parlare di fantascienza in senso stretto. Secondo lo stesso Calvino, infatti, la fantascienza si basa su un processo di allontanamento (parte da ciò che è noto e lo proietta in un futuro o in una realtà lontana), mentre le Cosmicomiche attuano il procedimento inverso (partono da uno spunto fantastico e lo “avvicinano” ai lettori, inserendo elementi dell’esperienza comune).
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Dai contatti con lo strutturalismo e con l’oulipo nascono opere tra le più importanti di Calvino. Esse sperimentano nuove possibilità narrative, creando schemi rigorosi di accostamenti e combinazioni, da cui le storie si avviano, in un processo quasi indefinito: prende così corpo l’idea combinatoria della letteratura.
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In Le città invisibili (1972) il viaggiatore Marco Polo racconta all’imperatore Kublai Kan le strane forme di 55 città dal nome di donna: tali descrizioni si susseguono secondo un ordine preciso, rigoroso, che dà all’indice del libro un carattere geometrico. Il dialogo tra i due personaggi si muove sul tema del conoscere e intorno a una riflessione sul linguaggio.
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In Il castello dei destini incrociati le storie s’intrecciano seguendo gli spunti suggeriti dalle carte che vengono girate a una a una e che forniscono i personaggi protagonisti delle varie vicende. Calvino si ispira da un lato alle fiabe (di cui lo studioso russo Propp aveva mostrato la struttura ricorrente), dall’altro all’amato Ariosto, che nell’Orlando furioso aveva intrecciato le vicende apparentemente casuali di numerosi personaggi, sulla base di schemi ricorrenti (somiglianza, opposizione, diversità di tono ecc.).
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Punto d’arrivo di questa ipotesi “combinatoria” è il complesso sperimentalismo di Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979). Il romanzo è costituito da dieci inizi di differenti romanzi, nessuno dei quali – malgrado gli sforzi del lettore e della lettrice – si conclude. L’opera diviene così la metafora dell’inconcludenza dei destini umani. Si tratta anche di un metaromanzo, cioè di una riflessione teorica sul romanzo; e, in parallelo, di un dialogo costante attivato con il lettore sul tema dei meccanismi della lettura.
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Palomar è un romanzo (che raccoglie però racconti precedenti) del 1983. Il suo omonimo protagonista (controfigura dell’autore) cerca, con tormentato rigore, di decifrare alcuni aspetti dell’universo che lo circonda. Palomar dialoga continuamente con il lettore, provocando la sua intelligenza, spingendolo a interrogarsi sul suo destino. Anche l’autore fa così: attraverso la letteratura, i suoi personaggi e le sue storie fantastiche, alimenta una continua ricerca.
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Il mondo della realtà si rivela sfuggente, al limite dell’assurdo; ma proprio per questo non cessa di affascinare e di sollecitare nuove domande. La conclusione di questa ricerca è amara: tutte le storie millenarie e viventi di questo mondo “non si sa cosa significano”. L’unica certezza è forse il nulla, ma “anche del nulla – dice Calvino – non si può essere sicuri al cento per cento”.
LA PERSONALISSIMA FANTASCIENZA DI CALVINO Uno dei tratti tipici ed esclusivi di Calvino è la mescolanza di scienza e letteratura: l’autore, però, assume la tematica scientifica secondo la sua tipica misura, con tono lieve e un po’ surreale.
LA LETTERATURA COME GIOCO COMBINATORIO Negli anni Settanta, Calvino si accosta alle teorie strutturalistiche e alle poetiche combinatorie dell’oulipo (un gruppo di autori sperimentali francesi). Ne ricava l’idea che l’opera narrativa è una sorta di gioco di specchi, in cui invenzione fantastica e intelligenza della realtà si duplicano e s’intrecciano, senza mai giungere a una conclusione.
L’ULTIMO CALVINO: PALOMAR L’investigazione sul reale – ma sempre condotta con il tono leggero e divagatorio tipico di Calvino – è oggetto dell’ultima e affascinante opera dell’autore.
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Gli autori del Novecento: memoconcetti
MEMOCONCETTI
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Lo stile
Calvino crea nella sua opera, tutta narrativa (non si è mai dedicato alla poesia in versi), un accostamento di due sfere tra loro apparentemente opposte: la realtà e la dimensione favolistica o fantastica. Tale accostamento apre gli orizzonti tradizionali della letteratura realista verso soluzioni molto originali.
LO STILE DI CALVINO TRA LEGGEREZZA ED ESATTEZZA
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La fantasia di Ariosto è, a giudizio di Calvino, la massima espressione della “leggerezza”, la prima delle sei virtù letterarie���������������������� *, che lo stesso autore ha teorizzato nelle sue Lezioni americane. “La mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio”.
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L’altra principale virtù, anch’essa teorizzata nelle Lezioni americane, è quella dell’esattezza galileiana. Calvino con “esattezza” intende tre cose: un disegno ben definito per l’opera, il ricorso a immagini nitide, chiare, senza ambiguità, e infine, l’uso di un linguaggio il più preciso e rigoroso possibile. Una letteratura senza esattezza rende tutte le storie informi, casuali, confuse, senza principio né forma. La letteratura è un’arma di difesa contro questa generale perdita di forma, contro l’approssimazione. Perciò, nelle sue pagine, Calvino ha cercato in primo luogo di costruire un ordine, un tessuto rigoroso e studiato, sul quale poi si leva agile e ironica la sua arte di raccontare.
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Lo stile di Calvino è costantemente limpido, scorrevole e intellegibile, vicino alle atmosfere fiabesche dell’infanzia. Egli infrange la regola letteraria secondo cui bisogna distinguere da una parte la realtà, e dall’altra la finzione: Calvino, invece, mescola i due piani, facendo accadere cose straordinarie e spesso impossibili all’interno di un contesto realistico, ma conservando sempre nei confronti della sua materia un approccio leggero, trattenuto dall’umorismo, e smussando gli aspetti più sconcertanti con un tocco leggero di divagazione sorridente e irreale.
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All’universo più onirico e fiabesco di Calvino appartengono i romanzi della trilogia dei Nostri Antenati e le pagine di Marcovaldo. Ma vi rientrano anche il tono leggero e onirico delle Cosmicomiche, così come gli inizi sempre diversi dei romanzi di Se una notte d’inverno un viaggiatore.
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L’autore non abbandona mai la capacità di analizzare con lucidità il reale e di costruire una pagina di perfezione quasi “classica”, senza mai eccedere in sperimentalismi, cadute di tono o eccessivi intellettualismi. Il critico Cesare Segre ha così parlato della lingua di Calvino: “un italiano musicale e limpido, raffinato senza preziosismo: una grazia incomparabile”.
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All’esigenza della precisione del razionalismo obbedisce il criterio elencatorio, la moltiplicazione dei dettagli e delle ipotesi. Calvino utilizza spesso l’elencazione. Lo fa con la serietà e con la razionalità del trattato scientifico, che per amore di completezza non intende farsi sfuggire alcun dettaglio. Dunque l’elencazione non è da lui proposta in funzione di un arricchimento “estetico” della scrittura, quanto per riprodurre l’esattezza della descrizione scientifica. È invece estranea a Calvino la volontà barocca (tipica degli scrittori del Seicento o anche di un romanziere contemporaneo come Gadda) di perseguire, per accumulo, una scrittura sempre più ricca di immagini.
Il modello letterario a cui s’ispira Calvino è duplice: egli oscilla tra la fantasiosa poesia di Ariosto e la rigorosa prosa di Galileo.
LA PROSA DELLA LEGGEREZZA La prima qualità che s’impone all’attenzione, leggendo Calvino, è quella della leggerezza.
LA PROSA DELL’ESATTEZZA Alla dimensione dell’esattezza obbedisce invece il rigoroso e limpido razionalismo dello stile di Calvino.
* Le sei virtù, nell’ordine proposto da Calvino, sono: Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità, Coerenza.
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(tipologia A)
2
SEZIONE
ANALISI DEL TESTO
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SEZIONE 2
1. L’analisi del testo: che cos’è e come si fa
Quattro diverse tipologie per la prova scritta Lo studente che affronta l’esame di Stato può scegliere, il giorno della prova scritta, fra quattro diverse tipologie di prova: - l’analisi di un testo letterario (tipologia A); - il saggio breve o l’articolo di giornale (tipologia B); - il tema storico (tipologia C); - il tema di ordine generale (o d’attualità) (tipologia D). La scelta è in parte soggettiva – dipenderà da predisposizioni, abitudini, ecc. – e in parte oggettiva, perché bisognerà poi considerare in concreto gli argomenti specifici richiesti, in quel particolare anno, da ciascuna tipologia. Se, per esempio, vi sarete lungamente preparati sull’analisi del testo, ma poi, il giorno dell’esame, scopriste che il brano proposto riguarda un autore per voi del tutto sconosciuto, sarà bene che consideriate le altre alternative possibili (saggio breve, articolo, temi).
Se (e quando) scegliere la tipologia A Tra le diverse tipologie della prima prova, l’analisi del testo (la prima tipologia o tipologia A) è quella più condizionata dallo studio svolto durante l’anno. Dovrete scegliere questo tipo di prova solo se si verifica una condizione ben precisa: se cioè il testo proposto dal ministero rientra nel programma svolto durante l’anno, almeno per quanto riguarda l’autore del testo. Difficile ipotizzare che abbiate potuto leggere, in classe, proprio quel testo; ma almeno quell’autore, questo sì è utile che l’abbiate studiato. Dunque, per esclusione, l’analisi del testo non va assolutamente scelta se non si conosce l’autore del testo. È troppo rischioso cimentarsi con il testo di un autore del quale si conosce poco o nulla. Inoltre l’analisi del testo non va scelta anche in un altro caso: se, leggendo il testo proposto dal ministero, non riuscite a comprenderne il significato. Anche in questo caso non avreste i mezzi minimi per svolgere un’analisi adeguata. Orientatevi dunque su un’altra tipologia di prima prova (il saggio breve o il tema tradizionale).
Le richieste del ministero La tipologia A vi si presenterà nella seguente forma: - ci sarà anzitutto un testo da analizzare (spesso accompagnato da qualche nota); - ci sarà – ma in calce al testo, cioè alla fine – anche una breve introduzione all’autore e al testo; - seguiranno le tre richieste, ovvero 1. comprensione del testo; 2. analisi del testo; 3. interpretazione complessiva e approfondimenti.
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L’analisi del testo
Un breve cappello introduttivo accompagna il testo Il testo da analizzare è, di solito, accompagnato da una breve introduzione preparata dal ministero. Leggetela con attenzione, perché fornisce informazioni generalmente molto utili per inserire il brano proposto all’interno della produzione di quell’autore. Ecco per esempio il breve (ma non brevissimo, per fortuna) testo ministeriale che accompagnava nel 2011 la poesia Lucca di Ungaretti: Giuseppe Ungaretti nacque ad Alessandria d’Egitto nel 1888, da genitori emigrati da Lucca ed è morto a Milano nel 1970. Nel 1912 lasciò per sempre l’Egitto. A Parigi approfondì la sua preparazione letteraria e conobbe personalmente importanti artisti e scrittori. Partecipò alla guerra mondiale come soldato semplice. Risalgono a quell’epoca le poesie raccolte ne Il Porto Sepolto, 1916 e poi confluite, insieme ad altre, in Allegria di Naufragi, 1919. La poesia che si propone raggiunse la redazione definitiva nel 1936, attraverso diverse stesure a partire dal 1919.
Come si vede, questa introduzione dava indicazioni su due piani: - offriva informazioni sull’autore (la data di nascita, l’ambiente di formazione); - dava ragguagli sull’opera poetica da cui il testo proviene (in questo caso Allegria di naufragi); - fornisce una prima contestualizzazione di quel testo all’interno della produzione dell’autore stesso (si può presumere che la prima redazione di Lucca risalga all’epoca di Il Porto sepolto e sia poi stata rivista e corretta fino alla stesura finale del 1936). Tutti questi elementi sono spunti importanti per la comprensione e poi l’analisi del testo. Leggete quindi con molta attenzione questo cappello introduttivo, per riuscire a sfruttare tali notizie nel corso della vostra analisi.
Primo quesito: comprensione del testo + riassunto informativo Il primo quesito ministeriale riguarda la comprensione del testo: nella risposta dovrete cioè dimostrare di averlo ben compreso nei suoi aspetti principali. Spesso viene esposta la seguente richiesta: “Riassumi il contenuto informativo del testo”, oppure “Riassumi in breve (oppure: in non più di dieci righe) il contenuto informativo del testo”. Si tratta di una richiesta ragionevole: se avete deciso di cimentarvi con l’analisi del testo, è perché ritenete di aver capito il significato generale del testo da analizzare. Lo dovrete riassumere in modo sintetico ma chiaro, cercando di non ignorare porzioni o sequenze del testo. Per fare un buon riassunto seguite questo schema: - leggete con attenzione il testo da analizzare; - suddividetelo in sequenze e date un titolo a ciascuna di esse; - cercate di distinguere le informazioni fondamentali o essenziali da quelle meno importanti o secondarie; - a questo punto scrivete il riassunto, che sarà la somma dei riassunti delle singole sequenze; - infine confrontate il riassunto con il testo dell’autore, per essere sicuri di avere rispettato i contenuti e il significato. Controllate anche di non aver superato il numero di righe richiesto. Durante il riassunto potreste accorgervi di non aver ben compreso tutte le frasi del testo (o i versi, se si tratta di una lirica). In tal caso, nel vostro riassunto cercate di rimanere, su quel punto, sulle generali, o al limite tralasciate quel passaggio poco chiaro.
La parafrasi del testo In un paio di casi, negli anni passati il ministero propose l’analisi di passi poetici tratti dal Paradiso di Dante. Invece del riassunto, venne allora richiesta la parafrasi: un esercizio più impegnativo, perché, a differenza del riassunto, la parafrasi non deve tralasciare neppure una parola. Come sapete, “parafrasare” significa riscrivere un testo di difficile comprensione in una forma più semplice, per esempio: - sostituendo le forme arcaiche con quelle moderne; - rimpiazzando i termini disusati con altri di uso comune; - semplificando il più possibile la struttura delle frasi, spezzando i periodi troppo lunghi. Non si può affatto escludere che, nelle future prove d’esame, il ministero proponga altri passi danteschi da parafrasare o chieda di fare la parafrasi di testi in poesia di autori moderni. Per produrre una buona parafrasi, bisogna conservare nella maniera più fedele possibile il contenuto informativo del testo stesso. Come nel caso del riassunto, anche per la parafrasi è consigliabile confrontare la vostra parafrasi con il testo d’autore, verificando di averne rispettati i contenuti e il significato.
Secondo livello: i quesiti della vera e propria analisi del testo Esaurito il primo quesito sulla comprensione/riassunto, vi troverete davanti a una serie di quesiti che configurano la vera e propria analisi del testo. Il ministero vi propone (o meglio: impone) una serie di punti da sviluppare, analizzare, commentare.
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SEZIONE 2
Noi distinguiamo due casi: - il caso in cui il testo da analizzare sia in prosa; - il caso in cui il testo da analizzare sia in poesia. Esiste, per la verità, un terzo caso possibile: quello del testo teatrale. Finora è stato utilizzato una sola volta, nell’esame di Stato 2003 (quando fu proposta una scena del Piacere dell’onestà di Pirandello): perciò non ne parliamo qui e rinviamo, per l’esemplificazione, a pagina 87, dove svolgeremo in concreto l’analisi di quel testo.
Quando il testo da analizzare è in prosa Partiamo da un caso concreto: rileggiamo assieme i punti di analisi richiesti dalla prova dell’esame di Stato del 2012. Si trattava di analizzare un brano estratto dal libro Auto da fé di Montale. Questi i quesiti proposti: 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5
Quali sono i problemi risolvibili secondo Montale? Spiega il significato che Montale attribuisce all’espressione “ammazzare il tempo”. Perché si accrescono i “bisogni inutili” e si inventeranno “nuovi tipi di lavoro inutile”? Noti nel testo la presenza dell’ironia? Argomenta la tua risposta. Esponi le tue osservazioni in un commento personale di sufficiente ampiezza.
Come si vede, alcuni dei punti richiesti permettono di focalizzare l’attenzione sugli aspetti fondamentali per l’analisi di questo testo. Qui in particolare sono due gli elementi che si invita ad analizzare: - al punto 2.1 i “problemi risolvibili” (secondo Montale); - al punto 2.3, i “bisogni” e, di conseguenza, i “nuovi tipi di lavoro”. Questa è già una traccia utile da seguire per la vostra analisi. Il quesito 2.2 ferma l’attenzione su un punto più specifico, ovvero l’espressione “ammazzare il tempo”. In questo caso si tratta di un’espressione abbastanza facile da spiegare, ma non è sempre così. Può darsi che la richiesta riguardi frasi o termini più complessi: allora non perdetevi d’animo, cercate di capire quella frase o espressione aiutandovi anzitutto con il contesto del brano, e in secondo luogo con quanto sapete della poetica di quell’autore. Cercate però di non inventare e, soprattutto, di non dare spiegazioni sbagliate o assurde: potrebbe essere assai rischioso. Una risposta clamorosamente sbagliata potrà autorizzare chi corregge (e valuta) a pensare che non avete capito nulla e compromettere, così, l’esito finale della prova, anche qualora la parte restante dell’elaborato sia di buon livello. Il quesito 2.4 richiede di evidenziare l’ironia presente nel testo: è una domanda accessibile. Tra l’altro questo è l’unico quesito dedicato all’analisi formale del brano di Montale: che è, di solito, il livello più difficile per uno studente. Evidenziare l’ironia è più facile che non, per esempio, analizzare uno schema metrico o determinate figure retoriche (anche se la stessa ironia, a rigore, è una figura retorica: ma di ordine più vasto). L’ultimo quesito di questo gruppo (qui il 2.5) richiede, di solito, allo studente di “Esporre un commento personale di sufficiente ampiezza”, spesso “partendo dall’analisi compiuta in precedenza”. Questo commento personale dovrà essere strettamente legato al testo, senza divagare su autore, poetica, correnti letterarie ecc.: a questi allargamenti viene delegato il quesito finale (Interpretazione complessiva e approfondimenti). Il commento personale dovrà dire se e perché quel testo vi sembri importante, utile, interessante. Anche se non lo è per voi, assumetelo come tale: importante, interessante ecc. Chi corregge e valuta è un prof o una prof d’italiano e si aspetta che voi amiate la sua materia. Il vostro commento dovrà/potrà sottolineare gli elementi di novità presenti in quel testo (per es. una visione del mondo particolare, un uso originale del linguaggio), o magari dire perché quel testo affronti una problematica oggi d’attualità (per esempio problemi di comunicazione o di relazione, il proprio posto nel mondo, il dialogo tra i popoli ecc.).
Quando il testo da analizzare è in poesia Se dovrete cimentarvi con un testo in prosa, in linea generale ritenetevi fortunati, perché di solito un brano d’autore in prosa è più facile da analizzare di un brano poetico: i versi pongono sempre maggiori problemi. Consideriamo il questionario del punto 2 (Analisi del testo) proposto dal ministero nel 2011. Il testo da analizzare era una poesia di Ungaretti, Lucca. 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 2.6
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Soffermati sugli aspetti linguistico-lessicali della poesia e, in particolare, sugli aggettivi. Spiega l’espressione “La mia infanzia ne fu tutta meravigliata” (2). Individua gli elementi che caratterizzano la città (3-5). Il poeta evoca una scoperta che lo terrorizza (7). Quali le ragioni del “terrore”? Il poeta contrappone agli “amori mortali” (18) “l’amore come una garanzia della specie” (19). Spiega la contrapposizione. Esponi le tue osservazioni in un commento personale di sufficiente ampiezza.
L’analisi del testo
Le maggiori difficoltà sorgono su due piani. - Il primo riguarda la richiesta di spiegazione di espressioni o termini particolari: è il caso del quesito 2.2 e anche del 2.4. Soprattutto in una lirica del Novecento non è sempre semplice comprendere bene il significato di tutte le scelte operate dall’autore. - Il secondo concerne l’analisi di particolari figure retoriche o forme metriche. Nel questionario del 2011, per fortuna, tali richieste di analisi si limitavano all’individuazione di “aspetti linguistico-lessicali della poesia” non meglio identificati; l’unico punto particolare riguardava gli “aggettivi” (quesito 2.1). Inoltre si chiedeva di illustrare una “contrapposizione” (quesito 2.5), fenomeno di per sé abbastanza evidente. Al di là del caso specifico, è vero che l’analisi della metrica e delle figure retoriche presenti in un certo componimento implica uno studio fatto con cura durante l’anno, o gli anni precedenti. Sono cose che non s’improvvisano, anche se, in molti casi, è possibile cavarsela utilizzando quello che si sa e, soprattutto, il buon senso. L’importante è essere prudenti: guai a dare risposte a caso. Scartate subito le risposte che non vi sembrano coerenti con la poetica dell’autore. Se il dubbio persiste, non rispondete direttamente alla domanda: rimanete sulle generali e passate ad altro. I quesiti a cui non date risposta, o a cui rispondete in modo vago, non dovranno essere più di uno o al massimo due. Se la percentuale cresce, evitate di cimentarvi con l’analisi del testo e optate per il saggio breve o il tema.
Terzo (e ultimo) livello: interpretazione complessiva e approfondimenti Esauriti i quesiti della vera e propria analisi del testo, il questionario ministeriale ha sempre proposto un’ultima sezione: quella relativa all’interpretazione complessiva del testo e agli approfondimenti che se ne possono trarre. Osserviamo in concreto come questa sezione è stata proposta in alcune sessioni d’esame. Esame di Stato 2012 Sulla base dell’analisi condotta, ricerca la “visione del mondo” espressa nel testo e approfondisci la ricerca con opportuni collegamenti ad altri testi di Montale. Alternativamente, soffermati sul grado di attualità / inattualità dei ragionamenti di Montale sul lavoro e sul tempo.
Esame di Stato 2011 Sulla base dell’analisi condotta, proponi una tua interpretazione complessiva della poesia e approfondiscila con opportuni collegamenti ad altri testi di Ungaretti o a testi di altri autori. Alternativamente, puoi fare riferimento alla situazione storicoculturale dell’epoca o a situazioni del nostro tempo, sviluppando i confronti che ti interessano.
Esame di Stato 2009 Proponi una tua interpretazione complessiva del brano e approfondiscila con opportuni collegamenti al romanzo nella sua interezza o ad altri testi di Svevo. In alternativa, prendendo spunto dal testo proposto, delinea alcuni aspetti dei rapporti tra letteratura e psicoanalisi, facendo riferimento ad opere che hai letto e studiato.
Come vedete, questo terzo livello chiede, fondamentalmente, di contestualizzare il testo in esame in tre modi. Si tratta cioè di passare: - da quel testo ad altri testi di quell’autore, o alla sua poetica: in questo caso si resta all’interno della produzione dell’autore; - da quell’autore ad altri autori dell’epoca o di epoche successive: in questo caso si passa alla produzione letteraria dell’epoca; - da quel testo al contesto socio-culturale, artistico e politico di riferimento o a tematiche d’attualità. Nella risposta a questo quesito dovrete evitare d’inserire notizie sull’autore e sul contesto che non abbiano pertinenza con la concreta analisi di quel testo particolare. La commissione, leggendo il vostro elaborato, potrebbe ricavarne l’impressione di notizie da voi aggiunte senza un preciso criterio, o, peggio, allo scopo di menare il can per l’aia (cioè di tirarla in lungo, giusto per non concludere subito). Dovrete anche cercare d’integrare questi approfondimenti nell’analisi del testo precedentemente sviluppata, in modo da evitare contraddizioni con quanto detto in precedenza. Dovete tenere a mente che ogni elemento del vostro scritto dovrà essere riconducibile al testo d’autore proposto per l’analisi.
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SEZIONE 2
Rispondere punto per punto, oppure scrivere un testo unico? Il ministero propone una serie di quesiti, ma non chiarisce se l’analisi del testo debba essere svolta rispondendo punto per punto ai quesiti posti, oppure scrivendo un testo unico che includa gli spunti indicati. Normalmente le commissioni sono abbastanza flessibili su questo punto, anche se, nel caso in cui i commissari volessero essere corretti al 100%, dovrebbero informarsi su come gli esaminandi abbiano svolto esercizi di analisi del testo nel corso dell’anno, in modo da permettere ai candidati di esprimersi per come sono normalmente abituati a fare. Voi studenti dovreste, nei mesi che precedono l’esame, chiedere al vostro prof di italiano di chiarire in quale forma dovrà essere scritta l’analisi del testo, e soprattutto dovreste chiedergli di riportare questa scelta nel documento di classe, che in seguito sarà consultato dalla commissione d’esame. Queste procedure sono però piuttosto rare e quindi quasi sempre si ripropone il dilemma: un elaborato di taglio continuativo e senza tante risposte un po’ spezzettate, oppure, al contrario, una somma di risposte puntuali, una per ciascun quesito ministeriale? Alcuni sostengono che sia preferibile scrivere un testo unico, soluzione che può apparire più felice per queste ragioni: - un testo unico si legge con maggiore scorrevolezza; - esso consente di non frammentare l’analisi in tante sezioni prive di connessioni tra loro; - infine permette di evitare di rispondere a quesiti particolarmente complessi e di rimanere sulle generali, come abbiamo detto prima, davanti a domande un po’ troppo specifiche. Se, invece, l’analisi del testo viene costruita con risposte punto per punto, verrà messa in più forte evidenza l’eventuale scarsa comprensione da parte dello studente. Per questa stessa ragione, esistono commissari e commissioni che preferiscono non un discorso generale, ma un’analisi articolata punto per punto, quesito per quesito. Questa, probabilmente, è l’intenzione che guida il ministero. Esso potrebbe, se lo volesse, chiedere ai candidati di scrivere un commento generale a partire da quel testo particolare; ma evidentemente non vuole, visto che redige questionari così dettagliati e numerati punto per punto. Perciò, nelle pagine che seguono, troverete analisi del testo concretamente svolte secondo i due modelli. Più numerose, però, saranno le analisi costruite con risposte puntuali, perché sembra questo il modo preferibile per affrontare la tipologia A della prima prova.
Come gestire il tempo per l’analisi del testo Sarà molto importante, il mattino dell’esame, gestire al meglio il tempo. Ti verranno date 6 ore in tutto: ecco come potresti suddividerle, con raziocinio e senza ansie. - 30 minuti: lettura attenta di tutte le prove e scelta di una tipologia; - 30 minuti: nuova lettura attenta del testo e comprensione generale di esso; - 30 minuti: stesura della parafrasi o riassunto; - 2 ore: stesura dell’analisi e degli approfondimenti; - 1 ora: revisione del tuo scritto; - 1,5 ora: ricopiatura e controllo della bella copia.
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L’analisi del testo 1
1. Gabriele D’Annunzio, Epodo Giova, o amico1, ne l’anima profonda meditare le dubbie sorti umane, piangere il tempo, ed oscurar di vane melancolíe2 la dea Terra feconda? 5
1 2 3
Bevere7 giova con aperta gola 10 ai ruscelli de ‘l canto, e coglier rose, e mordere ciascun soave frutto. O poeta, divina è la Parola; ne la pura Bellezza il ciel ripose ogni nostra letizia; e il Verso è tutto.
Evvi Ginevra ed Isotta la blonda , e sonvi4 i pini e sonvi le fontane, le giostre, le schermaglie e le fiumane5, foreste e lande, e re di Trebisonda6! 3
da L’Isottèo (1890)
o amico: si rivolge all’amico Giovanni Marradi. melancolíe: malinconie. Evvi… la blonda: vi sono Ginevra e Isotta la Bionda (due protagoniste dei romanzi cavallereschi medievali).
4 5 6 7
sonvi: vi sono. fiumane: larghi fiumi. Trebisonda: città della Turchia, sulle sponde del Mar Nero. Bevere: bere.
Il componimento è indirizzato a Giuseppe Marradi, poeta livornese amico di D’Annunzio, nato nel 1852 e morto nel 1922. 1. COMPRENSIONE DEL TESTO Riassumi il contenuto informativo del testo. 2. ANALISI DEL TESTO 2.1. Esponi in breve la struttura metrica del componimento e rifletti sul perché di questa scelta. 2.2. Illustra la struttura letteraria del testo e la successione con cui i contenuti vengono articolati dall’autore. Chiarisci infine con le tue parole qual è il messaggio che l’autore vuole comunicare con questo testo. 2.3. Il poeta ricorre a diverse immagini: individua e commenta quelle a tuo parere più significative. 2.4. Rifletti sullo stile del testo e cogline gli aspetti più significativi. Illustra in particolare la musicalità che lo caratterizza. 3. INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI Proponi una tua interpretazione complessiva del testo e approfondiscila con collegamenti ad altri testi di D’Annunzio e/o alla sua poetica letteraria.
Svolgimento 1. COMPRENSIONE DEL TESTO Riassumi il contenuto informativo del testo. All’inizio del testo viene posta una domanda: giova, al poeta, meditare a lungo sulle incerte sorti dell’uomo e sul suo malinconico destino di morte? La risposta è implicita nella domanda (si tratta dunque di una domanda retorica): non è certo bene soffermarsi sulle cose tristi. L’esistenza offre infatti tantissime gioie, quelle che vengono elencate nella seconda quartina: l’amore, la natura, il lusso e la gioia di vivere. La seconda parte del componimento propone una riflessione conclusiva. Attraverso una serie di immagini, connesse all’idea dell’assaporamento di ogni esperienza, D’Annunzio enuncia l’esaltazione della vita e della poesia, capace di esprimere la “Bellezza”, l’appagamento di ogni piacere.
2. ANALISI DEL TESTO 2.1.
Esponi in breve la struttura metrica del componimento e rifletti sul perché di questa scelta. La poesia è un sonetto, rimato secondo lo schema classico e consueto nella tradizione ABBA ABBA CDE CDE. La scelta di utilizzare la forma strofica principe della tradizione italiana, il sonetto, rivela il debito che l’autore vuole sottolineare verso la precedente tradizione letteraria.
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SEZIONE 2
2.2.
Illustra la struttura letteraria del testo e chiarisci con le tue parole qual è il messaggio che l’autore vuole comunicare con questo testo. L’autore costruisce il componimento in modo che ogni strofa (le due quartine e le due terzine) contenga un periodo sintattico, che a sua volta enuncia un concetto ben preciso. Questa unità tematica e di pensiero delle 4 singole strofe fa sì che la struttura metrica e la struttura semantico-grammaticale coincidano. Secondo la tecnica tradizionale del sonetto, le quartine hanno carattere descrittivo o narrativo mentre le terzine suggellano il sonetto con considerazioni morali. Tale costruzione così serrata accresce l’efficacia del ragionamento e sottolinea il messaggio che il poeta affida a questo sonetto: l’esistenza, dice D’Annunzio, consiste nel “Bevere... ai ruscelli de ’l canto”; “coglier rose” e “mordere ciascun soave frutto”. In altre parole, uscendo dal linguaggio metaforico della poesia, il poeta consiglia di provare ogni tipo di esperienza.
2.3.
Il poeta ricorre a diverse immagini: individua e commenta quelle a tuo parere più significative. Il testo è ricco di immagini. In particolare la seconda strofa propone numerose metafore: belle donne (chiamate Ginevra e Isotta, personaggi letterari femminili di poemi cavallereschi medievali, entrambe donne appassionate e dolcissime, figure di amanti per antonomasia); paesaggi meravigliosi (“pini”, “fontane”, “fiumane”, “foreste e lande”); guerre nobili e combattimenti valorosi (“giostre” e “schermaglie”); luoghi fantastici (“Trebisonda”). Molto significativa, nella terza strofa, l’espressione “coglier rose”, che tradizionalmente, nel linguaggio poetico, allude all’esperienza amorosa.
2.4.
Rifletti sullo stile del testo e cogline gli aspetti più significativi. Illustra in particolare la musicalità che lo caratterizza. Il linguaggio del sonetto risulta molto “letterario” e aulico, soprattutto per la scelta di nomi inconsueti (“Trebisonda”) e di altri termini poetici, arcaici o antiquati dal punto di vista della grafia (“Evvi”, “blonda”, “sonvi”, “Bevere”, “de ‘l”, “ne la”). La ricercatezza e l’aulicità di tono vengono rimarcate da un periodare lungo e fondato sulla tecnica dell’elencazione, a cui D’Annunzio fa spesso ricorso. L’impiego di vocaboli fortemente evocativi sul piano fonico è una componente essenziale della scrittura poetica di D’Annunzio. Soprattutto la seconda quartina crea un effetto di musicalità: esso è sottolineato dalla rima fra “blonda” e “Trebisonda”. Quest’ultimo termine quadrisillabo s’impone all’attenzione per la lunghezza e per la sua particolare sonorità: un effetto che, a sua volta, richiama all’immaginazione un luogo misterioso dell’Oriente.
3. INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI Proponi una tua interpretazione complessiva del testo e approfondiscila con collegamenti ad altri testi di D’Annunzio e/o alla sua poetica letteraria. Nel testo viene chiaramente enunciata una poetica e anche una precisa concezione di vita: per D’Annunzio, infatti, vita e arte sono inscindibilmente legate, l’estetica e la morale formano un tutt’uno. Tale dichiarazione di poetica emerge chiaramente nell’ultima terzina di questa lirica, in cui le parole-chiave sono evidenziate dalla lettera maiuscola: “Parola”, “Bellezza”, “Verso”. L’espressione più significativa è contenuta proprio nella conclusione del componimento: “e il Verso è tutto”. Questa espressione è una ripresa di un’affermazione di Andrea Sperelli, protagonista del romanzo Il piacere, pubblicato nel 1889: si tratta dunque di un’autocitazione. Il poeta vuole dire che la forma è “tutto” e che il contenuto è ininfluente: tale concezione edonistica si potrebbe definire “dell’arte per l’arte” perché fa della bellezza e dell’armonia formale il fine ultimo della scrittura. Dunque la perfezione formale costituisce l’essenza della scrittura poetica: il contenuto è subordinato completamente a essa: se la parola e il verso sono artisticamente perfetti anche il contenuto sarà, necessariamente, bello e importante. Qui D’Annunzio si ricollega chiaramente al decadentismo, il movimento letterario sorto a fine Ottocento, il quale esaltava un’esistenza piena di sensazioni, emozioni, alla ricerca della raffinatezza e della bellezza, assetata di ogni piacere. Era la visione della vita celebrata, per esempio, nel romanzo Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde.
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L’analisi del testo 2
2. Gabriele D’Annunzio, da Il compagno dagli occhi senza cigli Ho lavorato quasi tutta la notte al mio romanzo veneziano1. Se questo ardore mi dura, fra tre settimane l’avrò compiuto. Verso le quattro il camino s’è spento, ma non ho sentito l’aria raffreddarsi intorno alla mia illusione. Veramente mi pareva di respirare nella fornace, coi vetrai di Murano2, e di non avere in mano la mia penna ma un ferro da soffio con in cima il vetro fuso, e di non essere rischiarato dal mio quieto olio d’oliva ma dalla vampa della grande ara incandescente. Mi bisognava, per creare il calice3, convertir la parola in quella piccola pera di pasta rossa dal garzone aggiunta di tratto in tratto alla forma che nasce sotto i tocchi dell’ordegno4. Mi bisognava avere le mani pieghevoli prudenti e bruciacchiate di quel buon Seguso, i suoi gesti agili e leggeri come “i gesti d’una danza silenziosa”. Ecco alfine, sul foglio di carta, il vetro che si tempera a poco a poco, quasi colorato d’un colore mattutino dal mio spirito come da un’alba più profonda di quella vera. Sembra che la più potente arte evocatrice debba essere, come la magìa, notturna o antelucana5. Ho notato che la più bella pagina è quasi sempre scritta nell’ora dei sogni, nell’ora del gallo e della brina. Il corpo è desto, gli occhi sono aperti; ma l’anima è “prossima al risveglio” come quella del dormiente ed ha una misteriosa facoltà di penetrare ogni oggetto e di trasmutarsi in esso. Che cosa è la fantasia se non un sognar di sognare? Mi sono coricato senza stanchezza; e non mi pareva d’essere qualcuno che sia per addormentarsi ma qualcuno che sia per risvegliarsi. Le imagini nel mio cervello non più avevano il carattere delle apparizioni ma dei semplici ricordi. Ripensavo in realtà al giorno di Murano, quando avevo accumulata la materia da sottoporre alla scelta dell’arte. E consideravo le cose tralasciate6 dalla scelta, ormai inservibili. Esse appartenevano a un’altra vita, a un altro mondo, a una vita spenta, a un mondo estinto. In un Campetto erboso, attorneato di magre acacie, davanti a Santa Maria degli Angeli, le donne muranesi sedute in su le porte infilavano le conterie, immergendo nel pieno canestro un fascio di fili di ferro e poi risollevandolo con gli acini via via passati in que’ fili; e l’atto ripetevano uguale, senza pausa, fin nell’oscurità del sonno. Lo sgomento del destarsi all’ora insolita7 è oggi più grave. Invano sto in ascolto per riconoscere i rumori diurni. Il silenzio di mezzogiorno è come quello di mezzanotte, ma carico di non so che angoscia e di non so che minaccia. La mia inquietudine somiglia quasi alla paura di vivere, alla paura di riesperimentare l’evento e l’uomo. Stamani la mia armatura8 ha un fallo; e temo la ferita. Quale ferita, e da chi? La causa di tanto sgomento non è se non una visita annunziata! Debbo oggi rivedere, dopo vent’anni, un mio compagno di collegio9 e dietro di lui lo spettro della primissima giovinezza, la larva ambigua della pubertà. È tornato a Firenze dall’Inghilterra dove ha vissuto molti anni oscuri e duri, interrotti da rare notizie. So che è malato, anzi condannato. D’indugio in indugio, ho differito l’incontro penoso. La sua lettera di ieri non mi consente più alcun pretesto. Ho già il cuore stretto e la gola chiusa. Guardo con indifferenza le pagine di stanotte; non ho voglia di rileggerle. La coppa di vetro10 mi sembra andata in frantumi, già prima che la mano convulsa di Perdita11 la spezzi. Può talvolta la vita essere una così cruda nemica dell’arte? Nulla più mi lega alla mia opera. Il ritmo concorde s’arresta. La legge della bellezza cessa di regolare il mio giorno e la mia solitudine. Una forza ignota sta per sopraggiungere e per entrare; come quando in certe notti buie, dormite senza compagna, si sobbalza di tratto in tratto e s’attende il rumore d’una chiave nella serratura che una lanterna cieca12 illumini. 1 2 3 4 5
mio romanzo veneziano: Il fuoco, l’opera lungamente elaborata da D’Annunzio e uscita nel 1900. Murano: l’isola di Murano, famosa per le sue fabbriche di vetro soffiato, si trova vicino a Venezia, dove è ambientato Il fuoco. il calice: cioè l’opera d’arte. ordegno: macchina. antelucana: prima dell’alba.
6 7 8 9
le cose tralasciate: gli aspetti di quella giornata realmente vissuta a Murano e che non erano rientrati nel Fuoco. ora insolita: il poeta, dopo avere lavorato di notte, si è risvegliato a mezzogiorno. la mia armatura: il poeta intende le proprie abituali occupazioni e la sua stessa professione di scrittore. collegio: il Cicognini di Prato, dove D’Annunzio studiò da adolescente, fino alla licenza liceale.
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La coppa di vetro: intende l’opera letteraria elaborata nella notte. Perdita: così è spesso chiamata la Foscarina, protagonista femminile del Fuoco, controfigura di Eleonora Duse. Ella spezza la coppa, ricevuta in dono in una vetreria di Murano, du-
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rante un drammatico colloquio con il suo amato, il musicista Stelio Èffrena: da quel dialogo la Foscarina ha intuito che Stelio ama un’altra donna, la giovane Donatella. lanterna cieca: lanterna con una copertura girevole, così da potere direzionare la luce o nasconderla del tutto.
È la pagina che fa da preludio al Compagno dagli occhi senza cigli (1928); il testo era stato pubblicato in precedenza sul “Corriere della Sera” nell’ambito delle Faville del maglio. Risulta quindi anteriore a Notturno. 1. COMPRENSIONE DEL TESTO Dividi il testo in sequenze e riassumine il contenuto. 2. ANALISI DEL TESTO 2.1. Uno dei temi salienti del brano è quello della creazione artistica. Individua i momenti del brano in cui se ne parla e soffermati in particolare sul campo semantico a esso legato. 2.2. L’altro motivo dominante del testo è quello dell’angoscia del vivere. Anche in questo caso individua le parti che ne parlano e analizzane il campo semantico. 2.3. Alcune immagini del brano sono particolarmente significative. Soffermati su quelle relative al calice, all’armatura e spiega anche il riferimento alle cose tralasciate. Chiarisci queste immagini mettendole in relazione alla poetica e allo stato d’animo dell’autore. 2.4. Esponi le tue considerazioni conclusive in un commento personale di sufficiente ampiezza. 3. INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI Sulla base dell’analisi condotta, proponi un inquadramento complessivo del brano alla luce del più vasto quadro dell’opera dannunziana.
Svolgimento 1. COMPRENSIONE DEL TESTO Dividi il testo in sequenze e riassumine il contenuto. Si possono riconoscere nel testo tre sequenze. Nella prima l’autore comunica la composizione del Fuoco; l’elaborazione del romanzo viene paragonata alla creazione di un cristallo di Murano (la vicenda del Fuoco si ambienta infatti a Venezia) e quindi all’origine di un’opera preziosa e raffinata. La seconda sequenza introduce l’argomento del sogno e del dormiveglia: la migliore produzione artistica, dice D’Annunzio, avviene nelle ore notturne, momento dotato di capacità evocatrice; tutto quello che è immagine, apparizione, nel dormiveglia diventa ricordo. Vengono narrati poi episodi realmente vissuti a Murano, nella giornata precedente. Nelle terza sequenza si ha il momento del risveglio, nel silenzio del mezzogiorno, simile a quello della notte. Il poeta avverte però una profonda angoscia, motivata dall’imminente incontro con un suo vecchio compagno di studi, ora ammalato. Questa angoscia viene connotata come paura di vivere: lo scrittore non si sente più al sicuro, nella sua armatura ora c’è una falla e lui ha paura di essere colpito.
2. ANALISI DEL TESTO 2.1.
Uno dei temi salienti del brano è quello della creazione artistica. Individua i momenti del brano in cui se ne parla e soffermati in particolare sul campo semantico a esso legato. Il momento della creazione artistica viene paragonato da D’Annunzio a qualcosa di incandescente: si parla di ardore, allo scrittore pare di respirare nella fornace. Da questi cenni deriva il paragone con la bottega del vetro di Murano, che conferisce al testo un’idea di preziosità, di raffinatezza e di fragilità. Questa connotazione del momento creativo come qualcosa di splendente e fiammeggiante si colloca però nella notte e nel dormiveglia: la creazione dell’opera d’arte, dice l’autore, è frutto del sogno. La pagina più bella è scritta nell’ora dei sogni, la fantasia è sognare di sognare. Si raffigura il momento creativo come un qualcosa di magico, che mette in contatto quasi con un’altra realtà, un’altra vita, un altro mondo, che ha contorni indefiniti e misteriosi.
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L’analisi del testo 2
2.2.
L’altro motivo dominante del testo è quello dell’angoscia del vivere. Anche in questo caso individua le parti che ne parlano e analizzane il campo semantico. Questo tema dell’angoscia di vivere emerge in particolare nella terza sequenza, dedicata al risveglio. Esso coincide, per il poeta, con l’affiorare alla coscienza di una sensazione di dolore, sottolineato, in poche righe, da diverse parole ed espressioni riguardanti il campo semantico della negatività: sgomento (r. 22); angoscia (r. 23); minaccia, inquietudine, paura (r. 24); le espressioni la mia armatura ha un fallo; e temo la ferita (r. 25), Ho già il cuore stretto (r. 31), la vita [...] crudele nemica dell’arte (r. 33), la mia solitudine (r. 35).
2.3.
Alcune immagini del brano sono particolarmente significative. Soffermati su quelle relative al calice, all’armatura e spiega anche il riferimento alle cose tralasciate. Chiarisci queste immagini mettendole in relazione alla poetica e allo stato d’animo dell’autore. L’immagine del calice serve a paragonare la pagina letteraria a un oggetto materiale (in questo caso un prezioso bicchiere di cristallo) che il poeta lavora come se fosse un artigiano. Nella similitudine, la penna diventa il ferro per soffiare il vetro, il tavolo dello scrittore la fornace, la parola la pasta incandescente modellata sotto le mani dell’artista. La mia armatura è un riferimento alla poesia e alla gloria artistica: essa è come una corazza, che però non lascia tranquillo il poeta: egli teme che essa non basterà a proteggerlo dall’irruzione dell’ignoto. Con l’espressione le cose tralasciate lo scrittore allude al suo caratteristico procedimento di fissare sui taccuini di lavoro note, appunti, ricordi di ogni tipo, da riprendere per successive elaborazioni letterarie.
2.4.
Quali artifici stilistici presenti nel brano ti sembrano particolarmente significativi? Illustrali in breve con le tue parole. Disseminati per il brano vi sono elementi che si riallacciano al tema dell’indefinito: vi sono i verbi che indicano l’apparenza (mi pareva, sembra), viene ripetuto il pronome indefinito qualcuno. Nella terza sequenza compare in anafora l’espressione sfumata non so che, acuita dal successivo quasi. Sono tutti segnali di passaggio da una visione di poeta-superuomo a un’altra visione, più perplessa e sfumata, di poeta a contatto con l’infinito mistero della vita.
2.5.
Esponi le tue considerazioni conclusive in un commento personale di sufficiente ampiezza. Mi sembra che il momento più significativo del brano sia quello conclusivo. In certi momenti d’intensa rivelazione, dice l’autore, la vita finisce per imporsi persino ai sogni dell’arte, che avevano sempre costituito per D’Annunzio lo scopo ultimo e il riferimento di tutta la sua esistenza. Basta la notizia di una prossima visita di Dario, l’amico di gioventù, per scatenare nel poeta un’inquietudine inesprimibile, da cui non lo può proteggere l’“armatura” con cui di solito si protegge e dietro a cui si nasconde. Di fronte all’inattesa irruzione del passato, che porta con sé ricordi e crudeltà, tutta la gloria e l’eccezionalità del poeta-eroe si scopre vulnerabile e si rivela, alla fine, un tragico inganno. Nel complesso il brano, espressione dell’ultimo D’Annunzio, rispecchia l’attenzione del poeta alla propria interiorità, alla riflessione memoriale, al frammento di ricordo che suscita ripensamenti; il senso di negatività suggerisce malinconia. Questo brano rivela dunque un D’Annunzio diverso da quello più conosciuto, ma forse più autentico e interessante.
3. CONTESTUALIZZAZIONE E APPROFONDIMENTI Sulla base dell’analisi condotta, proponi un inquadramento complessivo del brano alla luce del più vasto quadro dell’opera dannunziana e delle poetiche del suo tempo. Inizialmente sembra che il testo confermi la consueta poetica dannunziana: il poeta imaginifico, il poeta mago appare in grado di raggiungere un supremo livello di creatività, impossibile per gli altri esseri umani. Questa superiorità del poeta artefice (che lavora il suo calice prezioso) viene confermata dalla successiva visione della creazione mistica come sogno, come frutto dell’irrazionalità: è uno dei temi del decadentismo europeo. Poi, nella seconda parte, il brano di D’Annunzio cambia prospettiva. Esso rivela un sentimento di sfiducia nell’arte, un senso d’impossibilità di credere ancora a quel mito del poeta-superuomo che l’autore aveva a lungo elaborato. Il sogno della notte, la creazione artistica non riescono a resistere di fronte alla prospettiva del dolore e della malattia del compagno. Dario e il passato originano angoscia e sofferenza che allontanano il poeta dalla sua creazione: la vita diventa “nemica dell’arte”, come D’Annunzio scrive. Qui il testo documenta l’attenzione all’ignoto, al mistero, che è tipica del D’Annunzio dell’ultima fase, quella “notturna”. Inoltre emerge in questa parte la sensibilità verso i lati oscuri della coscienza, accompagnata dal tema della forza del ricordo che s’impone alla ragione. Si conferma dunque quella visione irrazionalistica che caratterizza un po’ tutta la cultura europea nel passaggio tra Otto e Novecento e anche autori italiani come Fogazzaro, Pascoli, Tozzi, Pirandello.
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3. Giovanni Pascoli, Il gelsomino notturno
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E s’aprono i fiori notturni1, nell’ora che penso a’ miei cari2. Sono apparse in mezzo ai viburni3 le farfalle crepuscolari4.
Un’ape tardiva sussurra trovando già prese le celle10. 15 La Chioccetta11 per l’aia azzurra12 va col suo pigolìo di stelle13.
Da un pezzo si tacquero i gridi5: là sola una casa bisbiglia. Sotto l’ali dormono i nidi6, come gli occhi sotto le ciglia.
Per tutta la notte s’esala l’odore che passa col vento. Passa il lume su per la scala; 20 brilla al primo piano: s’è spento14...
Dai calici aperti7 si esala 10 l’odore di fragole rosse. Splende un lume là nella sala8. Nasce l’erba sopra le fosse9.
È l’alba: si chiudono i petali un poco gualciti; si cova, dentro l’urna molle e segreta15, non so che felicità nuova. da Canti di Castelvecchio (1903)
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i fiori notturni: i fiori del gelsomino notturno, che sbocciano nelle sere d’estate con intenso profumo. a’ miei cari: amici e parenti scomparsi. viburni: grossi arbusti con fiori bianchi. le farfalle crepuscolari: le farfalle notturne, che nascono al crepuscolo e muoiono all’alba. i gridi: le voci del giorno. i nidi: gli uccelli che abitano i nidi. Dai calici aperti: dalle corolle sbocciate dei gelsomini notturni. nella sala: nella casa degli sposi che ancora vegliano. sopra le fosse: sul ciglio dei fossi, intorno alle tombe dei cimiteri.
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prese le celle: occupate le celle dell’alveare. La Chioccetta: il nome contadino che indica la costellazione delle Pleiadi. l’aia azzurra: il cielo. col suo pigolìo di stelle: il tremolio della luce delle stelle che formano la costellazione. s’è spento...: nella casa degli sposi si spegne . l’urna molle e segreta: il luogo dolce e intimo coincide sia con il calice del fiore, che all’alba si richiude, sia con la camera degli sposi.
La poesia fu pubblicata per la prima volta da Giovanni Pascoli (1857-1913) nel luglio del 1901 in un opuscolo nuziale, come omaggio dell’autore all’amico Gabriele Briganti, nell’occasione del suo matrimonio. Entrò poi nella raccolta dei Canti di Castelvecchio del 1903. Nel volume il testo era introdotto da questa dedica, in cui l’autore si identificava con il figlioletto dell’amico nato nel frattempo: “E a me pensi Gabriele Briganti risentendo l’odor del fiore che olezza nell’ombra e nel silenzio: l’odore del Gelsomino notturno. In quelle ore sbocciò un fiorellino che unisce […]: voglio dire, gli nacque il suo Dante Gabriele Giovanni”. La vicenda del gelsomino notturno, fiore che sboccia al calare delle tenebre e si richiude alle prime luci dell’alba, incornicia uno dei momenti più segreti dell’esistenza umana: quello che, nella vita matrimoniale, corona l’intimità fra i due sposi. 1. COMPRENSIONE DEL TESTO Riassumi il contenuto del testo proponendone una tua parafrasi. 2. ANALISI DEL TESTO 2.1. Individua la struttura metrica del componimento. 2.2. Analizza la struttura compositiva del testo e illustra il particolarissimo modo di Pascoli di costruire le sue liriche e di esprimere i suoi contenuti. 2.3. Dal testo emergono alcuni temi tipici del mondo pascoliano: rintracciali e mettili in rapporto alla più generale visione del mondo dell’autore. 2.4. Analizza ora il linguaggio del testo. Metti in luce, in particolare, le immagini che ritieni più significative e spiegane il significato. 2.5. Esponi le tue considerazioni conclusive in un commento personale di sufficiente ampiezza. 3. INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI Sulla base dell’analisi condotta, illustra la “visione del mondo” espressa nel testo e approfondisci la ricerca con opportuni collegamenti ad altri testi di Pascoli. Alternativamente, soffermati sul grado di attualità / inattualità dei ragionamenti di Pascoli sulla famiglia e sul matrimonio.
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L’analisi del testo 3
Svolgimento 1. COMPRENSIONE DEL TESTO Riassumi il contenuto del testo proponendone una tua parafrasi. È sera: si aprono i gelsomini notturni nell’ora in cui penso ai miei cari defunti. Tra i fiori bianchi dei viburni sono già apparse le farfalle crepuscolari. Da un pezzo sono cessati i rumori e le voci del giorno: qualche lieve rumore proviene da una casa solitaria. Gli uccellini dormono col capo chino sotto le ali, richiusi come occhi dietro le ciglia. Dalle corolle dischiuse dei gelsomini si diffonde un profumo penetrante, simile a quello delle fragole rosse. Nella sala della casa solitaria splende una candela. Così nasce l’erba sul ciglio dei fossi, intorno alle tombe dei cimiteri. Un’ape, ritornando in ritardo all’alveare, fa vibrare l’aria col ronzio delle sue ali, perché ha trovato le celle già piene. La costellazione della Chioccetta procede nel cielo come in un’aia azzurra, seguita dai suoi pigolanti pulcini. Per tutta la notte si diffonde l’odore che viene diffuso dal vento. Intanto la candela sale per le scale, brilla al primo piano e poi si spegne. All’alba infine, si richiudono i petali, un po’ sciupati, dei gelsomini. Dentro il calice, simile a un urna molle e segreta, sembra che si prepari una misteriosa nuova felicità.
2. ANALISI DEL TESTO 2.1.
Individua la struttura metrica del componimento. La lirica è costituita da strofe di quattro versi novenari piani (tranne il verso 21 che è sdrucciolo) a rima alternata ABAB. L’ultima strofa presenta una particolarità: nel verso 21 l’ultima sillaba “-li” della parola “petali” non deve essere computata ai fini della rima. In questo modo, infatti, si ripristina la regolare scansione fra la parte restante della parola (“peta-”) e il vocabolo “segreta” del verso 23.
2.2.
Analizza la struttura compositiva del testo e illustra il particolarissimo modo di Pascoli di costruire le sue liriche e di esprimere i suoi contenuti. La lirica, a livello contenutistico, consiste nella narrazione di ciò che avviene durante una notte, in particolare il concepimento di una nuova vita da parte di una coppia di sposi. Ma la narrazione viene costruita dall’autore in modo molto particolare, senza una chiara successione di fatti e senza che il tema del matrimonio sia chiaramente indicato: tutto viene appena suggerito e lasciato poi nell’indeterminatezza. È significativo il fatto che la prima strofa sia aperta dalla congiunzione “e”: il poeta pare suggerire che questa poesia sia cominciata “prima”, sia il frutto di una riflessione iniziata in precedenza; di conseguenza, chi legge il testo deve accettare di non avere ben chiaro il quadro d’assieme. Molto generico, lasciata nell’indeterminatezza, è il quadro del “dove” e del “quando” avvengono i fatti narrati. Tutto si svolge in un paesaggio notturno; siamo in campagna e la presenza degli uomini è indicata solo dalla presenza di una casa. Il poeta dà delle indicazioni temporali (“s’aprono i fiori notturni”, “nell’ora che penso ai miei cari”, “Sono apparse... le farfalle crepuscolari”), ma sempre molto generiche. Tutto si svolge al presente (solo “si tacquero”, al v. 5, è un passato remoto): dunque manca una precisa dimensione temporale. Anche il “dove” si svolgono i fatti, cioè la dimensione spaziale, resta nell’indeterminatezza: il poeta dà soltanto indicazioni generiche (“in mezzo ai viburni”, “là sola una casa bisbiglia”, “là nella sala”). Tutto ciò rientra nella poetica pascoliana. Il poeta-fanciullo rinuncia a collocare gli oggetti e le situazioni in un preciso contesto spazio-temporale. Egli non costruisce un discorso razionale; si limita a percepire la realtà mediante i sensi. Questi ultimi colgono vari aspetti del mondo: troviamo sensazioni visive (“s’aprono”, “Splende un lume”), acustiche (“là sola una casa bisbiglia”, “Un’ape tardiva sussurra”), tattili (“i petali un poco gualciti”), olfattive (“si esala l’odore di fragole rosse”). Manca però un ordine chiaro in cui tutto possa assumere significato. Anche la sintassi conferma la mancanza di una solida “visione” razionale. Il componimento è tutto costruito intorno a frasi principali e coordinate; incontriamo soltanto due proposizioni subordinate: una relativa (v. 2) e una causale-temporale implicita (v. 14). Per il resto, la paratassi per asindeto fa sì che il testo sia formato da una serie di elementi isolati fra loro, allineati uno dopo l’altro, senza rispettare un preciso ordine logico.
2.3.
Dal testo emergono alcuni temi tipici del mondo pascoliano: rintracciali e mettili in rapporto alla più generale visione del mondo dell’autore. Nel testo si ritrovano alcuni dei temi tipici della poesia di Pascoli, in particolare due: la presenza costante della morte, dietro i segni di vita; la tematica del “nido”, cioè della protezione e dell’affetto familiare. Il nucleo centrale del testo è l’antitesi vita vs morte: sta per avvenire un concepimento, ma siamo, dice il poeta, “nell’ora che penso ai miei cari”. Questa espressione allude alla malinconia della sera, quando l’io-poeta pensa ai propri parenti che, come sappiamo dalla sua biografia, erano quasi tutti prematuramente morti. Questa tematica della morte incombente (unita, stranamente, alla vita nascente) è rafforzata dall’immagine dell’“erba” che “nasce sopra le fosse” dei cimiteri.
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Il componimento evidenzia anche la fondamentale tematica del “nido”. Essa ha carattere autobiografico: lo spunto dal quale trae ispirazione tale motivo è la morte del padre, ucciso da ignoti. Questa circostanza biografica assunse un valore e una portata essenziali per la vita di Pascoli anche da adulto, significando simbolicamente la rottura di un momento felice di serenità e reciproca accoglienza. Il “nido” viene da lui proposto con accezioni sempre positive, viene sempre desiderato e sognato, anche se, purtroppo, esso andò disperso e frantumato. Nel Gelsomino notturno il nido viene alluso ai versi 7-8 e 15-16. Molto significativa l’immagine della Chioccetta: questo nome popolare evoca l’immagine della chioccia-madre con i suoi pulcini; ma qui non si tratta di pulcini, bensì di stelle! Il fanciullo-poeta le osserva come se fossero altrettanti pulcini che vanno a spasso per il cielo (“l’aia azzurra”) protetti dalla mamma-chioccia. 2.4.
Analizza ora il linguaggio del testo. Metti in luce, in particolare, le immagini che ritieni più significative e spiegane il significato. Tutti i contenuti scaturiscono come se emergessero dalle varie sensazioni del poeta-fanciullo: anche la sintassi e le immagini del testo dipendono da questa impostazione di fondo. La costruzione delle frasi, come ho detto, è semplice, paratattica: è il modo più immediato e meno intellettuale di condurre un discorso. Dietro tutte le immagini, però, lavora con sapienza il poeta. Per esempio Pascoli dice al v. 6 che una casa bisbiglia, fa nascere una ricca simbologia, in cui troviamo una personificazione (la casa che bisbiglia, come fosse una creatura vivente) e anche una metonimia: infatti, a “bisbigliare”, di per sé, non è la casa, ma sono i suoi abitanti. Un’altra immagine significativa è l’odore di fragole rosse (v. 10): qui incontriamo il procedimento della sinestesia, perché una sensazione olfattiva (“l’odore di fragole”) viene accostata a una sensazione visiva (“fragole rosse”). In tal modo sono mescolati e confusi i piani sensoriali, proprio come avviene alle percezioni infantili dei bambini. La frase “nasce l’erba sopra le fosse” (v. 12) è invece un ossimoro, perché la nuova vita (“nasce l’erba”) trae nutrimento dalla morte (“sopra le fosse”). Legato al piano della morte è anche il vocabolo “urna” (v. 23): in senso denotativo, esso indica la parte del fiore dove si formeranno i semi da cui nasceranno nuovi fiori; ma urna è anche sinonimo di “tomba” e dunque la parola acquista un valore connotativo di richiamo alla morte. Vita e morte convivono in questo componimento e si confondono, come se non fosse possibile distinguere bene l’una dall’altra. Infine Pascoli usa volentieri vocaboli di tipo onomatopeico: con il loro valore fonico, essi riescono a dare al testo ulteriori significati, legati proprio al valore evocativo della parola. In questa lirica incontriamo “bisbiglia”; “sussurra”; “pigolio”: tutte parole scelte dal poeta per suggerire il punto di vista del fanciullino che osserva quanto accade.
2.5. Esponi le tue considerazioni conclusive in un commento personale di sufficiente ampiezza. La lirica è un significativo esempio del simbolismo decadente pascoliano, poiché non esiste né un ordine razionale nell’esposizione di fatti e sentimenti, né una descrizione realistica della natura: oggetti, paesaggi, avvenimenti, tutto diviene simbolo di qualcos’altro. Ciò, del resto, risponde bene alla poetica che Pascoli espose nel Fanciullino: secondo l’autore, il poeta-fanciullino è colui che è capace di scoprire le meravigliose e inusitate affinità che legano fra loro gli oggetti, le forme vegetali e animali con la vita dell’uomo e i suoi sentimenti. Per scoprire tali somiglianze e consonanze non occorre affidarsi alla logica e alla razionalità bensì alla fantasia e all’intuizione. Dopo un’attenta lettura del testo, alla fine si capisce che il suo tema centrale è il matrimonio; ma la suggestione della poesia non deriva tanto da questa tematica, bensì dal modo particolare con cui essa viene evocata. Trovo molto interessante e coinvolgente questa modalità. Il poeta non descrive i fatti, i personaggi, il paesaggio, ma si limita ad accumulare sensazioni; riesce così a costruire un discorso sempre imprevedibile, a suscitare emozioni inattese, senza dare la possibilità al lettore di razionalizzare ciò che viene via via evocato. Perciò è impossibile interpretare il testo sulla base di ciò che esso dice sul piano denotativo: per trovare la “chiave di lettura” di questo componimento occorre spostarsi sul piano connotativo. In tal modo Pascoli mostra tutta la grande differenza che sussiste tra il linguaggio della poesia e la lingua della comunicazione quotidiana.
3. INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI Sulla base dell’analisi condotta, illustra la “visione del mondo” espressa nel testo e approfondisci la ricerca con opportuni collegamenti ad altri testi di Pascoli. Alternativamente, soffermati sul grado di attualità / inattualità dei ragionamenti di Pascoli sulla famiglia e sul matrimonio. Il tema di questa poesia è il concepimento di una nuova vita, ma noi sappiamo che Pascoli ebbe un rapporto complesso e tormentato con l’amore. Spesso, nelle sue liriche, egli allude a questo tema mediante i fiori; proprio così avviene anche nel Gelsomino notturno (e anche per es. in Digitale purpurea). Ma le allusioni di Pascoli al matrimonio e al tema dell’amore sono sempre un po’ turbate e ambigue, come se il poeta avesse timore di parlarne apertamente. Oggi queste resistenze e ambiguità producono in noi stupore e anche un po’ di ironia. In un secolo il mondo è davvero cambiato: ciò che in Pascoli produceva turbamento e reticenza, nella nostra società viene invece sbandierato e mostrato senza pudore. Forse è necessaria una via di mezzo: se era sbagliato temere di parlare di certe cose, è però anche sbagliato parlarne (o farle vedere) senza rispetto per le persone coinvolte e per il grande valore che, ancora oggi, malgrado tutto l’amore e il matrimonio posseggono.
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L’analisi del testo 4
4. Giovanni Pascoli, Nebbia
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Nascondi le cose lontane, tu nebbia impalpabile e scialba, tu fumo che ancora rampolli1, su l’alba2, da’ lampi notturni e da’ crolli d’aeree frane3!
Nascondi le cose lontane, nascondimi quello ch’è morto4! Ch’io veda soltanto la siepe 10 dell’orto, la mura5 ch’ha piene le crepe di valeriane6. Nascondi le cose lontane: le cose son ebbre di pianto! 15 Ch’io veda i due peschi, i due meli,
soltanto, che dànno i soavi lor mieli7 pel nero mio pane. Nascondi le cose lontane 20 che vogliono ch’ami e che vada! Ch’io veda là solo quel bianco di strada8, che un giorno ho da fare tra stanco don don di campane... 25 Nascondi le cose lontane, nascondile, involale9 al volo del cuore! Ch’io veda il cipresso là, solo, qui, solo quest’orto, cui presso 30 sonnecchia il mio cane. da Canti di Castelvecchio (1903)
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rampolli: scaturisci. su l’alba: sul far del giorno. aeree frane: metafora che designa i tuoni e i temporali della notte. quello ch’è morto: il tempo trascorso è morto perché non ritorna. la mura: il muro.
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valeriane: piante medicinali. mieli: frutti. quel bianco di strada: il tratto bianco di strada che, come si ricava dal verso successivo, conduce al cimitero. involale: sottraile, allontanale dal mio cuore (che potrebbe sentirne il desiderio).
Giovanni Pascoli (1857-1913) pubblicò questa lirica nel 1899 sulla rivista “Flegrea”; in seguito la inserì nella raccolta dei Canti di Castelvecchio fin dalla prima edizione del 1903. Il testo riflette un momento di stanchezza psicologica del suo autore, il quale tenta di distogliersi dal mondo, di isolarsi in un ristretto orizzonte di cose e situazioni a lui ben famigliari. Questi elementi fungono, simbolicamente, da antidoto al turbamento esistenziale e al timore della morte. 1. COMPRENSIONE DEL TESTO Riassumi in breve il contenuto informativo del testo. 2. ANALISI DEL TESTO 2.1. Quale funzione il poeta assegna alla nebbia? Cosa le chiede, perché la invoca? Rispondi sulla base del testo, definendo così, con le tue parole, il messaggio espresso dal testo. 2.2. Illustra il modo in cui Pascoli costruisce la propria visione poetica, utilizzando oggetti e presenze in forma simbolica. 2.3. Definisci lo schema metrico del componimento. Precisa inoltre quale elemento, o quali elementi, ritorna costantemente di strofa in strofa. 2.4. Soffermati sugli altri aspetti formali del componimento: illustra le sue caratteristiche lessicali, sintattiche, retoriche. 2.5. Esponi le tue considerazioni conclusive in un commento personale di sufficiente ampiezza. 3. INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI Proponi una tua interpretazione complessiva del brano e approfondiscila, sulla base dell’analisi condotta, attraverso un confronto tra questa lirica di Pascoli e altri componimenti di autori a lui precedenti e/o contemporanei o successivi.
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Svolgimento Questo svolgimento viene proposto come testo unico.
1. Riassumi in breve il contenuto informativo del testo.
2.1. Quale funzione il poeta assegna alla nebbia? Cosa le chiede, perché la invoca? Rispondi sulla base del testo, definendo così, con le tue parole, il messaggio espresso dal testo.
2.2. Illustra il modo in cui Pascoli costruisce la propria visione poetica, utilizzando oggetti e presenze in forma simbolica.
2.3. Definisci lo schema metrico del componimento. Precisa inoltre quale elemento, o quali elementi, ritorna costantemente di strofa in strofa.
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L’io lirico si rivolge alla nebbia per chiederle di sottrargli alla vista tutto quello che è lontano da lui, nel tempo e nello spazio; vuole vedere solo le cose vicine, come la siepe dell’orto, il muro con la valeriana, i peschi, i meli: un piccolo mondo noto e protettivo. Le cose lontane provocano solo dolore (“son ebbre di pianto”), perché lo costringerebbero ad abbandonare il nido dell’infanzia, dal quale si staccherà per andare, un giorno, al cimitero, accompagnato dai rintocchi soavi e stanchi delle campane. Il cuore non vuole ricordare, non vuole vedere, non vuole soffrire. Questo semplice riassunto della lirica Nebbia di Giovanni Pascoli evidenzia come, in essa, il poeta, afflitto dai dolori e dall’incertezza dell’esistenza, invochi la nebbia in quanto la ritiene un mezzo per nascondere le cose, e raggiungere così il sospirato riposo del cuore. Alla nebbia Pascoli chiede insomma una tregua al vivere, che lo protegga sia dai ricordi del passato (per lui sono memorie di lutti famigliari e di sofferenze), sia dai tetri presagi che avvolgono l’ignoto futuro. Tali contenuti sono espressi dall’autore in modo molto originale. Egli costruisce il proprio messaggio ricorrendo non a pensieri o concetti astratti, ma quasi soltanto a dati di paesaggio. Cita appena le “cose lontane”, senza precisarle; e poi mette in fila una serie di oggetti, realtà precise, isolate però l’una dall’altra: la siepe, il muro, i peschi, i meli, il cipresso. La sua tecnica compositiva consiste nel contrapporre queste presenze ravvicinate allo sfondo indeterminato delle “cose lontane”: un’immagine che racchiude il significato della lirica. Il poeta vuole rinchiudersi tra gli oggetti del paesaggio che gli erano più familiari, nel suo piccolo mondo di Castelvecchio, perché vuole respingere o escludere tutto il resto. La nebbia simboleggia uno spazio limitato di affetti domestici (che il poeta chiama il “nido”) e rappresenta, insieme, la chiusura verso più rischiose esperienze esterne. Questi contenuti vengono sottolineati dalla costruzione formale della poesia: il piano del significante è cioè al servizio dei significati del testo. Metricamente la lirica è composta da cinque sestine: quattro novenari (1º, 2º, 3º, 5º verso di ogni strofa), un breve verso di tre sillabe (il 4º di ogni strofa), infine un verso senario (6º). Il verso “Nascondi le cose lontane”, il primo della poesia, ritorna all’inizio di ogni strofa e rima sempre con l’ultimo, il verso senario che chiude ogni strofa (“d’aeree frane”; “di valeriane”; “pel nero mio pane”; “don don di campane…”; “sonnecchia il mio cane”). Queste corrispondenze interne tra strofa e strofa servono a ribadire il messaggio del testo: costruire, attraverso la forma, una barriera protettiva, che tenga fuori inquietudini, ricordi e paure incontrollabili.
L’analisi del testo 4
2.4. Soffermati sugli altri aspetti formali del componimento: illustra le sue caratteristiche lessicali…
…retoriche…
…sintattiche.
2.5. Esponi le tue considerazioni conclusive in un commento personale di sufficiente ampiezza.
3. Proponi una tua interpretazione complessiva del brano e approfondiscila, sulla base dell’analisi condotta, attraverso un confronto tra questa lirica di Pascoli e altri componimenti di autori a lui precedenti e/o contemporanei o successivi.
Sul piano del lessico, l’autore utilizza parole di ogni giorno (cose, nebbia, fumo, siepe, orto, peschi, meli), ma le mescola con termini di tono letterario, come il verbo rampollare e come l’immagine dei “crolli d’aeree frane” (quest’ultima è una raffinata metafora che suggerisce, anche onomatopeicamente, il rimbombare dei tuoni). Un ruolo particolare riveste l’espressione cose lontane, che ritorna per ben cinque volte nella poesia: nella sua indeterminatezza, essa rimanda a oscuri timori e traumi mai superati dal poeta. Si evidenziano inoltre nel testo diverse metafore. Tra queste, oltre alle frane che ho già ricordato del v. 6, vi sono le espressioni “i soavi lor mieli ”al v. 17 e “il nero mio pane” al v. 18: i mieli rappresentano il dolce conforto della poesia, mentre pane indica il nutrimento spirituale che la poesia dà, ma che non è sempre lieto. Come quasi sempre accade in Pascoli, la sintassi presenta un andamento paratattico: è ricca di coordinate (“Nascondi le cose lontane, / nascondimi quello…”; “Nascondi le cose lontane: / le cose son ebbre di pianto!”), mentre le subordinate sono rette dalla congiunzione che, la quale introduce frasi desiderative (“Ch’io veda soltanto…”; “Ch’io veda i due peschi, i due meli, / soltanto…”; “Ch’io veda là solo quel bianco / di strada…”; “Ch’io veda il cipresso / là, solo…”). Il ritmo della poesia è molto ripetitivo: serve a ribadire il messaggio fondamentale del testo, e a tradurlo nelle forme semplici e istintive del poeta-fanciullo. L’analisi formale che ho proposto conferma l’interpretazione fondamentale della lirica: il poeta esprime il desiderio di restringersi alle dimensioni del proprio piccolo mondo, di ripararsi in esso. Pascoli invoca la nebbia, ma non le chiede di aiutarlo a immaginare nuovi orizzonti e presenze; al contrario, vuole che lo aiuti a nascondere e a frenare la fantasia. La nebbia, insomma, deve chiudere la strada all’immaginazione, tarpare i voli della poesia e mettere a tacere la memoria. Questa funzione attribuita alla nebbia allontana moltissimo Pascoli dai poeti romantici dell’Ottocento: il poeta non canta più grandi passioni e orizzonti infiniti; sceglie il finito al posto dell’infinito. In particolare si può operare un confronto con Leopardi, visto che il verso 9, Ch’io veda soltanto la siepe, costituisce una ripresa della lirica più famosa di Leopardi, L’infinito. Tale confronto fa emergere le profonde differenze tra i due poeti. Per Leopardi la poesia deve condurre nella fantastica evasione fra gli “interminati spazi” e i “sovrumani silenzi” di là della siepe; invece Pascoli sente la paura dell’infinito, che costituisce per lui un’avventura troppo rischiosa. Infatti Pascoli percepisce come insidia e minaccia ciò che sta oltre il recinto del suo piccolo mondo familiare. Tutto diverso l’atteggiamento del poeta romantico, che fa uno sforzo quasi sovrumano per superare la siepe, cioè i limiti oppostigli dalla realtà oggettiva, per riuscire a raggiungere, con l’immaginazione, un infinito che è al di là di quell’ostacolo. Pascoli invece, tende a
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fuggire dalla vita e utilizza la nebbia come uno schermo difensivo contro la realtà esterna. Questa dimensione della fuga dalla vita è comune a Pascoli come agli altri autori del decadentismo. Ma ci sono forti differenze tra questi ultimi: Baudelaire sogna paesi esotici dove tutto è bellezza, ordine, perfezione; Rimbaud, altro grande poeta decadente, si abbandona nel Battello ebbro a una sequenza di visioni meravigliose; infine D’Annunzio evade dalla realtà quotidiana nel grande corpo della natura, in cui vuole immergersi sensualmente, fino a perdere la propria identità (come dice nelle liriche di Alcyone). Pascoli invece tende a fuggire dalla vita adulta, per rifugiarsi nel mondo, piccolo ma rassicurante, dell’infanzia, dove ogni cosa è nota e familiare. In Nebbia immagina a un certo punto di fuggire nella morte (raffigurata, simbolicamente, nel bianco di strada che porta al cimitero, tra i rintocchi lenti delle campane). Ecco la meta a cui conduce il suo desiderio di evasione dalla fatica di vivere. La scelta pascoliana sarà replicata dai poeti crepuscolari, interessati proprio agli aspetti minori della realtà e del tutto distanti dai grandi orizzonti dei romantici o dall’estetismo di D’Annunzio.
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L’analisi del testo 5
5. Italo Svevo, da Senilità (1898) Subito, con le prime parole che le rivolse, volle avvisarla che non intendeva compromettersi in una relazione troppo seria. Parlò cioè a un dipresso1 così: - T’amo molto e per il tuo bene desidero ci si metta d’accordo di andare molto cauti. - La parola era tanto prudente ch’era difficile di crederla detta per amore altrui, e un po’ più franca avrebbe dovuto suonare così: - Mi piaci molto, ma nella mia vita non potrai essere giammai più importante di un giocattolo. Ho altri doveri io, la mia carriera, la mia famiglia. La sua famiglia? Una sola sorella non ingombrante né fisicamente né moralmente, piccola e pallida, di qualche anno più giovane di lui, ma più vecchia per carattere o forse per destino. Dei due, era lui l’egoista, il giovane; ella viveva per lui come una madre dimentica2 di se stessa, ma ciò non impediva a lui di parlarne come di un altro destino importante legato al suo e che pesava sul suo, e così, sentendosi le spalle gravate di tanta responsabilità, egli traversava la vita cauto, lasciando da parte tutti i pericoli ma anche il godimento, la felicità. A trentacinque anni si ritrovava nell’anima la brama insoddisfatta di piaceri e di amore, e già l’amarezza di non averne goduto, e nel cervello una grande paura di se stesso e della debolezza del proprio carattere, invero piuttosto sospettata che saputa per esperienza. La carriera di Emilio Brentani era più complicata perché intanto si componeva di due occupazioni e due scopi ben distinti. Da un impieguccio di poca importanza presso una società di assicurazioni, egli traeva giusto il denaro di cui la famigliuola abbisognava. L’altra carriera era letteraria e, all’infuori di una riputazioncella, - soddisfazione di vanità più che d’ambizione - non gli rendeva nulla, ma lo affaticava ancor meno. Da molti anni, dopo di aver pubblicato un romanzo lodatissimo dalla stampa cittadina, egli non aveva fatto nulla, per inerzia non per sfiducia. Il romanzo, stampato su carta cattiva, era ingiallito nei magazzini del libraio, ma mentre alla sua pubblicazione Emilio era stato detto3 soltanto una grande speranza per l’avvenire, ora veniva considerato come una specie di rispettabilità letteraria che contava nel piccolo bilancio artistico della città. La prima sentenza non era stata riformata, s’era evoluta. Per la chiarissima coscienza ch’egli aveva della nullità della propria opera, egli non si gloriava del passato, però, come nella vita così anche nell’arte, egli credeva di trovarsi ancora sempre nel periodo di preparazione, riguardandosi nel suo più segreto interno come una potente macchina geniale in costruzione, non ancora in attività. Viveva sempre in un’aspettativa non paziente, di qualche cosa che doveva venirgli dal cervello, l’arte, di qualche cosa che doveva venirgli di fuori, la fortuna, il successo, come se l’età delle belle energie per lui non fosse tramontata. Angiolina, una bionda dagli occhi azzurri grandi, alta e forte, ma snella e flessuosa, il volto illuminato dalla vita, un color giallo di ambra soffuso di rosa da una bella salute, camminava accanto a lui, la testa china da un lato come piegata dal peso del tanto oro che la fasciava, guardando il suolo ch’ella ad ogni passo toccava con l’elegante ombrellino come se avesse voluto farne scaturire un commento alle parole che udiva. Quando credette di aver compreso disse: - Strano - timidamente guardandolo sottecchi. - Nessuno mi ha mai parlato così. - Non aveva compreso e si sentiva lusingata al vederlo assumere un ufficio4 che a lui non spettava, di allontanare da lei il pericolo. L’affetto ch’egli le offriva ne ebbe l’aspetto di fraternamente dolce5. Fatte quelle premesse, l’altro si sentì tranquillo e ripigliò un tono più adatto alla circostanza. Fece piovere sulla bionda testa le dichiarazioni liriche che nei lunghi anni il suo desiderio aveva maturate e affinate, ma, facendole, egli stesso le sentiva rinnovellare6 e ringiovanire come se fossero nate in quell’istante, al calore dell’occhio azzurro di Angiolina. Ebbe il sentimento che da tanti anni non aveva provato, di comporre, di trarre dal proprio intimo idee e parole: un sollievo che dava a quel momento della sua vita non lieta, un aspetto strano, indimenticabile, di pausa, di pace. La donna vi entrava! Raggiante di gioventù e bellezza ella
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doveva illuminarla tutta facendogli dimenticare il triste passato di desiderio e di solitudine e promettendogli la gioia per l’avvenire ch’ella, certo, non avrebbe compromesso. Egli s’era avvicinato a lei con l’idea di trovare un’avventura facile e breve, di quelle che egli aveva sentito descrivere tanto spesso e che a lui non erano toccate mai o mai degne di essere ricordate. Questa s’era annunziata proprio facile e breve. L’ombrellino era caduto in tempo per fornirgli un pretesto di avvicinarsi ed anzi - sembrava malizia! - impigliatosi nella vita trinata7 della fanciulla, non se n’era voluto staccare che dopo spinte visibilissime. Ma poi, dinanzi a quel profilo sorprendentemente puro, a quella bella salute - ai rétori8 corruzione e salute sembrano inconciliabili - aveva allentato il suo slancio, timoroso di sbagliare e infine s’incantò ad ammirare una faccia misteriosa dalle linee precise e dolci, già soddisfatto, già felice. Ella gli aveva raccontato poco di sé e per quella volta, tutto compreso del9 proprio sentimento, egli non udì neppure quel poco. Doveva essere povera, molto povera, ma per il momento - lo aveva dichiarato con una certa quale superbia - non aveva bisogno di lavorare per vivere. Ciò rendeva l’avventura anche più gradevole, perché la vicinanza della fame turba là dove ci si vuol divertire. Le indagini di Emilio non furono dunque molto profonde ma egli credette che le sue conclusioni logiche, anche poggiate su tali basi, dovessero bastare a rassicurarlo. Se la fanciulla, come si sarebbe dovuto credere dal suo occhio limpido, era onesta, certo non sarebbe stato lui che si sarebbe esposto al pericolo di depravarla10; se invece il profilo e l’occhio mentivano, tanto meglio. C’era da divertirsi in ambedue i casi, da pericolare11 in nessuno dei due. 1 2 3 4 5 6
a un dipresso: all’incirca. dimentica: incurante. detto: definito. ufficio: compito. ne ebbe l’aspetto di fraternamente dolce: sembrò dolce come quello di un fratello. rinnovellare: rinnovarsi.
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trinata: ricoperta di trine e merletti, secondo la moda del tempo. ai rétori: ai letterati come Emilio. compreso del: preso dal. depravarla: corromperla. pericolare: correre dei pericoli, rischiare.
Italo Svevo, pseudonimo di Aron Hector Schmitz (Trieste, 1861 – Motta di Livenza, Treviso, 1928), fece studi commerciali e si impiegò presto in una banca. Nel 1892 pubblicò il suo primo romanzo, Una vita. Risale al 1898 la pubblicazione del secondo romanzo, Senilità. Malgrado l’insuccesso, esso costituisce uno dei primi romanzi psicologici della letteratura italiana. Il brano proposto è la prima pagina dell’opera. 1. COMPRENSIONE DEL TESTO Riassumi in max 10 righe il contenuto informativo del testo. 2. ANALISI DEL TESTO 2.1. Fin dalle prime righe Senilità mostra un modo di narrare ben diverso da quello della tradizionale narrativa ottocentesca: spiega in che senso. 2.2. Nella pagina d’esordio del romanzo emerge il ritratto dei due protagonisti: tratteggiane le diverse fisionomie con le tue parole. 2.3. Il brano rivela un’opposizione tematica di fondo tra “pericoli” e godimenti. Rintracciala nel testo e commentala. 2.4. Un altro tema che emerge nel brano è quello del rapporto tra letteratura, malattia e salute. Illustralo, con riferimenti anche ad altre opere di Svevo. 2.5. In questo brano il narratore mantiene il tradizionale distacco narrativo rispetto al suo protagonista, oppure “entra” in quale modo nel racconto? Rispondi con concreti riferimenti al testo. 3. INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI Sulla base dell’analisi condotta, proponi una tua interpretazione complessiva del brano e approfondiscila con opportuni collegamenti ad altri testi di Svevo o a testi di altri autori. In alternativa, soffermati sul grado di attualità / inattualità dei ragionamenti di Svevo sul ruolo dell’uomo e della donna nella società.
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L’analisi del testo 5
Svolgimento 1. COMPRENSIONE DEL TESTO Riassumi in max 10 righe il contenuto informativo del testo. Un uomo (Emilio) inizia una relazione sentimentale con una giovane donna del popolo (Angiolina). A 35 anni Emilio non ha ancora conosciuto l’amore e questo lo amareggia. Lavora come impiegato, ma coltiva anche la letteratura, a cui affida – senza successo, però – le sue speranze di riscatto. Lui stesso è consapevole della propria pochezza come autore letterario; è insoddisfatto di sé, vive in attesa di qualcosa che non arriva mai. Angiolina lo colpisce perché vede in lei forza, salute, sicurezza, tutto ciò che manca a lui. In realtà è la ragazza che prende l’iniziativa, ma Emilio neppure se ne accorge: egli è convinto della propria superiorità, ma fin dall’inizio cade nella rete della ragazza e s’innamora di lei. Angiolina gli racconta di essere povera, ma anche che non deve lavorare per vivere: ciò rassicura Emilio. Per lui l’occhio limpido della ragazza è una garanzia; si convince che da quella relazione potrà ricavare solo divertimento.
2. ANALISI DEL TESTO 2.1.
Fin dalle prime righe Senilità mostra un modo di narrare ben diverso da quello della tradizionale narrativa ottocentesca: spiega in che senso. Il racconto si apre subito senza premesse o presentazioni dall’esterno. Il lettore vede in azione Emilio e Angiolina, li ascolta parlare, ne vede analizzati i pensieri e i sentimenti profondi, senza sapere nulla dell’uno né dell’altra e senza conoscerne neppure i nomi (Emilio verrà nominato per la prima volta al rigo 15, Angiolina al rigo 30). È un inizio molto moderno, perché scava subito nelle pieghe dell’animo dei personaggi. Molto diverso era, per esempio, il principio dei Promessi Sposi, in cui Manzoni forniva al lettore un dettagliato quadro geografico e storico prima di mostrare in azione il suo primo personaggio, don Abbondio.
2.2.
Nella pagina d’esordio del romanzo emerge il ritratto dei due protagonisti: tratteggiane le diverse fisionomie con le tue parole. Emilio viene descritto dal narratore, il quale ne mette in evidenza tutte le contraddizioni, gli autoinganni, le ambiguità morali. Per esempio egli dice di consigliare cautela ad Angiolina per il “bene” di lei, ma in realtà pensa solo al proprio interesse, perché non si vuole compromettere troppo con Angiolina e punta ad avere con lei soltanto “un’avventura facile e breve”. Come il precedente protagonista di Una vita, Alfonso Nitti, Emilio è un intellettuale, ma utilizza la letteratura e la filosofia non per conoscere l’anima profonda delle cose, ma o come strumenti utilitaristici (qui, per esempio, usa le “dichiarazioni liriche” come mezzo di seduzione) oppure come mezzi per allontanarsi dalla realtà, come una barriera, per proteggersi dal contatto diretto con le cose e con le passioni. Emilio in realtà è un debole e questa strategia si rivelerà perdente, come vedremo dal seguito del romanzo, ma come possiamo intuire già in questo primo capitolo. A differenza di Emilio, Angiolina non viene descritta direttamente dal narratore: la sua presentazione giunge al lettore attraverso lo sguardo di Emilio, filtrata dal punto di vista di lui. Emilio la vede non per come ella è in realtà (una ragazza spregiudicata che ha fatto cadere a bella posta l’ombrellino per attirare la sua attenzione), ma come un simbolo di salute, contrapposto alla propria debolezza. Emilio vorrebbe essere uno spregiudicato dongiovanni, ma non ci riesce: idealizza la ragazza e finisce così per comportarsi come un romantico, cioè come un letterato.
2.3.
Il brano rivela un’opposizione tematica di fondo tra “pericoli” e godimenti. Rintracciala nel testo e commentala. Il primo capitolo del romanzo mostra l’opposizione di fondo che cova nell’animo di Emilio. Da un lato egli è cauto, timoroso dei pericoli, ha “paura di se stesso e della debolezza del proprio carattere”: è cioè un teorista, proprio com’era Alfonso Nitti di Una vita. Dall’altro lato, però, Emilio vive un forte desiderio di “godimento” e di “felicità”. Si è dato troppo, fino ad allora, alla vita intellettuale e vuole adesso appagare la sua “brama insoddisfatta di piaceri e di amore”. Questa contrapposizione ritorna ancora alla fine del testo, dove si legge: “C’era da divertirsi in ambedue i casi, da pericolare in nessuno dei due”. In realtà, nel seguito del romanzo, l’opposizione rimarrà irrisolta; Emilio rimarrà un teorista incapace di vivere davvero (come si mostrerà capace, invece, il suo amico Stefano Balli).
2.4.
Un altro tema che emerge nel brano è quello del rapporto tra letteratura, malattia e salute. Illustralo, con riferimenti anche ad altre opere di Svevo. Le ambizioni insoddisfatte di Emilio fanno parte del suo carattere di letterato, di rétore, come dice Svevo. Malgrado i suoi sforzi, Emilio non riesce a vivere un’esistenza piena e spensierata; rimane prigioniero della letteratura, proprio come accadeva ad Alfonso Nitti in Una vita. Letteratura e malattia coincidono: la letteratura, che tiene lontani dalla realtà, è l’arma (o la condanna) dei deboli e degli inetti. Alfonso ed Emilio ne sono consapevoli, ma non ne possono guarire.
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Questo tema della coincidenza di letteratura e malattia costituisce, in Svevo, un’accusa rivolta al dannunzianesimo, allora molto in voga, che enfatizzava l’arte e la letteratura. Un superamento di queste posizioni si avrà nella Coscienza di Zeno. Nel suo terzo romanzo, infatti, Svevo esprimerà una paradossale difesa della malattia (siamo tutti malati, perché la malattia è la vita umana) e, quindi, una critica della salute e della normalità, viste come autoinganni o adeguamenti alla morale piccolo-borghese. Il nevrotico Zeno si ribellerà alle leggi e alle convenzioni borghesi e otterrà una sua (parziale) vittoria. Anche la letteratura verrà parzialmente riabilitata, ma solo a prezzo di perdere qualsiasi sublimità. Diverrà infatti una forma di igiene o di autoterapia (scrivere qualcosa ogni giorno serve a conoscersi un po’ meglio): una meta molto lontana dal dannunzianesimo imperante. 2.5.
In questo brano la voce narrante mantiene il tradizionale distacco narrativo rispetto al suo protagonista, oppure “entra” in quale modo nel racconto? Rispondi con concreti riferimenti al testo. Il testo mostra l’intrusione continua, all’interno della narrazione, della voce narrante: siamo all’opposto dell’“oggettività” raccomandata dai veristi, malgrado la data di pubblicazione di Senilità (1898) sia ancora molto vicina ai modelli di Verga (Mastro don Gesualdo, per esempio, era uscito neppure dieci anni prima, nel 1889; I vicerè di De Roberto nel 1894 e Il marchese di Roccaverdina di Capuana nel 1901). Ciò conferma la grande modernità di Svevo. Già nel primo capoverso incontriamo una precisazione da parte del narratore: “avrebbe dovuto suonare così”. Questa frase è un commento con il quale l’autore riprende un’affermazione di Emilio (“Ho altri doveri.., la mia famiglia”. “La sua famiglia?”) per discuterla e mostrarne la pretestuosità. Dunque Emilio invita alla cautela Angiolina non per altruismo, come vorrebbe farci credere (e come dice a se stesso), ma per egoismo e anche per difesa dei valori borghesi della “carriera” e della “famiglia” (non si vuole compromettere troppo in un’avventuretta sentimentale). Ora, dopo l’intervento della voce narrante, il quadro per i lettori diventa più ricco, e anche più ambiguo e sfuggente di come non appaia a prima vista. Il romanzo psicologico tende sempre a mostrare l’“altro” lato da cui guardare le cose e, quindi, contraddice e complica i dati che emergono alla superficie. Lungo il testo s’instaura una specie di dialogo tra il narratore e il protagonista. Emergono precisazioni come l’espressione (nel secondo paragrafo) “invero piuttosto sospettata che saputa per esperienza”, in cui risalta l’intervento della voce narrante: questa offre a Emilio come delle provocazioni, perché il personaggio possa analizzarsi meglio. Più avanti il narratore ricorre all’ironia, dove Emilio si rallegra che Angiolina, pur povera, non abbia bisogno di lavorare. Si legge infatti: “Ciò rendeva l’avventura anche più gradevole, perché la vicinanza della fame turba là dove ci si vuole divertire”. Il perché del narratore smaschera le vere intenzioni di Emilio, che si rallegra non per generosità, ma per interesse personale. Tutti questi elementi spezzano l’oggettività della narrazione, per dare spazio all’auto-analisi che avviene nella coscienza del personaggio. Senilità avvia un percorso che poi troverà nuovi sviluppi, grazie alla psicoanalisi, nella Coscienza di Zeno.
3. INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI Sulla base dell’analisi condotta, proponi una tua interpretazione complessiva del brano e approfondiscila con opportuni collegamenti ad altri testi di Svevo o a testi di altri autori. In alternativa, soffermati sul grado di attualità / inattualità dei ragionamenti di Svevo sul ruolo dell’uomo e della donna nella società. Leggendo questo brano ho incontrato aspetti molto lontani dalla società e dalla mentalità di oggi. Soprattutto il rapporto uomo-donna è cambiato rispetto ai tempi di Svevo: nel testo, per esempio, appare con chiarezza che, intraprendendo una relazione con un uomo, una donna non sposata corre dei rischi sulla sua onorabilità (se scoperta, cioè, gli altri la giudicheranno una donna “facile” e immorale), mentre, dall’altra parte, un uomo che intraprende una relazione con una donna non sposata corre rischi rispetto alla sua carriera. Un’altra spia di diversità sta nel fatto che nell’ultimo capoverso del testo riportato si dice chiaramente che, se una donna è costretta a lavorare, lo fa non per libera scelta, ma perché spinta dal bisogno e dalla povertà. Anche questo aspetto è molto lontano, per fortuna, dalla nostra società e mentalità. Riflettendo più a fondo, però, ritengo che la lettura di questo testo sia comunque utile. In primo luogo esso è un documento storico: riflette una condizione diversa dalla nostra, ma con la quale è bene che anche noi ci confrontiamo. In secondo luogo trovo assai positivo l’atteggiamento di fondo di Svevo. Egli analizza la psicologia dei suoi personaggi anche per smascherarne l’ipocrisia, la falsità, l’egoismo di fondo che li muove. Questo inizio di Senilità tratta un unico, grande tema, cioè l’egoismo di Emilio (egoismo nascosto da lui, ma reale): per giustificare le sue scelte, egli adduce ragioni che, a ben guardare, sono false. Questo aspetto mi sembra molto attuale, perché su ciò le cose non sono cambiate dal 1898 a oggi. In fondo la letteratura è un mezzo prezioso per porci domande, per farci riflettere sulla verità dei nostri atteggiamenti e per mostrarci l’“altra” faccia della verità, che è sempre più complessa di come appare.
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6. Italo Svevo, La coscienza di Zeno (Prefazione) Io sono il dottore di cui in questa novella si parla talvolta con parole poco lusinghiere. Chi di psicoanalisi s’intende, sa dove piazzare l’antipatia che il paziente mi dedica. Di psico-analisi non parlerò perché qui entro se ne parla già a sufficienza. Debbo scusarmi di aver indotto il mio paziente a scrivere la sua autobiografia; gli studiosi di psico-analisi arricceranno il naso a 5 tanta novità. Ma egli era vecchio ed io sperai che in tale rievocazione il suo passato si rinverdisse, che l’autobiografia fosse un buon preludio alla psico-analisi. Oggi ancora la mia idea mi pare buona perché mi ha dato dei risultati insperati, che sarebbero stati maggiori se il malato sul più bello non si fosse sottratto alla cura truffandomi del frutto della mia lunga paziente analisi di queste memorie. Le pubblico per vendetta e spero gli dispiaccia. Sappia però ch’io sono pronto di dividere con lui 10 i lauti onorarii che ricaverò da questa pubblicazione a patto egli riprenda la cura. Sembrava tanto curioso di se stesso! Se sapesse quante sorprese potrebbero risultargli dal commento delle tante verità e bugie ch’egli ha qui accumulate!... Dottor S. Italo Svevo, pseudonimo di Aron Hector Schmitz (Trieste, 1861 – Motta di Livenza, Treviso, 1928), fece studi commerciali e si impiegò presto in una banca. Nel 1892 pubblicò il suo primo romanzo, Una vita. Risale al 1898 la pubblicazione del secondo romanzo, Senilità. Nel 1899 Svevo entrò nella azienda del suocero. Nel 1923 pubblicò il romanzo La coscienza di Zeno. Uscirono postumi altri scritti (racconti, commedie, scritti autobiografici, ecc.). Svevo si formò sui classici delle letterature europee. Aperto al pensiero filosofico e scientifico, utilizzò la conoscenza delle teorie freudiane nella elaborazione del suo terzo romanzo. 1. COMPRENSIONE DEL TESTO Dopo una prima lettura, riassumi il contenuto informativo del testo in non più di dieci righe. 2. ANALISI DEL TESTO 2.1. Quali personaggi entrano in gioco in questo testo? E con quali ruoli? 2.2. Quali informazioni circa il paziente si desumono dal testo? 2.3. Quale immagine si ricava del Dottor S.? 2.4. Il Dottor S. ha indotto il paziente a scrivere la sua autobiografia. Perché? 2.5. Rifletti sulle diverse denominazioni del romanzo: “novella” (r. 1), “autobiografia” (r. 4), “memorie” (r. 8). 2.6. Esponi le tue osservazioni in un commento personale di sufficiente ampiezza. 3. INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI Proponi una tua interpretazione complessiva del brano e approfondiscila con opportuni collegamenti al romanzo nella sua interezza o ad altri testi di Svevo. In alternativa, prendendo spunto dal testo proposto, delinea alcuni aspetti dei rapporti tra letteratura e psicoanalisi, facendo riferimento ad opere che hai letto e studiato.
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Svolgimento 1. COMPRENSIONE DEL TESTO Dopo una prima lettura, riassumi il contenuto informativo del testo in non più di dieci righe. Offeso per l’abbandono della terapia da parte del suo cliente Zeno Cosini, il suo psicoanalista, Dottor S., afferma di pubblicare per vendetta le memorie del suo ex paziente. Zeno, avverte il medico, parlerà di lui in modo poco positivo, ma per tale giudizio esiste una ragione precisa, prevista dalla psicoanalisi freudiana. Il medico ricorda di essere stato lui a indurre Zeno alla scrittura di queste memorie, come preludio alla vera e propria cura psicoanalitica. Dice di essere soddisfatto del risultato raggiunto, ma aggiunge che i risultati sarebbero stati migliori se il paziente non si fosse sottratto improvvisamente alla terapia, senza ricompensare adeguatamente il dottore. La prefazione al romanzo, posizionata prima che inizi il vero e proprio racconto, risulta, in sostanza, una sorta di giustificazione e di presentazione della tematica psicoanalitica affrontata nell’opera stessa. Anticipa anche la complessità davanti a cui si troverà il lettore, perché Zeno ha cosparso le sue memorie di “verità” e, insieme, di “bugie”.
2. ANALISI DEL TESTO 2.1.
Quali personaggi entrano in gioco in questo testo? E con quali ruoli? I personaggi citati sono due: colui che scrive è il fantomatico Dottor S., medico psicoanalista, che introduce il libro che andiamo a leggere quale autobiografia “rubata” al suo paziente Zeno Cosini. Di quest’ultimo si parla per il momento solo indirettamente. Ciò che risulta chiaro da queste prime righe è il fatto che esista un rapporto conflittuale tra paziente e medico: lo stesso Dottor S. afferma che, nel corso del libro, si farà riferimento a lui con termini poco ragguardevoli.
2.2.
Quali informazioni circa il paziente si desumono dal testo? Di Zeno il medico Dottor S. dice alcune cose: anzitutto sulla sua età (Zeno è anziano), e poi sulla sua curiosità di conoscere meglio se stesso, attraverso la cura. Il dottore afferma inoltre che, nella stesura della sua opera autobiografica, Zeno ha mescolato verità e menzogna. Sostiene anche che Zeno ha truffato il medico, abbandonando bruscamente la cura prima che essa fosse conclusa e, verosimilmente, senza ricompensare il dottore. Come detto prima, il Dottore presenta Zeno come persona anziana, paziente inusuale di una terapia che si è interrotta in maniera brusca e che, tuttavia, si rivelava essere una figura particolare, sostanzialmente curioso attraverso le sedute psicanalitiche che venivano effettuate.
2.3.
Quale immagine si ricava del Dottor S.? Il Dottor S. (il nome rimanda probabilmente a Sigmund Freud) si presenta come una figura professionale dedita al suo lavoro, desiderosa di discutere riguardo un caso clinico interessante e dai risvolti curiosi. Tuttavia non appare un medico particolarmente scrupoloso: non si può infatti condividere, sul piano professionale, la sua decisione di pubblicare tale biografia come vendetta per l’abbandono delle sedute psicanalitiche da parte del paziente. Infatti pubblicare le note personali redatte durante la terapia con un paziente è un fatto che contrasta l’etica professionale, che impone la segretezza delle discussioni effettuate durante le sedute. Molto discutibile è anche la sua speranza che tutto ciò dispiaccia a Zeno. Alla fin fine, il Dottor S. appare un individuo incapace di mantenere un equilibrio umano e professionale.
2.4.
Il Dottor S. ha indotto il paziente a scrivere la sua autobiografia. Perché? Il Dottor S. è uno psicoanalista: nella teoria freudiana, allora ancora da perfezionare, è molto importante ricordare gli eventi della propria vita. Ricordare costituisce, infatti, una sorta di percorso di rinascita e di catarsi, per giungere a capire la propria personalità e per elevarsi a un grado superiore d’identificazione del proprio Io. Perciò ogni terapeuta cerca d’indurre il paziente a rivivere il suo passato, da un lato in maniera oggettiva, analizzando i fatti e sviscerandoli, dall’altro cercando di ricostruire le sensazioni con cui il paziente aveva vissuto i vari episodi della propria vita.
2.5.
Rifletti sulle diverse denominazioni del romanzo: “novella” (r. 1), “autobiografia” (r. 4), “memorie” (r. 8). Il dottore parla dell’opera, riferendosi ad essa secondo tre terminologie distinte: ciò rivela fin da subito il particolare carattere del romanzo di Zeno e consente al lettore di entrare nel vivo della narrazione. In primo luogo il Dottor S. definisce il resoconto di Zeno come una “novella”: sottolinea dunque l’aspetto narrativo presente nel manoscritto del suo paziente, ma probabilmente vuole svalutarlo, visto che non lo chiama “romanzo”. Poi il Dottor. S. parla del libro come una “autobiografia”: dunque il lettore si troverà davanti a un testo che, ricostruendo il passato di Zeno, arricchirà il racconto con molte considerazioni personali e commenti. Infine, definisce l’opera quali “memorie”: ter-
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mine abbastanza vicino ad “autobiografia”, ma che sottintende un minor controllo da parte dell’autore, che lascerà fluire in modo libero i propri ricordi, mettendoli sulla carta così come affioreranno alla memoria. Le tre differenti definizioni insistono comunque sul dato soggettivo del manoscritto: il Dottor S., sempre polemico verso il suo ex cliente, intende in tal modo svalutare la veridicità di quanto Zeno afferma e mettere in guardia i lettori sull’affidabilità di ciò che leggeranno. 2.6.
Esponi le tue osservazioni in un commento personale di sufficiente ampiezza. La Prefazione della Coscienza di Zeno mi sembra un mezzo assai efficace per introdurre un’opera assai nuova e originale. Nel momento in cui il romanzo fu pubblicato (1923), la psicoanalisi muoveva i suoi primi passi; assumendo le teorie psicoanalitiche quale asse portante della narrazione, Svevo sceglieva un territorio inesplorato per la letteratura, rischioso ma anche molto promettente. Molto netta è dunque la differenza rispetto alle opere romanzate del passato. Svevo riesce così a incuriosire i lettori, stimolando il loro interesse verso una lettura che si presenta fin dall’inizio come diversa dal solito e coinvolgente. Ma la Prefazione ci prepara anche a cogliere la complessità dei punti di vista che s’incroceranno nel libro: la conflittualità medico-paziente, che risulta ben chiara in questo testo, è solo il primo dei contrasti che verranno raffigurati nel resoconto di Zeno.
3. INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI Proponi una tua interpretazione complessiva del brano e approfondiscila con opportuni collegamenti al romanzo nella sua interezza o ad altri testi di Svevo. In alternativa, prendendo spunto dal testo proposto, delinea alcuni aspetti dei rapporti tra letteratura e psicoanalisi, facendo riferimento ad opere che hai letto e studiato. La Coscienza di Zeno, di cui la Prefazione costituisce la prima pagina, è il romanzo che ha rivoluzionato gli schemi narrativi e la tecnica del racconto di tutto il Novecento italiano, ponendosi così a fianco di altri capolavori europei, come Alla ricerca del tempo perduto di Proust e come l’Ulisse di Joyce. Svevo raggiunge, nella Coscienza, l’espressione più matura della sua arte, portando a compimento le tecniche di analisi psicologica già sperimentate nei suoi precedenti romanzi, Una vita e Senilità: tra queste tecniche, spicca il monologo interiore, che incontriamo in tutti e tre i romanzi sveviani, ma che nella Coscienza di Zeno viene portato ai massimi risultati, grazie anche all’espediente di mettere per iscritto le proprie memorie su incarico del medico curante. Rispetto ai precedenti romanzi, però, nella Coscienza di Zeno si passa dalla narrazione in terza persona a quella in prima persona: ciò contribuisce a dare al testo l’aspetto di un unico, interminabile monologo interiore, attraverso cui vengono sistematicamente fatti riemergere dalla mente del protagonista ricordi, riflessioni, emozioni, luoghi e persone. Un altro aspetto essenziale di novità è dato dalla costruzione romanzesca, che non segue più un ordine rigoroso (dato, normalmente, dalla cronologia dei fatti), ma che mescola e accavalla episodi del passato vicino e lontano, intrecciandoli con i commenti che il narratore inserisce nel tempo presente della scrittura della sua autobiografia. Tutto, infatti, affiora dal punto di vista soggettivo del protagonista; quindi, non c’è più la visione onnisciente del narratore che riorganizza i dati, interni ed esterni, in una visione coerente; esiste invece il solo punto di vista di Zeno, che appare per di più inaffidabile, sia perché è trascorso molto tempo rispetto all’epoca in cui avvennero i fatti, sia perché egli tende a deformare i fatti alla luce delle sue esigenze. E così ogni episodio, nel romanzo, diviene inattendibile, ambiguo e sfaccettato: un altro grande segno di modernità letteraria, rispetto alla narrativa tradizionale e ottocentesca.
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7. Luigi Pirandello, da Il fu Mattia Pascal Subito, non tanto per ingannare gli altri, che avevano voluto ingannarsi da sé, con una leggerezza non deplorabile forse nel caso mio, ma certamente non degna d’encomio, quanto per obbedire alla Fortuna e soddisfare a un mio proprio bisogno, mi posi a far di me un altr’uomo. […] Io dovevo acquistare un nuovo sentimento della vita, senza avvalermi neppur minimamente della sciagurata esperienza del fu Mattia Pascal. […] Recisa di netto ogni memoria in me della vita precedente, fermato l’animo alla deliberazione di ricominciare da quel punto una nuova vita, io era invaso e sollevato come da una fresca letizia infantile; mi sentivo come rifatta vergine e trasparente la coscienza, e lo spirito vigile e pronto a trar profitto di tutto per la costruzione del mio nuovo io. Intanto l’anima mi tumultuava nella gioja di quella nuova libertà. Non avevo mai veduto così uomini e cose; l’aria tra essi e me s’era d’un tratto quasi snebbiata; e mi si presentavan facili e lievi le nuove relazioni che dovevano stabilirsi tra noi, poichè ben poco ormai io avrei avuto bisogno di chieder loro per il mio intimo compiacimento. Oh levità deliziosa dell’anima; serena, ineffabile ebbrezza! La Fortuna mi aveva sciolto di ogni intrico, all’improvviso, mi aveva sceverato dalla vita comune, reso spettatore estraneo della briga in cui gli altri si dibattevano ancora […] Faceva freddo, ed era imminente la pioggia, con la sera. Sotto un fanale scorsi un vecchio cerinajo, a cui la cassetta, che teneva dinanzi con una cinta a tracolla, impediva di ravvolgersi bene in un logoro mantelletto che aveva su le spalle. Gli pendeva dalle pugna strette sul mento un cordoncino, fino ai piedi. Mi chinai a guardare e gli scoprii tra le scarpacce rotte un cucciolotto minuscolo, di pochi giorni, che tremava tutto di freddo e gemeva continuamente, lì rincantucciato. Povera bestiolina! Domandai al vecchio se la vendesse. Mi rispose di sì e che me l’avrebbe venduta anche per poco, benché valesse molto: ah, si sarebbe fatto un bel cane, un gran cane, quella bestiola: - Venticinque lire... Seguitò a tremare il povero cucciolo, senza inorgoglirsi punto di quella stima: sapeva di certo che il padrone con quel prezzo non aveva affatto stimato i suoi futuri meriti, ma la imbecillità che aveva creduto di leggermi in faccia. Io intanto, avevo avuto il tempo di riflettere che, comprando quel cane, mi sarei fatto sì, un amico fedele e discreto, il quale per amarmi e tenermi in pregio non mi avrebbe mai domandato chi fossi veramente e donde venissi e se le mie carte fossero in regola; ma avrei dovuto anche mettermi a pagare una tassa: io che non ne pagavo più! Mi parve come una prima compromissione della mia libertà, un lieve intacco ch’io stessi per farle. - Venticinque lire? Ti saluto! - dissi al vecchio cerinajo. […] M’ero spassato abbastanza, correndo di qua e di là: Adriano Meis aveva avuto in quell’anno la sua giovinezza spensierata; ora bisognava che diventasse uomo, si raccogliesse in sé, si formasse un abito di vita quieto e modesto. Oh, gli sarebbe stato facile, libero com’era e senz’obblighi di sorta! Ma una casa, una casa mia, tutta mia, avrei potuto più averla? I miei denari erano pochini... Ma una casettina modesta, di poche stanze? Piano: bisognava vedere, considerar bene prima, tante cose. Certo, libero, liberissimo, io potevo essere soltanto così, con la valigia in mano: oggi qua, domani là. Fermo in un luogo, proprietario d’una casa, eh, allora: registri e tasse subito! E non mi avrebbero iscritto all’anagrafe? Ma sicuramente! E come? con un nome falso? E allora, chi sa?, forse indagini segrete intorno a me da parte della polizia... Insomma, impicci, imbrogli!... No, via: prevedevo di non poter più avere una casa mia, oggetti miei. Ma mi sarei allogato a pensione in qualche famiglia, in una camera mobiliata. Dovevo affliggermi per così poco?
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L’analisi del testo 7
L’inverno, L’inverno m’ispirava queste riflessioni malinconiche, la prossima festa di Natale che fa desiderare il tepore d’un cantuccio caro, il raccoglimento, l’intimità della casa. (dai capitoli VIII e IX) Luigi Pirandello (Girgenti 1867 - Roma 1936) ebbe il premio Nobel nel 1934. Tutta la sua produzione è percorsa dal filo rosso dell’assurdo e del tragico della condizione umana, dal contrasto tra apparenza e realtà e dallo sfaccettarsi della verità. Il brano proposto proviene dai capitoli VIII e IX de Il fu Mattia Pascal (1904), il romanzo pirandelliano più famoso. 1. COMPRENSIONE DEL TESTO Riassumi in breve il contenuto informativo del testo. 2. ANALISI DEL TESTO 2.1. Esamina il personaggio di Mattia Pascal, così come emerge dalle affermazioni del protagonista-narratore dalle sue riflessioni. Analizzando i concetti chiave del brano, ricostruisci i caratteri e la psicologia del personaggio. 2.2. Evidenzia, in questo brano, i caratteri dello stile e le tecniche letterarie utilizzate dall’autore, mettendole in rapporto alla poetica pirandelliana. 3. INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI 3.1. Questa pagina mette a fuoco la progressiva presa di coscienza dell’idea di libertà. Il protagonista, all’inizio, la assapora con gusto, salvo poi scoprirne i limiti e gli inganni. Illustra questo e altri temi che emergono dal testo, mettendo in luce quale sia, complessivamente, il messaggio dell’autore. 3.2. Il personaggio di Mattia Pascal è uno dei tipici inetti protagonisti di molti romanzi di primo Novecento. Confronta Mattia con le altre figure di inetti emergenti in autori contemporanei di Pirandello.
Svolgimento 1. COMPRENSIONE DEL TESTO Riassumi in breve il contenuto informativo del testo. Mattia Pascal ha appena deciso di farsi passare per morto e dunque adesso si pone d’impegno a costruire il suo nuovo “io”: Adriano Meis. All’inizio questa operazione lo rinfranca: la gioia di quella recuperata libertà gli fa assaporare un nuovo gusto della vita. Fin dall’inizio, intanto, il personaggio si sente “spettatore estraneo” della vita degli altri, che egli osserva, ma a cui, di fatto, non partecipa. Lo si vede nel momento in cui vorrebbe acquistare da un anziano venditore ambulante un cucciolo, ma poi si trattiene, al pensiero che con quell’acquisto si impegnava a pagare in futuro una tassa allo Stato: e così rinuncia, per non intaccare la propria libertà. Più avanti riflette sul fatto che non potrà neppure più avere una casa sua, oggetti di proprietà ecc. Decide di chiedere ospitalità a qualche famiglia, affittando una stanza: ma ormai il suo stato d’animo è diventato malinconico.
2. ANALISI DEL TESTO 2.1.
Esamina il personaggio di Mattia Pascal, così come emerge dalle affermazioni del protagonista-narratore e dalle sue riflessioni. Analizzando i concetti chiave del brano, ricostruisci i caratteri e la psicologia del personaggio. Il personaggio aspira alla libertà, e inizialmente s’illude di possederla (“gli sarebbe stato facile, libero com’era e senz’obblighi di sorta!”, dice del suo nuovo “io”). Tutta la prima parte del brano s’intona alla “fresca letizia” che accompagna, in lui, l’illusione della liberazione. Prende perciò le distanze dall’“io” precedente (“... senza avvalermi neppur minimamente della sciagurata esperienza del fu Mattia Pascal”), mescolando nella propria coscienza il “vecchio” Mattia con il “nuovo” Adriano (“Adriano Meis aveva avuto in quell’anno la sua giovinezza spensierata”). In realtà però, come si scopre più avanti, Mattia non ha in se stesso la forza di essere realmente libero. Infatti desidera la normalità, vagheggia un Natale secondo le tradizioni, gli piacerebbe avere una casa tutta sua… Sono altrettanti sintomi del bisogno del personaggio di conformarsi alle norme sociali, e della sua incapacità di vivere al di fuori di esse. Ora che è divenuto Adriano Meis, insomma, Mattia desidererebbe rientrare nel gioco comune delle regole del perbenismo borghese; questa è forse una “normalità” difficile da tollerare, ma, in fondo, gli appare calda e rassicurante. Lo stesso desiderio di acquistare il cagnolino ci rivela tutta la solitudine in cui Mattia è sprofondato dopo il “suicidio” del suo “io” precedente e il bisogno, insoddisfatto, di compagnia. Alla fin fine il personaggio pirandelliano
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viene a incarnare il dramma dell’uomo moderno, che si sente estraneo in un mondo che non capisce e che non riesce né a dominare né a vivere con serenità. 2.2.
Evidenzia, in questo brano, i caratteri dello stile e le tecniche letterarie utilizzate dall’autore, mettendole in rapporto alla poetica pirandelliana. La tecnica narrativa fondamentale usata da Pirandello è quella del monologo interiore: il personaggio ragiona con se stesso e porta alla luce i suoi pensieri, che comunica con immediatezza al lettore. Il racconto viene condotto dal narratore interno, il quale ricorda e, contemporaneamente, commenta i fatti di cui è stato protagonista. Il narratore è il protagonista stesso che, retrospettivamente, affida la propria esperienza alla scrittura, focalizzando l’attenzione sull’io, ovvero su se stesso in qualità di protagonista della vicenda vissuta. Nella narrazione s’inframmezzano frequenti pause e riflessioni, in alcuni casi piuttosto estese. Il lessico appare comune ed essenziale; non ci sono accensioni retoriche, momenti lirici o immagini, a eccezione della parte iniziale, in cui l’illusione della riconquistata libertà suggerisce a Mattia-Adriano qualche tocco di colore (“Non avevo mai veduto così uomini e cose; l’aria tra essi e me s’era d’un tratto quasi snebbiata […] Oh levità deliziosa dell’anima; serena, ineffabile ebbrezza!”). Per il resto, prevale una prosa grigia e monotona, immagine del grigiore della vita.
3. INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI 3.1.
Questa pagina mette a fuoco la progressiva presa di coscienza dell’idea di libertà. Il protagonista, all’inizio, la assapora con gusto, salvo poi scoprirne i limiti e gli inganni. Illustra questo e altri temi che emergono dal testo, mettendo in luce quale sia, complessivamente, il messaggio dell’autore. Attraverso la fallimentare esperienza di Mattia Pascal, Pirandello ritrae nel romanzo il sogno di un’evasione impossibile, il desiderio irrealizzabile di raggiungere un’identità che non sia quella imposta dal destino. La vita di ogni persona è infatti governata da vicende incontrollabili: è in balìa di convenzioni sociali, rigide e anonime, che imbrigliano ogni anelito di libertà. La fuga non serve, poiché per riscattare la vita non ci sono sbocchi o alternative reali. Quello di Mattia è dunque un tentativo fallito in partenza. Lo vediamo anche in questo brano, nel quale inizialmente Mattia manifesta tutta la sua gioia, derivante dal fatto che la Fortuna gli ha imprevedibilmente spalancato le porte della libertà (“La Fortuna mi aveva sciolto di ogni intrico, all’improvviso, mi aveva sceverato dalla vita comune”). Al tema del caso, qui espresso nel riferimento alla Fortuna, segue ben presto il motivo dell’inettitudine, che per Mattia-Adriano è incapacità di sfuggire alle convenzioni sociali ed alle molte trappole della vita comune. Ecco, allora, l’episodio del cagnolino, che dimostra quanto sia difficile, addirittura insostenibile, la scelta di vivere liberi. Lo rivela la successiva riflessione del personaggio: “E non mi avrebbero iscritto all’anagrafe? Ma sicuramente! E come? con un nome falso? E allora, chi sa?, forse indagini segrete intorno a me da parte della polizia... Insomma, impicci, imbrogli!...”. Dunque non è cambiando nome o viaggiando o prendendo dimora “a pensione” che Mattia, trasformato in Adriano, potrà liberarsi veramente dalle insidie dell’esistenza; la sua illusione di libertà si scontra con una realtà sociale che esige un prezzo da pagare. La scelta di cambiare nome e identità, alla fine, si rivela illusoria: sia sotto le vesti di Mattia Pascal, sia sotto quelle di Adriano Meis, l’io narrante rimane vittima della desolata condizione umana, alla quale non ha né la forza né le possibilità di sfuggire. È il messaggio dell’autore.
3.2.
Il personaggio di Mattia Pascal è uno dei tipici inetti protagonisti di molti romanzi di primo Novecento. Confronta Mattia con le altre figure di inetti emergenti in autori contemporanei di Pirandello. Nella vicenda di Mattia Pascal viene simbolicamente riassunto il destino fallimentare di un’intera generazione, disorientata dinnanzi agli interrogativi dell’esistenza, incapace di guidare il corso della propria vita. Pertanto, Mattia è un emblema del disagio intellettuale del primo Novecento e dei suoi uomini “senza qualità” o “inetti”. La loro inettitudine si manifesta in forme diverse in molte opere letterarie di primo Novecento. Già l’Andrea Sperelli di D’Annunzio è un “inetto”. Il suo romanzo Il piacere, pubblicato nel 1889, narra l’esperienza di un personaggio immerso in un vuoto quanto illusorio estetismo: alla fine Andrea smarrisce il contatto con la realtà, non riesce più a vivere una dimensione appagante come l’amore, e si autocondanna alla solitudine, raffinata ma non meno tragica, pur se si circonda di oggetti lussuosi e di esperienze fuori dal comune. Invece i personaggi di Italo Svevo sono pienamente “inetti”, perché soffrono di una vera malattia della volontà. La causa è l’enorme distanza che, in loro, separa volere e non volere, fra salute e malattia. Sia Alfonso Nitti in Una vita, sia Emilio Brentani in Senilità sono privi di un’identità stabile: vivono nell’incertezza, trascinati dalle vicende della vita, che credono di poter dominare. Sono appunto degli “inetti”, che s’ingannano con falsi alibi esistenziali. Migliore il destino di Zeno Cosini, protagonista della Coscienza di Zeno. Egli accetta i propri limiti con sorridente ironia: alla fin fine, impara a sopravvivere a se stesso. Secondo Svevo, questo è il traguardo a cui può aspirare chi riesce a dotarsi di consapevolezza (la coscienza del titolo). Sono “inetti” anche i personaggi di Thomas Mann (emblematico il caso di Hanno Buddenbrook, protagonista dell’omonimo romanzo) e di Kafka: questo autore tratteggia storie surreali, come quella di Gregor Samsa nel racconto La metamorfosi, o come la storia di Josef K, protagonista del romanzo Il processo, per mostrarci come l’individuo sia afferrato, nella vita comune, dall’assurdo, che infine inghiotte la sua personalità, senza lasciargli vie di scampo.
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L’analisi del testo 8
8. Luigi Pirandello, da Il piacere dell’onestà (Atto I, scena VIII) [in scena: BALDOVINO, FABIO]
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BALDOVINO (seduto, s’insella le lenti su la punta del naso e, reclinando indietro il capo) Le chiedo, prima di tutto, una grazia. FABIO Dica, dica... BALDOVINO Signor marchese, che mi parli aperto. FABIO Ah, sì, sì... Anzi, non chiedo di meglio. BALDOVINO Grazie. Lei forse però non intende questa espressione “aperto”, come la intendo io. FABIO Ma... non so... aperto... con tutta franchezza... E poiché Baldovino, con un dito, fa cenno di no: ...E come, allora? BALDOVINO Non basta. Ecco, veda, signor marchese: inevitabilmente, noi ci costruiamo. Mi spiego. Io entro qua, e divento subito, di fronte a lei, quello che devo essere, quello che posso essere - mi costruisco - cioè, me le presento¹ in una forma adatta alla relazione che debbo contrarre con lei. E lo stesso fa di sé anche lei che mi riceve. Ma, in fondo, dentro queste costruzioni nostre messe così di fronte, dietro le gelosie² e le imposte, restano poi ben nascosti i pensieri nostri più segreti, i nostri più intimi sentimenti, tutto ciò che siamo per noi stessi, fuori delle relazioni che vogliamo stabilire. - Mi sono spiegato? FABIO Sì, sì, benissimo... Ah, benissimo! [...] BALDOVINO Comincio io, allora, se permette, a parlarle aperto. - Provo da un pezzo, signor marchese - dentro - un disgusto indicibile delle abiette costruzioni di me, che debbo mandare avanti nelle relazioni che mi vedo costretto a contrarre coi miei... diciamo simili, se lei non s’offende. FABIO No, prego... dica, dica pure... BALDOVINO Io mi vedo, mi vedo di continuo, signor marchese; e dico: - Ma quanto è vile, ma com’è indegno questo che tu ora stai facendo! FABIO (sconcertato, imbarazzato) Oh Dio... ma no... perché? BALDOVINO Perché sì, scusi. Lei, tutt’al più, potrebbe domandarmi perché allora lo faccio? Ma perché... molto per colpa mia, molto anche per colpa d’altri, e ora, per necessità di cose, non posso fare altrimenti. Volerci in un modo o in un altro, signor marchese, è presto fatto: tutto sta, poi, se possiamo essere quali ci vogliamo. [...] Ora, scusi, debbo toccare un altro tasto molto delicato. FABIO Mia moglie? BALDOVINO Ne è separato. - Per torti... - lo so, lei è un perfetto gentiluomo - e chi non è capace di farne, è destinato a riceverne. - Per torti, dunque, della moglie. - E ha trovato qua una consolazione. Ma la vita - trista usuraja - si fa pagare quell’uno di bene che concede, con cento di noje e di dispiaceri. FABIO Purtroppo! BALDOVINO Eh, l’avrei a sapere! - Bisogna che ella sconti la sua consolazione, signor marchese! Ha davanti l’ombra minacciosa d’un protesto senza dilazione. - Vengo io a mettere una firma d’avallo, e ad assumermi di pagare la sua cambiale. - Non può credere, signor marchese, quanto piacere mi faccia questa vendetta che posso prendermi contro la società che nega ogni credito alla mia firma. Imporre questa mia firma; dire: - Ecco qua: uno ha preso alla vita quel che non doveva e ora pago io per lui, perché se io non pagassi, qua un’onestà fallirebbe, qua l’onore d’una famiglia farebbe bancarotta; signor marchese, è per me una bella soddisfazione: una rivincita! Creda che non lo faccio per altro. [...]
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40 FABIO Ecco, bene! E allora, questo. Benissimo! Io non vado cercando altro, signor Baldovino. L’onestà! La bontà dei sentimenti! [...] BALDOVINO Ma le conseguenze, signor marchese, scusi! [...] FABIO Ecco... caro signore... - capirà... - già lei stesso l’ha detto - non... non mi trovo in condizione di seguirla bene, in questo momento [...] 45 BALDOVINO - È facilissimo. Che debbo fare io? - Nulla. - Rappresento la forma. - L’azione - e non bella - la commette lei: - l’ha già commessa, e io gliela riparo; seguiterà a commetterla, e io la nasconderò. - Ma per nasconderla bene, nel suo stesso interesse e nell’interesse sopratutto della signorina, bisogna che lei mi rispetti; e non le sarà facile nella parte che si vuol riserbare! - Rispetti, dico, non propriamente me, ma la forma - la forma che io rappresento: l’onesto marito d’una signora perbene. Non la vuol rispettare? 50 FABIO Ma sì, certo! BALDOVINO E non comprende che sarà tanto più rigorosa e tiranna, questa forma, quanto più pura lei vorrà che sia la mia onestà? - Perciò le dicevo di badare alle conseguenze. [...] FABIO Come... perché, scusi? - Io non vedo tutte codeste difficoltà che vede lei! BALDOVINO Credo mio obbligo fargliele vedere, signor marchese. Lei è un gentiluomo. Necessità di 55 cose, di condizioni, la costringono a non agire onestamente. Ma lei non può fare a meno dell’onestà! Tanto vero che, non potendo trovarla in ciò che fa, la vuole in me. Devo rappresentarla io, la sua onestà: - esser cioè, l’onesto marito d’una donna, che non può essere sua moglie; l’onesto padre d’un nascituro che non può essere suo figlio. È vero questo? FABIO Sì, sì, è vero. 60 BALDOVINO Ma se la donna è sua, e non mia; se il figliuolo è suo, e non mio, non capisce che non basterà che sia onesto soltanto io? Dovrà essere onesto anche lei, signor marchese, davanti a me. Per forza! - Onesto io, onesti tutti. - Per forza! FABIO Come come? Non capisco! Aspetti... 1 2
me le presento: mi presento a lei. le gelosie: le persiane.
Un nobile (il marchese Fabio), separato dalla moglie, ha una relazione con una giovane (Agata), che aspetta da lui un bambino. Il marchese e la madre della giovane pensano di trovare ad Agata (riluttante, ma poi consenziente), un finto marito per “salvare le apparenze”. Accetta di assumere questo ruolo un altro aristocratico, Baldovino, uomo dalla vita dissipata, pieno di debiti di gioco, che non sa come pagare e che vengono pagati dal marchese. Ma Baldovino, molto accorto e sottile intenditore dei raggiri altrui, intuisce che Fabio, dopo aver fatto di lui un finto padre del nascituro, cercherà di scacciarlo dalla famiglia, magari facendolo apparire un truffatore in qualche affare finanziario. Per prevenire questo inganno, Baldovino fonda tutto il suo rapporto col marchese su un patto di onestà di pura forma: chiede che tutti debbano apparire sempre e in ogni cosa onesti, anche se non lo sono. Infatti, Baldovino, per tutta la vita imbroglione e sregolato, accetta questo vile patto solo per provare il piacere di apparire onesto, in una società che non rende affatto facile l’essere onesti. Ma alla fine giunge il colpo di scena: quando si scoprono l’inganno del marchese e la disonestà sua e degli altri, Baldovino confessa la propria intima disonestà e conquista in questo modo, involontariamente, la stima e l’amore di Agata, che decide di andare a vivere con lui, portando con sé anche il bambino. Nella Scena ottava dell’Atto primo si incontrano e discutono per la prima volta il puntiglioso Baldovino e l’incauto Fabio. Le parole in neretto nel testo sono evidenziate già dall’Autore.
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Luigi Pirandello (Girgenti 1867 - Roma 1936) ebbe il premio Nobel nel 1934. Tutta la sua produzione è percorsa dal filo rosso dell’assurdo e del tragico della condizione umana, dal contrasto tra apparenza e realtà e dallo sfaccettarsi della verità. Il testo proposto è tratto da Il piacere dell’onestà, commedia in tre atti, rappresentata per la prima volta a Torino il 25 novembre 1917. La vicenda è collocata ai primi del Novecento in una città delle Marche. 1. ANALISI DEL TESTO A. La figura di Baldovino 1. Cerca e commenta nelle battute di Baldovino le parole e le espressioni che meglio rivelano le sue posizioni e intenzioni nella trattativa. 2. Nel brano dalla riga 17 alla riga 41 quali esperienze affiorano della precedente vita di Baldovino? 3. In quale brano emerge più chiaramente il quadro delle “apparenze” da salvare? Individualo e commentalo. B. La figura di Fabio 1. Come si caratterizza il linguaggio di Fabio rispetto a quello di Baldovino? 2. Quando Fabio (righe 40 e 41) parla di “onestà” e “bontà dei sentimenti” da parte di Baldovino, a che cosa sembra riferirsi? 3. In questo dialogo, Fabio fa finta di non capire i discorsi di Baldovino o non li comprende davvero? Argomenta la tua risposta. 2. COMMENTO COMPLESSIVO E APPROFONDIMENTI 1. Da questa vicenda, che per lungo tratto ci presenta personaggi pieni di ipocrisia e abituati al raggiro, si ricava alla fine anche una morale positiva? In che modo il pessimismo di Pirandello, quale si riscontra in questa ed in altre sue opere a te note, vuole aiutarci a trovare il filo per una condotta onesta nella vita, così piena di difficoltà per tutti? 2. Pirandello è tra i nostri scrittori moderni che propongono per primi una lingua finalmente di “uso medio”, cioè di tipo parlato. Cerca e commenta le espressioni vicine al parlato di oggi. Puoi spiegare, ad esempio, il significato dell’avverbio “allora” qui più volte usato. 3. Nel rispondere alle domande che ti sono state poste, riferisciti anche al contesto culturale europeo dell’epoca.
Svolgimento 1. ANALISI DEL TESTO A. La figura di Baldovino 1. Cerca e commenta nelle battute di Baldovino le parole e le espressioni che meglio rivelano le sue posizioni e intenzioni nella trattativa. Baldovino è colui che, nel testo teatrale proposto, “conduce il gioco”, cercando le ragioni più nascoste e segrete di ogni azione. Gli è stato proposto di sposare Agata, una ragazza di buona famiglia che aspetta un figlio da Fabio, già sposato e che quindi non può sposare lui stesso la donna amata. Perciò si è rivolto al suo conoscente Baldovino, proponendogli di essere lui il marito “ufficiale” di Agata. Baldovino accetta. Le ragioni che lo inducono a tale scelta sono ben riassunte nella battuta delle righe 35-39: respinto dai “borghesi” sul piano dell’“onestà” – si era infatti segnalato, in precedenza, come individuo poco responsabile socialmente, imbroglione e rovinato dai debiti di gioco – intende ora prendersi una rivincita su di loro precisamente su questo piano; pretende “rispetto” e appunto onestà (“Onesto io, onesti tutti”, dice). 2. Nel brano dalla riga 17 alla riga 41 quali esperienze affiorano della precedente vita di Baldovino? Il testo lascia intuire qualcosa del passato poco rispettabile di Baldovino: sono citate le “abiette costruzioni” (riga 18) che gli altri si sono fatti di lui e anche la sua infelicità di vivere in una “società che nega ogni credito alla mia firma” (riga 36). “…Ora per necessità di cose, non posso fare altrimenti”: da queste parole si può cogliere il retroterra di difficoltà che costringono il personaggio ad accettare una situazione moralmente condannabile. 3. In quale brano emerge più chiaramente il quadro delle “apparenze” da salvare? Individualo e commentalo. La commedia costruisce una trama tutta incentrata sul contrasto tra la realtà e le “apparenze”. Esiste una rispettabilità che Fabio deve salvare a ogni costo, allontanando da sé la minaccia incombente di uno scandalo: se infatti i rapporti irregolari fra il marchese Colli e Agata Renni fossero portati alla luce, potrebbero compromettere l’onorabilità della famiglia, il suo credito sociale. Ma Baldovino riesce a vedere la verità, anzitutto in sé (“Io mi vedo, mi vedo di continuo, signor marchese” - riga 21) e poi negli altri e in tutto quel mondo abietto che lo circonda. Perciò Baldovino esige che il suo interlocutore rispetti lo stato che accetta di assumere, la “forma” in cui lo stesso Baldovino si calerà per salvare le
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apparenze e far credere agli altri quello che non è. Così dice Baldovino al suo interlocutore: “Bisogna che lei mi rispetti; e non le sarà facile nella parte che si vuol riserbare! – Rispetti, dico, non propriamente me, ma la forma – la forma che io rappresento: d’onesto marito d’una signora perbene”. E così, alla fine, la “forma” delle buone maniere sarà una gabbia tanto più costrittiva e persecutoria, quanto maggiore dovrà essere l’“onestà” del finto marito: “E non comprende che sarà tanto più rigorosa e tiranna, questa forma, quanto più pura lei vorrà che sia la mia onestà?”. B. La figura di Fabio 1. Come si caratterizza il linguaggio di Fabio rispetto a quello di Baldovino? Il marchese Fabio Colli si comporta con prudenza, discrezione, e anche ipocrisia. Il suo linguaggio è fatto di brevi frasi fatte (“Dica, dica”), di formule di cortesia (“...caro signore...”); ma non si tratta del giusto ritegno di affrontare una situazione scabrosa, bensì di chiusura agli altri e alla verità. Il marchese è imbarazzato di fronte alla sincerità di Baldovino, come si coglie dalla prima battuta della scena, con l’invito di Baldovino a parlare “aperto” e il conseguente imbarazzo di Fabio. Le differenze espressive rispecchiano la differenza che esiste tra i due personaggi. Fabio non apprezza i ragionamenti sottili, le astrazioni filosofiche del suo interlocutore: ma d’altra parte, lascia intendere Pirandello, è solo così, analizzando le cose (come fa Baldovino) e osservandole anche da un altro punto di vista, che ci si può avvicinare, almeno in parte, alla verità. Invece quello di Colli è il linguaggio della falsità: perciò egli non comprendere la verità (dice infatti, alla fine: “Come come? Non capisco! Aspetti”). Vede solo le apparenze, vive in un mondo di apparenze: la sostanza delle cose gli sfugge del tutto. 2. Quando Fabio (righe 40 e 41) parla di “onestà” e “bontà dei sentimenti” da parte di Baldovino, a che cosa sembra riferirsi? Fabio fraintende completamente il senso del discorso: crede che l’”onestà” e la “bontà dei sentimenti” di Baldovino significhino semplicemente il rispetto della finzione. A lui basta che Baldovino faccia finta di essere il marito di Agata. La “bontà” e l’“onestà” di cui parla sono dunque dei mezzi per preservare la rispettabilità e il decoro borghese (Baldovino dovrà tenere il segreto su quel suo strano matrimonio con Agata), e anche per rispettare il contratto che egli vuole stipulare con Baldovino: quest’ultimo sarà “buono” e “onesto” se riconoscerà in futuro i diritti dell’interlocutore sulla donna. Perciò Fabio rimane spiazzato di fronte alla pretesa di Baldovino (“Dovrà essere onesto anche lei, signor marchese, davanti a me” - riga 61). Baldovino vuole infatti regolare i loro reciproci rapporti non sulla base delle reciproche convenienze, ma su un piano di sincerità e verità. Ma è proprio questo il piano da cui Fabio è lontanissimo. 3. In questo dialogo, Fabio fa finta di non capire i discorsi di Baldovino o non li comprende davvero? Argomenta la tua risposta. Le reazioni di Fabio sembrerebbero sincere. È ovvio che, posto di fronte per la prima volta alla rivelazione che esiste un altro modo di vivere, più profondo, più sincero, anzitutto verso se stessi, egli non riesca a capirlo fino in fondo. Perciò dichiara di non vedere tutte le difficoltà prospettate da Baldovino (“Come… perché, scusi? Io non vedo tutte codeste difficoltà che vede lei!”). Ma è la sua stessa mentalità opportunistica e falsa a impedirgli di cogliere il vero significato dei ragionamenti di Baldovino. Di essi gli sfuggono la complessità, lo spessore filosofico, la voluta ambiguità, il taglio grottesco.
2. COMMENTO COMPLESSIVO E APPROFONDIMENTI 1.
Da questa vicenda, che per lungo tratto ci presenta personaggi pieni di ipocrisia e abituati al raggiro, si ricava alla fine anche una morale positiva? In che modo il pessimismo di Pirandello, quale si riscontra in questa ed in altre sue opere a te note, vuole aiutarci a trovare il filo per una condotta onesta nella vita, così piena di difficoltà per tutti? Pirandello rappresenta spesso, nelle sue opere, uomini meschini, ipocrisie, perbenismo: mette a nudo la bassezza degli uomini (oltre che nel Piacere dell’onestà, anche nell’Esclusa, per esempio), denunciando le mille maschere indossate dagli individui in una società che sembra priva di valori morali profondi e autentici. Il suo pessimismo è vicino a quello dei grandi scrittori europei di primo Novecento, da Kafka a Svevo, da Joyce a Mann. Questi autori non esprimono semplicemente il “male” della società: si sforzano di guardare dentro e dietro le apparenze, in una ricerca di verità che ispira sempre la grande letteratura. In questo scavo Pirandello non di rado ci mostra verità sorprendenti. In particolare, la “vicenda” di Baldovino ci insegna che la verità spesso non corrisponde alle apparenze; che talora le persone che appaiono immorali possono, invece, testimoniare valori positivi; e soprattutto insegna che il decoro delle apparenze, la rispettabilità borghese, è un falso valore, se poi non gli corrispondono una vita coerente e sincerità di propositi.
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2.
Pirandello è tra i nostri scrittori moderni che propongono per primi una lingua finalmente di “uso medio”, cioè di tipo parlato. Cerca e commenta le espressioni vicine al parlato di oggi. Puoi spiegare, ad esempio, il significato dell’avverbio “allora” qui più volte usato. Il teatro pirandelliano ricorre al “parlato” comune nell’Italia di primo Novecento. Così avviene nelle seguenti battute del testo: “Mi sono spiegato?”; “Vengo io a mettere una firma d’avallo, e ad assumermi di pagare la sua cambiale”; “Dovrà essere onesto anche lei”; “…nelle relazioni che mi vedo costretto a contrarre coi miei... diciamo simili, se lei non s’offende”. Si spiega in tale contesto l’uso dell’avverbio “allora”. Esso dipende dal ragionamento che è tipico dei personaggi di Pirandello (in questo caso Baldovino): qui significa “dunque” e viene usato per concludere l’argomentazione, come succede in questa battuta di Baldovino: “Lei, tutt’al più, potrebbe domandarmi perché allora lo faccio? Ma perché…”. Nel suo sforzo di avvicinarsi alla verità dei suoi personaggi e delle loro situazioni, Pirandello finisce per modernizzare il teatro italiano, ancora vicino alle forme retoriche e magniloquenti del teatro letterario di D’Annunzio. In tale sforzo di verità anche linguistica, Pirandello si avvicina moltissimo al realismo dei romanzi di Svevo. Il dialogo tra Baldovino e Fabio, inoltre, rivela l’attenzione di entrambi a utilizzare un linguaggio di rispetto, ossequiente alle buone regole dell’educazione borghese; ciò vale certamente per Fabio, ma vale anche per Baldovino, anche se quest’ultimo, in certi momenti (per es. alle righe 21 e 34) pare voglia scrollarsi di dosso quel guscio di decoro esteriore, per esprimere in modo più diretto i propri sentimenti (e quindi lo sdegno che Fabio gli ispira).
3.
Nel rispondere alle domande che ti sono state poste, riferisciti anche al contesto culturale europeo dell’epoca. Il contesto culturale europeo è stato accennato nelle due precedenti risposte.
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SEZIONE 2
9. Giuseppe Ungaretti, In memoria Si chiamava Moammed Sceab
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Discendente di emiri di nomadi suicida perché non aveva più Patria Amò la Francia e mutò nome
10 Fu Marcel1 ma non era Francese e non sapeva più vivere nella tenda dei suoi 15 dove si ascolta la cantilena del Corano gustando un caffè E non sapeva 1 2
sciogliere 20 il canto del suo abbandono2 L’ho accompagnato insieme alla padrona dell’albergo dove abitavamo 25 a Parigi dal numero 5 della rue des Carmes appassito vicolo in discesa. Riposa nel camposanto d’Ivry 30 sobborgo che pare sempre in una giornata di una decomposta fiera 35 E forse io solo so ancora che visse Locvizza il 30 settembre 1916 da Il porto sepolto
Fu Marcel: cambiò il nome da Moammed a Marcel. sciogliere il canto del suo abbandono: abbandonarsi alla poesia, esprimendo a parole i suoi sentimenti.
Giuseppe Ungaretti (1888-1970), di famiglia toscana, nato ad Alessandria d’Egitto, visse poi a Parigi. Durante la Prima Guerra Mondiale combatté sul fronte italiano e proprio mentre era al fronte compose molte poesie della raccolta Il porto sepolto, la cui prima edizione fu pubblicata nel 1916. In memoria è la prima poesia del Porto sepolto; è dedicata a Mohammed Sceab, grande amico del poeta negli anni trascorsi prima in Egitto e poi a Parigi. Il giovane arabo aveva posto fine alla propria vita con il suicidio, risolvendo così la grave crisi d’identità che lo aveva colto dopo il trasferimento in Francia. 1. COMPRENSIONE DEL TESTO Fornisci una parafrasi del testo. 2. ANALISI DEL TESTO 2.1. La poesia si può idealmente dividere in due parti: i primi 21 versi svolgono un tema, i successivi ne svolgono un altro. Esponili con le tue parole. 2.2. Ungaretti si mostra molto turbato dal suicidio del suo amico. Perché, a tuo avviso? Analizza le possibili ragioni (la perdita affettiva, lo shock per un evento improvviso…), prendendo in considerazione la stessa biografia dell’autore. 2.3. Dai versi di In memoria emerge anche una domanda: perché Moammed Sceab si è tolto la vita? Quale risposta (o quali risposte) dà il poeta a tale quesito? 2.4. Quale funzione assegna il poeta alla poesia? Rispondi sulla base del testo. 2.5. Analizza il linguaggio della lirica: quale lessico utilizza, in essa, Ungaretti? Quali immagini o metafore si riscontrano nel testo? L’aggettivazione appare ricca oppure no? Prova infine a spiegarti la ragione di queste scelte espressive.
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3. INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI 3.1. Alla luce dell’analisi svolta, prova a dare una tua interpretazione complessiva del componimento, riflettendo in particolare sul perché il giovane poeta abbia scelto proprio questa lirica come testo di apertura del suo primo libro di versi. 3.2. Ungaretti è noto come un precursore dell’ermetismo. Chiarisci perché, ricollegandolo anche alle precedenti esperienze del simbolismo europeo.
Svolgimento 1. COMPRENSIONE DEL TESTO Fornisci una parafrasi del testo. Si chiamava Moammed Sceab. Figlio di emiri arabi si suicidò perché non aveva più una patria certa. Amò la Francia e per questo si cambiò il nome in Marcel: ma non era realmente francese e non riusciva più a vivere nella tenda dei suoi genitori, dove si ascolta la preghiera del Corano sorbendo del tè. Inoltre non sapeva parlare della sua sofferenza. Ho accompagnato il mio amico al cimitero con la padrona dell’albergo dove abitavamo a Parigi, al numero 5 di rue des Carmes: è un vicolo povero in discesa. Egli ora riposa nel cimitero di Ivry, quartiere periferico, sempre disordinato, come in un giorno di mercato. Solo io so ancora adesso che il mio amico visse effettivamente.
2. ANALISI DEL TESTO 2.1.
La poesia si può idealmente dividere in due parti: i primi 21 versi svolgono un tema, i successivi ne svolgono un altro. Esponili con le tue parole. Nella prima parte della lirica (vv. 1-21) Ungaretti traccia il profilo dell’amico arabo, suicidatosi dopo l’arrivo in Francia perché non sapeva più chi fosse: lontano dalle tradizioni dei suoi avi, non era riuscito a integrarsi nella nuova realtà sociale e culturale. Nella seconda (vv. 22- 37), in maniera molto secca ma carica di mestizia, riferisce la misera fine di un uomo desolatamente solo, alle cui esequie partecipano unicamente il poeta e la padrona dell’albergo, sepolto nel camposanto di uno squallido sobborgo di Parigi, dimenticato da tutti, come se non fosse mai esistito.
2.2.
Ungaretti si mostra molto turbato dal suicidio del suo amico. Perché, a tuo avviso? Analizza le possibili ragioni (la perdita affettiva, lo shock per un evento improvviso…), prendendo in considerazione la stessa biografia dell’autore. Il suicidio dell’amico causò, comprensibilmente, un vero shock nel suo giovane amico poeta. Ma il turbamento che Ungaretti prova davanti al cadavere dell’amico va probabilmente al di là del naturale orrore della morte. Alla base del loro sodalizio esistevano, come in ogni amicizia, interessi comuni, intesa spontanea, complicità; ma vi era forse anche un motivo più profondo: sia Ungaretti sia Sceab erano degli sradicati, costretti a vivere lontani dalle loro rispettive patrie, e quindi sempre in cerca di un’identità, di un’appartenenza. Dunque Ungaretti vede adombrato, nella drammatica fine del suo amico egiziano, il possibile destino di tutti coloro che non hanno patria, lui compreso.
2.3.
Dai versi di In memoria emerge anche una domanda: perché Mohammed Sceab si è tolto la vita? Quale risposta (o quali risposte) dà il poeta a tale quesito? Ungaretti individua due possibili cause di quella morte: Sceab, dice, “non aveva più / Patria” (vv. 6-7); inoltre, aggiunge, egli “non sapeva / sciogliere/il canto / del suo abbandono” (vv. 18-21). La prima causa riguarda una perdita d’identità: Moammed aveva abbandonato il mondo arabo da cui proveniva, ma non era però riuscito a diventare un vero cittadino francese, nonostante avesse cambiato nome, facendosi chiamare Marcel. Alla fine non sapeva più chi fosse. Esiste però anche un secondo motivo: non sapeva esprimere (e quindi sfogare) la propria crisi interiore. La poesia gli sarebbe stata di grande conforto, ma Moammed non la coltivò mai. Gli erano perciò mancate le parole, e anche per questo era piombato in una condizione sempre più disperata e insopportabile, fino a suicidarsi.
2.4.
Quale funzione assegna il poeta alla poesia? Rispondi sulla base del testo. La prima funzione emerge dai vv. 18-21: la poesia può dare espressione ai tormenti interni dell’animo, contribuendo così a “scioglierli”, a renderli più sopportabili. La seconda funzione che Ungaretti assegna alla poesia è quella di tramandare ai vivi la memoria di chi visse in passato: “E forse io solo/so ancora/che visse”, dice il poeta ai vv. 35-37. Perciò la lirica si intitola In memoria: conservare il ricordo è una funzione essenziale per la poesia.
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SEZIONE 2
2.5.
Analizza il linguaggio della lirica: quale lessico utilizza, in essa, Ungaretti? Quali immagini o metafore si riscontrano nel testo? L’aggettivazione appare ricca oppure no? Prova infine a spiegarti la ragione di queste scelte espressive. Il linguaggio di questa poesia appare semplice e denotativo. L’autore dà informazioni scarne, ridotte all’osso, in uno stile elementare e molto asciutto, che potrebbe sembrare incolore, quasi debba scrivere una breve cronaca su un drammatico evento come il suicidio; dà infatti l’indicazione esatta dell’ultimo domicilio e del luogo di sepoltura. L’unica immagine che si registra nella lirica è quella dei vv. 19-21, dove il poeta fa riferimento al dono della poesia mediante la metafora dello “sciogliere”. Per quanto riguarda gli aggettivi, se ne incontrano di fatto soltanto due: al v. 27 “appassito” e al v. 34 “decomposta”. Entrambi riguardano la sfera della morte e del disfacimento, sottolineando così che di Moammed non rimane assolutamente nulla, all’infuori della poesia. L’assenza quasi assoluta di immagini e aggettivi indica la volontà del poeta di nascondere ogni suo coinvolgimento emotivo; forse egli vuole evitare ogni retorica, e inoltre indicare che un’esistenza fallita e finita male, come quella del suo amico, si riduce davvero a poco o pochissimo.
3. INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI 3.1.
Alla luce dell’analisi svolta, prova a dare una tua interpretazione complessiva del componimento, riflettendo in particolare sul perché il giovane poeta abbia scelto proprio questa lirica come testo di apertura del suo primo libro di versi. Alla luce di quanto detto si può forse capire il perché l’autore abbia collocato In memoria proprio all’inizio dell’opera, nel punto così significativo del proemio. Agli occhi di Ungaretti, Sceab rappresenta un “altro io” in cui potersi, almeno in parte, riconoscere. Anche lui si è trovato di fronte a due grandi difficoltà: trovare una patria (il poeta era nato in Egitto, figlio di emigrati italiani) e, inoltre, mettere a frutto il dono della poesia. L’amico Moammed non aveva saputo dare risposta positiva a queste difficoltà e si era perciò suicidato. Invece Ungaretti si sente pienamente italiano, anche grazie alla guerra, che lo inseriva nella collettività da soldato combattente per la patria. Inoltre si sforza di “sciogliere il canto”, scrivendo versi con i quali cercare un modo per mettersi in contatto con gli altri.
3.2.
Ungaretti è noto come un precursore dell’ermetismo. Chiarisci perché, ricollegandolo anche alle precedenti esperienze del simbolismo europeo. Ungaretti anticipò la poesia ermetica anzitutto per l’intensità con cui egli sentiva la propria vocazione poetica: intese la poesia come uno scavo fino alle radici del proprio essere. Questo carattere sarà sviluppato dagli ermetici successivi, per esempio da Quasimodo. Per quanto riguarda il Simbolismo, Ungaretti si ricollega a esso coltivando una poesia molto densa, che non parla di cose quotidiane o esterne, ma si concentra sull’esperienza interiore del poeta (ne sono un esempio le liriche del Porto sepolto e la stessa In memoria). Anche questi elementi ritornano negli ermetici, a cui Ungaretti si può ricollegare anche per la presenza, nella sua poesia, di tematiche vicine all’esistenzialismo filosofico, allora molto diffuso.
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L’analisi del testo 10
10. Giuseppe Ungaretti, L’isola A una proda ove sera era perenne di anziane selve assorte, scese, e s’inoltrò e lo richiamò rumore di penne 5 ch’erasi sciolto1 dallo stridulo batticuore dell’acqua torrida, e una larva (languiva e rifioriva) vide; ritornato a salire vide 10 ch’era una ninfa e dormiva ritta abbracciata a un olmo.
In sé da simulacro a fiamma vera errando2, giunse a un prato ove l’ombra negli occhi s’addensava 15 delle vergini3 come sera appiè degli ulivi; distillavano i rami una pioggia pigra di dardi, qua pecore s’erano appisolate 20 sotto il liscio tepore, altre brucavano la coltre luminosa; le mani del pastore erano un vetro levigato da fioca febbre.
da Sentimento del tempo, 1919-1935, e in Vita d’un uomo, Mondadori, 1992 1 2 3
erasi sciolto: si era staccato, sollevato. In sé… errando: vagando col pensiero da una visione larvata ad una sensazione più forte. l’ombra… delle vergini: negli occhi delle ninfe si addensava l’ombra (del sonno, ma anche della zona boscosa).
Giuseppe Ungaretti (Alessandria d’Egitto, 1888 – Milano, 1970) di famiglia lucchese, dall’Egitto si trasferì in Europa, desideroso di fare nuove esperienze di vita e di cultura. Ebbe contatti a Parigi con la poesia simbolista e postsimbolista e con la filosofia di Bergson. Nella Prima Guerra Mondiale combatté in Italia, sul Carso. Visse a lungo a Roma. Sue principali raccolte poetiche: L’Allegria, 1919; Sentimento del tempo, 1933; Il Dolore, 1947; Terra promessa, 1950 (tutte con successive edizioni ampliate). La lirica L’isola (del 1925, poi rielaborata) rievoca, come un sogno, una visita che Ungaretti, da Roma, aveva compiuto nella campagna intorno a Tivoli: non si tratta di una vera isola, ma di un paesaggio campestre, arcadico, in cui il poeta si era isolato e immerso, trasfigurando presenze reali in immagini mitiche. 1. COMPRENSIONE DEL TESTO Partendo dalla presentazione che trovi nelle righe precedenti, dopo aver riletto alcune volte l’intera lirica, riassumine il contenuto informativo (movimenti del poeta nei luoghi; altre presenze reali; figure immaginarie). 2. ANALISI DEL TESTO 2.1. A quale personaggio si riferiscono i verbi “scese”, “s’inoltrò”, “vide” (due volte), “giunse” (nei versi 2, 3, 8 ,9 e 13)? Che tempi del verbo sono? 2.2. Cerca le forme dei verbi all’imperfetto. A quali elementi e aspetti della scena si riferiscono? Quale contrasto creano questi verbi all’imperfetto con quelli indicati nella domanda precedente? 2.3. Molte parole indicano l’ombra, la sera, il sonno: è davvero sera o si tratta di un contrasto tra zone del paesaggio? Nota e commenta le espressioni “ove sera era perenne” (v. 1), “acqua torrida” (v. 6), “la coltre luminosa” (v. 22). 2.4. Spiega, anche con l’aiuto del dizionario, le parole “proda” (v. 1), “larva” (v. 7) e “simulacro” (v. 12). 2.5. Quale scena descrivono i versi 4-6? Metti insieme le sensazioni che ricavi dalle espressioni “rumore di penne”, “stridulo batticuore”, “acqua torrida” e dal verbo “erasi sciolto”. 2.6. Al v. 18 i “dardi” sono i raggi del sole che scendono attraverso i rami. Commenta l’espressione “pioggia pigra di dardi”, in cui un carattere umano, la pigrizia, è attribuito ad un elemento naturale. 2.7. Commenta i due versi finali, rendendo con parole tue l’aspetto delle mani del pastore. (Ricorda che non lontano da Tivoli, nella campagna romana, a quel tempo era ancora diffusa la febbre malarica). 3. INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI Riflettendo su questa lirica, e utilizzando le tue conoscenze di altre poesie di Ungaretti, commenta nell’insieme questo testo, per metterne in evidenza la libertà metrica e l’intreccio di richiami simbolici, che sfuggono a una ricostruzione logica ordinaria. Riferisciti anche al quadro generale delle tendenze poetiche, artistiche e culturali del primo Novecento in Italia e in Europa.
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SEZIONE 2
Svolgimento 1. COMPRENSIONE DEL TESTO Partendo dalla presentazione che trovi nelle righe precedenti, dopo aver riletto alcune volte l’intera lirica, riassumine il contenuto informativo (movimenti del poeta nei luoghi, altre presenze reali, figure immaginarie). Un ignoto visitatore (forse controfigura dello stesso poeta) approda, in modo misterioso, in un luogo non ben definito: lo si può pensare un’isola, come suggerisce il titolo, perché il suo paesaggio è incontaminato e isolato dal resto del mondo. Vediamo il personaggio proseguire verso l’interno, un grande bosco ombroso. All’improvviso è richiamato indietro dal battere d’ali di un uccello che, levandosi dall’acqua, ne agita la superficie. Un’immagine indefinita appare e scompare; poi ricompare agli occhi del visitatore nelle forme di una ninfa, un’antica divinità, che sta come sdraiata su un albero (per la precisione un olmo). Il viaggiatore, vagando tra visioni evanescenti ed altre più concrete, arriva sul margine di un prato dove si muovono figure surreali, forse fanciulle: su di loro l’ombra del bosco si posa come cala la sera in un uliveto. I raggi di sole passano attraverso i rami. Un gregge di pecore, sparpagliato sul prato illuminato dal sole, bruca l’erba. Le mani del pastore, illuminate da un debole raggio di luce, appaiono umide per il calore e trasparenti come il cristallo.
2. ANALISI DEL TESTO 2.1.
A quale personaggio si riferiscono i verbi scese, “s’inoltrò”, “vide” (due volte), “giunse” (nei versi 2, 3, 8 ,9 e 13)? Che tempi del verbo sono? I verbi “scese”, “s’inoltrò”, “vide” e “giunse” sono tutti al passato remoto e si riferiscono al pastore. I tempi passati danno alle visioni e alle sensazioni un’atmosfera di lontananza: tutto sfuma nel simbolo.
2.2.
Cerca le forme dei verbi all’imperfetto. A quali elementi e aspetti della scena si riferiscono? Quale contrasto creano questi verbi all’imperfetto con quelli indicati nella domanda precedente? Le forme verbali all’imperfetto sono: “erasi sciolto” (v. 5); “languiva” (v. 7); “rifioriva” (v. 8); “era”, “dormiva” (v. 10); “s’addensava” (v. 14); “distillavano” (v. 17); “s’erano appisolate” (v. 19); “brucavano” (v. 21); “erano” (v. 23). Il tempo imperfetto dilata i confini della visione: abbiamo così la sensazione di un evento che pare sospeso e sfumato.
2.3.
Molte parole indicano l’ombra, la sera, il sonno: è davvero sera o si tratta di un contrasto tra zone del paesaggio? Nota e commenta le espressioni “ove sera era perenne” (v. 1), “acqua torrida” (v. 6), “la coltre luminosa” (v. 22). Nella poesia si fa riferimento sia a zone illuminate sia a zone non illuminate dal sole. Al sole sta un ruscello la cui acqua è “torrida” (v. 6), così come sta l’erba brucata dalle pecore (a ciò si riferisce la “coltre luminosa” del v. 22); invece è all’ombra la “proda ove sera era perenne” (v. 1). Questa espressione si riferisce all’ombra fitta e continua che avvolge nel silenzio la fitta foresta. Ma il sostantivo “sera” non è utilizzato per dare un’indicazione temporale concreta (infatti al v. 15-16 il poeta dirà “come / sera”); esso serve invece a suggerire vaghezza e indefinitezza della realtà. Siamo totalmente lontani dall’esperienza comune: la poesia ci ha trasportati in un’atmosfera, dove è possibile ricercare un senso più profondo e nascosto dell’esistenza.
2.4.
Spiega, anche con l’aiuto del dizionario, le parole proda (v. 1), larva (v. 7) e simulacro (v. 12). “Proda” significa la parte di riva a contatto diretto con l’acqua; “larva”, invece, in questo contesto significa ‘fantasma, spettro’ e anche “illusione”; infine, “simulacro” indica “parvenza, immagine irreale” (nella poesia è un sinonimo di “larva”). Questi termini suggeriscono un’atmosfera di sogno, una visione in cui è difficile distinguere la verità dall’illusione (infatti la parola “simulacro” rimanda anche a una realtà simulata, probabilmente falsa).
2.5.
Quale scena descrivono i versi 4-6? Metti insieme le sensazioni che ricavi dalle espressioni “rumore di penne”, “stridulo batticuore”, “acqua torrida” e dal verbo “erasi sciolto”. I versi 4-6 raffigurano un uccello nell’atto di prendere il volo. Il misterioso viaggiatore sull’isola si volta indietro, richiamato dal battito d’ali (“rumore di penne”) dell’uccello che si libra in aria (a questa immagine allude il verbo “erasi sciolto”). Le ali dell’uccello scuotono l’acqua come un batticuore scuote chi lo prova: l’espressione “stridulo batticuore” traduce la sofferenza che accompagna la vita di uomini e animali.
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L’analisi del testo 10
2.6.
Al v. 18 i “dardi” sono i raggi del sole che scendono attraverso i rami. Commenta l’espressione “pioggia pigra di dardi”, in cui un carattere umano, la pigrizia, è attribuito ad un elemento naturale. Come ogni poeta, anche Ungaretti personifica la vita della natura, attribuendole sentimenti umani. Già al v. 2 le “selve” erano dette “anziane” e “assorte”. Qui, con l’espressione metaforica “pioggia pigra di dardi” il poeta traduce l’idea dei raggi del sole (i raggi spesso sono chiamati “dardi”, cioè “frecce”, dai poeti) che filtrano attraverso i rami degli ulivi. La luce è come una pioggia lenta, che illumina il paesaggio, ma a fatica. Tale scarsa quantità di luce suggerisce al poeta l’idea di pigrizia.
2.7.
Commenta i due versi finali, rendendo con parole tue l’aspetto delle mani del pastore. (Ricorda che non lontano da Tivoli, nella campagna romana, a quel tempo era ancora diffusa la febbre malarica). Ungaretti dice che le mani del pastore sono sottili e trasparenti come un vetro levigato da una febbre debole. Questa “febbre” può essere interpretata anche come vera febbre (nella zona di Tivoli, nella campagna romana, all’epoca era ancora diffusa la febbre malarica); ma essa ha anche un significato simbolico: la febbre indica l’inquietudine che accompagna la visione del viandante, cioè del poeta. Egli appare sgomento davanti al mistero che si infittisce sempre più.
3. INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI Riflettendo su questa lirica, e utilizzando le tue conoscenze di altre poesie di Ungaretti, commenta nell’insieme questo testo, per metterne in evidenza la libertà metrica e l’intreccio di richiami simbolici, che sfuggono a una ricostruzione logica ordinaria. Riferisciti anche al quadro generale delle tendenze poetiche, artistiche e culturali del primo Novecento in Italia e in Europa. Questa lirica fa parte della raccolta Sentimento del tempo; è quindi successiva al periodo dell’Allegria, come si nota da diversi elementi. Anzitutto mancano riferimenti autobiografici, tipici di Ungaretti: la poesia non esprime più, come nell’Allegria, un’esperienza concreta, ma si apre al sogno. Tutto si svolge in un paesaggio fuori dal tempo, sospeso tra realtà e soprattutto fantasia. Il testo crea immagini molto indeterminate, suggerendoci di non cercare in esse significati precisi. Il poeta vuole costruire una visione sfuggente, aperta a ogni interpretazione. Non sappiamo chi esattamente sia il protagonista-viandante, chi siano e perché siano lì la ninfa, le ragazze, il gregge con il pastore. Ungaretti vuole comunicarci che la realtà è indecifrabile: infatti il viaggiatore ora vede e ora non vede più, passando da una sensazione a un’altra, accostate non secondo una logica razionale, ma per analogia, quindi secondo rapporti sfuggenti di somiglianza e di implicazione. Tali immagini si rifanno al mondo dell’arte e della classicità: la ninfa morbidamente adagiata sull’olmo, le vergini, il pastore richiamano i poeti simbolisti francesi, ma anche gli autori dell’Arcadia e del neoclassicismo. Ci sono anche richiami a D’Annunzio: l’uliveto argenteo che si oscura al calar della sera richiama La sera fiesolana; un’immagine dannunziana è anche la ninfa che abbraccia l’olmo. La presenza della tradizione si avverte anche nello stile. Ungaretti alterna versi liberi a settenari, novenari ed endecasillabi (per esempio sono endecasillabi i versi 1, 4, 12, 19, 23; e settenari i versi 7, 8, 11, 15, 16, 17, 20, 22) e di rime (per esempio “perenne” / “penne”, vv. 1 e 4; “languiva” / “dormiva”, vv. 7 e 10; “vide” / “vide”, rima identica tra i vv. 8 e 9). Molti termini risalgono al linguaggio poetico tradizionale, da Petrarca a Leopardi (“proda”, “sera”, “larva”). Insomma, dopo le sperimentazioni dell’Allegria, Ungaretti in Sentimento del tempo avverte il fascino della poesia tradizionale, così come era sempre stata, prima che lui stesso, sulla spinta dei futuristi, la rivoluzionasse.
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SEZIONE 2
11. Umbero Saba, La capra Ho parlato a una capra. Era sola sul prato, era legata. Sazia d’erba, bagnata dalla pioggia, belava. 5
Quell’uguale belato era fraterno al mio dolore. Ed io risposi, prima per celia, poi perché il dolore è eterno,
ha una voce e non varia. Questa voce sentiva 10 gemere in una capra solitaria. In una capra dal viso semita sentiva querelarsi ogni altro male, ogni altra vita. da Casa e campagna (in Il Canzoniere)
v. 7 celia: scherzo. v. 9 sentiva: sentivo (come al v. 12). v. 11 viso semita: il muso della capra, incorniciato dalla barbetta, ricorda al poeta i tratti tipici di un volto ebraico. Secondo i critici, il poeta allude alla condizione di sofferenza e persecu-
zione degli ebrei. Saba ha però negato tale interpretazione, sostenendo che si tratta di “un verso prevalentemente visivo... Un colpo di pollice impresso nella creta per modellare una figura”. v. 12 querelarsi: lamentarsi.
Umberto Saba, nato a Trieste nel 1883 e morto a Gorizia nel 1957, cominciò a scrivere versi agli inizi del secolo XX e continuò per cinquant’anni all’incirca. La madre del poeta era di origine ebraica: un particolare che lascia forse tracce nel testo. La capra fu edita per la prima volta nel 1912 nella raccolta Con i miei occhi, dove apre una piccola sezione di tre testi intitolati ad altrettanti animali (La capra, Il maiale, La gatta). A partire dall’edizione 1921 del Canzoniere questa poesia fa parte della sezione Casa e campagna. 1. COMPRENSIONE DEL TESTO Ripercorri il testo, proponendo una tua riscrittura in prosa che metta in luce le tematiche fondamentali della lirica. 2. ANALISI DEL TESTO 2.1. Perché il poeta si ferma a colloquiare con la capra? Che cosa lo attira dell’animale? 2.2. Quale tema emerge come quello centrale di La capra? 2.3. Questa poesia si avvia da una situazione che può apparire curiosa e quasi paradossale; poi però prosegue elevando via via i propri contenuti. Evidenzia, con gli opportuni riferimenti testuali, tale progressione, che corrisponde anche alla costruzione letteraria della lirica. 2.4. Analizza lo stile del componimento, sul piano lessicale e metrico. Cerca in particolare di mettere in luce le riprese, all’interno del testo, di alcuni termini-chiave. 3. INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI Metti in rapporto questo componimento con altre poesie a te note di Saba ed eventualmente con testi di altri poeti. Prendendo spunto dall’origine ebraica di Saba, puoi anche soffermarti sulle tracce che questo elemento lascia nel testo e sul modo con cui il poeta lo tratta.
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L’analisi del testo 11
Svolgimento Questo svolgimento viene proposto come testo unico. 1. Ripercorri il testo, proponendo una tua riscrittura in prosa che metta in luce le tematiche fondamentali della lirica. 2.1. Perché il poeta si ferma a colloquiare con la capra? Che cosa lo attira dell’animale?
2.3. Questa poesia si avvia da una situazione che può apparire curiosa e quasi paradossale; poi però prosegue elevando via via i propri contenuti. Evidenzia, con gli opportuni riferimenti testuali, tale progressione, che corrisponde anche alla costruzione letteraria della lirica.
2.2. Quale tema emerge come quello centrale di La capra?
3. Metti in rapporto questo componimento con altre poesie a te note di Saba.
La capra è descritta dal poeta in una situazione di difficoltà, è sola, non può muoversi perché è legata, ed è preda della pioggia. Perciò essa bela, per paura (della solitudine e della prigionia) e non per la fame, visto che è “sazia d’erba”. Il monotono belare della capra, quel suo verso ininterrotto, viene percepito da Saba come l’espressione di un dolore tutto simile al suo. Perciò egli risponde ai belati, all’inizio per scherzo, ma poi perché il poeta si rende consapevole che il dolore espresso dalla capra è lo stesso che segna tutti gli uomini, da sempre e per sempre (“è eterno”, dice). In quella capra solitaria il poeta avverte dunque un dolore antico, dato dalla solitudine e dalla prigionia. Nel finale della lirica l’umanizzazione dell’animale diviene totale: il poeta avverte in quell’animale, mite e inoffensivo, i tratti dell’ebreo, cioè un rappresentante del popolo (a cui apparteneva anche la madre di Saba) che ha patito grandi persecuzioni e grandi sofferenze. La poesia, che si avvia da un pretesto quasi banale (una capra solitaria incontrata per caso dal poeta), propone un graduale allargamento di orizzonte: si parte dall’animale, per giungere a una riflessione sul destino stesso del poeta; poi, da questo livello individuale, si arriva a una riflessione ben più larga e universale. Saba infatti, in quel mite animale bagnato dalla pioggia e lasciato solo in mezzo a un prato, vede materializzarsi il destino tipico di dolore e sofferenza che caratterizza qualsiasi esistenza umana. La costruzione del testo ricorda la poetica tipica di Saba, che ama partire dai dati concreti, dall’esperienza della realtà. Ma rivela anche la capacità, propria del poeta triestino, di proporre riflessioni di valore universale. Nell’immagine del “dolore” che “è eterno, / ha una voce e non varia”, sembra quasi di riascoltare il “pessimismo cosmico” di Leopardi. È interessante il fatto che Saba non imposti il discorso attraverso una similitudine (il mio dolore è come il dolore di una capra...), bensì attraverso un immaginario dialogo. Poiché partecipano del dolore che proprio è di tutti gli esseri viventi, il poeta e la capra possono intendersi come fossero fratelli. Questo è il nucleo tematico centrale della poesia. Ritorna nella lirica, dunque, quel confronto tra l’uomo e gli animali che s’incontra anche nella celebre poesia A mia moglie. Alle spalle di questo atteggiamento vi è una concezione dell’esistenza di tipo quasi religioso: uomo e animali sono parte di un’unica esistenza, quella universale, di un’unica realtà, quella divina; purtroppo, però, tale esistenza e tale realtà sono dominate dalla sofferenza, dal dolore.
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SEZIONE 2
2.4. Analizza lo stile del componimento, sul piano lessicale e metrico. Cerca in particolare di mettere in luce le riprese, all’interno del testo, di alcuni termini-chiave.
2.3. […] Evidenzia, con gli opportuni riferimenti testuali, tale progressione, che corrisponde anche alla costruzione letteraria della lirica.
3. Metti in rapporto questo componimento […] con testi di altri poeti.
Prendendo spunto dall’origine ebraica di Saba, puoi anche soffermarti sulle tracce che questo elemento lascia nel testo e sul modo con cui il poeta lo tratta.
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Sul piano stilistico, il lessico del componimento è di tono colloquiale e quotidiano, anche se presenta alcuni termini colti e letterari, come “celia”, “querelarsi” e l’uso della forma arcaica dell’imperfetto di prima persona singolare (“sentiva” invece di sentivo). L’apparente semplicità del testo nasconde, in realtà, una sapiente costruzione letteraria. La poesia è scandita in tre strofe, composte da versi endecasillabi e settenari (tranne l’ultimo verso, quinario) liberamente disposti e raggruppati. I legami tra i versi sono assicurati anche dalle numerose rime e assonanze. Per es., “legata” / “bagnata” (vv. 2-3), rima rafforzata dall’assonanza con “belava” (v. 4); “fraterno” / “eterno” (vv. 5 e 7), “varia” / “solitaria” (vv. 8 e 10), “semita” / “vita” (vv. 11-13). Ci sono anche riprese interne, come “voce” che ritorna nei versi 8 e 9 e come “dolore” che ritorna nei vv. 6 e 7. Le strofe sono collegate tra loro attraverso delle riprese: tra la prima e la seconda strofa incontriamo “belava. / Quell’uguale belato”; tra la seconda strofa e la terza troviamo un’altra ripresa: “in una capra solitaria. / In una capra…”. Questi collegamenti e riprese sono indice di un’attenta struttura formale. Lo stesso si può dire dell’inversione del complemento oggetto nel v. 9: il complemento precede il verbo, dando così forte rilievo al termine voce e sottolineando il concetto centrale del dolore. Ognuna delle tre strofe si lega a un particolare significato. La prima ha un carattere prevalentemente descrittivo, con un primo verso quasi “provocatorio”: Saba rappresenta un’azione strana, insolita, e il lettore si sente sorpreso e incuriosito da tale sua attenzione per la capra. La seconda strofa sviluppa la narrazione. Il poeta risponde al belato della capra, prima per scherzo, poi per una motivazione più profonda: quel verso dell’animale gli ricorda infatti il “male di vivere” che accomuna tutti gli esseri viventi. A questo punto la risposta del poeta non appare più ridicola o strana; al contrario, è un atteggiamento molto serio, ispirato a una profonda consapevolezza esistenziale. La terza strofa conclude la lirica con una sentenza finale: il parallelismo “ogni altro male, / ogni altra vita” mette esplicitamente in rapporto i due termini (male e vita), con una considerazione che ricorda quella del Canto notturno di un pastore errante dell’Asia di Leopardi: “a me la vita è male”. Tuttavia la denuncia della universalità del dolore si carica, in Saba, di una più esplicita connotazione storica. Il riferimento alla capra “semita”, infatti, nonostante le interpretazioni attenuate dell’autore, ci fa pensare subito alla condizione e alla vicenda del popolo ebraico, sottoposto a crudeli persecuzioni già prima della tragedia nazifascista e poi destinato alla tragedia della Shoah. La lirica di Saba, nata trent’anni prima di questi eventi, si può leggere anche come un documento profetico e, proprio per questo, più significativo.
L’analisi del testo 12
12. Eugenio Montale, La casa dei doganieri
Tu non ricordi la casa dei doganieri sul rialzo a strapiombo sulla scogliera: desolata t’attende dalla sera in cui v’entrò lo sciame dei tuoi pensieri e vi sostò irrequieto.
Ne tengo ancora un capo; ma s’allontana la casa e in cima al tetto la banderuola affumicata4 gira senza pietà. 15 Ne tengo un capo; ma tu resti sola né qui respiri nell’oscurità.
Libeccio1 sferza da anni le vecchie mura e il suono del tuo riso non è più lieto: la bussola2 va impazzita all’avventura e il calcolo dei dadi più non torna. 10 Tu non ricordi; altro tempo frastorna la tua memoria; un filo s’addipana3.
Oh l’orizzonte in fuga, dove s’accende rara la luce della petroliera! Il varco è qui? (Ripullula5 il frangente 20 ancora sulla balza che scoscende...) 0 Tu non ricordi la casa di questa mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.
5
da Le occasioni, 1939 1 2
Libeccio: forte vento di sud‑ovest, caratteristico del Mediterraneo. la bussola: quella che metaforicamente guida il timone dell’esistenza.
3 4 5
s’addipana: si raggomitola, si aggroviglia. affumicata: in quanto posta sopra il camino, per guidarne la direzione del fumo. Ripullula: l’acqua come sempre torna a battere.
Pubblicata per la prima volta nel 1930, La casa dei doganieri è poi entrata in Le occasioni (1939), il secondo volume poetico di Eugenio Montale (Genova, 1896 – Milano, 1981). La lirica è dedicata al tema della memoria, raffigurata come difficile se non impossibile. Il paesaggio evocato è quello della costa ligure; il poeta si rivolge a una donna da lui amata e di cui poi non aveva saputo più nulla. Egli la canta anche in altre sue liriche con lo pseudonimo di Annetta (il suo vero nome era Anna degli Uberti). 1. COMPRENSIONE DEL TESTO Rappresenta la situazione psicologica da cui si genera la lirica, collegandola alle immagini evocate dal poeta. 2. ANALISI DEL TESTO 2.1. Indica i termini che si legano al paesaggio e quelli che esprimono stati d’animo, mettendone in luce sia il significato sia l’effetto sonoro delle parole. 2.2. Individua i termini che indicano il passare del tempo e le ore della giornata, chiarendo se si accordano o meno con il paesaggio e/o con gli stati d’animo del poeta. 2.3. Individua verbi e altre espressioni che comunicano la sensazione di cose che si allontanano, creano distanza o si perdono quasi di vista. 2.4. Ricerca e mostra come in questa lirica gli elementi di linguaggio comune (e perfino tecnico) si combinano con il gioco delle rime o quasi rime. 3. INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI 3.1. Esponi il significato complessivo della lirica, collegandolo al titolo di essa. 3.2. Illustra il contributo di Montale al rinnovamento del linguaggio nel più vasto quadro della poesia del Novecento.
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SEZIONE 2
Svolgimento 1. COMPRENSIONE DEL TESTO Rappresenta la situazione psicologica da cui si genera la lirica, collegandola alle immagini evocate dal poeta. La lirica è scritta per Annetta, la donna amata a cui il poeta si rivolge con il Tu iniziale. Mentre negli Ossi di seppia Montale adottava un “tu” generico, rivolto ai lettori, in questo secondo libro delle Occasioni egli affida un ruolo fondamentale al personaggio femminile. La canta come presenza sfuggente e dolorosamente inafferrabile; malgrado ciò, la donna costituisce per lui l’unica possibilità di dare un senso alla propria vita, collegando il passato al presente e dando così un senso unitario alla vita. La “situazione psicologica da cui si genera la lirica” è dunque composta da più elementi. Da un lato l’amore, rievocato nel ricordo: Montale e Annetta, in un giorno lontano, furono entrambi in questa casa dei doganieri, dove ora il poeta ritorna nella speranza di ridare vita a un ricordo. Dall’altro lato la poesia evoca l’angoscia dell’autore di fronte al trascorrere inesorabile del tempo, che muta le persone e le cose fino a renderle irriconoscibili. Perciò il poeta ripete Tu non ricordi, per scandire l’irrimediabile lontananza rispetto alla donna e al passato che ella incarna per lui. A questa “situazione psicologica” si collegano numerose immagini che indicano allontanamento, perdita, o rievocano il passato che non può tornare. Tra esse “desolata t’attende dalla sera / in cui v’entrò lo sciame dei tuoi pensieri...” (verso 3 e ss.); “il suono del tuo riso non è più lieto...” (v. 7); “altro tempo frastorna / la tua memoria” (v. 10); “tu resti sola” (v. 15); v. 22: “Io non so chi va e chi resta”.
2. ANALISI DEL TESTO 2.1.
Indica i termini che si legano al paesaggio e quelli che esprimono stati d’animo, mettendone in luce sia il significato sia l’effetto sonoro delle parole. La lirica è ambientata sulla costa ligure, che costituiva lo scenario prediletto degli Ossi di seppia e che ritorna anche nelle Occasioni. In questo testo il paesaggio appare dominato dalla desolazione invernale (“Libeccio sferza”; “la banderuola..., gira senza pietà”; “Ripullula il frangente”), intonato al senso drammatico di separazione. Altre immagini sembrano alludere a uno sfondo più positivo: il “rialzo a strapiombo sulla scogliera” (v. 2) è un luogo da cui si può osservare l’”orizzonte”, che infatti viene citato al v. 17: “l’orizzonte in fuga, dove s’accende / rara la luce della petroliera” (vv 17-18). Segni contrastanti, dunque, punteggiano il paesaggio marino, sospeso tra l’interno della casa e l’esterno ribollente dei flutti marini. Qui, dunque, prendono vita gli stati d’animo della lirica. Alcune parole ed espressioni li rivelano: “non ricordi”, “desolata t’attende”, “irrequieto”, “non è più lieto”, “va impazzita”, “frastorna”, “s’allontana”, “senza pietà”, “sola”, “oscurità”, “io non so”. Sono tutti termini che alludono a uno stato d’animo d’inquietudine, di solitudine. Il lessico della poesia sottolinea dolorosamente il senso di separazione, di solitudine, di incomunicabilità che tutta la lirica esprime. Tutto ciò viene acuito dall’effetto sonoro delle parole. Montale è un poeta molto attento ai suoni e alle assonanze (“frangente/scoscende” ai vv. 19-20); usa parole quasi onomatopeiche come al v. 19 “ripullula” associato a “ il frangente” (altra espressione ricca di liquide); mette in successione vocali aperte e chiuse (“sul rialzo a strapiombo sulla scogliera” v. 2), creando così un forte effetto di chiaroscuro.
2.2.
Individua i termini che indicano il passare del tempo e le ore della giornata, chiarendo se si accordano o meno con il paesaggio e/o con gli stati d’animo del poeta. Nella lirica sono presenti diversi termini che indicano il passare del tempo. Tra questi i più significativi sono: “t’attende dalla sera” (v. 3), “sferza da anni le vecchie mura” (v. 6); “non è più” (v. 7); “altro tempo frastorna / la tua memoria; un filo s’addipana” (vv. 10-11, con allusione al filo della memoria); “s’allontana” (v. 12). Nell’ambientare il suo racconto, il poeta insiste su alcuni termini (“sera..., oscurità..., sera”), uniche indicazioni esplicite che riguardino le ore del giorno. Tutto si svolge in un mondo crepuscolare, ignoto, spalancato sul mistero.
2.3.
Individua verbi e altre espressioni che comunicano la sensazione di cose che si allontanano, creano distanza o si perdono quasi di vista. Il poeta vuole dare al lettore il senso della rottura fra passato e presente, che costituisce l’idea fondamentale della lirica. Perciò ricorre a numerose immagini di allontanamento e separazione: “Ne tengo ancora un capo; ma s’allontana / la casa” (vv. 12-13); “Ne tengo un capo; ma tu resti sola / né qui respiri nell’oscurità” (vv. 15-16); “Oh l’orizzonte in fuga” (v. 17); “Tu non ricordi… / … Ed io non so chi va e chi resta” (vv. 21-22). Posto lì, sul ciglio di un mondo che si sta allontanando sempre più da lui, il poeta smarrisce ogni legame con l’amata. La memoria, anziché riunire, rende ancora più angosciosa la distanza: “tu resti sola / né qui respiri nell’oscurità” (vv. 15-16).
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L’analisi del testo 12
2.4.
Ricerca e mostra come in questa lirica gli elementi di linguaggio comune (e perfino tecnico) si combinano con il gioco delle rime o quasi rime. Termini come “scogliera”, “sera”, “pensieri”, “irrequieto”, “mura”, “lieto”, “avventura”, “frastorna”, “s’allontana”, “pietà”, “sola”, “oscurità”, “s’accende”, “questa”, “resta” appartengono al linguaggio comune. Altre parole, invece, provengono da un linguaggio più “tecnico” e specifico: tra queste, “doganieri”, “banderuola”, “petroliera”, “frangente”. Tutte queste parole si combinano con il gioco delle rime: in particolare “doganieri” / “pensieri”; “scogliera” / “sera”; “irrequieto” / “lieto”; “mura” / “avventura”; “torna” / “frastorna”; “s’addipana” / “s’allontana”; “banderuola” / “sola”; “pietà” / “oscurità”; “s’accende” / “scoscende”; “questa” / “resta”. Ad arricchire il tessuto musicale del testo vi sono anche diverse “quasi rime” (come la consonanza “doganieri” / “scogliera” / “sera” /.
3. INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI 3.1.
Esponi il significato complessivo della lirica, collegandolo al titolo di essa. La “casa dei doganieri”, che dà titolo al componimento, viene ricordata già nel verso 1. Si tratta di un elemento decisivo per dare senso al componimento. Infatti la dogana è un punto di controllo di solito posto sulla linea di confine; anche la “casa” di questa poesia si trova, in qualche modo, su una linea di confine. Il poeta, solo con i suoi ricordi, sulla costa scoscesa e battuta dai flutti: si rappresenta dunque come un individuo rimasto solo con se stesso, sul ciglio di un abisso, oltre il quale si spalanca il mondo oscuro dell’ignoto. Da quel mondo, e in particolare dal passato oscuro e misterioso, provengono al poeta messaggi frammentari e indecifrabili: c’è un “orizzonte in fuga”, forse aperto alla speranza (“dove s’accende / rara la luce della petroliera”); il poeta cerca il “varco”, l’apertura verso la speranza e la felicità. Ma per adesso egli si trova dentro la casa, oppresso da ricordi che non riesce a far rivivere. La donna resta lontana, l’amore è irraggiungibile: il senso della lirica è, fondamentalmente, il pessimismo verso la condizione umana.
3.2.
Illustra il contributo di Montale al rinnovamento del linguaggio nel più vasto quadro della poesia del Novecento. La casa dei doganieri costituisce un esempio significativo del nuovo linguaggio poetico sperimentato da Montale. La condizione psicologica da cui le immagini prendono vita, come il tema stesso del ricordo impossibile o difficilissimo, e come la ricerca vana della propria continuità nel passato, emerge con naturalezza dagli “oggetti” con cui il poeta si confronta: la casa dei doganieri, innanzitutto, e poi da elementi di paesaggio, come il vento, la banderuola, la petroliera; e infine da immagini di chiaro valore simbolico, come la bussola impazzita e i dadi gettati. Vediamo qui attuarsi il particolare “realismo” montaliano, scaturito dalla precisa volontà del poeta di allontanarsi dal linguaggio retorico della tradizione, per avvicinarsi invece alla realtà: Montale aspira a essere insomma il più possibile “oggettivo”, ricorrendo a parole concrete, fisiche, per nulla astratte o generiche. Nelle Occasioni, come poi nella Bufera e altro, Montale ha fatto ricorso a simboli e allusioni, ma sempre cercando di “oggettivare” i suoi simboli mediante gli oggetti, a cui lascia il compito di esprimere, con la loro concretezza, le emozioni del suo animo. Si trattava di una poetica molto nuova, sia rispetto alla tradizione letteraria italiana, che amava invece esprimere i sentimenti, sia agli stessi poeti ermetici, che spesso, invece, ricorrono a simboli un po’ astratti e poco concreti.
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SEZIONE 2
13. Eugenio Montale, Mia vita, a te non chiedo lineamenti Mia vita, a te non chiedo lineamenti fissi, volti plausibili o possessi. Nel tuo giro inquieto ormai lo stesso sapore han miele e assenzio1. 5
Il cuore che ogni moto tiene a vile raro è squassato da trasalimenti. Così suona talvolta nel silenzio della campagna un colpo di fucile. da Ossi di seppia, 1925
1.
assenzio: pianta da cui si ricava un liquore che ebbe notevole diffusione alla fine dell’Ottocento, prima che fosse messo al bando per le sue proprietà, ritenute allucinogene.
Eugenio Montale (Genova, 1896 – Milano, 1981) da autodidatta (interruppe studi tecnici per motivi di salute), approfondì i suoi interessi letterari, entrando inizialmente in contatto con ambienti intellettuali genovesi e torinesi. Nel 1925 aderì al Manifesto degli intellettuali antifascisti promosso da Benedetto Croce. Nel 1927 si trasferì a Firenze, ove lavorò prima presso una casa editrice e poi presso il Gabinetto Scientifico Letterario Viesseux. Nel dopoguerra si stabilì a Milano, dove collaborò al Corriere della Sera come critico letterario e al Corriere dell’Informazione come critico musicale. Le sue varie raccolte sono apparse tra il 1925 (Ossi di seppia) e il 1977 (Quaderno di quattro anni). Nel 1975 ricevette il Premio Nobel per la letteratura. La sua produzione in versi, dopo l’iniziale influenza dell’Ermetismo, si è svolta secondo linee autonome. 1. COMPRENSIONE DEL TESTO Esponi i contenuti del testo, facendone eventualmente la parafrasi, oppure, a tua scelta, mettendone in luce i temi e i concetti più significativi. 2. ANALISI DEL TESTO 2.1. Soffermati, nella tua analisi, sui seguenti punti: a) il tema del “male di vivere”, così come viene tratteggiato dal poeta in questa poesia; b) il tema dell’indifferenza, che emerge in questa lirica così come in altre poesie di Ossi di seppia; c) la più generale visione del mondo montaliana, in rapporto alla ricerca del senso dell’esistere. 2.2. Soffermandoti sull’immagine del “colpo di fucile”, illustra il motivo del correlativo oggettivo e il modo in cui esso è presente in questa lirica. Mettilo in rapporto alla “poetica degli oggetti” tipica dell’autore. 2.3. Fai l’analisi stilistica del componimento, concentrandoti in particolare sulla sua costruzione sintattica e ritmica e sulle scelte lessicali. 3. INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI Svolgi sulle principali tematiche sopra indicate un rapido confronto con alcuni altri componimenti del medesimo autore che conosci. In alternativa, inserisci Montale nel quadro più generale della cultura e della società del suo tempo.
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L’analisi del testo 13
Svolgimento Questo svolgimento viene proposto come testo unico.
2.3 Fai l’analisi stilistica del componimento, concentrandoti in particolare sulla sua costruzione sintattica e ritmica e sulle scelte lessicali.
1. Esponi i contenuti del testo. 2.1 Il tema del “male di vivere”, anche in rapporto a un altro componimento di Montale.
2.1 La più generale visione del mondo montaliana, in rapporto alla ricerca del senso dell’esistere, e a un altro componimento dell’autore.
2.1 Il tema dell’indifferenza, che emerge in questa lirica così come in altre poesie di Ossi di seppia.
2.2 Soffermandoti sull’immagine del “colpo di fucile”, illustra il motivo del correlativo oggettivo.
La lirica tratta alcune tra le tematiche più tipiche della raccolta Ossi di seppia. Sul piano stilistico, essa rispecchia i modi tipici del primo Montale e quindi la sua rinuncia a ogni eleganza esteriore. Il ritmo è affidato a sette endecasillabi e a un solo settenario (al verso 4); il testo procede con un periodare calmo e ragionato, anche se si notano improvvise accensioni (a partire dal vocativo iniziale: Mia vita…) e qualche dissonanza. Sul piano tematico, in primo piano è la riflessione su quello che Montale stesso chiama, in un’altra sua famosa poesia, “il male di vivere” (Spesso il male di vivere ho incontrato...). Tale “male” viene qui identificato con l’impossibilità, da parte del poeta, di distinguere con chiarezza il bene e il male, amici e nemici, il dolce e l’amaro, ciò che davvero ci appartiene e ciò che non è nostro. Nel mondo umano tutto si mostra a tratti, in modo confuso e indefinito, e non permette di ricomporre i tasselli del reale in una sintesi unificante. Gli opposti, come “miele e assenzio” (v. 4) si toccano e si confondono: le passioni non ci conducono a una qualche rasserenante verità, l’esperienza non serve a capire il mondo intorno e dentro di noi. Nemmeno un “volto” (v. 2) pare in grado di liberare il poeta da questo dramma esistenziale. In questa lirica, l’interlocutore cercato dal poeta non s’incarna più in un “tu” esterno, in grado di offrire un senso all’indagine del poeta. All’autore non resta quindi che rivolgersi alla propria stessa esistenza, alla propria “vita” (v. 1). Ma sa che essa non conosce aiuti o amicizie: si svolge priva di ogni “possesso” (v. 2), cioè di un riferimento stabile e sicuro. Come Montale dice in un celebre componimento di questa raccolta, Non chiederci la parola…, non esiste alcuna “formula” che, correggendo la limitatezza umana, possa schiudere una verità di senso, facendola risplendere “come un croco perduto in mezzo ad un polveroso prato”. Date queste premesse, il “cuore” (v. 5) del poeta non può che rinchiudersi in un cupo silenzio interiore. A questo allude l’espressione “ogni moto tiene a vile”: meglio non muoversi, cioè non entusiasmarsi per nulla, non sperare in nulla, non attendere nulla. Tale stato d’animo è ciò che, nel già citato componimento Spesso il male di vivere, Montale chiama “la divina Indifferenza”. Qui essa viene scelta da Montale come rifiuto di qualsiasi passione. Assai raramente l’esistenza del poeta viene turbata da un imprevisto. Per lui le emozioni sono rare, brevi e sconvolgenti, così come può esserlo un improvviso colpo di fucile che risuona nel silenzio della campagna, (v. 8). Questa immagine è un “correlativo oggettivo”, un espediente a cui spesso Montale fa ricorso: si tratta di oggetti o situazioni concrete, grazie a cui il poeta riesce a nominare, rimanendo aderente alla realtà, un concetto astratto,
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Svolgimento
SEZIONE 2
Mettilo in rapporto alla “poetica degli oggetti” tipica dell’autore.
3. Inserisci Montale nel quadro più generale della cultura e della società del suo tempo.
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che parrebbe in sé innominabile. Anche in questa lirica si nota l’attenzione di Montale agli “oggetti” (i lineamenti, il miele e l’assenzio, i trasalimenti, la campagna, il colpo di fucile), che danno concretezza alla sua visione poetica. Mentre Ungaretti era convinto che la parola poetica potesse rivelare l’assoluto, riscattando la dimensione del contingente, e si affidava perciò a simboli e analogie, Montale nelle sue poesie mostra la realtà in tutta la sua “fisicità”, talora cruda. In questa lirica, l’effetto del “correlativo oggettivo” è acuito dall’enjambement posto tra ultimo e penultimo verso (“nel silenzio / della campagna”): esso anticipa, con la sua sospensione, la sorpresa per la fucilata improvvisa. D’un tratto è sconvolta la quiete della campagna e viene turbata la ricerca del poeta. Ma quel colpo echeggia misteriosamente, per poi spegnersi senza altre conseguenze. Dunque, pensa il poeta, non bisogna farsi turbare da ciò che accade; meglio mantenersi estranei, lucidi, ragionatori. È appunto la scelta dell’indifferenza. Per Montale, però, tale scelta non costituisce un facile rifugio. Non è modo per nascondersi al mondo o per negarsi all’umanità; essa incarna, invece, una scelta razionale. Proprio come facevano gli antichi stoici, indifferenti a ogni seduzione del vizio, il poeta rifiuta ogni patetismo, ogni consolazione: il suo compito è dire la verità, nuda e cruda, al lettore, svelandola senza mistificazioni. Il sottofondo di questa poesia è l’affermazione di una dolorosa consapevolezza: il giovane poeta non ha, per il momento, altro da offrire. E tuttavia, nel mondo delle facili certezze e dei proclami ideologici del fascismo (Ossi di seppia fu pubblicato nel 1925), questa soluzione costituiva a suo modo un coraggioso atto di denuncia, una presa di posizione in cui i lettori di quell’epoca poterono riconoscersi.
L’analisi del testo 14
14. Alberto Moravia, da Gli Indifferenti I marciapiedi erano affollati, la strada rigurgitava1 di veicoli, era il momento del massimo traffico; senza ombrello sotto la pioggia, Michele camminava con lentezza come se fosse stata una giornata di sole, guardando oziosamente le vetrine dei negozi, le donne, le réclames luminose sospese nell’oscurità; ma per quanti sforzi facesse non gli riusciva d’interessarsi a questo vecchio spettacolo della strada2; l’angoscia che l’aveva invaso senza ragione, mentre se ne andava attraverso i saloni vuoti dell’albergo3, non lo lasciava; la propria immagine, quel che veramente era e non poteva dimenticar di essere, lo perseguitava; ecco, gli pareva di vedersi: solo, miserabile, indifferente. Gli venne il desiderio di entrare in un cinematografo; ce n’era uno su quella strada, assai lussuoso, il quale sulla sua porta di marmo ostentava una girandola luminosa in continuo movimento. Michele si avvicinò, guardò le fotografie: roba cinese fatta in America; troppo stupido; accese una sigaretta, riprese il suo cammino senza fiducia, sotto la pioggia, tra la folla; poi buttò via la sigaretta: niente da fare. Ma intanto l’angoscia aumentava, su questo non c’era dubbio; già ne conosceva la formazione: prima una vaga incertezza, un senso di sfiducia, di vanità, un bisogno di affaccendarsi, di appassionarsi; poi, pian piano, la gola secca, la bocca amara, gli occhi sbarrati, il ritorno insistente nella sua testa vuota di certe frasi assurde, insomma una disperazione furiosa e senza illusioni. Di questa angoscia, Michele aveva un timore doloroso: avrebbe voluto non pensarci, e come ogni altra persona, vivere minuto per minuto, senza preoccupazioni, in pace con se stesso e con gli altri; “essere un imbecille” sospirava qualche volta; ma quando meno se l’aspettava una parola, un’immagine, un pensiero lo richiamavano all’eterna questione; allora la sua distrazione crollava, ogni sforzo era vano, bisognava pensare. Quel giorno, mentre se ne andava passo passo lungo i marciapiedi affollati, lo colpì, guardando in terra alle centinaia di piedi scalpiccianti nella mota4, la vanità del suo movimento: “Tutta questa gente” pensò, “sa dove va e cosa vuole, ha uno scopo, e per questo s’affretta, si tormenta, è triste, allegra, vive, io... io invece nulla... nessuno scopo... se non cammino sto seduto: fa lo stesso”. Non staccava gli occhi da terra: c’era veramente in tutti quei piedi che calpestavano il fango davanti a lui una sicurezza, una fiducia che egli non aveva; guardava, e il disgusto che provava di se stesso aumentava; ecco, egli era dovunque così, sfaccendato, indifferente; questa strada piovosa era la sua vita stessa, percorsa senza fede e senza entusiasmo, con gli occhi affascinati dagli splendori fallaci5 delle pubblicità luminose. “Fino a quando?”. Alzò gli occhi verso il cielo; le stupide girandole erano là, in quella nera oscurità superiore; una raccomandava una pasta dentifricia, un’altra una vernice per le scarpe. Riabbassò la testa; i piedi non cessavano il loro movimento, il fango schizzava da sotto i tacchi, la folla camminava. “E io dove vado?” si domandò ancora; si passò un dito nel colletto: “Cosa sono? perché non correre, non affrettarmi come tutta questa gente? perché non essere un uomo istintivo, sincero? perché non aver fede?”. L’angoscia l’opprimeva: avrebbe voluto fermare uno di quei passanti, prenderlo per il bavero, domandargli dove andasse, perché corresse a quel modo; avrebbe voluto avere uno scopo qualsiasi, anche ingannevole, e non scalpicciare così, di strada in strada, fra la gente che ne aveva uno. “Dove vado?”; un tempo, a quel che pareva, gli uomini conoscevano il loro cammino dai primi fino agli ultimi passi; ora no; la testa nel sacco; oscurità; cecità; ma bisognava pure andare in qualche luogo; dove? Michele pensò di andare a casa sua. Gli venne una subita6 fretta; ma la strada rigurgitava di veicoli, i quali, troppo numerosi, avanzavano lentamente lungo i marciapiedi; impossibile attraversare; sotto la pioggia diagonale, tra le facciate nere e illuminate delle case, le automobili, in due file opposte, l’una ascendente e l’altra discendente, aspettavano di sciogliersi e di balzare avanti; anch’egli aspettò. Allora tra le altre osservò una macchina più grande e più lussuosa; nell’interno di essa sedeva un uomo che si appoggiava rigidamente contro il fondo e aveva la testa
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nell’ombra; un braccio gli attraversava il petto, un braccio di donna, e si capiva che ella, sedutagli al lato, gli si era accasciata sulle ginocchia, aggrappandosi con la mano a quelle spalle, come chi vuole supplicare e non osa guardare in faccia; l’uomo immobile e la donna avvinghiata stettero per un istante davanti agli occhi di Michele nella luce bianca dei fanali; poi il veicolo si mosse e avanzò scivolando come un cetaceo tra le altre automobili; egli non vide più che un lumettino rosso fissato sopra la targa dei numeri; pareva un richiamo; e anche questo segno sparì. Gli restò da questa visione una tristezza nervosa e intollerabile; egli non conosceva quell’uomo e quella donna, doveva essere gente di tutt’altro ambiente che il suo, forse stranieri; eppure gli pareva che quella scena gli fosse uscita dall’animo e fosse una delle sue ansiose immaginazioni, incorporata e offerta ai suoi occhi da qualche superiore volontà; quello era il suo mondo dove si soffriva sinceramente, e si abbracciava delle spalle senza pietà, e si supplicava invano, non questo limbo7 pieno di fracassi assurdi, di sentimenti falsi, nel quale, figure storte e senza verità, si agitavano sua madre, Lisa, Carla, Leo, tutta la sua gente; egli avrebbe potuto odiar veramente quell’uomo, veramente amare quella donna; ma lo sapeva, era inutile sperare, quella terra promessa gli era proibita, né l’avrebbe mai raggiunta. dal capitolo VII 1 2 3
rigurgitava: era sovraffollata. questo vecchio spettacolo della strada: il personaggio è disinteressato a ciò che avviene in strada, allo spettacolo consueto (vecchio spettacolo) della vita quotidiana. dell’albergo: dove si teneva il tè danzante ed era scoppiata una nuova lite tra Michele e Leo.
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mota: fango. fallaci: effimeri, ingannevoli (promettono una felicità che poi non concedono). subita: improvvisa. limbo: il luogo dove dimorano le anime senza peccato ma senza battesimo.
Alberto Moravia (Roma 1907 - ivi 1990). Esordì con il realismo provocatorio de Gli indifferenti (1929), romanzo che illustra, attraverso la storia di una famiglia, la decadenza morale della classe borghese al tempo del fascismo. Il rapporto tra purezza e corruzione e l’osservazione delle trasformazioni sociali tornano nei suoi romanzi migliori: Agostino (1944), La ciociara (1957), La noia (1960), L’uomo che guarda (1985). Il brano proposto proviene dal capitolo VII del romanzo: nel pomeriggio la famiglia (la madre Mariagrazia, i figli Carla e Michele, e Leo, l’amante della madre) si era recata a un tè danzante, ospite di Leo, per festeggiare il compleanno di Carla. Michele si era però intrattenuto poco alla festa, perché aveva nuovamente litigato (o meglio: aveva cercato di litigare) con l’uomo. Ora, uscito dall’albergo, il giovane vaga per le strade di Roma. 1. COMPRENSIONE DEL TESTO Riassumi in max 15 righe il contenuto informativo del testo. 2. ANALISI DEL TESTO 2.1. Nel suo vagabondare per le vie, quale rapporto Michele vive con la realtà esterna? 2.2. Quali sentimenti prova il personaggio? Rispondi con concreti riferimenti al testo. 2.3. Nel suo itinerario il protagonista avverte anche delle sensazioni fisiche: quali? 2.4. In Michele prende corpo a un certo punto un desiderio. Quale? Ritrova nel testo l’immagine a cui tale desiderio si associa e chiarisci se egli riesca a realizzarlo oppure no. 2.5. A livello stilistico e linguistico, quali sono gli elementi più significativi del brano letto? 3. INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI Raccogliendo gli elementi più significativi della tua analisi, esponi adesso il significato generale di questo testo all’interno del romanzo. Collocalo inoltre nel contesto culturale e letterario dell’epoca in cui il romanzo Gli indifferenti fu scritto e pubblicato dal giovane autore.
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L’analisi del testo 14
Svolgimento 1. COMPRENSIONE DEL TESTO Riassumi in max 15 righe il contenuto informativo del testo. Dopo essersi allontanato dal tè danzante, a seguito dell’ennesima lite con Leo, Michele vagabonda per le vie di Roma. Si muove lentamente sotto la pioggia, senza una meta precisa; non prova interesse per ciò che lo circonda e che avviene intorno a lui. Pensa di andare al cinema, ma rinuncia perché il film proiettato gli sembra banale. Intanto sente crescere l’angoscia dentro di sé. La sua attenzione, a un certo punto, è calamitata dal movimento dei piedi altrui nel fango e nell’acqua: si chiede lo scopo di tanta frenesia, ma non trova risposta. Soffocato dal malessere interiore, Michele decide di ritornare rapidamente a casa. È però frenato dal traffìco e dai rallentamenti causati dal temporale. Mentre attende il passaggio delle automobili, vede – quasi come in una visione – un uomo all’interno di un’automobile: una donna cerca di abbracciarlo, quasi supplicandolo. Michele resta turbato da quella immagine, perché sente che nella propria vita non esiste alcuna forte passione paragonabile a quella.
2. ANALISI DEL TESTO 2.1.
Nel suo vagabondare per le vie, quale rapporto Michele vive con la realtà esterna? Tutto, in questo brano, appare strano, quasi surreale. Infatti Michele cammina come un automa, senza avvertire voci o rumori; il fondo buio della strada si anima di luci colorate (le luci dei negozi, dei cinema, della pubblicità) che suscitano, in lui, inquietudine e smarrimento; le automobili in lunghe file gli appaiono esseri mostruosi, quasi dotati di vita propria (“le automobili... aspettavano di sciogliersi e di balzare avanti”). Michele sembra insomma camminare in un sogno, o meglio, in un incubo.
2.2.
Quali sentimenti prova il personaggio? Rispondi con concreti riferimenti al testo. Michele è circondato dalla vita, ma non è “dentro” la vita: la osserva, piuttosto, dal di fuori, sentendola separata da sé, estranea e distante. Questo stato d’animo genera in lui un senso di inadeguatezza: “E io dove vado?” si domandò ancora; si passò un dito nel colletto: “Cosa sono? perché non correre, non affrettarmi come tutta questa gente? perché non essere un uomo istintivo, sincero? perché non aver fede?”. Il brano rivela dunque una crisi di identità, dalla quale il personaggio si sente schiacciato.
2.3.
Nel suo itinerario il protagonista avverte anche delle sensazioni fisiche: quali? Nel corso del suo vagabondare come inebetito per le strade di Roma, Michele avverte che l’angoscia, di cui ha imparato a riconoscere i sintomi, lo sta attanagliando in una morsa soffocante. Non si tratta solo di un malessere interiore: egli percepisce anche disturbi fisici, come la gola secca, la bocca amara, gli occhi sbarrati, mentre nel cervello gli martellano, incessanti, pensieri ossessivi e domande a cui non riesce a dare risposta.
2.4
In Michele prende corpo a un certo punto un desiderio. Quale? Ritrova nel testo l’immagine a cui tale desiderio si associa e chiarisci se egli riesca a realizzarlo oppure no. Il desiderio che Michele, a un certo punto, avverte con forza in se stesso è l’impulso di agire: fare qualcosa, per sfuggire all’angoscia. Questo impulso nasce in lui al vedere una rapida scena all’interno di un’automobile: un uomo non si lascia intenerire dal dolore della donna, malgrado lei disperatamente gli si aggrappi al collo per suscitarne la pietà, se non l’amore. Anche Michele vorrebbe provare una sensazione ugualmente forte: dolorosa, magari, ma vera e viva. Quella scena fugace di un amore forse finito, di certo sofferente, rappresenta per Michele un mondo più autentico, nel quale si soffre sinceramente, si supplica, si abbraccia. Tutto ciò rimane per Michele solo un desiderio, un’astrazione: nulla può squarciare lo spesso strato di indifferenza che lo opprime.
2.5.
A livello stilistico e linguistico, quali sono gli elementi più significativi del brano letto? Moravia conferma il suo tipico stile realistico e obiettivo anche in questo brano, facendo parlare le cose. La scena però è qui ripresa dal punto di vista del personaggio: la realtà esterna prende vita per come Michele la osserva e, soprattutto, la vive. Da qui l’utilizzo del discorso indiretto libero, che dà vita ad alcune immagini: per esempio, all’inizio, nella frase “la strada rigurgitava di veicoli”, viene utilizzato il verbo “rigurgitare” (che di per sé significa “vomitare”) in funzione connotativa, come se l’immagine della strada affollata provocasse in Michele un senso di nausea. In un altro punto il narratore ricorre alla figura del climax: la frase “gli pareva di vedersi: solo, miserabile, indifferente” utilizza i tre aggettivi in climax ascendente, per descrivere lo stato d’animo del protagonista, sempre più deluso e insoddisfatto di sé.
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L’angoscia che monta nell’intimo del personaggio viene espressa mediante periodi brevi e continue ripetizioni: “perché non correre… perché non essere… perché non avere…”. La ripetizione più frequente è quella delle negazioni: “non gli riusciva d’interessarsi”, “non poteva dimenticar di essere”, “Non staccava gli occhi da terra”, “i piedi non cessavano il loro movimento”, ecc. Un altro elemento che ritorna più volte, nel brano, è il modo condizionale, specialmente in rapporto al verbo volere: “avrebbe voluto non pensarci”, “avrebbe voluto fermare uno di quei passanti”, “avrebbe voluto avere uno scopo qualsiasi”. Il verbo della volontà si rivela, per Michele, il verbo di una volontà impossibile e assente. In generale, i verbi riferiti a Michele sono quasi sempre inerenti al “pensare”, non al “fare”: i suoi gesti esteriori si riducono al minimo, smorzano la loro carica, rispetto alle elucubrazioni mentali, che costituiscono il limite del personaggio. Nel finale le forme condizionali ribadiscono l’impotenza di chi vorrebbe agire, ma non riesce a trovare la spinta emotiva per farlo: “egli avrebbe potuto… ma lo sapeva, era inutile sperare… né l’avrebbe mai raggiunta”.
3. INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI Raccogliendo gli elementi più significativi della tua analisi, esponi adesso il significato generale di questo testo all’interno del romanzo. Collocalo inoltre nel contesto culturale e letterario dell’epoca in cui il romanzo Gli indifferenti fu scritto e pubblicato dal giovane autore. Il brano rappresenta il vagabondare di Michele per le strade di una piovosa notte romana quasi come se fosse un incubo, privo di volti e di sguardi: la presenza umana sta solo in quelle centinaia di piedi scalpiccianti nel fango. Essi avanzano con una sicurezza e una determinazione che, invece, Michele non ha mai posseduto. L’errare senza meta nella notte diventa metafora dell’esistenza del personaggio: un’esistenza priva di scopo e di emozioni. Perciò, alla fine, la sensazione che invade e domina Michele è quella di un totale disgusto per la vita. Il brano quindi conferma la grande tematica dell’”indifferenza” che caratterizza tutto il romanzo d’esordio di Moravia. Quando nel 1929 il librò uscì, suscitò interesse, ma anche scandalo. Molti critici legati alla cultura del fascismo accolsero l’opera con diffidenza, perché capivano che Moravia aveva espresso una condanna senza appello della borghesia, che era invece la classe sociale prediletta dal regime. Questo è vero, ma la decadenza della borghesia, nel romanzo, diviene anche l’immagine di una più ampia crisi esistenziale. L’”indifferenza” esprime cioè la negatività di fondo dell’esistenza umana: per Moravia non esiste per l’uomo alcuna possibilità di salvezza, né in senso religioso, né in senso semplicemente umano, nel senso che, a parere dell’autore, non c’è alcuna vera possibilità di valorizzare la propria vita in una qualche direzione.
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15. Carlo Emilio Gadda, Autoprefazione a La cognizione del dolore La sceverazione1 degli accadimenti del mondo e della società in parvenze o simboli spettacolari, muffe della storia biologica e della relativa componente estetica, e in moventi e sentimenti profondi, veridici, della realtà spirituale, questa cèrnita è metodo caratterizzante la rappresentazione che l’autore ama dare della società: i simboli spettacolari muovono per lo più il referto2 a una programmata derisione, che in certe pagine raggiunge tonalità parossistica e aspetto deforme: lo muovono alla polemica, alla beffa, al grottesco, al “barocco”: alla insofferenza, all’apparente crudeltà, a un indugio “misantropico”3 del pensiero. Ma il barocco e il grottesco albergano già nelle cose, nelle singole trovate di una fenomenologia4 a noi esterna: nelle stesse espressioni del costume, nella nozione accettata “comunemente” dai pochi o dai molti: e nelle lettere, umane o disumane che siano: grottesco e barocco non ascrivibili a una premeditata volontà o tendenza espressiva dell’autore, ma legati alla natura e alla storia: la grinta dello smargiasso, ancorché trombato5, o il verso “che più superba altezza”6 non ponno7 addebitarsi a volontà prava8 e “baroccheggiante” dell’autore, sì a reale e storica bambolaggine9 di secondi o di terzi, del loro contegno, o dei loro settenarî: talché il grido‑parola d’ordine “barocco è il G.10!” potrebbe commutarsi nel più ragionevole e più pacato asserto “barocco è il mondo, e il G. ne ha percepito e ritratto la baroccaggine”. ed. critica Einaudi, Torino 1987 1 2 3 4 5 6
sceverazione: scelta (come poi: cèrnita). il referto: qui, la rappresentazione della realtà. indugio ‘misantropico’ del pensiero: un pensiero ‘misantropo’ è quello che dà un giudizio negativo sugli uomini e, quindi, spinge alla solitudine. fenomenologia: complesso di fatti e fenomeni. smargiasso, ancorché trombato: il gradasso finito male (allude a Mussolini). il verso ‘che più superba altezza’: cita un verso di Manzoni,
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Il Cinque maggio (l’”altezza” allude a Napoleone convertito alla fede; si ricordi che Napoleone era notoriamente piccolo di statura!). ponno: possono. prava: malvagia. bambolaggine: l’atteggiamento di chi ‘bamboleggia’ in modo infantile; e perde, così, tempo su cose vane e solo appariscenti il G.: “il Gadda”; l’autore sta parlando di sé.
Carlo Emilio Gadda (1893-1973) fu uno dei più importanti autori del romanzo italiano di metà Novecento. Scrisse opere capitali come L’Adalgisa (1944), La cognizione del dolore (pubblicato per “tratti” prima in rivista tra 1938 e 1941, poi in vol. nel 1963-70), Quer pasticciaccio brutto de via Merulana (1957). Oltre ai suoi temi, impregnati di tensione conoscitiva, Gadda è importante per la sperimentazione linguistica ed espressiva. Il brano fa parte della Prefazione alla Cognizione del dolore, intitolata L’Editore chiede venia del recupero chiamando in causa l’Autore; fu scritta da Gadda per la prima edizione a stampa (1963) del suo romanzo. Costituisce un’efficace pagina di auto-presentazione dell’opera e dello spirito che la anima. 1. COMPRENSIONE DEL TESTO Dopo un’attenta lettura, e con l’ausilio delle note, proponi la parafrasi del testo. 2. ANALISI DEL TESTO 2.1. Il lettore che accosta questo brano prova una sensazione sia di stupore sia di confusione: prova a spiegare entrambe le reazioni e a motivarle sulla base del testo. 2.2. Quale elemento Gadda indica come base del proprio lavoro? E perché, e in che senso, chiama in causa il barocco? 2.3. Spiega con le tue parole l’espressione “un indugio misantropico del pensiero”. Perché l’autore lo rivendica a sé? 2.4. La critica di Gadda investe non solo la letteratura ma anche la cultura e la società del suo tempo. In che senso? 2.5. Lo stile di Gadda è stato definito espressionistico: in che senso? Trovi espressionistica questa pagina e se sì, perché? 2.6. Commenta qualche passaggio di questo testo che esemplifica da vicino le scelte affermate in teoria dall’autore milanese. 3. INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI Raccogliendo gli elementi più significativi della tua analisi, esponi adesso il significato generale di questo testo all’interno dell’opera di Gadda, ed eventualmente in rapporto con la cultura e la letteratura italiana del suo tempo e delle epoche precedenti.
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Svolgimento Questo svolgimento viene proposto come testo unico.
1. Dopo un’attenta lettura, e con l’ausilio delle note, proponi la parafrasi del testo.
2.1 Il lettore che accosta questo brano prova una sensazione sia di stupore sia di confusione: prova a spiegare entrambe le reazioni e a motivarle sulla base del testo.
2.2 Quale elemento Gadda indica come base del proprio lavoro? [...]
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In questo passo, tratto da uno scritto posto nel 1963 ad apertura del romanzo La cognizione del dolore, Carlo Emilio Gadda precisa la propria poetica e offre l’esempio di una scrittura davvero originale. Propongo anzitutto la parafrasi del testo: “Il metodo che caratterizza la descrizione che l’autore ama dare della società è una selezione: la scomposizione degli avvenimenti del mondo e della società in forme o simboli spettacolari, muffe della storia nei suoi aspetti vitali e nei suoi aspetti estetici, e in moventi e sentimenti profondi, veri, della realtà spirituale. Tali simboli spettacolari orientano l’analisi verso un atteggiamento umoristico, che in certe pagine assume un tono molto intenso e un aspetto deforme. Essi, inoltre, orientano lo scrittore alla polemica, alla beffa, al grottesco, al “barocco”: all’insofferenza, all’apparente crudeltà, a un pensiero che indugia su un atteggiamento di misantropia. Ma il barocco e il grottesco sono già presenti nelle cose, nella realtà esterna alla vita umana: nelle stesse manifestazioni del costume, nel significato che comunemente tutti danno a questa parola: e [il barocco e il grottesco] sono già nella letteratura, e perciò non sono imputabili alla scelta di un autore, visto che sono suggeriti dalla natura e dalla storia: la grinta di chi fa il gradasso, anche se fallito, o il verso “che più superba altezza”, non possono essere addebitati a una volontà perversa e “baroccheggiante” dell’autore. Vanno invece riferiti all’infantilismo reale e storico di certi individui, al loro contegno, ai loro versi settenari. Perciò l’affermazione che viene gridata come una parola d’ordine ‘G[adda] è scrittore barocco!”, andrebbe mutata nella ragionevole e pacata affermazione “barocco è il mondo, e G[adda] ne ha percepito e ritratto la baroccaggine’”. Il lettore che si accosta a questa pagina, e magari, attraverso essa, a Gadda per la prima volta, resta effettivamente meravigliato e confuso. Lo stupore nasce da una lingua del tutto diversa rispetto a quella utilizzata dagli altri narratori italiani coevi; la confusione viene invece dalla difficoltà di cogliere sia i tanti riferimenti cui il testo rimanda, sia il significato letterale di molte frasi. In esse infatti l’uso più convenzionale e comunicativo della lingua viene stravolto, sia sul piano del lessico sia su quello della sintassi. Gadda afferma di partire dalla realtà, anche se poi nega alla scrittura il compito di rispecchiare tale realtà secondo i modi tradizionali, oggettivi, del realismo. Quest’ultimo, a suo giudizio, è insufficiente, in quanto del reale sa cogliere solo lo strato superficiale, esterno. La letteratura deve andare oltre questo livello, deve impegnarsi a riprodurre la complessità del mondo, la molteplicità
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2.2 Perché, e in che senso, chiama in causa il barocco?
2.6 Commenta qualche passaggio di questo testo che esemplifica da vicino le scelte affermate in teoria dall’autore milanese.
2.5 Lo stile di Gadda è stato definito espressionistico: in che senso? Trovi espressionistica questa pagina e se sì, perché?
2.3 Spiega con le tue parole l’espressione “un indugio “misantropico” del pensiero”. Perché l’autore lo rivendica a sé?
2.5 La critica di Gadda investe non solo la letteratura ma anche la cultura e la società del suo tempo. In che senso?
dei suoi punti di vista, le manifestazioni più aggrovigliate e “scomposte”. È la realtà di questo mondo a essere arzigogolata, strampalata, deformata: a essere, come dice Gadda, una realtà che per sua natura è “barocca” e “grottesca”. Qui il termine “barocco” è riferito a quella corrente artistica e letteraria affermatasi nel Seicento, che mise in discussione la compostezza delle forme e l’equilibrio “classico” raggiunti nella precedente arte rinascimentale. Se la realtà, dunque, è “barocca”, per essere rappresentata essa richiede una scrittura altrettanto barocca e altrettanto grottesca. Da qui il ricorso a lingue diverse, a espressioni ridondanti, a immagini non comuni. Lo stile di Gadda nasce da questo intento che potremmo definire super-realista e che si manifesta in primo luogo nella lingua: per fedeltà (forse, potremmo dire, per un’assoluta fedeltà) ai caratteri del mondo reale, lo scrittore sceglie i più diversi registri linguistici e stilistici, ricorre alla mescolanza di termini letterari e forme popolari, alla deformazione e all’invenzione di parole, alla contaminazione di lingue antiche e moderne, compresi i dialetti. Nel brano in esame, vediamo attuarsi tale mescolanza e deformazione, in particolare, nel passaggio “non ponno addebitarsi a volontà prava e ‘baroccheggiante’ dell’autore, sì a reale e storica bambolaggine di secondi o di terzi, del loro contegno, o dei loro settenarî”: parole arcaiche e letterarie, come “ponno” e “prava”, qui convivono con un lessico più paradossale (“bambolaggine”), con allusioni agli autori (i “secondi o terzi”) e ai loro testi (i “loro settenari”, con riferimento al Cinque maggio di Manzoni). I critici hanno definito con il termine pastiche il risultato di quest’operazione fondata sulla manipolazione di materiali tanto vari ed eterogenei. Pastiche significa “mescolanza” e ci rimanda all’espressionismo letterario, cioè a una corrente dell’avanguardia europea di primo Novecento, che fu però preceduta da esperimenti compiuti da altri autori “espressionisti” nel corso dei secoli: Teofilo Folengo, Ruzante, Carlo Dossi, per citare gli autori italiani più noti. Sarebbe però sbagliato fermarsi, nella lettura di Gadda, ai soli caratteri della lingua. L’espressionismo gaddiano investe infatti anche i contenuti. A un certo punto, nel brano, Gadda accenna all’”indugio ‘misantropico’ del pensiero”, che rivendica con orgoglio. Egli, cioè, sceglie un atteggiamento d’insofferenza, di critica verso tutto e verso tutti: anche a prezzo di restare da solo ad affermare ciò che pensa. La solitudine e la “misantropia”, come lui stesso la chiama, nascono da questa totale convinzione circa le proprie scelte, di cui si assume tutte le conseguenze. Il suo gusto per la polemica, la beffa, i suoi toni aspri e irritati coinvolgono i vizi storici di una generazione e di una classe sociale a cui Gadda era legato per nascita, ma da cui egli ha poi preso totalmente le distanze. Educato ai valori tradizionali della borghesia milanese (serietà, concretezza, impegno), Gadda si scaglia contro coloro
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3. Esponi il significato generale di questo testo all’interno dell’opera di Gadda ed eventualmente in rapporto con la cultura e la letteratura italiana del suo tempo e delle epoche precedenti.
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che hanno tradito tali valori, trasformandoli in vuote apparenze, in richiami solo esteriori e superficiali. Nasce da questa insofferenza la sua critica nei confronti di Mussolini e del fascismo: una critica che ritroviamo un po’ in tutte le opere maggiori di Gadda, dalla Cognizione del dolore al Pasticciaccio. In questo brano l’autore irride alla “grinta dello smargiasso, ancorché trombato”: si scaglia quindi contro la grossolanità sociale e culturale del regime fascista, in auge nel tempo in cui Gadda si formò come scrittore e concepì i suoi capolavori. Ma non si tratta solo di una polemica politica: Gadda è critico, più in generale, verso una mentalità e un modo di vivere che hanno diffuso in Italia un clima di retorica vuota, di fanfaronaggine – il clima su cui si è fondata l’ascesa del fascismo. Sul piano letterario, egli prende quindi le distanze da D’Annunzio, di cui non sopporta lo stile tronfio e ampolloso. Si ricollega semmai a Manzoni e alla sua scelta per il realismo, anche se nel brano letto appare un’esplicita critica verso l’autore che nel Cinque maggio celebra la conversione religiosa di Napoleone parlando di lui – che era notoriamente piccolo di statura – come di una “superba altezza”. Il gusto per la critica e il paradosso, insomma, non viene mai meno in Gadda.
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16. Cesare Pavese, La notte Ma la notte ventosa, la limpida notte che il ricordo sfiorava soltanto, è remota, è un ricordo. Perduta una calma stupita fatta anch’essa di foglie e di nulla. Non resta, 5 di quel tempo di là dai ricordi, che un vago ricordare. Talvolta ritorna nel giorno nell’immobile luce del giorno d’estate, quel remoto stupore. Per la vuota finestra il bambino guardava la notte sui colli 10 freschi e neri, e stupiva di trovarli ammassati: vaga e limpida immobilità. Fra le foglie che stormivano al buio, apparivano i colli dove tutte le cose del giorno, le coste e le piante e le vigne, eran nitide e morte 15 e la vita era un’altra, di vento, di cielo, e di foglie e di nulla. Talvolta ritorna nell’immobile calma del giorno il ricordo di quel vivere assorto, nella luce stupita. da Lavorare stanca, Torino, Einaudi, 1968, p. 25 Cesare Pavese è nato nel 1908 a Santo Stefano Belbo, piccolo centro del Piemonte meridionale, nella zona collinare delle Langhe ed è morto a Torino nel 1950. Ha esordito come poeta e traduttore di romanzi americani, per poi affermarsi come narratore. La lirica La notte risale al 1938; essa chiude la prima sezione (intitolata Antenati) del volume poetico Lavorare stanca, pubblicato nel 1935 e poi, in seconda edizione, nel 1943. Quel libro si differenziava nettamente dalle opere di poesia pubblicate all’epoca, perché Pavese elaborò in esso una poesia-racconto, dove potessero trovare posto personaggi e narrazioni. 1. COMPRENSIONE DEL TESTO Da quale situazione si avvia questa visione lirica di Pavese? Esponi in breve, con le tue parole, il contesto in cui s’inquadra il componimento e il suo tema di fondo. 2. ANALISI DEL TESTO 2.1. In La notte si evidenziano alcuni temi tipici di Pavese: in particolare, il binomio natura (o campagna)-infanzia. Come viene raffigurato dal poeta? Illustra, con riferimenti al testo, il valore che tanto l’infanzia quanto la natura rivestono agli occhi del poeta. 2.2. Attraverso quali elementi formali Pavese riesce a creare un’atmosfera incantata e sognante? Analizza a tua scelta le immagini e i momenti che ritieni più significativi. 2.3. Nella lirica Pavese utilizza il suo tipico “verso lungo”: una misura differente sia dal verso breve o brevissimo di Ungaretti sia dal verso libero caro a un po’ tutta la poesia di primo Novecento, fino agli ermetici. Illustra con riferimenti al testo questa particolare scelta di Pavese e analizza sul piano ritmico qualche verso della lirica. 2.4. Ti sembra che in questa lirica Pavese abbia concretizzato la sua esigenza di poesia narrativa di poesia-racconto? Oppure prevalgono, in essa, elementi più propriamente lirici e simbolici? 3. INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI Proponi, alla luce dell’analisi svolta, un’interpretazione complessiva di questa lirica, evidenziandone il significato generale anche rispetto a ciò che conosci, più in generale, della vita e dell’opera letteraria dell’autore, morto suicida nel 1950.
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Svolgimento 1. COMPRENSIONE DEL TESTO Da quale situazione si avvia questa visione lirica di Pavese? Esponi in breve, con le tue parole, il contesto in cui s’inquadra il componimento e il suo tema di fondo. Come suggerisce il titolo, si tratta di un “notturno”, una visione suggerita da una particolare condizione della natura. Viene descritta una notte in campagna vissuta, però, da un “bambino” (v. 9), che la osserva dall’interno della casa, dalla “finestra” del v. 8: dunque non si tratta di una descrizione oggettiva della notte o dell’ambiente naturale, ma di una visione poetica molto soggettiva. La notte permette al bambino (e al poeta, che in lui si identifica) di vedere le cose sotto un altro punto di vista. Forse però a rendere così “limpida” (v. 1) la visione del bambino non è semplicemente la notte, ma è la sua stessa fanciullezza: infatti, una volta cresciuto, quella notte così pura egli non la vede più; per lui c’è solo il giorno, nella sua “immobile calma” (v. 17), un tempo quasi noioso e inutile. Quella sensazione di “luce stupita” (ovvero il vedere le cose stranamente limpide anche di notte) la può ritrovare solo raramente, quando ripensa appunto alla sua infanzia: ma è un “ricordo” remoto.
2. ANALISI DEL TESTO 2.1.
In La notte si evidenziano alcuni temi tipici di Pavese: in particolare, il binomio natura (o campagna)-infanzia. Come viene raffigurato dal poeta? Illustra, con riferimenti al testo, il valore che tanto l’infanzia quanto la natura rivestono agli occhi del poeta. Questa poesia sottolinea l’idea della vita che trae origine dalla natura, come se l’uomo potesse esistere solo attraverso un rapporto diretto, quasi tattile, con la terra da cui trae energia e vita (“la vita era un’altra, di vento, di cielo / e di foglie”, vv. 15-16). Pavese spesso collega la natura ai ricordi della sua fanciullezza e la connota quindi positivamente, come avviene qui: essa è la natura-madre, fonte di vita. L’infanzia, qui rappresentata dal bambino, è dunque un periodo positivo: è il momento contemplativo della vita, vissuto a contatto con una natura protettiva e benefica. Un altro elemento caratteristico di tutto Pavese viene qui richiamato al v. 12: “apparivano i colli”, dice il poeta; le colline sono un elemento positivo nella visione pavesiana, perché si collegano alla femminilità e quindi alla fecondità della natura.
2.2.
Attraverso quali elementi formali Pavese riesce a creare un’atmosfera incantata e sognante? Analizza a tua scelta le immagini e i momenti che ritieni più significativi. Pavese riesce a creare un’atmosfera incantata e sognante mediante il ricorso a più elementi. Per esempio, usa ripetizioni (v. 1. “la notte ventosa, la limpida notte”); usa accumulazioni per polisindeto o per asindeto (vv. 13-14: “le coste / e le piante e le vigne”; vv. 15-16: “di vento, di cielo, / e di foglie e di nulla”); utilizza, soprattutto, sostantivi e verbi che alludono all’indeterminatezza (“vago”, “fatta... di nulla”, “talvolta”), alla meraviglia (“stupita”, “stupore”, “stupiva”, “assorto”), alla lontananza (“remota”), e, soprattutto, al ricordo (“ricordo”, “tempo di là dai ricordi”). Un altro elemento molto interessante è l’uso particolare dell’articolo determinativo (“la notte ventosa”, “il bambino”, “i colli” ecc.): Pavese ne parla come se il lettore avesse chiari questi riferimenti, cosa che non è. E così, invece di “determinare”, cioè di precisare meglio tempo e spazio, questi articoli determinativi rafforzano l’impressione generale di sospensione e di mistero.
2.3.
Nella lirica Pavese utilizza il suo tipico “verso lungo”: una misura differente sia dal verso breve o brevissimo di Ungaretti sia dal verso libero caro a un po’ tutta la poesia di primo Novecento, fino agli ermetici. Illustra con riferimenti al testo questa particolare scelta di Pavese e analizza sul piano ritmico qualche verso della lirica. Pavese utilizza in questo componimento il suo “verso lungo”, adottando versi di lunghezza differente, e differenti anche nel ritmo degli accenti e nella posizione delle pause. Nella Notte prevalgono i versi di 13 sillabe, ma con ritmi diversi: per esempio, il v. 1 “Ma la notte ventosa, la limpida notte” è formato da un elemento di 7 sillabe + un elemento di 6 sillabe (lo stesso nel v. 16: “e di foglie e di nulla. Talvolta ritorna”); invece il v. 3 “è un ricordo. Perduta una calma stupita” è formato da un decasillabo, a cui è aggiunto un elemento trisillabico che rende meno ripetitivo e monotono il ritmo. Si incontrano anche verso di 14 sillabe (una coppia di settenari): così avviene nell’ultimo verso “di quel vivere assorto, nella luce stupita”. Quest’ultimo verso può essere letto come un doppio settenario (“di quel vivere assorto” + “nella luce stupita”), oppure come un endecasillabo + un ternario (“di quel vivere assorto, nella luce” + “stupita”). La prima lettura è autorizzata dalla virgola, che contribuisce a scandire il ritmo; in tal modo si sottolinea il parallelismo fra le due espressioni “vivere assorto” e “luce stupita” (composte entrambe da un sostantivo e un aggettivo in assonanza fra loro). La seconda interpretazione, invece (endecasillabo + ternario), pone in evidenza, isolandolo enfaticamente, l’aggettivo “stupita”, dando così alla conclusione della lirica un aspetto più sospeso e pensieroso.
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L’analisi del testo 16
2.4.
Ti sembra che in questa lirica Pavese abbia concretizzato la sua esigenza di poesia narrativa di poesia-racconto? Oppure prevalgono, in essa, elementi più propriamente lirici e simbolici? Pavese intendeva elaborare una poesia-racconto, dove potessero trovare posto personaggi e narrazioni. Tale scelta in lui nasceva da motivazioni e bisogni di natura etica: egli intendeva sia svincolare la poesia dall’oscurità e dall’aristocratica soggettività tipiche dell’ermetismo, sia rispondere all’urgenza che egli sentiva di “aver molto da dire”, di raccontare storie di molti personaggi. Questa esigenza troverà poi risposta nei romanzi e racconti in prosa. Tuttavia in questa poesia, più che il racconto, prevalgono immagini di alto valore simbolico, quindi una natura “lirica”, che del resto caratterizza anche molte opere in prosa di Pavese.
3. INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI Proponi, alla luce dell’analisi svolta, un’interpretazione complessiva di questa lirica, evidenziandone il significato generale anche rispetto a ciò che conosci, più in generale, della vita e dell’opera letteraria dell’autore, morto suicida nel 1950. La lirica propone un’immersione quasi sognante nella vita della campagna notturna e un ritorno al tempo felice dell’infanzia, quando il poeta poteva perdersi in tali contemplazioni. Tuttavia bisogna notare che, in questa immagine positiva della campagna, s’insinuano anche presenze negative (“tutte le cose del giorno... eran nitide e morte”, vv. 13-14): il poeta è consapevole che l’esistenza è “fatta” anche di “nulla” (v. 16). Questo nulla che chiude il v. 16 ci rimanda al momento più drammatico della vita dell’autore, che sceglierà di suicidarsi nel 1950, proprio perché non trovava nella sua vita un vero significato positivo a cui aggrapparsi. Un altro aspetto ci riporta a quella difficoltà di vivere che è tipica di Pavese: il “bambino” di questa poesia non partecipa direttamente alla vita della natura; egli, semplicemente, osserva “la notte sui colli freschi e neri” dalla “vuota finestra”, cioè da una posizione emarginata e defilata. Noi sappiamo quanto, per Pavese, fosse importante un rapporto attivo con il mondo, con la società, con gli altri. Un rapporto di questo tipo è tipico dell’adulta. Ma sappiamo anche come lui in prima persona faticò sempre a raggiungere questi obiettivi; si sentiva spesso emarginato e solo, tanto da scegliere, a un certo punto, di stroncare la propria esistenza, appunto perché si sentiva estraneo alla vita sociale. La lirica La notte, quindi, contiene entrambi gli elementi: il sogno della natura come tempo felice dell’infanzia e, contemporaneamente, il segno dell’esclusione e della drammatica scelta del suicidio dell’autore.
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17. Cesare Pavese, La luna e i falò C’è una ragione perché sono tornato in questo paese, qui e non invece a Canelli, a Barbaresco o in Alba. Qui non ci sono nato, è quasi certo; dove son nato non lo so; non c’è da queste parti una casa né un pezzo di terra né delle ossa ch’io possa dire “ecco cos’ero prima di nascere”. Non so se vengo dalla collina o dalla valle, dai boschi o da una casa di balconi. La ragazza che mi ha lasciato sugli scalini del duomo di Alba, magari non veniva neanche dalla campagna, magari era la figlia dei padroni di un palazzo, oppure mi ci hanno portato in un cavagno da vendemmia due povere donne da Monticello, da Neive o perché no da Cravanzana. Chi può dire di che carne sono fatto? Ho girato abbastanza il mondo da sapere che tutte le carni sono buone e si equivalgono, ma è per questo che uno si stanca e cerca di mettere radici, di farsi terra e paese, perché la sua carne valga e duri qualcosa di più che un comune giro di stagione. Se sono cresciuto in questo paese, devo dir grazie alla Virgilia, a Padrino, tutta gente che non c’è più, anche se loro mi hanno preso e allevato soltanto perché l’ospedale di Alessandria vi passava la mesata. Su questa collina, quarant’anni fa, c’erano dei dannati che per vedere uno scudo d’argento si caricavano un bastardo dell’ospedale, oltre ai figli che avevano già. C’era chi prendeva una bambina per averci poi la servetta e comandarla meglio; la Virgilia volle me perché di figli ne aveva già due e quando fossi un po’ cresciuto speravano di aggiustarsi in una grossa cascina e lavorare tutti quanti e star bene. Padrino aveva allora il casotto di Gaminella - due stanze e una stalla -, la capra e quella riva dei noccioli. Io veni su con le ragazze, ci rubavamo la polenta, dormivamo sullo stesso saccone, Angiolina la maggiore, aveva un anno più di me; e soltanto a dieci anni, nell’inverno quando morì la Virgilia seppi per caso che non ero suo fratello. Da quell’inverno Angiolina giudiziosa dovette smettere di girare con noi per la riva e per i boschi; accudiva alla casa, faceva il pane e le robiole, andava lei a ritirare in municipio il mio scudo; io mi vantavo con Giulia di valere cinque lire, le dicevo che lei non fruttava niente e chiedevo a Padrino perché non prendevamo altri bastardi. Adesso sapevo che erano dei miserabili perché soltanto i miserabili allevano i bastardi dell’ospedale. Prima, quando correndo a scuola, gli altri mi dicevano bastardo, io credevo che fosse un nome come vigliacco o vagabondo e rispondevo per le rime. Ma ero già un ragazzo fatto e il municipio non ci pagava più lo scudo, che io ancora non avevo ben capito che non essere figlio di Padrino e della Virgilia voleva dire non essere nato in Gaminella, non essere sbucato da sotto i noccioli o dall’orecchio della nostra capra come le ragazze. dal capitolo I Cesare Pavese è nato nel 1908 a Santo Stefano Belbo, piccolo centro del Piemonte meridionale, nella zona collinare delle Langhe ed è morto a Torino nel 1950. Ha esordito come poeta e traduttore di romanzi americani, per poi affermarsi come narratore. Il brano è tratto dal romanzo La luna e i falò, pubblicato nel 1950. La vicenda è raccontata in prima persona dal protagonista, Anguilla, un trovatello allevato da poveri contadini delle Langhe, il quale, dopo aver fatto fortuna in America ritorna alle colline della propria infanzia. 1. COMPRENSIONE COMPLESSIVA Dopo una prima lettura, riassumi il contenuto informativo del testo in non più di dieci righe. 2. ANALISI E INTERPRETAZIONE DEL TESTO 2.1. “C’è una ragione...”. Individua nel testo la ragione del ritorno del protagonista. 2.2. I paesi e i luoghi della propria infanzia sono indicati dal protagonista con i loro nomi propri e con insistenza. Spiegane il senso e la ragione. 2.3. Spiega il significato delle espressioni “non c’è da queste parti una casa né un pezzo di terra, né delle ossa” e chiarisci il senso della ricerca di se stesso “prima di nascere”. 2.4. La parola “carne” ritorna nel testo tre volte. Spiega il significato di questa parola e della sua iterazione. 2.5. Spiega come poter conciliare l’affermazione “tutte le carni sono buone e si equivalgono” con il desiderio che uno ha “di farsi terra e paese” per durare oltre l’esistenza individuale ed effimera.
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2.6. La parola “bastardo” ricorre con insistenza. Spiegane il significato in riferimento alla situazione specifica in cui il termine viene di volta in volta collocato. 3. INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI Sulla base dell’analisi condotta, proponi una tua interpretazione complessiva del brano ed approfondiscila collegando questa pagina iniziale di La luna e i falò con altre prose o poesie di Pavese eventualmente lette. In mancanza di questa lettura, confrontala con testi di altri scrittori contemporanei o non, nei quali ricorre lo stesso tema del ritorno alle origini. Puoi anche riferirti alla situazione storico-politica dell’epoca o ad altri aspetti o componenti culturali di tua conoscenza.
Svolgimento 1. COMPRENSIONE COMPLESSIVA Dopo una prima lettura, riassumi il contenuto informativo del testo in non più di dieci righe. Anguilla, il protagonista del romanzo, riflette sul motivo per cui da adulto, dopo molti anni, è tornato a Gaminella, il paese delle Langhe dove ha passato l’infanzia e la giovinezza. Anzitutto nota il fatto che egli stesso non sa quali siano esattamente le proprie origini: infatti ignora dove sia nato esattamente, né sa chi siano i suoi veri genitori. Anguilla parla poi dell’umile famiglia che lo ha adottato, racconta della sua infanzia trascorsa insieme alle sorelle e ricorda che, allora, non era consapevole di essere un “bastardo”, anche perché non conosceva l’esatto significato di questo termine di uso comune.
2. ANALISI E INTERPRETAZIONE DEL TESTO 2.1.
“C’è una ragione...”. Individua nel testo la ragione del ritorno del protagonista. Il libro si apre con una affermazione: “C’è una ragione perché sono tornato in questo paese” e il lettore si aspetta che gli venga comunicata quale sia “questa ragione”. Invece la voce narrante (quella di Anguilla, il protagonista) comincia a parlare d’altro, della sua nascita, della sua vita passata, delle sue passeggiate durante il soggiorno in paese, della rivisitazione di certi posti. Quanto a spiegare il perché sia ritornato proprio a Gaminella, Anguilla dice solo delle negazioni: è tornato lì non perché questo sia il suo paese natale, né perché lì abbia qualche proprietà. Questo ritorno avviene, dunque, senza una ragione precisa: il personaggio è mosso, piuttosto, da un bisogno esistenziale, quello di dare un significato alla propria vita mediante il recupero delle sue radici.
2.2.
I paesi e i luoghi della propria infanzia sono indicati dal protagonista con i loro nomi propri e con insistenza. Spiegane il senso e la ragione. Il protagonista indica i paesi e i luoghi della propria infanzia con i loro nomi propri e in modo insistente (“a Canelli, a Barbaresco o in Alba”; più avanti: “da Monticello, da Neive o perché no da Cravanzana”). Perché questa scelta? Da una parte c’è la chiara volontà dello scrittore di delimitare in senso spaziale e cronologico la vicenda che si appresta a scrivere, di darle quindi un preciso contorno nello spazio e nel tempo. Inoltre Anguilla vuole forse riempire, attraverso tale precisione, il vuoto causato dal fatto di non sapere quale sia, precisamente, il luogo della sua nascita. Come sapremo più avanti, infatti, Anguilla è un “bastardo”.
2.3.
Spiega il significato delle espressioni “non c’è da queste parti una casa né un pezzo di terra, né delle ossa” e chiarisci il senso della ricerca di se stesso “prima di nascere”. Dicendo che “non c’è da queste parti una casa né un pezzo di terra, né delle ossa”, Anguilla allude al fatto che il suo passato gli è ignoto: non rimane nessuna traccia di tutto quanto è successo prima della sua nascita; di quel passato non avanza nulla, né casa né terra né ossa. Malgrado ciò, Anguilla non si rassegna: vuole a tutti i costi sapere di sé. Egli avverte infatti la profonda esigenza di appartenere a una comunità, a un mondo più ampio della sua sola individualità.
2.4.
La parola “carne” ritorna nel testo tre volte. Spiega il significato di questa parola e della sua iterazione. Specialmente in una cultura contadina, che si riflette nel linguaggio di Anguilla, “carne” è un termine che allude alle cose concrete, all’aspetto materiale dell’esistenza, in contrapposizione a quello spirituale. Pavese riprende questa parola più volte, nel testo, proprio per sottolineare la concezione materialistica della vita: i contadini delle Langhe misurano la vita, quella propria e la vita di tutti, sulla base di parametri molto oggettivi e quasi fisici. Pavese cono-
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sceva perfettamente la vita delle Langhe, ma evita di raccontarla secondo il suo punto di vista di uomo “acculturato”, divenuto cittadino. Lascia invece tale compito ad Anguilla, anche lui proveniente dalle Langhe e dal più basso dei gradini della scala sociale; anche se, nel momento in cui ritorna nella propria terra, Anguilla ha potuto fare esperienza della vita di città. 2.5.
Spiega come poter conciliare l’affermazione “tutte le carni sono buone e si equivalgono” con il desiderio che uno ha “di farsi terra e paese” per durare oltre l’esistenza individuale ed effimera. Tutti gli uomini, nella visione di Anguilla, sono uguali, perché sono fatti di carne e di ossa: dunque tutti sono mortali e tutti, come dice il personaggio, “si equivalgono”. Esistono però anche delle differenze tra le persone, date dal luogo della loro nascita, da come si sono formate, dal gruppo sociale che li ha sostenuti nel corso della vita. Perciò ognuno di noi, dice Anguilla, ha bisogno “di farsi terra e paese”, ovvero di collegare la propria esistenza a quella di una comunità. Solo l’appartenere a una cerchia precisa di persone può salvaguardare la memoria e quindi vincere quella mancanza di significato che Anguilla (controfigura dell’autore) teme più di ogni altra cosa.
2.6.
La parola “bastardo” ricorre con insistenza. Spiegane il significato in riferimento alla situazione specifica in cui il termine viene di volta in volta collocato. La parola “bastardo” viene ripresa per ben quattro volte in questo breve testo: “si caricavano un bastardo dell’ospedale”; “chiedevo a Padrino perché non prendevamo altri bastardi”; “soltanto i miserabili allevano i bastardi dell’ospedale”; “gli altri mi dicevano bastardo”. In tal modo egli vuole sottolineare il punto di vista della famiglia che lo adottò (indotta più dai vantaggi dell’adozione che non dalla carità verso un bambino orfano). Ma l’uso di questa parola così sgradevole e cruda serve all’autore anche per dimostrare la mentalità pragmatica e quasi spietata dei contadini delle Langhe, poco propensi a “indorare” la realtà e inclini, invece, a mettere in luce tutte le difficoltà della vita umana.
3. INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI Sulla base dell’analisi condotta, proponi una tua interpretazione complessiva del brano ed approfondiscila collegando questa pagina iniziale di La luna e i falò con altre prose o poesie di Pavese eventualmente lette. In mancanza di questa lettura, confrontala con testi di altri scrittori contemporanei o non, nei quali ricorre lo stesso tema del ritorno alle origini. Puoi anche riferirti alla situazione storico-politica dell’epoca o ad altri aspetti o componenti culturali di tua conoscenza. Nel romanzo La luna e i falò Pavese rivisita alcuni temi a lui cari: l’autoanalisi, la solitudine, l’incapacità di attribuire un senso alla storia e all’esistenza. In questo romanzo l’autoanalisi assume l’aspetto di una dolorosa e vana ricerca d’identità; la solitudine e l’estraneità del protagonista, invece, sono già implicite nella sua nascita di “bastardo” e in una vita trascorsa da espatriato in America. Nel precedente romanzo La casa in collina (1948), invece, l’autoanalisi metteva il protagonista davanti alla tragedia della guerra e all’esigenza di impegno civile; la solitudine, quindi, si presentava là soprattutto come l’amaro frutto di una precisa situazione storica. Da questo punto di vista, La luna e il falò scava più a fondo nella condizione esistenziale degli uomini e appare un’opera priva di qualsiasi soluzione positiva: Anguilla, di fatto, fallisce nel suo tentativo di attribuire un senso all’esistenza e di ritrovare la propria identità. Rimane insomma un “bastardo”, proprio come continuò a sentirsi Pavese. Fu tale senso di sconfitta, probabilmente, a indurre l’autore a suicidarsi poco dopo la stesura di questa che rimane la sua ultima opera.
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L’analisi del testo 18
18. Primo Levi, da Se questo è un uomo, cap. XI Il canto di Ulisse. Chissà come e perché mi è venuto in mente: ma non abbiamo tempo di scegliere, quest’ora già non è più un’ora. Se Jean1 è intelligente capirà. Capirà: oggi mi sento da tanto. …Chi è Dante. Che cosa è la Commedia. Quale sensazione curiosa di novità si prova, se si cerca di spiegare in breve che cosa è la Divina Commedia. Come è distribuito l’Inferno, cosa è il contrappasso. Virgilio è la Ragione, Beatrice la Teologia. Jean è attentissimo, ed io comincio, lento e accurato: Lo maggior corno della fiamma antica cominciò a crollarsi mormorando, pur come quella cui vento affatica. Indi, la cima in qua e in là menando come fosse la lingua che parlasse mise fuori la voce, e disse: Quando… Qui mi fermo e cerco di tradurre. Disastroso: povero Dante e povero francese! Tuttavia l’esperienza pare che prometta bene: Jean ammira la bizzarra similitudine della lingua, e mi suggerisce il termine appropriato per rendere “antica”. E dopo “Quando”? Il nulla, Un buco della memoria. “Prima che sì Enea la nominasse”. Altro buco. Viene a galla qualche frammento non utilizzabile: “… la pietà Del vecchio padre, né’l debito amore Che doveva Penelope far lieta…” sarà poi esatto? …Ma misi me per l’alto mare Di questo sì, di questo sono sicuro, sono in grado di spiegare a Pikolo2, di distinguere perché “misi me” non è “je me mis3”, è molto più forte e più audace, è un vincolo infranto, è scagliare se stessi al di là della barriera, noi conosciamo bene questo impulso. L’alto mare aperto: Pikolo ha viaggiato per mare e sa cosa vuol dire, è quando l’orizzonte si chiude su se stesso, libero diritto e semplice, e non c’è ormai che odore di mare: dolci cose ferocemente lontane. Siamo arrivati a Kraftwerk4, dove lavora il Kommando dei posacavi. Ci dev’essere l’ingegner Levi. Eccolo, si vede solo la testa fuori dalla trincea. Mi fa un cenno con la mano, è un uomo in gamba, non l’ho mai visto giù di morale, non parla mai di mangiare. “Mare aperto”. “Mare aperto”. So che rima con “diserto”: “… quella compagna Picciola, dalla qual non fui diserto”, ma non rammento più se viene prima o dopo. E anche il viaggio, il temerario viaggio al di là delle colonne d’Ercole, che tristezza, sono costretto a raccontarlo in prosa: un sacrilegio. Non ho salvato che un verso, ma vale la pena di fermarcisi: …Acciò che l’uom più oltre non si metta. “Si metta”: dovevo venire in Lager per accorgermi che è la stessa espressione di prima, “ e misi me”. Ma non ne faccio parte a Jean, non sono sicuro che sia un’osservazione importante. Quante altre cose ci sarebbero da dire, e il sole è già alto, mezzogiorno è vicino. Ho fretta, una fretta furibonda. Ecco, attento Pikolo, apri gli occhi e la mente, ho bisogno che tu capisca: Considerate la vostra semenza: fatte non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza. Come se anch’io lo sentissi per la prima volta: come uno squillo di tromba, come la voce di Dio. Per un momento, ho dimenticato chi sono e dove sono. Pikolo mi prega di ripetere. Come è buono Pikolo, si è accorto che mi sta facendo bene. O forse è qualcosa
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di più: forse, nonostante la traduzione scialba e il commento pedestre e frettoloso, ha ricevuto il messaggio, ha sentito che lo riguarda, che riguarda tutti gli uomini in travaglio, e noi in specie; e che riguarda noi due, che osiamo ragionare di queste cose con le stanghe della zuppa sulle spalle. Li miei compagni fec’io sì acuti… …e mi sforzo, ma invano, di spiegare quante cose vuol dire questo “acuti”. Qui ancora una lacuna, questa volta irreparabile. “… Lo lume era di sotto della luna” o qualcosa di simile; ma prima?… Nessuna idea, “keine Ahnung5 ” come si dice qui. Che Pikolo mi scusi, ho dimenticato almeno quattro terzine. Ça ne fait rien, vas-y tout de meme6. …Quando mi apparve una montagna, bruna per la distanza, e parvemi alta tanto che mai veduta non ne avevo alcuna. Sì, sì, “alta tanto”, non “molto alta”, proposizione consecutiva. E le montagne, quando si vedono di lontano… le montagne… oh Pikolo, Pikolo, di’ qualcosa, parla, non lasciarmi pensare alle mie montagne, che comparivano nel bruno della sera quando tornavo in treno da Milano a Torino! Basta, bisogna proseguire, queste sono cose che si pensano ma non si dicono. Pikolo attende e mi guarda. Darei la zuppa di oggi per sapere saldare “non ne avevo alcuna” col finale. Mi sforzo di ricostruire per mezzo delle rime, chiudo gli occhi, mi mordo le dita: ma non serve, il resto è silenzio. Mi danno per il capo altri versi: “… la terra lagrimosa diede vento…” no, è un’altra cosa. È tardi, è tardi, siamo arrivati alla cucina, bisogna concludere: Tre volte il fe’ girar con tutte l’acque, alla quarta levar la poppa in suso e la prora ire in giù, come altrui piacque… Trattengo Pikolo, è assolutamente necessario e urgente che ascolti, che comprenda questo “come altrui piacque”, prima che sia troppo tardi, domani lui o io possiamo essere morti, o non vederci mai più, devo dirgli, spiegargli del Medioevo, […] e altro ancora, qualcosa di gigantesco che io stesso ho visto ora soltanto, nell’intuizione di un attimo, forse il perché del nostro destino, del nostro essere oggi qui… Siamo oramai nella fil per la zuppa, in mezzo alla folla sordida e sbrindellata dei porta-zuppa degli altri Kommandos. I nuovi giunti ci si accalcano alle spalle. – Kraut und Ruben?7 – Kraut und Ruben –. Si annuncia ufficialmente che oggi la zuppa è di cavoli e rape: – Choux et navets. – Kaposzta es repark. infin che’l mar fu sopra noi rinchiuso (Primo Levi, Se questo è un uomo, Einaudi, Torino, 1976, pp. 100 - 103) 1
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Jean: l’amico francese ha il compito di trasportare la marmitta piena di zuppa al proprio gruppo d’internati; ha quindi bisogno dell’aiuto di un’altra persona. Questa volta ha scelto proprio Primo Levi. Pikolo: nel gergo del lager, questo non è un nome proprio; indica la funzione di fattorino svolta da Jean. je me mis: io mi misi (in francese).
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Kraftwerk: la centrale elettrica del lager. keine Ahnung: “nessuna idea” in tedesco. Ça ne fait rien, vas-y tout de meme: non fa niente, continua lo stesso (in francese). Kraut und Ruben?: cavoli e rape, gli ingredienti vegetali della zuppa. Le due parole vengono poi ripetute in altre lingue.
Primo Levi (1919‑87), chimico di professione, fu deportato nel 1944 ad Auschwitz e sopravvisse anche grazie alla sua conoscenza della lingua tedesca e della chimica. Al suo ritorno, decise di mettere per iscritto alcuni episodi della vita del lager come testimonianza di ciò che “ad Auschwitz è bastato all’uomo di fare all’uomo”: le due opere che ne nacquero, Se questo è un uomo (1947) e La tregua (1963), costituiscono una riaffermazione dei valori di civiltà e dignità umana, che rischiarono di scomparire nell’inferno della Shoah. Questo brano è estratto da Se questo è un uomo. Levi si sforza di tradurre in francese per un compagno di prigionia, Jean, i versi della Commedia dantesca dedicati all’ultimo viaggio di Ulisse. La memoria dello scrittore è fragile e riporta alla luce solo frammenti del celebre canto XXVI dell’Inferno; si aggiunge la difficoltà del dover tradurre. Tuttavia proprio il contesto del lager fa risaltare i valori umani del testo dantesco: il desiderio di “varcare il limite”, l’elogio della conoscenza che distingue gli uomini dalle bestie offrono, almeno in parte, parole di speranza e di coraggio a quanto devono “viver come bruti” ad Auschwitz.
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1. COMPRENSIONE DEL TESTO Riassumi brevemente il contenuto informativo del testo. 2. ANALISI DEL TESTO 2.1. Il protagonista-narratore ci tiene moltissimo a concludere la sua lezione all’amico: in più punti viene messa in luce la sua fretta. Ritrova nel testo i motivi di questa premura e rifletti sulle possibili motivazioni di essa. 2.2. I versi di Dante citati nel capitolo XI di Se questo è un uomo non sono sempre esatti: confrontati con l’originale dantesco, manifestano qualche imprecisione. Perché, secondo te, al momento di pubblicare l’opera Levi ha lasciato che sopravvivessero tali imperfezioni? 2.3. “Per un momento, ho dimenticato chi sono e dove sono”, dice a un certo punto l’autore. Ritrova il punto nel testo e commentalo: come va inteso questo suo “dimenticare”, in senso positivo o negativo? È un semplice mezzo di evasione, o qualcos’altro? 2.4. Molti anni dopo, in I sommersi e i salvati, Levi è ritornato su questo episodio del canto di Ulisse, parlandone così: “Dove ho scritto darei la zuppa di oggi per saper saldare ‘non ne avevo alcuna’ col finale, non mentivo e non esageravo, avrei dato veramente pane e zuppa, cioè sangue, per salvare dal nulla quei ricordi... Allora e là, valevano molto”. In che senso valevano molto? E perché Levi precisa: allora e là? 2.5. Commenta lo stile del brano, dal punto di vista della sintassi e delle scelte lessicali. 3. INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI 3.1. Rifletti sul significato complessivo del testo, cercando di chiarire il perché esso si focalizza proprio sul canto XXVI dell’Inferno: quale valore esso assume, rispetto alla vita dei prigionieri di Auschwitz? 3.2. Il brano di Levi costituisce anche una puntualizzazione, più in generale, sul valore che si può attribuire alla letteratura. Prova a esplicitarlo.
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Svolgimento 1. COMPRENSIONE COMPLESSIVA Riassumi brevemente il contenuto informativo del testo. Il protagonista-narratore si sforza di tradurre in francese per un suo compagno di prigionia – Jean detto Pikolo – i versi famosi di Dante che narrano l’ultimo viaggio di Ulisse. Sono però versi da lui imparati molti anni prima a scuola, e che riaffiorano solo parzialmente nella memoria dell’io narrante. Ma strada facendo, il protagonista si rende conto che, raccontando il canto di Ulisse, sta riflettendo intanto sulla propria condizione di internato; e soprattutto sta opponendo a tale condizione la prospettiva di un destino diverso e migliore. Perciò si accende di entusiasmo, si sforza di ricordare in fretta e il più possibile, per fare dono a sé e all’amico di un bene prezioso, assai più della zuppa che è invece l’unico desiderio di molti altri prigionieri.
2. ANALISI E INTERPRETAZIONE DEL TESTO 2.1.
Il protagonista-narratore ci tiene moltissimo a concludere la sua lezione all’amico: in più punti viene messa in luce la sua fretta. Ritrova nel testo i motivi di questa premura e rifletti sulle possibili motivazioni di essa. “Ho fretta, una fretta furibonda”, così dice Levi a Jean-Pikolo. Gli preme dare subito inizio alla lezione, senza sprecare il tempo prezioso che hanno a disposizione. Anche più avanti dirà: “È tardi, è tardi, siamo arrivati alla cucina, bisogna concludere”. Ma perché tanta frenesia? Per rispondere, dobbiamo riflettere sul contesto in cui si svolge l’episodio: un campo di concentramento. Siamo cioè in un ambiente nel quale vige la sola legge dell’abbrutimento fisico e morale, perpetrata con ogni mezzo dai carcerieri allo scopo di cancellare dall’animo dei deportati persino l’ultima scintilla di umanità. La poesia di Dante appare un faro che si oppone luminosamente a tutto ciò. Inoltre va detto che il protagonista-narratore incarna, nell’episodio, il ruolo del maestro: sforzandosi d’insegnare all’amico Jean un brano poetico così celebre, egli ha l’occasione (molto rara, nella vita del lager) di esercitare un’attività intellettuale, di valorizzare il proprio sapere, e anche di preparare un futuro migliore per entrambi. Tutto ciò viene vissuto come una forma di resistenza al disegno nazista dell’annientamento sistematico della dignità umana dei prigionieri.
2.2.
I versi di Dante citati nel capitolo XI di Se questo è un uomo non sono sempre esatti: confrontati con l’originale dantesco, manifestano qualche imprecisione. Perché, secondo te, al momento di pubblicare l’opera Levi ha lasciato che sopravvivessero tali imperfezioni? Il narratore-protagonista può fare affidamento solo sulla sua memoria, perché ovviamente nel lager non sono disponibili edizioni del poema dantesco. La memoria accusa purtroppo qualche cedimento; per questo motivo le citazioni sono in parte lacunose. Levi non ricorda intere terzine, ma si ostina comunque a ricostruire il testo, sforzandosi di ricordare, di far riemergere (anche con l’aiuto delle rime) i frammenti un tempo studiati a scuola. Al tempo della stesura del romanzo, avrebbe potuto ripristinare il testo corretto del poema di Dante, ma non l’ha voluto fare, fedele al suo proposito di fornire ai lettori una testimonianza veritiera su quanto accadde nel lager.
2.3.
“Per un momento, ho dimenticato chi sono e dove sono”, dice a un certo punto l’autore. Ritrova il punto nel testo e commentalo: come va inteso questo suo “dimenticare”, in senso positivo o negativo? È un semplice mezzo di evasione, o qualcos’altro? “Dimenticare” non è affatto, nel contesto di questo brano, una forma di evasione. Qui “dimenticare” significa non badare alla situazione tragica del lager, superare i limiti contingenti, per riascoltare la grande lezione di Dante: malgrado la piccolezza della nostra condizione presente, noi siamo fatti per aspirare alla conoscenza, per superare i nostri limiti, per seguire un destino di grandezza. Man mano che Levi cita e commenta i versi del canto di Ulisse, si accorge che in esso si trova riflessa, come in uno specchio, la condizione dei deportati di Auschwitz.
2.4.
Molti anni dopo, in I sommersi e i salvati, Levi è ritornato su questo episodio del canto di Ulisse, parlandone così: “Dove ho scritto darei la zuppa di oggi per saper saldare ‘non ne avevo alcuna’ col finale, non mentivo e non esageravo, avrei dato veramente pane e zuppa, cioè sangue, per salvare dal nulla quei ricordi... Allora e là, valevano molto”. In che senso valevano molto? E perché Levi precisa: allora e là? Dalla rievocazione del canto di Ulisse, Levi impara ad attribuire un nuovo e altissimo valore alla “virtù” e alla “conoscenza”; un valore del tutto superiore a quello che possiede una zuppa. Questa graduatoria di per sé è ovvia e scontata, ma rischia di non esserlo più allora e là, cioè in un contesto di fame e di abbrutimento com’è il lager. Il ricordo dei versi danteschi restituisce il vero valore alle cose: perciò il narratore-protagonista sarebbe stato disposto a dare “la zuppa” (cioè l’unico strumento per la sua sopravvivenza materiale) pur di ricordare correttamente l’intero
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L’analisi del testo 18
canto di Ulisse. Chi riesce a non arrendersi all’umiliazione, al degrado dell’umanità imposti dagli aguzzini nazisti, è – malgrado le apparenze – superiore a quei “bruti” che l‘impongono con la forza: è il vero vincitore. 2.5.
Commenta lo stile del brano, dal punto di vista della sintassi e delle scelte lessicali. Lo stile semplice e diretto di Se questo è un uomo esprime con efficacia tutto il peso della denuncia e della condanna morale. Levi sceglie di raccontare la realtà, senza retorica, né abbellimenti, né tirate strappalacrime: bastano i fatti, nudi e crudi, a denunciare la situazione abominevole del lager. In questo brano, la scelta del realismo porta l’autore a mescolare di continuo, sul piano lessicale, le parole “alte” della letteratura con quelle più “basse” del contesto reale (la zuppa, la marmitta sulle spalle). C’è posto per l’uno e per l’altro livello, per le preoccupazioni più umili e per i pensieri più elevati, così come c’è spazio per le lingue diverse del campo di prigionia (l’italiano dell’io narrante e l’italiano antico di Dante, il francese dell’amico e il tedesco degli aguzzini ecc.). Per quanto riguarda la sintassi, essa è molto accelerata. L’ansia di arrivare alla fine ispira il ritmo rapido, persino concitato. Levi ottiene questo effetto utilizzando una sintassi per brevi frasi, presentando pochi aggettivi e molti verbi d’azione, con qualche frase nominale (come, per esempio: “E dopo “Quando”? Il nulla, Un buco della memoria”).
3. INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI 3.1.
Rifletti sul significato complessivo del testo, cercando di chiarire il perché esso si focalizza proprio sul canto XXVI dell’Inferno: quale valore esso assume, rispetto alla vita dei prigionieri di Auschwitz? È la situazione terribile in cui sono costretti i deportati, che spinge il protagonista a riscoprire inaspettatamente il valore dei versi di Dante. Il canto XXVI dell’Inferno compie la funzione di risvegliare il sentimento della dignità e della verità nei prigionieri del lager. Il centro dell’episodio consiste nella rievocazione della celebre terzina “Considerate la vostra semenza”, che contiene l’affermazione di Dante “Fatti non foste a viver come bruti/ ma per seguir virtute e canoscenza”. Ulisse è il fratello di tutti i prigionieri che rifiutano di “vivere come bruti” e si sforzano di seguire (persino nell’inferno del lager) “virtute e conoscenza”. Ricordando, sia pure a fatica, questi versi, Levi mette sotto accusa la malvagità del sistema nazista, che mediante il lager intendeva per l’appunto ridurre gli uomini allo stato animale, alla condizione dei “bruti”. Non solo: Ulisse è il viaggiatore, che sfida l’ignoto, per un desiderio fortissimo di conoscenza e di libertà. Qui, nel lager, egli diviene il simbolo di tutti coloro che varcano – anche solo con il desiderio e l’immaginazione – il limite, in cerca di libertà.
3.2
Il brano di Levi costituisce anche una puntualizzazione, più in generale, sul valore che si può attribuire alla letteratura. Prova a esplicitarlo. Levi impara dall’esperienza del lager che la cultura è un fatto di vitale importanza, è uno strumento di orgoglio e dignità. Ripensando al canto di Dante, e formulandolo per l’amico Jean, il protagonista coglie tutta l’inaspettata verità e potenzialità di quel testo antico; esso contiene un messaggio attualissimo, capace di far luce in maniera sorprendente sulla situazione dei deportati, quasi che Dante avesse scritto quel canto proprio per loro: per insegnare ai prigionieri del lager che, malgrado le apparenze, essi non sono “bruti”, ma uomini vivi, ancora capaci di “seguire virtute e canoscenza”. In sostanza, la letteratura serve a fare chiarezza su chi siamo noi e perché siamo al mondo. È la grande lezione che ci proviene da questa pagina.
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SEZIONE 2
19. Italo Calvino, da Le città invisibili: Tamara L’uomo cammina per giornate tra gli alberi e le pietre. Raramente l’occhio si ferma su una cosa, ed è quando l’ha riconosciuta per il segno d’un’altra cosa: un’impronta sulla sabbia indica il passaggio della tigre, un pantano annuncia una vena d’acqua, il fiore dell’ibisco la fine dell’inferno. Tutto il resto è muto e intercambiabile; alberi e pietre sono soltanto ciò che sono. Finalmente il viaggio conduce alla città di Tamara. ci si addentra per vie fitte d’insegne che sporgono dai muri. L’occhio non vede cose ma figure di cose che significano altre cose: la tenaglia indica la casa del cavadenti1, il boccale la taverna, le alabarde2 il corpo di guardia, la stadera3 l’erbivendola. Statue e scudi rappresentano leoni delfini torri stelle: segno che qualcosa – chissà cosa – ha per segno un leone o delfino o torre o stella. Altri segnali avvertono di ciò che in un luogo è proibito – entrare nel vicolo con i carretti, orinare dietro l’edicola, pescare con la canna dal ponte – e di ciò è lecito – abbeverare le zebre, giocare a bocce, bruciare i cadaveri dei parenti. Dalla porta dei templi si vedono le statue degli dèi, raffigurati ognuno coi suoi attributi: la cornucopia4, la clessidra, la medusa5, per cui il fedele può riconoscerli e rivolgere loro le preghiere giuste. Se un edificio non porta nessuna insegna o figura, la sua stessa forma e il posto che occupa nell’ordine della città bastano a indicarne la funzione: la reggia, la prigione, la zecca, la scuola pitagorica6, il bordello. Anche le mercanzie che i venditori mettono in mostra sui banchi valgono non per se stesse ma come segni d’altre cose: la benda ricamata per la fronte vuol dire eleganza, la portantina dorata potere, i volumi di Averroè7 sapienza, il monile per la caviglia voluttà. Lo sguardo percorre le vie come pagine scritte: la città dice tutto quello che devi pensare, ti fa ripetere il suo discorso, e mentre credi di visitare Tamara non fai che registrare i nomi con cui essa definisce se stessa e tutte le sue parti. Come veramente sia la città sotto questo fitto involucro di segni, cosa contenga o nasconda, l’uomo esce da Tamara senza averlo saputo. Fuori s’estende la terra vuota fino all’orizzonte, s’apre il cielo dove corrono le nuvole. Nella forma che il caso e il vento dànno alle nuvole l’uomo è già intento a riconoscere figure: un veliero, una mano, un elefante… da I. Calvino, Le città invisibili, Einaudi, Torino 1977 1 2 3 4
cavadenti: dentista. alabarde: antiche armi costituite da una lama appuntita e da una scure, innestate su un’unica asta di legno. stadera: bilancia consistente in una lunga asta graduata, su cui scorre un peso misuratore, e in un piatto che contiene l’oggetto da pesare. cornucopia: recipiente a forma di corno, in genere colmo di
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fiori o di frutti, simbolo di abbondanza. medusa: nella mitologia greca era raffigurata con serpenti in luogo dei capelli e trasformava in pietra chiunque la guardasse. scuola pitagorica: qui, una scuola di filosofia o matematica. Averroè: filosofo arabo vissuto nel Medioevo.
Italo Calvino (1923 - 1985) è stato un narratore tra i più significativi del Novecento italiano. Ha sperimentato stili e temi diversi, dal tono neorealistico degli esordi, all’impronta allegorico-fiabesca dei suoi romanzi più noti, fino alla letteratura “combinatoria” della maturità. Nel suo linguaggio fonde la lucidità della descrizione analitica con l’ironia e il fantastico: sempre proponendo una riflessione profonda e disingannata sull’esistere umano. Tra le sue opere principali: Il visconte dimezzato (1952); Il barone rampante (1957); Il cavaliere inesistente (1959); Le città invisibili (1972); Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979). Il racconto qui proposto proviene da Le città invisibili. In questo romanzo Marco Polo, al ritorno dalle sue ambascerie, dialoga con Kublai Kan e riferisce delle misteriose città che fanno parte del suo vasto impero, città che Kublai Kan non potrà mai vedere. Questo passo è dedicato a Tamara, città vuota di cose, ma affollata di segni e di cultura. 1. COMPRENSIONE DEL TESTO Esponi il contenuto informativo del testo in 10 righe al massimo. 2. ANALISI DEL TESTO 2.1. Alcuni elementi conferiscono a Tamara l’aspetto di una città medievale, altri ci riportano invece al mondo antico: riconosci nel testo gli uni e gli altri.
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L’analisi del testo 19
2.2. Il testo insiste sugli elementi della visione dello sguardo, riferiti al viaggiatore Marco Polo. Egli appare inoltre attratto non tanto dal quadro d’insieme quanto dai dettagli, dentro cui sfuma ogni possibile visione d’assieme. Individua questi elementi nel brano e prova a chiarirne il senso. 2.3. Tamara appare una città sospesa fuori dal tempo, quasi fosse un mondo di sogno. Quali elementi testuali attribuiscono un carattere onirico al testo? 2.4. La vera e propria descrizione di Tamara è incorniciata da due brevi paragrafi, d’introduzione e di conclusione. Analizzali in breve e cerca di chiarirne la funzione all’interno del brano. 2.5. Analizza lo stile narrativo del breve testo. 3. INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI 3.1. Nella città di Tamara non ci sono oggetti o abitanti, ma solo segni: tutto, in essa, diviene segno che rinvia a qualcos’altro. Rifletti sul messaggio di questo testo, anche in rapporto alla poetica di Calvino. 3.2. Metti ora in relazione questo messaggio con la poetica più generale di Calvino, e in particolare con l’influsso esercitato, su di lui, dallo strutturalismo.
Svolgimento 1. COMPRENSIONE COMPLESSIVA Esponi il contenuto informativo del testo in 10 righe al massimo. La città di Tamara s’incontra dopo un lungo cammino, lungo il quale solo alberi e pietre non indicano altro rispetto a se stessi. Addentrandosi in essa, il viaggiatore non riesce a scorgere oggetti o persone, ma solo “figure di cose”, che ne rappresentano altre. Le vie sono fitte d’insegne: la “tenaglia” indica la casa del dentista, “il boccale la taverna”. Altri segnali esprimono ciò che è proibito o che è consentito. Gli attributi delle statue degli dèi, che si intravedono dalle porte aperte dei templi, consentono ai fedeli di individuare la divinità giusta da pregare. Se un edificio non riporta insegne o simboli, “la sua stessa forma e il posto che occupa nell’ordine della città bastano a indicarne la funzione: la reggia, la prigione, la zecca”, ecc. Anche la mercanzia esposta sui banchi obbedisce allo stesso criterio simbolico: “la benda ricamata per la fronte” allude all’”eleganza”, “il monile per la caviglia” allude alla “voluttà”, i libri di “Averroè” alla “sapienza”, ecc. Chi esce da Tamara non sa cosa ci sia veramente sotto e aldilà di “questo fitto involucro di segni”.
2. ANALISI E INTERPRETAZIONE DEL TESTO 2.1.
Alcuni elementi conferiscono a Tamara l’aspetto di una città medievale, altri ci riportano invece al mondo antico: riconosci nel testo gli uni e gli altri. Alcuni elementi ci riportano al mondo medievale, come la taverna, le alabarde, i volumi di Averroè. Altri elementi invece sono tipici del mondo greco-classico. Per esempio gli attributi degli dèi: la “cornucopia”, la “clessidra” e la “medusa” rimandano a elementi della religiosità greca; è presente anche un rimando alla “scuola pitagorica” e in generale ai cenacoli che si formavano nel mondo greco intorno ai maestri.
2.2.
Il testo insiste sugli elementi della visione dello sguardo, riferiti al viaggiatore Marco Polo. Egli appare inoltre attratto non tanto dal quadro d’insieme quanto dai dettagli, dentro cui sfuma ogni possibile visione d’assieme. Individua questi elementi nel brano e prova a chiarirne il senso. Il termine “occhio” ricorre significativamente due volte insieme con il sostantivo “sguardo” e il verbo “vedere”. Vi sono poi alcuni oggetti del vedere, quindi legati al medesimo ambito semantico: le “insegne” e le “figure”. Indagando la realtà, l’occhio dell’uomo-viaggiatore ritrova soltanto segni, che rinviano a qualcos’altro; ma questo qualcos’altro non si vede mai. Perciò il brano è ricco di dettagli, di particolari visivi, senza che nessuno di essi, e neppure il loro assieme, possa esprimere un significato ultimo.
2.3.
Tamara appare una città sospesa fuori dal tempo, quasi fosse un mondo di sogno. Quali elementi testuali attribuiscono un carattere onirico al testo? La descrizione di Tamara si svolge in una dimensione senza storia e tutta simbolica. Non si può contestualizzare l’epoca della visione, perché gli indicatori temporali sono vaghi e inconsistenti. Questa vaghezza non consente d’individuare alcuna corrispondenza fra i luoghi descritti e la realtà. Lo sguardo del visitatore “percorre le vie come pagine scritte”; dunque più che di un visitatore, si tratta di un lettore, come conferma la successiva indicazione dell’autore: “mentre credi di visitare Tamara non fai che registrare i nomi con cui essa definisce se stessa e tutte le sue parti”.
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SEZIONE 2
In sostanza, Tamara non è un luogo reale e concreto, ma non lo è neppure il viaggiatore-visitatore. Tutto il brano si svolge in un’atmosfera sospesa, come avviene in una visione, o in un sogno. Sembra di stare in una fiaba: a quell’universo fantastico rimandano alcune indicazioni in apertura (“L’uomo cammina per giornate…”) e in chiusura (“Fuori s’estende la terra vuota fino all’orizzonte, s’apre il cielo dove corrono le nuvole…”) del brano. 2.4.
La vera e propria descrizione di Tamara è incorniciata da due brevi paragrafi, d’introduzione e di conclusione. Analizzali in breve e cerca di chiarirne la funzione all’interno del brano. Il paragrafo iniziale e quello conclusivo ribadiscono che non è possibile attribuire un significato assoluto e oggettivo alla realtà. Prima di entrare a Tamara, il viaggiatore incontra un paesaggio di “alberi” e “pietre”, esteso indefinitamente. Nella sua casualità di forme questa natura appare incomprensibile; gli alberi e le pietre “sono soltanto ciò che sono”, cioè non comunicano niente al visitatore. Quando poi il viandante esce da Tamara, incontra una “terra vuota fino all’orizzonte” e il cielo percorso dalle nubi. A queste nuvole l’uomo, rimasto preda dei giochi dei segni, attribuisce delle forme (“un veliero, una mano, un elefante...”), ma il narratore precisa che si tratta di illusioni, perché solo “il caso e il vento” danno quelle forme alle nubi.
2.5.
Analizza lo stile narrativo del breve testo. Lo stile di questo brano appare piano e apparentemente facile: le frasi presentano una sintassi lineare e spesso sono costruite enumerando i particolari della visione. Il lessico può apparire a tratti ricercato, ma in realtà l’autore sta solo cercando le parole più esatte per rappresentare la realtà. Questa chiarezza e precisione, però, vengono poi contraddette dai contenuti. Infatti, nel descrivere Tamara, il narratore ricorre a una folla di dettagli; nessuno di essi è difficile da capire, ma il loro insieme appare misterioso. Calvino non rinuncia alla leggerezza e al piacere dell’invenzione, ma dà vita a un mondo “impossibile”, del tutto fantastico. La scrittura sembra sfaldarsi nella frammentarietà della descrizione: ma del resto questo stile è pienamente adeguato a raffigurare il caos labirintico del mondo.
3. INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI 3.1.
Nella città di Tamara non ci sono oggetti o abitanti, ma solo segni: tutto, in essa, diviene segno che rinvia a qualcos’altro. Rifletti sul messaggio di questo testo, anche in rapporto alla poetica di Calvino. L’occhio dell’uomo si sofferma su ogni dettaglio, scruta nel fitto di segni, dove ogni segno rimanda ad altri segni. Ma l’uomo può solo osservare questo intrico simbolico: non è in grado di capire le cose. Infatti, lungo il tragitto per giungere alla città, l’occhio del viaggiatore si sofferma sulle cose solo se riconosce in esse il segno di altre cose: “il resto è muto e intercambiabile”. La tappa nella città di Tamara rappresenta per il viandante una forma di conoscenza, che tuttavia si rivela illusoria, poiché il significato ultimo delle cose è inintellegibile. La città di Tamara si caratterizza per l’assoluta prevalenza dei segni sul mondo concreto, che rimane invisibile. Tutto a Tamara rimanda a un messaggio che il viandante deve decodificare attraverso una fitta rete di simboli: la città diviene così una metafora della complessità del reale. Il messaggio finale dell’autore è questo: l’unica realtà che è possibile conoscere è quella che l’uomo ricrea nella sua mente. Mentre crede di visitare Tamara, in realtà il visitatore entra in contatto soltanto con i nomi e i simboli con cui la città si autorappresenta. Nulla è conoscibile al di fuori del linguaggio e, forse, non esiste neppure una realtà esterna (“mentre credi di visitare Tamara non fai che registrare i nomi con cui essa definisce se stessa”). Questa tematica appartiene a tutta l’ultima fase della poetica di Calvino.
3.2.
Metti ora in relazione questo messaggio con la poetica più generale di Calvino, e in particolare con l’influsso esercitato, su di lui, dallo strutturalismo. L’ultima fase della poetica di Calvino fu quella maggiormente influenzata dallo strutturalismo e dalla “letteratura combinatoria”. A tale fase appartengono, oltre alle Città invisibili, anche Il castello dei destini incrociati e il romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore: tutte opere nelle quali l’autore sembra esplorare le possibilità del linguaggio di “ripetere” la realtà. Mentre però il linguaggio moltiplica i suoi segni, la realtà sembra man mano svanire dietro alle costruzioni della fantasia e del linguaggio. Questa preminenza dei segni sui contenuti è un aspetto tipico messo in luce dallo strutturalismo (una corrente critico-filosofica diffusasi in Francia proprio al tempo della residenza parigina di Calvino). Esso ritorna poi nella letteratura “postmoderna”, di cui Calvino fu, assieme a Umberto Eco, uno dei più originali precursori.
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L’analisi del testo 20
20. Italo Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, capitolo III Ti fai largo nella lettura come in un fitto bosco. Il romanzo che stai leggendo vorrebbe presentarti un mondo corposo, denso, minuzioso. Immerso nella lettura, muovi macchinalmente il tagliacarte1 nello spessore del volume: a leggere non sei ancora alla fine del primo capitolo, ma a tagliare sei già molto avanti. Ed ecco che, nel momento in cui la tua attenzione è più sospesa, volti il foglio a metà d’una frase decisiva e ti trovi davanti due pagine bianche. Resti attonito, contemplando quel bianco crudele come una ferita, quasi sperando che sia stato un abbacinamento della tua vista a proiettare una macchia di luce sul libro, dalla quale a poco a poco tornerà ad affiorare il rettangolo zebrato di caratteri d’inchiostro. No, è davvero un candore intatto che regna sulle due facciate che si fronteggiano. Volti ancora pagina e trovi due facciate stampate come si deve. Continui a sfogliare il libro; due pagine bianche s’alternano a due pagine stampate. Bianche; stampate; bianche; stampate: così via fino alla fine. I fogli di stampa sono stati impressi da una parte sola; poi piegati e legati come fossero completi. Ecco che questo romanzo così fittamente intessuto di sensazioni tutt’a un tratto ti si presenta squarciato da voragini senza fondo, come se la pretesa di rendere la pienezza vitale rivelasse il vuoto che c’è sotto. Provi a saltare la lacuna, a riprendere la storia afferrandoti al lembo di prosa che vien dopo, sfrangiato come il margine dei fogli separati dal tagliacarte. Non ti ci ritrovi più: i personaggi sono cambiati, gli ambienti, non capisci di cosa si parla, trovi nomi di persone che non sai chi sono. [...] Hai un buon atlante, molto dettagliato: vai a cercare nell’indice dei nomi […]. Consulti un’enciclopedia, un atlante storico; no, la Polonia non c’entra […] Sei impaziente di rintracciare la Lettrice, di chiederle se anche la sua copia è come la tua, di comunicarle le tue congetture, le notizie che hai raccolto... Cerchi nel tuo taccuino il numero che hai segnato accanto al suo nome quando vi siete presentati. – Pronto, Ludmilla? Hai visto che il romanzo è un altro, ma anche questo, la mia copia, almeno... La voce di là dal filo è dura, un po’ ironica. – No, guardi, non sono Ludmilla. Sono sua sorella, Lotaria –. [...] Lotaria vuol sapere qual è la posizione dell’autore2 rispetto alle Tendenze del Pensiero Contemporaneo e ai Problemi Che Esigono Una Soluzione. Per facilitarti il compito ti suggerisce una lista di nomi di Grandi Maestri tra i quali dovresti situarlo. [...] Se cominci a discutere non ti molla più. Già ti sta invitando a un seminario all’università, in cui i libri sono analizzati secondo tutti i Codici Consci e Inconsci, e in cui vengono rimossi tutti i Tabù, imposti dal Sesso, dalla Classe, dalla Cultura Dominanti. [...] – Pronto? Ah, è lei, quel signore che ho incontrato in libreria? – Una voce diversa, la sua, s’è impadronita del telefono. – Sì, sono Ludmilla. Anche lei le pagine bianche? C’era da aspettarselo. Una trappola pure questo. Proprio ora che cominciavo ad appassionarmici, che volevo andare avanti a leggere di Ponko, di Gritzvi3... Sei così contento che non sai più spiccicare parola. Dici: – Zwida... – Come? – Sì, Zwida Ozkart! Mi piacerebbe sapere cosa succede tra Gritzvi e Zwida Ozkart... È vero che era proprio un romanzo di quelli che piacciono a lei? Una pausa. Poi la voce di Ludmilla riprende lentamente, come cercasse d’esprimere qualcosa di non ben definibile: – Sì, è così, mi piace molto... Però io vorrei che le cose che leggo non fossero tutte lì, massicce da poterle toccare, ma ci si senta intorno la presenza di qualcos’altro che ancora non si sa cos’è, il segno di non so cosa... [...] La tua voce si fa calda, suadente, incalzante: – Senta, Ludmilla, io devo vederla, dobbiamo parlare di questa
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cosa, di queste circostanze coincidenze discordanze. Vorrei vederla subito, lei dove sta, dove le è comodo che c’incontriamo, io in un salto sono lì. E lei, sempre calma: – Conosco un professore che insegna letteratura all’università. Potremmo andare a consultarlo. Aspetti che gli telefono per chiedergli quando può riceverci. da Se una notte d’inverno un viaggiatore, Einaudi, Torino 1979 1
il tagliacarte: serve a tagliare le pagine; tutti i libri di qualche decennio fa richiedevano tale operazione, che, qualche volta, va fatta ancora oggi per le edizioni di pregio.
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dell’autore: dell’autore del romanzo che il Lettore sta leggendo. Ponko… Gritzvi: sono personaggi del libro polacco sono (come Zwida Ozkart, citata poco dopo) la cui lettura si è interrotta.
Il romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore appartiene all’ultima stagione narrativa di Italo Calvino (1923 - 1985), contrassegnata dalla letteratura “combinatoria”. All’inizio del romanzo il Lettore si appresta a leggere un nuovo libro, Se una notte d’inverno un viaggiatore dell’autore Italo Calvino, ma dopo poche pagine si accorge che la storia si interrompe per una cattiva impaginazione del volume: è dunque impossibile procedere nella lettura. Torna quindi in libreria, dove incontra la Lettrice, Ludmilla, che ha lo stesso problema. A entrambi viene consegnato un volume sostitutivo, che però si rivela del tutto diverso da quanto i due lettori si aspettano.
1. COMPRENSIONE DEL TESTO Esponi in circa 10 righe il contenuto informativo del testo. 2. ANALISI DEL TESTO 2.1. Quali caratteristiche presentano i tre diversi tipi di lettori presenti in questo brano? Analizza che cosa ciascuno di loro si aspetta di trovare nella letteratura. 2.2. Quando il Lettore sfoglia il libro, si trova davanti a una strana caratteristica: esso alternare pagine bianche a pagine stampate. Prova a chiarire l’idea che, a tuo avviso, Calvino intende trasmettere con questa immagine. 2.3. A un certo punto il Lettore esprime questa riflessione: “Questo romanzo ti si presenta squarciato da voragini senza fondo, come se la pretesa di rendere la pienezza vitale rivelasse il vuoto che c’è sotto”. Da che cosa nasce la perplessità del Lettore? Quale contenuto vuole esprimere Calvino? 2.4. Il brano proposto evidenzia modalità espressive piuttosto inconsuete, a partire dal “tu” con il quale l’autore si rivolge al Lettore. A partire da questo elemento, analizza le particolari tecniche narrative utilizzate nel testo. 2.5. Un aspetto caratteristico del brano è l’uso, da parte dell’autore, di un’ironia leggera. In quali punti emerge e da che cosa, secondo te, è motivata? 3. INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI Il tema di fondo di questo brano è la lettura e, quindi, una certa idea di letteratura. Chiarisci il modo in cui Calvino tratta questa tematica, anche in rapporto alle sue particolari scelte di poetica. Proponi poi una tua personale riflessione su questa idea di lettura e di letteratura: ti trova d’accordo? Perché?
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L’analisi del testo 20
Svolgimento 1. COMPRENSIONE COMPLESSIVA Esponi in circa 10 righe al massimo il contenuto informativo del testo. Il Lettore si appresta a leggere il suo nuovo libro e taglia con il tagliacarte le pagine ancora intonse del volume. A un certo punto, con sorpresa, si accorge che, da un certo punto in poi, nel libro si alternano a due a due pagine bianche e pagine stampate. Sorpreso, il Lettore prova a ignorare la lacuna e a proseguire la lettura, ma questa operazione si rivela molto difficoltosa, perché il Lettore si trova davanti a nomi di luoghi sconosciuti. Prova a cercarli in un’enciclopedia e sull’atlante; poi decide di telefonare alla Lettrice, Ludmilla. Al telefono risponde prima la sorella di lei, Lotaria; poi si fa avanti direttamente Ludmilla, a cui durante la lettura del libro è accaduto lo stesso inconveniente della pagine bianche. Ludmilla propone di chiedere spiegazioni a un professore universitario.
2. ANALISI E INTERPRETAZIONE DEL TESTO 2.1.
Quali caratteristiche presentano i tre diversi tipi di lettori presenti in questo brano? Analizza che cosa ciascuno di loro si aspetta di trovare nella letteratura. Calvino caratterizza il Lettore e la Lettrice come lettori semplici e ingenui: essi sono convinti che in un libro s’incontri la realtà autentica, si trovino i giusti riferimenti e le risposte per ogni curiosità. Questa posizione è confermata dall’atteggiamento del Lettore, il quale, davanti a nomi sconosciuti, decide di chiedere aiuto ad atlanti ed enciclopedie: ancora una volta, egli ritiene che nei libri siano conferme e riscontri. Lo stesso pensa la Lettrice, che intende ricorrere all’autorevole ausilio di un docente universitario: dunque, a suo giudizio, ogni dubbio può essere dissipato con l’aiuto di un esperto e la verità ristabilita. Diversa dal Lettore e dalla Lettrice è invece la figura di Lotaria. La sorella di Ludmilla mette in mostra tutta la sua pseudo-cultura con una certa sicumera: ella nei libri cerca essenzialmente le problematiche di cui discutere; si tratta di Problemi con la lettera maiuscola, che nella sua ottica vanno affrontati con i metodi di ricerca più aggiornati (tra le righe trapela il richiamo alla filosofia e alla psicoanalisi).
2.2.
Quando il Lettore sfoglia il libro, si trova davanti a una strana caratteristica: esso alterna pagine bianche a pagine stampate. Prova a chiarire l’idea che, a tuo avviso, Calvino intende trasmettere con questa immagine. L’alternanza di pagine bianche e pagine stampate vuole forse suggerire il concetto che la letteratura non ha risposte sicure da offrire: ha delle risposte (simboleggiate dalle pagine stampate), ma è anche attraversata dal dubbio, come rivelano le pagine bianche, simboleggianti il vuoto. Dunque la letteratura non riesce a esaurire la complessità della vita umana e della storia; essa è un metodo di conoscenza e di rappresentazione della realtà soltanto parziale.
2.3.
A un certo punto il Lettore esprime questa riflessione: “Questo romanzo ti si presenta squarciato da voragini senza fondo, come se la pretesa di rendere la pienezza vitale rivelasse il vuoto che c’è sotto”. Da che cosa nasce la perplessità del Lettore? Quale contenuto vuole esprimere Calvino? Ad avere la pretesa di esprimere, attraverso l’opera letteraria, la “pienezza vitale” (la pretesa, cioè, di dire la verità della vita e del mondo) sono gli autori della letteratura tradizionale, i romanzieri onniscienti. Calvino è polemico con loro: è sbagliata e assurda la pretesa di penetrare all’interno di ogni piega della vita e dell’essere. La letteratura non riesce a sondare e a rivelare tutte le angolature dell’esistenza: le “voragini senza fondo” che “squarciano” il romanzo indicano il vuoto che si nasconde sotto le apparenze. Perciò Calvino abbraccia una letteratura diversa da quella tradizionale: il suo romanzo dialoga con il lettore, senza imporgli verità assolute.
2.4.
Il brano proposto evidenzia modalità espressive piuttosto inconsuete, a partire dal “tu” con il quale l’autore si rivolge al Lettore. A partire da questo elemento, analizza le particolari tecniche narrative utilizzate nel testo. Il “tu” con cui il romanziere si rivolge al Lettore è un primo segno di grande novità del racconto; in tal modo l’autore (Calvino) conferisce a chi legge il ruolo di personaggio attivo nella storia, scalfendo quindi il pregiudizio secondo cui i lettori hanno un ruolo solo passivo, da ricettori inerti di storie e pensieri altrui. Esiste però, nel brano, anche un altro elemento assai innovativo: l’autore si rivolge infatti in prima persona al lettore (“Il romanzo che stai leggendo”; “Resti attonito…”; ecc.). È anche questa una grande novità, che ci fa vedere un autore che scende dal piedestallo per dialogare con i lettori, quasi da pari a pari, senza voler loro imporre il proprio punto di vista. In questo modo la distanza fra autore e lettore risulta eliminata: l’autore instaura un rapporto solidale con i suoi personaggi, ritagliando per sé un ruolo di co-protagonista, al fianco degli altri personaggi della storia.
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Dal punto di vista linguistico ed espressivo, il testo evidenzia la scelta di uno stile pacato, riflessivo, che si snoda analizzando la realtà in modo lineare, così come lineare risulta la sintassi (per es.: “Volti ancora pagina e trovi due facciate stampate come si deve. Continui a sfogliare il libro”). Tutto ciò fa spiccare ancor più il nuovo ruolo attribuito sia al lettore sia all’autore. Il lessico è preciso, ma piano e comune (“Non ti ci ritrovi più…”; “Se cominci a discutere non ti molla più”), in linea con le scelte linguistiche tipiche di Calvino. 2.5.
Un aspetto caratteristico del brano è l’uso, da parte dell’autore, di un’ironia leggera. In quali punti emerge e da che cosa, secondo te, è motivata? Su tutti e tre i personaggi di questo brano si stende la lieve ironia dell’autore. È chiaro però che per i due Lettori ingenui l’autore simpatizza: Calvino osserva con occhio rispettoso e cordiale le ricerche affannose del Lettore e le ingenue aspettative di Ludmilla. L’atteggiamento dell’autore risulta, invece, assai differente verso Lotaria, colei che vuole a tutti i costi presentarsi come un’intellettuale, tendente a problematizzare ogni cosa. Lo vediamo dall’uso delle maiuscole (“Problemi Che Esigono Una Soluzione”; “tutti i Codici Consci e Inconsci”), che mettono in ridicolo la pretesa di Lotaria di cercare spiegazioni più elevate per ogni cosa, anche la più semplice.
3. INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI Il tema di fondo di questo brano è la lettura e, quindi, una certa idea di letteratura. Chiarisci il modo in cui Calvino tratta questa tematica, anche in rapporto alle sue particolari scelte di poetica. Proponi poi una tua personale riflessione su questa idea di lettura e di letteratura: ti trova d’accordo? Perché? Calvino ritiene che il romanzo tradizionale, quello con una trama ben definita, con personaggi identificati secondo tipologie precise, sia ormai impossibile: la complessità del mondo contemporaneo impone un altro tipo di letteratura e, quindi, di lettura. Di questa nuova idea di fatto letterario Se una notte d’inverno un viaggiatore è un esempio eloquente. Al centro dell’opera vi è la figura del lettore attivo, e non più solo passivo ricettore del messaggio dell’autore; quest’ultimo scende dal suo piedestallo, a dialogare con il lettore, quasi da pari a pari. Quanto ai contenuti del romanzo, essi si moltiplicano, secondo l’idea di “letteratura combinatoria” che Calvino aveva già sperimentato in Le città invisibili e in Il castello dei destini incrociati. Infatti Se una notte d’inverno un viaggiatore propone non uno, ma dieci inizi di romanzi diversi, senza che nessuno di essi si possa porre come il “vero” inizio; tutti convivono sullo stesso piano, così come la realtà è fatta di livelli differenti e tutti compresenti. Personalmente ritengo che l’opinione di Calvino sia assolutamente legittima e in linea con le nuove ricerche filosofiche e culturali. Tuttavia penso che la letteratura tradizionale, quella dei grandi autori (come Leopardi, Svevo, Kafka, ecc.), non sia ancora superata. La loro interpretazione della realtà può ancora oggi coinvolgere ed emozionare, suscitando riflessioni, modificando preconcetti, aprendo altri modi di vedere la vita e la società. La grande letteratura, a mio avviso, invita sempre a riflettere e fornisce non pochi contributi alla nostra crescita interiore: anche un autore provocatorio come Calvino assolve questo importantissimo compito.
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(tipologia B)
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SEZIONE
IL SAGGIO BREVE E L’ARTICOLO DI GIORNALE
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Il saggio breve: che cos’è e come si fa
La tipologia B della prima prova La tipologia B è, assieme alla D (tema d’attualità), quella più frequentata dai maturandi; i suoi argomenti sono quelli più attesi dall’opinione pubblica e commentati dai giornali. Tale tipologia B è anche la più ricca di scelte, perché propone ben quattro argomenti relativi a quattro differenti ambiti, ovvero: - artistico-letterario; - socio-economico; - storico- politico; - tecnico-scientifico. In sostanza, il giorno dell’esame potrete scegliere non solo tra quattro tipologie diverse di prima prova, come abbiamo visto a p. 60, ma poi, all’interno della tipologia B, avrete una possibilità di ulteriore scelta tra quattro possibili argomenti, uno per ciascun ambito. Tale varietà di argomenti fa sì che – anche a prescindere dalle altre tipologie di prima prova – i maturandi trovino congeniale e stimolante per loro almeno uno di questi argomenti.
Le consegne ministeriali Prima d’indicare i vari argomenti, ambito per ambito, il ministero pone una serie di consegne da rispettare. Sono indicazioni ben precise, che vanno esaminate con attenzione prima di cominciare a scrivere. Leggiamo il testo delle consegne indicate per la prova del giugno 2012:
TIPOLOGIA B - REDAZIONE DI UN “SAGGIO BREVE” O DI UN “ARTICOLO DI GIORNALE” (puoi scegliere uno degli argomenti relativi ai quattro ambiti proposti) CONSEGNE Sviluppa l’argomento scelto o in forma di “saggio breve” o di “articolo di giornale”, utilizzando, in tutto o in parte, e nei modi che ritieni opportuni, i documenti e i dati forniti. Se scegli la forma del “saggio breve” argomenta la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio. Premetti al saggio un titolo coerente e, se vuoi, suddividilo in paragrafi. Se scegli la forma dell’”articolo di giornale”, indica il titolo dell’articolo e il tipo di giornale sul quale pensi che l’articolo debba essere pubblicato. Per entrambe le forme di scrittura non superare cinque colonne di metà di foglio protocollo.
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Il saggio breve: che cos’è e come si fa
Esaminiamo con calma queste consegne. La prima cosa che salta all’occhio è che ognuno dei quattro argomenti potrà essere sviluppato, a scelta del candidato, in uno di questi due modi: - sotto forma di “saggio breve”; - oppure sotto forma di “articolo di giornale”. Segue un’indicazione fondamentale comune alle due forme: dovrai “utilizzare, in tutto o in parte, e nei modi che ritieni opportuni, i documenti e i dati forniti” dal dossier predisposto dal ministero. Dedicheremo il prossimo paragrafo al modo in cui utilizzare i documenti di questo dossier. Le successive consegne ministeriali differiscono a seconda che si scelga il saggio breve o l’articolo di giornale: esamineremo dunque tali consegne trattando prima dell’una e poi dell’altra forma. Infine si stabilisce un limite preciso per la lunghezza dell’elaborato, che nell’un caso e nell’altro non dovrà superare le “cinque colonne di metà di foglio protocollo”.
Il dossier dei documenti La presenza di un dossier di documenti è ciò che allontana di più la tipologia B della prima prova dal tema tradizionale, per avvicinarla al genere del “saggio” o trattazione documentata, un genere abbastanza presente nella tradizione giornalistica e nella vita sociale. Intendiamoci, il saggio breve così come viene proposto all’esame di Stato poco ha a che fare con un “saggio” rintracciabile su una qualche rivista di oggi. Infatti per lo studente è materialmente impossibile documentarsi liberamente sull’argomento prima di fare l’esame; chi scrive saggi e studi, invece, sa che uno dei momenti decisivi di tale attività risiede precisamente nel reperimento delle fonti su cui il successivo lavoro di stesura si baserà. Viceversa, lo studente non può ricercare altre fonti al di là dei documenti forniti dal ministero il giorno dell’esame e che valgono per tutti. Dunque il “saggio breve” dell’esame di Stato è solo parzialmente – molto parzialmente – un “saggio”; inevitabilmente esso rischierà di avvicinarsi pericolosamente al tema tradizionale. Tuttavia esistono strategie opportune per allontanare questo rischio e per fare assomigliare, quantomeno, il vostro saggio breve a un vero “saggio”, cioè a uno scritto documentato e argomentato sull’argomento proposto. La prima e fondamentale di queste strategie è leggere e poi analizzare con attenzione i documenti che il ministero fornisce in un apposito dossier. Ognuno dei quattro argomenti proposti è accompagnato da uno di tali dossier. Concretizziamo il discorso esaminando il dossier dei documenti che accompagnava, nella prova d’esame del 2012, l’argomento del terzo ambito, quello storico-politico. 3. AMBITO STORICO - POLITICO
ARGOMENTO: Bene individuale e bene comune. DOCUMENTI Ora, le leggi devono essere giuste sia in rapporto al fine, essendo ordinate al bene comune, sia in rapporto all’autore, non eccedendo il potere di chi le emana, sia in rapporto al loro tenore, imponendo ai sudditi dei pesi in ordine al bene comune secondo una proporzione di uguaglianza. Essendo infatti l’uomo parte della società, tutto ciò che ciascuno possiede appartiene alla società: così come una parte in quanto tale appartiene al tutto. Per cui anche la natura sacrifica la parte per salvare il tutto. E così le leggi che ripartiscono gli oneri proporzionalmente sono giuste, obbligano in coscienza e sono leggi legittime. S. TOMMASO D’AQUINO (1225-1274), La somma teologica, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1996
Da quanto precede consegue che la volontà generale è sempre retta e tende sempre all’utilità pubblica: ma non ne consegue che le deliberazioni del popolo abbiano sempre la stessa rettitudine. Si vuol sempre il proprio bene, ma non sempre lo si vede: non si corrompe mai il popolo, ma spesso lo si inganna, ed allora soltanto egli sembra volere ciò che è male. V’è spesso gran differenza fra la volontà di tutti e la volontà generale: questa non guarda che all’interesse comune, l’altra guarda all’interesse privato e non è che una somma di volontà particolari […]. Ma quando si crean fazioni, associazioni parziali a spese della grande, la volontà di ciascuna di queste associazioni diventa generale rispetto ai suoi membri, e particolare rispetto allo Stato: si può dire allora che non ci sono più tanti votanti quanti uomini; ma solo quante associazioni. Le differenze diventano meno numerose, danno un risultato meno generale. […] Importa dunque, per aver veramente l’espressione della volontà generale, che non vi siano società parziali nello Stato, e che ogni cittadino non pensi che colla sua testa. […] Finché parecchi uomini riuniti si considerano come un solo corpo, non hanno che una sola volontà, che si riferisce alla comune conservazione e al benessere generale. Allora tutte le forze motrici dello Stato sono vigorose e semplici, le sue massime chiare e luminose; non vi sono interessi imbrogliati, contraddittori; il bene comune si mostra da
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per tutto con evidenza, e non richiede che buon senso per essere scorto. La pace, l’unione, l’uguaglianza sono nemiche delle sottigliezze politiche. Jean-Jacques ROUSSEAU, Del contratto sociale o principi del diritto politico, 1762, in Opere, Sansoni, Firenze 1972
Vi sono certamente due tipi di uomini: coloro che pensano a sé soli e quindi restringono i propositi d’avvenire alla propria vita od al più a quella della compagna della vita loro. […] Accanto agli uomini, i quali concepiscono la vita come godimento individuale, vi sono altri uomini, fortunatamente i più, i quali, mossi da sentimenti diversi, hanno l’istinto della costruzione. [...] Il padre non risparmia per sé; ma spera di creare qualcosa che assicuri nell’avvenire la vita della famiglia. Non sempre l’effetto risponde alla speranza, ché i figli amano talvolta consumare quel che il padre ha cumulato [...]. Se mancano i figli, l’uomo dotato dell’istinto della perpetuità, costruisce perché un demone lo urge a gettare le fondamenta di qualcosa. Luigi EINAUDI, Lezioni di politica sociale, Einaudi, Torino 1949
La prima [acquisizione] è il superamento del tabù costituito dalla parola “profitto”, in pratica citata solo nella prima delle undici regole di sintesi, senza nessuna ulteriore sottolineatura di una sua importanza (tecnica, morale, religiosa) che ha occupato decenni di discussione. La seconda è il coraggio con cui si affronta la necessità di definire con semplicità il contenuto del termine “bene comune”. Mi è sembrata decisiva, al riguardo, l’importanza attribuita ai “benefici immateriali che danno all’uomo un appagamento spirituale, come i sentimenti, la famiglia, l’amicizia e la pace”. Ciò rappresenta una innovazione che supera sia le antiche mura materialistiche del bene comune sia le più recenti tendenze a valorizzare la sua dimensione istituzionale, nazionale e anche internazionale. E la terza decisiva acquisizione è quella relativa alla “centralità dell’uomo come cuore pulsante del bene comune”, una acquisizione almeno per me importante ed inattesa, perché richiama il fatto che noi non dobbiamo sentirci soggetti di domanda di un bene comune, che altri devono costruire, ma dobbiamo sentirci “motore primario nella organizzazione e valorizzazione del bene comune, così come Nostro Signore è il motore del creato”. Giuseppe DE RITA, Presentazione di Le undici regole del Bene Comune, Marketing Sociale, 2010
Abbiamo evidenziato, nei documenti di questo dossier, le espressioni chiave intorno a cui ruotano i vari testi. Fatta questa operazione, possiamo notare alcuni fenomeni: il ritorno dell’espressione-chiave “bene comune” in tre dei quattro documenti (manca solo nel terzo); la sottolineatura, nei documenti primo e secondo, dell’idea di “uguaglianza” (S. Tommaso) e di “bene comune” (Rousseau), contrapposto all’”interesse privato”; l’idea dell’interesse privato ritorna anche nel terzo documento, che parla di coloro che “pensano a sé soli” (e che dunque non guardano al futuro); nel quarto documento il bene comune viene messo in relazione a due dimensioni nuove: a) i “benefici immateriali”, come i sentimenti, la famiglia, l’amicizia e la pace; b) l’idea di responsabilità nel costruire il bene comune (noi tutti “dobbiamo sentirci motore primario nella organizzazione e valorizzazione del bene comune”).
La raccolta delle idee Nel precedente paragrafo abbiamo sottolineato alcuni concetti presenti nel dossier dei documenti ministeriali. Si tratta però, ovviamente, non solo di coglierli e di sottolinearli, ma anche di elaborarli almeno in prima battuta, cioè in forma ancora iniziale, per vedere se da essi può nascere un ragionamento più generale. Restando sull’esempio dell’argomento sul bene individuale / bene comune, possiamo elencare i concetti centrali che nascono da un esame, sia pure veloce, dei quattro documenti presentati dal dossier: il bene comune si contrappone all’interesse privato; il bene comune può essere perseguito da una società di uomini liberi e uguali; il bene comune è un obiettivo da realizzare guardando al futuro, più che al presente; il bene comune riguarda non i beni materiali, ma beni “immateriali” e di carattere ideale e spirituale; infine, il bene comune ci coinvolge tutti come attori protagonisti. Non male, vero? Sono idee che chiedono di esser sviluppate in una trattazione sufficientemente estesa. Naturalmente possono (e probabilmente devono) essere arricchite da altre idee e riflessioni personali. Le stesse consegne ministeriali prevedono tale ampliamento, visto che, come si è detto, esse richiedono di: “utilizzare, in tutto o in parte, e nei modi che ritieni opportuni, i documenti e i dati forniti” nel dossier: quindi non bisogna per forza tener presenti tutti gli spunti forniti dal ministero; e di fare “anche… opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio”, il che significa che è previsto, e auspicato, che il candidato non si limiti ai soli spunti presenti nei documenti del dossier. Soprattutto se il saggio breve riguarda argomenti di studio, cercate di arricchire la vostra trattazione con opportuni riferimenti scolastici: sono sempre graditi dai professori che correggono, purché, è ovvio, siano intonati con il resto dell’esposizione. Dopo aver analizzato i documenti, scrivete su un foglio tutte le idee che vi vengono in mente in relazione a quell’argomento
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Il saggio breve: che cos’è e come si fa
e ai suoi vari aspetti. Non preoccupatevi, al momento, dell’ordine in cui scriverete queste idee, perché per adesso conta solo annotarle rapidamente. E non temete: se avrete scelto di trattare proprio quell’argomento, tra i tanti disponibili all’esame, è perché avrete di certo qualche conoscenza in quel particolare ambito.
Il piano di lavoro: un decalogo in 10 punti Proviamo a riassumere tutte le fasi che contrassegnano un efficace piano di lavoro sul saggio breve: 1. Lettura, comprensione e analisi dei documenti del dossier. 2. Estrapolazione, dai documenti, delle idee-chiave: abbiamo già visto come fare. 3. Raccolta di altre informazioni e idee provenienti dal tuo personale patrimonio: anche su ciò abbiamo visto come procedere. 4. Organizzazione delle idee e costruzione della scaletta del saggio: si tratterà di utilizzare la metodologia appresa in tanti anni di scrittura di temi. Ricordate di dividere il vostro saggio breve in almeno 3-4 paragrafi, seguendo fedelmente la scaletta. È consigliabile anche titolare i paragrafi, cosa che non avviene nei temi scolastici, ma che è consueta negli articoli e saggi di tipo scientifico o divulgativo. Questa divisione in paragrafi – meglio se titolati – è sempre molto apprezzata da chi legge (che in questo caso… è chi vi valuterà!): essa infatti mette in condizione di seguire con grande facilità il procedere delle vostre argomentazioni. 5. Stesura del testo: cercate di essere il più possibile chiari e convincenti, evitando frasi troppo lunghe, parole di cui non conoscete l’esatto significato, esempi poco calzanti. Ricordate di collegare frasi e capoversi con i connettivi opportuni (perciò, ma, infatti, ecc.) purché, appunto, siano opportuni. 6. Attenta rilettura dei contenuti sulla brutta copia, per controllare di non essere usciti dal seminato, di avere seguito la scaletta senza contraddizioni logiche tra una parte e l’altra dell’elaborato, ecc. Verificate se le argomentazioni sono sufficientemente convincenti, se la comprensione del messaggio centrale del testo è agevole. Altrimenti correggete l’esposizione integrando i punti, spostando frasi, cancellandone alcune, ecc. 7. Attenta rilettura e revisione della forma, in tutti i suoi aspetti. In particolare dovrete verificare che non ci siano salti di soggetto, che non ci siano frasi troppo lunghe, che la punteggiatura sia adeguata, che lo stile dell’elaborato sia cònsono, il che significa evitare cadute di linguaggio o discutibili impennate. 8. Trascrizione in bella copia: ricordate che una grafia leggibile e chiara predispone bene chi legge, mentre al contrario una scrittura poco leggibile fa perdere tempo e indispone i professori che devono correggere decine di prove. 9. Attentissima rilettura della bella copia, soprattutto per evitare errori di ortografia, sempre in agguato. Se per caso dovete correggere un errore, non fate pasticci con bianchetti e simili: basta sbarrare con una linea la frase o parola che intendete cancellare e riscrivere. 10. Infine: titolazione del tuo saggio breve. Quest’ultimo punto merita di essere precisato. Secondo le consegne ministeriali, devi assegnare al tuo saggio breve un titolo, che non potrà essere analogo all’argomento (quello era un titolo breve). Il titolo dovrà sempre lasciar comprendere l’argomento del saggio, evitando di essere troppo generico o carico di dettagli inutili. Facciamo un esempio restando nell’ambito del “bene individuale e bene comune”: a seconda di come avrai strutturato la tua trattazione, e di quali idee avrai esposto, il tuo saggio breve potrà intitolarsi, per esempio Una società giusta oltre l’egoismo, oppure Il valore del bene comune in una prospettiva democratica, o ancora Quando gli uomini si associano sanno vedere al di là dei loro interessi particolari; ecc.
Ma i documenti del dossier vanno sempre usati tutti? Il saggio breve, lo abbiamo detto, si basa sui documenti forniti dal dossier ministeriale. Ma come e quanto utilizzarli, in concreto? Spesso si crede di poter scrivere un saggio facendo una sorta di collage dei documenti, ma questa pratica è sbagliata, frutto della pigrizia dello studente e/o dell’assenza di un valido metodo di lavoro. I documenti ministeriali vanno impiegati, sostanzialmente, per due scopi: per ricavarne idee utili al momento della pianificazione del testo: è quanto abbiamo visto nel paragrafo La raccolta delle idee; per essere citati letteralmente, quando e se è opportuno (quindi alcune volte nell’arco dell’intero saggio breve, senza abusarne). Lo scopo di tali citazioni è conferire autorità ai ragionamenti che stiamo sviluppando grazie al sostegno di autori importanti. Nella stesura del saggio non bisogna per forza utilizzare tutti i documenti proposti dal ministero. L’abilità dello studente sta anche nel selezionare solo le fonti utili alla coerente costruzione del suo saggio. Tuttavia è utile aver presenti tutti i documenti nel momento in cui si costruisce la scaletta: diciamo che, in astratto, bisognerebbe trovare un equilibrio tra le idee derivanti dalle nostre conoscenze e le citazioni tratte dai documenti d’esame. In ogni caso è bene fare riferimenti alle fonti del dossier e qualche volta citarle letteralmente. Citare è una pratica abituale e attesa, nei “saggi” pubblicati in rivista da studiosi e giornalisti.
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Riferimenti generici e citazioni letterali: come farli In concreto, potrete regolarvi così: fate, nell’arco del vostro elaborato, almeno un riferimento a ciascun documento del dossier; a uno o due di questi documenti, riservate più di un riferimento (anche se generico), dicendo: “Come scrive l’autore tale o tal altro…” (senza citare alla lettera le sue parole); e tra questi 2/3 riferimenti generici, uno può essere una citazione letterale. Il risultato finale, nel contesto dell’intero elaborato, saranno cinque-sei riferimenti e una o due citazioni. Questa è una misura di equilibrio; tra le altre cose, vi eviterà d’infarcire il vostro saggio breve di continue citazioni e di evitare il deleterio effetto-collage. Quando fate un riferimento generico, scrivete così: “Come dice XY, è vero che …” e qui parafrasate la frase o le righe (una o due) del testo del documento. Quando invece citate un documento, fate così: virgolettate le parole o le frasi citate di quel documento; curate che la citazione sia letterale (impieghi cioè tutte e solo le parole del testo originario); infine, precisate tra parentesi, oppure in un inciso tra virgole o tra lineette, la fonte, cioè l’autore e il testo da cui avete tratto il documento. Ricordate che è scorretto riportare alla lettera del testo altrui senza porre tra virgolette le sue parole o le sue frasi e senza indicare l’autore e il testo da cui è tratto.
Esposizione o argomentazione Leggendo con attenzione le consegne ministeriali, ci imbattiamo in una frase: “Se scegli la forma del “saggio breve” argomenta la tua trattazione”. Tale espressione parrebbe indirizzare l’elaborato verso la forma del saggio argomentativo, che è la più difficile da costruire: si tratta infatti di costruire una dimostrazione che preveda dati e prove (o argomenti) portati a sostegno della tesi di fondo da argomentare. Inoltre, in un saggio argomentativo, bisogna anche esaminare le possibili obiezioni alla propria tesi, per confutarle in modo adeguato, prima di riaffermare, rafforzata, la bontà della propria tesi di fondo. Bisogna fare tutto questo, in un saggio breve per l’esame? In teoria sì, ma in pratica no. Infatti sono normalmente accettati, dalle commissioni d’esame, anche elaborati di tipo non strettamente argomentativo, ma di carattere espositivo e informativo, purché siano ben costruiti. Esporre è più facile che argomentare: non si tratta di convincere, infatti, ma solo di dire cose ben fondate, potendo contare sul fatto che chi ci ascolta (in questo caso, ci legge) è già d’accordo con noi. Se nel vostro saggio breve saprete dire cose ragionevoli e non troppo originali o strane, potrete contare sull’accordo preventivo della commissione. Questo è sufficiente per poter scrivere un saggio espositivo-informativo, che ripete cose e dati già conosciuti, senza pretendere di persuadere altri della bontà della propria opinione.
Come gestire il tempo per scrivere un saggio breve Ecco un suggerimento per gestire le sei ore di tempo che avrete a disposizione: 30 minuti: lettura attenta di tutte le prove e scelta di una tipologia; 30 minuti: seconda lettura e analisi dei documenti del dossier; 30 minuti: raccolta di altre informazioni e idee per il vostro saggio; 30 minuti: organizzazione delle idee e scaletta o piano di lavoro. A questo punto avete altre quattro ore di tempo: 2 ore: stesura del vostro saggio breve; 30 minuti: rilettura attenta e revisione della brutta copia; 1 ora: trascrizione in bella copia; 30 minuti: rilettura della bella copia e titolazione del saggio breve.
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Saggio breve 1 - Ambito artistico-letterario
SAGGIO BREVE
1
ambito artistico-letterario
ARGOMENTO: La percezione dello straniero nella letteratura e nell’arte [Assegnato all’esame di Stato del 2008] CONSEGNE Sviluppa l’argomento scelto o in forma di “saggio breve” o di “articolo di giornale”, utilizzando, in tutto o in parte, e nei modi che ritieni opportuni, i documenti e i dati forniti. Se scegli la forma del “saggio breve” argomenta la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio. Premetti al saggio un titolo coerente e, se vuoi, suddividilo in paragrafi. Se scegli la forma dell’”articolo di giornale”, indica il titolo dell’articolo e il tipo di giornale sul quale pensi che l’articolo debba essere pubblicato. Per entrambe le forme di scrittura non superare cinque colonne di metà di foglio protocollo.
DOCUMENTI
1
Non lederai il diritto dello straniero o dell’orfano e non prenderai in pegno la veste dalla vedova; ma ti ricorderai che sei stato schiavo in Egitto e che di là ti ha redento l’Eterno, il tuo Dio; perciò ti comandò di fare questo. Quando fai la mietitura nel tuo campo e dimentichi nel campo un covone, non tornerai indietro a prenderlo; sarà per lo straniero, per l’orfano e per la vedova, affinché l’Eterno, il tuo Dio, ti benedica in tutta l’opera delle tue mani. Quando bacchierai i tuoi ulivi, non tornerai a ripassare sui rami; le olive rimaste saranno per lo straniero, per l’orfano e per la vedova. Quando vendemmierai la tua vigna, non ripasserai una seconda volta; i grappoli rimasti saranno per lo straniero, per l’orfano e per la vedova. E ti ricorderai che sei stato schiavo nel paese d’Egitto; perciò ti comando di fare questo.
2
DEUTERONOMIO, 24, 17-22
Così Odisseo stava per venire in mezzo a fanciulle dalle belle chiome, pur nudo com’era: la dura necessità lo spingeva. Terribile apparve loro, era tutto imbrattato di salsedine. E fuggirono via, chi qua chi là, sulle spiagge dove più sporgevano dentro il mare. Sola restava la figlia di Alcinoo: Atena le mise in cuore ardimento e tolse dalle membra la paura. Rimase ferma di fronte a lui, si tratteneva. Ed egli fu incerto, Odisseo, se supplicare la bella fanciulla e abbracciarle le ginocchia, oppure così di lontano pregarla, con dolci parole, che gl’indicasse la città e gli desse vesti. Questa gli parve, a pensarci, la cosa migliore, pregarla con dolci parole di lontano. Temeva che a toccarle i ginocchi si sdegnasse, la fanciulla. Subito le rivolse la parola… E a lui rispondeva Nausicaa dalle bianche braccia: “Straniero, non sembri uomo stolto o malvagio, ma Zeus Olimpio, che divide la fortuna tra gli uomini, buoni e cattivi, a ciascuno come lui vuole, a te diede questa sorte, e tu la devi ad ogni modo sopportare.”… Così disse, e diede ordini alle ancelle dalle belle chiome: “Fermatevi, ancelle, per favore. Dove fuggite al veder un uomo? Pensate forse che sia un nemico? Non c’è tra i mortali viventi, né mai ci sarà, un uomo che venga alla terra dei Feaci a portar la guerra: perché noi siamo molto cari agli dei. Abitiamo in disparte, tra le onde del mare, al confine del mondo: e nessun altro dei mortali viene a contatto con noi. Ma questi è un infelice, giunge qui ramingo. Bisogna prendersi cura di lui, ora: ché vengono tutti da Zeus, forestieri e mendichi, e un dono anche piccolo è caro. Su, ancelle, date all’ospite da mangiare e da bere, e lavatelo prima nel fiume, dove c’è un riparo dal vento.
3
OMERO, Odissea, VI, vv. 135-148 e vv. 186-209
Afflitto della nuova, e arrabbiato della maniera, Renzo afferrò ancora il martello, e, così appoggiato alla porta, andava stringendolo e storcendolo, l’alzava per picchiar di nuovo alla disperata, poi lo teneva sospeso. In quest’agitazione, si voltò per vedere se mai ci fosse d’intorno qualche vicino, da cui potesse forse aver qualche informazione più precisa, qualche indizio, qualche lume. Ma la prima, l’unica persona che vide, fu un’altra donna, distante forse un venti passi; la quale, con un viso ch’esprimeva terrore, odio, impazienza e malizia, con cert’occhi stravolti che volevano insieme guardar lui, e guardar lontano, spalancando la bocca come in atto di gridare a più non posso, ma rattenendo anche il respiro, alzando due braccia scarne, allungando e ritirando due mani grinzose e piegate a guisa d’artigli, come se cercasse d’acchiappar qualcosa, si vedeva che voleva chiamar gente, in modo che qualcheduno non se n’accorgesse. Quando s’incontrarono a guardarsi, colei, fattasi ancor più brutta, si riscosse come persona sorpresa… lasciò scappare il grido che aveva rattenuto fin allora: “l’untore, dagli! dagli! dagli all’untore!” Allo strillar della vecchia, accorreva gente di qua e di là;… abbastanza per poter fare d’un uomo solo quel che volessero. A. MANZONI, I Promessi Sposi, XXXIV, 1842
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SEZIONE 3
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Lo straniero “A chi vuoi più bene, enigmatico uomo, di? A tuo padre, a tua madre, a tua sorella o a tuo fratello?” “Non ho né padre, né madre, né sorella, né fratello.” “Ai tuoi amici?” “Adoperate una parola di cui fino a oggi ho ignorato il senso.” “Alla tua patria?” “Non so sotto quale latitudine si trovi.” “Alla bellezza?” “L’amerei volentieri, ma dea e immortale.” “All’oro?” “Lo odio come voi odiate Dio.” “Ma allora che cosa ami, straordinario uomo?” “Amo le nuvole… le nuvole che vanno… laggiù, laggiù… le meravigliose nuvole!”
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C. BAUDELAIRE, Poemetti in prosa, 1869
L’infermo teneva gli occhi chiusi: pareva un Cristo di cera, deposto dalla croce. Dormiva o era morto? Si fecero un po’ più avanti; ma al lieve rumore, l’infermo schiuse gli occhi, quei grandi occhi celesti, attoniti. Le due donne si strinsero vieppiù tra loro; poi, vedendogli sollevare una mano e far cenno di parlare, scapparono via con un grido, a richiudersi in cucina. Sul tardi, sentendo il campanello della porta, corsero ad aprire; ma, invece di don Pietro, si videro davanti quel giovane straniero della mattina. La zitellona corse ranca ranca a rintanarsi di nuovo; ma Venerina, coraggiosamente, lo accompagnò nella camera dell’infermo già quasi al bujo, accese una candela e la porse allo straniero, che la ringraziò chinando il capo con un mesto sorriso; poi stette a guardare, afflitta: vide che egli si chinava su quel letto e posava lieve una mano su la fronte dell’infermo, sentì che lo chiamava con dolcezza: - Cleen… Cleen… Ma era il nome, quello, o una parola affettuosa? L’infermo guardava negli occhi il compagno, come se non lo riconoscesse; e allora ella vide il corpo gigantesco di quel giovane marinajo sussultare, lo sentì piangere, curvo sul letto, e parlare angosciosamente, tra il pianto, in una lingua ignota. Vennero anche a lei le lagrime agli occhi. Poi lo straniero, voltandosi, le fece segno che voleva scrivere qualcosa. Ella chinò il capo per significargli che aveva compreso e corse a prendergli l’occorrente. Quando egli ebbe finito, le consegnò la lettera e una borsetta. Venerina non comprese le parole ch’egli le disse, ma comprese bene dai gesti e dall’espressione del volto, che le raccomandava il povero compagno. Lo vide poi chinarsi di nuovo sul letto a baciare più volte in fronte l’infermo, poi andar via in fretta con un fazzoletto su la bocca per soffocare i singhiozzi irrompenti.
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L. PIRANDELLO, Lontano, in “Novelle per un anno”, 1908
Un giorno di gennaio dell’anno 1941, un soldato tedesco di passaggio, godendo di un pomeriggio di libertà, si trovava, solo, a girovagare nel quartiere di San Lorenzo, a Roma. Erano circa le due del dopopranzo, e a quell’ora, come d’uso, poca gente circolava per le strade… S’era scordato dell’uniforme; per un buffo interregno sopravvenuto nel mondo, l’estremo arbitrio dei bambini adesso usurpava la legge militare del Reich! Questa legge è una commedia, e Gunther se ne infischia. In quel momento, qualsiasi creatura femminile capitata per prima su quel portone… che lo avesse guardato con occhio appena umano, lui sarebbe stato capace di abbracciarla di prepotenza, magari buttato ai piedi come un innamorato, chiamandola: meine mutter! E allorché di lì a un istante vide arrivare dall’angolo un’inquilina del caseggiato, donnetta d’apparenza dimessa ma civile, che in quel punto rincasava, carica di borse e di sporte, non esitò a gridarle: “Signorina! Signorina!” (era una delle 4 parole italiane che conosceva). E con un salto le si parò davanti risoluto, benché non sapesse, nemmeno lui, cosa pretendere. Colei però, al vedersi affrontata da lui, lo fissò con occhio assolutamente disumano, come davanti all’apparizione propria e riconoscibile dell’orrore.
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E. MORANTE, La Storia, Einaudi, 1974
Risate e grida si levarono. “Fuori! Fuori della fontana! Fuori!” Erano anche voci di uomini. La gente, poco prima intorpidita e molle, si era tutta eccitata. Gioia di umiliare quella ragazza spavalda che dalla faccia e dall’accento si capiva ch’era forestiera. “Vigliacchi!” gridò Anna, voltandosi d’un balzo. E con un fazzolettino cercava di togliersi di dosso la fanghiglia. Ma lo scherzo era piaciuto. Un altro schizzo la raggiunse a una spalla, un terzo al collo, all’orlo dell’abito. Era diventata una gara.… Qui Antonio intervenne, facendosi largo… Antonio era forestiero e tutti, là, parlavano in dialetto. Le sue parole ebbero un suono curioso, quasi ridicolo… Niente ormai tratteneva il buttare fuori il fondo dell’animo: il sozzo carico di male che si tiene dentro per anni e nessuno si accorge di avere. D. BUZZATI, Non aspettavamo altro, in “Sessanta racconti”, Mondadori, 1958
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Saggio breve 1 - Ambito artistico-letterario
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Era bagnato fradicio e coperto di fango e aveva fame e freddo ed era lontano cinquantamila anni-luce da casa… Il primo contatto era avvenuto vicino al centro della Galassia, dopo la lenta e difficile colonizzazione di qualche migliaio di pianeti; ed era stata la guerra, subito;… Stava all’erta, il fucile pronto. Lontano cinquantamila anni-luce dalla patria, a combattere su un mondo straniero e a chiedersi se ce l’avrebbe mai fatta a riportare a casa la pelle. E allora vide uno di loro strisciare verso di lui. Prese la mira e fece fuoco. Il nemico emise quel verso strano, agghiacciante, che tutti loro facevano, poi non si mosse più. Il verso e la vista del cadavere lo fecero rabbrividire. Molti, col passare del tempo, s’erano abituati, non ci facevano più caso; ma lui no. Erano creature troppo schifose, con solo due braccia e due gambe, quella pelle d’un bianco nauseante, e senza squame.
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F. BROWN, Sentinella, in “Tutti i racconti”, Mondadori, 1992
Tempo verrà in cui, con esultanza, saluterai te stesso arrivato alla tua porta, nel tuo proprio specchio, e ognun sorriderà al benvenuto dell’altro, e dirà: Siedi qui. Mangia. Amerai di nuovo lo straniero che era il tuo Io. Offri vino. Offri pane. Rendi il cuore a se stesso, allo straniero che ti ha amato per tutta la vita, che hai ignorato… D. WALCOTT, Amore dopo amore, in “Mappa del nuovo Mondo”, trad. it., Adelphi, Milano, 1992
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È una scultura romana del I secolo a.C., che raffigura un soldato galata morente. Il guerriero, straniero ai Romani, è colto in punto di morte mentre il corpo si accascia sullo scudo, con il quale i Celti si opponevano al nemico celando il corpo nudo. Dallo scudo si staglia il combattente con il torso flesso e ruotato verso destra a far risaltare l’incisione della ferita.
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SEZIONE 3
Svolgimento Il possibile titolo del tuo saggio breve Dividiamo questo saggio breve in tre soli paragrafi: introduzione, corpo centrale, conclusione
La tesi centrale che sostiene tutta l’argomentazione del saggio
Inizia il corpo centrale del saggio breve, con il suo titolo Doc. 2 (non è sempre necessario cominciare dal doc. 1)
Doc. 1
Doc. 9 (pur essendo lontano, nel dossier, dal doc. 1, tratta una tematica simile: è quindi bene avvicinarli) Due documenti unificati dal medesimo tema: è bene evidenziare il nesso
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QUEI “DIVERSI”, COSÌ LONTANI, COSÌ VICINI Il “diverso” che viene da lontano La figura dello straniero è costantemente presente nella letteratura universale, fin dalle Sacre Scritture e dalle narrazioni degli antichi poemi. Proprio questa sua diffusione, però, è all’origine delle tante differenti sembianze che lo “straniero” assume nell’una o nell’altra cultura, lungo i secoli. Resta però una costante: nell’immaginario collettivo lo straniero viene generalmente etichettato come il “diverso”, che, in maniera improvvisa, viene a turbare e invadere la nostra “normale” quotidianità. Si può essere “diversi” in tanti modi (per le abitudini di vita, per la lingua, anche per l’aspetto fisico), ma ciò che non cambia è la lontananza dello straniero rispetto ai nostri modi di vivere e di pensare il mondo: una lontananza percepita come fonte di pericolo e, quindi, di timore. I tanti volti dello straniero nella letteratura La figura “classica” dello straniero è quella presentataci nell’Odissea di Omero. Il protagonista del racconto è Odisseo/Ulisse, un eroe che è stato condannato dagli dèi a vagare per il Mediterraneo e che quindi, adesso, faticosamente cerca di ritornare in patria. Sulla strada di casa, Ulisse incontra molti personaggi; essi in genere comprendono che egli non è “un uomo stolto e malvagio”, ma solo un “infelice ramingo”, costretto dal fato a vagare lontano dalla sua Itaca. Uno di questi personaggi è la bella Nausicaa, figlia del re dei Feaci: interpretando l’arrivo di Ulisse come un segno della volontà di Zeus, ella lo accoglie come un ospite gradito e ordina alle sue ancelle di prendersi cura di lui. Una visione più generale ci offre l’altro testo antico presentato nel dossier, ovvero il brano del Deuteronomio, un libro del Vecchio Testamento. Qui lo straniero viene raffigurato come un individuo senza la propria patria, affine all’orfano e alla vedova. Ma tutti siamo un po’ stranieri: “Ti ricorderai che sei stato schiavo in Egitto”: anche il popolo ebraico è stato straniero per lungo tempo e perciò la legge di Dio ammonisce di lasciare un po’ di raccolto per chi è esule e infelice. La legge divina, quindi, tutela lo straniero, riconoscendo in lui un tratto tipico della condizione umana universale. È lo stesso sentimento che si avverte vibrare nella poesia di Walcott, che auspica il ritorno a un’epoca nella quale tutti gli uomini, memori del loro passato da stranieri, accolgano i forestieri come ospiti graditi. I due testi di Manzoni e Pirandello ci presentano lo straniero come un individuo pericoloso e quindi da scansare. La folla dei Promes-
Saggio breve 1 - Ambito artistico-letterario
Doc. 3
Doc. 5 (il connettivo Anche vuole sottolineare l’affinità delle due visioni)
Una delle tesi-chiave dell’argomentazione Il punto a capo segnala lo stacco e l’inizio di un discorso differente Doc. 10
Doc. 6
Doc. 8
Una specificazione della tesi principale: lo straniero è “diverso” anche in altri modi Doc. 4
Doc. 7 (senza punto a capo, per segnalare la continuità del discorso)
Quando si può, è bene attualizzare, ma in modo prudente e misurato
si sposi prende un clamoroso abbaglio, scambiando Renzo per un untore: una follia che si giustifica, in parte, con la condizione della città, sconvolta dalla peste. Renzo chiede informazioni su Lucia, insiste sempre più in ansia, finché non bussa con rabbia a una porta di casa, battendo più volte il martello. Nasce da qui l’equivoco: il forestiero viene preso per un nemico, un portatore di morte che vuole diffondere il morbo della peste. Anche nella novella Lontano di Pirandello lo straniero provoca timore in chi lo vede: la donna che gli apre la porta corre a “rintanarsi”. Qui la diversità è data soprattutto dal linguaggio, che produce l’incomunicabilità tra la giovane e lo straniero. Eppure quest’ultimo è capace di gesti umani, come la pietà verso gli ammalati. Questo, sembra dirci l’autore, è un tratto che accomuna gli esseri umani, senza distinzioni tra vicini e lontani. In altri testi del dossier, lo straniero viene rappresentato come il soldato. Essendo portatore di lutti, di morte, di violenza, è logico che il soldato-forestiero appaia un nemico pericoloso da cui difendersi. La scultura del soldato galata morente mostra come il nesso straniero-soldato fosse già operante nell’antichità romana, ma ci mostra anche il lato umano del nemico, ritratto in punto di morte mentre il corpo si accascia sullo scudo. Umanità, sia pure nascosta, vibra anche nel brano di Elsa Morante, in cui il soldato tedesco cerca sì con insistenza l’amore di una donna, ma solo per sentirsi meno solo. Questo atteggiamento produce solo “orrore” nella donna a cui egli si rivolge, incapace di scorgere le vere motivazioni che guidano l’uomo. Anche nel testo di Brown viene raffigurato il ribrezzo per il nemico. Qui il militare, in terra straniera, uccide un altro “diverso”, il nemico, dalle sembianze orribilmente opposte alle proprie; intanto riflette “se ce l’avrebbe mai fatta a riportare a casa la pelle”. Alcuni autori, però, connotano lo straniero con tratti meno consueti (il forestiero, il soldato) e più sorprendenti. Lo straniero di Baudelaire è un individuo definito “enigmatico”: egli rinnega ogni legame di parentela con gli altri uomini, afferma di amare solo “le nuvole”, aspira cioè a raggiungere l’immensità della natura. Nel testo di Dino Buzzati siamo messi davanti all’alterità per eccellenza, la donna. Contro quel “diverso”, straniero e femmina, la collettività fa quadrato: il gruppo di uomini prova “gioia di umiliare quella ragazza spavalda che dalla faccia e dall’accento si capiva ch’era forestiera”. Siamo di fronte, purtroppo, a una scena che ricorda certi episodi della cronaca contemporanea, in cui i “diversi” (stranieri, omosessuali, mendicanti, ecc.) diventano vittime di una cieca violenza di gruppo.
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SEZIONE 3
La conclusione del saggio breve, con il suo titolo Si raccoglie e si riassume il frutto della rassegna precedente
Dietro le apparenze, la verità rivelata dalla letteratura: è il punto d’arrivo dell’argomentazione
Attualizzare (passando dalla letteratura alla società contemporanea) è un traguardo sempre opportuno
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Una riflessione sulla condizione umana, un antidoto contro le esclusioni Come si vede, la condizione dello straniero assume nella letteratura e nell’arte diverse sembianze: trattandosi di una condizione profondamente umana e comune, è logico che essa sia stata raffigurata in molteplici modi e descritta in tante situazioni. Un tratto comune alla maggior parte di queste rappresentazioni è far coincidere lo straniero con il “diverso”. Ma l’arte e la cultura ci ricordano anche una verità che spesso tendiamo a dimenticare, ma che non è meno reale: noi tutti siamo, chi più chi meno, o possiamo diventare, stranieri a noi stessi e agli altri. Si tratta di un ammonimento prezioso, in una società multiculturale come quella di oggi. Nel nostro mondo il confronto tra civiltà diventa spesso, più che confronto, scontro tra culture diverse: la riflessione su chi sia realmente lo straniero – e quindi su chi siamo noi – è un potente antidoto contro gli stereotipi e le incomprensioni.
Saggio breve 2 - Ambito artistico-letterario
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SAGGIO BREVE
ambito artistico-letterario
ARGOMENTO: Gli affetti familiari [Assegnato all’esame di Stato del 2003] CONSEGNE Sviluppa l’argomento scelto o in forma di “saggio breve” o di “articolo di giornale”, utilizzando, in tutto o in parte, e nei modi che ritieni opportuni, i documenti e i dati forniti. Se scegli la forma del “saggio breve” argomenta la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio. Premetti al saggio un titolo coerente e, se vuoi, suddividilo in paragrafi. Se scegli la forma dell’”articolo di giornale”, indica il titolo dell’articolo e il tipo di giornale sul quale pensi che l’articolo debba essere pubblicato. Per entrambe le forme di scrittura non superare cinque colonne di metà di foglio protocollo.
DOCUMENTI
1
In morte del fratello Giovanni Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo di gente in gente, me vedrai seduto su la tua pietra, o fratel mio, gemendo il fior de’ tuoi gentili anni caduto. La Madre or sol, suo dì tardo traendo, parla di me col tuo cenere muto; ma io deluse a voi le palme tendo, e sol da lunge i miei tetti saluto. Sento gli avversi Numi, e le secrete cure che al viver tuo furon tempesta, e prego anch’io nel tuo porto quïete. Questo di tanta speme oggi mi resta! Straniere genti, l’ossa mie rendete allora al petto della madre mesta. U. FOSCOLO, Sonetti, (1802)
2
3
A mia moglie, in montagna Dal fondo del vasto catino, supini presso un’acqua impaziente d’allontanarsi dal vecchio ghiacciaio, ora che i viandanti dalle braccia tatuate han ripreso il cammino verso il passo, possiamo guardare le vacche. Poche sono salite in cima all’erta e pendono senza fame né sete, l’altre indugiano a mezza costa dov’è certezza d’erba e senza urtarsi, con industri strappi, brucano; finché una leva la testa a ciocco verso il cielo, muggisce ad una nube ferma come un battello. E giungono fanciulli con frasche che non usano, angeli del trambusto inevitabile, e subito due vacche si mettono a correre con tutto il triste languore degli occhi che ci crescono incontro. Ma tu di fuorivia, non spaventarti, non spaventare il figlio che maturi. G. ORELLI, L’ora del tempo , (1962)
M. BUONARROTI, Sacra famiglia (1504)
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4
Ed amai nuovamente; e fu di Lina dal rosso scialle il più della mia vita. Quella che cresce accanto a noi, bambina dagli occhi azzurri è dal suo grembo uscita. Trieste è la città, la donna è Lina, per cui scrissi il mio libro di più ardita sincerità; né dalla sua fu fin’ ad oggi mai l’anima mia partita. Ogni altro conobbi umano amore; ma per Lina torrei di nuovo un’altra vita, di nuovo vorrei cominciare. Per l’altezze l’amai del suo dolore, perché tutto fu al mondo, e non mai scaltra, e tutto seppe, e non se stessa, amare.
5
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino. Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio. Il mio dura tuttora, né più mi occorrono le coincidenze, le prenotazioni, le trappole, gli scorni di chi crede che la realtà sia quella che si vede. Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio non già perché con quattr’occhi forse si vede di più. Con te le ho scese perché sapevo che di noi due le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, erano le tue. E. MONTALE, Satura, (1971)
U. SABA, Autobiografia, (1924)
6
Il compleanno di mia figlia. 1966 Siano con selvaggia compunzione accese le tre candele. Saltino sui coperchi con fragore i due compari di spada compiuti uno sei anni e mezzo, l’altro cinque e io trentaquattro e la mamma trentadue e la nonna, se non sbaglio, sessantotto. Questa scena non verrà ripetuta. La scena non viene diversamente effigiata. E chi si sentisse esule o in qualche percentuale risulta ingrugnato parli prima o domani. Accogli, streghina di marzapane, la nostra sospettosa tenerezza. Seguano come a caso stridi di vagoni piombati, raffiche di mitragliatrice… G. RABONI, Cadenza d’inganno, (1975)
7
La madre E il cuore quando d’un ultimo battito Avrà fatto cadere il muro d’ombra Per condurmi, Madre, sino al Signore, Come una volta mi darai la mano. In ginocchio, decisa, Sarai una statua davanti all’Eterno, Come già ti vedeva Quando eri ancora in vita. Alzerai tremante le vecchie braccia, Come quando spirasti Dicendo: Mio Dio, eccomi. E solo quando m’avrà perdonato, Ti verrà desiderio di guardarmi. Ricorderai d’avermi atteso tanto, E avrai negli occhi un rapido sospiro.
G. UNGARETTI, 1930
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Saggio breve 21 - Ambito artistico-letterario
Svolgimento
Il possibile titolo del tuo saggio breve L’assenza di paragrafi interni dà maggiore compattezza al ragionamento Introduzione (che rispecchia il contenuto del titolo): il Novecento non è solo il secolo del “male di vivere”
Una rapida panoramica, come sommario di ciò che seguirà
La citazione del doc. 2, diverso da tutti gli altri, dà completezza al saggio
Nuova panoramica che classifica gli autori: cinque del Novecento, due dei secoli precedenti Se si posseggono le giuste conoscenze, è bene allargare (ma senza esagerare) l’ambito dei documenti del dossier
Doc. 7 Lo si può capire dalla data (“1930”) indicata nel documento ministeriale
Breve analisi della poesia di Ungaretti
Nuovo (rapido) allargamento del discorso
L’“ALTRO” NOVECENTO: GLI AFFETTI FAMILIARI DEI POETI RISCRIVONO L’IMMAGINE DEL SECOLO “NEGATIVO” Il Novecento è conosciuto soprattutto come il secolo del “male di vivere”, della negatività del mondo e della debolezza della condizione umana devastata dalle tragedie della storia. Tuttavia questa immagine non esaurisce la ricchezza culturale di un’epoca che ha saputo coltivare, sul piano letterario, molti altri temi. Tra questi, gli affetti familiari, intesi in senso largo: l’affetto per il fratello nel sonetto di Foscolo, l’amore coniugale nelle liriche di Saba e Montale, l’amore di un padre per la figlia (Raboni) e quello di un figlio per la madre (Ungaretti). Sono tutti testi poetici, a eccezione dell’unico documento iconografico proposto: il famoso Tondo Doni di Michelangelo, un artista che peraltro era anche poeta e che ritrae qui, nella classica perfezione delle forme rinascimentali, il tema della Sacra famiglia (Maria, Giuseppe e il bambino Gesù). Michelangelo e Foscolo sono anche gli unici due autori non novecenteschi; gli altri cinque, invece, provengono tutti dal secolo XX e ne documentano la ricchezza di prospettive, linguaggi e visioni. Accanto a questi cinque, molti altri scrittori novecenteschi si potrebbero citare tra quelli che ritornarono frequentemente sul tema degli affetti familiari: tra tutti, ricordo Pascoli, che dedicò alcune splendide poesie al ricordo del padre perso tragicamente. Egli fu il cantore del “nido” inteso appunto come rifugio nella ristretta cerchia della famiglia e dei suoi sentimenti di vicinanza, solidarietà, ecc. Dei cinque scrittori qui citati, tre sono conosciuti come grandi poeti, protagonisti di una vera rivoluzione letteraria. Il primo, in ordine di tempo, fu Ungaretti, del quale però viene qui citata la lirica La madre, che appartiene alla raccolta Sentimento del tempo e quindi alla seconda fase di produzione del poeta. La madre è una lirica bellissima e famosa, incentrata su una figura materna vista quasi come una “statua” che attende il figlio nell’aldilà in atteggiamento apparentemente severo. In realtà, ella sta solo propiziando il perdono di Dio sul figlio poeta: per lui ella “leva le braccia”, solennemente, “davanti all’Eterno”. Il poeta ripensa all’intera propria vita, al passato e al futuro, che si fondono nel verso 4: “Come una volta mi darai la mano”; nel momento supremo, all’affetto della madre egli guarderà come a un punto di riferimento stabile e sicuro. Ungaretti cantò anche un altro grande affetto familiare: le poesie del ciclo Giorno per giorno sono infatti dedicate al figlioletto scomparso e costituiscono la toccante testimonianza del dolore di “un uomo”, come amava definirsi lo stesso Ungaretti, nella dimensione più personale e anche in quella collettiva della guerra.
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SEZIONE 3
Passaggio al doc. 4
Allargamento del discorso
Passaggio al doc. 5, con l’uso del connettivo: “Meno presenti… questi affetti…”
Breve analisi del testo
Passaggio ad altri due poeti Doc. 6
Breve analisi del testo
Doc. 3 Quadro più generale per introdurre Foscolo; l’attenzione passa al linguaggio poetico
Doc. 1 Breve analisi del testo
Riepilogo e valutazione complessiva, poeta per poeta
Ritorna l’argomento dell’introduzione
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Saba canta la moglie Lina nel sonetto Ed amai nuovamente; e fu di Lina: il tema degli affetti familiari (per la moglie, come qui, o per la figlia Linuccia) fu caro al poeta triestino, che amava le cose semplici, i sentimenti comuni, come affermazione e conferma della bellezza del mondo, in ogni suo aspetto. Saba compose per la moglie Lina la celebre poesia A mia moglie, dove Lina viene paragonata alle creature del mondo animale, pure perché create da Dio. Meno presenti, ma molto saldi, questi affetti risultano nella poesia di Montale. In alcune liriche della Bufera egli si rivolge al padre e alla madre; in questa poesia, invece, guarda con trepido affetto alla moglie “Mosca”, da poco scomparsa. Il poeta rievoca la lunga vita trascorsa insieme e spera di poter intrattenere ancora con lei un colloquio quotidiano. Malgrado le apparenze, tra i due coniugi era la moglie (pur con le pupille “offuscate”, cioè miopi) a vederci di più e meglio; perché? Forse perché la moglie sapeva bene che la realtà non è solo “quella che si vede”, e non le sfuggivano perciò tante cose che molti non riescono più a vedere. Gli altri due poeti novecenteschi qui presenti sono meno noti. Molto bello il componimento di Giovanni Raboni, dedicato a una scena domestica: la festa per il compleanno della figlioletta. Tra i giochi e gli oggetti dei bambini, fa capolino una triste sentenza, “Questa scena non verrà ripetuta”, allusione al drammatico scorrere del tempo. La poesia sembra nascere proprio per “fissare” la scena affettuosa e per ribadire una fiducia: dove gli affetti e i sentimenti sono forti, il tempo ha minor potere distruttivo. Un quadretto familiare ritrae anche Orelli, che si raffigura durante una gita in montagna in compagnia della moglie in attesa della gravidanza. Se confrontiamo il linguaggio molto libero e comunicativo di Raboni (una caratteristica che appartiene anche alla lirica qui presentata di Montale), spicca indubbiamente una grande distanza rispetto al linguaggio “classico” e retoricamente sostenuto di Foscolo. Il suo sonetto, dedicato al fratello suicida, disegna in realtà un quadro familiare più ampio, perché include come protagonista anche la Madre, scritta con la maiuscola e rappresentata come la custode della casa e degli affetti che essa rappresenta. Ora essa è venuta a piangere sulla tomba del fratello Giovanni: e noi sappiamo quale importanza abbia, per Foscolo, la tomba, quale fonte di insegnamenti, di legami familiari e di vita. Qui però, nella chiusa del sonetto, sembra prevalere lo scoramento del giovane poeta: “Straniere genti, l’ossa mie rendete / allora al petto della madre mesta”. La visione di Foscolo appare la più sconsolata tra quelle qui proposte, mentre soprattutto Saba e Ungaretti tratteggiano quadri più positivi. Montale, invece, sembra raffigurare soprattutto il disorientamento davanti all’esistenza quotidiana e alle sue mille contraddizioni. Un atteggiamento perplesso è anche quello di Raboni. In sostanza, il tema degli affetti familiari si presta a molte diverse letture e connotazioni; ma mi sembra molto positivo che i poeti continuino a ispirarsi a simili tematiche, che potrebbero sembrare “sdolcinate” e superate, e che invece appartengono alle radici più forti della nostra esistenza umana.
Saggio breve 31 - Ambito artistico-letterario
SAGGIO BREVE
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ambito artistico-letterario
ARGOMENTO: Amore, odio, passione [Assegnato all’esame di Stato del 2007] CONSEGNE Sviluppa l’argomento scelto o in forma di “saggio breve” o di “articolo di giornale”, utilizzando, in tutto o in parte, e nei modi che ritieni opportuni, i documenti e i dati forniti. Se scegli la forma del “saggio breve” argomenta la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio. Premetti al saggio un titolo coerente e, se vuoi, suddividilo in paragrafi. Se scegli la forma dell’”articolo di giornale”, indica il titolo dell’articolo e il tipo di giornale sul quale pensi che l’articolo debba essere pubblicato. Per entrambe le forme di scrittura non superare cinque colonne di metà di foglio protocollo.
DOCUMENTI
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G. KLIMT, Il bacio, 1907-08 G. DE CHIRICO, Ettore e Andromaca, 1917
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Tra l’altre distinzioni e privilegi che le erano stati concessi, per compensarla di non poter esser badessa, c’era anche quello di stare in un quartiere a parte. Quel lato del monastero era contiguo a una casa abitata da un giovine, scellerato di professione, uno de’ tanti, che, in que’ tempi, e co’ loro sgherri, e con l’alleanze d’altri scellerati, potevano, fino a un certo segno, ridersi della forza pubblica e delle leggi. Il nostro manoscritto lo nomina Egidio, senza parlar del casato. Costui, da una sua finestrina che dominava un cortiletto di quel quartiere, avendo veduta Gertrude qualche volta passare o girandolar lì, per ozio, allettato anzi che atterrito dai pericoli e dall’empietà dell’impresa, un giorno osò rivolgerle il discorso. La sventurata rispose. Alessandro MANZONI, I promessi sposi, 1840-42
P. PICASSO, Gli amanti, 1923
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SEZIONE 3
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Ed avrebbe voluto strapparsi gli occhi per non vedere quelli della Lupa, che quando gli si ficcavano ne’ suoi gli facevano perdere l’anima ed il corpo. Non sapeva più che fare per svincolarsi dall’incantesimo. Pagò delle messe alle anime del Purgatorio e andò a chiedere aiuto al parroco e al brigadiere. A Pasqua andò a confessarsi, e fece pubblicamente sei palmi di lingua a strasciconi sui ciottoli del sacrato innanzi alla chiesa, in penitenza, e poi, come la Lupa tornava a tentarlo: – Sentite! le disse, non ci venite più nell’aia, perché se tornate a cercarmi, com’è vero Iddio, vi ammazzo! – Ammazzami, rispose la Lupa, ché non me ne importa; ma senza di te non voglio starci. Ei come la scorse da lontano, in mezzo a’ seminati verdi, lasciò di zappare la vigna, e andò a staccare la scure dall’olmo. La Lupa lo vide venire, pallido e stralunato, colla scure che luccicava al sole, e non si arretrò di un sol passo, non chinò gli occhi, seguitò ad andargli incontro, con le mani piene di manipoli di papaveri rossi, e mangiandoselo con gli occhi neri. – Ah! malanno all’anima vostra! balbettò Nanni. Giovanni VERGA, La Lupa, in Vita dei campi, 1880
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Ella pareva colpita dal suono insolito della voce di Giorgio; e un vago sbigottimento cominciava a invaderla. – Ma vieni! Ed egli le si appressò con le mani tese. Rapidamente l’afferrò per i polsi, la trascinò per un piccolo tratto; poi la strinse tra le braccia, con un balzo, tentando di piegarla verso l’abisso. – No, no, no... Con uno sforzo rabbioso ella resistette, si divincolò, riuscì a liberarsi, saltò indietro anelando e tremando. – Sei pazzo? – gridò con l’ira nella gola. – Sei pazzo? Ma, come se lo vide venire di nuovo addosso senza parlare, come si sentì afferrata con una violenza più acre e trascinata ancóra verso il pericolo, ella comprese tutto in un gran lampo sinistro che le folgorò l’anima di terrore. – No, no, Giorgio! Lasciami! Lasciami! Ancóra un minuto! Ascolta! Ascolta! Un minuto! Voglio dirti... Ella supplicava, folle di terrore, divincolandosi. Sperava di trattenerlo, d’impietosirlo. – Un minuto! Ascolta! Ti amo! Perdonami! Perdonami! Ella balbettava parole incoerenti, disperata, sentendosi vincere, perdendo terreno, vedendo la morte. – Assassino! – urlò allora furibonda. E si difese con le unghie, con i morsi, come una fiera. – Assassino! – urlò sentendosi afferrare per i capelli, stramazzando al suolo su l’orlo dell’abisso, perduta. Il cane latrava contro il viluppo. Fu una lotta breve e feroce come tra nemici implacabili che avessero covato fino a quell’ora nel profondo dell’anima un odio supremo. E precipitarono nella morte avvinti. Gabriele D’ANNUNZIO, Il trionfo della morte, 1894
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Emilio poté esperimentare quanto importante sia il possesso di una donna lungamente desiderata. In quella memorabile sera egli poteva credere d’essersi mutato ben due volte nell’intima sua natura. Era sparita la sconsolata inerzia che l’aveva spinto a ricercare Angiolina, ma erasi anche annullato l’entusiasmo che lo aveva fatto singhiozzare di felicità e di tristezza. Il maschio era oramai soddisfatto ma, all’infuori di quella soddisfazione, egli veramente non ne aveva sentita altra. Aveva posseduto la donna che odiava, non quella ch’egli amava. Oh, ingannatrice! Non era né la prima, né – come voleva dargli ad intendere – la seconda volta ch’ella passava per un letto d’amore. Non valeva la pena di adirarsene perché l’aveva saputo da lungo tempo. Ma il possesso gli aveva data una grande libertà di giudizio sulla donna che gli si era sottomessa. – Non sognerò mai più – pensò uscendo da quella casa. E poco dopo, guardandola, illuminata da pallidi riflessi lunari: – Forse non ci ritornerò mai più. – Non era una decisione. Perché l’avrebbe dovuta prendere? Il tutto mancava d’importanza. Italo SVEVO, Senilità, 1927, 2 (1a ed. 1898)
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Saggio breve 31 - Ambito artistico-letterario
Svolgimento Il possibile titolo del tuo saggio breve
Questo saggio breve viene diviso in paragrafi, ciascuno dotato di un proprio titolo Il concetto centrale dell’introduzione: amore e odio, spesso, sono compresenti
Si passa a un altro concetto: l’equilibrio razionale è un progetto impossibile per gli individui comuni
3° titolino per il 3° concetto (in questo modo l’articolazione dei contenuti risulta molto chiara)
Dal romanticismo in generale, ai grandi scrittori romantici italiani
Foscolo e Leopardi sono trattati più velocemente
AMARE FINO ALLA MORTE: GLI INDISTINTI CONFINI TRA AMORE E ODIO Odi et amo Amore e odio sono due sentimenti molto diversi e contrastanti, ma l’esperienza comune ci avverte che la distanza tra l’uno e l’altro non è così netta. Nella nostra vita ci accade spesso di amare e, quasi contemporaneamente, di odiare qualcuno o qualcosa; basta un episodio, per rovesciare un sentimento nel suo contrario. Che questo scambio sia sempre possibile ce lo dice non solo l’esperienza quotidiana, ma anche la letteratura: odi et amo, affermava il poeta Catullo nel I secolo a.C., dando così voce al lucido tormento del suo spirito. I sapienti e gli uomini comuni Perché questa ambiguità? Essa nasce, probabilmente, dal fatto che odio e amore sono due forti passioni, istinti brucianti. Non si odia né si ama per sola scelta razionale; se si odia o se si ama, lo si fa perché si è presi da un impeto irrazionale, da una passione, appunto. Per questo la filosofia classica ammoniva a non divenire preda di odio, amore o di qualsiasi altra passione; raccomandava l’equilibrio del sapiente. Ma a noi uomini comuni, che non sappiamo esercitare questo superiore autocontrollo, che cioè non siamo “sapienti”, non resta che una vita vissuta con slancio e con passione. Il romanticismo, la civiltà delle passioni Ci fu un’epoca in cui l’arte e la letteratura celebrarono la forza dei sentimenti: un’epoca dunque anti-classica, ma intensamente passionale. Si tratta del romanticismo, la cultura che seppe elaborare una nuova idea del bello e che considerò la creatività e l’intuizione (frutto appunto della passione) come i veri alimenti dell’arte, al pari dei sentimenti. Il romanticismo celebrò la forza delle passioni, dell’amore e anche dell’odio. Nella letteratura italiana questo tema alimenta le opere di scrittori come Foscolo, Leopardi e Manzoni. Tutti attirati dall’amore, nelle sue varie sfaccettature, così come dal suo opposto, l’odio che prende anch’esso varie facce. In Foscolo l’amore per la creatura femminile ispira il romanzo Ultime lettere di Jacopo Ortis, così come l’odio per una vita senza amore e senza passioni arma la mano del protagonista Jacopo fino a spingerlo al suicidio. In Leopardi l’amore assume il volto del desiderio di amare e di essere amato, mentre l’odio si esprime come avversione alle illusioni e tensione verso il vero, unico
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SEZIONE 3
bene della vita. Tuttavia Leopardi è anche il poeta che canta la dolcezza delle illusioni, dando quindi voce a quell’ambivalenza odio-amore di cui ho parlato all’inizio. Il discorso converge su Manzoni, a cui è dedicato un documento del dossier Analisi del testo (doc. 4)
Contestualizzazione più ampia relativa ai Promessi sposi
L’inizio mette in luce la tematica comune ai documenti 5 e 6
Analisi del documento 5
Analisi del doc. 6
Si passa al documento 1 (notare il connettivo: “In parte simile e in parte differente…”)
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L’amore e l’odio nei Promessi sposi Nei Promessi sposi di Manzoni leggiamo pagine di grande spessore sia sull’amore come sull’odio. La passione di Egidio per Gertrude, e la sua corresponsione da parte della monaca, sono soltanto alluse, ma la brevità del linguaggio (“La sventurata rispose”) non lascia dubbi ai lettori e nemmeno ne lascia nello stesso Egidio. Manzoni lascia all’immaginazione del lettore colmare gli spazi vuoti che le sue parole suggeriscono. In altri luoghi del romanzo l’amore diviene un sentimento più puro, anche se non meno forte (l’amore di Renzo per Lucia) o più spiritualizzato, ma anche qui, non meno vivo (l’amore di Lucia per il suo promesso) L’odio fa capolino nell’avversione di don Rodrigo verso fra Cristoforo, quasi fosse il suo nemico personale, ma si avverte anche nella scena in cui Renzo, nel lazzeretto di Milano, prova l’impulso di vendicarsi del suo persecutore, don Rodrigo stesso: e qui è proprio fra Cristoforo a frenarlo e a riportarlo sui sentieri del perdono, che dell’odio è l’esatto contrario. Di passione si può morire Quando la passione scoppia, essa può annullare i confini tra odio e amore, e non solo: può condurre diritti fino alla morte. È l’esito documentato sia da Verga nella novella La lupa sia da D’Annunzio nel Trionfo della morte. Lasciarsi dominare dalla passione, inchinarsi alla sua forza, è un’esperienza “primitiva”, che Verga descrive con grande perizia nei suoi contadini così “selvaggi” da sembrare appena usciti da un mondo primordiale. La passione rappresentata con grandissima arte nella novella La lupa (1880) pare la dimostrazione lampante che erano esatti i consigli degli antichi filosofi di non lasciarsi vincere dalle passioni; senonché i personaggi verghiani non hanno alternativa, in quanto l’equilibrio della ragione e l’autocontrollo del saggio sono lontanissimi dalla loro portata. Il testo dannunziano, tratto dal romanzo Il trionfo della morte (1894), ci dimostra qualcosa di molto simile all’assunto di Verga. Quando è il corpo a parlare, le sovrastrutture culturali crollano ed emerge allora in primo piano l’istinto senza freni: i due amanti Giorgio e Ippolita, precipitando nell’abisso, raffigurano l’unica soluzione (la morte, appunto) al contrasto tra ragionevolezza della civiltà e trionfo degli istinti “puri”. L’autore decadente si ribella allo spirito borghese, così ostile verso le espressioni più dirette (e istintive) dell’essere umano, pronto soltanto a regolamentarle nelle forme rassicuranti, perché socialmente accettabili, del matrimonio. In parte simile e in parte differente è lo sfondo da cui nasce il celebre quadro di Klimt Il bacio. L’avvinghiamento dei corpi ci parla
Saggio breve 31 - Ambito artistico-letterario
Un altro connettivo (“Da questo orizzonte… resta lontano”) per introdurre il doc. 7
Si passa al doc. 2 (De Chirico) mediante un elemento di raccordo (“Ancora più triste è…”)
Passaggio al doc. 3 (Picasso), sempre raccordando i vari elementi del saggio breve
Conclusione, che problematizza il tema odio/amore = difficile ricondurlo a una visione unica
di una passione in cui si confondono lotta e amore appassionato. Ma le forme raffinate di Klimt, la raffinata sensualità dei colori, riportano la sua visione, semmai, all’edonismo del Piacere, primo romanzo di D’Annunzio. Da questo orizzonte di compenetrazione resta molto lontano il protagonista di Senilità di Svevo (1898). Emilio è un borghese alla ricerca di emozioni, ma per lui l’amore come passione è semplicemente impossibile. La conquista sessuale di Angiolina non gli dà gioia o appagamento: “Il maschio era oramai soddisfatto ma, all’infuori di quella soddisfazione, egli veramente non ne aveva sentita altra”. L’intreccio odio/amore sembra risolversi, per lui, verso il lato più insoddisfacente: “Aveva posseduto la donna che odiava, non quella ch’egli amava”. Emilio, che esce dalla casa della donna appena posseduta pensando che “non sognerà mai più”, è un disadattato in senso stretto: inadatto alla vita, inetto per vocazione, come lo sono tutti i protagonisti sveviani. Il protagonista di Senilità esce dal suo romanzo e dalla vita osservandoli da fuori, senza più parteciparvi. Ancora più triste è la visione dei due personaggi ritratti da De Chirico: Ettore e Andromaca si stringono, si sostengono, come due amanti, ma forse non lo sono, perché il pittore li raffigura senza più somiglianza alle figure umane: esseri di materia, non di carne, elementi senza l’anima. Molto più rassicurante è la visione di Picasso, che ricompone (proprio lui, il padre dell’avanguardia novecentesca) le forme e, insieme, l’amore. In quest’opera Gli amanti del 1923, noi non vediamo i segni del dolore, del tormento, dell’inquietudine, insomma, non vediamo il lato perturbante dell’amore. Vediamo invece il superiore equilibrio di una passione divenuta certezza e relazione adulta. Come a dire, le facce dell’amore (così come quelle dell’odio, e della passione) sono davvero tante, e al di là delle disquisizioni della filosofia, o delle rappresentazioni dell’arte, gli esseri umani continueranno ad amarsi e odiarsi in tutti i modi possibili: finché morte non li separi.
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SEZIONE 3
SAGGIO BREVE
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ambito storico-politico
ARGOMENTO: La crisi economica del 1929 CONSEGNE Sviluppa l’argomento scelto o in forma di “saggio breve” o di “articolo di giornale”, utilizzando, in tutto o in parte, e nei modi che ritieni opportuni, i documenti e i dati forniti. Se scegli la forma del “saggio breve” argomenta la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio. Premetti al saggio un titolo coerente e, se vuoi, suddividilo in paragrafi. Se scegli la forma dell’”articolo di giornale”, indica il titolo dell’articolo e il tipo di giornale sul quale pensi che l’articolo debba essere pubblicato. Per entrambe le forme di scrittura non superare cinque colonne di metà di foglio protocollo.
DOCUMENTI
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Andamento della Borsa di Wall Street, 1925-1932
2
Il popolo sacrificò sull’altare della speculazione di borsa i faticati risparmi di una laboriosa esistenza. [...] Era l’agosto del 1928 e la fine dello stesso anno il pallone borsistico si innalzò del 30%. Ma non si fermò là. Salì, su, su, sempre più su durante molti fantastici mesi finché, finalmente, si trovò dell’80% più alto dell’anno precedente. Quelle erano cifre di sogno. Ormai il pallone aveva raggiunto la stratosfera economica, più su dell’aria, là dove non c’è più vita. Ed ecco: si afflosciò. Il valore nominale delle azioni svanì da un giorno all’altro; i risparmi, investiti quando il mercato era fiorente, si ridussero a zero, solo la fredda realtà rimase. I debiti erano reali. Essi erano l’unica realtà tangibile nella gelida alba della deflazione.
3
Franklin D. ROOSEVELT, Looking Forward, New York 1933, cit. in Il New Deal. Teorie e politica, a c. di F. Villari, Ed. Riuniti, Roma 1977, p. 193
Si giunse assai vicino al tracollo dell’economia mondiale capitalistica, che parve vicina a un circolo vizioso nel quale ogni indice economico in ribasso (a eccezione del livello di disoccupazione, che si innalzò toccando punte astronomiche) accentuava il calo di tutti gli altri. La produzione industriale statunitense calò di circa un terzo dal 1929 al 1931 e lo stesso accadde in Germania, ma questi dati statistici attenuano la gravità della situazione. […] Ci fu una crisi nella produzione sia di materie prime sia di generi alimentari di prima necessità allorché i prezzi di queste merci, non più sorretti come in precedenza dalla formazione di ingenti scorte, scesero in caduta libera. Il prezzo del tè e del grano calò di due terzi, il prezzo della seta grezza di tre quarti. Questo fatto gettò nella crisi le economie [dei paesi produttori]. Il commercio internazionale di questi Stati dipendeva in grandissima parte dall’esportazione di prodotti di prima necessità. In breve, la Depressione divenne mondiale. [...] La principale conseguenza della crisi fu la disoccupazione, che si diffuse su una scala senza precedenti e per una durata che nessuno si era mai aspettato. Nel periodo peggiore della crisi (1932-33), il 22%-23% della forza lavoro inglese e
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Saggio breve 4 - Ambito storico-politico
belga, il 24% di quella svedese, il 27% di quella americana, il 29% di quella austriaca, il 31% di quella norvegese, il 32% di quella danese e non meno del 44% dei lavoratori tedeschi rimasero senza lavoro. Altrettanto importante è il fatto che perfino la ripresa, dopo il 1933, non ridusse il tasso medio di disoccupazione sotto il 16%-17% in Gran Bretagna e in Svezia, o sotto il 20% nei restanti Paesi scandinavi, in Austria e negli USA. […] Da tempo immemorabile non si verificava una catastrofe economica di tale portata nella vita delle classi lavoratrici.
4
E. J. HOBSBAWM, Il secolo breve, Rizzoli, Milano, 1995
Immagine di desolazione familiare in un sobborgo cittadino degli Stati Uniti 1930.
5
Il New Deal di Roosevelt fu una rivoluzione nel campo delle idee, ma non una rivoluzione nell’economia. Non cambiò il sistema della proprietà privata dei mezzi di produzione, il cui obbiettivo primario è la realizzazione di profitti; gli Stati Uniti sono sempre un paese capitalista. Non portò all’abbattimento di una classe a opera di un’altra classe; gli imprenditori sono sempre al loro solito posto, e i lavoratori al loro. […] Ma anche se “il sistema del profitto privato e dell’iniziativa privata” (Roosevelt) venne salvato, buona parte del bagaglio che l’aveva sempre accompagnato fu gettato a mare e gli si sostituirono attrezzature nuove. Scomparsa era per sempre la dottrina del laissez-faire, del “non immischiatevi dei fatti nostri” cara all’uomo d’affari - in suo luogo era subentrata l’idea dell’intervento pubblico, dell’”aiutateci o siamo rovinati”; scomparsa era l’accettazione della politica imprenditoriale di guerra ai sindacati - in suo luogo era subentrata l’idea del diritto legale dei lavoratori a organizzarsi autonomamente; scomparso era il sistema bancario sregolato che produceva un crollo finanziario dopo l’altro - in suo luogo era subentrata l’idea di una struttura bancaria in cui i depositi erano garantiti; [...] scomparsa era l’idea tradizionale dello “sfrenato individualismo”, con l’insicurezza che l’accompagnava - in suo luogo era subentrata l’idea della sicurezza; scomparsa era l’idea che i poveri andavano aiutati solo con la beneficenza privata - in suo luogo era subentrata l’idea, formulata da Roosevelt, “anche se non sta scritto nella Costituzione, è dovere naturale del Goerno Federale impedire che i cittadini patiscano la fame”. Il New Deal era una rivoluzione di idee. L. HUBERMAN, Storia popolare degli Stati Uniti, Einaudi 1977
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TITOLO I – Acquisizione di sovvenzione agli Stati per l’assistenza alla vecchiaia. Sezione 1. Con la finalità di rendere ogni Stato capace di fornire assistenza finanziaria [...] agli individui anziani bisognosi, è con il presente decreto autorizzata l’acquisizione, per l’anno fiscale che termina il 30 giugno 1936, della somma di 49 750 000 dollari ed inoltre è autorizzata per ogni anno fiscale successivo una somma sufficiente per assolvere gli obbiettivi relativi a questo titolo. [...] TITOLO III — Acquisizione di sovvenzioni agli Stati per l’amministrazione di misure compensative della disoccupazione. SEZIONE 301. Con la finalità di assistere gli Stati nell’amministrazione delle leggi di compensazione della disoccupa-
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SEZIONE 3
zione, è con il presente decreto autorizzata l’acquisizione, per l’anno fiscale che termina il 30 giugno 1936, della somma di 4000000 dollari, e per ogni anno fiscale successivo la somma di 49 000 000 dollari. [...] TITOLO V — Sovvenzioni per il benessere delle madri e dei bambini. PARTE I — Servizi per la salute delle madri e dei bambini. SEZIONE 501. Con la finalità di rendere ciascuno Stato in grado di estendere e migliorare [...1 i servizi per la promozione della salute delle madri e dei bambini, soprattutto nelle aree rurali e nelle aree colpite dalla grave crisi economica, è con il presente decreto autorizzata l’acquisizione per ogni anno fiscale, a partire dall’anno che termina il 30 giugno 1936, della somma di 3 800 000 dollari. Congresso degli Stati Uniti, Legge Social Security Act, 1935
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Il mondo industriale italiano [non era] disposto a sottoscrivere fin dall’inizio e integralmente il ruolo mediatore dello Stato nella vita economica. È bensì vero però che Agnelli, Pirelli e altri esponenti della Confindustria, che pur avevano protestato tra il 1933 e il 1934 contro l’estensione della “mano pubblica”, si mostrarono presto di diverso avviso, e cercarono quindi di stabilire dei vantaggiosi accordi settoriali, non appena si avvidero che l’IRI (giunto a gestire la maggioranza dell’industria pesante) avrebbe assicurato il mantenimento di numerosa manodopera, altrimenti esuberante e fonte di inquietudini e di tensioni sociali. [...] In ogni caso, né gli investimenti pubblici nell’industria, né la realizzazione dello Stato corporativo crearono una situazione pericolosa per l’assetto della proprietà privata e per i precedenti equilibri di potere. Si venne formando, insomma, un’economia mista, ma solo di salvataggio; né si affermò una precisa strategia dell’industria di Stato finalizzata a determinati obiettivi istituzionali, al di là di una passiva e ambigua presenza della “mano pubblica” in alcuni pur importanti settori produttivi. Quella fascista fu una politica rivolta a uno sviluppo protetto e guidato, erogatrice di stabilità sociale, ma caratterizzata alla distanza da modesti indici di produttività, da una debole consistenza della massa salariale, dalla compressione della domanda e dei consumi privati. V. CASTRONOVO, Grandi e piccoli borghesi, Laterza, Bari 1988, pp. 115-116
Svolgimento Il possibile titolo del tuo saggio breve
DEMOCRAZIE E DITTATURE DAVANTI ALLA CRISI ECONOMICA DEL 1929: DUE DIVERSE RISPOSTE (E UNA RIFLESSIONE PER NOI)
L’assenza di paragrafi interni dà maggiore
Giovedì 24 ottobre 1929, il famoso “giovedì nero” di Wall Street, il meccanismo che aveva sorretto e alimentato l’euforia degli anni ruggenti d’improvviso s’inceppò: la Borsa invertì la crescita inarrestabile degli ultimi anni e cominciò a segnare un andamento contrario; l’indice Dow Jones iniziò a scendere e la sua corsa al ribasso assunse ben presto un andamento inarrestabile, come evidenzia il grafico. A determinare il crollo contribuirono tanti comportamenti individuali irrazionali: la vendita delle azioni di qualche grande investitore, che giudicò il mercato ormai saturo, mise in moto un’inarrestabile spirale di vendite che, in un perverso meccanismo a catena, fece precipitare il valore dei titoli azionari. Ma quali furono le vere cause della crisi? Se ne possono individuare essenzialmente due. La prima risale alla prima guerra mondiale, che – pur tra molti lutti per i soldati americani morti al fronte – aveva segnato una grande crescita per
compattezza al ragionamento
L’introduzione si avvia da un fatto (il giovedì nero del 1929) Doc. 1 L’attenzione converge ancora sulla crisi finanziaria
L’analisi si sposta sulle cause remote Prima causa
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Saggio breve 4 - Ambito storico-politico
L’antefatto: la prima guerra mondiale Una contraddizione interna all’economia americana
Seconda causa: in un saggio, è utile enumerare i fattori (“prima causa… l’altra causa”), per dare chiarezza al discorso
Il connettivo dunque lega il discorso: dalle due cause alla conseguenza
Doc. 2
Dalle cause alle conseguenze della crisi
Doc. 4
Doc. 3
Le conseguenze della crisi in Germania
Il connettivo invece serve a collegare e a differenziare i due discorsi: la risposta americana alla crisi
I fondamenti del New Deal
l’economia statunitense, stimolata dalla domanda di armamenti pesanti. New York era divenuta il centro della finanza mondiale. Ma la crescita degli anni ’20 determinò una situazione molto contraddittoria: l’apparato industriale era vasto e ramificato, mentre i salari dei lavoratori erano cresciuti poco. L’industria, a un certo punto, non riuscì più a scaricare sul mercato i propri prodotti, per mancanza di compratori. Si generò insomma una crisi di sovrapproduzione industriale. L’altra causa risiede invece nell’agricoltura americana. All’inizio degli anni ’20 essa si era rafforzata, ma a metà circa del decennio cominciò a subire la concorrenza sempre più forte dell’agricoltura europea, che stava uscendo dalla crisi della guerra. Gli agricoltori americani si erano molto esposti con le banche, per acquistare i macchinari necessari; ma molti di loro non riuscirono più a far fronte ai loro impegni. Dunque il crollo di Wall Street del 1929, evidenziato dalla repentina caduta dei prezzi nel grafico (documento 1), fu solo la conseguenza di questi fattori negativi interni all’economia americana. Certo, a quell’epoca, nel pieno della crisi, si evidenziavano altre ragioni, in particolare l’irrazionalità degli investitori statunitensi, sottolineata dal presidente Roosevelt nel suo discorso del 1933 Guardare avanti. In effetti alla Borsa di New York si generò una spirale di vendite che, in un perverso meccanismo a catena, fece precipitare il valore dell’intera finanza americana. Le conseguenze della crisi furono pesantissime e sconvolsero la vita della classe media americana, ridotta improvvisamente, in gran parte, in una condizione di povertà: la drammatica foto del doc. 4 ritrae questa situazione che venne raffigurata anche da opere letterarie e cinematografiche di quegli anni. Ma le drammatiche conseguenze della crisi (in primo luogo, una disoccupazione generalizzata, come sottolinea lo storico Hobsbawm nel documento 3) scavalcarono presto l’Oceano e giunsero a frenare drammaticamente le economie di tutto il mondo, a partire dall’Europa. Nel vecchio continente la disoccupazione causò gravissime tensioni sociali un po’ ovunque, ma soprattutto in Germania, il paese uscito sconfitto dalla Prima guerra mondiale e che si era dato una democrazia troppo fragile con la Repubblica di Weimar. La conseguenza immediata della crisi tedesca fu l’impetuosa crescita del partito nazista di Hitler, che in pochi mesi riuscì a raggiungere il potere. L’ America invece reagì proprio con le forze della sua democrazia. Il presidente democratico Roosevelt, eletto nel 1932 dopo Hoover, propose agli americani un “nuovo corso” (New Deal), un programma civile ed economico, finalizzato non solo a ridare ossigeno all’economia, ma a restituire al paese la fiducia nel futuro. Il New Deal mise da parte, sulla scia delle nuove teorie dell’economista inglese Keynes, l’idea che per uscire dalla crisi ci si doves-
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SEZIONE 3
Gli eventi connessi al New Deal
Doc. 6
All’Italia va dedicato uno spazio apposito (non confuso nella restante analisi sull’Europa) I principali fatti economici del regime fascista
Inizia la conclusione, in cui si mettono a confronto le due diverse risposte (v. il possibile titolo del tuo saggio) Da una parte… dall’altra: in un saggio breve queste enumerazioni sono utili Doc. 5: l’interpretazione storiografica del New Deal
La chiusa sposta il discorso sull’attualità (cosa sempre opportuna)
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se affidare alla libera concorrenza e al libero mercato, perché era stato proprio il mercato abbandonato a se stesso a determinare lo scoppio della crisi del 1929. Roosevelt, al contrario, diede l’avvio a una massiccia e articolata iniziativa statale, promuovendo investimenti pubblici, che diedero opportunità di sviluppo e occasioni di lavoro a migliaia di disoccupati. Inoltre Roosevelt limitò e regolamentò il mercato, combattendo i grandi monopoli dei più potenti industriali e sostenendo il salario minimo dei lavoratori. A questi ultimi furono assicurate pensioni e indennità di disoccupazione e di malattia, tutti i “beni” del cosiddetto Welfare State, che negli Stati Uniti non esistevano prima della crisi. Il documento 6 riporta alcuni brani di una legge del 1935 che proteggeva gli strati più deboli della popolazione. La crisi economica del 1929 toccò seriamente anche l’Italia, dove nel frattempo si era consolidato il regime fascista. Davanti alla drammatica situazione, il fascismo varò una politica di controllo statale di tutta l’economia. Nel 1933 fu fondato l’IRI, che acquisì il controllo delle principali banche italiane e di molte industrie. Tale politica dirigista ebbe due effetti: protesse l’industria nazionale e, insieme, tagliò i salari. Poco dopo Mussolini varò la politica dell’autarchia, dell’autosufficienza economica italiana, che però si sarebbe rivelata un grave fallimento, causa del ritardo del nostro paese sulla scena internazionale. Le due differenti risposte (da una parte quella americana, dall’altra quella tedesca e italiana) alla gravissima crisi economica del 1929 evidenziano due modi molto diversi di affrontare la soluzione dei problemi: da una parte accentuando il controllo da parte di pochi sul resto della società; dall’altra parte, invece, ampliando la base sociale del potere e includendo le masse dei lavoratori nei benefici dell’attività economica. Come nota lo storico Huberman (doc. 5), la politica di Roosevelt fu rivoluzionaria non perché abbia cancellato il capitalismo americano, ma perché ne corresse lo “sfrenato individualismo”, pur salvaguardando il principio della libera iniziativa economica. Nell’attuale situazione di grave crisi economica e finanziaria, la risposta del New Deal appare molto interessante e forse utile (almeno nelle sue linee di fondo) anche per noi: restituire speranza alla società, correggere le più gravi ingiustizie del mercato, far partecipare i lavoratori ai benefici della crescita economica, tutte queste sono risposte che anche la politica di oggi dovrebbe sforzarsi di adottare, su scala nazionale (Italia) e internazionale (Europa).
Saggio breve 5 - Ambito storico-politico
SAGGIO BREVE
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ambito storico-politico
ARGOMENTO: Come e perché la Shoah? CONSEGNE Sviluppa l’argomento scelto o in forma di “saggio breve” o di “articolo di giornale”, utilizzando, in tutto o in parte, e nei modi che ritieni opportuni, i documenti e i dati forniti. Se scegli la forma del “saggio breve” argomenta la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio. Premetti al saggio un titolo coerente e, se vuoi, suddividilo in paragrafi. Se scegli la forma dell’“articolo di giornale”, indica il titolo dell’articolo e il tipo di giornale sul quale pensi che l’articolo debba essere pubblicato. Per entrambe le forme di scrittura non superare cinque colonne di metà di foglio protocollo.
DOCUMENTI
1
Nel discorso pronunciato il 30 gennaio 1939 [Hitler] accennava allo sterminio degli ebrei che sarebbe avvenuto se fosse scoppiata una nuova guerra mondiale. [...] [Egli] diede espressione sintetica ed enfatica allo schema apocalittico che strutturava la sua ideologia antisemita [...]. Evita di pronunciarsi sull’identità del vincitore dell’eventuale guerra mondiale. [...] Ciò che gli preme annunciare [...] è che in nessun caso la guerra si concluderà con la vittoria degli ebrei. Se il nazismo uscirà vincitore, va da sé che gli ebrei saranno eliminati, anche se non se ne conosce il modo [...]. [Ma] anche se non è in suo potere determinare la fine vittoriosa dell’eventuale guerra mondiale, è in suo potere fare in modo che gli ebrei non ne escano vincitori. [...] Hitler proponeva ai suoi fedeli e al popolo tedesco la sua interpretazione di una realtà in gestazione, un’eventuale guerra mondiale evidente conseguenza della sua politica, ma di cui addossava in anticipo la responsabilità agli ebrei e che descriveva come una lotta all’ultimo sangue contro di loro. Nell’esprimere in maniera spettacolare la sua visione apocalittica, incoraggiava l’adozione della forma più violenta di antisemitismo. I tedeschi erano invitati ad abbandonare lo spazio nazionale regolato dalle norme del diritto [...] per spostarsi nello spazio metafisico della lotta fra il bene e il male, che non ammetteva né tregua, né compromesso, né limite alcuno all’esercizio della violenza.
2
P. BURRIN, L’antisemitismo nazista, trad. it. G. Secco Suardo, Bollati Boringhieri, Torino 2004, pp. 61-67
Un popolare libro per bambini — Il fungo velenoso, una rassegna illustrata delle perfidie degli ebrei che, come i funghi, sembrano buoni ma sono mortali — comunicava ai piccoli tedeschi tutto il senso di questa logica, cioè la necessità di purgare il mondo dagli ebrei, nel titolo del suo ultimo capitolo: “Se non risolveremo la Judenfrage [questione ebraica, n. d. r.], non ci sarà salvezza per l’umanità!”. La fede nella giustizia di quella causa induceva i tedeschi a prendere regolarmente l’iniziativa nello sterminio degli ebrei, dedicandosi ai compiti assegnati con l’ardore dei veri credenti o uccidendo anche in assenza di ordini espliciti, e spiega non soltanto perché non si rifiutassero di uccidere, ma anche perché molti di loro [...] si offrissero volontari per gli eccidi. [...] Dopo aver deportato o fucilato tutti gli ebrei che erano riusciti a rastrellare senza difficoltà, i tedeschi cominciarono “la caccia a tutti quelli che si erano nascosti. Una caccia che non aveva uguali nella storia dell’umanità. Intere famiglie si nascondevano [...]; ma loro, inesorabili, instancabili, finivano sempre per scovarli. Strada per strada, casa per casa, centimetro per centimetro, dalla soffitta alla cantina; erano diventati esperti nel trovare i nascondigli. [...] Non erano più “azioni” limitate; era l’annientamento totale. Squadre di SS battevano le strade, frugando nei fossi, nei magazzini, nei cespugli, nei fienili, nelle stalle, nei porcili. Scovavano e uccidevano gli ebrei a migliaia, poi a centinaia, poi a decine; e infine, uno per volta”.
3
D.J. GOLDHAGEN, I volonterosi carnefici di Hitler, trad. it. E. BASAGLIA, Mondadori, Milano 1997, pp. 408-411
È vero che nel 1933 l’antisemitismo era ormai una consuetudine del diritto tedesco, ma non credo che l’intera società tedesca fosse “in sintonia” con Hitler sulla questione degli ebrei, e che “l’importanza dell’antisemitismo nella sua visione del mondo, nei programmi e nella retorica” rispecchiasse “i sentimenti della società tedesca”. [...] Qui [...] si tratta infatti di spiegare perché gli uomini comuni — plasmati da una cultura certamente peculiare ma pur sempre inserita nella tradizione occidentale, cristiana e illuminista – in determinate circostanze abbiano volontariamente compiuto il più grande genocidio della storia umana. [...] I comuni tedeschi, per attuare un genocidio, non avevano bisogno di condividere la concezione che Hitler aveva degli ebrei. A trasformare degli “uomini comuni” in sterminatori fu sufficiente una combinazione di fattori di condizionamento sociale e di sovrapposti fattori ideologici, che insieme concorsero a vedere nelle vittime l’immagine del nemico e della razza inferiore. C.R. BROWNING, Verso il genocidio. Come è stata possibile la soluzione finale, Il Saggiatore, Milano 1998, pp. 175-79
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SEZIONE 3
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Il genocidio degli ebrei d’Europa è messo in atto, contro ogni considerazione di tipo politico, economico o militare, a esclusivi fini ideologici. È perpetrato, con un imponente dispiegamento di mezzi, all’unico scopo di eliminare una categoria di popolazione definita razzialmente inferiore. È quindi un genocidio che. al di là della razionalità impressionante delle sue forme di esecuzione, non appare ispirato da nessuna razionalità sociale e politica. [...] Il genocidio degli ebrei, benché presupponga sia l’indifferenza delle popolazioni civili (non solo tedesca) sia la metodicità di un esercito di funzionari capaci di eseguire il loro compito senza alcuna interferenza di carattere etico, è motivato in ultima istanza dall’odio razziale e colpisce una minoranza che non costituisce in nessun modo un nemico o una minaccia sul piano economico politico e sociale. Si tratta di un genocidio, molti hanno sottolineato, in cui la vittima è colpita non per quel che fa ma per quel che è [...]. Questo genocidio costituisce una cesura storica perché l’ebraismo è all’origine della civiltà occidentale e ne ha accompagnato l’itinerario per oltre due millenni. Sterminare gli ebrei significa quindi colpire uno degli elementi costitutivi della nostra civiltà e della nostra cultura. È per mezzo di Auschwitz che la nozione stessa di genocidio entra a far parte delle coscienze e perfino del vocabolario dell’Occidente. E Auschwitz rimane una condanna implacabile dell’Occidente [...], un laboratorio privilegiato per studiare l’immenso potenziale di violenza di cui è portatore il mondo moderno. E. TRAVERSO, L’età barbara: Auschwitz e le violenze del secolo breve, in “Linea d’ombra”, n. 117, 1996
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Auschwitz, dormitorio - 1944.
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Saggio breve 5 - Ambito storico-politico
Svolgimento Il titolo del saggio breve
Questo saggio breve viene diviso in paragrafi, ciascuno dotato di un proprio titolo
Trattandosi di un saggio breve di argomento storico, viene proposta una ricostruzione storica degli eventi alla radice della Shoah
Il contesto socio-economico
L’attenzione converge sull’evento scatenante e sul personaggio decisivo
La marcia al potere assoluto di Hitler viene ricostruita anche con l’uso di connettivi: “Da qui in avanti…”, “Le nuove elezioni…”, “…assunse anche la carica…”
Ora il discorso si sposta dal piano strettamente storico a quello ideologico
L’ideologia antisemita di Hitler chiaramente riassunta
L’espressione “Coerentemente con queste premesse…” collega ciò che è stato detto prima alle sue conseguenze successive
L’OLOCAUSTO EBRAICO COME FENOMENO STORICO E COME FONTE DI RIFLESSIONE PERENNE Il contesto storico: la Germania di Weimar Per comprendere le ragioni storiche dell’Olocausto bisogna risalire alla particolare situazione economica e politica della nazione tedesca durante gli anni ‘20. La crisi economica in cui versava il paese dopo la sconfitta nella Prima guerra mondiale e la fragilità politica della Repubblica di Weimar costituirono il terreno ideale perché si diffondessero idee politiche estremiste e sentimenti nazionalisti. La situazione degenerò ulteriormente con la crisi economica del 1929: le condizioni di vita delle classi popolari divennero difficilissime, mentre sul piano politico la Repubblica collassò definitivamente. All’inizio degli anni ‘30 la Germania era una nazione allo sbando, priva di un sistema economico stabile e di un potere politico autorevole. L’ascesa di Hitler e del nazionalsocialismo Adolf Hitler e il suo partito nazista furono abilissimi nell’approfittare di questa situazione. Mediante una politica demagogica, che prometteva di riportare il paese alla prosperità e allo splendore dell’antico Reich, Hitler si guadagnò il favore delle masse; nel gennaio del 1933 divenne il nuovo cancelliere. Da qui in avanti i suoi passi furono molto rapidi. Dopo l’incendio del Reichstag, nel febbraio del 1933, Hitler riuscì a far approvare un decreto straordinario che limitava drasticamente le libertà civili e politiche. Le nuove elezioni del marzo 1933 diedero al nazionalsocialismo la maggioranza parlamentare necessaria a Hitler per instaurare un regime del terrore, in cui ogni possibilità di dissenso era negata. Nel 1934 Hitler assunse anche la carica di presidente e divenne il dominatore assoluto della Germania, forte del consenso popolare e dell’appoggio dei poteri economici. L’antisemitismo dalla teoria alla pratica Già da diversi anni Hitler aveva elaborato l’ideologia antisemita, esposta nel Mein Kampf; ora la gestione assoluta del potere gli diede modo di traformarla in concreta azione di governo. L’ideo logia antisemita prevedeva due punti chiave: l’idea di una presunta superiorità della razza ariana e l’identificazione del popolo ebraico come minaccia per la Germania e per la purezza del suo popolo. Coerentemente con queste premesse, Hitler diede inizio alla persecuzione razziale, legalizzata nel 1935 dalle Leggi di Norimberga, che sancivano il divieto dei matrimoni misti e negavano agli ebrei
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SEZIONE 3
Poiché l’argomento del tema è “Perché la Shoah?”, si accenna soltanto al come, in concreto, essa fu attuata
Un concetto centrale: la diversità dell’antisemitismo nazista
Ricorso a una fonte letteraria
Si enuncia il nucleo della testimonianza di Levi
Da Levi si passa alle domande che ispirano la parte successiva del saggio
Il titolo del paragrafo mette a tema il nucleo centrale dello svolgimento Si citano i vari autori dei documenti: i loro testi sono brevemente richiamati
Doc. 2
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di partecipare alla vita civile ed economica della Germania. Poco dopo, nel 1938, fu scatenata la cosiddetta “notte dei cristalli”, in cui vennero devastati i negozi degli ebrei, incendiate le sinagoghe ed ebbe inizio la deportazione nei campi di concentramento. La “soluzione finale” era ormai in marcia. Essa divenne realtà dalla seconda metà del 1941, durante l’occupazione dell’Ucraina e dell’Europa orientale: i campi furono dotati di camere a gas che li trasformarono in veri e propri campi di sterminio, macchine della morte che funzionavano con terribile efficienza e razionalità. Un perfetto ingranaggio di morte La Germania nazista non fu la prima nazione a perseguitare il popolo ebraico. Ciò che tuttavia rende unico il genocidio degli ebrei compiuto dai nazisti sono le dimensioni e la fredda razionalità con cui è stato realizzato. Il nazismo tramutò la persecuzione in un processo tecnico e impersonale, in cui ogni carnefice costituiva un ingranaggio all’interno di un’immensa macchina di morte. Lo scrittore Primo Levi, nel suo famoso libro Se questo è un uomo, mette l’accento proprio su questa disumanizzazione attuata nei lager, i famigerati campi di concentramento. Ciò che emerge dalla sua opera è il profondo dolore per l’annientamento dell’umanità dell’individuo, costretto a perdere se stesso, una volta che è stato privato di quegli elementi che ne definiscono l’identità: i capelli, il nome, gli abiti, la dignità ecc. Levi mette a fuoco il comportamento delle vittime, che sembrano subire la tragedia come una giusta punizione, e dei carnefici, che infliggono ogni sorta di male senza porsi domande o interrogativi. La dissoluzione dell’umanità era tale che le stesse vittime si prestavano a essere usate dalle SS per i propri scopi, aiutando i carnefici nell’opera di sterminio. Questa cooperazione fra assassini e vittime, così ben rappresentata in Se questo è un uomo, rientra nell’agghiacciante pianificazione con cui fu messo a punto il genocidio. Tutto ciò pone interrogativi irrisolti sulla natura dell’uomo, sulle dinamiche del male e della perversione umana: su come sia stato possibile, insomma, che una tragedia simile si consumasse fra la connivenza o l’indifferenza di chi ne era a conoscenza. Perché Auschwitz? Una difficile riflessione La riflessione sulle cause deve anzitutto partire dall’ideologia hitleriana. Come sostiene Burrin, il genocidio ebraico appartiene all’anima profonda del nazismo; Hitler impose alla società tedesca lo scopo di eliminare totalmente gli ebrei. Fu così che, nella mentalità comune tedesca, passò l’idea che “purgare il mondo” dagli ebrei fosse un bisogno assoluto; essa viene illustrata dall’immagine del fungo velenoso, ricordata da Goldhagen. Su questa base, poi, si attuò una scientifica e inesorabile “caccia all’ebreo”, tanto più feroce, quanto più le vittime venivano viste
Saggio breve 5 - Ambito storico-politico
Doc. 3 L’attenzione converge adesso sul doc. 4, che appare quello più interessante
Il concetto saliente di genocidio
Dalla storia passata al nostro presente: è un passaggio sempre raccomandabile, in un elaborato storico Contro l’antisemitismo Contro l’idea che l’“altro” sia un “nemico”
Attualizzazione in chiave positiva
come “nemici” e come appartenenti a una “razza inferiore” (come afferma C. R. Browning). Sul piano storico il genocidio ebraico ha segnato, come giustamente afferma E. Traverso, una “cesura storica”, cioè una svolta di proporzioni secolari. Furono negati secoli e millenni di cultura: si volle spazzare via l’ebraismo, che pure è una delle radici della civiltà europea e occidentale. Nacquero allora l’idea e la pratica del “genocidio”, cioè dell’azione violenta rivolta contro un intero popolo non semplicemente per ciò che esso fa o non fa, ma piuttosto per ciò che “è” (Traverso); è questo il significato di Auschwitz nella coscienza europea e anche il suo insegnamento perenne per noi. L’insegnamento per noi, oggi Non si tratta, infatti, solo di rifiutare l’ideologia antisemita, per la quale, assurdamente, gli ebrei sono la causa di tutti i mali della società e della storia. Questa ideologia purtroppo ogni tanto ritorna, anche in Occidente, ma la sua falsità può e deve essere smascherata con strumenti adeguati di analisi storica ed economica. Si tratta, anche e forse soprattutto, di rifiutare il perverso punto di vista per il quale l’“altro” – non importa se ebreo, extracomunitario, straniero o di altro tipo di alterità – costituisce, per noi, un nemico da eliminare; un nemico per così dire “assoluto”, in quanto lo odiamo non tanto per ciò che fa, per i suoi comportamenti, quanto per ciò che è, ovvero per la sua stessa esistenza. In una società moderna e democratica, proprio questa è la minaccia maggiore. Sconfiggere questa visione significa preparare un domani migliore per tutti noi, fatto di dialogo, tolleranza e pace.
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SEZIONE 3
SAGGIO BREVE
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ambito storico-politico
ARGOMENTO: La nascita della Costituzione repubblicana: il laborioso cammino dalla dittatura ad una partecipazione politica compiuta nell’Italia democratica [Assegnato all’esame di Stato del 2007] CONSEGNE Sviluppa l’argomento scelto o in forma di “saggio breve” o di “articolo di giornale”, utilizzando, in tutto o in parte, e nei modi che ritieni opportuni, i documenti e i dati forniti. Se scegli la forma del “saggio breve” argomenta la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio. Premetti al saggio un titolo coerente e, se vuoi, suddividilo in paragrafi. Se scegli la forma dell’”articolo di giornale”, indica il titolo dell’articolo e il tipo di giornale sul quale pensi che l’articolo debba essere pubblicato. Per entrambe le forme di scrittura non superare cinque colonne di metà di foglio protocollo.
DOCUMENTI
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Il fascismo aveva condotto il paese alla catastrofe, come gli antifascisti avevano previsto. Ma la resistenza, contrariamente alle loro speranze, non fu una palingenesi. Non occorsero molti mesi...per accorgersi che il fascismo, nonostante la guerra sanguinosa che aveva scatenato, era stato una lunga parentesi, chiusa la quale la storia sarebbe cominciata più o meno al punto in cui la parentesi era stata aperta… La Resistenza non fu una rivoluzione e tanto meno la tanto attesa rivoluzione italiana: rappresentò puramente e semplicemente la fine violenta del fascismo e servì a costruire più rapidamente il ponte tra l’età postfascista e l’età prefascista, a ristabilire la continuità tra l’Italia di ieri e quella di domani.
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N. BOBBIO, Profilo ideologico del Novecento, Milano, 1993
…Lo Statuto albertino fu fatto in un mese, dal 3 febbraio al 4 marzo 1848… fu una carta elargita da un sovrano il quale sapeva fino a che punto voleva arrivare; i suoi collaboratori, coloro che furono incaricati da lui di redigere quello Statuto, sapevano perfettamente quello che il sovrano voleva: non avevano da far altro che tradurre in articoli di legge le istruzioni già dosate da quell’unica volontà di cui lo Statuto doveva essere espressione… invece qui, in questa assemblea, non c’è una sola volontà, ma centinaia di libere volontà, raggruppate in diecine di tendenze, le quali non sono d’accordo su quello che debba essere in molti punti il contenuto di questa nostra carta costituzionale; sicché essere riusciti, nonostante questo, a mettere insieme, dopo otto mesi di lavoro assiduo e diligente, questo progetto, è già una grande prova, molto superiore a quella che fu data dai collaboratori di Carlo Alberto, in quel mese di lavoro semplice e tranquillo... È molto semplice, quando è avvenuto un rinnovamento fondamentale, una rivoluzione, insomma, di carattere sociale, in cui le nuove istituzioni sociali vivono già nella realtà, in cui la nuova classe dirigente è già al suo posto, prendere atto di questa realtà e tradurre in formule giuridiche questa realtà… Noi invece ci troviamo qui non ad un epilogo, ma ad un inizio. La nostra rivoluzione ha fatto una sola tappa, che è quella della repubblica; ma il resto è tutto da fare, è tutto nell’avvenire.
3
P. CALAMANDREI, Discorso all’Assemblea Costituente del 4 marzo 1947
Nel corso del dibattito per la elaborazione della costituzione fu assai discusso il problema del rapporto che sarebbe dovuto intercorrere tra la nuova carta costituzionale e la società italiana …da varie parti venne sottolineato come le nuove costituzioni tendano a codificare gli effetti di profondi sconvolgimenti sociali, generalmente conseguenti a rivoluzioni e come questo non fosse il caso dell’Italia postbellica. In tali condizioni, la costituzione non poteva non avere un carattere composito ed eterogeneo ed anche, per taluni aspetti, necessariamente programmatico… la più importante novità dell’Italia repubblicana rispetto a tutta la precedente storia unitaria consist(e) proprio nell’accordo su di un metodo di lotta politica e su alcuni principî generali, riassumibili nell’antifascismo, tra i partiti, e in modo particolare tra i partiti di massa. Ed è all’interno di questo quadro che dovranno essere viste non solo le trasformazioni strutturali veramente imponenti della società italiana nel secondo dopoguerra, ma anche la crescita civile realizzata attraverso la partecipazione dei cittadini, in quanto lavoratori, alla formazione della volontà generale. E. RAGIONIERI, La storia politica e sociale, in “Storia d’Italia”, Einaudi, Vol. IV, Torino, 1972
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Saggio breve 6 - Ambito storico-politico
4
Nell’Italia del dopoguerra non vi erano le premesse reali di una democrazia fondata sulle autonomie e su un diffuso autogoverno; le intuizioni acute e generose in questo senso di ristrette élites intellettuali e politiche non potevano certo riempire il vuoto di una evoluzione secolare di segno opposto. Le ricerche fatte sull’area culturale liberal-democratica sono molto esplicite nel riconoscere il carattere élitario e perfino accademico di quegli apporti, per giunta profondamente divisi fra tradizioni diverse; …Oggi avvertiamo che la società politica è più ampia e più ricca della società partitica: avvertiamo che le grandi manifestazioni che riempiono le piazze, in cui si realizza ancora il magico rapporto di immedesimazione delle grandi masse con i capi carismatici – i capi e non più il capo, per fortuna – non esauriscono la domanda di partecipazione politica di cui il paese è capace… La partecipazione delle classi lavoratrici alla vita dello Stato, che è condizione essenziale della democrazia, non si esprime meccanicamente e stabilmente nei governi di unità popolare …può benissimo esprimersi nelle forme dell’alternanza classica al potere di partiti che rappresentino forze sociali e tradizioni diverse. Ma le condizioni di questa alternanza in Italia non c’erano prima del fascismo e non sono state create nel breve periodo della collaborazione dei partiti antifascisti …Non si può dunque considerare l’esito della fase costituente, per quanto riguarda gli equilibri politici, come la realizzazione di un modello.
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P. SCOPPOLA, Gli anni della Costituente, fra politica e storia, Bologna, 1980
Se seguiamo il cammino percorso dai diritti di libertà, dalle prime “dichiarazioni” americane e francesi, fino alle formulazioni legislative ch’essi hanno avuto nelle più recenti costituzioni europee, assistiamo a un processo graduale di arricchimento e di specificazione di queste libertà: la tendenza della personalità umana ad espandersi nella vita politica, che inizialmente sembrava soddisfatta da poche libertà essenziali, sente il bisogno di conquistare sempre nuove libertà o di precisare sempre meglio quelle già ottenute, via via che le forze sociali oppongono in nuove direzioni nuovi ostacoli alla sua espansione. L’elenco dei diritti di libertà è pertanto un elenco aperto… Il cammino dei diritti di libertà si identifica col cammino della civiltà. Come è potuto dunque avvenire che questo movimento secolare di arricchimento spirituale della persona umana, e insieme di partecipazione sempre più attiva del cittadino alla vita sociale, abbia subìto nell’ultimo ventennio, più che un arresto, un brusco regresso, proprio quando pareva che alla fine della prima guerra mondiale esso avesse conquistato il mondo? P. CALAMANDREI, Costruire la democrazia. Premesse alla Costituente, Firenze, ottobre 1945
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SEZIONE 3
Svolgimento Il possibile titolo del tuo saggio breve Manca la divisione in paragrafi per non spezzare il ragionamento: questo saggio ha carattere più argomentativo Un dato storico in primo piano La tesi fondamentale del saggio: Costituzione=democrazia
Ricostruzione storica: prima della Costituzione La storia del fascismo brevemente riassunta dal punto di vista più vicino alla Costituzione (i diritti e le libertà)
Ribadita la tesi di fondo
Il contesto storico in cui nacque la Costituzione
Il confronto con lo Statuto Albertino Doc. 2
Il quadro più vasto delle Costituzioni moderne: doc. 5
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LA COSTITUZIONE REPUBBLICANA, PRIMO PASSO VERSO UN’ITALIA DEMOCRATICA E PIENAMENTE MODERNA L’attuale Costituzione della Repubblica italiana, approvata dall’Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947, costituisce l’affermazione della democrazia dopo 20 anni di dittatura fascista. In quella fase Mussolini aveva imposto un regime illiberale, nel quale il Patito fascista aveva finito per occupare interamente lo Stato italiano, in uno sforzo di controllo totale anche della società. Lo Statuto Albertino, in vigore durante il “ventennio”, non era riuscito a impedire che lo Stato italiano cadesse nelle mani di un regime autoritario, né, tantomeno, aveva garantito l’esercizio di libertà vitali come quella di stampa, di associazione, d’informazione e, prima di tutto, il diritto di voto. Ognuno di questi diritti e di queste libertà fu stravolto da una dittatura, il cui esito finale furono l’ingresso in guerra al fianco della Germania, la rovinosa sconfitta militare, il disfacimento dello Stato, la guerra civile durante la Resistenza. In sostanza “il fascismo aveva condotto il paese alla catastrofe” (Bobbio). Perciò la Costituzione repubblicana, entrata in vigore il 1° gennaio del 1948, fu varata con l’intento fondamentale di garantire che non si ripetesse mai più quanto era riuscito a Mussolini, ovvero lo sradicamento dei più basilari diritti umani, civili e politici. La Costituzione nacque in un contesto storico particolarmente difficile. L’Italia era prostrata da gravissime sofferenze materiali e, prima ancora, morali: l’assenza di democrazia dopo il 1922 aveva infatti disabituato gli Italiani a interessarsi da protagonisti della vita dello Stato. La Costituzione del 1948 rappresentò sul piano democratico un grande progresso: se lo Statuto Albertino, emanato nel 1848 dal re sabaudo Carlo Alberto, era stato (come ricorda P. Calamandrei nel documento 2) il frutto della volontà di un individuo solo, la Costituzione di un secolo più tardi nacque invece, dal contributo di molti partiti e forze. In tal modo poteva riprendere anche nel nostro Paese quel “cammino percorso dai diritti di libertà” in età moderna, come ricorda ancora Calamandrei nel documento 5: un cammino interrotto nel ventennio fascista, che in questo senso costituì un fenomeno storico di arretramento e sconfitta. Quel cammino riprese, almeno in parte, nel momento della Resistenza al nazifascismo. La Resistenza fu una guerra di popolo che suscitò grandi speranze di rinnovamento (di “palingenesi”, dice
Saggio breve 6 - Ambito storico-politico
Doc. 1
Doc. 2 Doc. 3
Un’aggiunta rispetto a quanto si trova nei documenti del dossier Inizia la parte finale del saggio: bilancio e attualizzazione Citazione letterale (doc. 2), per convalidare il ragionamento con una fonte autorevole Altra citazione letterale (doc. 4)
Nuovo riferimento al doc. 4
Doc. 3 Conclusione attualizzante: il nostro compito per l’oggi
Bobbio) e pose le premesse per la successiva democratizzazione del paese. I partecipanti all’Assemblea Costituente raccolsero e tradussero quelle speranze nella nuova Carta costituzionale repubblicana. L’Assemblea ebbe il merito di aggregare tendenze diverse e forze discordanti su molti punti, come ricorda lo stesso Calamandrei nel documento 2; esse però concordavano su un valore fondamentale: rifiutavano senza appello l’eredità del fascismo, come afferma E. Ragionieri nel doc. 3. Era il passaggio necessario per mettere il bene dell’Italia al primo posto. Dunque la Costituzione venne realizzata grazie a un compromesso tra le varie forze politiche, e costituì una grande novità per l’Italia: per esempio, essa sancì il principio del suffragio universale, ammettendo al voto anche le donne, in precedenza escluse. Non tutto, però, fu subito perfetto: l’“Italia di domani” era ancora da costruire. “Noi… ci troviamo qui non ad un epilogo, ma ad un inizio. La nostra rivoluzione ha fatto una sola tappa, che è quella della repubblica; ma il resto è tutto da fare, è tutto nell’avvenire”. Così affermò nel 1945 Piero Calamandrei, che fu uno dei partecipanti all’Assemblea Costituente. Lo storico Pietro Scoppola ricorda gli obiettivi da raggiungere per il futuro: “una democrazia fondata sulle autonomie e su un diffuso autogoverno”, “la partecipazione delle classi lavoratrici alla vita dello Stato”. Queste cose non erano subito possibili, nell’Italia del 1948, perché a quell’epoca mancavano, sempre secondo Scoppola, le condizioni reali per poterle realizzare. In questo senso si può affermare che l’emanazione della Costituzione nel 1948 non risolse magicamente tutti i problemi dell’Italia, anche perché non sarebbe stato possibile. Essa però ebbe il merito di indicare una strada per il futuro: il suo “carattere necessariamente programmatico” continua a chiedere ancora a noi, oggi, di attuare tutte le sue grandi potenzialità, nella vita sociale e politica, nel mondo del lavoro, ecc.
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SEZIONE 3 SAGGIO BREVE
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ambito socio-economico
ARGOMENTO: Le trasformazioni provocate dai mutamenti sociali negli ultimi decenni nella struttura della famiglia italiana [Assegnato all’esame di Stato del 1999] (v. il medesimo argomento trattato in forma di Articolo di giornale a p. 205) CONSEGNE Sviluppa l’argomento scelto o in forma di “saggio breve” o di “articolo di giornale”, utilizzando, in tutto o in parte, e nei modi che ritieni opportuni, i documenti e i dati forniti. Se scegli la forma del “saggio breve” argomenta la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio. Premetti al saggio un titolo coerente e, se vuoi, suddividilo in paragrafi. Se scegli la forma dell’”articolo di giornale”, indica il titolo dell’articolo e il tipo di giornale sul quale pensi che l’articolo debba essere pubblicato. Per entrambe le forme di scrittura non superare cinque colonne di metà di foglio protocollo.
DOCUMENTI
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“Alla base della formazione e della sopravvivenza di una famiglia “tradizionale” tutta pervasa dalla morale cristiana, come era la famiglia italiana fino agli anni Cinquanta, vi erano due regole fondamentali: 1) rapporti sessuali consentiti solo tra coniugi; 2) matrimonio considerato una unione per la vita. Ad esse si dovevano aggiungere: l’asimmetria fra i due sessi riguardo ai ruoli nella famiglia; l’atteggiamento child-oriented (orientato verso il bambino) della coppia per il grande valore attribuito ai figli; il forte legame con tutta la parentela […]. Lo straordinario incremento dell’istruzione e una grande crescita politica e ideologica hanno portato le donne ad una diffusa e radicata presa di coscienza dei propri diritti e del proprio status (il che ha comportato, fra l’altro, una loro larghissima immissione nelle forze del lavoro che ha modificato gli stereotipi dei ruoli dei due sessi) e una conseguente crescita di identità e di autoconsiderazione fuori del quadro familiare. Tutto ciò ha contribuito a modificare fortemente la struttura asimmetrica della unione coniugale, spingendola sempre più verso una struttura simmetrica”.
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A. GOLINI, Profilo demografico della famiglia italiana, in La famiglia italiana dall’Ottocento a oggi, Laterza, Bari 1988
“La famiglia moderna è oggigiorno in una situazione di crisi: si stanno mettendo gradualmente in discussione i suoi lati positivi come pure la sua validità all’interno della società occidentale e ciò avviene in modo più radicale, come si può immaginare, tra i giovani […]. La famiglia è comunque senza dubbio l’istituzione più importante della sfera privata […]. Si è avuto un sostanziale mutamento nella posizione sociale complessiva della famiglia. Ciò comporta una conseguenza degna di nota, vale a dire un’enorme differenza nel rapporto tra microcosmo e macrocosmo […]. Oggi, nelle società moderne, la barriera tra il microcosmo della famiglia e il macrocosmo della società è in genere molto marcata e palese, ne consegue che l’individuo, dalla sua nascita alla maturità, varca una serie di soglie sociali chiaramente definite. Il varcare queste soglie molto frequentemente lo conduce ad estraniarsi dalla famiglia dove ha iniziato la sua carriera nella società”.
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P.L - B. BERGER, La dimensione sociale della vita quotidiana, il Mulino, Bologna, 1987
“I figli del 2000: cresce il numero dei bambini da 0 a 13 anni con ambedue genitori occupati (39,3); diminuisce il numero dei bambini con padre occupato e madre casalinga (41,3), aumentano i bambini senza fratelli (26,7) o con un fratello (52,5); diminuiscono i bambini con 2 o più fratelli (20,6) […]. Aumentano le persone sole (21,3); aumentano le coppie senza figli (20,8); aumentano le famiglie di 2 componenti (26,4) […]. Nasce “la coppia pendolare”: sono 2 milioni e mezzo di persone, il 4,5% della popolazione che vive per lunghi periodi fuori dalla dimora abituale, per motivi di studio o di lavoro. Tra questi però anche partner che preferiscono mantenere due abitazioni. Pendolari per scelta o per necessità. Ci sono poi nuovi tipi di famiglie: quelle costituite da single genitori soli non vedovi, le libere unioni e le famiglie ricostituite: 3 milioni e mezzo di nuclei familiari, il 10,4% della popolazione italiana”. (dal “Corriere della Sera”, 30 marzo 1999)
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Saggio breve 7 - Ambito socio-economico
Svolgimento
Il possibile titolo del tuo saggio breve L’assenza di paragrafi interni dà maggiore compattezza al ragionamento L’introduzione evidenzia alcuni concetti centrali, poi sviluppati nel prosieguo Il punto di partenza la citazione del documento per conferire autorità al proprio scritto
Il riferimento morale della famiglia tradizionale
Il punto di svolta
L’emancipazione femminile, causa prima dei cambiamenti
Aggiunta personale: il concetto non era presente nei documenti ministeriali
Come giudicare l’evoluzione della famiglia? Meglio tenere una posizione prudente
LA LIBERTÀ: UN RISCHIO PER LA FAMIGLIA? La famiglia ha sempre avuto un ruolo centrale nella storia della società. Sostanzialmente essa è rimasta inalterata, almeno nelle sue linee di fondo, per molti secoli, fino a quando, nel corso del Novecento, ha conosciuto profonde trasformazioni. Ancora agli inizi del Novecento si poteva parlare di famiglia tradizionale o patriarcale, secondo il modello descritto da A. Golini. In essa i ruoli dei coniugi erano nettamente distinti: c’era il capofamiglia, il padre, che si preoccupava di lavorare e di mantenere così la famiglia; c’era poi la donna, la madre, che si preoccupava piuttosto delle faccende di casa e della crescita ed educazione dei figli. Questo era così il modello di vita quotidiana che ruotava intorno al focolare domestico. Esistevano inoltre stretti rapporti con tutta la parentela: la famiglia patriarcale era una famiglia allargata a una dimensione comunitaria. Sullo sfondo, poi, esisteva un forte riferimento ideale alla morale cristiana, che guidava l’agire e il pensare di tutti. Perciò si riteneva che l’uomo e la donna dovessero sposarsi, che dovessero rimanere fedeli l’un l’altra per tutta la vita e che avessero il compito primario di generare figli. Poi però, a partire dagli anni Cinquanta, la famiglia tradizionale ha cominciato a conoscere notevoli mutamenti. Essi sono stati indotti dai più generali cambiamenti della società e della visione culturale. Il primo fenomeno a interessare questa evoluzione è stato, come riconosce A. Golini nel primo documento, l’emancipazione femminile: nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale, grazie al riconoscimento dei suoi diritti fondamentali, la donna si è sempre più inserita nella società, trovando quindi un proprio spazio anche (e in parte soprattutto) al di fuori dell’ambito familiare. Vediamo le donne partecipare all’attività lavorativa, alla vita politica e persino, negli ultimi decenni, in certi casi, assumere ruoli di dirigenti e di “manager”. Questo, come dice Golini, “ha contribuito a modificare fortemente la struttura asimmetrica della unione coniugale, spingendola sempre più verso una struttura simmetrica”, cioè di parità tra uomo e donna. Oltre all’emancipazione femminile, bisogna considerare l’importanza di altri fenomeni, più recenti, come l’avvento della società dell’informazione e la globalizzazione economica. Tutto questo ha determinato notevoli cambiamenti nella vita nella società attuale e, di conseguenza, anche tra i rapporti all’interno della famiglia. Nella società contemporanea la famiglia sta attraversando una situazione di grande cambiamento, che per alcuni è sinonimo di “crisi”, per altri di evoluzione naturale e, addirittura, positiva. Di
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SEZIONE 3
Viene citato il documento 3
Il doc. 3 viene qui riassunto, ma in ordine diverso rispetto al testo originario
Nuova aggiunta personale, per arricchire il saggio di qualche nuovo concetto
Due possibili modi di giudicare il fenomeno in atto
Il problema del lavoro era solo accennato nel doc. 3
Conclusione posta in forma problematica: consigliabile quando la questione è passibile di più soluzioni
Un’ipotesi personale in conclusione
Emerge il giudizio di chi scrive il saggio Altra citazione letterale: dà autorità al proprio scritto
Conclusione finale
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certo esiste una realtà di fatto dalla quale non si potrà più tornare indietro: i dati statistici, riportati dal “Corriere della sera”, ci dicono che, oggi, quasi il 40% dei bambini da 0 a 13 anni ha entrambi i genitori occupati; un altro 25% invece è figlio unico, mentre la metà dei bambini ha solo un fratello o sorella, cosa un tempo impensabile. Sono in aumento sia le coppie senza figli, sia quelle che scelgono di convivere (le cosiddette “libere unioni”). Da qui anche una crescita delle “famiglie ricostruite”, nate da differenti matrimoni. Infatti nel contesto sociale odierno anche il matrimonio assume un significato diverso: se prima esso era considerato come una “unione per la vita”, oggi appare più precario e le coppie che divorziano crescono sempre di più. Anche i “single” sono in forte aumento, come conferma il documento 3, e pure questa è una rilevante novità. Infatti in passato, secondo il modello di famiglia patriarcale, si riteneva che lo stato normale e naturale di una persona adulta fosse quello di coniuge. Una famiglia formata da una persona sola… non si poteva davvero concepire! Molti rapporti familiari si spezzano e ciò viene giudicato spesso come il frutto di una perdita di valori morali importanti. Altri, invece, ritengono che questo sia la naturale evoluzione di una condizione sociale che porta, per esempio, a vivere fuori dalla dimora abituale per motivi di studio o lavoro. Ma molte volte il lavoro manca: ecco allora tanti giovani costretti a vivere ancora con i loro genitori, mentre molte giovani coppie, per mancanza di lavoro, di casa o con un tenore di vita tale da non permettere di mettere al mondo dei figli, non riescono a trovare il modo di costruirsi una famiglia propria. Quale futuro dunque avrà la famiglia? Questa domanda per alcuni non ha molto senso: se si giudica la famiglia non un valore, ma solo un’istituzione legata a un’epoca e a una cultura che stanno tramontando, è logico che la crisi e forse la fine della famiglia non siano percepite come un dato troppo negativo. Per altri, invece, la crisi della famiglia è un problema serio e preoccupante e forse la soluzione può essere individuata nei giovani: spetta a loro riscoprire l’importanza di questo valore, restituire alla famiglia un nuovo ruolo nella società. Io penso che la famiglia sia tuttora un elemento decisivo per la vita sociale. Come dice Berger, essa è “senza dubbio l’istituzione più importante della sfera privata”. Io aggiungerei che la famiglia costituisce l’ambito naturale in cui le persone possono crescere e formarsi come individui liberi, maturi e responsabili. Credo perciò che la famiglia sia ancora oggi il punto di partenza per lo sviluppo e l’evoluzione della società del terzo millennio.
Saggio breve 8 - Ambito socio-economico
SAGGIO BREVE
8
ambito socio-economico
ARGOMENTO: Origine e sviluppi della cultura giovanile [Assegnato all’esame di Stato del 2009] CONSEGNE Sviluppa l’argomento scelto o in forma di “saggio breve” o di “articolo di giornale”, utilizzando, in tutto o in parte, e nei modi che ritieni opportuni, i documenti e i dati forniti. Se scegli la forma del “saggio breve” argomenta la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio. Premetti al saggio un titolo coerente e, se vuoi, suddividilo in paragrafi. Se scegli la forma dell’”articolo di giornale”, indica il titolo dell’articolo e il tipo di giornale sul quale pensi che l’articolo debba essere pubblicato. Per entrambe le forme di scrittura non superare cinque colonne di metà di foglio protocollo.
DOCUMENTI
1
Gli stili della gioventù americana si diffusero direttamente o attraverso l’amplificazione dei loro segnali mediante la cultura inglese, che faceva da raccordo tra America ed Europa, per una specie di osmosi spontanea. La cultura giovanile americana si diffuse attraverso i dischi e le cassette, il cui più importante strumento promozionale, allora come prima e dopo, fu la vecchia radio. Si diffuse attraverso la distribuzione mondiale delle immagini; attraverso i contatti personali del turismo giovanile internazionale che portava in giro per il mondo gruppi ancora piccoli, ma sempre più folti e influenti, di ragazzi e ragazze in blue jeans; si diffuse attraverso la rete mondiale delle università, la cui capacità di rapida comunicazione internazionale divenne evidente negli anni ‘60. Infine si diffuse attraverso il potere condizionante della moda nella società dei consumi, una moda che raggiungeva le masse e che veniva amplificata dalla spinta a uniformarsi propria dei gruppi giovanili. Era sorta una cultura giovanile mondiale.
2
E.J. HOBSBAWM, Il secolo breve, trad. it., Milano 1997
La cultura giovanile negli ultimi quattro decenni s’è mossa lungo strade nuove, affascinanti, ma al tempo stesso, anche pericolose. I diversi percorsi culturali che i giovani hanno affrontato dagli anni cinquanta ad oggi sono stati ispirati soprattutto dai desideri e dalle fantasie dell’adolescenza; anche i rapporti spesso conflittuali con gli adulti e l’esperienza culturale delle generazioni precedenti, tuttavia, hanno profondamente influenzato la loro ricerca. Essi sono andati fino ai limiti estremi della propria fisicità, hanno esplorato nuove dimensioni della mente e della realtà virtuale, hanno ridisegnato la geografia dei rapporti sessuali, affettivi e sociali, hanno scoperto, infine, nuove forme espressive e comunicative. [...] Le strategie sperimentate dai giovani, in sostanza, propongono tre differenti soluzioni. La prima, di marca infantile, è fondata sulla regressione e sulla fuga dalla realtà per affrontare il dolore ed il disagio della crescita. Essa, quindi, suggerisce di recuperare il piacere ed il benessere nell’ambito della fantasia e dell’illusione. L’esperienza eccitatoria della musica techno e d’alcune situazioni di rischio, il grande spazio onirico aperto dalle droghe e dalla realtà virtuale, la dimensione del gioco e del consumo, sono i luoghi privilegiati in cui si realizza concretamente questo tipo di ricerca. [...] La seconda strategia utilizza la trasgressione e la provocazione per richiamare l’adulto alle sue responsabilità e per elaborare le difficoltà dell’adolescenza. [...] La terza strategia, infine, la più creativa, prefigura un modo nuovo di guardare al futuro, più carico d’affettività, pace e socialità. Essa s’appoggia sulle capacità intuitive ed artistiche dei giovani, e lascia intravedere più chiaramente una realtà futura in cui potranno aprirsi nuovi spazi espressivi e comunicativi.
3
D. MISCIOSCIA, Miti affettivi e cultura giovanile, Milano 1999
Oggi il termine “cultura giovanile”, quindi, non ha più il significato del passato, non indica più ribellione, astensionismo o rifiuto del sistema sociale. Non significa più nemmeno sperimentazione diretta dei modi di vivere, alternativi o marginali rispetto ad un dato sistema sociale. Cultura giovanile sta ad indicare l’intrinseca capacità che i giovani hanno di autodefinirsi nei loro comportamenti valoriali all’interno della società della quale sono parte. L. TOMASI, Introduzione. L’elaborazione della cultura giovanile nell’incerto contesto europeo, in L. TOMASI (a cura di), La cultura dei giovani europei alle soglie del 2000, Milano 1998
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SEZIONE 3
4
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1
2
3
4
5
Vespa
James Dean
The Beat Generation
Elvis Presley
Mary Quant
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7
8
9
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The Beatles
Pacifisti
Parigi, 1968
Jim Morrison
Punk
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14
Paninari
I Nirvana
Rave Party
Saggio breve 8 - Ambito socio-economico
Svolgimento Il possibile titolo del tuo saggio breve Questo saggio breve viene diviso in paragrafi, ciascuno dotato di un proprio titolo Le domande iniziali (tutte riferite alle foto del dossier visivo) consentono un inizio “caldo”
Un riassunto del doc. 2 e poi un diretto richiamo a esso, con citazione letterale
Richiamo al doc. 3 con citazione letterale
Si riprende un documento visivo fornito nel dossier: Mary Quant
Un richiamo alla storia del ‘68 (a cui allude una foto del dossier visivo) Si approfondisce e si discute un aspetto del doc. 2 (l’abuso di alcool e droghe)
ESSERE GIOVANI E DIRLO AL MONDO Le mille facce del pianeta-giovani Cosa accomuna James Dean nei panni del ribelle protagonista di “Gioventù Bruciata” e i ragazzi spensierati a bordo della vespa 50 di “Sapore di sale”? E come si conciliano queste due realtà all’immagine degli Hippy pacifisti e il loro slogan “Peace and Love”? Ribellione, trasgressione, disubbidienza da una parte e regressione infantile, spensieratezza, leggerezza dall’altra, ma anche creativa ricerca di pace e solidarietà per fondare un mondo migliore. Sono quelle che Miscioscia chiama “strategie sperimentate dai giovani” nella loro ricerca continua di esperienze, attraverso le quali il mondo giovanile dagli anni ‘50 ad oggi ha “esplorato nuove dimensioni della mente e della realtà virtuale, hanno ridisegnato la geografia dei rapporti sessuali, affettivi e sociali, hanno scoperto, infine, nuove forme espressive e comunicative”. Voglia di libertà La cultura giovanile si è sviluppata percorrendo strade differenti, ma tutte con un elemento comune, un fattore che sta alla base e che Tomasi definisce bene come “intrinseca capacità che i giovani hanno di autodefinirsi nei loro comportamenti valoriali all’interno della società nella quale sono parte”. Una ricerca del limite che si è espressa nei vari aspetti del vivere sociale, un bisogno di capire fino a dove ci si può spingere, scoprire cosa c’è oltre ai freni o ai divieti che la società sembra imporre e che alle nuove generazioni appaiono come insopportabili, una necessità di liberarsi dalla rete troppo stretta delle convenzioni. E così questa voglia di libertà si esprime nella moda, con Mary Quant, la stilista inglese a cui si deve l’invenzione della minigonna, l’indumento con cui le ragazze varcano il limite della casta gonna al ginocchio delle loro madri; ma si manifesta anche a livello sociale, culturale e politico nel maggio 1968 a Parigi, con un movimento storico di ribellione e rivolta contro la società tradizionale e il potere costituito. Ma i limiti che si ricercano sono anche e soprattutto quelli del proprio corpo, un corpo che cresce, si sviluppa e cambia. La forma più diffusa, ma anche la più pericolosa attraverso la quale questa ricerca viene affrontata dai giovani, sin dagli anni ‘50, è l’uso e l’abuso di droghe e alcool. Sostanze che permettono di sentirsi diversi, più forti, capaci di affrontare le sfide e le preoccupazioni che opprimono i ragazzi, ma sono anche sostanze in grado di far evadere dalla realtà, di allontanare, seppur temporaneamente, la persona dal mondo che lo circonda e che non sempre va nel verso giusto.
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SEZIONE 3
Mediante il doc. 1 si analizza il modo in cui la cultura giovanile si diffuse negli anni ‘60
Si citano altre foto del dossier visivo
Richiamo a una foto del dossier visivo: il movimento punk
Passaggio all’attualità: come si presenta, oggi, la cultura giovanile? Come 50 anni fa o diversamente? Il saggio utilizza ancora delle domande Facebook: una foto del dossier visivo
I Nirvana: una foto del dossier visivo (ma qui il richiamo si approfondisce)
La conclusione del saggio si focalizza sulla necessità dei limiti (citati nel doc. 2)
Rave party: una foto del dossier visivo
Il bisogno di non essere soli: tale concetto origina un nuovo richiamo a Facebook, che andava però esplicitato
Chiusura ancora personalizzata, in forma di domanda
Il ruolo della musica, da una sponda all’altra dell’Oceano Una cultura e stili di vita che si sono diffusi, in primo luogo attraverso un mezzo di comunicazione in particolare, la radio e quindi attraverso le canzoni. È in particolare con la cultura inglese che, come afferma Hobsbawm, “faceva raccordo tra America ed Europa, per una specie di osmosi spontanea”, che sono stati divulgate mode, costumi e stili di vita. Una comunicazione che passava attraverso i grandi miti come Elvis Presley o Jim Morrison, che scardinarono, ognuno nel loro speciale modo, le tradizioni musicali e non solo: masse di giovani raccolte attorno a queste icone che, ancora oggi, resistono come simboli forti di una cultura giovanile in cui identificarsi. E ancora il movimento punk, un mix di sonorità diverse, da far rabbrividire padri e nonni, un look che non poteva e non voleva rimanere inosservato. La necessità di affermarsi e farsi sentire, perché i giovani hanno molto da dire. Che cos’è, oggi, la “cultura giovanile”? Ma oggi, “cultura giovanile”, mantiene ancora lo stesso significato che ha assunto negli ultimi 40 anni? Si sviluppa con le stesse “strategie” di sempre, anche ora che la tecnologia 2.0 si è affermata e, possiamo anche azzardare, ormai radicata nella comunicazione contemporanea? Oppure la diffusione di Facebook ha cambiato il modo di comunicare e di diffondere idee e costumi? Oggi possiamo rintracciare icone della cultura giovanile nei Nirvana, e in particolare la canzone “Smells Like Teen Spirit”, probabilmente la più conosciuta canzone della band grunge, che è diventata l’inno di una generazione di cui Cobain viene considerato una sorta di portavoce. Il brano è un grido sordo che esprime pensieri e riflessioni comuni, in cui i giovani si identificano. La necessità di trovare limiti la ritroviamo, in fondo, anche oggi. L’uso di stupefacenti non si è di certo arrestato; i nuovi figli dei fiori hanno forse trovato una diversa location per esprimersi: non più distesi al sole su campi verdi con una chitarra in mano e un fiore tra i capelli, ma masse di giovani riuniti in rave party al ritmo di musiche forti, decise. E tutti, come in passato, con una comune convinzione e consapevolezza: la nostra società è complicata, è necessario districarsi tra problemi che non sempre ci si sente pronti ad affrontare e questo bisogna urlarlo, gridarlo al mondo e capire che non si è soli. Il bisogno di comunicare Forse è proprio in questa necessità di sentire vicini gli altri che risiede il successo di social network e community virtuali, per soddisfare una esigenza di comunicare. Ed è così che, inoltre, la difficoltà di esprimersi apertamente viene bypassata grazie alla possibilità di celarsi dietro un nickname o un avatar: non è, in fondo, questo un modo per essere veramente se stessi ed esprimere la propria “cultura giovanile”? adattamento dal sito http: vitos.forumfree.it
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Saggio breve 9 - Ambito socio-economico
SAGGIO BREVE
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ambito socio-economico
ARGOMENTO: Città e periferie: paradigmi della vita associata, fattori di promozione della identità personale e collettiva [Assegnato all’esame di Stato del 2006] CONSEGNE Sviluppa l’argomento scelto o in forma di “saggio breve” o di “articolo di giornale”, utilizzando, in tutto o in parte, e nei modi che ritieni opportuni, i documenti e i dati forniti. Se scegli la forma del “saggio breve” argomenta la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio. Premetti al saggio un titolo coerente e, se vuoi, suddividilo in paragrafi. Se scegli la forma dell’”articolo di giornale”, indica il titolo dell’articolo e il tipo di giornale sul quale pensi che l’articolo debba essere pubblicato. Per entrambe le forme di scrittura non superare cinque colonne di metà di foglio protocollo.
DOCUMENTI
1
Quale uso fare della città? Quale uso se ne è fatto nella Storia? Quante utopie hanno attraversato il concetto sfumato ai bordi di “città ideale”? E quanti abusi? Se rivolgiamo i nostri pensieri alle città europee così come ci sono state consegnate dalla Storia, ecco che i confronti con l’attualità diventano subito un atto dovuto e altrettanto ineludibili i riferimenti ai disagi metropolitani di cui siamo testimoni oltre che recalcitranti vittime designate… I due problemi con i quali ci siamo trovati a fare i conti nelle città europee negli ultimi decenni sono il traffico automobilistico e il degrado o la manomissione dei Centri Storici.
2
L. MALERBA, Città e dintorni, Milano 2001
La città tradizionale dell’Europa mediterranea, che viene generalmente presa come modello…, è un organismo a tre elementi attorno ai quali si ripartiscono le sue attività e si definisce il suo ruolo. Il primo è l’elemento sacro, che simbolizza la protezione degli dei e impone dei doveri collettivi, generatori di disciplina. Il secondo è l’elemento militare, o della sovranità, rappresentativo del potere e del possesso dello spazio dominato dalla città… Il terzo è il mercato con i suoi annessi artigianali, luoghi dove si realizza l’economia specificamente cittadina… Nella misura in cui il mercato rappresenta il luogo della riunione funzionale della popolazione attiva della città, esso può divenire simbolo di democrazia..., ma può anche essere simbolo dell’affermazione dell’autorità del sovrano… Dovunque si presenti, la città ripropone sempre i tre elementi mediterranei unendo il sacro, il politico e l’economico… All’inizio del XX secolo le città europee sono, di fatto, delle città socialmente settorializzate, esclusivamente su basi qualitative: quartieri di lusso e quartieri operai, o quartieri poveri… Nella nostra epoca la prima spinta di crescita urbana che spezza i ritmi lenti e unitari del passato è quella del periodo che intercorre tra le due guerre mondiali… A questo punto il quadro urbano risulta superato e le città tendono a scoppiare… L’unità spaziale tra lavoro, tempo libero e vita privata, e abitazione, che era caratteristica della città del passato, è ormai rotta…
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Dalla voce Città, curata da P. GEORGE, nella “Enciclopedia delle scienze sociali”, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, vol.I, Roma, 1991
Il sopravvento della periferia ha sdoppiato l’identità urbana tra un centro strutturato, sedimentato e riconoscibile e un ”resto” per molti aspetti casuale (Vittorini). L’anomalia periferica si presenta in termini relativi come “altro dalla città”, e in termini assoluti, come incompiutezza, disordine, irriconoscibilità, bruttezza: “un nuovo oggetto storico” senza limiti, né soglie; un “dappertutto che è nessun luogo”. (Rella)
4
F. PEREGO, “Europolis e la variabile della qualità urbana” in AA.VV. Europolis – La riqualificazione delle città in Europa. Periferie oggi, Roma-Bari, 1990
Le periferie non sono dei “non luoghi”. Con l’espressione “non luogo” caratterizzo un certo tipo di spazio dentro la nostra società contemporanea. Il “luogo” per un antropologo è uno spazio nel quale tutto fa segno. O, più esattamente, è un luogo nel quale si può leggere attraverso l’organizzazione dello spazio tutta la struttura sociale… Oggi viviamo in un mondo nel quale lo spazio dei “non luoghi” si è di molto accresciuto. “Non luoghi” sono gli spazi della circolazione, del consumo, della comunicazione, eccetera. Sono spazi di solitudine… Prendiamo l’esempio di un supermercato. Ha tutti gli aspetti di un “non luogo”. Ma un supermercato può diventare anche
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SEZIONE 3
un luogo di appuntamento per i giovani. Talvolta, anzi, è il solo “luogo”. Da questo punto di vista si può dire che le banlieues sono dei “non luoghi” per la gente che viene da fuori… Ma sono, viceversa , dei “luoghi” di vita per molte persone.
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M. AUGÉ, L’incendio di Parigi, “MicroMega” n. 7/2005
Se le nostre città non si riqualificano, a cominciare dalle periferie, consegneremo alle nuove generazioni un futuro di barbarie… La più grave malattia delle città si chiama esplosione urbana - dice Piano - una crescita forsennata, che dobbiamo correggere con interventi mirati per integrare il tessuto urbanistico e sociale delle periferie con il resto della città”. Quindi, demolire o riqualificare i mostri in cemento nelle periferie? “La demolizione è un rimedio estremo, al quale ricorrere soltanto quando mancano i requisiti minimi della vivibilità, per esempio la luce e la tutela della salute”. La seconda proposta riguarda le funzioni dei quartieri periferici. “La loro vita non può ridursi solo alla dimensione residenziale, così sono condannati a trasformarsi in giganteschi dormitori - afferma Piano - non a caso, quando ho progettato l’auditorium a Roma, ho voluto definirlo la fabbrica della musica. Attorno alle sale, in un’area di venti ettari, ho ipotizzato un parco pubblico, negozi, residenze e perfino un albergo”. Il terzo punto decisivo del “manifesto” di Renzo Piano riguarda proprio gli architetti e il loro modo di lavorare. “Ogni angolo di territorio urbano che torna a vivere è anche un’opportunità economica. Per tutti - ... - a cominciare dagli architetti. Noi abbiamo bisogno di competenza e di umiltà. Pensare in grande, ma accontentarsi anche di piccoli progetti. E avere sempre una bussola etica perché attraverso la microchirurgia sul territorio può passare anche un nuovo umanesimo della vita urbana. Nelle periferie, l’immigrazione diventa più sostenibile se si impedisce che alla separazione sociale si sovrapponga quella etnica. Come accade, purtroppo, nei quartieri dormitorio.
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A. GALDO, Periferie: la profezia di Piano, IL MATTINO, 16/11/2005
La città è anzitutto lo sguardo che la osserva e l’animo che la vive; …La Città dell’antichità, anche quando è il centro di un potente impero, appare in una luce di gloria inseparabile dalla caducità, dall’eterno destino di vanità delle cose umane: Ninive, Persepoli o Babilonia evocano grandezza e rovina, indissolubili come le due facce di una moneta; …Atene, culla della civiltà e della politica mondiale, è la Polis, la città in cui i rapporti umani sono personali e concreti e tutto è visibile e tangibile, pure il meccanismo della vita sociale e del potere. Solo Roma - la Roma imperiale e promiscua del Satyricon - è una metropoli nel senso moderno, più simile a Londra o a New York che alle città greche, egizie od orientali dell’antichità. Nella modernità, la città si identifica con la borghesia - più tardi col proletariato industriale… la città, con le sue trasformazioni che sventrano e smontano il passato, è il movimento stesso delle sorti e dei sentimenti umani, il ritmo della vita e della storia che la racconta. La metropoli...cambia la sensibilità e la percezione dell’individuo, diviene una sua pelle sensibilissima che reagisce, anche e soprattutto subliminalmente, al continuo bombardamento di stimoli veloci ed effimeri.
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C. MAGRIS, Amori, speranze, morte, le città della nostra vita, “Corriere della Sera”, 9/9/2005
La periferia, lo si voglia o no, è la città moderna, è la città che abbiamo costruito… Se non sapremo di questa città cogliere non solo gli aspetti negativi, che sono tanti e indiscutibili, ma anche gli aspetti positivi, difficilmente riusciremo a rovesciare un processo che minaccia di travolgere il senso profondo della città, quella funzione di cui così chiaramente parla Aristotele quando dice che gli uomini hanno fondato la città per vivere meglio insieme… Secondo me la periferia è soprattutto una città non finita o meglio che non ha ancora raggiunto il momento della qualità, ma i famosi centri storici...sono stati anch’essi, prima di raggiungere questa condizione di equilibrio che ne sancisce l’intoccabilità, delle opere non compiute...Perché allora non guardare alla periferia non soltanto con il giusto sdegno che meritano i suoi particolari slegati, le sue caratteristiche di incompiutezza e di mancanza di significato, ma anche con umanistica “pietas” e cioè con amore, come una realtà da affrontare, di cui aver cura, in cui rispecchiare noi stessi in quanto essa è bene o male il prodotto delle nostre illusioni, delle nostre buone intenzioni non realizzate? P. PORTOGHESI, Riprogettare la città, in AA.VV. Europolis – La riqualificazione delle città in Europa. Periferie oggi, Roma-Bari, 1990
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È delle città come dei sogni: tutto l’immaginabile può essere sognato ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio, oppure il suo rovescio, una paura. Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un’altra...Anche le città credono d’essere opera della mente o del caso, ma né l’una né l’altro bastano a tener su le loro mura. D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda. – O la domanda che ti pone obbligandoti a rispondere, come Tebe per bocca della Sfinge. I. CALVINO, Le città invisibili, 1972, III
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Saggio breve 9 - Ambito socio-economico
Svolgimento Il possibile titolo del tuo saggio breve (riassume la tesi di fondo del testo) Manca una suddivisione per titoli, per dare al saggio maggiore compattezza All’inizio, uno sguardo alla situazione attuale
Doc. 1
Il secondo paragrafo allarga il campo delle questioni
Un’idea-chiave (utilizzando ancora il doc. 1): la radicale trasformazione delle città nell’età contemporanea Doc. 2: le manifestazioni esteriori di questo cambiamento
Altre conferme all’idea-chiave vengono dal doc. 3
Doc. 4 Dopo la descrizione dei fatti, una riflessione: l’a capo stacca i due discorsi La tesi del saggio: non ci si può arrendere ai problemi senza reagire
ANCHE LA PERIFERIA PUÒ ESSERE “CITTÀ”, SE CI AIUTA A VIVERE MEGLIO, ASSIEME La nostra epoca assiste a una forte urbanizzazione: gran parte della popolazione del pianeta vive infatti in aree urbane o città. Grandi o meno grandi che siano, esse pongono una serie di problematiche che rendono a volte amaro e triste l’esistere quotidiano di chi vi abita. Due di questi problemi vengono denunciati dallo scrittore Luigi Malerba: i “due problemi con i quali ci siamo trovati a fare i conti nelle città europee negli ultimi decenni sono il traffico automobilistico e il degrado o la manomissione dei Centri Storici”. Ma oltre al traffico e alla perdita d’identità dei centri storici, vanno ricordate altre questioni, per esempio il degrado delle periferie: l’ambiente più favorevole allo scoppio di ribellioni sociali, come si è visto nel caso delle banlieues parigine messe sottosopra per giorni, alcuni anni fa, dai giovani manifestanti. Ciò che sembra chiaro è che “le città europee così come ci sono state consegnate dalla Storia” (Malerba) si sono irrimediabilmente trasformate. Si è di fatto esaurito il modello tradizionale di città, costituito intorno ai tre elementi (quello sacro, quello militare e quello commerciale) che si sovrapponevano e costituivano il centro di gravità della vita urbana. Come ricorda George nella voce enciclopedica citata nel dossier, oggi “le città tendono a scoppiare… L’unità spaziale tra lavoro, tempo libero e vita privata, e abitazione, che era caratteristica della città del passato, è ormai rotta”. Questa situazione è confermata dai giudizi di Vittorini e Rella, ricordati da F. Perego in un suo saggio. Secondo il primo giudizio, il sopravvento della periferia ha sdoppiato l’identità urbana tra un centro strutturato, sedimentato e riconoscibile, e un “resto” (Vittorini intende la periferia) per molti aspetti casuale. Nel secondo giudizio, la realtà della periferia si presenta come “l’altro dalla città”; i suoi caratteri peculiari sono “incompiutezza, disordine, irriconoscibilità, bruttezza”. Rella definisce queste mega-periferie urbane “un nuovo oggetto storico” senza limiti, né soglie; un “dappertutto che è nessun luogo”. Simile è la definizione di “non luoghi” usata da M. Augé sempre per definire la periferia. Questi appaiono giudizi sconsolati, quasi senza possibilità di appello. Ma è lo stesso Augé a riconoscere che questi non luoghi sono infine “dei luoghi di vita per molte persone”. Ciò significa che non bisogna arrendersi di fronte all’evidenza del problema e che è necessario cercare una soluzione, che risulti positiva per i milioni e milioni di persone che si affollano ai margini delle megalopoli del nostro pianeta.
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SEZIONE 3
La domanda in forma esplicita rilancia il concetto – la risposta viene dal doc. 5
Il doc. 7 viene non solo richiamato, ma utilizzato con ampie citazioni: racchiude il nucleo dell’argomentazione da sviluppare
Qui l’analisi dà spazio al giudizio personale
Si cita il doc. 6 a riprova del discorso Un’altra idea-chiave: nella conformazione urbana si riflette la storia del passato
Frase che riassume l’idea chiave in modo personale
Un connettivo (“Per tornare al…”) per riportare il discorso al suo nucleo centrale citazione del doc. 8
Dopo la domanda, un punto a capo per separare la risposta e introdurre la conclusione
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Quale possibile soluzione? Una viene suggerita da un architetto e studioso di fama internazionale come Renzo Piano, il cui “manifesto” è riferito da A. Galdo. Secondo Piano, è possibile riqualificare le periferie a patto che si operi per non ridurle “solo alla dimensione residenziale”. Bisogna ricordare che “ogni angolo di territorio urbano che torn[i] a vivere è anche un’opportunità economica”: perciò, per esempio, intorno all’Auditorium a Roma, Piano in “un’area di venti ettari, [ha ipotizzato] un parco pubblico, negozi, residenze e perfino un albergo”. Nella stessa direzione si muove anche un altro grande architetto e urbanista italiano, Paolo Portoghesi. Dopo aver ricordato che “la periferia, lo si voglia o no, è la città moderna”, egli invita a guardarla come “una città non finita o meglio che non ha ancora raggiunto il momento della qualità”. Si tratta cioè di una realtà da “guardare (…) con umanistica ‘pietas’ e cioè con amore”. Essa, dice Portoghesi, “è bene o male il prodotto delle nostre illusioni, delle nostre buone intenzioni non realizzate”. Infatti, se è vero che la periferia presenta in se stessa l’incompiutezza, è però pur vero che tale caratteristica riguardava i centri “ora” storici al momento del loro nascere. Questa mi sembra l’ottica giusta da cui affrontare il problema: non serve il lamento per il degrado dei centri urbani, ma una comprensione di ciò che li ha portati a diventare così. In fondo, le città sono o diventano quello che i loro abitanti vogliono che esse siano. Come dice Magris, “la città è anzitutto lo sguardo che la osserva e l’animo che la vive”, o le ha vissute in passato. Nell’evoluzione urbana si riflette infatti la storia della società: come le città antiche, in particolare Atene, erano i centri della vita sociale, il luogo della “polis”, le nostre grandi città attuali si identificano, dice Magris, con la borghesia e in seguito col proletariato industriale. Cambiano le classi sociali, cambiano le esigenze, cambiano le città. Lo stesso Magris ricorda una cosa interessante a proposito dell’antica Roma: “la Roma imperiale e promiscua del Satyricon è una metropoli nel senso moderno, più simile a Londra o a New York che alle città greche, egizie od orientali dell’antichità”. Mescolanza e crescita disordinata dunque non appartengono solo al presente, ma si possono riscontrare anche in determinate situazioni urbane del passato, come appunto la Roma del I secolo ricordata da Magris. Per tornare al “cosa fare”, evitando le sterili lamentazioni, dobbiamo dirci, con Calvino, che “d’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda”. Quale “domanda” noi rivolgiamo alla città, magari alla nostra città? Qui è il punto. Credo che la domanda (e anche la risposta) più giusta sia questa: occorre chiedere alla città di essere, o di diventare, il luogo della crescita civile, in cui sia possibile a ciascuno realizzare il proprio destino individuale in accordo con un equilibrato progetto di so-
Saggio breve 9 - Ambito socio-economico
La citazione del doc. 5 dà maggiore autorità al discorso
L’enumerazione (“la prima… la seconda”) serve a dare un ordine rigoroso al discorso
Doc. 7 Questa idea, esposta nella conclusione, ispira il titolo del saggio breve
cietà. In questa ottica è opportuna la raccomandazione (ricordata da Galdo) che Renzo Piano rivolge agli architetti, ma che mi sembra utile a chiunque eserciti responsabilità civili e sociali: avere sempre una “bussola etica” nelle scelte urbanistiche, così da impedire che “alla separazione sociale si sovrapponga quella etnica. Come accade, purtroppo, nei quartieri dormitorio”. Evitare la creazione di ghetti è dunque la prima esigenza da rispettare nella situazione attuale. La seconda: favorire luoghi, in città, che siano d’incontro e di comunicazione, luoghi di socializzazione. Non si tratta, infatti, solo di vivere “in” città, ma anche di vivere “la” città, con tutte le sue grandi potenzialità, che poi sono le potenzialità connesse a chi, in esse, abita. È giusto ricordare il principio fondamentale, di cui parla Aristotele (citato giustamente da Portoghesi): gli uomini hanno fondato la città per vivere meglio, insieme.
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SAGGIO BREVE
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ambito tecnico-scientifico
ARGOMENTO: La questione ambientale [Assegnato all’esame di Stato del 2007] CONSEGNE Sviluppa l’argomento scelto o in forma di “saggio breve” o di “articolo di giornale”, utilizzando, in tutto o in parte, e nei modi che ritieni opportuni, i documenti e i dati forniti. Se scegli la forma del “saggio breve” argomenta la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio. Premetti al saggio un titolo coerente e, se vuoi, suddividilo in paragrafi. Se scegli la forma dell’”articolo di giornale”, indica il titolo dell’articolo e il tipo di giornale sul quale pensi che l’articolo debba essere pubblicato. Per entrambe le forme di scrittura non superare cinque colonne di metà di foglio protocollo.
DOCUMENTI
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Un ulteriore aspetto della nuova indispensabile etica della responsabilità per un futuro lontano [...] [è che attualmente] soltanto gli interessi presenti acquistano voce, facendo valere il proprio peso ed esigendo considerazione. Di essi debbono tener conto le autorità pubbliche [...]. Ma il “futuro” non è rappresentato in nessun organo collegiale né è una forza che possa gettare il proprio peso sulla bilancia. Ciò che non è esistente non possiede nessuna lobby e i non nati sono impotenti. Pertanto il rendiconto dovuto a questi ultimi non è ancora una realtà politica nell’attuale processo decisionale, e quando essi lo potranno esigere, noi, i colpevoli, non ci saremo più.
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H. JONAS, Il principio responsabilità, ed. it. Einaudi Torino 1993², p. 30
Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: […] s) tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali. Costituzione della Repubblica italiana, art. 117
Mi fa una certa tenerezza sentire che [a seguito dello tsunami del 2004, n.d.r.] l’asse terrestre si è spostato. Mi fa tenerezza perché fa della Terra un oggetto più tangibile e familiare. Ce la fa sentire più ‘casa’, piccolo pianeta dal cuore di panna, incandescente […]. Non è male ricordarsi ogni tanto che la Terra è grande, ma non infinita; che non vive di vita propria in mezzo al nulla, ma ha bisogno di trovarsi sempre in buona compagnia; che non è un congegno automatico ad orologeria, ma che tutto procede (quasi) regolarmente soltanto per una serie di combinazioni fortunate. La Terra è la nostra dimora, infinitamente meno fragile di noi, ma pur sempre fragile e difesa soltanto dalle leggi della fisica e dalla improbabilità di grandi catastrofi astronomiche.
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E. BONCINELLI, Dall’asse distorto ai grappoli sismici. Quando la scienza vuol parlare troppo, “Corriere delle sera” il 2/1/2005
Il mondo industriale avanzato, con il suo iperconsumo anzitutto energetico, è all’origine dei danni ambientali dovuti all’inquinamento. Ma ora si moltiplicano i danni provocati dal mondo a sviluppo industriale ritardato, che brucia idrocarburi e carbone secondo primitive tecnologie, inquinanti al massimo grado. Il mondo preindustriale superpopolato, a sua volta, distrugge le foreste già “polmoni del pianeta” per procurarsi combustibili o guadagnare suoli agricoli presto corrosi fino alla desertificazione. La più inquietante rappresentazione del processo in atto nel mondo semindustriale o preindustriale rimane quell’enorme nube tossica, spessore 3 chilometri e vastità 16 milioni di chilometri quadrati, che sovrasta l’Asia dal Mare Arabico all’Oceano Pacifico. Ma non migliori, anche senza terrificanti segnali dal cielo, risultano le condizioni dell’Africa e delle vaste aree degradate nell’America centrale o meridionale. Un altro allarme riguarda la scarsità delle risorse idriche, segnalata nel recente World Water Symposium di Stoccolma. Il 97,5 per cento dell’acqua sull’intero pianeta è marina e dissalabile solo a costi proibitivi.
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A. RONCHEY, I troppi mali di Madre Terra, “Corriere della sera”, 20 agosto 2002
Sarebbe un immenso sollievo se i recenti attacchi alla scienza che studia il riscaldamento globale indicassero davvero che non ci troviamo di fronte a una calamità inimmaginabile la quale esige misure preventive su vasta scala per proteggere la nostra civiltà. […] In realtà, la crisi si sta aggravando perché ogni 24 ore continuiamo a scaricare nell’atmosfera (come se fosse una fogna a cielo aperto) 90 milioni di tonnellate di inquinanti che contribuiscono al riscaldamento globale del pianeta. […] Ecco cosa sta accadendo al nostro clima secondo gli scienziati: l’inquinamento globale prodotto dall’uomo intrappola il
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Saggio breve 10 - Ambito tecnico-scientifico
calore del sole e aumenta le temperature atmosferiche. Le sostanze inquinanti - soprattutto l’anidride carbonica - sono aumentate rapidamente con il diffondersi dell’uso del carbone, del petrolio, dei gas naturali e dei roghi dei boschi, e nello stesso lasso di tempo le temperature sono cresciute. Quasi tutti i ghiacci che ricoprono alcune regioni della Terra si stanno sciogliendo, provocando l’innalzamento del livello dei mari. Si prevede che gli uragani diventeranno più forti e più distruttivi, anche se il loro numero dovrebbe diminuire. I periodi di siccità diventeranno più lunghi e più gravi in molte regioni e la violenza delle alluvioni aumenterà. La prevedibilità stagionale delle piogge e delle temperature è stata stravolta, mettendo in grave rischio l’agricoltura. Il numero delle specie estinte sta crescendo a livelli pericolosi.
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AL GORE, Cari ecoscettici sarebbe bello potervi dare ragione, “la Repubblica”, 4 marzo 2010
Fotografia di Michele Palazzi, vincitore nel 2013 del Ciwem’s Environmental Photographer of the Year, il premio internazionale che giudica le migliori fotografie e i migliori video a sfondo ambientale. Questa fotografia, dal titolo “Environmental migrants: the last illusion”, è stata scattata a Ulan Bator, in Mongolia, e ritrae una donna sdraiata su un letto insieme alla figlia di tre anni e un agnello. Si tratta di una delle tante famiglie costrette a migrare di stagione in stagione a causa del clima che cambia.
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SEZIONE 3
Svolgimento
Il titolo possibile del tuo saggio breve
L’introduzione tratteggia il quadro del problema Si mette a fuoco cos’è l’ambiente (e le sue caratteristiche)
Citazione del doc. 3 per dare autorevolezza al discorso Il discorso si sposta sul ruolo dell’uomo
Il nuovo paragrafo riprende l’ultimo concetto detto nel paragrafo iniziale
La conclusione rende esplicita la correlazione tecnologia/danni all’ambiente Ricorso al doc. 4, per storicizzare più precisamente l’analisi: siamo all’inizio del secolo XIX
Da ieri si passa a oggi: il nuovo paragrafo inquadra la situazione attuale Il doc. 4 serve ad allargare l’analisi al piano sociale e politico
Nuovo paragrafo e nuovo argomento: l’effetto serra
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UNA SFIDA DI CIVILTÀ: CONSEGNARE INTATTO IL PIANETA ALLE NUOVE GENERAZIONI La questione ambientale è una delle più gravi che stanno davanti all’umanità di oggi. Bisogna però precisare che cosa si intende per “ambiente”. Esso non è, semplicemente, “la natura” oppure “il verde che ci circonda”: l’ambiente è un meraviglioso e complesso meccanismo, o meglio, un organismo, i cui elementi sono collegati tra loro da una stretta rete di relazioni, che si regge su un meraviglioso, ma fragile equilibrio interno. Infatti, come dice Boncinelli, “la Terra è […] infinitamente meno fragile di noi, ma pur sempre fragile e difesa soltanto dalle leggi della fisica e dalla improbabilità di grandi catastrofi astronomiche”. Se però l’uomo altera l’equilibrio ambientale, ne nascono conseguenze che all’inizio sono quasi invisibili, ma che possono risultare catastrofiche a distanza di tempo. Fin dalla propria comparsa sulla Terra l’uomo ha segnato profondamente l’ambiente con la sua presenza per creare le condizioni della propria sopravvivenza e del proprio benessere. Per far ciò, però, ha disboscato foreste, messo a coltura i terreni, spianato alture, addomesticato e ucciso animali. Man mano il progresso, la scienza, la tecnologia gli hanno fornito strumenti sempre più potenti ed efficaci per piegare la natura alle proprie esigenze. Tutto questo ha avuto un prezzo: più sofisticati si facevano gli strumenti del progresso, più alto diveniva il prezzo da pagare. A. Ronchey indica un inizio dei problemi ambientali: la rivoluzione industriale del secolo XIX. Da allora il “progresso” tecnologicoscientifico ha influito pesantemente sull’ambiente, modificandolo o alterandolo con conseguenze anche drammatiche. La rivoluzione industriale, per esempio, fu accompagnata da un gigantesco inquinamento dell’aria, prodotto dalla combustione del carbone, necessaria ad alimentare le macchine. Oggi la tecnologia è enormemente cresciuta e si sono così moltiplicate, purtroppo, le cause di alterazione dell’equilibrio ambientale. Tra l’altro, come sempre Ronchey nota, esistono pesanti squilibri sociali e politici nel nostro pianeta, che fanno sì che i popoli industrialmente arretrati finiscono per inquinare più degli altri, per esempio disboscando senza limiti le foreste, oppure continuando a utilizzare tecnologie energetiche “primitive”, come Ronchey le definisce. Il risultato finale è che la degradazione dell’ambiente è divenuto uno degli aspetti caratteristici della nostra civiltà. Essa è
Saggio breve 10 - Ambito tecnico-scientifico
Le conseguenze
Il nuovo paragrafo analizza le cause dell’effetto serra
Il doc. 5 utilizzato a convalida dell’argomentazione Qui il doc. 5 viene semplicemente riassunto Il nuovo paragrafo si connette all’analisi precedente: l’effetto serra è causato anche da noi
Un altro argomento: le conseguenze dell’effetto serra sui popoli marginali
Il doc. 6 (foto)
Il paragrafo conclusivo si apre con una formula riassuntiva (“In sostanza…”) Viene enunciata, dopo l’analisi precedente, la tesi centrale del saggio breve Un concetto importante espresso in forma di giudizio personale
Ritorna l’idea di “fragilità” detta all’inizio La tesi centrale viene ribadita da un altro punto di vista
visibile in molti aspetti, in particolare per il cosiddetto “effetto serra”, che è la manifestazione più visibile dei danni prodotti sull’ecosistema. L’effetto serra è responsabile del surriscaldamento del nostro pianeta, ed è causa di ulteriori fenomeni, chiamati “cambiamenti climatici”: tra questi, un inizio di scioglimento dei ghiacci ai poli, l’innalzamento del livello dei mari, la crescita media della temperatura sul pianeta e la “desertificazione” di ampie zone. Ma perché si è prodotto l’effetto serra? La ragione sta nel deterioramento dello strato di ozono, un gas dell’atmosfera. Esso viene compromesso dall’immissione, nell’atmosfera, di gas nocivi prodotti dall’eccessiva combustione di petrolio, carbone e gas naturale, necessari ai trasporti, alle attività industriali, al riscaldamento e al raffreddamento delle case. Come scrive Al Gore, “ogni 24 ore continuiamo a scaricare nell’atmosfera (come se fosse una fogna a cielo aperto) 90 milioni di tonnellate di inquinanti che contribuiscono al riscaldamento globale del pianeta” e le conseguenze di questo comportamento, ricorda lo stesso Gore, sono disastrose: uragani, alluvioni, lunghi periodi di siccità, danni gravissimi all’agricoltura, estinzione di specie animali, ecc. Dovremmo ricordarci di tutto ciò quando, d’estate, per sconfiggere il caldo soffocante, ricorriamo in modo indiscriminato ai condizionatori e a un eccesso di refrigerazione: in questo modo s’inquina l’aria, poiché i frigoriferi e i condizionatori producono clorofluorocarburi, che trattengono il calore all’interno dell’atmosfera. Purtroppo le conseguenze dei cattivi comportamenti ecologici coinvolgono direttamente anche le popolazioni più povere e meno responsabili dell’inquinamento generale del pianeta. Ce lo ricorda la bellissima fotografia scattata a Ulan Bator, in Mongolia, che documenta l’impatto dei mutamenti climatici anche a quelle lontane latitudini. In sostanza, oggi siamo davanti a una sfida che non possiamo più eludere: una sfida di civiltà. Nei decenni passati ci siamo ridotti a consumare e, in sostanza, a distruggere, poco alla volta, le risorse naturali. Oggi è giunto il momento di fermarci, di prendere decisioni coraggiose a livello politico e sociale, e di assumere comportamenti coerenti, anche sul piano individuale. Di tale problema siamo, ormai, quasi tutti consapevoli, e almeno questo è un bene: la crescita di una “coscienza ecologica” penso sia un grande progresso per tutti noi. Oggi scopriamo che la natura non è un bene inesauribile: al contrario, è un bene di cui vi è molta scarsità e che non è affatto gratuito. Un bene caduco e non eterno, ma al contrario fragile. Dobbiamo però metterci in una posizione assai diversa da quella che ci è stata imposta negli ultimi due secoli. Al culto per il progresso scientifico e tecnico, alla fiducia nei vantaggi dell’urbanizzazione e all’entusiasmo per il progresso industria-
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Il concetto sintetizzato nel titolo del saggio
A convalida del ragionamento, si citano i documenti 1 e 2
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le, dobbiamo sostituire la ricerca di nuovi metodi e di nuove tecniche che permettano il progresso dell’uomo senza recare danno all’ambiente naturale. Solo così riusciremo a salvaguardare il pianeta che ci è stato affidato dai nostri progenitori; solo così potremo difendere noi stessi e la civiltà umana sulla Terra, consegnando un pianeta intatto, o quasi, a chi verrà dopo di noi: questa esigenza, affermata solennemente già dalla nostra Costituzione repubblicana del 1948 ed espressa limpidamente nel testo del filosofo Jonas, credo che sia un dovere collettivo di tutta l’umanità.
Saggio breve 11 - Ambito tecnico-scientifico
SAGGIO BREVE
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ambito tecnico-scientifico
ARGOMENTO: Social network, Internet, New Media [Assegnato all’esame di Stato del 2009] CONSEGNE Sviluppa l’argomento scelto o in forma di “saggio breve” o di “articolo di giornale”, utilizzando, in tutto o in parte, e nei modi che ritieni opportuni, i documenti e i dati forniti. Se scegli la forma del “saggio breve” argomenta la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio. Premetti al saggio un titolo coerente e, se vuoi, suddividilo in paragrafi. Se scegli la forma dell’”articolo di giornale”, indica il titolo dell’articolo e il tipo di giornale sul quale pensi che l’articolo debba essere pubblicato. Per entrambe le forme di scrittura non superare cinque colonne di metà di foglio protocollo.
DOCUMENTI
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Immagino che qualcuno potrebbe dire: “Perché non mi lasciate da solo? Non voglio far parte della vostra Internet, della vostra civiltà tecnologica, o della vostra società in rete! Voglio solo vivere la mia vita!” Bene, se questa è la vostra posizione, ho delle brutte notizie per voi. Se non vi occuperete delle reti, in ogni caso saranno le reti ad occuparsi di voi. Se avete intenzione di vivere nella società, in questa epoca e in questo posto, dovrete fare i conti con la società in rete. Perché viviamo nella Galassia Internet.
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M. CASTELLI¸ Galassia Internet, trad. it., Milano 2007
C’è una mutazione in atto ed ha a che fare con la componente “partecipativa” che passa attraverso i media. Quelli nuovi caratterizzati dai linguaggi dell’interattività, da dinamiche immersive e grammatiche connettive. [...] Questa mutazione sta mettendo in discussione i rapporti consolidati tra produzione e consumo, con ricadute quindi sulle forme e i linguaggi dell’abitare il nostro tempo. Questo processo incide infatti non solo sulle produzioni culturali, ma anche sulle forme della politica, sulle dinamiche di mercato, sui processi educativi, ecc. [...] D’altra parte la crescita esponenziale di adesione al social network ha consentito di sperimentare le forme partecipative attorno a condivisione di informazioni e pratiche di intrattenimento, moltiplicando ed innovando le occasioni di produzione e riproduzione del capitale sociale. G. BOCCIA ARTIERI, Le culture partecipative dei media. Una introduzione a Henry Jenkins, Prefazione a H. JENKINS, Fan, Blogger e Videogamers. L’emergere delle culture partecipative nell’era digitale, Milano 2008
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Ciò che conosciamo, il modo in cui conosciamo, quello che pensiamo del mondo e il modo in cui riusciamo a immaginarlo sono cruciali per la libertà individuale e la partecipazione politica. Il fatto che oggi così tanta gente possa parlare, e che si stia raggruppando in reti di citazione reciproca, come la blogosfera, fa sì che per ogni individuo sia più facile farsi ascoltare ed entrare in una vera conversazione pubblica. Al contempo, sulla Rete ci sono un sacco di sciocchezze. Ma incontrare queste assurdità è positivo. Ci insegna a essere scettici, a cercare riferimenti incrociati e più in generale a trovare da soli ciò che ci serve. La ricerca di fonti differenti è un’attività molto più coinvolgente e autonoma rispetto alla ricerca della risposta da parte di un’autorità.
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Y. BENKLER, Intervista del 10 maggio 2007, in omniacommunia.org
Siamo in uno stato di connessione permanente e questo è terribilmente interessante e affascinante. È una specie di riedizione del mito di Zeus Panopticon che sapeva in ogni momento dove era nel mondo, ma ha insito in sé un grande problema che cela un grave pericolo: dove inizia il nostro potere di connessione inizia il pericolo sulla nostra libertà individuale. Oggi con la tecnologia cellulare è possibile controllare chiunque, sapere con chi parla, dove si trova, come si sposta. Mi viene in mente Victor Hugo che chiamava tomba l’occhio di Dio da cui Caino il grande peccatore non poteva fuggire. Ecco questo è il grande pericolo insito nella tecnologia, quello di creare un grande occhio che seppellisca l’uomo e la sua creatività sotto il suo controllo. [...] Come Zeus disse a Narciso “guardati da te stesso!” questa frase suona bene in questa fase della storia dell’uomo. D. DE KERCKHOVE, Alla ricerca dell’intelligenza connettiva, Intervento tenuto nel Convegno Internazionale “Professione Giornalista: Nuovi Media, Nuova Informazione” – Novembre 2001
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Agli anziani le banche non sono mai piaciute un granché. Le hanno sempre guardate col cipiglio di chi pensa che invece che aumentare, in banca i risparmi si dissolvono e poi quando vai a chiederli non ci sono più. [...] È per una curiosa forma di contrappasso che ora sono proprio gli anziani, e non i loro risparmi, a finire dentro una banca, archiviati come conti correnti. Si chiama “banca della memoria” ed è un sito internet [...] che archivia esperienze di vita raccontate nel formato della videointervista da donne e uomini nati prima del 1940. [...] È una sorta di “YouTube” della terza età.
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A. BAJANI, “YouTube” della terza età, in “Il Sole 24 ORE”, 7 dicembre 2008
Una rivoluzione non nasce dall’introduzione di una nuova tecnologia, ma dalla conseguente adozione di nuovi comportamenti. La trasparenza radicale conterà come forza di mercato solo se riuscirà a diventare un fenomeno di massa; è necessario che un alto numero di consumatori prendano una quantità enorme di piccole decisioni basate su questo genere di informazioni. […] Grazie al social networking, anche la reazione di un singolo consumatore a un prodotto si trasforma in una forza che potrebbe innescare un boicottaggio oppure avviare affari d’oro per nuove imprese. [...] I più giovani sono sempre in contatto, attraverso Internet, come non è mai accaduto prima d’ora e si scambiano informazioni affidabili, prendendosi gioco, al contempo, di quelle fonti su cui si basavano le generazioni precedenti. Non appena i consumatori – specialmente quelli delle ultime generazioni – si sentono compiaciuti o irritati per la cascata di rivelazioni che la trasparenza offre sui prodotti, diffondono istantaneamente le notizie. D. GOLEMAN, Un brusio in rapida crescita, in Intelligenza ecologica, Milano 2009
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Saggio breve 11 - Ambito tecnico-scientifico
Svolgimento Il possibile titolo del tuo saggio breve (contiene il nucleo concettuale del testo) L’introduzione del saggio breve descrive il panorama
Riferimento al doc. 4 per aggiungere autorevolezza al discorso La tesi fondamentale del saggio breve
Una breve panoramica storica dà completezza all’analisi
Un argomento a riprova della tesi di fondo
L’espressione “più visibile” serve a connettere la frase con quella precedente Il tema dei blog è direttamente connesso alla tesi di fondo del saggio
Dopo la descrizione generale dei blog, un caso specifico, di attualità, per approfondire il discorso
Riferimento al doc. 1 per aggiungere autorevolezza al discorso Riferimento al doc. 5 per aggiungere autorevolezza al discorso
INTERNET: PIÙ COMUNICAZIONE, PIÙ DEMOCRAZIA Da alcuni anni Internet sta conoscendo un grandissimo sviluppo, ma si sta anche rapidamente modificando rispetto al passato. Io penso che questi cambiamenti costituiscano una maturazione delle prerogative che Internet possedeva sin dalla sua nascita, ma che, attualmente, si stanno sviluppando in modo velocissimo e anche sorprendente. Come dice D. De Kerckhove, “siamo in uno stato di connessione permanente e questo è terribilmente interessante e affascinante”. Il “nuovo Internet” è caratterizzato, soprattutto, da una maggiore interattività e socialità. Ai suoi inizi (anni ‘90) Internet era costituito da un insieme di pagine da navigare all’interno dei siti Web. Oggi questa situazione è rimasta, ma assieme ai siti “navigabili” sono cresciuti blog e altre realtà che rendono l’”internauta”, spesso connesso in banda larga, assai più attivo e collaborativo: prevalgono gli aspetti della partecipazione e della condivisione. Mentre nell’epoca del “primo Internet” erano dei professionisti a produrre i contenuti (notizie, video, musica, ecc.), oggi sono per lo più gli utenti stessi a mettere in Rete le loro storie, i messaggi audio e video, foto, canzoni, testi di vario tipo (fino ai libri). La differenza più visibile è costituita dalla diffusione dei blog. Il Web letteralmente pullula di blog: se ne contano decine di milioni, ma questa cifra sta crescendo in misura esponenziale. Che cos’è un blog? È una specie di diario online, una piattaforma in rete, facile da utilizzare per qualsiasi utente. Con i blog è possibile discutere e scambiarsi opinioni e informazioni in tempo reale: chiunque può pubblicare (in Internet, s’intende) scritti di vario genere, che possono poi essere commentati dagli altri utenti della rete. Alcuni di questi diari hanno avuto un tale successo, anche in Italia, da portare i loro curatori alla ribalta delle cronache. In Italia è nato addirittura un partito, il Movimento 5 Stelle, che fa della rete iInternet la propria “sede”; il blog del suo fondatore (Beppe Grillo) è il “luogo, virtuale, in cui i simpatizzanti e gli aderenti, ma anche i cittadini comuni, possono scambiarsi opinioni e commenti. Questo è solo un esempio, perché oltre all’utilizzo politico, Internet può ospitarne molti altri. Come afferma M. Castelli, viviamo davvero nella “Galassia Internet”. Mediante social-network come YouTube e MySpace milioni di persone, non solo giovani e giovanissimi, pubblicano i loro “profili”, le loro pagine Web personali, i loro video. A. Bajani ricorda il caso dei video “postati” da persone anziane, che dimostrano come YouTube vada bene per tutti, senza limiti di età.
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SEZIONE 3
Dopo la rassegna degli altri social, il discorso si sposta sul “più importante” (il superlativo serve da collegamento)
Il connettivo poi lega il discorso Breve descrizione di Twitter: serve a familiarizzare chi legge con l’argomento
Riferimento collegato alla tesi centrale del saggio Altro fenomeno collegato con i social network; anch’esso, come Twitter, viene brevemente descritto
Paragrafo che tira le somme, spostando il discorso su un piano più generale Il giudizio di chi scrive, collegato alla tesi generale del saggio breve
Riferimento al doc. 2 per aggiungere autorevolezza Riferimento al doc. 3, connesso alla tesi centrale del saggio
Il connettivo Ora collega la frase precedente al giudizio di chi scrive: esso rende esplicita la tesi di fondo del saggio Il paragrafo introduce un concetto nuovo: un giudizio completo deve esaminare anche le possibili obiezioni
L’enumerazione (Altre critiche…, Un altro limite…) serve a dare chiarezza al discorso
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Il social network più importante oggi è Facebook, un sito nato per rimettere in contatto vecchi compagni di scuola, ma che si è rivelato uno strumento utilissimo per favorire la socializzazione di giovani e adolescenti, ma anche per sostenere iniziative politiche, culturali e umanitarie. Esiste poi il fenomeno Twitter, un servizio Internet di grande successo, una via di mezzo tra blog, e-mail e SMS. Si può twittare, cioè lasciare un messaggio, purché sia lungo al massimo 140 caratteri; tutti lo potranno vedere, tramite computer o telefonino. Le potenzialità di Twitter sono immense, forse ancor più degli altri social network attuali, perché esso utilizza testi brevi, compatibili con il telefonino. Per esempio, Twitter si è rivelato una preziosa fonte d’informazione clandestina in luoghi sottoposti a censura, funestati da guerre ecc. Un altro fenomeno molto noto è Wikipedia, un’enciclopedia che ha quasi soppiantato le enciclopedie cartacee, anche le più prestigiose, per la sua completezza e la sua facilità di consultazione. Le voci di Wikipedia vengono create, modificate e aggiornate dai lettori stessi, in forma anonima, sottoposti all’unico controllo degli altri internauti. Alcune voci sono più attendibili, altre meno, ma sono tutte perfezionabili. Tutti questi fenomeni comportano un’enorme trasformazione della comunicazione e della cultura: una vera rivoluzione, che genererà molti altri cambiamenti a catena nella società del futuro. Tutto questo, secondo me, è molto positivo, perché Internet, nelle sue manifestazioni, apre nuovi spazi di libertà e di democrazia, come afferma G. Boccia Artieri, nel doc. 2: “C’è una mutazione in atto e ha a che fare con la componente ‘partecipativa’, che passa attraverso i media”. Lo stesso concetto afferma Y. Benkler: “Il fatto che oggi così tanta gente possa parlare, e che si stia raggruppando in reti di citazione reciproca, come la blogosfera, fa sì che per ogni individuo sia più facile farsi ascoltare ed entrare in una vera conversazione pubblica”. Ora, il dialogo e la partecipazione sono il sale della democrazia. Lo scambio di idee, la possibilità di esprimersi e di discutere, e anche di dissentire, tutto questo può contribuire a sviluppare una società più ricca d’idee e più giusta. Naturalmente il panorama non è tutto roseo. Esistono rischi connessi a questo “nuovo Internet”: per esempio le chat sono un pericolo per gli utenti più piccoli o più ingenui, sottoposti ad adescatori e psicopatici; oppure i motori di ricerca sempre più sofisticati possono invadere gli spazi della nostra privacy. Altre critiche riguardano i contenuti: blog e siti forniscono spesso informazioni inaffidabili; i “profili” di Facebook sembrano incoraggiare, secondo i detrattori, il narcisismo e l’esibizionismo di chi vuole solo “apparire” bene. Un altro limite: molte voci di Wikipedia sono incomplete, oppure imprecise, poco controllate, ecc.
Saggio breve 11 - Ambito tecnico-scientifico
Il connettivo poi aggiunge un’ulteriore obiezione, ma in forma diversa da altro Le precedenti obiezioni vengono discusse e rigettate
Il riferimento al doc. 3 come “prova” del discorso Qui viene discussa l’obiezione più importante, che merita il rimedio più severo
Il paragrafo si ricollega a quello precedente, introducendo la conclusione del saggio, collegata alla tesi principale
L’esempio serve ad arricchire la trattazione di un ulteriore aspetto Nel paragrafo conclusivo è spesso opportuno richiamare in breve una prospettiva futura
Talvolta, poi, i social network diventano palestra di violenza: molti ripugnanti atti di bullismo, filmati col telefonino, sono finiti su YouTube o su qualche altro social network. Secondo alcuni studiosi, è proprio la possibilità di pubblicizzare le proprie azioni violente e insensate che sembra costituire la molla principale a compierle. Di certo queste critiche contengono verità da non sottovalutare, anche se non vanno ingigantite. Nel caso di Wikipedia, per esempio, Y. Benkler afferma giustamente che può essere addirittura positivo leggere su quel sito delle “sciocchezze”, perché in questo modo gli utenti imparano a “essere scettici”, a non fidarsi di tutto ciò che si legge, a “incrociare” le informazioni ecc. Nel caso di siti o blog che incoraggiano alla violenza, è giusto introdurre regole e leggi che salvaguardino, per esempio, i più piccoli. Dovranno essere leggi al passo con i tempi, poche regole chiare e giuste, che senza intaccare la carica innovativa di Internet, impediscano che sia utilizzato in modo sbagliato o violento. Introdurre regole non significa soffocare Internet: del resto, sarebbe una cosa impossibile. La rete costituisce un mondo nuovo, che dispiacerà magari ai tradizionalisti, ma non a chi ama la trasformazione e la libertà: le società aperte hanno sempre amato la libertà di espressione, l’inquietudine e la discussione. Internet costituisce, per esempio, un campo fantastico di opportunità per far emergere nuovi talenti e artisti della comunicazione. Uno scrittore di successo, come Roberto Saviano, così amato dai giovani, ha esordito proprio scrivendo su un blog letterario... Un futuro diverso e più interessante è spalancato intorno a noi, e i cambiamenti recenti ne sono, probabilmente, solo la prima avvisaglia.
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SEZIONE 3
SAGGIO BREVE
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ambito tecnico-scientifico
ARGOMENTO: Le responsabilità della scienza e della tecnologia [Assegnato all’esame di Stato del 2012] CONSEGNE Sviluppa l’argomento scelto o in forma di “saggio breve” o di “articolo di giornale”, utilizzando, in tutto o in parte, e nei modi che ritieni opportuni, i documenti e i dati forniti. Se scegli la forma del “saggio breve” argomenta la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio. Premetti al saggio un titolo coerente e, se vuoi, suddividilo in paragrafi. Se scegli la forma dell’”articolo di giornale”, indica il titolo dell’articolo e il tipo di giornale sul quale pensi che l’articolo debba essere pubblicato. Per entrambe le forme di scrittura non superare cinque colonne di metà di foglio protocollo.
DOCUMENTI
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Agisci in modo che le conseguenze delle tue azioni siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana sulla terra. Hans JONAS, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Einaudi, Torino 1990 (ed. originale 1979)
Mi piacerebbe (e non mi pare impossibile né assurdo) che in tutte le facoltà scientifiche si insistesse a oltranza su un punto: ciò che farai quando eserciterai la professione può essere utile per il genere umano, o neutro, o nocivo. Non innamorarti di problemi sospetti. Nei limiti che ti saranno concessi, cerca di conoscere il fine a cui il tuo lavoro è diretto. Lo sappiamo, il mondo non è fatto solo di bianco e di nero e la tua decisione può essere probabilistica e difficile: ma accetterai di studiare un nuovo medicamento, rifiuterai di formulare un gas nervino. Che tu sia o non sia un credente, che tu sia o no un “patriota”, se ti è concessa una scelta non lasciarti sedurre dall’interesse materiale e intellettuale, ma scegli entro il campo che può rendere meno doloroso e meno pericoloso l’itinerario dei tuoi compagni e dei tuoi posteri. Non nasconderti dietro l’ipocrisia della scienza neutrale: sei abbastanza dotto da saper valutare se dall’uovo che stai covando sguscerà una colomba o un cobra o una chimera o magari nulla.
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Primo LEVI, Covare il cobra, 11 settembre 1986, in Opere II, Einaudi, Torino 1997
È storia ormai a tutti nota che Fermi e i suoi collaboratori ottennero senza accorgersene la fissione (allora scissione) del nucleo di uranio nel 1934. Ne ebbe il sospetto Ida Noddack: ma né Fermi né altri fisici presero sul serio le sue affermazioni se non quattro anni dopo, alla fine del 1938. Poteva benissimo averle prese sul serio Ettore Majorana, aver visto quello che i fisici dell’Istituto romano non riuscivano a vedere. E tanto più che Segrè parla di “cecità”. La ragione della nostra cecità non è chiara nemmeno oggi, dice. Ed è forse disposto a considerarla come provvidenziale, se quella loro cecità impedì a Hitler e Mussolini di avere l’atomica. Non altrettanto – ed è sempre così per le cose provvidenziali – sarebbero stati disposti a considerarla gli abitanti di Hiroshima e di Nagasaki.
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Leonardo SCIASCIA, La scomparsa di Majorana, Einaudi, Torino 1975
La scienza può aiutarci a costruire un futuro desiderabile. Anzi, le conoscenze scientifiche sono mattoni indispensabili per erigere questo edificio. Ma […] è d’obbligo sciogliere il nodo decisivo del valore da dare alla conoscenza. Il valore che sembra prevalere oggi è quello, pragmatico, che alla conoscenza riconosce il mercato. Un valore utilitaristico: dobbiamo cercare di conoscere quello che ci può tornare immediatamente ed economicamente utile. […] Ma, se vogliamo costruire un futuro desiderabile, anche nel campo della scienza applicata il riconoscimento del valore della conoscenza non può essere delegato al mercato. Lo ha dimostrato la recente vertenza tra le grandi multinazionali e il governo del Sud Africa sui farmaci anti-Aids […]. Il mercato non è in grado di distribuire gli “utili della conoscenza” all’80% della popolazione mondiale. Per costruire il futuro coi mattoni della scienza occorre dunque (ri)associare al valore di mercato della conoscenza altri valori: i valori dello sviluppo umano.
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Pietro GRECO, Sua maestà la tecnologia. Chi ha paura della scienza?, “l’Unità”, 7 luglio 2001
La ricerca dovrebbe essere libera, non dovrebbe essere guidata da nessuno. In fondo se ci si pensa bene, da che essa esiste è frutto dell’istanza del singolo piuttosto che risultato collettivo. Dovrebbe essere libera da vincoli religiosi e soggiogata a un unico precetto: progredire nelle sue applicazioni in funzione del benessere degli esseri viventi, uomini e animali. Ecco questa credo sia la regola e l’etica dello scienziato: la ricerca scientifica deve accrescere nel mondo la proporzione del bene. Le applicazioni della scienza devono portare progresso e non regresso, vantaggio e non svantaggio. Certo è anche vero che la ricerca va per tentativi e di conseguenza non ci si può subito rendere conto dell’eventuale portata negativa; in tal caso bisognerebbe saper rinunciare. Margherita HACK intervistata da Alessandra Carletti, Roma Tre News, n. 3/2007
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Saggio breve 12 - Ambito tecnico-scientifico
Svolgimento Il possibile titolo del tuo saggio breve
L’assenza di paragrafi interni dà maggiore compattezza al ragionamento
Il primo paragrafo precisa i termini del discorso, introducendo la questione centrale: il rapporto etica/scienza Un concetto chiave: la situazione attuale (progresso della scienza e debolezza dell’etica) Un correttivo: la stessa scienza avverte l’importanza di una direzione etica La domanda esplicita la questione preparata nel precedente paragrafo; la risposta enuncia la tesi del saggio breve Un primo argomento: su cosa si fonda il discorso etico Conclusione preparata dal paragrafo precedente Il paragrafo approfondisce la riflessione sulle basi dell’etica
La questione scienza / etica viene posta nei suoi termini più completi L’obiezione alla tesi riferisce il pensiero di molti scienziati Contro-obiezione, introdotta dal connettivo “Tuttavia…”
Si ribadisce la tesi di fondo del saggio Per avvalorare la tesi, s’introduce un elemento nuovo: il concetto di “responsabilità”
NON DI SOLA RICERCA VIVE LA SCIENZA… MA ANCHE DI RIFLESSIONE E DI RESPONSABILITÀ Scienza ed etica sono due entità apparentemente lontane tra loro, ma in realtà esse si sono sempre intrecciate, nel corso dei secoli, con il progredire delle ricerche scientifiche. Di certo però il loro rapporto genera, o può generare, contrasti. Infatti i continui progressi nella conoscenza scientifica sono sfociati nel graduale prevalere di una concezione scientifica, o meglio scientista: si è così indebolita la visione tradizionale, che, improntata sul cristianesimo, privilegiava l’etica e i suoi criteri. La scienza contemporanea da un lato sente l’esigenza di procedere nelle sue ricerche, mettendo a frutto tutte le possibilità di cui dispone, ma dall’altro lato si sente frenata dalla consapevolezza che il potere che tali ricerche potrebbero conferire alle nuove generazioni sarà un potere enorme, ben superiore a quello delle generazioni passate. Come procedere, dunque? Io credo che la scienza debba sì avanzare, ma con cautela, tenendo quindi conto delle giuste preoccupazioni dell’etica. Quest’ultima trae le sue ragioni dalla convinzione secondo la quale l’uomo, benché dotato di fisicità, non si esaurisce in questa dimensione, ma abbia in sé un “qualcosa di più” che lo distingue da tutti gli altri esseri viventi del nostro pianeta. Tale componente aggiuntiva è ciò che fonda l’unicità e l’irripetibilità di ogni individuo umano: le religioni la chiamano spirito o anima. Nucleo centrale di ogni discorso riguardante scienza ed etica è definire l’esistenza e l’essenza dell’uomo: definire l’uomo o una “macchina” ripetibile, oppure un essere unico e irripetibile, è il presupposto essenziale per prendere poi posizione sulle questioni più spinose (per esempio le ricerche sugli embrioni) e per ammettere, oppure escludere, delle leggi che vorrebbero imporre dei limiti alla ricerca scientifica. La posizione più comune tra gli scienziati è quella secondo cui la ricerca è un servizio dovuto all’umanità in generale; l’uomo che ha continuamente bisogno di conoscere e ampliare il proprio sapere. Tuttavia va ricordato agli scienziati che il loro sapere scientifico deve integrarsi con una visione più generale della scienza e dell’umanità. L’attività scientifica è un’attività umana, cioè libera e responsabile, e va dunque considerata alla luce di quei principi morali che devono guidare tutte le azioni dell’uomo. È in questa visione più ampia che trova giustificazione l’idea che la scienza debba, in qualche modo, essere sottoposta a vincoli, più o meno precisi o costringenti. Ed è qui che nasce il concetto di responsabilità all’interno della ricerca scientifica: lo scien-
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Il ricorso al doc. 1 conferisce autorità al discorso
Si cita il doc. 5, che sembra smentire la tesi
Il “però” mette nella giusta prospettiva l’obiezione del doc. 5 Il paragrafo introduce una questione nuova, meritevole di approfondimento
Breve richiamo al doc. 3 Un approfondimento (la clonazione): si espone (con prudenza) un giudizio personale, allargato (e in parte corretto: “Tuttavia…”) nella frase successiva
Uteriore allargamento del discorso: serve a dare al saggio maggiore ricchezza di spunti
Nuova tesi, che allarga ulteriormente la riflessione: la ricerca scientifica può essere sfruttata a fini di profitto
Citazione del doc. 4 per dare autorità al discorso
Un’esemplificazione, che precisa la tesi appena esposta Un giudizio personale Inizia la conclusione del saggio breve
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ziato deve rendersi consapevole che, in certi momenti, egli sta decidendo e scegliendo, di fatto, non solo per sé, ma anche per gli altri. Dovrebbe dunque seguire il consiglio di Jonas: “agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana sulla terra”. La scienza deve insomma garantire il rispetto di tutti coloro che verranno influenzati dalle sue scelte. Ma chi decide quando (e come) proseguire e quando (e se) fermarsi? Margherita Hack risponde: l’unico titolato a decidere è lo scienziato, il singolo scienziato. “La ricerca dovrebbe essere libera, non dovrebbe essere guidata da nessuno”, dice la Hack. Tocca quindi alla coscienza personale dello studioso intuire quando è giunto il momento di fermarsi oppure di proseguire nelle ricerche. Sempre la Hack sostiene però che, se una ricerca si rivelasse deleteria per le sue conseguenze, “bisognerebbe saper rinunciare” a proseguirla. Il discorso sulla responsabilità della scienza si allarga anche alla dimensione civile delle sue ricerche. Il potere ha regolarmente cercato, e cercherà, di controllare la ricerca scientifica, di metterla al servizio dei suoi disegni; ma lo scienziato deve ammonire i governi ed i popoli, perché capiscano che un progresso “interessato”, ovvero guidato da mani sbagliate, non può che portare alla rovina e alla totale distruzione. Esemplari sono gli studi dell’atomo, che hanno portato alla creazione di una minaccia che ancora spaventa la nostra generazione: la bomba atomica, ricordata da Leonardo Sciascia nel brano su Majorana. Oggi le discussioni maggiori sul rapporto etica-scienza coinvolgono gli studi sulla clonazione umana, che io giudico molto rischiosi. Tuttavia bisogna valutarne anche i possibili effetti positivi: per esempio, per un genitore, sarebbe molto positivo poter curare il proprio figlio, per esempio duplicando e impiantando cellule sane nel suo organismo al posto di quelle malate. Lo stesso vale per la ricerca delle cause e delle cure di malattie tuttora molto pericolose e anche misteriose, come l’Alzheimer o la sclerosi multipla. La ricerca scientifica, in questi campi, è appena agli inizi ed è auspicabile che i suoi progressi siano rapidi e importanti. Bisogna però essere prudenti: la libertà di ricerca spesso viene invocata a sproposito per coprire, con la scusa del progresso scientifico, forti interessi di mercato. Come avverte Pietro Greco, “il valore che sembra prevalere oggi è quello, pragmatico, che alla conoscenza riconosce il mercato. Un valore utilitaristico: dobbiamo cercare di conoscere quello che ci può tornare immediatamente ed economicamente utile”. Questo è un atteggiamento pericoloso. Soprattutto nel campo della sanità, sono in gioco enormi ragioni economiche, gestite dalle multinazionali farmaceutiche. Evitare che il malato divenga un campo di esperimenti che ignorano la sua personale dignità, questo mi sembra un dovere assoluto dei nostri tempi. In conclusione, ritengo che la ricerca scientifica non possa dirsi
Saggio breve 12 - Ambito tecnico-scientifico
La citazione del doc.2 dà autorità al discorso
L’espressione “mi sembra” rende più misurata e prudente la conclusione
esente da valutazioni morali o etiche; e mi sembra che il lavoro dello scienziato non sia solo quello del ricercatore puro. Una parte importante di tale lavoro consiste anche nella riflessione sulle conseguenze di tale lavoro: come chiaramente afferma Primo Levi: “ciò che farai quando eserciterai la professione può essere utile per il genere umano, o neutro, o nocivo”. Valutare prima che sia troppo tardi, fermarsi a riflettere, chiedere magari l’aiuto o la collaborazione di altri, che possono essere scienziati, o esperti di altri campi: questo mi sembra l’atteggiamento giusto per chi fa ricerca scientifica e la applica, poi, nei campi più svariati della tecnologia.
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L’articolo di giornale: che cos’è e come si fa
Saggio breve e articolo di giornale: somiglianze, ma anche differenze Oltre al saggio breve, la tipologia B della prima prova prevede anche un’altra possibilità: l’articolo di giornale. Quando la commissione vi consegnerà le fotocopie con le tracce e i documenti, starà a voi scegliere se trattare in forma di saggio breve o di articolo di giornale uno dei quattro argomenti della tipologia B. Molti elementi sono in comune tra saggio breve e articolo di giornale, a cominciare dalla presenza di un dossier di documenti: esso va analizzato con cura, per ricavarne spunti e idee. Ma tutto ciò lo abbiamo già detto alle pp. 135-136 e non ci ritorniamo. Altri elementi, invece, sono differenti: scrivere un articolo di giornale non è esattamente la stessa cosa che scrivere un saggio breve. In questo capitolo teorico ragioniamo precisamente su tali elementi di differenza, quelli che rendono specifica (e perché no, interessante) la stesura di un articolo di giornale.
Le consegne ministeriali e la destinazione editoriale Le differenze, rispetto al saggio breve, cominciano con le consegne ministeriali, che non sono identiche a quelle date per il saggio breve. Rileggiamo le consegne per la prova del 2012:
CONSEGNE Sviluppa l’argomento scelto o in forma di “saggio breve” o di “articolo di giornale”, utilizzando, in tutto o in parte, e nei modi che ritieni opportuni, i documenti e i dati forniti. Se scegli la forma del “saggio breve” argomenta la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio. Premetti al saggio un titolo coerente e, se vuoi, suddividilo in paragrafi. Se scegli la forma dell’”articolo di giornale”, indica il titolo dell’articolo e il tipo di giornale sul quale pensi che l’articolo debba essere pubblicato. Per entrambe le forme di scrittura non superare cinque colonne di metà di foglio protocollo.
La differenza maggiore riguarda la destinazione editoriale. “Indica il tipo di giornale sul quale pensi che l’articolo debba essere pubblicato”, dice il ministero: esistono infatti giornali di molti tipi, dal quotidiano alla rivista settimanale d’attualità, dal periodico di settore (che si occupa, per es., di viaggi, di cucina, di storia ecc.) al mensile di approfondimento. È consigliabile escludere le ultime due forme, perché troppo simili alle riviste specialistiche a cui si rivolgerebbe un saggio breve: tanto
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L’articolo di giornale: che cos’è e come si fa
varrebbe, allora, scrivere un saggio breve. Se scegliamo di scrivere un articolo di giornale, è perché desideriamo misurarci con l’attualità e praticare, quindi, una scrittura un po’ più libera e fantasiosa. Quindi, di fatto, la scelta si restringe a due categorie: - il giornale quotidiano (tipo “Corriere della sera”, “La Repubblica”, “Il Messaggero” ecc.); - la rivista settimanale di attualità, del tipo di quelle che gli inglesi chiamano newsmagazine. Tra queste riviste settimanali ci sono anche i rotocalchi più popolari (tipo “Cioè”, “Chi” ecc.) e le riviste d’informazione televisiva, ma è meglio evitare di scegliere questo settore: è troppo lontano dalla scrittura scolastica e potrebbe indispettire i commissari. Ci sono poi riviste più serie, come “Panorama”, “L’espresso”, ecc. Il nostro consiglio è questo: indicate, come destinazione del vostro articolo, semplicemente “una rivista settimanale d’attualità”. Le consegne ministeriali non chiedono di dirne il nome. In alternativa potreste anche indicare “per la pagina culturale di un giornale quotidiano”. Quella precisazione (“per la pagina culturale”) è furba, perché vi esimerà dal dover fare riferimenti troppo stringenti all’attualità o dal dover adottare strategie comunicative davvero giornalistiche. Sono strategie, infatti, non facili da mettere in pratica per giornalisti… dilettanti quali siete voi.
Trovare la circostanza (reale o immaginaria) da cui partire Un articolo di giornale si distingue, rispetto al saggio breve perché è più agganciato all’attualità. Spesso un articolo comincia da un fatto, un episodio di vita vissuta, da cui il ragionamento prende le mosse. Non è necessario che tale evento sia accaduto davvero: potete anche inventarlo voi. Potete anche ricorrere a un espediente: raccontare (brevemente, però) una vostra esperienza personale, dunque un fatto che è capitato a voi (o a un vostro familiare, a un amico ecc.), e da cui si possono trarre delle conseguenze o da cui si può avviare una riflessione più generale. Un altro consiglio. Per l’argomento socio-economico (2009: anno della creatività e dell’innovazione) che fu proposto nel 2009, il ministero presentò documenti tratti dalle seguenti fonti: -
G. DE PAOLA, L’Europa al servizio della conoscenza, Nòva, 15 gennaio 2009 “Proposta di decisione del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa all’Anno europeo della creatività e dell’innovazione (2009)” A. TESTA, Sette suggestioni per il 2009, www.nuovoeutile.it S. CARRUBBA, Contro le lobby anti-innovazione, in “Il Sole 24 ORE”, 18 maggio 2003 N. NEGROPONTE, capo MIT, Technology Review: Articoli
L’elenco di queste fonti, e dei loro autori, ci suggerisce una situazione immaginaria (ma non troppo) da cui avviare il nostro articolo di giornale: esso potrebbe nascere come resoconto di un convegno o congresso o incontro internazionale a cui partecipano alcuni grandi esperti, per discutere di un certo tema (in questo caso: “Creatività e innovazione”). Voi potreste essere stati chiamati, dal direttore di un quotidiano o dalla rivista a cui collaborate, a stendere un articolo in proposito. Avreste così l’occasione di riportare le idee di ciascuno studioso, mettendole in bocca al diretto interessato.
Articolo di resoconto o di commento? Due forme assai diverse Il resoconto di un evento culturale (mostra, convegno, premio, ecc.) appare la forma più semplice e promettente per scrivere un articolo di giornale per l’esame di Stato. Vi impegnerà, tra l’altro, in un elaborato di tipo espositivo-informativo (v. p. 138, Esposizione o argomentazione) che è sicuramente la più facile. L’altra forma possibile è quella del commento, cioè dell’articolo d’opinione, in cui si espone la propria personale opinione su un certo fenomeno. Quest’altro genere di articolo è ben più impegnativo rispetto al resoconto di taglio espositivo; infatti chi fa giornalismo d’opinione deve, nei suoi articoli, convincere i lettori circa la bontà delle proprie tesi. Perciò deve ricorrere a quegli elementi (dimostrazione della propria tesi, analisi delle possibili obiezioni, ecc.) che sono tipici dei testi argomentativi. Non è impossibile, ma più difficile sì: sappiatelo.
L’attacco giornalistico o lead A distinguere un articolo di giornale dal saggio breve sono due aspetti: - l’attacco (inizio) o lead; - il linguaggio, che dev’essere appunto “giornalistico”. Qui consideriamo il lead. Esso ha la funzione di aprire l’articolo e mira a catturare l’attenzione e la curiosità di chi legge. Dev’essere confezionato bene, perché le prime righe di un articolo sono sempre decisive: o si riesce ad avvincere i lettori, o li si perdono irrimediabilmente. Diamo esempi di lead efficaci, di vario tipo (sono tutti tratti da veri articoli di giornale):
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a) Si può cominciare con una frase breve a effetto, che anticipa l’elemento più importante della notizia, per approfondirlo successivamente. Per esempio: “Far West metropolitano a Viareggio.” “Una parola nuova, biosensori, entra nella storia dello scompenso cardiaco e ne cambia l’interpretazione.”
b) Si può iniziare con una frase interrogativa, seguita o meno da risposta. Per esempio:
“Italiani, cuore a rischio? Pare proprio di sì.” “Bisogna avere paura della morte? Un grande filosofo greco, Epicuro, sosteneva di no: ‘Fino a che una persona vive, la morte non è; e quando la morte è, quella persona non è più’.” “È la terza guerra mondiale? Questa domanda se la sono posta in molti guardando alla TV le scene del terrore a Manhattan e a Washington.”
c) Si può attrarre l’attenzione con la frase di qualcuno, riferita tra virgolette. Per esempio: “‘Ho provato un grande senso di smarrimento davanti a questa tragedia’. È il primo commento di Ombretta Colli, presidente della Provincia di Milano, giunta al Pirellone pochi minuti dopo l’impatto dell’aereo sulla struttura del grattacielo.” “‘La Russia è alleata dell’Alleanza e per la prima volta nella storia l’Europa è unita, libera e in pace’: con queste parole il presidente americano, George Bush, ha descritto il patto sulla sicurezza fra la Nato e Mosca ecc.”
d) Si può presentare brevemente, all’inizio dell’articolo, una situazione o un fatto (descritti più avanti), mediante uno o più particolari che attirano l’attenzione. Per esempio: “Una battaglia che dura da 30 anni, contro un nemico invisibile (la fibra di amianto) che si comporta come un Killer provocando una malattia, l’asbestosi, da cui non si guarisce. Succede a Broni, in Oltrepò Pavese, terra soprattutto di buon vino, dove il numero delle vittime d’amianto non è mai stato censito con precisione.” “Carina lo era di sicuro, con i suoi occhi chiari e la cascata di capelli ricci, lunghi e biondi che le incorniciavano il volto. E poi era alta e indossava una minigonna mozzafiato a fiori. Infine aveva dalla sua la gioventù, dato che poteva avere 17 o 18 anni al massimo. Ma dietro quel volto angelico si nascondeva una rapinatrice fredda e risoluta.”
e) Anche l’enumerazione nuda e cruda di dati o fatti si presta a introdurre un argomento: “Quasi 40mila posti a forte rischio e oltre 9200 lavoratori già espulsi dalla produzione attraverso la mobilità o il licenziamento. Eccole, le cifre della crisi in Lombardia, raccolte e spiegate in uno studio approfondito della Cgil regionale che ha censito ben 163 aziende in difficoltà”. “Pagavano 800 lavoratori in nero, hanno emesso fatture false per un valore di 80 milioni di euro, non hanno versato contributi previdenziali per 25 milioni di euro. Un meccanismo di frode fiscale complesso, ma che funzionava.”
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L’articolo di giornale: che cos’è e come si fa
Il linguaggio giornalistico L’attacco o lead è molto importante, ma più in generale l’intero vostro articolo di giornale dovrebbe essere scritto con un linguaggio giornalistico, più mosso e vivace, quindi, rispetto al tono del saggio breve. Infatti ogni giornale cerca di rendersi chiaro e comprensibile al pubblico eterogeneo al quale si rivolge; non sempre ci si riesce, ma bisogna aver chiaro l’obiettivo. Perciò anche voi, nella stesura del vostro articolo di giornale, cercate di curare questi aspetti: a) adottare un lessico corrente, tratto dalla vita comune, qualche volta anche dal gergo giovanile; b) la sintassi dovrebbe risultare più piana, costituita da periodi brevi e con uso prevalente della paratassi; c) in generale, lo stile si caratterizza per la presenza di frasi nominali (del tipo: “Paura e rabbia. Preoccupazione per tre bimbi ricoverati in ospedale con la meningite…”) e di un tono discorsivo vivace, un ritmo rapido, dato da qualche spezzettatura e dissonanza, dalle pause create dalle congiunzioni, per ottenere più avvincente la lettura. Sono tutti espedienti utili, ma evitate di abusarne: state pur sempre scrivendo un testo d’esame e state solo fingendo che si tratti di un vero articolo di giornale. Fate dunque i giornalisti con criterio: ricordate che, aldilà della forma più o meno vivace, ciò che conta di più restano i contenuti. Contenuti che dovranno in ogni modo risultare coerenti con il titolo, ben documentati, costruiti secondo logica. Su tutto ciò l’articolo di giornale non si discosta dal saggio breve. Solo, aggiunge un po’ di sale e pepe in più; ma con giudizio.
Un ingrediente essenziale: il titolo (e sottotitolo) Una volta completata la stesura, dovete pensare a quale titolo dare al vostro articolo. È un passaggio essenziale, perché in un vero giornale i titoli sono un ingrediente essenziale. Un titolo di giornale è quasi sempre composto da tre elementi: a) occhiello (sopra il titolo): inquadra la notizia o introduce l’argomento; b) titolo vero e proprio: in caratteri grandi ben chiari, presenta la notizia o ne evidenzia le caratteristiche; c) sommario: offre un breve, essenziale riassunto dell’articolo; sul piano grafico, si presenta in caratteri più piccoli rispetto a quelli del titolo e dell’occhiello. Per esempio: L’annuncio in latino durante il concistoro per la canonizzazione dei martiri di Otranto IL PAPA SI DIMETTE DAL PONTIFICATO “Le forze e l’età avanzata non più adatte al ministero”. L’Osservatore romano: “Decisione presa da mesi” (fonte: sito internet del “Corriere della sera” 11/02/2013)
Nel vostro elaborato dovranno comparire almeno due livelli di titolazione (titolo+sommario); se riuscite a fornire un titolo su tre livelli (occhiello+titolo+sommario), meglio ancora. Lo stile della titolazione varia da caso a caso. Semplificando, esistono due grandi categorie di titoli (per titolo, intendiamo qui il complesso di occhiello, titolo, sommario): - i titoli freddi, informativi e privi di carica emotiva (del tipo: Il Papa si dimette dal pontificato); - e i titoli caldi, quelli che drammatizzano e spesso amplificano le notizie (del tipo: Choc dal Vaticano, il Papa saluta e se ne va). Cercate di inventare un titolo caldo per il vostro elaborato, ma fate attenzione a non cadere nel banale o nell’enfatico. Evitate, se potete, gli abusati riferimenti metaforici a catastrofi naturali, del tipo Bufera alla Rai, Terremoto in Regione e così via. Se non riuscite a trovare un titolo caldo che vi soddisfi, accontentatevi di un titolo freddo, purché sia chiaro e ben strutturato.
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ARTICOLO DI GIORNALE
ambito artistico-letterario
ARGOMENTO: Il piacere della lettura CONSEGNE Sviluppa l’argomento scelto o in forma di “saggio breve” o di “articolo di giornale”, utilizzando, in tutto o in parte, e nei modi che ritieni opportuni, i documenti e i dati forniti. Se scegli la forma del “saggio breve” argomenta la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio. Premetti al saggio un titolo coerente e, se vuoi, suddividilo in paragrafi. Se scegli la forma dell’”articolo di giornale”, indica il titolo dell’articolo e il tipo di giornale sul quale pensi che l’articolo debba essere pubblicato. Per entrambe le forme di scrittura non superare cinque colonne di metà di foglio protocollo.
DOCUMENTI
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Non esistono forse giorni della nostra infanzia che abbiamo vissuto intensamente quanto quelli che crediamo di avere perduto senza viverli, i giorni trascorsi in compagnia di un libro molto caro. Tutto quello che piaceva ai più lo allontanavamo come un volgare ostacolo per un piacere divino: l’amico che veniva a cercarci per giocare quando stavamo nel passaggio più interessante; la molesta ape o il raggio di sole che ci obbligava ad alzare gli occhi dalla pagina o a cambiare posizione; la merenda che ci avevano obbligato a portare con noi e che lasciavamo intatta… M. PROUST, Del piacere del leggere Firenze-Antella, Passigli, 1997
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In definitiva io penso che dobbiamo leggere solo libri che ci scuotano e ci provochino. Se il libro che stiamo leggendo non ci colpisce come un soffio di vento nel cranio, perché annoiarsi leggendolo? Solo perché può farci contenti, come suggerisci tu? Buon Dio, saremmo contenti come se non avessimo alcun libro; libri che possano farci contenti possiamo, in caso di emergenza, scriverceli da soli. Ciò di cui abbiamo bisogno sono libri che ci sconvolgano come la più nera delle disgrazie, come la morte di qualcuno che amiamo più di noi stessi, che ci diano la sensazione di essere stati esiliati in una remota foresta, lontano da ogni presenza umana, come un suicida. Un libro deve essere l’ascia che spezza il mare ghiacciato che è dentro di noi. Questo è ciò che credo io.
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F. KAFKA, Lettera a Oskar Pollak [1904], in Lettere, a cura di F. Masini, A. Mondadori, Milano 1988
Non leggete, come fanno i bambini, per divertirvi, o, come gli ambiziosi, per istruirvi. No, leggete per vivere. G. FLAUBERT, Lettera a Mille de Chantepie, 1857
Ma chi sarà il padrone? Lo scrittore o il lettore? D. DIDEROT, Jacques il fatalista e il suo padrone [1796], a c. di P. Bianconi, Rizzoli, Milano 2008
Il lettore si eccita quindi davanti a una libertà dell’opera, a una sua proliferatività infinita, di fronte alla ricchezza delle sue interne aggiunzioni, delle proiezioni inconscie che vi convoglia, dell’invito che la tela gli fa a non lasciarsi determinare dai nessi causali e dalle tentazioni dell’unico, impregnandosi in una transazione ricca di scoperte sempre più imprevedibili.
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U. ECO, Opera aperta, Milano, Bompiani, 1962
La nostra epoca ha già nostalgia dei libri. Non li ha ancora eliminati, non è ancora riuscita a sostituirli con lo schermo dei computer. E se l’umanità che legge smettesse di leggere? Interromperemmo una catena virtuosa, che ci consente di collegarci, anche senza internet, con il mondo del passato e del presente lontano da noi. La lettura è esplorazione, esposizione di sé all’esperienza altrui. Poi, si sa, c’è anche l’arte, l’emozione di incontrare l’opera d’arte sotto forma di poesia, di romanzo o racconto. In breve, diventeremmo molto più poveri. Chi legge sa che, se smette, qualcosa finisce, un mondo scompare. Impossibile? È già accaduto un’infinità di volte. P. MAURI, L’arte di leggere. Aforismi sulla lettura, Einaudi 2007
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L’articolo di giornale 1 - Ambito artistico-letterario
Svolgimento Destinazione editoriale Un titolo “caldo” per l’articolo Poiché l’articolo è scritto per un quotidiano, non ha bisogno di sottotitoli interni Citazioni letterarie (Proust e Caproni) per elevare il tono: l’articolo è destinato alla pagina culturale del giornale
Il richiamo all’esperienza personale: se manca una circostanza reale o immaginaria da cui partire, bisogna almeno partire dall’esperienza personale
Nuovo richiamo all’esperienza personale
Fonte autorevole per convalidare il ragionamento Ribaltamento di prospettiva per tenere desta l’attenzione (s’introduce così una digressione sulla scrittura)
I pregi della scrittura
I limiti della scrittura
Articolo scritto per la pagina culturale di un quotidiano
LA PAGINA SCRITTA CHE INCENDIA IL CUORE Molti anni fa lessi una frase di Marcel Proust che mi parve subito assai bella ma, per dire la verità, anche un po’ eccessiva. Era il periodo in cui, come scrive il poeta Giorgio Caproni, la vita s’avverte in modo più intenso: “Oh, altezza / mai più raggiunta dal fuoco del cuore”. Le parole di Proust, allora, mi sembrarono troppo lontane da quel “fuoco del cuore”. Dicevano: “Non esistono forse giorni della nostra infanzia che abbiamo vissuto intensamente quanto quelli che crediamo di aver perduto senza viverli, i giorni trascorsi in compagnia di un libro molto caro?”. È passato parecchio tempo e quelle parole mi sono tornate spesso alla mente con un sapore sempre più intenso di verità. Non perché il “fuoco del cuore” abbia attenuato le sue fiamme, che sarebbe una ragione troppo biografica e un po’ scontata; piuttosto, perché la lettura tende con gli anni a diventare una specie di doppio dell’esistenza, anzi, un concentrato di esistenza raramente eguagliato, per intensità, nell’ordinario scorrere delle giornate. Ho letto molti libri, alcuni per intero, altri parzialmente. Qualcuno l’ho tralasciato dopo le prime pagine, qualche altro l’ho detestato. Con l’esperienza ho imparato, credo, a riconoscere i libri che mi piacciono, i soli che valga la pena di leggere per davvero. Diceva Franz Kafka: “Se il libro che stiamo leggendo non ci colpisce come un soffio di vento nel cranio, perché annoiarsi leggendolo? Un libro dev’essere l’ascia che spezza il mare ghiacciato che è dentro di noi”. A dispetto di questa mia lunga esperienza, se dovessi rispondere alla domanda del perché si legga, la ribalterei cominciando dalla domanda opposta: perché si scrive? La risposta più semplice è quella razionale: la scrittura è la forma migliore di comunicazione, una forma, per ora, insuperata. Il mezzo è duttile, adatto alla riflessione come all’impeto, si conserva nel tempo, consente approfondimenti, richiami, citazioni altrui, sopporta qualunque indugio, purché sapiente. Insomma, quanto di meglio per diffondere informazioni, suggerire emozioni, stimolare reazioni d’ogni genere. Ma la scrittura, ecco il punto, è anche una forma artificiosa di comunicazione, diciamo pure la più innaturale: una superficie, in genere bianca, viene ricoperta di piccoli segni, in genere neri, che per convenzione hanno un certo suono e che, raggruppati in parole e poi in frasi, assumono un certo significato. Si tratta, com’è evidente, di un’attività puramente mentale, quanto di più lontano dalla naturalezza.
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SEZIONE 3
Il discorso passa dalla scrittura alla lettura
Nuova citazione di fonte autorevole
Nuovo paradosso, per tener viva l’attenzione Divagazione, che svia un po’ il filo del discorso
Riferimento culturale (Eco)
Ripresa del ragionamento precedente e rilancio del paradosso L’autorità della fonte convalida il ragionamento
Ripresa del discorso principale, in vista della conclusione Suggere è un verbo molto elegante e letterario ma biberon è un termine colloquiale: si crea così uno scarto nel linguaggio
La conclusione allarga il ragionamento: dal leggere (o dallo scrivere) alla lingua, cioè alla comunicazione umana Lo scopo del comunicare: esistere in quanto uomini
In quest’ottica, leggere fa parte della stessa operazione mentale: trasferendola in termini fotografici potremmo dire che si tratta del “positivo” rispetto al “negativo” della scrittura. Il bello di quei piccoli segni neri è che, scorrendoli con gli occhi (come state facendo ora), restituiscono il valore che chi li ha scritti ha inteso dar loro. Lo restituiscono in misura maggiore o minore obbedendo a una certa quantità di parametri […]. Nel suo Jacques il fatalista a un certo punto Denis Diderot fa pronunciare al suo personaggio le parole: “Ma chi sarà il padrone? Lo scrittore o il lettore?”. Una prima risposta legittima è: entrambi. Alla libertà dello scrittore di mettere su carta ciò che vuole (là dove abbia la possibilità di farlo senza pericoli, beninteso) corrisponde, infatti, la libertà del lettore di interpretare come meglio crede ciò che legge. Come si usa dire, e non si tratta di una battuta, l’autore di un romanzo non è il suo miglior critico, anche se non bisogna mai dimenticare che, fra le tante cose utili alla comprensione di un testo, bisogna mettere pure ciò che Tommaso d’Aquino definiva quem auctor intendit, le intenzioni dell’autore. All’inizio degli anni Sessanta Umberto Eco, autore di precoce ingegno, pubblicò un saggio dal titolo Opera aperta, che indicava come caratteristica dell’opera d’arte la sua “apertura interpretativa”. Se si può rispondere alla domanda di Diderot sulla “proprietà” di un testo dicendo “entrambi”, Eco spingeva invece la questione al suo limite, teorizzando il paradosso secondo il quale il vero padrone è in realtà l’interprete, cioè il lettore, o l’osservatore nel caso di un’opera visiva. Tutte le grandi opere d’arte, sosteneva, non solo quelle moderne, sono “aperte” a diverse possibilità di lettura, suscettibili cioè di essere interpretate nei modi più vari. […] Che cosa succede in realtà quando ci si lascia andare al piacere, o al dovere, della lettura? Quali meccanismi emotivi si attivano? Quali frutti se ne ricavano? La lingua che suggiamo insieme al primo latte si chiama, non a caso, “madre”; non è infatti meno madre delle mammelle (o del biberon) dalle quali traiamo alimento. Il nostro grande umanista Leon Battista Alberti esortava le donne che hanno cura dei bambini, madri o balie, a insegnare il prima possibile l’alfabeto, anche in forma puramente visiva, associando ogni lettera al suono. La lingua è madre perché ci permette d’intrattenere rapporti con gli altri; ma prima ancora, perché ci consente di pensare noi stessi come individui, di capire (chi più, chi meno) chi siamo, in definitiva di esistere in quanto esseri pensanti. Se il pollice opponibile ha messo in grado il genere umano di arrivare per evoluzione all’Homo faber, il linguaggio articolato, i nomi delle cose hanno permesso la comparsa dell’Homo cogitans. C. AUGIAS, “La Repubblica”, 26/9/2007
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L’articolo di giornale 2 - Ambito storico-politico
ARTICOLO DI GIORNALE
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ambito storico-politico
ARGOMENTO: L’unità d’Italia, oggi CONSEGNE Sviluppa l’argomento scelto o in forma di “saggio breve” o di “articolo di giornale”, utilizzando, in tutto o in parte, e nei modi che ritieni opportuni, i documenti e i dati forniti. Se scegli la forma del “saggio breve” argomenta la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio. Premetti al saggio un titolo coerente e, se vuoi, suddividilo in paragrafi. Se scegli la forma dell’”articolo di giornale”, indica il titolo dell’articolo e il tipo di giornale sul quale pensi che l’articolo debba essere pubblicato. Per entrambe le forme di scrittura non superare cinque colonne di metà di foglio protocollo.
DOCUMENTI
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È da qualche anno che in alcuni settori dell’opinione pubblica italiana va facendosi strada una lettura fortemente negativa del Risorgimento. Ma non si tratta di un fenomeno del tutto nuovo, visto che fin dal 1860 il ricordo degli avvenimenti che avevano portato alla nascita dello Stato nazionale fu caratterizzato da polemiche, conflitti, rotture. C’era un’Italia monarchica e ufficiale che considerava casa Savoia come protagonista principale e quasi unica del Risorgimento, tanto da lasciare in ombra perfino il ruolo di Cavour; c’era un’altra parte del Paese che criticava un’unificazione che, sosteneva, aveva coinciso con la “conquista piemontese” del resto d’Italia ed identificava il vero Risorgimento, l’unico che meritasse d’essere celebrato, con l’azione di Garibaldi e dei democratici. C’era infine una parte della popolazione che, su posizioni cattoliche intransigenti, condannava in blocco il Risorgimento perché aveva sottratto al Papa i suoi territori rendendolo sostanzialmente prigioniero del nuovo Stato italiano. […] In particolare, il conflitto tra opposte memorie si manifestava quando c’era qualche anniversario da celebrare, dando luogo alla pratica delle due differenti manifestazioni: a quella ufficiale, in cui parlavano i rappresentanti delle istituzioni, si contrapponeva quella della sinistra (composta da democratici e mazziniani, ma da un certo punto in poi anche da socialisti) che celebrava un suo Risorgimento alternativo, considerato come una rivoluzione che, interrotta da Cavour e dal re nel 1860, occorreva riprendere per costruire uno Stato veramente democratico e popolare. […] A queste inclinazioni antirisorgimentali non sembra contrapporsi qualcuno ancora interessato a considerare la nascita dello Stato nazionale come qualcosa non proprio da buttar via. Giovanni Belardelli, Corriere della Sera, 23 aprile 2010
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Il Risorgimento ha trasformato l’Italia, da quella “espressione geografica” di metternichiana memoria, in un’entità statuale fondata sul binomio fra patria e libertà e in una componente a pieno titolo del concerto europeo. [...] C’è più di un motivo per tornare a riflettere, ai giorni nostri, su quel che ha rappresentato la “rivoluzione nazionale”, malgrado tutte le pecche e le difficoltà dovute a un’unificazione tardiva e a un parto estremamente laborioso, per il riscatto e l’evoluzione di un Paese altrimenti frantumato e ai margini dell’Europa. Poiché il Risorgimento fu l’opera delle forze più attive e consapevoli della società e della cultura italiana. [...]. Il patrimonio storico e ideale lasciatoci dagli uomini del Risorgimento è ancor oggi una risorsa preziosa. Giacché può aiutarci a ricomporre le fondamenta di un sentire comune e di un impegno collettivo che valgono ad assicurare ulteriori conquiste di libertà e di progresso, nonché ad affrontare con unità d’intenti i problemi dell’ora presente: ad assolvere pertanto ai compiti che attendono l’Italia nella costruzione di una nuova e più grande Europa. Valerio Castronovo, in “Il Sole 24 ORE”, 18 novembre 2001
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Il ciclo delle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità […] è stata una lezione secca per gli scettici, e ancor più per coloro che prevedevano un esito meschino, o un fallimento, dell’appello a celebrare i centocinquant’anni dell’unificazione nazionale. Soprattutto, è stata una grande conferma della profondità delle radici del nostro stare insieme come Italia unita. Si può davvero dire che le parole scolpite nella Costituzione – “la Repubblica, una e indivisibile” – hanno trovato un riscontro autentico nell’animo di milioni di italiani in ogni parte del Paese. […] Si può ritenere che il così ampio successo registratosi vada messo in relazione col bisogno oggi diffuso nei più diversi strati sociali di ritrovare – in una fase difficile, carica di incognite e di sfide per il nostro Paese – motivi di dignità e di orgoglio nazionale, reagendo a rischi di mortificazione e di arretramento dell’Italia
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SEZIONE 3
nel contesto europeo e mondiale. […] È stato dunque giusto e ha pagato […] favorire quella che non esito a chiamare una riappropriazione diffusa, da parte degli italiani, del filo conduttore del loro divenire storico, del loro avanzare – tra ostacoli e difficoltà, cadute e riabilitazioni, battute d’arresto e balzi in avanti – come società e come Stato nei secoli XIX e XX. Giorgio Napolitano, Una e indivisibile. Riflessioni sui 150 anni della nostra Italia, Rizzoli, Milano 2011
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Il logo ufficiale delle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia (17 marzo 2011)
L’articolo di giornale 2 - Ambito storico-politico
Svolgimento La destinazione editoriale Occhiello prima del titolo vero e proprio Il titolo dell’articolo La circostanza d’attualità da cui si parte (doc. 4) L’obiezione alla tesi (l’Italia Paese diviso) La tesi: l’Italia è un grande Paese e può essere orgogliosa di sé
I due elementi fondamentali di unità
Il connettivo Perciò salda la tesi alla circostanza d’attualità
L’articolo è abbastanza breve; non ha sottotitolo, ma inizi in grassetto, per differenziare i suoi capoversi Nuove obiezioni alla tesi (i fattori di divisione: v. doc. 1)
L’obiezione discussa e rigettata da un altro argomento Linguaggio giornalistico: frasi brevi, sintassi piana
Conclusione dell’obiezione Il testo è un articolo di commento e d’opinione = testo argomentativo La tesi (l’Italia è “un”) viene riproposta inglobando le ragioni dell’obiezione (i fattori di divisione sono forti)
Articolo scritto per la pagina culturale di un quotidiano UNITI, ALMENO UN GIORNO
RITROVIAMO L’ORGOGLIO DELL’UNITÀ L’Italia che oggi arriva al suo 150° compleanno, e lo celebra in Parlamento e nelle piazze, è un Paese su molti aspetti diviso. Dalla storia, e dalla geografia. Sulla memoria storica, e sugli interessi territoriali. Ma è un grande Paese, che può essere orgoglioso del contributo di bellezza, sapere, lavoro che con i suoi artisti, scienziati, emigranti ha dato all’umanità. Il Paese degli ottomila Comuni, che a ogni collina cambia accento, paesaggio, costumi e prodotti, ma che mantiene una vocazione universale: la classicità e la cristianità, i Cesari e i Papi; il Rinascimento, con cui insegnò al mondo a raffigurare e pensare le cose, e il Risorgimento, con cui si riaffacciò sulla scena internazionale. Perciò oggi è giusto festeggiare, tutti insieme; senza che questo implichi essere tutti d’accordo, condividere la stessa idea dell’Italia. Il Risorgimento che unificò la penisola scontentò cattolici e repubblicani, e comportò una guerra civile al Sud. Anche la Costituzione nacque alla fine di un sanguinoso scontro interno. Il dopoguerra è stato segnato prima dalle contrapposizioni ideologiche, poi da quelle personali. Oggi la festa è contestata al Nord dai leghisti - anche se non da tutti - e al Sud da un movimento che sarebbe riduttivo definire neoborbonico, e presto troverà una sua forma di rappresentanza politica, una lega del Mezzogiorno. Ma Paesi considerati più patriottici del nostro hanno alle spalle divisioni anche peggiori. Gli Stati Uniti furono lacerati da una guerra civile che lasciò il Sud pressoché distrutto. I francesi si sono trucidati tra loro negli anni della Rivoluzione e della Comune. Spagna e Regno Unito si misurano da decenni con separatisti armati. Eppure i nostri vicini e alleati si riconoscono in valori comuni. Ciò che unisce è più di ciò che divide. Perché lo stesso non dovrebbe valere per noi? Non si tratta di ricostruire in laboratorio impossibili memorie condivise, ma di riconoscere che pure noi italiani abbiamo un passato di cui possiamo andare fieri e un futuro ricco di possibilità. L’attaccamento alle piccole patrie, ai dialetti, ai Comuni è giusto e utile, è la ricchezza che il mondo globale ci chiede; e può stare assieme al legame con la patria comune che ci comprende tutti.
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SEZIONE 3
Citazioni (Manzoni e Manin, poi i 2 presidenti della Repubblica) come prove, a conferma della tesi
Conclusione: ritroviamo le ragioni dell’unità nel vissuto delle nostre famiglie
La tesi viene riproposta inglobando le ragioni dell’obiezione (le sofferenze causate dall’unificazione)
Ce lo insegnano Alessandro Manzoni, grande italiano e grande milanese, che compose l’ode oggi ripubblicata dal Corriere quand’era ancora cittadino austriaco. E Daniele Manin, acclamato dai veneziani che sventolavano il vessillo con il leone di San Marco e il Tricolore. Oggi ricordiamoci anche di Ciampi, quando dice di sentirsi livornese, toscano, italiano ed europeo. E di Napolitano, quando ricorda l’influenza fortissima sull’identità italiana di Napoli e l’urgenza del suo riscatto. Anche nelle nostre famiglie c’è un personaggio che ha contribuito a fare la storia d’Italia. Nel Risorgimento, nelle due Guerre mondiali, nelle varie forme che assunse la Resistenza, nella ricostruzione. Oggi raccontiamone la storia ai nostri figli e ai nostri nipoti. Ritroviamo quel frammento di memoria nazionale che ogni casa custodisce, magari in forma di lettere, cimeli, ritratti. E non temiamo le sofferenze che pure ci portiamo dietro; perché anche di quelle possiamo essere orgogliosi, anche quelle servono a costruire un futuro che oggi potrebbe apparirci meno avaro e meno incerto. Aldo Cazzullo, “Corriere della Sera”, 17 marzo 2011
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L’articolo di giornale 3 - Ambito socio-economico
ARTICOLO DI GIORNALE
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ambito socio-economico
ARGOMENTO: Le trasformazioni provocate dai mutamenti sociali negli ultimi decenni nella struttura della famiglia italiana CONSEGNE Sviluppa l’argomento scelto o in forma di “saggio breve” o di “articolo di giornale”, utilizzando, in tutto o in parte, e nei modi che ritieni opportuni, i documenti e i dati forniti. Se scegli la forma del “saggio breve” argomenta la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio. Premetti al saggio un titolo coerente e, se vuoi, suddividilo in paragrafi. Se scegli la forma dell’”articolo di giornale”, indica il titolo dell’articolo e il tipo di giornale sul quale pensi che l’articolo debba essere pubblicato. Per entrambe le forme di scrittura non superare cinque colonne di metà di foglio protocollo.
DOCUMENTI Il dossier dei documenti compare a pagina 168, dove il medesimo argomento è stato trattato in forma di Saggio breve.
Svolgimento Destinazione editoriale
Articolo scritto per un settimanale di cultura o per un periodico di analisi sociale
Un titolo “caldo” per l’articolo (in questo caso, però, si rivelerà un titolo poco allineato con i contenuti)
FAMIGLIE ADDIO, LARGO ALL’INGEGNERIA SOCIALE
L’occhiello dell’articolo presenta un breve sommario,
Mancando un riferimento fisso quale era il nucleo tradizionale, vivere in società è diventata un’operazione complessa ed oggetto di studio.
in tono neutro
Ogni paragrafo ha un proprio titolino, per facilitare la lettura Per cominciare: un fatto di attualità (circostanza reale) La fonte da cui è tratto l’episodio (una trasmissione televisiva)
Dall’episodio una prima conclusione
Quando è la madre a portare i pantaloni (e il padre il pallone) Un giorno d’estate. Piscina. Una madre, sul bordo della vasca, urla chiamando il figlio di 5 anni affinché si vesta. Il bambino, che sta giocando in una piscina retrostante col padre, ne esce, corre verso la genitrice e la getta in acqua colpendola da tergo. Questo è quanto proposto da una trasmissione televisiva (“SOS tata”, di La7) poche settimane fa: uno studio sul comportamento sociale dei bambini difficili. Nel caso citato, il problema nasce dall’eccessiva autoritarietà della madre che è rifiutata dal figlio, iperattivo e maleducato. L’unica persona con la quale intrattiene un rapporto cordiale è il padre, figura amica al quale dà ascolto e che si trasforma spesso e volentieri in compagno di giochi. L’inversione dei ruoli tra i genitori causa uno scompenso e, dunque, problemi.
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SEZIONE 3
I recenti mutamenti della famiglia
Una causa generale (solo accennata)
Com’era la famiglia patriarcale, qualche decennio fa (v. doc. 1)
La causa dei mutamenti: la nuova mentalità indotta dal Sessantotto e dalla contestazione
L’interpretazione: la società si democratizza
Una conseguenza positiva: nuovi rapporti genitori/figli
Dal passato all’oggi: l’analisi della situazione attuale Si citano i dati del doc. 3
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Un mini-stato centralizzato È inutile dire che, solo 20 anni fa, una situazione del genere non sarebbe stata risolta con una risata. Le diverse gerarchie in famiglia avrebbero, perfino, potuto causare il trasferimento del figlio in un collegio, con conseguente distruzione degli affetti tra i componenti della famiglia. Se si è arrivati a una situazione di quasi parità tra genitori e figli, la causa va ricercata nell’evoluzione socio-economica dello Stato Italiano. All’inizio (fino agli anni ’60) era la famiglia (semi-)patriarcale, che aveva nella figura centrale del nonno, o del padre, il simbolo di autorità e potere economico. La madre, che da “angelo del focolare” acquisiva mano a mano autonomia, era più coinvolta nei problemi psicologici della famiglia e spesso si poneva come intermediario tra i figli e l’augusto pater familias. Figli che valevano zero e non avevano diritti, nonostante il professato enorme legame con la parentela in toto, perfino con parenti mai visti e conosciuti. Contestazione e rivoluzione Gli anni che vanno dal ’68 al ’75 sono devastanti per la famiglia. I moti studenteschi in tutto il mondo sgretolano il tabù dei rapporti sessuali consentiti solo tra coniugi. La legge sul divorzio dà spazio ad un modello di famiglia che ricalca quello tipicamente americano del “nucleo con figli e un solo genitore” (l’altro tipicamente lontano o inesistente). La possibilità di abortire, oltre a sminuire le conseguenze di ogni rapporto sessuale, è fonte di dissidi che spaccano famiglie intere, specie se fortemente cattoliche. La contestazione del ’68 porta ad una emancipazione mentale e comportamentale dei giovani, che aprono gli occhi sui problemi nazionali e mondiali, diventandone partecipi. Aumentando il loro peso critico e la loro voglia di democraticità della società, non possono più accettare un modello patriarcale: così portano la contestazione in casa. La famiglia si restringe e i rapporti tra genitori e figli cambiano, si umanizzano (pensiamo che si dava ancora del “voi” ai genitori). Quando la mamma non c’è, i figli (s)ballano Nel frattempo e arrivando ai giorni nostri, la forte crisi economica, i costi elevati per soddisfare i bisogni costringono ambo i genitori a trovare un impiego così da raddoppiare le entrate mensili. E allora? Meno madri casalinghe, più madri lavoratrici (da statistiche del Corriere della Sera del 1999 il rapporto è 41/100 a 39/100). I figli, così, si trovano ad occupare case vuote durante il giorno, e sono costretti a crescere più velocemente del previsto. Questo è più difficile per due cause: il bassissimo numero di fratelli, che possono aiutarsi tra loro (ben il 79% dei bambini fino a 13 anni ha un solo fratello, o non ce l’ha nemmeno); la mancanza della figura genitrice, che ha abbandonato l’atteggiamento orientato ai
L’articolo di giornale 3 - Ambito socio-economico
Come giudicare questa evoluzione? Il punto di vista della Chiesa Due novità: coppie di fatto ed emancipazione della donna
Non tutto è positivo: crisi della famiglia, crisi dei figli
Conclusione: cresce la solitudine degli individui, come si vede da: a) coniugi separati Riferimento a un’autorità (Verga) b) mancanza di luoghi d’incontro
bisogni del bambino, per soddisfare le necessità familiari, o personali. La Chiesa, anche di recente, si è lamentata per le coppie di fatto, che costituiscono un modello anomalo di famiglia (e quindi di esempio) nel quale viene meno il matrimonio come simbolo di unione per la vita; ma anche, e va sottolineato, per l’aumento della emancipazione femminile, che porta la donna a far carriera anche se con figli che, giocoforza, deve trascurare. Equiparandosi, in tal caso, al padre in quanto all’educazione dei figli (facendo, cioè, poco, e nei ritagli di tempo) e simmetrizzando il ruolo dei due sessi. Meglio soli o male accompagnati? Per ora, soli e senza speranza Situazioni di scompenso dell’autorità genitoriale si pagano. I figli ne soffrono e i loro comportamenti sono innaturali: aggressivi o chiusi all’opposto. Il mondo diventa un’entità separata, tra l’altro da un muro arduo da valicare. Gli scenari possibili sono tantissimi e in ognuno pesa la psicologia degli individui in gioco. Mi lascia parecchio pensare il dato che indica la presenza non indifferente di coppie che vivono in due abitazioni separate, facendo i pendolari. È sintomo di disagio economico, forse. Ma anche di paura di “perdersi nel mondo”, come scriverebbe Verga. Anni fa si popolavano, e ce n’era la possibilità, città, parchi, luoghi di ritrovo; ci si conosceva e si “viveva”. Ora le giornate trascorrono sempre tra i soliti quattro muri, si dialoga con il PC e ci si isola ascoltando musica in cuffia. E forse non è un caso che oltre il 21% degli italiani sia solo. citato da: marcodaforli.altervista.org
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ARTICOLO DI GIORNALE
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ambito tecnico-scientifico
ARGOMENTO: Social network, Internet, New Media CONSEGNE Sviluppa l’argomento scelto o in forma di “saggio breve” o di “articolo di giornale”, utilizzando, in tutto o in parte, e nei modi che ritieni opportuni, i documenti e i dati forniti. Se scegli la forma del “saggio breve” argomenta la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio. Premetti al saggio un titolo coerente e, se vuoi, suddividilo in paragrafi. Se scegli la forma dell’”articolo di giornale”, indica il titolo dell’articolo e il tipo di giornale sul quale pensi che l’articolo debba essere pubblicato. Per entrambe le forme di scrittura non superare cinque colonne di metà di foglio protocollo.
DOCUMENTI Il dossier dei documenti compare a pagina 185, dove il medesimo argomento è stato tratta-to in forma di Saggio breve
Svolgimento Un titolo “caldo” (costruito sul celebre inizio dell’Iliade tradotta da V. Monti): tono epico per cose di attualità Il lead dell’articolo ricorre a un inizio a effetto, già annunciato dal titolo
La conclusione del primo paragrafo giustifica l’inizio dell’articolo (con lessico giornalistico: “chimica”)
L’articolo di Riotta nasce come recensione di un libro
Esistono diverse, possibili posizioni sul tema internet
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TWITTAMI O DIVA IL MONDO INGARBUGLIATO Nel libro VI dell’Iliade Ettore, eroe troiano, dice addio alla moglie Andromaca e al figlioletto Astianatte, sotto le Porte Scee. Abbracciando il piccolo, Ettore lo spaventa con l’elmo e subito lo sfila, mentre la mamma, commossa, ride e piange. La piccola famiglia s’incontra per l’ultima volta, Ettore sarà ucciso da Achille, Astianatte da Neottolemo, figlio di Achille che prenderà Andromaca come schiava: ma leggendone i sentimenti, allegria, dolore, fierezza, speranza, nostalgia, senso del dovere, li sentiamo uguali a noi. Dall’epica di Omero cantata dagli aedi di città in città al web globale, non sembra mutare la chimica intima dell’Homo Sapiens. Ma è davvero così? O l’onnipresenza dei mezzi di comunicazione elettronici, internet e i social network, Facebook, Twitter, i motori di ricerca come Google, cambiano il modo di comunicare, pensare, sentire, perfino essere? Se lo chiede nel suo nuovo libro Too big to know (Basic Books) lo studioso David Weinberger persuaso che la diffusione dei new media, il legame che ogni sito fornisce ad altri, i dubbi instillati dal web, trasformino la natura del sapere e dei “fatti”, che non sono più “realtà”, ma effimera proiezione online di opinioni. Contro Weinberger muove, con una stroncatura sul giornale iPad The Daily, lo studioso Evgeny Morozov. Morozov, pioniere dell’“Open Net” - tentativo di diffondere la libertà via web - è nato in Bielorussia e vive ora negli Usa. Il suo entusiasmo per la rete, di cui resta uno dei guru più noti twittan-
L’articolo di giornale 4 - Ambito tecnico-scientifico
La posizione critica di Morozov
Riassume le tesi la posizione dei cyber-ottimisti
Un fatto storico, rivisto alla luce di oggi (le discussioni generano fatti nuovi: un tempo discussioni di piazza, oggi discussioni su internet)
Il paragrafo cita altri due autori: critici, come Morozov, rispetto a internet
L’inizio del capoverso riassume le due posizioni del dibattito Presenta le opinioni di due cyber-ottimisti: prima Spadaro, poi DeBiase
Il nuovo paragrafo si occupa di un argomento nuovo: Google ci fa trovare ciò che cerchiamo
La tesi di Riotta: la rete internet può creare una realtà diversa, non corrispondente alla realtà
Il linguaggio giornalistico ricorre a immagini “calde” come questa (“farsi trapanare il dente del giudizio”)
do da @evgenymorozov, s’è trasformato nel realismo critico del saggio L’ingenuità della rete, il lato oscuro della libertà di Internet tradotto da Codice. Il titolo del disincantato Morozov è stato però addolcito in italiano dall’originale “The net delusion”, “l’illusione della rete” in “l’ingenuità”. Perché? Per non offendere quelli che lo studioso chiama “cyber ottimisti”, persuasi che sul web si stia formando una nuova sfera del sapere, capace di auto correggersi. Una generazione che ha, a sua volta, studiosi e teorici […]. Perfino il solitamente scettico settimanale “The Economist” proietta lontano i new media, vedendone l’influenza addirittura sulla Riforma di Martin Lutero del 1517, attribuita non più alla diffusione della stampa, vecchia del 1450, ma al principio caro a Shirky del “crowd sourcing”, la “folla” che incontrandosi - oggi online allora via bollettini e mercati di villaggio - costruisce opinioni comuni. Con Morozov studiano i limiti della rete, non per “censurarla” ma per proteggerla dai rischi di monopoli e populismi, anche il padre della virtual reality Jaron Lanier (Tu non sei un gadget, ed. Feltrinelli), preoccupato del consumismo ossessivo delle idee online, e Nicholas Carr (Internet ci rende stupidi?, ed. Cortina). Critici consapevoli che il web è il nostro mondo, da studiare, non trasformare in Eden bellissimo ed immaginario. Il dibattito tra le due posizioni, “Web sfera ideale, libera e capace di autogoverno” contro “Web proiezione del mondo reale, speranze ed orrori”, orienterà il prossimo sapere. Da una parte studiosi come il direttore di “Civiltà Cattolica”, il gesuita Antonio Spadaro, fondatore della “cyber teologia” e difensore […] del citizen journalism, giornalismo non professionale di cittadini […] (i gesuiti vantano del resto nel filosofo Teilhard de Chardin, scomparso nel 1955, il teorico della “noosfera”, sfera del sapere considerata antenata di Internet). Anche Luca De Biase, fondatore di Nova il supplemento high tech del 24 Ore, in un recente seminario allo Iulm di Milano s’è detto persuaso che i new media siano “isola antropologica” armonica, capace di autonoma “narrazione collettiva” della realtà. […] L’algoritmo di Google invia le ricerche sul motore online grazie a quel che abbiamo chiesto prima. Se mangiamo cibi organici a quelli ci indirizzerà, se preferiamo fast food farà altrettanto. Utile nel marketing, l’algoritmo crea invece tribù chiuse in politica, Tea Party, Lega Nord, Grillo, Occupy Wall Street, si troveranno sempre a confrontarsi tra adepti, fino a creare “fatti” che non corrispondono nemmeno più alla realtà (vedi Obama nato in Kenia, o le recenti “morti” di Mandela e Castro su Twitter). Il citizen journalist, da agente dell’informazione di base, degenera in tribuno ossessionato: e chi si nutre a quel tipo di news dovrebbe pure farsi trapanare il dente del giudizio da un citizen dentist, che abbia imparato l’ortodonzia su Wikipedia.
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SEZIONE 3
Il paragrafo conclusivo riassume le posizioni in campo tra gli studiosi (visione positiva / visione negativa di internet)
“Tirare la monetina”: un’altra metafora giornalistica La conclusione dell’articolo: in entrambe le posizioni c’è del buono
L’ultima immagine ritorna all’inizio “epico”
Quale scuola prevarrà? Il web come Eden religioso e benigna Utopia sociale, dove rivoluzioni pacifiche germinano su twitter, o il web come drammatica arena di scontro politico ed economico, dove gli imam fondamentalisti e il dittatore bielorusso Lukascenko twittano con più efficacia dei dissidenti democratici (atlante di questa battaglia il saggio Twitter factor di Augusto Valeriani, Laterza)? Il lettore non tiri ancora una monetina virtuale, perché nel plasmare la sfera dell’informazione ciascuna teoria avrà il suo ruolo. I cyber ottimisti daranno prestigio al web, trapiantando online gli antichi saperi e la loro “ingenuità”, alla lunga, sarà positiva. I cyber realisti ci impediranno di cadere nelle trappole della rete, consumismo, monopolio, populismo, disprezzo dell’equanimità. Alla fine salveremo sui new media gli old values, nuova comunicazione con valori classici. Restando sospesi tra speranza, amore e orrore, Ettore e Andromaca alle Porte Scee del Web. Gianni Riotta, “Tuttolibri”, “La stampa” 14/1/2012
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(tipologia C)
E IL TEMA DI ATTUALITÀ (tipologia D)
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SEZIONE
IL TEMA DI STORIA
SEZIONE 4
Scrivere un tema per l’esame di Stato
Tipologia C e tipologia D: un tema Come già detto, la prova scritta d’italiano prevede quattro tipologie: - tipologia A: l’analisi del testo; - tipologia B: saggio breve o articolo di giornale; - tipologia C: tema di argomento storico; - tipologia D: tema di ordine generale. Le ultime due tipologie sono, a tutti gli effetti, due versioni della medesima tipologia: un tema di tipo tradizionale.
Come si scrive un tema: 9 passi per non sbagliare Diversamente dal saggio breve e dall’articolo di giornale, il tema è un esercizio soltanto scolastico, poiché al di fuori della scuola non si scrivono mai temi! Proprio per questo motivo il tema è un genere più “canonico”, nel senso che obbedisce a un certo standard precostituito. Ecco una mappa dei 9 passi da compiere per svolgere un tema nel modo migliore: 1. attenta lettura, comprensione e analisi del titolo o traccia; 2. raccolta delle idee in ordine sparso (brainstorming); 3. riorganizzazione razionale delle idee; 4. costruzione della scaletta; 5. stesura del testo; 6. rilettura e revisione dei contenuti del testo sulla brutta copia; 7. rilettura e revisione formale sulla brutta copia; 8. trascrizione del tema in bella copia; 9. rilettura conclusiva della bella copia. Le fasi 6, 7, 8 e 9 sono le stesse che riguardano la revisione di saggio breve e articolo di giornale: rimandiamo quindi a pag. 137. Analizziamo dunque singolarmente i primi 5 passi, per quanto di specifico il tema richiede. Un’avvertenza, prima di cominciare: non abbiate fretta. Avrete a disposizione ben sei ore di tempo per scrivere il tema: un tempo lunghissimo, di fronte al quale è insensato avere fretta. Insensato, oppure sintomo di scarsa lucidità e di ansia eccessiva. Una buona gestione di queste sei ore di tempo permetterà a chiunque di superare egregiamente la prova. Dunque, dedicate a ciascuna delle fasi di lavoro tutto il tempo e tutta la calma che servono.
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Scrivere un tema per l’esame di Stato
La lettura attiva della traccia o titolo Quando gli studenti si accostano al tema, spesso commettono un (grave) errore: leggono troppo frettolosamente il titolo. È un errore grave, perché nove volte su dieci impedisce di svolgere adeguatamente la traccia. Se non si riflette a sufficienza su quanto il tema richiede, diventa impossibile costruire un testo coerente e adeguato. Bisogna invece leggere attentamente le frasi che compongono il titolo, poche o tante che siano. Si deve trattare di una lettura attiva. Occorre infatti: a) comprendere con sicurezza ogni parola del titolo (occorre quindi utilizzare il dizionario della lingua italiana in caso di termini poco noti o sconosciuti); b) individuare tutti gli argomenti attorno ai quali quella traccia ruota: argomenti principali e argomenti secondari. Per individuare gli argomenti principali e quelli secondari suggeriti dal titolo, esiste una tecnica assai efficace: trovare e sottolineare le parole-chiave, che di solito non mancano nei titoli ministeriali.
Analisi e sottolineatura di alcune tracce ministeriali Ecco qualche esempio di cosa significa trovare e sottolineare le parole-chiave in un titolo. Lavoriamo su alcune tracce fornite dal ministero in anni recenti: • sottolineiamo le parole-chiave inerenti agli argomenti secondari; • evidenziamo le parole-chiave inerenti agli argomenti principali.
Esame 2008 – TEMA DI ARGOMENTO STORICO Cittadinanza femminile e condizione della donna nel divenire dell’Italia del Novecento. Illustra i più significativi mutamenti intervenuti nella condizione femminile sotto i diversi profili (giuridico, economico, sociale, culturale) e spiegane le cause e le conseguenze. Puoi anche riferirti, se lo ritieni, a figure femminili di particolare rilievo nella vita culturale e sociale del nostro Paese.
Qui negli argomenti principali compaiono “cittadinanza femminile” e “condizione della donna”, che sono due cose diverse: bisognerà spiegare perché.
Esame 2006 – TEMA DI ORDINE GENERALE Campagne e paesi d’Italia recano ancora le tracce di antichi mestieri che la produzione industriale non ha soppiantato del tutto e le botteghe artigiane continuano ad essere luoghi di saperi e di culture ai quali l’opinione pubblica guarda con rinnovato interesse. Contemporaneamente, anche il mondo dell’artigiano è stato investito dalla innovazione tecnologica che ne sta modificando contorni e profilo. Rifletti sulle caratteristiche dell’artigianato oggi e sulla importanza sociale, storica ed economica che esso ha avuto e che in prospettiva può avere per il nostro Paese.
Qui gli argomenti principali riguardano: a) l’oggetto (antichi mestieri, l’artigianato); b) l’ambito (campagne e paesi: l’Italia non cittadina); c) le modifiche da ieri a oggi.
Esame 2005 - TEMA DI ARGOMENTO STORICO Europa e Stati Uniti d’America: due componenti fondamentali della civiltà occidentale. Illustra gli elementi comuni e gli elementi di diversità fra le due realtà geopolitiche, ricercandone le ragioni nei rispettivi percorsi storici.
Questa traccia chiede un confronto tra due oggetti, che manifestano elementi: a) comuni; b) di diversità. Le ragioni di a) e di b) vanno cercate nella storia di entrambi gli oggetti.Come si vede, i titoli considerati possono essere suddivisi in due categorie: a) Titolo-traccia: questa tipologia di titolo presenta una formulazione piuttosto ampia, che contiene numerose indicazioni sui contenuti da affrontare. È il caso dei primi due titoli analizzati. b) Titolo-sintesi: questa tipologia di titolo propone in forma molto generica e appena accennata il problema sul quale si richiede uno svolgimento. È il caso del terzo dei tre titoli qui esaminati, che peraltro, nella sua brevità, appare molto preciso. Un’analisi accurata del titolo serve, tra l’altro, a scacciare preventivamente una tentazione che, purtroppo, ha rovinato molti
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bravi studenti: quella di cambiare tema a metà della stesura, e di cominciarne un altro. È un errore grossolano. Dopo due o tre ore, non si hanno più le energie fisiche e mentali per cimentarsi con un altro titolo. Dunque meglio perdere cinque minuti in più all’inizio, scegliendo con oculatezza il proprio titolo, piuttosto che rovinarvi la mattinata e, forse, l’esame.
Raccolta delle idee in ordine sparso (brainstorming) Una volta analizzato il titolo, bisogna passare alla fase successiva: raccogliere tutte le idee che quel particolare argomento ci suggerisce. Bisogna cercare nella memoria, esaminando le nostre conoscenze, ricavate dal nostro studio, dalle nostre letture personali, dalle nostre esperienze di vita. Un’avvertenza importante: non è questo il momento di preoccuparsi dell’ordine da dare alle idee. Per adesso basta e avanza scrivere semplicemente sul foglio tutto quello che vi viene in mente sull’argomento oggetto del tema; sarà però utile rileggere, di tanto in tanto, il titolo, in modo da non allontanarsi troppo dagli argomenti proposti. La raccolta delle idee deve procedere in ordine sparso, secondo il metodo che gli psicologi e i pubblicitari chiamano brainstorming (viene infatti utilizzato nelle riunioni di équipe che impostano le campagne pubblicitarie). Si devono annotare velocemente sul foglio tutte le idee e i possibili agganci che esse suggeriscono, in ordine sparso: ci sarà poi tutto il tempo per ridare ordine ai vari spunti. Un’avvertenza importante. Al contrario di quanto avviene nella tipologia B (saggio breve o articolo di giornale), nel caso del tema non si hanno a disposizione documenti da cui attingere notizie: perciò, se si vuole svolgere quel titolo specifico di tema, è indispensabile possedere una certa quantità di conoscenze su quel particolare argomento.
Come riorganizzare in modo razionale le idee Fatto il brainstorming (questa fase può durare all’incirca un quarto d’ora), è ora il momento di rileggere le idee sparse che si sono annotate sul foglio e poi di selezionarle: alcune vanno conservate e sviluppate; altre, scartate. Non abbiate paura di eliminare quelle più lontane dal titolo o meno sviluppabili: tenete solo le idee che abbiano una vera aderenza al titolo – e, soprattutto, siete sicuri di poter ragionevolmente sviluppare. Il passo successivo è mettere in relazione queste conoscenze/idee, costruendo un percorso logico in cui situarle. È possibile a questo proposito seguire due metodi. Il primo metodo è costruire una mappa concettuale, cerchiando o riquadrando frasi, evidenziando collegamenti con frecce e altri segni. Al termine di questo lavoro avrete sul foglio una rete di collegamenti tra le varie idee e conoscenze che avevate scritto in precedenza; le conoscenze o idee rimaste escluse da ogni collegamento saranno verosimilmente superflue ai fini del vostro tema. Il secondo metodo: si prende un bel foglio bianco su cui si riscriveranno le idee sopravvissute alla selezione, in forma sintetica (per punti) ma, questa volta messe in relazione l’una all’altra. Tale relazione può obbedire a diversi, possibili criteri: a) un criterio di causa / effetto: bisogna segnalare che cosa produce conseguenze e che cosa deriva da cause precise; b) un criterio di prima / dopo, molto importante nei temi storici; c) un criterio di enunciazione della tesi / prova o esempio di essa. La tesi è ciò che va dimostrato, la prova è ciò che lo dimostra o lo convalida. In un tema di taglio argomentativo, che vuole cioè dimostrare. A questo punto avrete già uno scheletro di scaletta, che è l’operazione da sviluppare nel passo successivo.
Costruire una buona scaletta Le conoscenze e le idee, precedentemente organizzate nella mappa concettuale o nella riscrittura per punti, devono essere ora riorganizzate: bisogna stabilire l’ordine in cui esse si presenteranno nell’elaborato. È insomma il momento della scaletta, che dovrà contenere l’ossatura di ciò che verrà scritto nel tema. Ricordate: se la scaletta è bene articolata, il tema è già per metà svolto. Perciò è preferibile realizzare una scaletta particolareggiata: infatti uno schema che indica solo vagamente gli argomenti da trattare ha un’utilità scarsa. Per costruire una buona scaletta, potrete fare così: a) anzitutto costruite uno schema di fondo: INTRODUZIONE – SVILUPPO (o svolgimento) – CONCLUSIONE; b) poi assegnate ciascun argomento a una di queste tre parti; c) all’interno di ciascuna parte, assegnate un posto a ciascun argomento o idea, mediante un elenco numerato. Avrete cioè un certo numero di elementi per l’introduzione, un certo numero (più alto) di elementi che confluiranno nello sviluppo, infine alcuni elementi destinati alla conclusione. In questa operazione dovete riflettere con attenzione sui nessi che legheranno l’una idea all’altra nel momento della stesura. È un’avvertenza importante, pena la stesura di un tema scollegato e incoerente. I collegamenti logici devono esserci e farsi vedere, le digressioni no. Se ne possono tollerare una, due al massimo; se sono di più, vanno eliminate. Un’altra avvertenza: per quanto ben fatta sia, la scaletta non sarà definitiva. Infatti durante la stesura è probabile che vengano in mente altre idee, integrabili nel discorso. Dovrete però pensare al punto più opportuno della scaletta in cui potranno essere inserite.
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Scrivere un tema per l’esame di Stato
Chi ben comincia... Consigli per iniziare bene il tema Un momento delicato è l’inizio del tema. È il vostro biglietto da visita e dovrà presentarsi bene. Un incipit ha, di solito, due finalità: a) chiarire il percorso che verrà sviluppato nel tema; b) attirare l’attenzione del lettore, incuriosendolo. È difficile che un inizio di tema possa soddisfare contemporaneamente i due scopi; almeno uno, però, dovrà essere raggiunto. Cercate quantomeno di soddisfare la finalità A, base opportuna di un’argomentazione rigorosa e logica. Indicare che cosa s’intende giungere a dimostrare e attraverso quali tappe, è sempre una promettente dimostrazione di maturità. Viceversa, alla finalità B potrà puntare chi possiede maggiore originalità e brillantezza espressiva; ma, lo ripetiamo, è un obiettivo più ambizioso. Una raccomandazione: cercate di evitare l’inizio – così banale e scontato – del “fin dai tempi antichi”. Migliaia, milioni di temi cominciano così: “Fin dai tempi antichi l’uomo ha vissuto in relazione con gli altri…”, “Fin dai tempi antichi l’uomo ha affrontato le difficoltà del clima e della fame…”, “Fin dai tempi antichi l’uomo ha cercato di scoprire nuove soluzioni per…”, e via così. Fin dai tempi più antichi gli studenti hanno iniziato così i loro temi, e i professori, adesso, non ne possono più. Allo stesso modo, evitate di cominciare con la classica definizione del vocabolario: “Sul vocabolario tal dei tali la scienza è definita….”, “Se cerchiamo sul vocabolario la definizione di totalitarismo, troveremo che…”. Sono inizi che non commuovono nessuno e che rivelano una preoccupante mancanza d’idee. Infine, un ultimo consiglio: evitate di parlare dell’“uomo” in generale. Voi siete chiamati a una visione più precisa, a inquadrare i fenomeni nella loro prospettiva storica e culturale (cioè in un momento preciso), a evitare l’astratto e l’impersonale, preferendo ciò che è concreto, specifico, personale. Se non riuscite a sostituire l’uomo con qualcos’altro, cancellate la frase e riscrivetela daccapo.
Come proseguire il tema Iniziato bene il lavoro, proseguitelo meglio, seguendo, nel corso della stesura, il vostro piano di lavoro punto per punto. Fate attenzione soprattutto nel momento di passaggio da un argomento all’altro: dovrete esplicitare con chiarezza i nessi logici che legano i vari argomenti. Lo sviluppo del tema si compone, in genere, di 3-4 sequenze principali, tutte individuate dal punto a capo. Andate a capo qualche volta (ma non a casaccio): chi legge potrà tirare il fiato, e ve ne sarà grato. Scrivendo la brutta copia, continuate a confrontare con il titolo ciò che state scrivendo. Non perdetelo mai di vista per più di un quarto d’ora. Infatti il tema non è un’occasione per parlare di tutto e di niente: devi rispondere alle richieste del titolo e solo a quelle. Chi divaga o esce dal seminato, non è maturo, perché “maturità” (una volta l’esame di Stato si chiamava così) è corrispondere a un compito preciso. Mentre scrivete, tenete conto almeno di qualche elementare avvertenza di stesura: - meglio non mettere le virgole, piuttosto che metterle a casaccio; - controllate i tempi verbali (non usare il presente per cose avvenute un secolo fa!); - badate che ci siano i congiuntivi nelle interrogative indirette: “non so se Mario abbia finito il tema”; “mi chiedo perché sia qui a faticare tanto”; “sottolineò quanto fosse bello vivere”. Quanto dev’essere lungo il tema? In genere 4 facciate di foglio protocollo (sempre badando a ricopiare su mezza facciata). Una lunghezza standard non esiste; molti commissari apprezzano la sinteticità, e a nessuna piacciono le sbrodolature per tirare in lungo. Dite solo ciò che è coerente e importante; le cose inutili, sono inutili e anzi, in questo caso, dannose. Eliminate le ripetizioni e invece aggiungete i chiarimenti necessari; approfondite, con riferimenti alla storia e all’attualità; aggiungete qualche (sobria) annotazione personale.
Come concludere il tema Arriverete così alla conclusione del tema, un momento altrettanto importante dell’inizio. Disgraziatamente la maggior parte degli studenti non pone sufficiente attenzione a questo momento e lascia così chi legge con l’amaro in bocca. Sono da evitare conclusioni che presentano banali considerazioni intrise di facile moralismo (come “Fino a quando esisteranno le guerre, l’umanità non sarà adulta”, oppure “Dobbiamo tutti capire che una vita senza amore non è degna di essere vissuta”, ecc.). Nella conclusione, in genere, si tirano le somme, attualizzando o personalizzando ciò che si è trattato: perché era importante parlarne? dice qualcosa anche alla tua vita e/o alla nostra epoca? Una buona procedura è riprendere nella conclusione (con leggera variazione) gli argomenti dell’inizio: si tratta di un procedimento circolare, abbastanza semplice da attuare, che di solito assicura buona coerenza al testo e dà a chi corregge – e valuta – buoni argomenti per cogliere l’architettura generale del lavoro. Si può però concludere in tanti modi, per esempio con una provocazione (del tipo: “Tutti la pensano così? Io no, e non mi pare un delitto”) o anche con una domanda aperta (“Qual è la soluzione migliore? Solo il futuro potrà dirlo”).
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Il tema di argomento storico Dal tema al tema di storia La metodologia esposta nelle pagine precedenti (Scrivere un tema per l’esame di Stato) vale indifferentemente per la tipologia C e la tipologia D: entrambe chiedono di scrivere un “tema”. Ora ci concentriamo, più analiticamente, sulla tipologia C e parleremo quindi di come scrivere un tema storico, esaminando le sue peculiarità: sempre tenendo a mente le considerazioni esposte in precedenza.
Serve un po’ di coraggio Per affrontare il tema di argomento storico occorre, è ovvio, un’adeguata preparazione a livello disciplinare: bisogna conoscere la storia, quantomeno del periodo o del fenomeno storico richiesto dalla traccia. Tra l’altro, nel caso del tema storico non vengono forniti documenti: quindi ci si deve basare esclusivamente sulle proprie conoscenze. Come minimo bisogna aver studiato bene il manuale, con una precisazione: il tema storico, all’esame di Stato, riguarderà sempre e solo il programma del quinto anno. Per fortuna. Di per sé, il semplice manuale scolastico non basta: è opportuna (o altamente consigliata) anche la lettura di saggi critici, di fonti storiche e documenti d’epoca. Purtroppo tutti questi materiali non sono alla portata di tutti gli studenti, e non lo sono di certo il giorno dell’esame, quando sono in agguato vuoti di memoria e crisi di panico. In sostanza, occorre una certa – moderata – dose di coraggio per decidere di cimentarsi nella tipologia C dell’esame. Ma tranquilli: seguendo alcuni semplici consigli, è comunque possibile scrivere un buon tema di storia.
La specificità della storia (e le sue cinque domande) La storia possiede una specificità, dovuta alle sue dimensioni caratteristiche, legate ad alcuni fattori: a) i luoghi; b) i tempi; c) gli attori cioè i protagonisti; d) le modalità; e) infine le cause. Questi sono elementi caratterizzanti ogni fenomeno o processo storico. Dunque, pianificando il tema e poi scrivendone la stesura, è bene far emergere questi aspetti specifici della storia. Si tratta, in concreto, di porsi alcune domande.
A.
Dove si svolge il fenomeno da analizzare?
È sempre necessario localizzare i fenomeni storici, come primo passo della loro ricostruzione e poi interpretazione. Che, per esempio, il nazismo sorgesse nella Germania weimariana non è un caso, visto che proprio in quell’area erano in atto le condizioni socio-economiche che lo generarono. Lo stesso dicasi del fascismo, che ebbe nelle convulsioni dell’Italia post-bellica la sua area d’incubazione e che, più in particolare, conobbe il suo primo sviluppo nell’area padana, laddove cioè era più forte la possibilità di una reazione violenta contro i braccianti e le loro richieste.
B.
Quando si svolge il fenomeno storico da analizzare?
È necessario collocare con precisione un fenomeno o processo storico nel suo contesto (geografico, temporale, culturale). Quel fenomeno, infatti, si spiega solo se collocato nella sua epoca e fase particolare. Per esempio, il nazismo si spiega se collocato nel periodo successivo alla prima guerra mondiale, quando erano presenti quelle specifiche condizioni socio-economico-politiche (i riflessi della grave crisi economica del 1929, la debolezza istituzionale della Repubblica di Weimar, l’ingiusta pace di Versailles e il mito della “rivincita” tedesca ai danni della Francia, ecc.) che favorirono il sorgere e il rapido sviluppo del movimento fondato da Hitler.
C.
Chi è il protagonista (o chi sono i protagonisti) del fenomeno storico da analizzare?
Riguardo ai protagonisti, si deve essere sempre consapevoli che i fenomeni storici sono anche frutto delle scelte particolari di singole personalità. Anche ma non solo: nella storia entrano da protagonisti soprattutto i ceti o classi sociali di una certa epoca. Questa rilevanza della gente comune appare spesso poco nei manuali di storia, ma è un dato che farete bene a sottolineare nella vostra trattazione. Per esempio, protagonista del fenomeno storico che si definisce “fascismo” fu sicuramente Mussolini, ma lo furono soprattutto le classi sociali che lo favorirono (gli agrari emiliani, gli industriali settentrionali e la piccola borghesia) e anche quelle che lo avversarono (la classe operaia delle grandi fabbriche del nord, la borghesia “illuminata” e democratica).
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Il tema di argomento storico
D.
Come si svolse il fenomeno o processo che si sta analizzando?
Scrivendo un tema storico, è necessario saper svolgere una “narrazione” storica, ovvero partire dagli inizi del fenomeno o processo, ricostruire gli eventi in base alla loro concatenazione, sulla base di un prima e un poi, di un’origine, uno sviluppo e infine una crisi o conclusione (che per il nazismo fu la traumatica fine della seconda guerra mondiale).
E.
Perché quell’evento (fenomeno o processo storico) si verificò?
È il momento più impegnativo, ma anche il più interessante per chi studia storia (e per chi scrive un tema storico). Si tratta a questo punto di fornire (almeno in via d’ipotesi) una o più risposte che spieghino quel fenomeno, nel tentativo d’interpretarlo. Chi scrive di storia deve dare a vedere che è consapevole che quel fenomeno (come qualsiasi altro fenomeno) può essere (ed è sempre) oggetto di studi diversi, che di esso hanno fornito e forniscono interpretazioni diverse, non di rado contrastanti. Far “parlare” le interpretazioni (almeno due, o più) è un modo con cui l’allievo si dimostra cosciente della soggettività, e anche dell’importanza, del lavoro storiografico.
Scrivere un tema storico: consigli di stesura Ecco alcuni consigli per scrivere un tema storico. - Bisogna fare attenzione, in primo luogo, alla ricostruzione del contesto: il quadro di riferimento in cui si colloca un certo episodio storico, un certo problema, un certo argomento. Si può (spesso si deve) racchiudere questa contestualizzazione nel giro di poche righe, ma essa va curata: i termini devono essere quelli “giusti”, le coordinate spazio-temporali devono risultare chiare. - Attenzione alla chiarezza espositiva: è bene utilizzare congiunzioni e avverbi (soprattutto di luogo e tempo) per chiarire i legami e i nessi logici tra gli eventi esposti. - Occorre tenere sotto controllo la coerenza dei tempi verbali: per eventi lontani nel tempo è necessario ricorrere al passato remoto; in certi casi si può ravvivare l’esposizione con il presente storico. - È bene suddividere l’esposizione in capoversi (punti a capo), che danno al lavoro un taglio più rigoroso e “scientifico”. - È poi consigliabile esplicitare i punti di vista: le citazioni dagli storici o gli spunti di riflessione personale vanno tenuti ben distinti dalla parte espositiva vera e propria. Questi spunti andranno quindi introdotti da espressioni come: “a mio avviso”, “come sostiene lo storico XY”, “Secondo l’opinione di... / Secondo la mia opinione…”.
Il lessico “speciale” della storia Scrivendo un tema di storia, è assai consigliabile utilizzare un lessico quanto più possibile preciso e un terminologia specialistica, o perlomeno compatibile con la disciplina storica. Per esempio sono tipici del lessico storico i termini che si riferiscono alla società, come massa, popolo, classe, proletariato, termine quest’ultimo che il marxismo contrappone a borghesia. Ci sono poi gli –ismi tipici della storia. Alcuni corrispondono ai sistemi politici o alle grandi tendenze ideologiche o del pensiero: autoritarismo si contrappone a liberalismo, movimento che tendeva a far ottenere ai cittadini le garanzie costituzionali e politiche; conservatorismo a progressismo; capitalismo a socialismo e a comunismo; neutralismo si oppone a interventismo, prima che l’Italia entri in guerra nel 1915. Nella storia contemporanea si usano molti altri –ismi e termini caratterizzanti. Essi vanno utilizzati così come sono: sono cioè insostituibili, se si vuole esporre con precisione i fatti e i processi storici. Per esempio: • irredentismo: movimento politico nato in Italia dopo il 1866 e che mirava a conquistare le terre “irredente”, ancora soggette al dominio austriaco; • imperialismo: tendenza di uno stato a espandere il proprio potere, i propri modelli culturali; • nazionalismo: movimento che si basava sull’esaltazione della nazione; • federalismo: dottrina che vuole costruire uno Stato sulla base del decentramento politico; • bolscevismo: il movimento guidato da Lenin che realizzò la rivoluzione del 1917 in Russia; • Shoah (impropriamente detta anche Olocausto): lo sterminio degli ebrei nei campi di concentramento nazisti; • apartheid: la politica di segregazione razziale di una minoranza bianca, in Sudafrica, nei confronti della maggioranza di neri; • pacifismo: la teoria e la prassi contraria alla guerra come mezzo di soluzione delle controversie tra gli Stati; ecc.
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SEZIONE 4
tema di argomento storico
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Tema di argomento storico La Grande Guerra: un conflitto di tipo completamente nuovo. Illustrate le ragioni e le conseguenze di questa differenza, mettendo a fuoco soprattutto il nuovo ruolo di protagoniste giocato dalle masse.
Svolgimento Prima di rispondere direttamente alle richieste del titolo, l’introduzione inquadra l’esito finale dell’evento, così da dare un quadro chiaro della situazione
Le conseguenze dell’evento: per adesso l’analisi si limita alle sue conseguenze storico-politiche (in un tema storico è importante attenersi ai fatti)
Un’altra conseguenza storico-politica, di per sé non richiesta nel titolo (ma è breve e serve a mostrare la propria competenza storica)
Esaurita la contestualizzazione, il discorso si sposta sulle novità richieste dal titolo, cominciando a inquadrarne una in particolare: la “guerra totale”
Seconda novità: una guerra tecnologica
Terza novità, connessa alla seconda dal legame: “…nelle trincee. Proprio la guerra di trincea..”
Quarta novità
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La “Grande Guerra”, cioè la prima guerra mondiale, si concluse con la vittoria dei Paesi dell’Intesa (Gran Bretagna, Stati Uniti, Francia e Italia) ai danni di Germania, Austria e Impero ottomano, che furono sconfitte. Anche la Russia si era inizialmente schierata con l’Intesa, ma poi, dopo la rivoluzione bolscevica, si ritirò dal conflitto, stipulando un armistizio separato con la Germania. La sconfitta di Germania, Austria e Impero ottomano provocò in questi Paesi il crollo delle rispettive monarchie imperiali e la nascita di altrettante repubbliche. Dai trattati di pace l’Italia ottenne Trento e il Trentino, con Trieste e la Venezia Giulia, anche se non furono riconosciuti al nostro Paese molti altri territori in Istria e Dalmazia: perciò si cominciò a parlare di “vittoria mutilata”. Molto pesanti e ingiusti i trattati di pace furono, per volere della Francia, anche con la Germania; questo avrebbe alimentato in seguito, nell’opinione pubblica tedesca, un forte desiderio di “rivincita” antifrancese. Le conseguenze della prima guerra mondiale superarono però la semplice dimensione militare o quella politica. Il conflitto era stato combattuto, per la prima volta, come una “guerra totale”, sia nel senso dell’area coinvolta (tutto il continente europeo e molti altri territori sul pianeta), sia nel senso delle gravissime perdite umane, la cui entità (oltre 10 milioni di morti) risultò ben superiore a quella di tutte le altre guerre precedentemente combattute. La novità della Grande Guerra fu anche tecnologica. Gli eserciti si fronteggiarono infatti con armi modernissime, come carri armati, lanciafiamme, gas asfissianti, che provocarono molte vittime nelle trincee. Proprio la guerra di trincea rappresentò un’altra delle grandi novità del conflitto: milioni di uomini sui diversi fronti si chiusero in migliaia di chilometri di trincee e reticolati di filo di ferro. Le battaglie di trincea erano veri scontri all’arma bianca, sanguinossimi per le perdite che provocarono, anche se quasi sempre inutili dal punto di vista militare: per esempio il fronte franco-tedesco fece registrare avanzate e ritirate lentissime, e alla fine del conflitto, nel 1918, i due eserciti si ritrovarono più o meno allo stesso punto in cui avevano cominciato le ostilità nel 1914. Un’altra importante novità della prima guerra mondiale fu l’impiego dell’aviazione, nata pochissimi anni prima. Le squadriglie
Tema di argomento storico 1
Passate in rassegna le varie novità, il tema si focalizza adesso sulla novità più importante richiesta dal titolo
Le donne protagoniste
Più in generale, le masse protagoniste. Nota il connettivo: “Ciò che vale per le donne, vale per l’intera società…”; in questo modo il discorso risulta più compatto e coeso
Un’ulteriore novità: la propaganda bellica
Dopo l’analisi (in che senso le masse entrarono da protagoniste nella guerra), il capoverso trae le conclusioni di questa grande novità
Una quasi-digressione, utile però a vivacizzare l’analisi storica
L’analisi storica si sposta al dopoguerra e alla presenza, in esso, delle masse quali protagoniste
Il paragrafo conclusivo sposta il discorso dalla prima guerra mondiale alla storia successiva: in questo modo si dà la massima importanza all’elemento messo a fuoco dal titolo
si fronteggiavano nei cieli in battaglie aeree sanguinose, oppure venivano utilizzate per mitragliare le fanterie. Per fortuna i bombardamenti di città furono poco numerosi; molto peggiore, da questo punto di vista, si rivelerà la seconda guerra mondiale, combattuta poco più di vent’anni dopo. Ma la novità maggiore del conflitto fu di tipo sociale. In tutti i Paesi impegnati nella guerra (e quasi tutti lo erano) l’intera società e l’economia si ritrovarono mobilitate per la vittoria. Molte industrie vennero “riconvertite” a scopo militare; e poiché gli uomini validi combattevano al fronte, nelle fabbriche dovettero impiegarsi come operaie moltissime donne. Anche questa novità segnò una vera rivoluzione sociale: finito il conflitto, non era più possibile confinare queste donne lavoratrici nel chiuso delle loro case e delle loro famiglie. Ciò che vale per le donne, vale in realtà per l’intera società, nel suo complesso: gli eserciti mobilitavano tutti gli uomini atti alle armi; decine di milioni di soldati vennero strappati a forza dalle loro case e spediti al fronte a combattersi. Quelli rimasti a casa, e ancora validi, erano utilizzati nelle industrie, accanto alle donne. Sia ai soldati, sia a questi lavoratori si rivolgeva la propaganda bellica, che nei vari Paesi incitava tutti, con toni e contenuti assai simili, a uno sforzo collettivo per giungere alla vittoria e per piegare la resistenza del nemico. In sostanza la prima guerra mondiale fu la prima guerra davvero di massa della storia; milioni di uomini comuni fecero l’ingresso da protagonisti nella storia. Per queste masse, fino a quel momento, lo Stato, le decisioni della politica, il senso di appartenenza alla patria, tutto ciò era rimasto lontanissimo dall’esperienza quotidiana. La Grande Guerra trasformò questa percezione. L’esperienza di stare assieme al fronte, di stringersi fianco a fianco nelle trincee, allargò le loro esperienze. I soldati, con la loro divisa, potevano vivere l’esperienza concreta e diretta dello Stato, la stessa che toccava alle donne e agli uomini reclutati come operai nelle grandi industrie. Finita la guerra, non era più possibile che queste masse tornassero nell’ombra. A loro, infatti, si rivolgeranno sia i successivi regimi totalitari (fascismo, nazismo, stalinismo), sia i governi democratici, come farà per esempio il presidente americano Roosevelt nel momento in cui spiegherà il New Deal, chiedendo l’appoggio di tutto il popolo. La presenza attiva delle masse nella storia fu, prima ancora delle altre grandi novità del primo conflitto mondiale, l’eredità che esso lasciò al panorama dei decenni successivi. Tutti i governi, tutti i regimi, tutte le politiche del XX secolo avrebbero in seguito cercato il modo più efficace per “parlare” alle masse, coinvolgendole nei loro disegni.
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Cittadinanza femminile e condizione della donna nel divenire dell’Italia del Novecento. Illustra i più significativi mutamenti intervenuti nella condizione femminile sotto i diversi profili (giuridico, economico, sociale, culturale) e spiegane le cause e le conseguenze. Puoi anche riferirti, se lo ritieni, a figure femminili di particolare rilievo nella vita culturale e sociale del nostro Paese. [assegnato all’esame di Stato del 2008]
Svolgimento L’introduzione mette a fuoco il punto di partenza: le donne escluse dal suffragio universale del 1913; e ne spiega le ragioni
Dall’Italia agli altri Paesi
Il 1946, data cruciale per l’emancipazione femminile Due importanti fatti storici prima del 1946 Si illustrano quei due fatti storici, durante i quali le donne entrarono nella storia, ma in “circostanze tragiche” Quali sono queste “circostanze tragiche”
Dalla prima guerra mondiale al fascismo, il secondo dei due fatti sopra ricordati
Dall’ambito politico e civile, l’analisi della condizione femminile si sposta sul piano sociale: il cinema, la moda
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Nel 1913 fu introdotto in Italia il suffragio universale. Maschile, perché le donne erano escluse dal diritto al voto. Un’esclusione che appariva quasi naturale, conforme all’ordine delle cose. In Italia erano sconosciuti movimenti di emancipazione della donna che rivendicassero la parità dei diritti, ma anche in Inghilterra e negli Stati Uniti le “suffragette” che con cartelli e volantini protestavano contro le discriminazioni nei confronti delle donne venivano considerate come un fenomeno eccentrico e stravagante. Fatto sta che nessun politico, ma anche nessun letterato, artista, professore universitario protestò perché quella conquista fondamentale, il suffragio universale, non contemplasse la presenza delle donne. Bisognerà aspettare il 1946 perché quell’“universale” fosse veramente tale, nelle prime elezioni democratiche dopo il ventennio fascista e le devastazioni della seconda guerra mondiale. Le donne italiane, confinate in casa come angeli del focolare e tenute lontano dal mondo del lavoro appannaggio degli uomini, scoprirono solo in circostanze tragiche la storia e il mondo esterno alla dimensione domestica. Fu durante la prima guerra mondiale, quando padri, mariti, figli e fidanzati in divisa erano immersi nel fango e nel sangue delle trincee, che molte donne dovettero rimpiazzare i loro uomini nelle fabbriche e negli uffici sguarniti di manodopera maschile. Il lavoro era pesante, ingrato, durissimo, ma le donne non erano ancora considerate “cittadine” a tutti gli effetti. Nel fascismo divennero “giovani italiane”, poi madri prolifiche, inquadrate nelle organizzazioni di massa del regime come gli uomini. Il fascismo moltiplicò l’aiuto “assistenziale” per le donne, ma la cittadinanza femminile era un miraggio ancora lontano. Le donne potevano consolarsi nell’immaginario cinematografico, l’unico dove il genere femminile poteva dare di sé un’immagine non subalterna. Circolavano le prime istantanee del mondo della moda: uno spiraglio di emancipazione dei costumi. Ma nulla di più. Le donne furono protagoniste nella seconda guerra mon-
Tema di argomento storico 2
Si ritorna al discorso storico-politico, per sottolineare che l’emarginazione continua
Una protagonista (Montessori): la traccia richiedeva di individuare ”figure di rilievo”
Il nuovo capoverso riprende la ricostruzione storica e passa alla svolta negli anni Sessanta. Primo fattore di novità Secondo fattore di novità
Terzo fattore di novità
Quarto fattore di novità (il nuovo diritto di famiglia) Conclusione proiettata sull’oggi: l’emarginazione delle donne, in parte, continua; si riscontrano luci e ombre
diale. Moltissime parteciparono alla Resistenza o si arruolarono nell’esercito della Rsi di Mussolini. Ma furono pochissime le donne nell’Assemblea costituente. Pochissime quelle che sedevano sui banchi del primo Parlamento democratico dell’Italia repubblicana. Una donna italiana, Maria Montessori, diede un contributo fondamentale nella storia della pedagogia e dell’istruzione, ma, fino almeno agli anni Settanta, le donne laureate sono state un’esigua minoranza: la schiacciante maggioranza femminile veniva raggiunta piuttosto negli istituti magistrali. Solo con la “Sex Revolution” degli anni Sessanta, le donne acquistarono una dimensione pubblica che non fosse confinata nei recinti della famiglia e dei lavori più tipicamente “femminili”. Nel 1974 le donne votarono a stragrande maggioranza per il divorzio, e quasi tutti i periodici femminili, quelli più tradizionali e quelli con un piglio più moderno ed “emancipato”, suggerirono alle loro lettrici di votare a favore del mantenimento del divorzio. Il femminismo, fenomeno giù fiorente negli altri Paesi dell’Occidente del benessere, sbocciò negli anni Settanta. Ma a oltre trent’anni di distanza, con un nuovo diritto di famiglia che ha sancito almeno nella forma l’assoluta parità tra i generi, in Italia la politica, l’economia, le professioni conoscono ancora una percentuale molto ridotta di donne chiamate a responsabilità di potere e di direzione, marcando una discriminazione statisticamente clamorosa rispetto alle altre nazioni europee. Pierluigi Battista, “Corriere della sera”, 18 giugno 2008
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tema di argomento storico
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Il mondo diviso in due “blocchi”, la guerra fredda, la difficile distensione. Illustri il candidato le dinamiche storiche del periodo posteriore al 1945, soffermandosi in particolare su due anni particolarmente critici come il 1956 e il 1962. Si cerchi anche d’individuare momenti e/o fenomeni che prelusero a un primo, difficile “disgelo” nei rapporti internazionali.
Svolgimento L’introduzione inquadra il fenomeno storico: cos’è la guerra fredda, quando cominciò, come si manifestò (la divisione in due blocchi)
L’inizio del nuovo paragrafo riassume i dati prima esposti e fornisce un primo simbolo della divisione: la “cortina di ferro”
La seconda immagine della divisione: il Muro di Berlino
Un ulteriore livello di analisi: la guerra fredda come guerra ideologica e di propaganda
Una conseguenza della propaganda ideologica: la “caccia alle streghe”, fenomeno ben collegato alla guerra fredda Il nuovo capoverso passa ad analizzare un elemento richiesto dal titolo: l’anno 1956 e i suoi due eventi
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Il periodo chiamato “guerra fredda” cominciò già nel 1945, non appena il mondo uscì dalla guerra “calda”, ovverosia il secondo conflitto mondiale. Già allora, infatti, gli Stati si ritrovarono ripartiti in due “blocchi”, quello occidentale capeggiato dagli Stati Uniti e quello orientale capeggiato dall’Unione sovietica. Nel giro di pochi anni sarebbero sorte le due alleanze militari contrapposte (la NATO e il Patto di Varsavia), l’una rivale dell’altra e ciascuna impegnata in un’operazione di controllo e logoramento dell’avversario. I decenni successivi al 1945 videro dunque Est e Ovest fronteggiarsi in una lunga ed estenuante competizione: la “guerra fredda”, appunto. Come disse il premier britannico Churchill, una “cortina di ferro”, cioè una separazione netta, era venuta a dividere l’Europa (e più in generale il mondo) in due sfere d’influenza. Questa della “cortina di ferro” nacque come una semplice immagine per descrivere la situazione, ma trovò un’applicazione concreta nel 1961. Infatti nell’agosto di quell’anno le autorità della Repubblica Democratica Tedesca (la parte orientale della Germania, controllata dall’Urss) fecero costruire un Muro di cemento e filo spinato, per impedire le continue fughe di cittadini verso i quartieri occidentali di Berlino. Quel muro (abbattuto solo nel 1989) divenne il simbolo concreto della rigida divisione del mondo di allora. La guerra fredda veniva combattuta, oltre che sul piano politico e militare dai due schieramenti sempre più minacciosi, anche sul piano ideologico. La propaganda del blocco occidentale sottolineava infatti l’antidemocraticità della vita civile e sociale condotta nei Paesi del blocco sovietico; dall’altra parte si esaltavano le “conquiste” ottenute dalle classi lavoratrici e si sottolineava lo sfruttamento capitalistico in atto nei Paesi del blocco occidentale. Questa guerra di propaganda provocò anche momenti di isteria collettiva, come nel caso della “caccia alle streghe” promossa negli Stati Uniti contro chiunque fosse sospettato di simpatie comuniste: si ebbero persecuzioni, condanne assurde, ecc. Un anno importante, in questo contesto, fu il 1956, quando il nuovo leader sovietico Kruscev (succeduto a Stalin) rivelò, al XX Congresso del Partito comunista sovietico, le gravi colpe dello stalinismo, denunciando l’operato del predecessore come antidemocratico e tirannico. Le dichiarazioni di Kruscev suscitarono spe-
Tema di argomento storico 3
I due fatti del 1956 collegati dal connettivo però
Le conseguenze del 1956 (in particolare, dei fatti d’Ungheria)
Il nuovo capoverso si sposta su un altro elemento: dalla guerra “fredda” ai conflitti “caldi” ma periferici (la Corea, il Vietnam)
Dai conflitti periferici al rischio di una guerra totale e alla sua terribile conseguenza: l’olocausto nucleare
Preparato dai paragrafi precedenti (guerra totale, olocausto nucleare) il discorso si sposta sull’altro anno cruciale richiesto dal titolo: il 1962 Un ulteriore anno cruciale, non citato nel titolo, ma utile a completare l’analisi storica
Il connettivo Malgrado introduce uno spostamento del punto di vista: i primi momenti di “disgelo”, come richiesto dal titolo Il maggiore segnale di disgelo: i primi passi verso la costruzione dell’Europa
L’evento di attualità serve a dimostrare una preparazione aggiornata La conclusione sposta il discorso sulle esigenze di oggi: l’analisi storica serve anche a indicare prospettive per il presente
ranze di cambiamento, contraddette però pochi mesi dopo da un fatto di segno opposto: ovvero la sanguinosa invasione dell’Ungheria (ottobre 1956) a opera dei carri armati del Patto di Varsavia. L’Ungheria aveva cercato di darsi nuovi orientamenti politici e di uscire, in sostanza, dal blocco sovietico, ma questa sua volontà fu schiacciata nel sangue dall’intervento dei paesi “alleati”. La rivolta di Budapest e la sua sanguinosa repressione ebbero l’effetto di staccare molti intellettuali dal “mito dell’Urss”: si cominciò a vedere che il “socialismo reale”, impostosi nell’Europa dell’Est e in molti altri paesi, era un sistema repressivo, contrario alle vere speranze dei popoli. Per fortuna la guerra fredda rimase sempre “fredda”, in quanto non si trasformò mai in un aperto conflitto militare. Ci furono peraltro episodi di scontro tra i due blocchi, che interessarono aree periferiche, come la Corea (dove nel 1950 si accese una guerra molto sanguinosa e che causò la separazione tra le due Coree sulla linea del 38° parallelo) e come, negli anni ’60, il Vietnam. A quell’epoca il pericolo di una guerra generalizzata appariva davvero reale. Spaventava soprattutto il pericolo dell’”olocausto nucleare”, cioè l’aumento vertiginoso degli armamenti atomici schierati dai due blocchi. Poteva bastare un piccolo incidente per causare la distruzione del genere umano sulla Terra. Ci fu un momento, la crisi di Cuba del 1962, in cui Usa e Urss parvero sull’orlo della guerra finale. Poi, per fortuna, i due leaders di Usa e Urss, Kennedy e Kruscev, trovarono un compromesso e la crisi si risolse pacificamente. La guerra fredda non era però terminata: nel 1968, dodici anni dopo Budapest, anche Praga, capitale della Cecoslovacchia, fu invasa dai carri armati sovietici, entrati nel Paese “alleato” per soffocare le riforme intraprese dal leader Dubček, desideroso d’instaurare un “socialismo dal volto umano”. Malgrado queste crisi, era però in atto un lento riavvicinamento tra i due blocchi. Esso sfociò infine nella “politica del disgelo” o “distensione”, intrapresa, pur se tra molte cautele, agli inizi degli anni Settanta, dai nuovi leaders, il sovietico Breznev e l’americano Nixon. Nell’Europa occidentale si stava intanto attuando una prima cooperazione tra gli Stati che fino a pochi anni prima si erano combattuti in due guerre mondiali. Nel 1951 sei Paesi (Belgio, Germania, Francia, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi) costituirono la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA). Poco dopo il patto di Roma (1957) diede inizio al Mercato comune europeo (MEC). Furono i primi passi della futura Unione Europea: una costruzione politica nata per affermare valori di pace e di civiltà, come ci ricorda il Premio Nobel per la pace attribuito, nel 2012, proprio all’Unione Europea. La guerra fredda fu superata anche grazie a questi valori d’integrazione e alla caduta delle barriere: oggi nell’Europa unita coabitano pacificamente quasi tutti i Paesi e i popoli che erano rigidamente divisi nei due “blocchi” della guerra fredda.
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tema di argomento storico
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La fine del colonialismo moderno e l’avvento del neocolonialismo tra le cause del fenomeno dell’immigrazione nei Paesi europei. Illustra le conseguenze della colonizzazione nel cosiddetto Terzo Mondo, soffermandoti sulle ragioni degli imponenti flussi di immigrati nell’odierna Europa e sui nuovi scenari che si aprono nei rapporti tra i popoli. [assegnato all’esame di Stato del 2007]
Svolgimento L’introduzione inquadra il fenomeno dell’immigrazione, oggi
Le provenienze degli immigrati (questi dati servono a uscire dal generico e a dare concretezza all’analisi) Una prospettiva storica: dall’immigrazione odierna (verso l’Europa) al fenomeno opposto nel passato: l’invasione europea degli altri continenti = colonialismo
Le cause del colonialismo
Le modalità (cioè la storia, in breve) del colonialismo
Il colonialismo di fine Ottocento (direttamente citato dal titolo: “La fine del colonialismo moderno…”) Il colonialismo italiano: un breve paragrafo utile a dimostrare completezza d’informazione
Il nuovo capoverso passa a esaminare le conseguenze del colonialismo (esplicitamente richieste dal titolo): qui, le conseguenze psicologiche sui colonizzati
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Da alcuni decenni a questa parte l’Europa, e con essa anche l’Italia, è divenuta meta di forti migrazioni. Una parte di immigrati proviene dai Paesi dell’Est europeo, le cui frontiere si sono aperte dopo il crollo del blocco sovietico; un’altra parte, ancor più consistente, di essi giunge invece dai Paesi del cosiddetto Terzo Mondo, in particolare dall’Africa, ma anche dall’Asia o dal Sud America. Ci ritroviamo così arricchiti (ma qualcuno dice “circondati”, o “assediati”) di immigrati romeni, ucraini, moldavi, marocchini, albanesi, tunisini, senegalesi, filippini, indiani, cinesi, cingalesi, ecuadoregni, peruviani, ecc. Questa “invasione” di extracomunitari (definizione solo apparentemente neutra e in realtà discriminante) nei Paesi ricchi dell’Occidente venne preceduta da un’invasione in senso contrario di europei negli altri continenti. Questa invasione durò secoli e fu condotta spesso con spietata aggressività, con l’effetto, in certi casi, di annientare la popolazione autoctona. Si trattava di un’invasione a fini coloniali e quindi economici, finalizzata a impadronirsi di materie prime, a sfruttare la manodopera locale, oppure a spostare masse di milioni di lavoratori in altre aree, come avvenne con la tratta degli schiavi neri dall’Africa. Fu la lunga storia del colonialismo, iniziatasi dopo la scoperta dell’America e durata per oltre quattro secoli. Il culmine di questa tendenza fu l’imperialismo della seconda metà dell’Ottocento, che finì per mettere sotto controllo dell’Europa (e degli Stati Uniti) gran parte delle terre e dei popoli del nostro pianeta. Anche l’Italia partecipò a questa spartizione coloniale, sia pure in ritardo e con un ruolo marginale; tuttavia le guerre in Abissinia (fine Ottocento), poi in Libia (1911) e ancora in Etiopia e Somalia (negli anni Trenta del Novecento, ai tempi del fascismo) furono condotte con gli strumenti tipici del colonialismo: uso di armi di distruzione, deportazioni, massacri. Il colonialismo europeo ha prodotto un effetto devastante sull’economia, sulla cultura e perfino sulla psicologia dei popoli colonizzati. I colonizzatori non miravano in realtà alla sparizione totale
Tema di argomento storico 4
Conseguenza culturale del colonialismo (sui colonizzatori): l’ideologia del razzismo (perché sorse, quando e che cosa affermava)
Il nuovo capoverso esamina il razzismo oggi
Il discorso si sposta da ieri a oggi: permane un atteggiamento in parte razzistico verso gli immigrati
Il nuovo capoverso passa al colonialismo novecentesco e al processo della decolonizzazione: l’analisi storica viene così completata
Un giudizio storico sulle conseguenze della decolonizzazione
Il connettivo cioè garantisce il passaggio al neocolonialismo (argomento richiesto dal titolo)
Il nuovo capoverso passa alla situazione odierna (l’inizio, incentrato sui fattori economico-sociali, si connette bene al paragrafo precedente)
La storia (colonialismo e neocolonialismo) ci rivela le cause dell’immigrazione odierna
La condizione odierna degli immigrati extracomunitari
della cultura indigena; tuttavia essi la condannarono a una lenta agonia. Nacque, nei popoli colonizzati, un sentimento di fatalismo e d’indifferenza, motivato anche dall’inferiorità tecnologica e militare rispetto ai nuovi padroni dell’Occidente. Tutto ciò venne ingiustamente considerato dai dominatori come una prova della propria superiorità e un motivo sufficiente per svalutare i dominati. A fine Ottocento si elaborò la dottrina razzistica, che predicava l’inferiorità “di natura” dei popoli asiatici, africani e amerindi e quindi asseriva il buon diritto dei popoli “civilizzati” a sfruttarne senza ritegno le risorse. Tale ideologia di superiorità, all’insegna dell’eurocentrismo, è stata ovviamente superata negli studi e nella coscienza culturale dell’Occidente, ma purtroppo permane tuttora, anche dopo la fine del colonialismo, in certe frange dell’opinione pubblica europea. È tale sentimento che impedisce a molti di porsi in modo sereno ed equilibrato davanti agli immigrati extracomunitari che si sono stabiliti, spesso da dieci o venti anni, nel nostro Paese. La storia del colonialismo conobbe una forte svolta dopo la fine della seconda guerra mondiale. Dopo il 1945, infatti, gli immensi imperi coloniali (in particolare quello britannico e quello francese) entrarono in una crisi storica che ebbe come conseguenza un generale processo di “decolonizzazione”. Esso investì prima l’Asia e subito dopo l’Africa, per concludersi verso la metà degli anni Settanta con la nascita, quasi ovunque, di nuove repubbliche al posto delle antiche dominazioni coloniali europee. Apparentemente si trattò di un passaggio positivo; in realtà questi nuovi Stati mancavano di una coscienza nazionale, di una classe dirigente all’altezza del compito e, soprattutto, di strutture economiche adeguate per assicurare alla popolazione le necessarie risorse economiche. In molti Paesi ex coloniali si verificò cioè un “colonialismo di ritorno” o “neocolonialismo”, perché le economie locali rimasero pesantemente condizionate dalla dipendenza economica dai Paesi un tempo dominatori. Sul piano politico molti governi di quei Paesi si caratterizzavano come regimi antidemocratici e corrotti, peggiorando così la situazione generale. L’arretratezza e la dipendenza economica dei paesi più poveri non è stata superata neppure oggi. Molte ex colonie (soprattutto africane) versano tuttora in una condizione da “Terzo” e addirittura “Quarto” Mondo. È in questo quadro che migliaia, milioni di migranti si spingono verso i Paesi ricchi e in particolare verso l’Unione Europea. Sono animati dal desiderio di fuggire da un’esistenza difficile e precaria, segnata dalla fame, dalle guerre civili e persecuzioni politiche, dalla repressione politica e religiosa. Essi lasciano Paesi arretrati, ma in cui si sta verificando una forte crescita demografica, per approdare in Paesi, al contrario, economicamente avanzati, ma in cui si registra scarsa o nessuna crescita demografica. I cosiddetti extracomunitari sono impiegati per lo più come manodopera precaria e a basso costo in quei
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L’analisi si sofferma sull’emarginazione degli immigrati
Il nuovo capoverso (collegato al precedente grazie al connettivo tale) passa dal divario tra i due gruppi sociali ad affermare una nuova prospettiva: l’integrazione
I fattori positivi nella situazione attuale rendono più concreto l’auspicio precedente (la necessità dell’integrazione)
Conclusione: l’immigrazione come sfida per la nostra società
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settori della produzione e dei servizi (edilizia, fabbriche tessili, assistenza agli anziani, pulizie, ecc.) spesso rifiutati dai lavoratori europei. Essi finiscono per costituire una “sottoclasse”, distinta dalla popolazione locale e priva degli stessi diritti politici: ancora oggi l’Unione Europea riconosce la cittadinanza europea (diritto di voto, diritto di ricorso al Tribunale europeo) solo ai cittadini dei Paesi suoi membri. Il risultato di tale situazione, almeno attualmente, è che tra comunitari ed extracomunitari si crea un divario che sembra perpetuare, in nuove forme, l’antico rapporto di tipo coloniale sfruttatori/sfruttati. Dobbiamo prendere coscienza che, giungendo in Europa, i nuovi migranti non portano soltanto le loro braccia, ma anche i loro modi di vita, la loro religione, lingue e usanze diverse dalle nostre. Questa diversità viene spesso percepita come un pericolo o una minaccia alla nostra identità e cultura. Non mancano, peraltro, spazi di accoglienza e di solidarietà, spesso affidati all’iniziativa di associazioni di volontariato, ma anche alla sensibilità individuale o a luoghi come la scuola, che spesso funziona da vero e proprio ambito di accoglienza e di collaborazione tra etnie differenti. Sta a noi accogliere la sfida che nasce da questo incontro di popoli e culture: dobbiamo alla fin fine decidere se puntare su una società fatta di estranei e ostili “extracomunitari” o di “nuovi cittadini” senza più differenze o etichette.
Tema di argomento storico 5
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Storia e memoria del passato. Riflettete sul rapporto che lega i due fattori e sul modo in cui esso si è evoluto nel tempo. Quali particolari forme ha assunto via via la ricostruzione storiografica? E quale fisionomia ha assunto la memoria nell’età contemporanea?
Svolgimento L’introduzione analizza il rapporto passato / futuro Un paradosso: il passato, oggi, cambia
Si spiega il paradosso: il passato cambia per le “revisioni periodiche”(cioè cambia nella memoria) Il passato oggi è “attivo”: serve alle rivendicazioni attuali Infatti oggi la politica si nutre di storia Per spiegare tale situazione, si riflette sul rapporto storia/memoria = si passa alla questione centrale del titolo Il rapporto tra storia e memoria in tre fasi, qui anticipate per chiarezza espositiva Il nuovo capoverso passa a esaminare la prima fase...
...quando non c’era distinzione tra storia e memoria
...dunque, la storiografia serviva a giustificare le esigenze politiche del momento
Il nuovo capoverso passa alla seconda fase (opposizione storia/memoria) Le radici di questa seconda fase: dai greci agli umanisti
Citazione di un umanista per concretizzare il discorso
Un tempo si credeva che il passato fosse stabilito una volta per tutte e che il futuro fosse aperto al cambiamento. Oggi ci accorgiamo sempre più che è il passato a cambiare continuamente, mentre il futuro ci appare sempre più predeterminato. Più che sul marmo, il passato si direbbe scritto sull’acqua, soggetto com’è a revisioni periodiche che modificano a loro volta il corso della politica e della storia. Invece di essere rinchiuso nei libri di storia e messo al sicuro nelle biblioteche, il passato è attualmente fatto oggetto di continue rivendicazioni da quanti ne comprendono l’importanza come fonte di identità e di potere. La storia, insomma, non è più solo ciò che viene dopo la politica, ma è diventata l’anima e il motore della politica. Un cambio di paradigma così radicale ci spinge a riflettere sul rapporto strettissimo che lega storia e memoria. […] La relazione tra “storia” e “memoria” ha avuto una storia che si è sviluppata nel tempo attraverso tre fasi: coincidenza tra storia e memoria; contrapposizione tra storia e memoria; interazione tra storia e memoria. La fase della coincidenza è quella premoderna, ossia del periodo che arriva fino all’avvento del metodo storico-critico, avvenuto tra il XVIII e il XIX secolo, quando la distinzione tra storia e memoria era tutt’altro che netta. Si riteneva, al contrario, che la ragione fondamentale per scrivere la storia fosse quella di conservare il ricordo di una dinastia, della Chiesa o di uno Stato e di procurare un passato nobile a tali istituzioni per legittimarle e assicurarne la continuità nel tempo. All’epoca, la storiografia era totalmente asservita alle esigenze del presente e assolveva determinate funzioni per conto dello Stato o della comunità, come giustificare le istituzioni della classe dominante, legittimare la tradizione e controllare il futuro. […] La fase della contrapposizione, quella moderna, fu la conclusione di un lunghissimo processo di evoluzione intellettuale e istituzionale che affondava le sue radici nella storiografia greca. All’alba dell’età moderna, la storiografia iniziò ad affilare i suoi strumenti critici nelle lotte per il potere, opponendo alla verità dell’autorità, l’autorità della verità storica. Gli umanisti rinascimentali, tra cui Lorenzo Valla, furono i primi a impiegare le proprie conoscenze
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Il connettivo tuttavia sposta l’analisi al momento culminante della seconda fase (massimo divario storia /memoria)
Il nuovo capoverso passa a esaminare la terza fase Prima la contrapposizione; oggi non più
Viene sintetizzato il nuovo rapporto storia / memoria
Conseguenza: nasce una nuova branca della storiografia Si precisano i contenuti della mnemostoria e le sue domande: in tal modo si dà concretezza al discorso
Si ricapitola l’elemento centrale: dalla contrapposizione al massimo intreccio storia / memoria
La conclusione tira le fila del discorso, riprendendo l’inizio del testo = procedimento circolare Conseguenze di tale consapevolezza
per denunciare la falsità di alcuni documenti, artatamente costruiti e utilizzati per assicurare la stabilità del potere e della classe dominante, riuscendo a volte a scuotere le fondamenta di alcune istituzioni tradizionali. Per giungere a una separazione netta e sistematica tra storia e memoria occorre tuttavia aspettare il XIX secolo. Si ebbero a quell’epoca il riconoscimento, nelle università, della storiografia professionale come disciplina autonoma e istituzione indipendente, e la conseguente definizione di standard autonomi di verità, che comprendevano regole specifiche per la verifica e l’argomentazione intersoggettiva. Con lo sviluppo di un ideale di oggettività disinteressata, l’antico legame tra storia e memoria veniva spezzato. […] La terza fase, o postmoderna, è caratterizzata dall’emergere di un nuovo interesse per le interazioni tra storia e memoria. Dopo una lunga fase di contrapposizione, esse sono viste ora come campi complementari, dotati di funzioni diverse. […] La memoria e la storia cominciano a riflettere su se stesse, prendono coscienza del loro carattere di costruzioni e scoprono che la memoria ha una storia e che la storia è una forma di memoria. […] Oltre a ricostruire gli eventi del passato e a descrivere il modo in cui sono “accaduti” e le loro cause, alcuni storici cercano ora di ricostruire le pratiche simboliche mediante le quali gli stessi eventi venivano vissuti, interpretati e ricordati a livello collettivo. Si è venuta così sviluppando una nuova branca della storiografia, che si potrebbe definire mnemostoria […]. A partire dagli anni Ottanta, l’interesse degli storici per le modalità del ricordo come pratica sociale e culturale è andato via via aumentando. Si è cominciato a indagare e ad analizzare le pratiche simboliche della cultura contemporanea, ponendo interrogativi del tipo: che cosa si sa del passato nel presente? Quali avvenimenti del passato vengono selezionati e in che modo sono rappresentati? Quali immagini sono sopravvissute? Come vengono concepite le commemorazioni? La memoria diventa così essa stessa oggetto della storiografia. […] Se il compito della storiografia tradizionale consisteva nel separare la memoria (l’elemento mitico) dalla storia (la verità fattuale), quello della mnemostoria è analizzare gli elementi mitici nella tradizione e scoprire le loro finalità nascoste. [...] Charles Maier ha scritto che “la memoria motiva l’attività storica; la ricerca storica si serve della memoria”. Si potrebbe aggiungere che la memoria è il complemento della storia e la storia corregge la memoria. […] Per questo è importante non contrapporre i due termini ma mantenerli distinti, in modo da poter analizzare le diverse forme della loro interazione reciproca. Aleida Assmann, “La Stampa” - 23 gennaio 2010 (con adattamenti)
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Il tema di ordine generale (o di attualità)
Il tema di ordine generale (o di attualità) Dal tema al tema di “ordine generale” Anche per la tipologia D vale la stessa avvertenza esposta, a p. 216, per la tipologia C. Bisogna cioè applicare alla pianificazione e stesura del tema i criteri esposti nelle pp. 212-215, validi indifferentemente per la scrittura di un qualsiasi “tema”. Esistono però anche delle avvertenze specifiche per scrivere un tema di “ordine generale”, cioè di attualità. Su di esse qui ci concentriamo, sempre tenendo a mente le considerazioni esposte in precedenza.
Un male minore? Il tema di ordine generale, o di attualità, viene scelto ogni anno da un gran numero di studenti. Per molti di loro rappresenta una scappatoia dalle altre tipologie, giudicate, a torto o a ragione, più difficili. In realtà non è detto che la tipologia D costituisca realmente la soluzione più facile: dipende dall’argomento e dalla formulazione del titolo. Di certo lo studente non ha a disposizione il dossier di documenti che invece accompagna i quattro argomenti della tipologia B; dunque deve affidarsi, per svolgere il tema, alle sue conoscenze e letture. Spesso gli argomenti esulano dalle discipline scolastiche e quindi neppure dagli studi fatti può venire un aiuto. Ma tant’è: si sceglie la tipologia D come il male minore. Diamo qui qualche suggerimento utile a cimentarsi al meglio in questa prova, trasformando… il “male minore” in un bene, per quanto possibile, reale.
Le caratteristiche del tema di attualità Gli argomenti proposti nella tipologia D vertono su questioni di largo interesse sociale e culturale (questo significa l’espressione “di ordine generale”): su un fenomeno, una situazione collettiva, una tendenza di fondo che abbiano ricadute sul vissuto della società, coinvolgendo l’interesse di molti. Argomenti di questo tipo portano con sé due conseguenze: a) Le tracce ministeriali della tipologia D sono quasi sempre (per fortuna) piuttosto ampie e articolate: offrono suggerimenti di stesura e domande spesso esplicite, che lo studente deve poi integrare con le proprie riflessioni ed esperienze. Per fortuna, abbiamo detto, perché più ampio e articolato è un titolo, maggiori sono le probabilità che chi si deve cimentare con esso vi trovi spunti utili per la propria trattazione. b) tracce di questo tipo prefigurano, quasi sempre, una scrittura di tipo argomentativo: si tratta cioè di un tema non puramente descrittivo o informativo, ma che invita a dire la propria motivata opinione. Bisogna dunque presentare argomenti o prove a sostegno della tesi che s’intende affermare; prima ancora, è necessario elaborare una tesi da dimostrare.
Prima di scrivere, chiedetevi se... Se pensate di svolgere un tema di ordine generale, dovete, prima, porvi delle domande: esaminarvi per essere certi poter portare in fondo la sfida. Chiedetevi se:
1.
Ho ben compreso la traccia da svolgere?
Ci sono elementi che non capisco? Se i dubbi riguardano termini o espressioni potrete utilizzare, per scioglierli, il vocabolario; se riguardano invece questioni più generali, chiedete aiuto alla commissione: in genere, non viene negato.
2.
Ho fatto l’inventario delle conoscenze in mio possesso, inerenti a quell’argomento particolare?
Dovrete richiamare alla mente tutto ciò che conoscete in proposito: tali conoscenze possono provenire da un vasto spettro di fonti (letture, film, giornali, conversazioni, esperienze sociali e personali, ecc.).
3.
L’insieme di tali conoscenze è davvero sufficiente a sostenere una trattazione che durerà per quattro facciate di foglio protocollo?
Dubbio sempre legittimo e da risolvere prima di scrivere. Se di quell’argomento sapete poco o nulla, è consigliabile NON scrivere il tema della tipologia D e dedicarsi invece a uno dei quattro saggi brevi proposti nella tipologia B: lì, perlomeno, esiste il dossier dei documenti, che potrà fornirvi spunti utili alla trattazione.
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4.
Ho delle mie riflessioni da proporre in merito?
Parliamo, è ovvio, di riflessioni non troppo banali o scontate, che è il rischio sempre in agguato per la tipologia D. In altri termini: dispongo di un mio punto di vista sull’argomento? L’ideale è giungere a individuare una vera e propria tesi da sostenere, appoggiata su argomenti o prove, secondo lo stile proprio dei testi argomentativi.
5.
Ho pianificato bene la mia trattazione?
Un buon tema di attualità ha bisogno di un adeguato progetto argomentativo: adeguato a sostenere quella tesi e quella riflessione, dotato quindi di qualche prova a sostegno di essa. Un’ultima avvertenza. Tenete a mente che un tema non deve mai essere la semplice somma di tutto ciò che siete in grado di dire su un qualche argomento, ma deve presentare una equilibrata unità, frutto di selezione e messa a punto. Ciò vale in modo particolare proprio per il tema di attualità: per la sua particolare natura esso propone argomenti su cui appare facile accumulare impressioni e giudizi, più o meno meditati. Ma le impressioni e i giudizi poco meditati non ci servono: ci occorrono, al contrario, opinioni fondate, argomenti solidi, riferimenti bene informati.
“Attualità” non significa genericità Soffermiamoci su quest’ultimo aspetto: per scrivere un buon tema di “ordine generale” ci servono opinioni fondate, argomenti solidi, riferimenti bene informati. L’errore più comune di chi si cimenta con la tipologia D è proprio quello di pensare che essa richieda una “chiacchiera” più o meno generica sull’argomento proposto dal titolo. Niente di più sbagliato. Per scrivere un buon tema di attualità è necessario possedere almeno alcuni dati informativi di fondo. Per esempio, se devo scrivere un tema sull’ambiente, non posso non citare (e analizzare, almeno in parte) elementi come l’effetto serra, il buco dell’ozono, il protocollo di Kyoto, le piogge acide. Oppure, se devo affrontare l’argomento della povertà nel Terzo mondo, non posso non conoscere (e non posso non parlare di) sotto-argomenti quali il sottosviluppo (cause storiche ed effetti attuali), gli effetti perversi della globalizzazione, il debito internazionale, lo sfruttamento delle multinazionali. Scrivere un buon tema di attualità significa evitare d’incorrere in luoghi comuni e frasi fatte (del tipo: “La povertà sempre c’è stata nel mondo e sempre ci sarà”, oppure: “È proprio vero: non esistono più le stagioni e quindi il clima di una volta”). Badate di produrre le necessarie informazioni e argomentazioni a sostegno effettivo delle vostre idee. Infine, data la vastità degli argomenti proposti dalla tipologia D, è sempre consigliabile precisare esplicitamente, magari in apertura di tema, che il vostro elaborato si limiterà ad alcuni punti principali ma che sei ben cosciente che dovrebbe allargarsi a considerare almeno il punto X e il punto Y. Questa precisazione serve a dare alla commissione l’idea che siete coscienti: a) della vastità dell’argomento; b) della vostra personale insufficienza a esaurirlo in poche facciate. In altre parole, è una manifestazione di umiltà intellettuale, virtù rara nei giovani e sempre gradita dagli adulti.
Un esempio concreto: il tema di ordine generale del 2010 Benché consenta maggiore libertà rispetto al saggio breve, il tema di ordine generale esige rigore e precisione, a partire dalla sua pianificazione. Dedicatevi ad analizzare analiticamente il titolo e a costruire, su questa base, un’adeguata scaletta: preverrete così il rischio di “andare fuori tema” oppure di dire cose banali e/o inutili. Immaginiamo di dover svolgere il tema di ordine generale assegnato agli esami di Stato del 2010. La musica — diceva Aristotele (filosofo greco del IV sec. a.C.) — non va praticata per un unico tipo di beneficio che da essa può derivare, ma per usi molteplici, poiché può servire per l’educazione, per procurare la catarsi e in terzo luogo per la ricreazione, il sollievo e il riposo dallo sforzo. Il candidato si soffermi sulla funzione, sugli scopi e sugli usi della musica nella società contemporanea. Se lo ritiene opportuno, può fare riferimento anche a sue personali esperienze di pratica e/o di ascolto musicale.
Questa traccia era tutto ciò che i candidati avevano a disposizione per il loro tema – oltre, ovviamente, a quanto sapevano già; o perché l’avevano studiato, o perché frutto delle loro esperienze e conoscenze personali. Grande è la differenza tra il tema (tipologia C e D) e il saggio breve o l’articolo di giornale (tipologia B): qui non esiste alcun dossier, non c’è alcun materiale da cui trarre informazioni. Questa mancanza del dossier ci obbliga a fare molta più attenzione al titolo del tema. È da lì, oltre che da quello che già sappiamo, che bisogna partire per pianificare la trattazione. Proviamo a segnarci alcuni elementi suggeriti dal titolo stesso:
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Il tema di ordine generale (o di attualità)
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Quali funzioni, scopi e usi ha la musica, nella società contemporanea? Abbiamo avuto delle esperienze personali nel suonare o nell’ascoltare musica?
Proviamo adesso a sviluppare alcuni di questi punti, pensando a qualcosa da dire per ciascuno di essi: -
La musica come educazione, quindi come mezzo culturale: teoria musicale e insegnamento della musica, rapporto fra musica e matematica, fra la musica e le altre arti. La musica come “catarsi”, purificazione. Terapia: curare con la musica. La musica come spazio di svago, di sollievo e di riposo; come mezzo espressivo e artistico (sia a livelli alti, sia a livello popolare). Da appassionato e musicista: la musica come strumento di espressione personale. La musica con gli amici, come spazio di socialità.
Fissati sulla carta i possibili elementi intorno a cui far ruotare il tema, dobbiamo costruire una scaletta. Bisogna farla bene, perché in un tema, rispetto al saggio breve o all’articolo di giornale, si è molto più liberi di scrivere, ma si corre anche l’alto rischio di andare “fuori tema”. Per ovviare all’inconveniente, non c’è nulla di meglio che costruire un’adeguata scaletta. La ricaviamo dai punti prima annotati: INTRODUZIONE Il mio rapporto con la musica è molto ricco: la ascolto e la suono con gli amici. Per me è una presenza quotidiana, non potrei farne a meno. Ma anche per molti altri miei amici è così. SVILUPPO Questa grande ricchezza della musica era stata già descritta, molti secoli fa, da Aristotele. Fu lui a individuare gli ambiti dentro i quali essa si muove: 1. La musica come educazione, quindi come mezzo culturale: teoria musicale e insegnamento della musica, rapporto fra musica e matematica, fra musica e studio del cervello. 2. La musica come mezzo per la “catarsi”, cioè per la purificazione e la sublimazione degli istinti nell’arte. (Da qui, anche, la funzione della musica come terapia per certe forme psichiatriche). 3. La musica come spazio di svago, di sollievo e di riposo: vedi la funzione delle canzoni d’amore. Dunque anche come mezzo espressivo e artistico. 4. La musica come spazio di socialità. Le mie esperienze in un gruppo musicale. I grandi concerti rock e il loro pubblico. CONCLUSIONE Non si potrebbe neppure concepire una società senza musica. Essa è uno spazio insieme privato e personalissimo, ma anche pubblico e collettivo. A me piace ascoltare la musica da solo, ma per suonarla ho bisogno del mio gruppo: la musica, fra le altre sue doti, ha anche quella d’insegnare l’amicizia.
Costruita in tal modo la scaletta, possiamo cominciare a scrivere, sviluppando ciascuno dei punti fissati della scaletta, ma dosandoli con cura, senza cioè dimenticare la suddivisione del testo in introduzione, sviluppo e conclusione. Cerchiamo di esprimere i nostri pensieri e le nostre opinioni con chiarezza e precisione, e la nostra tesi risulterà più convincente. Un esempio di stesura di questo tema sulla musica lo trovi a p. 236.
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SEZIONE 4
tema di ordine generale
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“L’industrializzazione ha distrutto il villaggio, e l’uomo, che viveva in comunità, è diventato folla solitaria nelle megalopoli. La televisione ha ricostruito il “villaggio globale”, ma non c’è il dialogo corale al quale tutti partecipavano nel borgo attorno al castello o alla pieve. Ed è cosa molto diversa guardare i fatti del mondo passivamente, o partecipare ai fatti della comunità”. (G. TAMBURRANO, Il cittadino e il potere, in “In nome del Padre”, Bari, 1983)
Discuti l’affermazione citata, precisando se, a tuo avviso, in essa possa ravvisarsi un senso di “nostalgia” per il passato o l’esigenza, diffusa nella società contemporanea, di intessere un dialogo meno formale con la comunità circostante. [assegnato all’esame di Stato del 2007]
Svolgimento L’introduzione analizza il primo fenomeno citato nel titolo
Il secondo capoverso mette a fuoco la conseguenza dell’industrializzazione collegata al titolo: anonimato e solitudine delle grandi città
Il connettivo questa introduce il terzo capoverso, dedicato al terzo fenomeno: il “villaggio globale”
Una precisazione che arricchisce il tema Si passa ora ad analizzare il fenomeno della televisione, come il titolo richiede
Le caratteristiche del “villaggio globale” (finora non dichiarate)
Il nuovo capoverso passa a esaminare il “villaggio globale” oggi
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L’industrializzazione, avviatasi nel lontano inizio del secolo XIX, non costituì solo un rivoluzionario processo economico: pose le basi per un profondo mutamento sociale, che ha finito per modificare alla radice le condizioni di vita della società e i rapporti tra gli individui. Da un lato l’industrializzazione ha modernizzato il mondo (prima quello occidentale, poi, almeno in parte, anche le società degli altri continenti), aumentando il benessere generale; dall’altra parte, però, ha subordinato l’esistere delle persone alle esigenze produttive, e quindi ai bisogni dell’economia. Una conseguenza di tutto ciò è stato il rapido passaggio dall’economia rurale (imperniata sull’agricoltura) a un’economia industriale. In tale passaggio si è persa la dimensione della comunità rurale, legata a ritmi e a modi di vita addirittura millenari. A questa realtà della campagna si è sostituito un nuovo modello, quello dell’urbanizzazione forzata. Gli uomini vivono in periferie anonime e spersonalizzate, in cui sperimentano spesso le dimensioni della solitudine e dell’isolamento dagli altri. Questa condizione è mutata con l’avvento su larga scala della televisione, che ha ricostruito il “villaggio” di un tempo, ma non più come villaggio rurale, quanto, piuttosto, come “villaggio globale”. A usare questa espressione fu, per la prima volta, il sociologo canadese Marshall Mc Luhan, esperto delle comunicazioni di massa. Mc Luhan si riferiva alle nuove tecnologie televisive, in pieno sviluppo dopo la metà del secolo XX. La rapida diffusione del nuovo medium televisivo creava condizioni nuove: venivano infatti eliminati, o fortemente ridotti, i limiti temporali e spaziali tipici, per esempio, della comunicazione affidata alla carta stampata; si creavano le condizioni di quello che Mc Luhan chiamò, appunto, il “villaggio globale”. In esso vivono masse di persone: benché siano prive dei legami personali garantiti dall’antica comunità rurale, esse sperimentano una nuova dimensione di comunicazione collettiva, garantita appunto dal nuovo mezzo televisivo. L’espressione “villaggio globale”, se la consideriamo oggi, appare quasi profetica, visto che ci troviamo a vivere effettivamente
Tema di ordine generale 1
Dalla televisione a Internet (elemento non presente nel titolo, ma richiesto da ogni analisi del “villaggio globale”) Un’immagine (“finestre”) per vivacizzare l’esposizione
Analisi di un aspetto richiamato nel titolo: la passività degli utenti televisivi Confronto tra TV e internet sul tema della passività
Il connettivo iniziale (In conseguenza… ciò) lega l’analisi precedente con il nuovo concetto (cos’è, oggi, la “comunità”?) Gli aspetti del “villaggio globale” di oggi
L’espressione “Non solo” introduce (collegandolo ai precedenti per antitesi) un nuovo elemento, pure richiamato nel titolo
Passaggio a un nuovo concetto: soprattutto i giovani abitano, oggi, nel “villaggio globale”
L’elemento della “nostalgia” era richiamato dal titolo
Una riflessione adeguata non è mai a senso unico: deve considerare i pro e i contro Il tema della solitudine si collega al macro-tema della comunità Giudizio personale
La conclusione del discorso guarda al futuro: preoccupazione o no, il “villaggio globale” di internet è ineliminabile
in una società fortemente integrata tendenzialmente planetaria. Questa integrazione è avvenuta all’inizio mediante la televisione, ma si è poi sviluppata grazie a un nuovo mezzo, Internet, che delinea scenari del tutto nuovi per l’umanità contemporanea. Prima lo schermo della televisione e poi quello del computer sono diventati le nostre “finestre” sul mondo, aperte su scenari e popoli lontani e multiformi. È così “invecchiata” anche la frase di Tamburrano citata, scritta prima della grande fortuna di Internet. Tra l’altro, l’autore lamenta un rischio di “passività” che, se è plausibile per quanto riguarda la televisione, è invece meno calzante per Internet: la televisione obbliga a una comunicazione unidirezionale e senza diritto di replica, ma Internet offre all’utente ampie possibilità di iniziativa e di interattività. In conseguenza di tutto ciò, si è modificato, come anche Tamburrano rileva, il concetto di comunità. Esso non si limita più – o non soltanto – al piccolo gruppo che abita lo stesso luogo e frequenta gli stessi ambienti. Oggi la comunità è la “piazza virtuale”, una collettività aperta, allargata ed eterogenea. Ospita individui e gruppi magari lontanissimi per quanto riguarda i luoghi dove abitano, la cultura, ecc., ma vicinissimi dal punto di vista della possibilità di comunicare tra loro in tempo reale. Non solo. Le comunità degli utenti di Internet comunicano prevalentemente attraverso il dialogo informale, l’ammiccamento, il tono amichevole. Si realizza così l’esigenza indicata dallo stesso Tamburrano, quella “di intessere un dialogo meno formale con la comunità circostante”. Soprattutto i giovani sono totalmente immersi nella nuova realtà della rete: essi costituiscono la maggiore percentuale del “popolo di Internet”; fanno e disfanno continuamente “gruppi” e comunità virtuali, sperimentano molteplici identità, ecc. Impensabile dunque, almeno per quanto riguarda i giovani, parlare di una loro “nostalgia” per la comunicazione del passato e per le sue comunità ristrette; certo non è questo il sentimento che oggi appartiene al “popolo Internet”. Nell’analisi bisogna però considerare anche i rischi del Web. Alcuni studiosi rilevano che la Rete ha finito per creare un esercito di individui in fin dei conti solitari, ripiegati su se stessi, che comunicano sì con il mondo esterno, ma soltanto attraverso il computer, perduti nell’anonimato della “piazza telematica”. Si tratta di un’evoluzione preoccupante: almeno per questi esclusi del cyberspazio, si potrebbe davvero rimpiangere la vecchia comunità locale, dove i rapporti sociali, e anche i conflitti, venivano gestiti faccia a faccia. Ma indietro non si torna, questa è la realtà: la rivoluzione di Internet ha cambiato le persone e la società ed è una rivoluzione definitiva, con la quale dobbiamo fare i conti, senza poterci permettere alcuna nostalgia verso il tempo (quello precedente all’industrializzazione) nel quale tutto era molto diverso.
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SEZIONE 4
tema di ordine generale
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L’età contemporanea vede l’affermarsi di un’etica individualistica e competitiva, che mette al primo posto il soddisfacimento degli istinti e privilegia l’apparenza sulla sostanza. Secondo voi è ancora possibile, in questo contesto, una qualche forma di impegno sociale e civile, attraverso cui l’individuo possa vivere valori più autentici e affermare il primato della solidarietà sull’egoismo privato?
Svolgimento Il primo paragrafo introduce il tema sottolineando la compresenza di due elementi opposti: si anticipa così la successiva analisi (prima l’egoismo diffuso, poi l’impegno sociale)
Inizia l’analisi delle manifestazioni dell’egoismo contemporaneo Prima manifestazione di egoismo
Per dare concretezza al discorso, i riferimenti sono scelti nell’ambito dell’esperienza personale di chi scrive
Seconda manifestazione di egoismo: il bullismo
Terza manifestazione di egoismo: alcol ecc. Linguaggio e riferimenti tratti dall’esperienza personale dello studente Il nuovo capoverso introduce un nuovo argomento: la realtà è più sfaccettata Gli elementi positivi Primo riferimento concreto al positivo: il volontariato Un giudizio personale per arricchire la trattazione
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Il mondo di oggi ci presenta molti esempi di una società chiusa nel suo “privato”, poco disposta a uscire da questa dimensione e a impegnarsi per gli altri. Questa però può rivelarsi solo un’impressione superficiale: infatti, se analizziamo con attenzione il contesto umano e sociale che ci circonda, troveremo anche casi e situazioni che ci documentano modi di vivere differenti e sicuramente più positivi. Di certo il panorama generale non è confortante. L’egoismo oggi assume molte forme, come posso riscontrare anche soltanto fermandomi al contesto dei giovani miei contemporanei. Non è difficile incontrare, per esempio, esperienze di consumismo sfrenato, che arrivano a escludere dal gruppo chi non è vestito “bene” o all’ultima moda: l’apparire diviene in questo modo una sorta di regola di vita. Tutto ciò nella generale indifferenza verso i bisogni degli altri: c’è chi non può permettersi certi abiti o oggetti firmati, e viene per questo emarginato; c’è chi chiede attenzione, ma deve “intrupparsi” come un numero nel gruppo, senza poter dire la propria o influire sulle scelte degli altri; ecc. L’egoismo diviene qualche volta prepotenza e violenza, come accade negli episodi di bullismo di cui sono stato personalmente testimone. Ribellarsi è difficile, ma accettare passivamente queste sopraffazioni dei più deboli è davvero sbagliato. Un’altra forma di egoismo, secondo me, è quella di chi cerca di dimenticarsi dei problemi stordendosi nell’alcol o, peggio, facendosi una “canna”: anche questo rifugio nei “paradisi artificiali” è una chiara manifestazione di egoismo, perché mette al primo e unico posto se stessi, invece della relazione con gli altri. Se questa è la situazione generale, così come risulta da una rapida analisi del mondo giovanile a me vicino, devo dire però che il panorama, per fortuna, non si limita solo a queste manifestazioni negative. Esistono infatti tante esperienze di generosità, di altruismo, di impegno: forse le si nota di meno, o le si vede “dopo”; ma esistono, per fortuna. Penso per esempio alle varie forme di volontariato, che coinvolgono me (sono volontario sull’ambulanza) come anche tanti giovani della mia età, in svariati campi. Esistono numerose associazioni che si occupano dei più deboli, di chi è solo, ha fame, degli anziani abbandonati, ecc.: so che si tratta di
Tema di ordine generale 2
Nuovo paragrafo e secondo esempio di ciò che vi è di positivo nella società: il rinnovato interesse per la politica Richiamo all’attualità, per arricchire la trattazione Un diverso riferimento alla politica, sempre per arricchire la trattazione Alla fine del paragrafo, si tirano le somme Il paragrafo conclusivo riassume i contenuti principali del tema È bene chiudere con un’immagine positiva
un fenomeno in espansione e molto caratteristico della società italiana e questo dovrebbe inorgoglirci, perché per una volta l’Italia è in testa a una classifica positiva. L’impegno e l’altruismo si riscontrano anche in altre situazioni. Per esempio trovo che ci sia stato, in questi ultimi tempi, un forte ritorno alla politica: mi sembra che molti siano usciti da un’apatia e si interessino di nuovo di come vanno le cose nel nostro Paese, con una nuova voglia di partecipare e di cambiare. In fondo, anche la contestazione contro i politici (la cosiddetta “casta”) rivela, io penso, questo nascosto desiderio di un’Italia migliore e di una politica diversa, perché più partecipata. In conclusione direi che l’analisi della situazione riveli ombre assieme a luci. Al livello di una prima impressione prevalgono, o sembrano prevalere, certamente le ombre. Ma in fondo le luci esistono: non è morta la voglia di un impegno sociale e civile, non è spento il desiderio d’impegnarsi per valori più autentici, rispetto al semplice soddisfacimento del proprio egoismo e degli pseudovalori che ci circondano, senza però riuscire a soffocarci del tutto.
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La musica - diceva Aristotele (filosofo greco del IV secolo a.C.) - non va praticata per un unico tipo di beneficio che da essa può derivare, ma per usi molteplici, poiché può servire per l’educazione, per procurare la catarsi e in terzo luogo per la ricreazione, il sollievo e il riposo dallo sforzo. Il candidato si soffermi sulla funzione, sugli scopi e sugli usi della musica nella società contemporanea. Se lo ritiene opportuno, può fare riferimento anche a sue personali esperienze di pratica e/o di ascolto musicale. [assegnato all’esame di Stato del 2010]
Svolgimento L’introduzione riferisce un’esperienza personale: in un tema di ordine generale è sempre possibile Subito però si passa dall’esperienza personale al titolo
Dall’analisi del titolo si ricavano tre ambiti: questo è il primo Nel primo ambito, esistono due livelli diversi: educazione = mezzo culturale
Secondo livello del primo ambito: educazione = formazione della persona
Il secondo ambito ricavato dall’analisi del titolo
Attualizzazione dell’idea di catarsi: la musicoterapia
Terzo ambito ricavato dal titolo
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Il mio rapporto con la musica è molto ricco: la ascolto e la suono con gli amici. Per me è una presenza quotidiana, non potrei farne a meno; lo stesso vale per molti altri miei amici. Dunque sono rimasto colpito dalla frase di un filosofo “serio” come Aristotele, il quale pensava, quasi due millenni e mezzo fa, che la musica sia in grado di portare innumerevoli benefici agli uomini. L’antico scrittore individua gli ambiti dentro i quali la musica si muove. In primo luogo, a suo giudizio, la musica è un importante mezzo educativo. Credo che ciò valga a più livelli. La musica è un mezzo culturale: esiste una storia della musica, una teoria musicale e un insegnamento della musica. Per rimanere in questo ambito intellettuale, esiste un chiaro rapporto fra la musica e la matematica, così come fra la musica e lo studio del cervello umano. In secondo luogo, musica come educazione credo che possa significare che essa è un potente mezzo per la formazione della persona, per la sua crescita umana: “educare” significa, etimologicamente, “estrarre il meglio” e non c’è dubbio che la musica possa estrarre le migliori qualità e inclinazioni da chiunque la suoni o la ascolti. In secondo luogo Aristotele afferma che la musica procura “la catarsi”. Questa parola significa, in greco, “purificazione” ed era l’effetto che ancora Aristotele assegnava alla grande arte: l’arte (in primo luogo, nella visione aristotelica, il grande teatro tragico) “purifica”, perché mette in scena gli istinti primari dell’uomo e, contemporaneamente, li sublima nell’arte. Quell’antica e ancora attuale funzione della musica si può verificare con alcune moderne esperienze di terapia musicale, in cui la musica viene utilizzata come medicina per rasserenare e ricreare le condizioni di una pace con l’io profondo. Infine Aristotele cita “la ricreazione, il sollievo e il riposo dallo sforzo”. Credo che qui entri in gioco la natura artistica della musica. Come ogni altro linguaggio artistico essa ci spalanca le grandi domande della vita e con il mistero dell’esistenza umana sulla Terra. Anzi, su questo piano espressivo-artistico la musi-
Tema di ordine generale 3
La musica è un’arte molto particolare: si dice perché
Esistono altri ambiti, non presenti nella citazione di Aristotele: in questo modo il tema si allarga e si arricchisce Di nuovo si cita l’esperienza personale
L’elemento della socialità viene argomentato con un’altra prova (i concerti) Prima conclusione (sottolineata dal connettivo dunque): l’influsso della musica è vastissimo
Il discorso si sposta su un elemento particolare (la canzone d’amore): il connettivo Persino lo collega al concetto precedente Si dà un’interpretazione del perché la canzone d’amore è tanto popolare
Citazione come argomento a riprova del proprio giudizio Comincia la vera e propria conclusione, che offre una sintesi degli spunti emersi
Ultimo richiamo all’esperienza personale (ci si ricollega così all’inizio del tema)
ca – grazie alla sua assenza di materialità – agisce forse ancor più in profondità rispetto a qualsiasi altro linguaggio artistico. Il puro suono è in grado di metterci in contatto con l’infinito, “ricreandoci” al massimo grado e riscattando le sofferenze e le piccolezze della vita quotidiana. Esistono anche altre dimensioni connesse alla musica, che non compaiono nella citazione da Aristotele. Penso per esempio alla capacità della musica di creare e mantenere relazioni sociali. Io qualche anno fa ho cominciato a suonare con alcuni amici, e da questo ha avuto origine un gruppo che nel tempo si è fatto onore davanti a pubblici molto diversi; ne sono nate relazioni molto belle di amicizia e di collaborazione che la musica sostiene e ci consente di approfondire. Questo aspetto della socialità della musica si può riscontrare anche nella fortuna dei grandi concerti rock, frequentati da pubblici giovanili sempre numerosissimi. La musica, dunque, è ancora oggi un elemento fondamentale della vita umana e sociale. Probabilmente i modi in cui essa ci influenza sono talmente tanti, e sottili, che spesso non riusciamo neppure a notarli. In ogni epoca le persone hanno trovato nella musica il “sollievo” di cui parla Aristotele, ciascuno nella forma che gli era necessaria o congeniale. Persino l’espressione musicale che sembra più banale – la canzone d’amore – a mio avviso non è affatto banale: conosco molti miei amici che si sono ritrovati a commuoversi ascoltando e cantando brani che parlano d’amore, con tristezza, struggimento, desiderio… La musica dava a loro – ma questa esperienza è capitata anche a me in prima persona – un “vocabolario” con cui esprimersi. Un vocabolario fatto di suoni, immediato, coinvolgente… Penso che non possa neppure esistere chi non ha mai pianto ascoltando una canzone d’amore! Come disse il grande musicista Leonard Cohen, autore di meravigliose canzoni d’amore, la musica è come una “crepa” da cui può passare la luce, e il suo mistero. In conclusione, ritengo che non si potrebbe neppure concepire una società senza musica. Essa è uno spazio insieme privato e personalissimo, ma anche pubblico e collettivo. A me piace ascoltare la musica da solo, ma per suonarla ho bisogno del mio gruppo: la musica, fra le altre sue doti, ha anche quella d’insegnare l’amicizia – perché no, anche l’amore.
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tema di ordine generale
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Oggigiorno le problematiche ecologiche (sviluppo sostenibile, rispetto dell’ecosistema, ecc.) sembrano entrate a far parte della coscienza collettiva. Ciascuno di noi è chiamato ad acquisire e a sviluppare il senso di una maggiore responsabilità dell’utilizzo delle risorse naturali e nei propri comportamenti ambientali.
Svolgimento L’introduzione sottolinea i concetti portanti, poi sviluppati nel tema: a) oggi la coscienza ecologica è cresciuta; b) la natura è una risorsa preziosa, ma limitata L’ambiente sfruttato e depredato: si anticipa ciò che verrà sviluppato in seguito
Nuovo concetto (il divario tra teoria e pratica), collegato alla prima frase del tema dal connettivo Naturalmente
L’inizio collega il capoverso al precedente Inizia lo svolgimento o sviluppo del tema Primo grande problema: l’urbanesimo selvaggio Si illustrano i danni dell’urbanesimo selvaggio
Un altro problema indotto dall’urbanesimo: i rifiuti
Secondo grande problema: l’industrializzazione
Precisare dove tutto ciò accade dà concretezza all’argomentazione
Dall’industrializzazione nasce il problema delle energie inquinanti: il collegamento è dato dal connettivo questa
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Per fortuna oggi esiste una coscienza ecologica molto più sviluppata rispetto a un po’ di anni fa. Grazie ai giornali, alla scuola, a inchieste televisive ecc., noi tutti sappiamo – o dovremmo sapere – che il meraviglioso ambiente naturale che ci circonda è una risorsa preziosa ma non illimitata, e dunque va “maneggiata” con cura e preservata il più possibile. Preservata, soprattutto, da quell’eccessivo sfruttamento di risorse che negli ultimi decenni si è impadronito del nostro pianeta, depredandolo di quasi tutto, senza nessuna attenzione per l’equilibrio generale. Naturalmente ciò che sappiamo non è detto che sia poi seguito da comportamenti coerenti e rispettosi: la nuova coscienza ecologica che ci stiamo, per fortuna, costruendo non impedisce affatto che lo sfruttamento continui, né che si potrà tornare in tempi rapidi a una situazione generale di equilibrio dell’ecosistema. A rendere difficile un cambio generale di rotta è, purtroppo, la complessità stessa dei problemi in cui l’ambiente naturale si ritrova immerso. Esiste per esempio una situazione di urbanesimo “selvaggio” dalla quale non si può uscire, perlomeno in tempi stretti: le megalopoli del pianeta sono cresciute in modo caotico, bruciano risorse e immettono nell’ecosistema una quantità di veleni (smog da traffico automobilistico, fumi per il riscaldamento domestico, ecc.) che producono gravi danni alla salute dell’uomo, in particolare patologie delle vie respiratorie. Sempre l’urbanizzazione selvaggia è la causa della grave difficoltà nello smaltimento ecologico dei rifiuti e delle scorie: ci sono città, come Napoli, tristemente famose per questo problema; mentre il sottosuolo italiano, specialmente nel Mezzogiorno, è colmo di rifiuti illegalmente depositati, che compromettono perfino le falde acquifere e danneggiano quindi gravemente le coltivazioni. Esiste poi il problema creato dal concentrarsi delle industrie in certe aree del pianeta: aree sempre più vaste e che interessano, sempre più, anche zone che in un passato non lontano erano “verdi”. Per esempio la Cina e l’India si stanno coprendo di industrie inquinanti, mentre l’Amazzonia sta perdendo le sue foreste (“polmone verde” del pianeta) per fare spazio a coltivazioni più remunerative, come il mais e altre. Per alimentare questa massiccia industrializzazione si fa ricorso, per lo più, a risorse inquinanti come il petrolio e il carbone, senza che ancora siano valorizzate a dovere forme di energia pulita,
Tema di ordine generale 4
Sono precisate forme di energia alternative e “pulite” I problemi causati dalle energie “sporche”
Il problema più visibile indotto dalle energie “sporche”
Il nuovo paragrafo introduce un argomento nuovo (l’inizio Tutti questi… serve a collegare i due livelli di discorso) Il vero problema: il divario teoria / pratica Kyoto: un dato concreto, che avvalora l’argomentazione Causa generale che rende inefficace Kyoto
Causa secondaria Si tirano le somme della questione (teoria / pratica) Inizia la conclusione del tema
Inizia la conclusione del tema con un nuovo concetto
Un concetto importante, fornito come riflessione personale
Il compito per il futuro Si tirano le somme Il connettivo però collega l’idea precedente (pessimismo personale) con la successiva (si possono fare piccoli progressi) Progressi anche piccoli sono importanti! Conclusione generale, adeguata a quanto detto nel tema
come quella eolica (mossa dal vento) o l’energia solare (mediante gli appositi pannelli). L’uso indiscriminato delle energie da combustione provoca, tra gli altri, il grave problema del “buco dell’ozono”, cioè della compromissione dell’atmosfera terrestre, a causa dell’emissione dei gas inquinanti, con il conseguente “effetto serra”. Quest’ultimo è la causa, tra le altre cose, anche delle anomalie climatiche che sono caratteristiche di questi ultimi tempi, e che producono a loro volta ulteriori problemi, come uragani, alluvioni, ecc. Tutti questi problemi sono fonte di dibattiti e convegni, di iniziative anche molto positive di sensibilizzazione. Come dicevo all’inizio, l’opinione pubblica è certamente consapevole dei gravi rischi che minacciano la nostra salute e, più in generale, la salute del nostro pianeta. Malgrado, però, questa sensibilità, è molto difficile passare dalla teoria alla pratica, dalla denuncia alla soluzione. Anche iniziative a carattere mondiale come il famoso Protocollo di Kyoto (firmato nel 1997 da ben 180 Paesi del mondo) non sono state, almeno fino a ora, risolventi: frenare l’industrializzazione appare impossibile, per gli enormi interessi economici in gioco. Tra l’altro molti Paesi in via di sviluppo, specialmente in Asia, ma anche in Africa e in America Latina, non tollerano limitazioni a questo loro sviluppo, pur se esso rischia di compromettere l’equilibrio ambientale. Lo stesso vale per un Paese oggi potente e in piena ascesa economica come la Cina. Per questo le dichiarazioni di principio fino a ora non sono state seguite da progressi adeguati nella tutela dell’ambiente, anche se la situazione generale appare in miglioramento, sia pure lento. Io penso che un salto di qualità decisivo potrà venire solo dalla coscienza ecologica delle nuove generazioni. Mettere l’ambiente al primo posto è un dovere, ma questa frase è accettabile solo da chi cresce e si forma con questa coscienza ecologica: altrimenti rimane solo una frase, più o meno vuota. Chi, invece, mette al primo posto le esigenze dell’economia, chiamandole magari con l’altisonante parola di “sviluppo”, non riesce a pensare che il primo “sviluppo” sta nella qualità della vita, a livello individuale e collettivo: che ci servirà essere più ricchi e soddisfatti, quando intorno a noi la natura starà morendo? Questa consapevolezza dovrà appartenere alle giovani generazioni, chiamate a riparare i danni che i loro padri hanno prodotto, più o meno inconsciamente. Come si vede, io non sono molto ottimista sulle concrete possibilità di risolvere a breve questo grave problema. Penso però che tutti dovremmo impegnarci per rendere possibili almeno alcune piccole scelte quotidiane, come lo smaltimento ecologico dei rifiuti, come la tutela del verde pubblico, come la limitazione del traffico automobilistico nelle grandi città. Saranno cose non risolventi, ma almeno costituiranno un aiuto a educarci, tutti assieme, a un rapporto più responsabile e più adulto con la natura.
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“Nel futuro ognuno sarà famoso al mondo per quindici minuti”. Il candidato, prendendo spunto da questa “previsione” di Andy Warhol, analizzi il valore assegnato alla “fama” (effimera o meno) nella società odierna e rifletta sul concetto di “fama” proposto dall’industria televisiva (Reality e Talent Show) o diffuso dai social media (Twitter, Facebook, Youtube, Weblog, ecc.). [assegnato all’esame di Stato del 2011]
Svolgimento La frase di Warhol è collegata al postmoderno (caratterizzato dalla perdita di certezze) La fama di oggi è definita per contrasto con la fama antica, quando erano famose persone “fuori dal comune” La fama oggi è affidata ai mass media: il termine “gerarchie” richiama i “pochi” citati prima, ma in senso opposto Tra i mass media l’attenzione converge sulla TV e sul genere del reality
Si conferma il concetto di Warhol riportato nel titolo Perché il reality ha cambiato il concetto di fama (riprende e sviluppa quanto detto in precedenza)
Un’immagine paradossale chiude il paragrafo: la “star quotidiana” = solo per un giorno Dopo il reality si analizza un altro degli elementi citati nel titolo
La conclusione riassume i concetti esposti nello svolgimento, accennando a una spiegazione psicologica
La celebre frase di Andy Warhol del 1968 – “Nel futuro ognuno sarà famoso al mondo per quindici minuti” – è scolpita sul frontone della postmodernità. Segna una fase decisiva: la caduta di quel velo che per anni, per secoli, ha segnato la netta separatezza fra ribalta e retroscena. Il palcoscenico era riservato a pochi: agli eroi, alle celebrità, agli uomini “fuori del comune”. Le esplosioni dei media (la fotografia, il cinema, la tv) hanno ribaltato le gerarchie concedendo a tutti la possibilità di apparire. Anzi, l’apparire è diventata la nostra nuova carta d’identità. Quello che ha più sconvolto l’opinione pubblica è che la nuova consacrazione è avvenuta soprattutto attraverso la tv e il suo genere più triviale e basso, il reality show (e il suo derivato “intelligente”, il talent), a lungo demonizzato. È innegabile che una delle principali svolte del reality sia stata quella di portare a compimento la famosa profezia di Warhol, modificando radicalmente i confini di quella che chiamiamo “fama”. Un tempo era qualcosa che bisognava costruire con professionalità e che richiedeva tempo, preparazione, prove. Il reality ha cambiato le carte in tavola: da un punto di vista antropologico, il genere cerca di traghettare storie di gente comune, di farle uscire dall’anonimato in cui generalmente vivacchiano, di portarle alla ribalta del video e farle esplodere. In modo istantaneo, i suoi protagonisti passano così dal buio alla luce e viceversa: nasce il paradosso della “star quotidiana”. I social media hanno poi complicato ulteriormente le cose: la celebrità sul web è ancora più istantanea e forse più effimera, si basa su processi virali ancora più imprevedibili di quella televisiva. Vecchi e nuovi media ridefiniscono così l’idea di “fama” perché sono spesso capaci di trasformarsi in una grandiosa seduta di autocoscienza collettiva che curiosamente intercetta un bisogno esteso, uno psicologismo diffuso: il desiderio di protagonismo. Aldo Grasso, Corriere della Sera (23 giugno 2011)
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