Il senso ellezza e la
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Il filo rosso che ha guidato ogni pagina di questo libro – nella scelta dei testi e dei contenuti del profilo – è stata la ricerca del “senso” che potevano avere per uno studente di oggi. Ma nella suggestione che la letteratura può esercitare è certo determinante anche “la bellezza”, il fascino dei suoni, dei ritmi, delle immagini attraverso cui la letteratura veicola i contenuti, sostenendone la forza.
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Coordinamento redazionale: Silvana Mambretti Coordinamento editoriale: Marco Mauri Redazione: Silvana Mambretti e Matteo Gorla Revisione: Dedita - Servizi editoriali Progetto grafico, coordinamento grafico e copertina: Enrica Bologni Impaginazione: Studio Mizar Ricerca iconografica: Eleonora Calamita, Mariagrazia Ferri, Matteo Gorla, Silvana Mambretti Referenze iconografiche: le immagini provengono dall’Archivio Principato Contenuti digitali Progettazione: Marco Mauri, Giovanna Moraglia Realizzazione: Alberto Vailati, Giuliano Mannini, bSmart Labs
Volume 3b Il Novecento e oltre Il progetto generale dell’opera è di Novella Gazich. Sono di Novella Gazich i capitoli 1-2, 5-6, 14 e le Unità 1-2 del Capitolo 7. Si devono a Raffaella Callegari i capitoli 4, 8, 15-16. Si devono ad Alessandra Minisci i capitoli 3 e 11. Si devono a Luisa Rosella Settimo i capitoli 10, 12-13 e l’Unità 3 del Capitolo 7. Il capitolo 9 è di Novella Gazich e Carla Gaiba. Si ringrazia Gianfranco Gavianu per i contributi dati all’elaborazione del Capitolo 5. L’inserto Attraverso l’arte è di Enrico Badellino. Le pagine di Letteratura, scienza e tecnica sono di Stefano Re. Le parti esercitative, compresa la rubrica Spazio competenze, sono state riviste e integrate dalla professoressa Valeria Rossetti. I Percorsi di cinema OL sono di Alessandro Calligaro.
L’Editore ha provveduto alla notifica presso l’Ufficio della Proprietà Letteraria Artistica e Scientifica ai sensi delle leggi sul diritto d’autore ed è a disposizione degli aventi diritto per eventuali lacune od omissioni. Per le riproduzioni di testi e immagini appartenenti a terzi, inserite in quest’opera, l’editore è a disposizione degli aventi diritto non potuti reperire nonché per eventuali non volute omissioni e/o errori di attribuzione nei riferimenti. Il senso e la bellezza 3b
ISBN 978-88-416-1368-9
versione digitale ISBN 978-88-6706-384-0
Il senso e la bellezza 3a + 3b ISBN 978-88-416-1366-5
versione digitale ISBN 978-88-6706-382-6
Prima edizione: marzo 2019 Ristampe 2024 2023 2022 2021 2020 2019 VIM MVM MIVM MIIIM MIIM MIM M* Printed in Italy © 2019 – Proprietà letteraria riservata.
È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata. Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale, possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi (Centro licenze e autorizzazioni per le riproduzioni editoriali), corso di Porta Romana 108, 20122 Milano, e-mail autorizzazioni@clearedi.org e sito web www.clearedi.org. L’editore fornisce - per il tramite dei testi scolastici da esso pubblicati e attraverso i relativi supporti o nel sito www.principato.it – materiali e link a siti di terze parti esclusivamente per fini didattici o perché indicati e consigliati da altri siti istituzionali. Pertanto l’editore non è responsabile, neppure indirettamente, del contenuto e delle immagini riprodotte su tali siti in data successiva a quella della pubblicazione, dopo aver controllato la correttezza degli indirizzi web ai quali si rimanda.
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Novella Gazich
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Linee, protagonisti e temi della letteratura italiana ed europea
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a cura di Novella Gazich Luisa Rosella Settimo Raffaella Callegari Alessandra Minisci
Didattica inclusiva
Flipped classroom
Realtà aumentata
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Il Novecento e oltre
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Le idee chiave
▪ Rilanciare il ruolo della letteratura a scuola: una difficile sfida La centralità della letteratura nella formazione scolastica è da tempo in crisi, a favore di altri saperi ritenuti più moderni e “utili”. È quindi urgente ripensare il sapere letterario per restituire ad esso un ruolo significativo nella scuola di oggi. È quanto si è cercato di fare nel progetto de Il senso e la bellezza, ideato da chi conosce la scuola per esperienza diretta.
▪ Un’idea di letteratura Perché avvenga “un incontro”, nella vita quotidiana come nell’ambito culturale, occorre che si stabilisca “un contatto”, che nasca la curiosità verso l’altro da sé. Cosa che secondo noi non può avvenire se si pensa alla letteratura come a un museo delle cere, imbalsamato e immutabile, in cui l’unica operazione possibile, al di là di riverniciature didattiche, è eliminare sempre più testi riducendo la letteratura a uno scheletro senza vita, a dati inerti da memorizzare. Il pericolo di un nuovo nozionismo serpeggia sempre più oggi e a nostro parere non può che allontanare sempre più i ragazzi dalla letteratura. La prospettiva che ispira questo manuale è opposta: la forte convinzione che la letteratura vada proposta come un universo affascinante, in cui entrare da curiosi esploratori, moderni “cavalieri erranti”. Quello con la letteratura deve ridiventare “un incontro” importante della vita di uno studente, capace di aprire nuovi orizzonti di pensiero e di vita. Solo la letteratura ci dà infatti il privilegio di “vivere altre vite” (non solo quelle degli autori, ma anche quelle dei personaggi da essi creati), di entrare in contatto diretto con comportamenti e mentalità di altre epoche. Interrogare i documenti che il passato ci ha lasciato, farli ri-vivere, riportando alla luce le passioni, le emozioni da cui sono nati (che non riguardano solo la sfera esistenziale, come l’amore, ma anche gli scontri e incontri ideologici che hanno animato il dibattito culturale) è un compito che spetta prima di tutto all’insegnante, insieme alla “sua” classe, a cui il manuale può dare sostegno ma mai sostituirsi. © Casa Editrice G. Principato SpA
▪ Una bussola per leggere il mondo, per leggersi Nata dalla vita, la letteratura deve però tornare alla vita, e alla vita di oggi. Imparare a interpretare il proprio tempo, i miti che lo governano, a individuarne i modelli di comportamento (oggi particolarmente vincolanti), è forse la principale competenza che la scuola deve attivare. Uno strumento utile è certo quello di “leggere” quelli delle altre epoche. Perché questo avvenga la letteratura non va considerata un mondo a sé, ma va ricollegata alla visione del mondo, ai nuclei dell’immaginario, ai modelli comportamentali, ed è quanto si è cercato costantemente di fare in questo libro. Imparare a conoscersi: la letteratura è strumento chiave anche per conoscersi, per imparare a decifrare le proprie emozioni: una funzione particolarmente importante oggi, di fronte ad adolescenti smarriti e spersonalizzati dalle sirene del web. Ma perché questo avvenga, occorre ripensare le gerarchie del sapere letterario in rapporto alle esigenze formative, ma anche all’“enciclopedia” dei ragazzi di oggi, ben diversa da quella dell’altro ieri.
▪ Antidoto all’omologazione e educazione ai valori La letteratura è per sua natura linguaggio complesso, polisemico, anche quando sembra semplice, come nel caso emblematico di Saba. Accostare il linguaggio letterario, senza eccessivi tecnicismi (che oggi le disposizioni ministeriali giustamente sconsigliano), può addestrare a riconoscere le semplificazioni, i travisamenti (casuali o peggio voluti) di cui abbonda la comunicazione dei social. La pratica della lettura di testi letterari può dunque costituire, anche solo sul piano linguistico, un antidoto alla dilagante omologazione e banalizzazione del linguaggio (e di conseguenza del pensiero). Ma pensiamo che vada oggi valorizzata anche la componente valoriale, civile, dei testi letterari: la letteratura ci pone a contatto con valori positivi (il coraggio delle proprie idee, la fedeltà, l’amicizia...), ma ci fa incontrare anche valori negativi (l’ipocrisia, la violenza, la vendetta...). Basterebbero anche solo La Divina Commedia e I promessi sposi come spunto per una utilizzazione della letteratura come educazione ai valori.
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Struttura dell’opera
Il profilo e i testi
Strumenti per lo studio
▪ Profilo e testi sono strutturati in capitoli per Generi,
▪ Sistematica presenza di schemi e visualizzazioni
Temi, Classici. I capitoli iniziali di ogni periodo storico-letterario – Quadro socio-culturale, con un percorso ricorrente su Libri, lettori, lettura, e Quadro linguistico-letterario – costruiscono attraverso i testi l’interazione della letteratura con i grandi temi dell’immaginario, della cultura e della società.
grafiche in font inclusivo ad alta leggibilità.
▪ Sintesi di fine capitolo (con lettura audio) accompagnate
QUADRO
SOCIO-CULTURALE
1 Il Novecento e oltre
Unità
1 L’immaginario e la mentalità
Tra l’ascesa del fascismo e la fine del Novecento drammatici eventi storici influenzano la condizione degli intellettuali, i modelli di comportamento Alberto Burri, Sacco 5P (1953), Città di Castello, Fondazione Burri ◁▽ particolari e la visione del mondo. La Resistenza e la ricostruzione post-bellica attivano 1 L’affermazione dell’uomo-massa un forte impegno dell’intellettuale che, a parte l’avventura strumenti PER STUDIARE del Sessantotto, tenderà poi nei decenni successivi Alle radici dei totalitarismi: il condizionamento di massa ▪ Il fascismo è il primo regime politico nella storia moderna che riesce a realizzare ad affievolirsi. LE UNITÀ un imponente consenso, grazie al condizionamento programmato delle I comportamenti collettivi durante le dittature sono ● 1. L’immaginario masse, finalizzato a costruire nella popolazione e la mentalità condizionati dai media (allora radio, cinema, stampa) una forte identità fascista. Questo obiettivo ● 2. I modelli Parola chiave primario del regime è perseguito attraverso la impegnati a creare un uomo-massa disposto all’obbedienza. di comportamento uomo-massa proposta martellante di immagini e simboloL’etichetta “uomo-massa” non ● 3. Modelli e immagini In modo non molto diverso, la società dei consumi, gie capaci di plasmare nel profondo l’immaidentifica una classe sociale (come del sapere a partire dagli anni Cinquanta, fa leva sulla pubblicità ad esempio la classe operaia), ginario collettivo. ma una categoria trans-sociale e la televisione per imporre una crescente omologazione. Allo stesso fine sono indirizzati gli eventi CONTENUTI DIGITALI caratterizzata da comportamenti collettivi con forti aspetti rituali, della GermaUn processo ulteriormente accentuato dai nuovi media uniformati, dalla predisposizione Esercizi interattivi nia nazista, fondati su coreografie spettacolari, alla passività, all’accettazione Ascolti e dai social network che hanno creato un mondo frutto di una studiata regia. Video acritica, che rendono l’uomodi individui iperconnessi, la cui identità stessa dipende ▪ massa facilmente manipolabile Una nuova realtà antropologica Perché In rapporto all’indagine delle dinamiche psicologiche che da capi carismatici e dai mezzi la propaganda fascista potesse fare presa, ma, dall’approvazione della rete e nei quali tende a spegnersi Baccio Bacci, Pomeriggio a Fiesole caratterizza il romanzo del primo Novecento, di comunicazione di massa, preDIDATTICA INCLUSIVA (1926-1929), Firenze, Galleria degli Uffizi ◁△ più in generale, perché potessero affermarsi i la capacità di lettura critica del mondo e di sé. Mappe senti e ampiamente utilizzati già particolari. la famiglia, e in particolare la famiglia borghese, regimi totalitari, occorreva che si fosse radicaSintesi nei totalitarismi. Secondo Ortega In ambito ideologico-filosofico, dopo il tramonto Attraverso Novecento: ta una nuova ilrealtà antropologica, definita da y Gasset, le radici della formazione , costituisce un campo di osservazione privilegiato immagini della famiglia borghese wdel marxismo e delle grandi “narrazioni”, non sono sociologi e filosofi “uomo-massa”, a prima vista dell’uomo-massa vanno ricercate DIDATTICA PER COMPETENZE strumenti PER STUDIARE da Svevo a Pirandello. nel crescente benessere, nel Nel Novecento al centro dell’interomanzo e italiano del èprimo una sorta dieuropeo ossimoro. Il termine stato coniaEsercitare emersi sistemi ideologici che possano offrire le competenze Alla rappresentazione idealizzata della famiglia trionfo della scienza e dell’indu- resse deglifilosofo scrittori non sono piùOrtega le avventurose del protagonista to dal spagnolo José y Gassetvicende sintesi globali. Nella postmodernità e oltre, è possibile strializzazione, che hanno reso la CONTENUTI DIGITALI ma(1883-1955) piuttosto i meccanismi che nedelle motivano la storia. In quenello studiopsicologici La ribellione propagandata dal fascismo, prima Moravia, vita più facile rispetto al passato Esercizi interattivi solo quello che è stato definito “pensiero debole”, stamasse nuova(1930), prospettiva spesso undiruolo privilegiato l’indagine delle dima ilhaconcetto uomo-massa per ampi strati sociali, che tendono con Gli indifferenti (1929) e quindi Gadda Ascolti entro le quali muove il soggetto. L'esempio forse più era statofamiliari anticipato fin dal 1895sidall’antropolomobile, parziale, relativo. perciò ad accettare la massifica- namiche Video con La cognizione del dolore (la prima stesura zione. significativo il celebre racconto diSaba Franz Kafka La metamorfosi (1912) go Gustaveè Le Bon L’uomo (1842-1931) nello scritto (→Psicologia V3aC13U2delle ). La folle. struttura familiarevisto a cui fa riferimento la narrativa, è del 1937) contrappongono un’immagine dallo scrittore Ottavio Cecchiin particolare nel primo Novecento, è la famiglia borghese, in concomitanALTRI TESTI demistificante e critica degli pseudovalori e dei rapporti Un euomo C2→T⓭c za con l’ascesa economica politica,scisso appunto, della borghesia. Delitto mancato interni alla famiglia borghese. Ottavio Cecchi (1924-2005) aveva conosciuto Saba durante la seconda In Italia sono soprattutto tre grandi scrittori a dar voce nel primo era digitale social network Giuseppe Pontiggia_L’arte guerra mondiale a Firenze doveeilGadda poeta .si nascondeva a della causafuga, delle per- nona Nella seconda metà del Novecento, in collocazione rapporto Novecento non al temaluoghi della famiglia: Pirandello , Svevo alienazione Sequenza le parole Umberto Saba ha una del tutto particolare secuzionidirazziali. Il ritratto mettenei in ruoli rilievofamiliari gli aspetti più rilevanti della Nelle novelle e nei romanzi Pirandello è proprio a nuovi scenari anche scrittrici DA RICORDARE nellasocio-politici, poesia italiana della prima metà del Novecento: che il personaggio pirandelliano consumismo sua personalità umana. la “forma” come costrizione sperimenta totalitarismi impegno media e Lalla Romano, e scrittori come come Natalia Ginzburg DIDATTICA INCLUSIVA strumenti PER STUDIARE al liberodiversità fluire della vita, mentre la famiglia si configura quindi come una estraneo alle sperimentazioni dell’avanguardia, ma anche Io facevo molta fatica, allora, a capire renza: cupa, senza fondo e inconsolabile. Mappe Giuseppe Pontiggia, ritraggono la crisi ormai palese “trappola” . Nelle opere teatrali spesso Pirandello mette in scena gli inganl’uomo Saba; né ho capito la sua poesia [...] Io ora so che Saba soffriva Sintesiperché grande tradizione al simbolismo, si riallaccia alla boom economico pensiero debole ni, le convenzioni a cuiper l’individuo è obbligato in anome molto tempo. L’ho capita poco adelle eraconvenienze un uomo del nostro tempo, scisso, e dell’istituto familiare. MULTICULTURALISMO migrazioni DIVERSITÀ cultura dello scarto poetica italiana, da Dante e Petrarca a Leopardi. poco. Prima dil’ipocrisia me, prima che di tutti, Saba la scissura familo dissociava da sé e dagli altri. sociali, rivelando impietosamente regna nei rapporti LE UNITÀ DIDATTICA PER COMPETENZE scoperto in sé un borghese: cuore scisso:emblematici l’in- Avrebbe voluto ma era chiamato ● 1. Ritratto d’autore , propri della societàaveva Utilizza infatti nel suo Canzoniere la metrica classicaliari (e della famiglia) sono già vivere,Esercitare sanabile contraddizione, l’impossibilità dalla morte; avrebbe voluto morire, ma era le competenze 36 37 come piacere delle parti. ● 2. Il Canzoniere sceglie uno stile quasi prosastico, un linguaggio che di per sé i titoli di opere delle sintesiIlfelici. [...] dell’onestà o Il gioco chiamato dalla vita. Centrale è il tema della famiglia borghese anche nell’opera dell’altro Era scostante, lontano, rinchiuso in un O. Cecchi, L’aspro vino di Saba, Editori Riuniti, oscilla tra la lingua comune e i termini della lingua grande narratore italiano Roma 1988 mondo era rinchiuso nella sua soffe-Svevo. Nella Codelsuo; primo Novecento, Italo CONTENUTI DIGITALI letteraria più usuali, rimanendo fedele nel tempo scienza di Zeno i legami familiari sono illuminati attraverso l’ottica delle Esercizi interattivi teorie freudiane, formidabile strumento analitico che consente di rivelarvisto dal poeta Vittorio Sereni a un ideale di poesia “onesta”, che dia voce Ascolti ne la complessità e ambivalenza. Un ritratto in poesia Video ai sentimenti, agli affetti familiari, che esprima Il poeta Vittorio Sereni (1913-1983) dedica a Saba un ritratto che ne evoca i valori, senza compiacimenti letterari. L’EPOCA l’aspetto, la personalità, la passione civile nell’Italia del dopoguerra. Tuttavia la poesia di Saba è solo apparentemente DIDATTICA INCLUSIVA le immagini Berretto pipa bastone, gli spenti Mappe • La famiglia del pittore, in “semplice”, perché il poeta vi immette contenuti oggetti di un ricordo. un’“interpretazione” metafisica di Giorgio Sintesi de Chirico Ma io li vidi animati indosso a uno assolutamente moderni. Il Canzoniere è una sorta • La copertina illustrata della prima edizione 1 ramingo in un’Italia di macerie e di polvere. Bompiani del romanzo Gli indifferenti • I bambini Blanchard dipinti da di autoanalisi, uno scavo nella profondità Sempre di sé parlava ma come lui nessuno DIDATTICA PER COMPETENZE Balthus Esercitare le competenze ho conosciuto che di sé parlando • Interno familiare di Nicola Galante dell’io, condotta da Saba con il contributo Spazio competenze • Manifesto del film dal romanzo di e ad altri vita chiedendo nel parlare Remarque altrettanta e tanta più ne desse della psicoanalisi, per cogliere le ragioni della sua • Autoritratto di Lalla Romano • Ragazzi in una tela di Lucian Freud a chi stava ad ascoltarlo. 1 ramingo: senza meta. sofferenza esistenziale. Sofferenza che il poeta cerca 2 CLASSE ROVESCIATA E un giorno, un giorno o due dopo il 18 aprile , 2 18 aprile: il 18 aprile 1948, lo vidi errare da una piazza all’altra data delle elezioni politiche L’uomo Saba 400 401 di sconfiggere immergendosi nella vita di tutti vinte dalla Democrazia cridall’uno all’altro caffè di Milano stiana e con la sconfitta del e grazie all’amore per la vita che, nonostante tutto, inseguito dalla radio. Fronte democratico popo«Porca – vociferando – porca». Lo guardava continua a provare. lare (formato dal Partito stupefatta la gente.
TEMI 8 La famiglia borghese allo specchio
Un campo di osservazione privilegiato della letteratura del Novecento
CLASSICI 4 Umberto Saba Leggere il Canzoniere
strutturalismo
Sessantotto
Lo diceva all’Italia. Di schianto, come a una donna che ignara o no a morte ci ha ferito.
V. Sereni, Gli strumenti umani, Einaudi, Torino 1965
da un’infografica che affianca il testo riassuntivo. ▪ Parafrasi (anche d’autore) per i testi in prosa e in poesia che lo richiedano. ▪ Schede: puntualizzazioni di carattere informativo ▪ Approfondimento: amplia in varie direzioni l’argomento ▪ Parola chiave: le idee guida, i motivi di un’epoca, di un genere, dell’universo tematico di un autore. ▪ Temi/test/autori a confronto: presentano un tema, un motivo, una situazione per sviluppare il confronto. ▪ Attraverso il tempo: avvicina passato e presente, per cogliere la persistenza e la ripresa di temi e motivi nel Novecento, in un’ottica di intertestualità. ▪ Documenti critici: corredati da domande che guidano all’interpretazione del linguaggio critico per esercitare all’analisi e produzione di testi argomentativi.
comunista italiano e dal Partito socialista italiano) a cui il poeta era idealmente vicino.
cronologia INTERATTIVA 1883 Umberto Poli nasce a Trieste; è affidato alla balia con cui vive fino al 1887.
1893-1899 1903 1905 1910 Frequenta prima Si trasferisce a Incontra per la Nasce la figlia, il ginnasio e poi Pisa; iniziano gli prima volta il Linuccia. l’Accademia di attacchi d’ansia padre e conosce commercio; diche lo tormente- Carolina Wölfler (Lina) che venta commesso ranno per tutta e si dedica a la vita. Tornato a diventerà sua «sterminate Trieste, è ricove- moglie (1909). letture» rato in ospedale in Slovenia.
1911 1912 1919 1921 Pubblica sotto Esce nelle edizio- Il poeta torna a Pubblica a sue lo pseudonimo ni della «Voce» il Trieste; grazie a spese la prima di Saba la prima secondo libro di un’eredità, acedizione del raccolta, Poesie; poesie (Coi miei quista una libre- Canzoniere. invia il saggio occhi, poi Trieste ria antiquaria. Quel che resta e una donna). da fare ai poeti 1915 L’Italia alla rivista «La entra in guerra; Voce» che lo Saba, interven1922 Marcia respinge. tista, si arruola; 1914 Scoppia 1918 Fine del- su Roma; Musè assegnato la prima guerra la prima guerra solini diventa alle retrovie. mondiale. mondiale. primo ministro.
1929 1938 1943 1945 1947 1948 1951-53 1953 Inizia con Si trasferisce Si rifugia Si trasferisce Pubblica Cura una nuo- Le sue Scrive il roEdoardo Weiss con la famiglia a Firenze, a Roma e poi le prose di va edizione del condizioni manzo una terapia a Parigi; ritordove vive a Milano; esce Scorciatoie e Canzoniere psicologiche Ernesto (uscipsicoanalitica. nato a Trieste, nascosto con una nuova peggiorano e raccontini. che comrà postumo). edizione del prende anche lo costringono esce dalla co- la famiglia. munità ebraica Canzoniere Mediterranee; al ricovero in ospedale. ma rifiuta di per Einaudi. pubblica battezzarsi (per Storia e cro1939 Invasione sfuggire alla nistoria del della Polonia: persecuzione). Canzoniere. ha inizio la II 1940 L’Italia 1947 Con le tensioni tra Usa e 1938 In Italia sono promul- guerra mon1945 Fine della II diale. entra in guerra. guerra mondiale. Urss ha inizio la guerra fredda. gate le leggi razziali.
1956 Muore la moglie Lina.
1957 Muore in ospedale a Gorizia.
1933 In Germania va al potere Hitler.
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Pubblicità degli anni CinquantaSessanta della “Lambretta”,
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Scelta mirata di testi rispetto al profilo e sviluppo della capacità di interpretazione critica attraverso il confronto di temi/testi/autori. Giuseppe Pontiggia_La grande sera, cap. XII
G. Pontiggia, La grande sera, Mondadori, Milano 1989; ed. riveduta 1995 (è quella da noi seguita)
Zygmunt Bauman_I desideri nel tempo della fretta
In un articolo della «Repubblica» del 2010 il sociologo polacco Zygmunt Bauman (1925-2017) fa alcune interessanti considerazioni che riprendono le tematiche del suo studio Consumo, dunque sono (2007).
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1 affermava... confermava: la madre allude a una crescita psicologica mentre il padre si riferisce all’aumento di peso. 2 adipe: accumulo di grasso.
3 isole Galapagos: arcipelago di isole vulcaniche situate nell’oceano Pacifico verso la costa occidentale dell’America del Sud; le più vecchie risalgono a circa 4 milioni di
anni. Dall’osservazione delle specie animali e vegetali qui presenti Darwin trasse elementi per formulare la teoria dell’evoluzione.
4 vitreo: simile al vetro, inespressivo.
3 Poesia autoritratto e poesia narrativa
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Sceso sul marciapiede deserto, sotto i platani, nell’angusto passaggio lasciato dalle automobili in sosta, Andrea si voltò per vedere se qualcuno l’aveva seguito. Ma chi avrebbe potuto farlo. Non suo padre, più lento a mettere a fuoco una idea che un fotografo dell’Ottocento una immagine. Né sua madre che, uscendo dalle sue crisi depressive, affermava ogni volta di essere cresciuta e suo padre diceva che l’aspetto lo confermava1. 5 Aggirandosi per l’appartamento con il naso in alto e la vestaglia nera a strascico, sembrava una foca che scivolasse a colpi di pinna. Camminò a passo veloce fino all’angolo e attraversò il viale senza più voltarsi. Ogni volta che usciva di casa si sentiva un evaso, felice e insieme timoroso di essere libero. Per questo cercava di aumentare la distanza, anche se intuiva che il problema, più che di 10 uscire, era di non rientrare. Quella casa di pietra grigia, il portone di ferro sempre chiuso, i balconi con i vasi di fiori disseccati, gli sembrava il nido della follia. Definirla era stata la liberazione da una angoscia covata a lungo, dandole la certezza di un nome. Suo padre che avanzava in corridoio a passi lenti, quasi fosse appesantito dagli anni e 15 sperasse che l’età gli desse l’autorità che non aveva mai avuto. E sua madre che, quanto più era impacciata dall’adipe2, tanto più voleva muoversi e, come diceva, vivere. Quando li vedeva in corridoio, a gara l’uno a camminare più tardo, l’altra più veloce, che si urtavano a vicenda, incapaci di superarsi o di cedere il passo, gli sembravano due animali preistorici. Gli ricordavano quei rettili sopravvissuti nelle isole Galapagos3, che 20 aveva osservato in televisione mentre si accoppiavano immobili, senza sussulti, l’occhio vitreo4 rivolto altrove, le palpebre che si abbassavano lentamente quando i corpi si distaccavano, le gole che deglutivano aria. E se pensava al frutto della loro unione, provava la paura che assale chi ha troppo paura dei mostri, cioè di esserlo lui. Animali indifferenti 25 e torpidi, che brancolavano sulle rocce prima di sparire nelle fenditure. Quello che continuava a stupirlo non era che si fossero sposati, ma che non si fossero divisi. E che un errore nato dalla inesperienza trovasse poi alimento nella convivenza. Non riusciva a capire questo paradosso finché pensò che forse non si trattava di un errore. Non era paradossale la realtà, quanto il suo modo di interpretarla. L’odio che teneva avvinti i suoi genitori era un legame più tenace, e certamente più 25 affidabile, di qualsiasi altro. Perché un predatore può lasciarsi sfuggire la sua vittima. Ma
nelle opere di Pavese.
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13 Linee della lirica del secondo Novecento • GENERI
e temperatura, cui sarebbe seguita una rapida espansione. 6 anche se... «universo individuale»: il concetto astronomico di big bang è utilizzato nell’ambito della vita degli individui contemporanei. 7 società dei produttori: nel suo saggio Consumo, dunque sono, Bauman contrappone la «società dei produttori» a quella «dei consumatori».
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Nella sua evoluzione tardo-novecentesca la famiglia è analizzata dallo scrittore Giuseppe Pontiggia nel romanzo La grande sera (1989), che ha come tema la scomparsa di un uomo, apparentemente immotivata e inspiegabile: alla fine risulta però evidente che il protagonista ha scelto di fuggire per sottrarsi a una vita che, sebbene piena delle gratificazioni riconosciute dalle convenzioni sociali, risultava per lui priva di significato, una sorta di prigione da cui evadere. Nel cap. XII, dal titolo emblematico L’infelicità domestica, il nipote dello scomparso, Andrea, delinea un ritratto impietoso della conflittualità all’interno della propria famiglia. Sarà proprio Andrea a scoprire per primo la verità: lo zio è fuggito spontaneamente, lasciando proprio a lui una forte somma di danaro perché possa andarsene, come ha fatto lui, per sottrarsi alle convenzioni sociali e cercare la libertà interiore.
Un campo di osservazione privilegiato della letteratura del Novecento
istituzioni un tempo solide come i partiti, la scuola, la Chiesa, la famiglia stessa. 3 rinegoziare: ridefinire. 4 le teorie cosmogoniche: le concezioni sull’origine dell’universo. 5 il big bang: la “grande esplosione” primordiale (avvenuta tra i 10 e i 20 miliardi di anni fa), dalla quale l’universo si sarebbe formato, a partire da uno stato iniziale di altissima densità
per la Biografia di Giuseppe Pontiggia →C2U2
1 L’immaginario e la mentalità
È stato Stephen Bertman1 a coniare i termini «cultura del momento» e «cultura della fretta» per definire il nostro modo di vivere in questa società. Sono definizioni idonee e che risultano particolarmente comode ogni volta che cerchiamo di cogliere la natura della condizione umana liquido-moderna2. La mia tesi è che tale condizione si caratterizza principalmente per la sua tendenza (un caso fin qui unico) a rinegoziare3 il significato del tempo. Il tempo, nell’era liquido-moderna della società dei consumatori, non è né ciclico né lineare, com’era normalmente per le altre società note della storia moderna o premoderna. Direi che è invece puntinista, frantumato in una moltitudine di pezzetti distinti, ognuno ridotto a un punto che si avvicina sempre di più alla sua idealizzazione geometrica di non dimensionalità. [...] Ma come quell’unico punto che, secondo quanto ipotizzano le teorie cosmogoniche4 più avanzate, precedeva il big bang5 che diede inizio all’universo, ogni punto si presume contenga un infinito potenziale di espansione e un’infinità di possibilità che attendono di esplodere se adeguatamente innescate. [...] Ogni punto-tempo (ma non c’è modo di sapere in anticipo quale) potrebbe – soltanto potrebbe – recare in sé la possibilità di un altro big bang, anche se questa volta su scala ben più modesta, da «universo individuale»6, e i punti successivi continuerebbero a essere visti come punti recanti tale possibilità [...]. È proprio per questa ragione che una vita «del momento» normalmente è una vita «della fretta». [...] Solo le vaste distese di nuovi inizi che siamo convinti ci aspettino più avanti, solo una moltitudine sperata di punti le cui potenzialità da big bang ancora non sono state messe alla prova, e che perciò ancora non sono state screditate, possono salvare la speranza dalle macerie delle conclusioni premature e degli inizi abortiti. [...] Nella vita «adessista» dell’avido consumatore di nuove Erlebnisse (esperienze vissute), la ragione di affrettarsi non è acquisire e collezionare il più possibile, ma rottamare e sostituire più che si può. C’è un messaggio latente dietro a ogni spot che promette una nuova opportunità inesplorata di beatitudine: non ha senso piangere sul latte versato. O il big bang avviene proprio ora, in questo esatto momento e al primo tentativo, oppure attardarsi in quel particolare punto non ha più senso: è tempo di spostarsi su un altro punto. Nella società dei produttori7 che ormai sta scomparendo dalla memoria (almeno nella nostra parte del pianeta), il consiglio, in
1 Stephen Bertman: l’autore del saggio Hyperculture. The Human Cost of Speed (1998). 2 liquido-moderna: l’espressione «società liquida» è stata coniata da Bauman. In generale la metafora della “liquidità” è impiegata dallo studioso per sottolineare la condizione di precarietà che caratterizza la società postmoderna in cui ogni certezza è venuta meno e si sono indebolite le
Verso una coscienza ecologica di massa
Sintesi con
12 Italo Calvino • CLASSICI
Per Bauman la nuova concezione del tempo è elemento basilare della condizione moderna.
APPROFONDIMENTO
5 La famiglia borghese nello sguardo impietoso di un figlio
a. Il tempo della fretta e il miraggio delle vite multiple
Mimmo Rotella, Cinemascope, 1962 (Colonia, Museum Ludwig).
ON LINE
Temi/testi a confronto
11 Il tempo della società moderna Z. Bauman, «la Repubblica», 15 febbraio 2010
IMMAGINE INTERATTIVA
12 Italo Calvino • CLASSICI
Testi documento a confronto
ON LINE
1 L’immaginario e la mentalità
1 Il Novecento e oltre • QUADRO SOCIO-CULTURALE
▪ Esemplarità dei testi e didattica del confronto
che insieme alla “Vespa” rivoluzionò l’idea del trasporto privato in scooter.
Scheda Il consumismo implica un’iperproduzione di merci per alimentare i più svariati, e spesso La nascita e l’affermazione artificiali, indotti, bisogni: connesso all’economia consumistica è lo spreco, l’eccesso, la classi sociali più elevate (→V3aC1U1) l’intera famiglia (quando i supermercati della civiltà dei consumi in Italia diventa in pochi anni un mezzo di tra- inizieranno a restare aperti anche di produzione di beni non durevoli che si possano scartare e sostituire in fretta. Lo sviluppo dell’industria Dalla metà sporto di massa dopo il lancio nel 1955 domenica, il “rito del comprare” tenIl ruolo chiave della pubblicità ▪ Fondamentale strumento per l’affermazione degli anni Cinquanta inizia in Italia il della prima utilitaria, la Fiat 600. L’in- derà spesso a sostituirsi alla messa...). della civiltà dei consumi è stata, ed è tuttora, la pubblicità. Forme di pubblicizperiodo del boom industriale (→C11). dustria dell’automobile è privilegiata Ma la vera trasformazione si ha quando zazione dei prodotti erano presenti già alla fine dell’Ottocento, ma l’importanza La crescita molto rapida della produ- dal sistema economico-statale di que- ai supermercati si affiancano gli iperdella pubblicità cresce con ritmo incalzante nel corso del Novecento, parallelazione industriale sconvolge, almeno sti anni rispetto ai mezzi pubblici e al mercati (il primo ipermercato italiano mente all’affermarsi dell’economia capitalistica. L’avvento della televisione porta in parte, il volto arcaico e agricolo del potenziamento del trasporto ferroviario: è creato in Lombardia, a Carugate, nel paese, che il fascismo non era riuscito si investe in autostrade che attraversa- 1972). Negli ipermercati la vendita di la pubblicità dentro le case. a trasformare nel profondo: nel “trian- no il paese e consentono spostamenti prodotti alimentari si associa a quella Il primo fine della pubblicità era informativo: indicare, magari in modo accatgolo” Milano, Torino, Genova, si svi- più rapidi rispetto al treno. L’autogrill di altre merci (spesso in offerta, per potivante, le caratteristiche di un prodotto; ben presto però la pubblicità è diventata luppano grandi complessi industriali. diventa il luogo simbolo dell’era auto- tenziare le vendite). proposta indiretta (attraverso meccanismi di “persuasione occulta”) di modelli Oggetti simbolo e nuove abitudini In mobilistica in Italia (→T❿). Dagli anni Ottanta, con lo scopo evidendi vita e di comportamento. Un processo segnalato e condannato già alla fine seguito al crescente benessere derivato Dai supermercati ai centri commer- te di potenziare ulteriormente i consudegli anni Cinquanta in un libro uscito in America, opera del giornalista e sociodal boom economico già alla fine degli ciali: i riti del consumo di massa mi, l’ipermercato diventa spesso cenanni Cinquanta si diffondono ogget- L’incremento dei consumi trova uno tro commerciale, “città fittizia”, che logo Vance Packard (1914-1996), intitolato appunto I persuasori occulti (1957). ti tecnologici che modificano in modo strumento fondamentale nei super- associa la dimensione dell’acquisto a Una nuova “religione” per tutte le classi e tutte le generazioni ▪ Un radicale le abitudini di vita, innanzitutto mercati, destinati abbastanza presto quella dell’intrattenimento: la presenza aspetto particolarmente caratterizzante è la trasversalità sociale e generazionale della donna, ma anche della famiglia: a mettere in ginocchio il commercio al di cinema, ristoranti, fastfood, spazi di del modello consumistico: poiché la reputazione sociale è legata agli oggetti posseduti, nelle case degli italiani entrano gli elet- minuto. Il primo supermercato nasce a gioco per i bambini e così via induce le anche i poveri sono costretti a spendere oltre le loro possibilità, magari indebitandosi pur trodomestici (frigoriferi, lavatrici) e so- Milano già nel lontano 1957. famiglie e i giovani a passarci il tempo, di non essere emarginati. A loro volta anche gli anziani sono oggi inglobati nella macLa spesa al supermercato assume su- soprattutto nei weekend (→Lo spazio, prattutto nel 1954 la televisione. L’automobile, da status symbol delle bito il carattere di un rito che coinvolge p. 64). china consumistica, che inventa continuamente prodotti destinati alla terza e quarta età. Il filosofo e sociologo Edgar Morin (n. 1921) in un saggio scritto quando la cultura di massa era ancora agli albori, L’industria culturale (1962), ne parlava come di una Cinquanta la scuola di Francoforte (emanazione dell’Istituto per la ricerca Parola chiave pseudo-religione che ha sottratto sempre più spazio alla famiglia, alla scuola, alla Chiesa alienazione sociale fondato nel 1923 appunto a Francoforte) produce importanti scritti e alle istituzioni in genere proprio perché offre rituali e miti particolarmente seduttivi, Il termine alienazione appartiene di analisi critica delle dinamiche sociali. Tra le figure di rilievo, ricordiamo terreni anziché trascendenti, creando un’osmosi tutta particolare tra immaginario e realtà. propriamente all’ambito giuridico Theodor W. Adorno (1903-1969), Max Horkheimer (1895-1973), Herbert ed è l’atto con cui si trasferisce A quasi quarant’anni di distanza, a sottolineare la continuità dei caratteri della società Marcuse (1898-1979), Erich Fromm (1900-1980). ad altri una proprietà. La parola ha consumistica, ormai diventata “iperconsumistica”, la metafora di una “nuova religione” La discussione critica dei meccanismi massificanti della società induassunto significato politico (con ritorna significativamente in un saggio di George Ritzer del 1999 sulle “nuove cattedrali” striale avanzata uscirà però dai circuiti ristretti degli studiosi per entrare connotazione negativa) nel pen(come i centri commerciali) luoghi di pellegrinaggi rituali di massa. siero di Marx che l’ha impiegata prepotentemente nel costume solo con il movimento del Sessantotto, 12. Italo Calvino CLASSICI La società dei rifiuti: l’altro volto dei consumi ▪ L’economia consumistica si fonda per designare lo spossessamento che attaccava l’imperialismo americano innanzitutto sul piano politico in sull’impulso ad acquisire e possedere beni di consumo, che la macchina produttiva predel prodotto del proprio lavoro a relazione in Vietnam. All’interno di questa critica, negli anni bato, tesoalla alla guerra vana ricerca della natura nel mondo cittadino cui è soggetto l’operaio nel rapsenta come surrogati della felicità. Ma al contempo la stessa macchina induce il consu“sfida al labirinto” della contestazione il termine “alienazione” la AUDIOLETTURA produzione – è ancora presente ricorreva una componente straniata e fiabesca,per di stigmatizzare porto di produzione capitalistico. del mondo matore a disfarsi al più presto del prodotto acquistato per lasciare posto a nuovi acquisti. mappe PER STUDIARE realista contemporaneo condizione dell’uomo società manipolato cui sono invece privi i nella romanzi brevidei Laconsumi, speculazione edilizia dalla macchina Il termine ha avuto fortuna nel L’accumularsi dei rifiuti con il problema del loro smaltimento è quindi costituzionalmenlinguaggio sessantottesco per alproduttiva e privato delsmog controllo sulla propria vita. Un classico del Novecento (1957) e La nuvola di (1958). In entrambi il protago� rappresentazione te connaturato alla civiltà dei consumi (→Testo documento T➋a). Questo stretto legame ludere alla condizione dell’uomo del boom economico L’opera di Calvino (1923-1985), uno degli autori italiani più nista è un intellettuale , disorientato e smarrito ▪nella società della contestaUn “libro-culto”: L’uomo a una dimensione La “bibbia” ha ispirato a Calvino anni Settanta un siracconto allegoricoun(Leonia) incon un’ottica fiabesca nella società consumistica, nella noti all’inizio e studiati degli a livello internazionale, snoda attraverso dei consumi, ormai lontana da quella solidale e ricca idealidi Herbert Marzione, il libro-culto di una generazione in lotta fu ildisaggio cluso nelle Città invisibili Nella recente enciclica Laudatosusi’,come dedicata al tema quale egli viene ridotto a oggetto e →T➋b). che originale (percorso – in un’inesausta riflessione i della L’uomo Resistenza. Il disagio dell’intellettuale è analizzato da � il “miracolo cuse, a una dimensione (1964), destinato a un successo mondiale deprivato della propria autenticità. con grande forza ha messo in discussione principi ecologico papa Francesco economico” visto da un sistemi culturali (e in primo luogo il linguaggio) diano iforma al stessi del Calvino anche in alcuni saggi coevi, chedinelettura. riconoscono vanal’analisi del tutto , nonostante le difficoltà Secondo tra i giovani intellettuale implicano una destinata inevitabilmente a inquiconsumismo che nostro modo di “cultura vedere la dello realtàscarto” – coniuga sapientemente realtà la pretesa e guidare un processo � denuncia della nuova pessimistica del filosofo«d’interpretare (→T❸OL), la società di massa, grazie storico»: ai mezzi di cui dispone, nare sempre più ilepianeta (→T➋c,).fantasia e storia, letteratura e scienza, rigore società dei consumi ma lo scrittore nondell’individuo, rinuncia al proposito di della cercare una immaginazione realizza una totale “integrazione” privandolo possibilità di esercitare � attenzione al tema matematico e ispirazione fiabesca, arte combinatoria e ironia. «prospettiva nel labirinto» del mondo, di raccogliere la sfida ecologico la critica, di opporsi, di produrre modelli sociali antagonistici e riducendolo appunto a a comprenderlo. “uomo a una sola dimensione”. La critica alL’esordio modelloneorealistico consumistico della società industriale avanzata � la crisi La crisi dello scrittore è testimoniata anche dal romanzo La dell’intellettuale di il confronto produzione Le considerazioni nel saggiodelsulLa società dei consumi, in cui tuttora viviamo, si caratterizza persua la tendenza fronte ai limiti della Italo Calvino esordisce nel 1947, ispirandosi alla esperienzaad assorbire giornatapresenti di uno scrutatore, 1963, in cui un militante del con la Storia neorealista ragione le caratteristiche strutturali della societàindiun seggio ogni forma di dissenso, a svalutare ogni opzione alternativa, Testielettorale ON LINE all’interno partigiana, con il romanzo Il sentiero dei nidi dianche ragno,perché che si infrange la Partito comunista, impegnato massa, lette oggi, a cinquant’anni di distanza,con l’universo solidarietà socialecolloca che potrebbe sfociare protesta, allettando il singolo individuo con nell’ambito del in neorealismo per la rappresentazione del Cottolengo, confrontandosi della sofferenza � la Resistenza dello scarto 2 La civiltà e la lotta partigiana risultano ancora di sorprendente attualità , sempre nuove offerte di consumo. della Resistenza come inizio di un rinnovamento politico e soProduzione-distruzione: e della minorazione psichica e mentale, sia.rende conto che le � punto di vista un nesso obbligato evidentementeproprie perchécategorie focalizzano delle co-illuminista, fiducioso Non a caso dunque radicale criticapresenta a questo sociale hatipica potuto esprimersi solo cialeuna italiano. L’opera giàmodello una caratteristica dello di intellettuale nella rainconsueto Gunther Anders_L’uomo è antiquato � narrazione priva stanti del modello sociale in cui viviamo. scrittore, la scelta di un di punto di vista inconsuetoGià : quello un Quarantanei primi tempi della sua storia, ad opera filosofi e psicoanalisti. neglidianni zionalità e centralità dell’uomo nel mondo, sono insufficienti. di ogni esaltazione bambino, Pin, che si unisce ai partigiani, vivendo la Resistenza retorica 44 45 Testo PASSO DOPO PASSO � tono “fiabesco” come un’avventura, in un’ottica favolosa e picaresca. Il Calvino postmoderno Attività testo In seguito, Calvino abbandona la prospettiva storicasul e l’impeAbilità: un rigoroso 1. Il contenuto produzione Riassumi in max 8 applicare righe il contenuto della poesia-racconto. 22 L’adolescente come nuovo Ulisse Il genere fantastico e allegorico gno politico, dedicandosi a narrazioni brevi, ispirate a una culcomprendere ordine mentale postmoderna rappresentazione produzione Cesare Pavese_Lavorare stanca, Ulisse la poesia si intitola 2. Il tItolo Perché e analizzare riflessiva al Ulisse? caos del reale Con Il visconte dimezzato (1952), Calvino inaugura un nuovo tura enciclopedica, in cui è rilevante la componente allegorico-fiabesca fantastica dell’uomo e allegorica genere, il racconto fantastico e allegorico, iniziando una triloe metanarrativa (ne sono esempio le Le cosmicomiche, Se Il punto dI vIsta Il punto di vista adottato nel testo è quello 3. una � interesse verso contemporaneo il significato della poesia-racconto, incentrata sul un viaggiatore, Il castello dei destini incrociati, a. □ del poeta. gia poi completata con Il barone rampante (1957) eIl Ilriferimento cavaliere mitologico del titolo illumina notte d’inverno la scienza grazie a c. □ dei familiari. C. Pavese, passaggio dall’infanzia all’adolescenza, quando il ragazzo si stacca dalle radici familiari per b. □ del figlio. Le poesie, Einaudi, cui cercare un nuovod. □ del padre. inesistente (1959). Sebbene ambientati in epoche storiche � tema del doppio Palomar): tenta così di applicare un rigoroso ordine mentale andare alla scoperta del mondo. Torino 1998 sguardo sul reale � l’alienazione lontane, e con protagonisti dai caratteri favolosi (un visconte a una realtà che gli appare sempre più sfuggente e caotica 4. l’. ImmagIne della fInestra L’immagine della finestra, nel contesto della poesia, simboleggia dell’uomo moderno □ un varco. c. □ la separazione. a. diviso a metà da un colpo di spada, un cavaliere di cui esiste La nuova prospettiva di Calvino può essere ricondotta al fa sviluppare solo una Il «vecchio deluso» e suo figlio parte di Ilsédistacco del figlio adolescentepostmoderno d. □ la serenità. □ uno squarcio paesaggistico. � interesse per solo l’armatura vuota, un barone che vive sulle piante), in realtà , da cui però lo scrittore peraltro si discosta b. per è presentato dalla Questo è un vecchio deluso, perché ha fatto suo figlio la narrativa combinatoria la prospettiva del padre, che, soffrendo, si accorge che il questi romanzi rappresentano l’uomotroppo contemporaneo, denunil rifiuto dell’irrazionalismo e del relativismo, e per lo5. stile In comune fra padre e fIglIo... Che cosa accomuna laesituazione, per il resto in palese contrasto, del padre e tardi. Si guardano in faccia ogni tanto,� tema dell’alienazione metanarrazione ragazzo sta diventando adulto e non dipende più da lui. � nella società del figlio? ciandone l’alienazione, raffigurata nella interiore lucido e limpido. mascissione una volta bastavadel uno schiaffo. (Esce il vecchio � impossibilità di massa la persona L’immagine chiave di questo testo (presente in tutte le c. □ La staticità. □ La solitudine. Visconte dimezzato, e nell’impossibilitàe ad esistere di rendere la Negli anni Settanta-Ottanta lo scrittore si inserisce in a.un ruoli ritorna colpienamente, figlio che si stringe una spalla è “cancellata” dai strofe) è la finestra, spazio di separazione tra il giovane b. □ Il desiderio di libertà. complessità del realed. □ La scoperta del mondo. prestabiliti perché prigioniero di un ruolo prefissato, nel Cavaliere inesiambito di cultura internazionale: si trasferisce per alcuni 5 e non leva più gli occhi). Ora il vecchio è seduto e il padre. Un altro motivo è quello dello schiaffo: nel Esercitare 6. Illustrare la poesIa dI pavese a partIre da ImmagInI emblematIche La poesia narrativa di Pavese è spesso costruita stente. anni a Parigi (1967-1980), dove collabora con gli scrittori fino a notte, davanti a una grande finestra, le competenze � obiettivomondo di arcaico, rude e patriarcale, i contadini rapprea partire da immagini dal valore emblematico: spiega come nel testo siano centrali le immagini della � città immaginarie Nel Barone rampante, Calvino propone il suo ideale umafrancesi dell’Oulipo, e intrattiene contatti con gli Stati Uniti, sentati da Pavese comunicano con i gesti: lo schiaffo, un modello non viene nessuno e la strada è deserta. delineare finestra e dello schiaffo. in una cornice no attraverso la figura di Cosimo, ma di intellettuale trasposizione fantastica in cuipunito avrebbe che durante l’infanzia del figlio avrebbe ogni dovuto tenere le Lezioni americane, pubblicate allegorica contemporaneo dell’adolescente e rapportarsI alla proprIa esperIenza Quali particolari 7. IndIvIduare daI versI dI pavese la condIzIone velleità di ribellione, ribadendone postume, la subordinazione (vv. dell’intellettuale illuminista, che si ribella alla famiglia nobile per dibattere i più e dedicate ai modi in cui il linguaggio può arginare � ricerca di un importanti nodi dell’adolescente? Seppur in forma mediata, puoi della poesia sono riferiti alla condizione psicologica 3-5),vista ma anche il legame ancora stretto con il genitore. a cui è esposto nel mondo contemporaneo, e conservatrice, salendo a vivere sugli alberi. Il richiamo all’illa degenerazione nuovo punto di riconoscerti nella descrizione? Per del qualipensiero ragioni? Non poter dare più schiaffi al ragazzo, per il padre, sul mondo luminismo, nonostante il carattere fantastico del romanzo, con le virtù della leggerezza, della rapidità, dell’esattezza, della del Novecento significa averne accettato l’emancipazione. temi come sociali, un 8. commentare la concezIone pavesIana dI u�lIsse evidenzia il valore attribuito da Calvino alla razionalità, un visibilità, e della molteplicità. culturali adolescente alla scoperta del mondo Per Pavese, nel Testi ON LINE punto fermo della sua visione del mondo e della sua poetica. Costituiscono il libro più importante della seconda fase della esistenziali mondo odierno Ulisse non è più ed l’uomo maLa narrazione con due flash sua backattività – anche secondo il giudizio dello stesso Calvino Stamattina, è scappato il ragazzo, e ritorna Temi/testi a confronto turo, ma l’adolescente che scopre per� lailprima Due flash back evidenziano l’accurata costruzione narruolo Ulisse adolescente di Kavafis La rappresentazione dell’Italia delquesta boomnotte. economico Starà sogghignando. A nessuno – Le città invisibili (1972), opera di riflessione su moltevolta il mondo. Concordi con del questa interpre- e le linguaggio rativa della poesia. Il primo riporta al mattino, quando Lo sguardo critico di Calvino sul contemporaneo 23 Poesie per Constance Dowling plici temi sociali e culturali, affrontati nei modi allegorici necessarie 10 mondo vorrà dire se a pranzo ha mangiato. Magari tazione, e perché? Commenta inqualità un breve testo il ragazzo è uscito senza confidare a nessuno dove a. La donna: acqua, luce, terra, silenzio per affrontare si rivela anche in opere di carattere avrà più realistico collocate la descrizione di 55 città immaginarie, inserite(max in 15 righe) l’assunto del poeta. gli occhi, pesanti e andrà a letto in silenzio: andava; poi la memoria del padreattraverso torna, con nostalgia Cesare Pavese_Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, un mondo in rapido storicamente nell’Italia del boom economico . In Marcovaldo cornice in cui i personaggi di Marco Polo e Kublai Kan Hai un sangue, un respiro malinconica, ai tempi in cui era luiuna l’Ulisse alla scoperta mutamento due scarponi infangati. Il mattino era azzurro b. Il «vizio assurdo» – una serie di racconti di cui è protagonista un manovale inurdel mondo (vv. 17-18). dibattono sul senso della vita e della convivenza umana. sulle piogge di un mese. Cesare Pavese_Verrà la morte e avrà i tuoi occhi La scena è statica, ma la finestra si apre sullo spazio Per la fresca finestra del mondo, vivo e fertile di sensazioni, come rivelano le 15 scorre amaro un sentore di foglie. Ma il vecchio 556 557 sinestesie dei vv. 14-15, che associano diverse sfere sensoriali, mentre il verbo scorre richiama l’idea dell’innon si muove dal buio, non ha sonno la notte, cessante mutamento della natura. Il tutto suggerisce la Attilio Bertolucci: il racconto in versi e vorrebbe aver sonno e scordare ogni cosa vastità misteriosa dello spazio da esplorare per il ragaz“alla ricerca del tempo perduto” come un tempo al ritorno dopo un lungo cammino. zo, un orizzonte ormai precluso al vecchio stanco. L’“antinovecentismo” di Bertolucci ▪ Anche la poesia di Attilio Bertolucci, come quelPer scaldarsi, una volta gridava e picchiava. la di Pavese, è estranea al filone ermetico dominante ai tempi del suo esordio. Iscritto perciò dai critici nell’antinovecentismo, già fin dalle prime raccolte Bertolucci mostra una ON LINE BIOGRAFIA particolare attenzione al reale, e una vena narrativa che resterà costante, culminando nella Attilio raccolta La capanna indiana e, soprattutto, nel poemetto (in realtà un vero e proprio Bertolucci romanzo in versi) La camera da letto, in cui racconta le vicende della propria famiglia sullo sfondo della storia italiana tra il 1798 e il 1951. Il tempo della memoria: Bergson, Proust, Bertolucci ▪ La camera da letto, sicura20 Il ragazzo che torna fra poco, non prende più schiaffi. Lo spazio aperto verso la libertà mente l’opera più originale di Bertolucci, costituisce una sfida, vinta dall’autore, per chi Compare ancora, chiudendo il testo in modo circolare, Il ragazzo comincia a esser giovane e scopre riteneva che il poema fosse un genere inattuale. Le poesia narrativa di Bertolucci è diversa l’immagine della finestra, a simboleggiare il confine tra ogni giorno qualcosa e non parla a nessuno. la vita chiusa e limitata del vecchio e quella libera del da quella di Pavese: Pavese racconta vicende con un valore emblematico e universale, Non c’è nulla per strada che non possa sapersi ragazzo, che cammina per le strade, solo desideroso Bertolucci tende a far rivivere una realtà concreta e individuale, per sottrarla alla morte stando a questa finestra. Ma il ragazzo cammina ON LINE di conoscere il mondo, proprio come il mitico Ulisse. e all’oblio. Il suo racconto è perciò ricco di particolari e, snodandosi in modo ampio e SCHEDA Il motivo dello schiaffo è ancora ripreso, non soltanto 25 tutto il giorno per strada. Non cerca ancor donne Poesia riccamente circostanziato, «non narra ma evoca [...] secondo i ritmi ingovernabili dell’inper sottolineare come il figlio non sia più sottomesso al e cinema: e non gioca più in terra. Ogni volta ritorna. termittenza del cuore» (Berardinelli). Il prevalere del tempo interiore della memoria, la padre, ma anche come tra loro si sia rotto un legame, la saga del Il ragazzo ha un suo modo di uscire di casa Novecento una possibilità di rapporto; per il ragazzo si è aperto lo “durata” secondo Bergson, ha come modello la Recherche di Proust, opera prediletta da di Attilio e che, chi resta, s’accorge di non farci più nulla. spazio della libertà, ma per entrambi si è aperto anche Bernardo Bertolucci, da cui riprende l’intento di sottrarre all’oblio il “tempo perduto”, in modo che Bertolucci quello della solitudine, un tema costante e doloroso divenga “tempo ritrovato”.
Strumenti per lavorare sul testo
▪ Guida alla lettura I testi sono corredati da guide alla
In linea con le indicazioni per il nuovo Esame di Stato 2019, sono previste prove esemplate sulle tre tipologie A, B, C. VERSO IL NUOVO ESAME Tipologia B.
Documento critico 7. La neoLingua e iL potere totaLitario Con l’invenzione della neolingua il potere totalitario si proponeva di a. □ rendere più ricca e duttile la lingua originaria con vari neologismi. b. □ estirpare progressivamente espressioni e termini indesiderati. c. □ annientare il pensiero attraverso il forzato impoverimento linguistico. d. □ favorire la comunicazione tra i diversi ceri sociali grazie alla semplificazione del linguaggio. Esercitare 8. Commentare espressioni poLitiChe di propaganda Scrivi un breve commento su ciascuno dei tre slogan del Parle competenze
tito (max 10 righe).
Nel passo che segue il critico individua la cifra stilistica della poesia di Saba nella compresenza della tradizione letteraria con «il linguaggio più familiare, comune e quotidiano»; la continuità con «le forme convenzionali del linguaggio poetico» si fonda sulla convinzione che esse costituiscano uno strumento imprescindibile per comunicare i propri sentimenti.
Verso il nuovo Esame
Tipologia C. Riflessione critica di carattere espositivo-argomentativo su tematiche di attualità «Naturalmente non vi era nessun modo per sapere esattamente in quale determinato momento vi si stava guardando. Quanto spesso e con quali principi la Psicopolizia veniva a interferire sui cavi che vi riguardavano, era pura materia per congetture. E sarebbe stato anche possibile che guardasse tutti, e continuamente. Ad ogni modo avrebbe potuto cogliervi sul vostro cavo in qualsiasi momento avesse voluto» (rr. 47-51) Commenta il messaggio di Orwell, motivato dalla sua personale e pessimista visione del mondo, ma che, per unanime parere, in un’era iper-teconologica come la nostra, mantiene la sua sconcertante attualità. Per lo svolgimento del tuo elaborato puoi sviluppare i seguenti aspetti. – Indica gli elementi per cui la terribile fantasia di Orwell è ancora attuale. – Indica e illustra gli elementi per cui la figura del Grande Fratello è metafora dell’occhio sempre vigile e avvolgente del potere. – Illustra e motiva le ragioni per cui tale figura continua a esercitare una preoccupante fascinazione. Presenta la tua riflessione critica in un testo espositivo-argomentativo di non più di 5 colonne di foglio protocollo, suddividendolo in paragrafi contrassegnati da titoletti. Quindi assegna un titolo coerente al tuo elaborato.
APPROFONDIMENTO
Il Grande Fratello televisivo Grande Fratello è un reality show trasmesso su Canale 5 a partire dal 2000 e tratto da un format della casa di produzione olandese Endemol, denominato Big Brother, nato nel 1999. Il format si è diffuso in tutto il mondo, dalla Colombia all’Albania alle Filippine, diventando il simbolo stesso dei reality show. Anche in Italia Il Grande Fratello ha avuto molto seguito fra i telespettatori (la prima edizione raggiunse addirittura il 60% di share) e ha continuato a essere proposto fino al 2015, anche se nelle ultime edizioni si è verificato un certo calo di interesse. Il titolo e i caratteri principali del reality richiamano in modo evidente il romanzo di Orwell 1984, in cui si immagina che in una società totalitaria del futuro (futuro rispetto alla data in cui l’opera è composta, e cioè il 1948) gli individui
vengano controllati e spiati per volontà di un’oscura figura, il Grande Fratello appunto, a cui tutti sono subordinati, nell’obiettivo di annullare ogni espressione di pensiero libero. Anche nel reality i concorrenti vengono osservati 24 ore su 24 da telecamere collocate in vari punti della casa che li accoglie per tutta la durata dello show (si è arrivati addirittura a sei mesi di permanenza nell’undicesima edizione) e i telespettatori hanno modo di partecipare a ogni momento della loro vita, di osservarne e giudicarne i comportamenti. I concorrenti vivono relativamente isolati dalla società in una sorta di microcosmo e non possono usare telefoni e computer. Quando lo desiderano possono confidarsi con il Grande Fratello, che rimane un’entità anonima, in una stanza insonorizzata dalle pareti rosse. I concorrenti sono persone qualsiasi, appartenenti a ogni ceto sociale, per
favorire l’identificazione degli spettatori e fare della “casa” uno specchio verosimile della società (in qualche caso sono stati scelti volutamente rappresentanti delle cosiddette “minoranze”, come un omosessuale dichiarato, due individui che avevano cambiato sesso, o anche portatori di handicap). Nel corso delle puntate si procede per nomination da parte degli abitanti della casa (e per televoto degli spettatori) all’eliminazione graduale dei concorrenti fino alla proclamazione del vincitore, l’ultimo rimasto, il quale riceve un premio in denaro. Il reality fonda la sua attrattiva su una componente voyeristica: la possibilità di spiare indisturbati le “vite degli altri”, nei quali è facile identificarsi perché sono persone qualunque. Al contempo i concorrenti del Grande Fratello incarnano, soprattutto per i giovani, il sogno di diventare celebri personaggi televisivi.
Analisi e produzione di un testo argomentativo
Giulio Ferroni_Il poeta è «un artigiano del quotidiano» G. Ferroni, Storia della letteratura italiana, Il Novecento, vol. IV, Einaudi scuola, Milano 1991
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4 Umberto Saba � CLASSICI
lettura, finalizzate a costruire le competenze di lettura dei testi: ricostruire la struttura del testo e riconoscerne i principali livelli (tematico-simbolico, lessicale, retorico, metrico-ritmico ecc.). ▪ Lettura agevolata Sono riassunti-guida, a lato del testo, per facilitarne la comprensione. ▪ Passo dopo passo Si tratta di annotazioni esplicativo-critiche, a lato del testo, che ne accompagnano la lettura e aiutano a visualizzarne i principali elementi tematico-stilistici. ▪ Collabora all’analisi Consiste in un coinvolgimento diretto del lettore nel processo interpretativo: l’analisi che segue le tradizionali partizioni, “dialoga” attraverso specifiche richieste con lo studente, che così dà il proprio contributo attivo al lavoro sul testo. ▪ Verifica delle conoscenze Conclude ogni modulo una verifica strutturata secondo le tipologie consolidate. ▪ La didattica per competenze • Attivazione e consolidamento di competenze specifiche di lettura e analisi linguistica e testuale, in gran parte su modello Invalsi, articolate in Abilità: comprendere e analizzare ed Esercitare le competenze. • Attivazioni sistematiche di competenze trasversali, disciplinari e interdisciplinari, con proposte di lavoro (Spazio competenze) in situazioni nuove e per compiti di apprendimento svolti in autonomia, che coinvolgono lo spirito di iniziativa individuale e di gruppo, la capacità di elaborazione delle conoscenze e le abilità acquisite.
▪ Verso il nuovo Esame di Stato
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Contrariamente a gran parte della poesia del suo tempo, quella di Saba si pone in un rapporto di continuità con la tradizione: le forme convenzionali del linguaggio poetico italiano costituiscono per lui la base necessaria di ogni espressione; usarle e ripeterle significa inserirsi entro una forma collettiva, parlare una lingua all’interno di una convenzione sociale. Saba è convinto che solo sulla base della convenzione, di uno strumento linguistico più diffusamente sentito come «letterario» possa darsi l’espressione più autentica degli affetti, la comunicazione più ampia e cordiale. Il poeta è per lui come un artigiano del quotidiano, lontano da ogni sacralità, lontano da ogni funzione spettacolare e da ogni atteggiamento di vate e sacerdote (siamo agli antipodi di ogni concezione di tipo simbolista): per questo la sua lirica non cerca di forzare i limiti del linguaggio della tradizione, ma preferisce ridurlo alle sue forme più semplici, intrecciandolo con il linguaggio più familiare, comune e quotidiano. Molti sono i poeti italiani di cui si sentono gli echi nella poesia di Saba: ma la sua preferenza va ai grandi autori tra Settecento e Ottocento (in primo luogo a Leopardi) e in genere al linguaggio del melodramma, a cui egli riconosce la capacità di esprimere gli affetti più autentici attraverso il massimo di convenzionalità e di popolarità (egli giunge a sostenere che un verso dell’Ernani di Verdi […] «Udite tutti del mio cor gli affanni», vada ritenuto uno dei più belli dell’intera letteratura italiana). La sovrapposizione tra linguaggio letterario e linguaggio comune, quotidiano e familiare, può dare spesso luogo a stridori, a improvvise cadute di tono, percepibili con particolare evidenza nella fase iniziale della scrittura di Saba: gli squilibri e le ingenuità costituiscono un aspetto essenziale di questa poesia, che sembra cercare un tono alto e sublime, ma come trasponendolo in una dimensione infantile. Nei momenti più alti il suo linguaggio si svolge come qualcosa di assolutamente semplice e diretto, come svuotato di peso, leggerissimo e carico di sfumature, capace di dire nel modo più spontaneo le cose più concrete e angosciose, di colpire nel profondo con un’assoluta naturalezza, sempre sorretta da una musicalità elementare, quasi sospesa.
Comprendere e Produrre Comprendere
Produrre
1. Quale tra le seguenti affermazioni costituisce l’idea centrale sostenuta dal critico nel brano proposto? a. □ Saba si ispirò soprattutto ai grandi poeti italiani del Sette-Ottocento. b. □ La lingua poetica di Saba nasce dalla combinazione di linguaggio letterario e linguaggio comune. c. □ La consapevole continuità con la tradizione letteraria è l’elemento caratterizzante del linguaggio poetico di Saba. d. □ La sovrapposizione di linguaggio letterario e linguaggio comune può in qualche caso essere stridente. 2. A quale aspetto in particolare della poetica di Saba risulta funzionale l’adozione di forme della tradizione letteraria? a. □ Scandaglio del profondo. c. □ Volontà di comunicazione. b. □ Funzione terapeutica della poesia. d. □ Ricerca della verità. 3. Spiega con parole tue che cosa significa l’espressione «massimo di convenzionalità e di popolarità» (rr. 15-16) riferito al giudizio di Saba sul melodramma, e come si lega alla sua poetica. 4. Tra le liriche lette, scegline una che a tuo parere testimoni la definizione di Saba come «artigiano del quotidiano» (rr. 7-8) e commentala in questa prospettiva in un testo di circa 2 colonne di foglio protocollo.
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Letteratura e altro Il profilo culturale-letterario viene arricchito da
Attraverso l’arte Micropercorsi con schede informative di inquadramento e letture iconologiche di opere esemplari per i vari periodi cronologici. Letteratura, scienza e tecnica Sezione con testi letterari e non, dedicata a contenuti e linguaggi tecnicoscientifici, declinata secondo quattro filoni (tecnicotecnologico, economico-giuridico, socio-politico, ecologico-ambientale).
«L’avete fatta voi» Pablo Picasso (1881-1973) Guernica 1937, Madrid, Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía
Attraverso l’arte
ON LINE IMMAGINE INTERATTIVA
Il Novecento e oltre
❶ Gigantesca tela di 3 metri e mezzo di altezza per quasi 8 metri di lunghezza.
Le tappe di un percorso
Testo
Attraverso l’arte
7 Meriggiare pallido e assorto Eugenio Montale_Ossi di seppia
E. Montale, Tutte le poesie, a c. di G. Zampa, Mondadori, Milano 1984
b. □ L’aridità del paesaggio nella calura E andando nel sole3. che abbaglia Un dUplice significAto Qual è il duplice significato del termine «campo di annientamento» cui allude l’autore alla fine del brano? del meriggio. sentire con triste meraviglia c. □ L’impossibilità di arrivare a cogliere 10 com’è tutta la vita4.e ilUn’suo travaglio espressione L’espressione «giacere sul fondo» è il senso del vivere. □ una metafora. b. □ un’iperbole. c. □ dell’esistenza. una perifrasi. d. □ un eufemismo. d. □ Il faticoso cammino in questo seguitare11 a.una muraglia Qual è di il suo significato 12 nel contesto? – Da quale immagine il tema è che ha in cima cocci –aguzzi bottiglia . a. □ Essere vicini alla morte. c. □ Essere stremati dalla fatica. soprattutto rappresentato? b. □ Essere ridotti a un’infima condizione. □ Essere fa abbandonati e incompresi. 2. A quale ambiented.geofisico riferi-
te, e qui anzi particolarmente accentuata,
Testo15
manda direttamente l’incipit. Qualche analogia si può ritrovare nel
Felix Nussbaum (1904-1944), PrIgioniero. Il pittore tedesco, di origine ebraica, deportato ad Auschwitz il 31 luglio 1944, morì il 2 agosto dello stesso anno.
Si rinchiudano tra i fili spinati migliaia di individui diversi per età, condizione, origine, lingua, cultura e costumi, e siano quivi sottoposti a un regime di vita costante, controllabile, identico per tutti e inferiore a tutti i bisogni: è quanto di piú rigoroso uno sperimentatore avrebbe po-
8 Forse tuto istituire per stabilire che cosainsiaun’aria essenzialedie che cosa acquisito nel un mattino andando vetro
dotti dal canto dei merli. la temA tendenza a dA oggettivare stati d’animo crivere Un testo ArgomentAtivo sU Un A pArtire Un confrontogli intertestUAle Metti a confronto questo bra7. sselvatica. 5 veccia: erba E. Montale, Tutte in generale il disagio esistenziale), no da Se questo è un poesia che fa da epigrafe all’opera di Levi e rifletti in un testo argo- le poesie, a c. di G. 6 biche: mucchi di terra e rifiuti variuomo am- con(ela più affidandone la rappresentazione nondella a testimonianza. Zampa, Mondadori, mentativo sul tema dell’annullamento della dignità umana e sul valore massati accanto ai formicai. Milano 1984 enunciazioni astratte, ma a oggetti-im7 tra frondi: tra le fronde (forma antica magini emblema: qui in particolare il mue letteraria). Voi che vivete sicuri ro, evocato già nel secondo verso e con 8 scricchi: rumori secchi,tiepide simili case, a scricnelle vostre La metrica chiolii: è il frinire delle cicale.tornando a sera più evidente valenza simbolica, nell’ultima voi che trovate Due quartine 9 calvi picchi: strofa. Il sole, a cui spesso nella tradizioalture aride, prive di veil cibo caldo e visi amici: di versi lunghi di ne letteraria è associato il valore simboligetazione. considerate se questo è un uomo varia misura (da 10 travaglio: pena,che co di luce vivificante, è qui invece bagliore fatica. 11 a 16 sillabe) lavora nel fango 11 seguitare: seguire, camminando lungo. a rima alternata accecante, implacabile calore, che priva che non conosce pace ABAB, CDCD; 12 cocci... di bottiglia: i pezzi di vetro che lotta per mezzo pane di linfa vitale la terra e la vegetazione, la rima B è iperposti in cima ai muri impedire desertificando il paesaggio. Quest’ultimo che per muore per unchesí sio per un no. metra: miraco(lo): possa scavalcarli. Considerate se questa è una donna, ubriaco. senza capelli e senza nome 299 senza piú forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo come una rana d’inverno. Meditate che questo è stato: vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore Stando in casa andando per via, coricandovi alzandovi; ripetetele ai vostri figli. O vi si sfaccia la casa, la malattia vi impedisca, i vostri nati torcano il viso da voi.
La lirica è certamente memore di una
delle poesie più note di D’Annunzio: a. L’iniqua legge della sopravvivenza nel Lager Meriggio (→V3aC8U3T ⓲c), a cui ri-
nanze e le consonanze. dellaUno giornata scelto di(apLevi, Opere, Tenuto conto del P. concetto cui è Se questo un uomo alterna narrazione momento e riflessione. dei capitoli più densa – Qualeètessuto fonico producono? a cura di Marco punto il meriggio) e nell’iniziale conè quello intitolato I sommersi e i salvati, dedicato alla lotta per sopravvivere nella solitamente associato il mare in Ossi meditazione Belpoliti, Einaudi, a. □ Armonioso. dizione quasi di passività di fronte alTorinosimbolico 1997 particolare società costituita dal Lager, confrontata condizione dell’individuo protetto di seppia, quale significato b. □ Musicale. lo spettacolocon del la paesaggio assolato. dalla morale, dagli affetti. può avere la sua percezione come dalle c. leggi, □ Stridente. Ma qui il paesaggio è scabro e quasi «lontano» (v. 10)? piagato dal sole e soprattutto l’esid. □ Cupo. Questa, di cui abbiamo detto e diremo,come è la vita del Lager. In daHaMontale senso ricordare? a. □ L’estraneità del mare alla vita. to dell’itinerario evocato è attraversata, un ambigua 9. La lirica Il testo si apre presentando la nonmolti è certo la fusione annunb. □ L’inattingibilitàquesto di una verità modo duro,filopremuti suldall’iterazione fondo, hanno vissuto uomini deipanica conduttore, di rime ciata con enfasi superomistica dain seguito affrontata: piena e completa. nostri giorni, ma ciascuno interne. Identificale e individua quali per un tempo relativamente breve; per cui ci si questione D’Annunzio alla fine della se composiha senso, e quale, tramandare c. □ Il rischio della ricerca della elementi linguistici collegano. potrà forse domandare se proprio metta conto, e se sia bene, che di questa l’esperienza ma del Lager. verità. 10. Nella lirica vi sono rimandi pre- zione («E la mia vita è divina»), la dolorosa consapevolezza del non eccezionale umana rimanga una qualche memoria. d. □ La bellezza5 della ricerca, indi-condizione cisi al canto XIII (la selva dei suicidi) senso della vita, dell’impossibilità di questa domanda ci sentiamo rispondere pendentemente dal suoAesito. dell’Inferno dantescodi (i termini pruni, affermativamente. Noi risposta è affermativa un positivo rapporto con ilLamondo, 6. Il poeta stesso indica il valore sim-persuasi sterpi, serpi), ma alleumana rime petrose del siamo infatti che nessuna esperienza sia vuota senso estupore Primo Levi, «narratore antropoaccolta condiattonito («triste bolico del muro «rovente». il grande fiorentino rimanda an- anche meraviglia») Montale. logo» (come lo definisce lo scritindegnaSpiega di analisi, e che poeta anzi valori fondamentali, se nondasempre che l’uso di un lessico fonicamente concetto con parole tue, collegandolo tore Daniele Del Giudice), ritiene positivi, si possano‘aspro’. trarreQuale da questo particolare mondo cui narriamo. uso fa Montale della 12. di Sviluppa il confronto tra iche duelatesti con l’immagine della «muraglia / che risposta possa essere 10 aguzzi Vorremmo far considerare il Lagerallasiatradiziostato, anche e notevolmente, citazione ocome dell’allusione in rapporto alle diverse figure e diffe- e fornisce prove della ha in cima cocci di bottiglia» affermativa ne letteraria illustre? e sociale. renti poetiche dei due autori.sua tesi. Dell’approccio scientifiuna gigantesca esperienza biologica (vv. 16-17).
5.
Esercitare le competenze
1 Meriggiare: passare il meriggio, cioè le ore vicine al mezzogiorno. Il verbo meriggiare ha ascendenze letterarie (da D’Annunzio a Pascoli, da Gozzano a Boine), ma Montale conferisce alla situazione un carattere prettamente anti-idillico, associandola al «rovente muro d’orto» del verso successivo e ai due aggettivi che connotano la condizione interiore dell’io lirico («pallido e assorto»). 2 pallido e assorto: i due aggettivi si riferiscono all’io lirico. 3 pruni... sterpi: rovi e sterpaglie. Si avverte l’eco della descrizione dantesca della selva dei suicidi nel canto XIII dell’Inferno.
le dichiarazioni di poetica presenti in Non chiederci la parola e le scelte tematiche e soprattutto stilisticolinguistiche di Meriggiare pallido e assorto, che ne costituiscono una sorta di applicazione.
11 L’esperienza darwinianaConfronto del ecampo Commento di concentramento
8. Individua scheda i termini onoLevi_See questo è un uomo 4. Individua e trascrivi gli elementi del Primo matopeici, le allitterazioni, le asso-
paesaggio che rimandano all’aridità. 35
Primo Levi_Se questo è un uomo
dello stereotipo
Michelangelo Pistoletto Venere degli stracci Che cosa guarda la Venere?
Frank Lloyd Wright Casa Kaufmann (Casa ❹ Uso di colori sulla cascata)
anticonvenzionali: e vernici sintetiche industriali.
Abitare smalti un capolavoro
Il Novecento ❷ Opera e oltre monocromatica (grigio, bianco e seppia accostati con effetti di contrasto) e bidimensionale (spazio privo di profondità)
1 «Häftling»: in tedesco, prigioniero, detenuto.
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nella pittura di Pollock non ci sono ideologie né filosofie, chiavi di lettura né messaggi da decifrare: la pittura, per lui, è pura esperienza esistenziale, del tutto irriducibile a qualsiasi “ordine”. Il termine “pittura d’azione” va inteso in senso letterale: Pollock usa tele di grandi dimensioni, che distende a terra per potervi girare intorno e persino camminarci sopra, facendo sgocciolare i colori sul supporto (è la tecnica chiamata dripping, cioè “sgocciolatura”) ❷. Il movimento del corpo, delle braccia, delle gambe, è come una danza che imprime un ritmo alla sgocciolatura, agli schizzi del colore sulla tela, asseconda il raptus che spinge l’artista a usare tele e colori in modo contrario a ogni regola ❸, come del tutto anticonvenzionali sono i colori stessi, smalti e vernici sintetiche prodotti dall’industria ❹.
Vesuvio 1985, Pittsburgh, The Andy Warhol Museum
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Figlio di immigrati polacchi, Andrew Warhola anglicizza il proprio nome in Andy Warhol e inizia a lavorare a New York come grafico pubblicitario. Tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta fa parte del gruppo della pop art newyorkese (cioè Popular art, arte delle immagini di massa), che s’impone immediatamente all’attenzione mondiale. Andy Warhol, anche grazie a un’accorta gestione della propria immagine pubblica, diviene egli stesso una pop star, riassumendo in sé le più esemplari caratteristiche del movimento: impersonalità, freddezza, enfatizzazione dell’opera come puro e semplice “oggetto”, rapporto imprescindibile con la realtà urbana. Warhol preleva le sue immagini, che quasi sempre realizza con la tecnica seriale della serigrafia ❶, dal mondo della comunicazione di massa, della pubblicità, dal cine-
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• Contributi audio e video • Gallerie di immagini • Percorsi tematici_Cinema
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© Casa Editrice G. Principato SpA
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IMMAGINE INTERATTIVA
ma, dalla televisione ❷, riuscendo a trasformarle, per così dire, nella quintessenza dello stereotipo. Così Vesuvio, parte di una serie realizzata nel 1985 su richiesta di un famoso mercante d’arte napoletano, è l’omaggio a un’icona del paesaggio partenopeo, soggetto “abusato” dalla pittura fra Sette e Ottocento, sino all’inflazione di stampe e fotografie popolari fra Otto e Novecento ❸. Un’icona, dunque, logora, sfatta, consumata, un’immagine vista tante volte che ormai la si riconosce senza osservarla, fagocitata nel grande serbatoio dell’inconscio, ossia, senza essere passata attraverso la coscienza. Un’immagine, infine, priva di valore, poiché non possono esistere valori stabili in una società fondata sulla patologica voracità del consumismo ❹.
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La didattica multimediale ONLINE • Testi aggiuntivi integrati alla scelta su carta • Schede • Approfondimenti • Documenti critici • Attraverso il tempo
❹ L’immagine risulta deprivata del proprio valore in una società
❹ Quadro“de-privato”: del colore, del volume, della forma.
consumistica. Tra la fine dell’Ottocento e la prima guerra mondiale, le avanguardie artistiche pongono le basi di una rivoluzione radicale che influenza profondamente il Nove❶ Opera cento. Mentre ciascun movimento, nel primo dopoguerra, continua a sviluppare le realizzata con ❷ Sulla tela di grandi la tecnica seriale proprie ricerche secondodimensioni, modalitàdistesa diverse, irrompe sulla scena il surrealismo, che della serigrafia. a terra, l’artista fa fa riferimento alla psicoanalisi di Freud e alla sua scoperta dell’inconscio. Intanto, sgocciolare i colori quasi come una sorta di(dripping). reazione alla frenesia rivoluzionaria di inizio secolo, negli anni Venti e Trenta si afferma una diffusa tendenza al “ritorno all’ordine”, a una Invitato all’Esposizione internazionale di Parigi del 1937, Pi- della stessa. Sembra che durante l’occupazione nazista di Parigi, ritrovata compostezza stilistica e formale che si manifesta nei movimenti Nuova ad alcuni critici d’arte tedeschi che gli parlavano di Guernica, casso era alla ricerca del soggetto adatto, quando il 26 aprile Picasso rispondesse amaramente: «Non l’ho fatta io, l’avete 1937 giunse la notizia che bombardieri tedeschi, in appoggio Oggettività, Realismo Magico, Novecento italiano, Scuola romana. Dopo il secondo fatta voi». alle truppe del generale Franco contro il legittimo governo reconflitto mondiale, l’Informale raccoglie l’eredità dell’espressionismo, mentre la pop pubblicano di Spagna, avevano raso al suolo la cittadina basca art fa la critica e la parodia dei falsi miti della “società dei consumi”. di Guernica. Era un luogo senza importanza strategica, dunque Nel frattempo si verifica un radicale mutamento nel modo stesso di concepire ❸ Forme brutalmente l’unico obiettivo era fare una strage e terrorizzare la popolazione. l’arte, le cui conseguenze si ripercuotono sino ai giorni nostri. Ambizione di alcune deformate, frammentate, Fu allora che Picasso concepì il capolavoro che dalla cittadina bloccate in grida disperate. avanguardie era stata quella di estendere, per così dire, la portata e l’influenza dell’arte ❸ L’icona del paesaggio basca prende il nome: Guernica. In tempo per l’inaugurazione partenopeo, soggetto oltre l’ambito propriamente estetico, per trasferirla direttamente nella vita. Ciò vale ❶ Pittura come ❷ Uso del dell’Expo, la gigantesca tela (3 metri e mezzo di altezza per quaricorrente nella pittura colore e deflagrazione di specialmente per il dadaismo, movimento ispirato a un furore distruttivo e demi- segni, gesti e materia si 8 metri di lunghezza) ❶ era compiuta. Picasso, che ai primi fra Sette e Ottocento, di marcati stificatorio che approda a un’“antiarte” vera e propria. Su questa scia, nel secondo cromatica. così come nelle stampe segni grafici, del secolo era stato l’inventore del cubismo, negli anni Trenta Tra gli anni Quaranta e i Cinquanta si afferma, negli Stati e fotografie popolari fra caratteristico dopoguerra, s’impone diffusamente l’idea che l’artisticità non risieda nel valore godeva già di fama mondiale: perciò questa sua denuncia degli Otto e Novecento. del linguaggio Uniti e in Europa, la corrente dell’Informale, una tendenza storico e nella pregiata fattura di un determinato manufatto, frutto del talento e della orrori della guerra e della dittatura assume un peso iconico delladecisivo a infrangere ogni sistema figurativo, astratto o geometrico, ❸ L’artista si muove comunicazione e drammaticamente profetico. L’eccidio di Guernica non è solcultura dell’artista, bensì nell’intenzione, pensiero di e non nel prodotto comedell’artista in una danza risolvendo l’urgenza espressiva in pura nel deflagrazione di massa. tanto un episodio della guerra civile spagnola, bensì il preludio un ritmo stesso: trionfa dunque il ready-made, “giàl’afatto”, prelevatochediimprime peso dalla segni, gesti e materia cromatica ❶.l’oggetto Intorno al 1946, alla sgocciolatura, di una tragedia apocalittica, la seconda guerra mondiale, che mericanoin Jackson Pollock ne fornisceL’arte una personalissima realtà e inserito un contesto “altro”. contemporanea persegue una sempre agli schizzi del colore scoppierà appena due anni dopo. versione con l’invenzione dell’action painting, la “pittura tela. più marcata “riduzione” (Minimalismo, Process art, Land art, Artesulla povera, Arte Volutamente “povero” e disadorno, sostanzialmente monod’azione” non vuole rappresentare realtàcon oggettive né del tempo, in una infinità di concettuale), ove ilcheready-made si ripropone, l’andar cromatico e bidimensionale ❷, giocato su forme brutalmente condizioni soggettive, bensì scaricare la tensione, l’ira, la assemblaggi, manipolazioni e variazioni differenti. Aumenta a dismisura l’imporrabbia che si è accumulata nell’artista. Pollock anticipa deformate ❸, Guernica si potrebbe definire il quadro della “detanza delquella critico d’arte, che diventa il vero e proprio ispiratore, l’inventore che si chiamerà Beatspesso generation (pensiamo a scrittori privazione” (deprivazione del colore, del volume, della forma) di un determinato movimento, come nele caso dell’Arte come Jack Kerouac o Allen Ginsberg), la “gioventù bru- povera degli anni Sessanta; ❹ poiché rappresenta la morte non in quanto termine naturale oppure, sul versante di un recupero manualità pittorica, della ciata” resa celebre dal programmatico cinema, e che più tardi diventeràdella la della vita, ma come de-privazione assurda, innaturale dello stereotipo Laviolenta, quintessenza ON LINE contestazione, la rivolta Transavanguardia degli anni giovanile Ottanta.degli anni Sessanta. Ma Andy Warhol (1928-1987)
del reale è tipica della mentalità scientifica di Primo Levi, ma può ricordare anche il procedimento «dilemmatico» del Principe di Machiavelli.
Testi ON LINE
10 b. La lezione di Steinlauf
co dello scrittore è spia il lessico, che rimanda a Darwin (la «lotta per la vita», l’«animale-uomo») e al metodo sperimentale (lo sperimentatore, «siano quivi sottoposti a un regime di vita»).
comportamento dell’animale-uomo di fronte alla lotta per la vita. Eugenio Montale_Ossi di seppia Noi non crediamo alla piú ovvia e facile deduzione: che l’uomo sia fon- Alla base della malvagità Composta nel luglio 1923, la lirica fa parte della sezione Ossi di seppia. È incentrataLevi sulpresenta tema quanto ha dedotto damentalmente brutale, egoista e stolto come si comporta quando ogni del miracolo: qui però il miracolo non è salvifica occasione per sfuggire al male di vivere, ma 1 dall’esperienza del Lager: l’uomo 20improvvisa, sovrastruttura civile siarivelazione tolta, e che «Häftling» non siadella dunque sconvolgente del lo nulla, dell’inconsistenza realtà.che Una rivelazione non è istintivamente feroce, ma l’uomo inibizioni.il Noi pensiamo piuttosto che,ignari quanto questo, tende che separasenza inesorabilmente poeta dagli “altri”, gli uomini dellaaverità. a diventarlo se sottoposto null’altro si può concludere, se non che di fronte al bisogno e al disagio a condizioni di estrema restrizioForse un mattino andando in un’aria di vetro, fisico assillanti, molte consuetudini e molti istinti sociali sono ridotti al ne, che annullano espressioni 1 2 3 della socialità, facendo prevalere arida , rivolgendomi , vedrò compirsi il miracolo : silenzio. ilCinulla miedegno spalle,diil attenzione vuoto dietro 25 parealle invece questo fatto: viene in luce che esi- solo comportamenti egoistici. di me, un terrore ubriaco.particolarmente ben distinte: i salvati stono fra con gli uomini duedicategorie I «salvati» e i «sommersi» e i sommersi. Altre coppie di contrari (i buoni e i cattivi, i savi e gli stolti, Nella società semplificata del i viliarida: e i coraggiosi, i disgraziati e i fortunati) sem1 aria... una nette, rivelazione angosciosa, a cuiemergono fanno verità meno in Montale. sono assai meno Lager le precisazioni non sono negativo 2 rivolgendomi: volgendomi indietro. riferimento i due versi successivi. certo accessorie, a cominciare dall’alluvisibili in contesti più complesbrano meno congenite, e soprattutto ammettono gradazioni intermedie che è sempre simbolo 3 il miracolo: il termine qui identifica si. La principale è quella che 30sione piúall’aridità, numerose e complesse. lotta per la vita tende Questa300divisione è molto meno evidente nella vita comune; in questa al’accanita determinare due categorie non accade spesso che un uomo si perda, perché normalmente l’uomo non opposte di uomini, «salvati» e è solo, e, nel suo salire e nel suo discendere, è legato al destino dei suoi «sommersi». L’individuazione di vicini; per cui è eccezionale che qualcuno cresca senza limiti in potenza, categorie per ricondurre a leggi precise la complessità multiforme 35 o discenda con continuità di sconfitta in sconfitta fino alla rovina. Inoltre
ON LINE Andy Warhol IMMAGINE Vesuvio La INTERATTIVA quintessenza
La musica dei colori
2 La tragedia della Shoah
10 Nel cuore del secolo breve: Resistenza e Shoah • TEMI
mento il poeta nella lirica? Era un amesperienza del lettore Primo Levi fa appello perché possa compren5. l’esperienzA di lettore di primo A quale noto personalmente al poeta? dere la tragicità della situazione biente dei deportati? 3. Da che cosa sono accomunate le pripArolA e reAltà «Allora la primastanno volta ci siamo accorti che la 6. ArgomentAre sUl temA del rApporto trAme tre strofe? In qualeper rapporto nostra lingua manca di parole per esprimere questa offesa, la demolizione di un uomo»; «Ci togliecon l’ultima strofa? ranno anche il nome: e se vorremo conservarlo, dovremo trovare in noi la forza di farlo, di fare sí che dietro al nome, qualcosa ancoraAnalisi di noi, di noi quali eravamo, rimanga». Rifletti sul tema del rapporto In possibilità questa lirica, composta di da“dire” Montale ap-– che accomuna queste due essenziale tra parola e realtà – la e il significato le cose pena ventenne, come detto, è già eviden4 schiocchi di frasi riportate argomenta merli: suoni esecchi, pro- in merito in un breve testo (circa 20 righe).
La rabbia in corpo
Vasilij Pablo Picasso Jackson Pollock Kandinskij Guernica Pali blu Pollock (1912-1956), voi» La rabbia in corpo Improvvisazione «L’avete fattaJackson Pali blu, 1953, Collezione privata 26
11. Cerca di spiegare il rapporto tra
Attraverso l’arte. Il Novecento e oltre
riggio.
5 Eugenio Montale • CLASSICI
dei deportati.
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La lirica si può considerare la traduzione del programma, o meglio dell’anti-programma poetico enunciato in Non chiederci la parola, collocata non a caso subito prima.
Attraverso l’arte. Il Novecento e oltre
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2 Meriggiare1 pallidole esue assorto abitudini, i suoi abiti, tutto infine, letteralmente tutto quanto possiede: sarà un uomo COLLABORA ALL’ANALISI presso un rovente vuoto, muro d’orto, ridotto a sofferenza e bisogno, dimentico di dignità e discernimento, poiché accade 3 ascoltare tra i pruni e gli sterpi facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso; tale quindi, che si potrà a cuor leggero Comprensione schiocchi di merli4decidere , frusci di serpi. della sua vita o morte di fuori di ogni sensovista di affinità La al lirica è fondata a prima su una umana; nel caso piú forrappresentazione paesaggistica: attravertunato, in base ad un puro giudizio di utilità. Si comprenderà allora il duplice significato 5 so precisi dettagli e impressioni visive e Nelle crepe del suolo o su la veccia del termine «Campo di annientamento», e sarà chiaro che cosa intendiamo esprimere con acustiche, Montale descrive (in particolare spiar le file di rossequesta formiche frase: giacere sul fondo. nelle prime tre strofe) un paesaggio aspro e inaridito dal sole abbagliante, nel quale ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano si profila, in lontananza, il mare. L’ultima a sommo di minuscole biche6. Attività sul testo strofa si apre a una amara riflessione esi7 Osservare il palpitare Abilità: tra frondi 1. Aspetti dell’«AnnientAmento» descrittistenziale. Quali aspetti di annullamento della dignità umana e di perdita di comprendere lontano di scaglie di mare identità sono descritti in questo brano? 1. Individua, fra i seguenti proposti, il tee analizzare 8 mentre si levano tremuli scricchi Analizza il brano dal punto di vista lessicale e individua: a. i termini che suggeriscono la vio2. il lessico ma centrale della lirica. di cicale dai calvi picchi lenza9. dei rapporti tra aguzzini ea.vittime; b. i termini che si riferiscono □ La solitudine inquietante del me-invece alla disumanizzazione
7. I verbi all’infinito creano una dimensione quasi atemporale. Come spieghi la scelta del poeta? Nella loro sequenza i verbi possono connotare una progressione? In che senso? Le scelte stilistico-linguistiche operate da Montale nella lirica, particolarmente attente alla tramatura fonica, sono funzionali a tradurre, in una sorta di fonosimbolismo, il senso della disarmonia, la “pietrificazione interiore”: da qui la selezione di termini che insistono su sonorità aspre, stridenti, PASSO DOPO PASSO disarmoniche. Molto consistente è l’uso di figure retoriche di suono, in particolare onomatopee, allitterazioni, assonanze e consonanze.
Attraverso l’arte. Il Novecento e oltre
5
2 Ossi di seppia
La metrica Tre quartine e una strofa di cinque versi composte di versi liberi (novenari, decasillabi, endecasillabi) rimati secondo lo schema: AABB CDCD EEFF GHIGH. I termini a fine verso dell’ultima strofa sono legati da un vistoso gioco di consonanze; C (v. 5 e v. 7) è rima ipermetra, G è imperfetta
diventa immagine della desolata condizione umana, dell’aridità interiore propria dell’uomo moderno. Il mare è presenza ricorrente negli Ossi di seppia, spesso associato al mutamento, alla metamorfosi, alla liberazione. Ma qui il suo palpitare è lontano, il poeta ne ha una percezione frammentaria («scaglie di mare») tra la vegetazione. Nella lirica anche il soggetto, implicito nelle azioni evocate, è emblema: ‘voce’ delle disperate domande dell’uomo di ogni tempo sul senso della vita. Da qui forse la scelta del poeta, che Testo risulta particolarmente suggestiva, di 30 escludere verbi di modo finito, ricorrendo a una serie di verbi all’infinito (meriggiare, ascoltare, spiar, osservare, sentire).
Attraverso l’arte. Il Novecento e oltre
LETTURA AUDIO
Composto nel 1916 e ripreso nel 1922, è uno dei testi più noti e rappresentativi di Ossi di seppia. È collocato nella sezione omonima subito dopo Non chiederci la parola (→U1T❺b). Lo sfondo arido del paesaggio ligure, colto nel momento più caldo e assolato della giornata, assume tratti simbolici, che si esplicitano in particolare nell’ultima strofa.
SGUARDO SULLA STORIA IL NOVECENTO E OLTRE con CRONOLOGIA INTERATTIVA
32
1. QUADRO SOCIO-CULTURALE IL NOVECENTO E OLTRE 36 1. L’immaginario e la mentalità
37
1. L’affermazione dell’uomo-massa
37
2. Le strategie del consenso e le mitologie del fascismo 38 T1 Il Duce annuncia agli italiani l’entrata in guerra
40
La battaglia per una nuova cultura e «Il Politecnico» (1945-1947) 42 43
Massificazione e consumismo 43 La critica al modello consumistico della società industriale avanzata 44
La civiltà dello scarto T2a Produzione-distruzione: un nesso obbligato Gunther Anders, L’uomo è antiquato
47
Quando gli “altri” erano gli italiani
53
L’Italia: da paese di emigrazione a terra di immigrazione
54
T6 L’America degli emigrati italiani:
dal mito alla realtà Melania Mazzucco, Vita 55
6. Dalla televisione a internet L’immaginario mediatico
T4 Un’ironica analisi di un presentatore di successo
in America Gian Antonio Stella, L’orda. Quando gli albanesi eravamo noi
T9 Verità relative in uno spazio multietnico 58
9. Lo spazio 48
Breve storia della televisione in Italia La rivoluzione informatico-telematica
T8 Alcune testimonianze sugli immigrati italiani
Amara Lakhous, Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio
La società senza opposizione Herbert Marcuse, L’uomo a una dimensione
8
53
Francesco Guccini, Amerigo
T3 La paralisi della critica.
Umberto Eco, Diario minimo, Fenomenologia di Mike Buongiorno
8. L’immagine dell’“altro”
T7 Il sogno americano
dello scarto Italo Calvino, Le città invisibili 46 Papa Francesco, Enciclica Laudato si’
VERSO IL NUOVO ESAME Riflessione critica di carattere espositivo-argomentativo su tematiche di attualità 52
TEMI/TESTI A CONFRONTO
T2b La città di Leonia, allegoria della civiltà
T2c Un’enciclica contro la cultura dello scarto
51
Luca Doninelli, Talk show, cap. 14
4. Dopo la guerra: il richiamo all’impegno 41
5. “Consumo, dunque sono”: miti e riti del consumismo
Gli intellettuali e la televisione
51
T5 Agli albori della “televisione del dolore”
Benito Mussolini, Scritti e discorsi
3. Il fascismo e gli intellettuali: consenso, “assenza”, opposizione
7. Gli intellettuali di fronte al boom industriale e alla nascente civiltà televisiva
48 50
Il secolo della conquista dello spazio Viaggi virtuali. Turismo di massa Le nuove piazze. I non luoghi
60 60 60 61
T10 L’autogrill, il luogo-simbolo dell’Italia vacanziera
Francesco Piccolo, L’Italia spensierata
10. Il tempo © Casa Editrice G. Principato SpA
62 64
TESTI DOCUMENTO A CONFRONTO
T11b Elogio della lentezza
T11 Il tempo della società moderna T11a Il tempo della fretta e il miraggio
Milan Kundera, La lentezza
delle vite multiple Zygmunt Bauman, I desideri nel tempo della fretta
65
2. I modelli di comportamento
68
1. Un momento chiave nell’evoluzione dei modelli comportamentali: il Sessantotto Giovani in lotta I temi della rivolta
Un libro di alta letteratura sulla malattia mentale: Fratelli di Samonà 68 68 69
Il “clima” del Sessantotto T12a «Nessuno si pensava da solo» Clara Sereni, Via di Ripetta 155 70 T12b Dentro un’aula scolastica nel Sessantotto Andrea De Carlo, Due di due 71 T12c Tutto il potere all’assemblea Francesco Pecoraro, La vita in tempo di pace 72 T12d «Tutto in superficie ribolliva…» Sebastiano Vassalli, Archeologia del presente 73 Biografia
Sebastiano Vassalli
74
T12e «Avete facce di figli di papà»
Pier Paolo Pasolini, Empirismo eretico
Carmelo Samonà, Fratelli, II-III
2. La scuola tra crisi e nuove sfide educative
78
T16 «Nati diversi»
Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa T17a Gli studenti e le rondini Daniel Pennac, Diario di scuola, I, 11; VI,13 T17b Un incontro salvifico Massimo Recalcati, L’ora di lezione 79 T18 La scuola vista da uno studente “modello” Paola Mastrocola, La barca nel bosco T19 Il Milione raccontato ai migranti afghani Eraldo Affinati, Peregrin d’amore 81 Eraldo Affinati
83
3. I modelli comportamentali nel tardo capitalismo
84
74
Testimonianze sul tema del “femminile” T13a Elogio della “differenza” Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé T13b I due sessi non si sono mai divisi il mondo in parti uguali Simone de Beauvoir, Il secondo sesso T13c Diventare donna in America Erica Jong, Paura di volare Contro l’istituzione manicomiale per la dignità del malato di mente
75
77
Gli anni Ottanta (e oltre)
84
Gli ultimi decenni e la fenomenologia dei comportamenti nell’era digitale
84
4. La progressiva crisi d’identità degli intellettuali
86
T20 Il tramonto della funzione intellettuale
tradizionale Alberto Asor Rosa, Il grande silenzio. Intervista sugli intellettuali
T14 Il manicomio: una realtà tragica e oppressiva
Franco Basaglia, L’istituzione negata
3. Modelli e immagini del sapere 1. Il dibattito sul sapere scientifico T21 Il manifesto del neopositivismo
77
T15 «La malattia… l’incognita permanente»
Biografia
Dalla rivendicazione della parità alla “liberazione” della donna
66
H. Hann-O. Neurath-R. Carnap, La concezione scientifica del mondo
87
87
T22 La sfida della complessità
Edgar Morin, Le vie della complessità
2. L’esistenzialismo
© Casa Editrice G. Principato SpA
9
88
89
T23 Solitudine e responsabilità dell’uomo,
orfano di Dio Jean-Paul Sartre, L’esistenzialismo è un umanismo T24 L’apparizione della “nausea” Jean-Paul Sartre, La nausea
tra caduta delle antiche certezze e “liberazione delle differenze” Gianni Vattimo, La società trasparente
90
OPERA La nausea
T27 Oltre il postmoderno, verso nuovi scenari
Giulio Ferroni, Letteratura italiana contemporeanea, 1945-2014
91
T25 «Per me era lo stesso»
Albert Camus, Lo straniero, cap. 5
Biografia
T26 La condizione postmoderna:
Albert Camus
OPERA Lo straniero
96
92
Libri, lettori, lettura
97
93
Dal fascismo agli anni Cinquanta Dagli anni Sessanta a oggi T28 L’ideologia dell’e-book Gian Arturo Ferrari, Libro
97
93
3. Dallo strutturalismo all’ermeneutica
94
4. Il concetto di “postmoderno” e il “pensiero debole”
95
Sintesi con AUDIOLETTURA Conoscenze e Competenze
98
102 106
ONLINE parola chiave uomo-massa alienazione virtuale multiculturalismo autoritarismo best seller approfondimento Cosa resta del femminismo?
37 45 50 54 69 100
scheda Sartre, il prototipo dell’intellettuale impegnato La nascita e l’affermazione della civiltà dei consumi in Italia Un libro cult: Paura di volare Professori-scrittori
41 45 76 79
approfondimento Verso una coscienza ecologica di massa biografia Don Lorenzo Milani Daniel Pennac Paola Mastrocola
76
10
© Casa Editrice G. Principato SpA
percorso tematico_cinema Il cinema dell’impegno civile dagli anni Settanta a oggi video I pionieri della televisione italiana in un filmato d’epoca
2. QUADRO LINGUISTICO-LETTERARIO IL NOVECENTO E OLTRE 108 1. La letteratura tra autonomia e impegno 1. L’autonomia della letteratura dalla storia 2. L’ermetismo e la parola “assoluta”
T6 Un modello per il realismo italiano 109
Ernest Hemingway, Per chi suona la campana, cap. 31
Biografia
109
110
T1 Carri d’autunno
Ernest Hemingway
OPERA Per chi suona la campana
123
T7a Il “neorealismo” non fu una scuola
Alfonso Gatto, Isola
T2 L’eucalyptus
Salvatore Quasimodo, Ed è subito sera
112
T3 L’immensità dell’attimo
Mario Luzi, La barca
3. Alla ricerca del “reale”
114
Gli antecedenti: il realismo degli anni Trenta
114
Un militante della cultura deluso dalle ideologie: Vittorini
114
Conversazione in Sicilia, pellegrinaggio nel «mondo offeso»
115
Dall’inerzia alla solidarietà T4a «Io ero, quell’inverno, in preda ad astratti furori»
Elio Vittorini Conversazione in Sicilia cap. I
116
T4b «Uno che soffre per il dolore del mondo offeso»
Elio Vittorini Conversazione in Sicilia, cap. XXXVIII
Vittorini e «Il Politecnico» T5a «Per una cultura che combatte le sofferenze...» T5b « ... ma che non sia asservita alla politica» Elio Vittorini Per una nuova cultura La corrente neorealista
118
Italo Calvino, Prefazione a Il sentiero 124 dei nidi di ragno T7b Un giudizio critico sul neorealismo Carlo Emilio Gadda, Un’opinione sul neoralismo Il romanzo-manifesto del neorealismo: Cronache di poveri amanti di Pratolini Biografia
Vasco Pratolini
1. Lo sperimentalismo radicale della neoavanguardia
T8 Maciste, l’eroe di una epopea popolare
Vasco Pratolini, Cronache di poveri amanti, parte seconda, cap. XIV
Un movimento di rottura
142
T12 Una definizione provocatoria di letteratura
Alberto Moravia, Racconti romani
La Storia di Elsa Morante: una riproposta del romanzo neorealista?
Alberto Arbasino
T10 La violenza della Storia
Elsa Morante, La Storia, cap. 3 Oltre il neorealismo: il successo paradigmatico del Gattopardo
134
OPERA Il Gattopardo
138
T11 Don Fabrizio e la morte
137
COLLABORA ALL’ANALISI
Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, cap. VII
139
142 144
Avanguardia e anti-romanzo T13a Un serpente si è insinuato nel mio corpo Luigi Malerba, Il serpente, cap. 6 145 Biografia
143
133
OPERA La Storia 133
OPERA Il serpente
Giorgio Manganelli, La letteratura come menzogna
128
T9 Moravia neorealista: La ciociara
Fratelli d’Italia 142
126 127
2. La stagione dello sperimentalismo e la neoavanguardia
Biografia
120 123
146
Luigi Malerba
T13b I salotti romani degli anni Sessanta
Alberto Arbasino, Fratelli d’Italia
© Casa Editrice G. Principato SpA
11
147
T13c Delitto mancato
Giuseppe Pontiggia, L’arte della fuga, Sequenza nona. Il sosia 147
OPERA L’arte della fuga Biografia
148
Giuseppe Pontiggia
148
2. L’impegno civile di Sciascia, una voce controcorrente Il giorno della civetta
148 149
PASSO DOPO PASSO
T15 La mafia, «… Una voce nell’aria…»
Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta
150
TEMI/TESTI A CONFRONTO
T16 «Ho conosciuto un giudice,
T14 U n linguaggio sperimentale per un antieroe
procuratore aggiunto…» Vincenzo Consolo, Lo spasimo di Palermo
picaresco Gianni Celati, Le avventure di Guizzardi
3. Il postmoderno
153
1. Letteratura e postmoderno La vita: istruzioni per l’uso, un iper-romanzo
153 154
T20 La biblioteca-labirinto
Umberto Eco, Il nome della rosa 161
4. G esualdo Bufalino e Le menzogne della notte
T17 Gli strani viaggi di Barthlebooth e Smauf
Georges Perec, La vita: istruzioni per l’uso, cap. XV
155 2. Il postmoderno in Italia Cos’è il postmoderno? Due definizioni d’“autore” T18a Un esempio illuminante Umberto Eco, Postille al Nome della rosa T18b La madeleine di plastica Michele Mari, Tutto il ferro della Torre Eiffel T19 Un microromanzo Giorgio Manganelli, Centuria, Cinque
Le menzogne della notte: un’investigazione postmoderna
165 165
T21 La notte degli inganni
Gesualdo Bufalino, Le menzogne della notte, XIII e XIV
5. Antonio Tabucchi: la vita come “rebus” Biografia
Antonio Tabucchi
166 167
OPERA Sostiene Pereira
167
158
Piccoli equivoci senza importanza
167
Umberto Eco, un intellettuale eclettico
158
Il nome della rosa: un romanzo postmoderno “costruito a tavolino”
T22 Un esempio di riscrittura “dalla parte di”
159
3. U mberto Eco e Il nome della rosa
Antonio Tabucchi, Piccoli equivoci senza importanza, Stanze 168
4. Le ultime tendenze
174
1. La “nuova narrativa” 2. I calviniani o l’anestesia delle passioni
174 174
Andrea De Carlo e Treno di panna Daniele Del Giudice e Atlante occidentale T23 Uno sguardo asettico
175
Pier Vittorio Tondelli e Altri libertini Aldo Busi e Seminario sulla gioventù
178 178 179
175
Andrea De Carlo, Treno di panna 176 T24 Dialogo sul tempo Daniele Del Giudice, Atlante occidentale 12
3. I “neomaledetti” e la poetica dell’eccesso
T25 Avventure nell’estate del settantaquattro
Pier Vittorio Tondelli, Altri libertini, Il viaggio
© Casa Editrice G. Principato SpA
180
4. La riscoperta della memoria storica e della dimensione civile: verso un nuovo impegno
183
T27 «Mi rimbombò nelle orecchie l’Io so
T26 « Non distogliamo lo sguardo
di Pasolini» Roberto Saviano, Gomorra 188 T28 « Tra finanza legale e illegale non c’è più un limite preciso» Walter Siti, Resistere non serve a niente
da un uomo ucciso ingiustamente» Antonio Scurati, Il tempo migliore della nostra vita 184
Gomorra: tra romanzo e reportage
187
5. Gli usi della lingua
190
1. La progressiva affermazione di una lingua parlata comune
190
2. L’italiano oggi
191
3. La rivincita dello scritto: ma quale scritto?
192
T30 Espressioni da non usare (e perché non usarle)
T29 L’antilingua esiste ancora
Gianrico Carofiglio, Con parole precise. Breviario di scrittura civile
Beppe Severgnini, L’italiano. Lezioni semiserie 193
Sintesi con AUDIOLETTURA Conoscenze e Competenze
195 199
ONLINE scheda
Il mito della letteratura americana
117
La parabola dell’esperienza neorealista
119
Un modello di riferimento: il Nouveau roman e l’école du regard L’Oulipo e la letteratura potenziale I romanzi neostorici
144 155 157
“Gioventù cannibale” e la moda 180 della letteratura pulp
parola chiave populismo approfondimento Dylan Dog, un eroe postmoderno Tra parlato giovanile e pastiche Due celebri interventi a proposito della “nuova” questione della lingua: Pasolini vs Calvino La nuova antilingua: aziendale e neopolitichese
119 172 179
191 193
ATTRAVERSO L’ARTE IL NOVECENTO E OLTRE
documento critico Alberto Asor Rosa, Una critica al populismo neorealista scheda Tappe e pietre miliari della neoavanguardia video Vittorini si racconta Andrea Camilleri racconta Leonardo Sciascia opera Conversazione in Sicilia
La vita: istruzioni per l’uso Centuria biografia Giorgio Manganelli approfondimento La pianificazione di vari livelli di lettura e il successo del romanzo percorso tematico_ cinema Il neorealismo: un nuovo modo di fare cinema
con IMMAGINI INTERATTIVE
© Casa Editrice G. Principato SpA
13
201
3. CLASSICI GIUSEPPE UNGARETTI
CRONOLOGIA INTERATTIVA
L’uomo Ungaretti visto da Enrico Pea e Leone Piccioni
208 209
1. Ritratto d’autore
210
1. Vita d’un uomo
210
T1 L’addio ad Alessandria
Giuseppe Ungaretti, L’allegria, Silenzio
T2 La formazione di un poeta T2a «Ho ripassato le epoche della mia vita»
Giuseppe Ungaretti, L’allegria, I fiumi T2b «Quanto un uomo può patire imparo» Giuseppe Ungaretti, Il dolore, Mio fiume anche tu, vv. 1-28
2. La poetica: tra biografia e “rivelazione”
219
T3 La parola poetica come evocatrice del “mistero” T3a Il porto sepolto 213
Giuseppe Ungaretti, L’allegria
220
Giuseppe Ungaretti, Il porto sepolto
221
T3b Commiato
T4 Il compito della poesia 217
Giuseppe Ungaretti, Scritti letterari
2. Le stagioni della poesia di Ungaretti I tre tempi della poesia di Ungaretti
223
1. La prima stagione poetica: L’allegria 224 T5 La ricerca di un’identità
Giuseppe Ungaretti, L’allegria T5a In memoria T5b Italia
225 ANALISI TESTUALE
T6 Il tema della guerra T6a Fratelli
T10 Ungaretti “ermetico”: Lago luna alba notte
Giuseppe Ungaretti, Sentimento del tempo, La fine di Crono
T11 L’isola
Giuseppe Ungaretti, Sentimento del tempo, La fine di Crono
227
Giuseppe Ungaretti, L’allegria
227
T6b Soldati
Giuseppe Ungaretti, Girovago 229 T6c Sono una creatura Giuseppe Ungaretti, L’allegria, Il porto sepolto T6d San Martino del Carso
COLLABORA ALL’ANALISI
Giuseppe Ungaretti, L’allegria, Il porto sepolto T7 Allegria di naufragi Giuseppe Ungaretti, L’allegria T8 Mattina Giuseppe Ungaretti, L’allegria
230
231
2. L a seconda raccolta: Sentimento del tempo T9 Ricordo d’Affrica Giuseppe Ungaretti, Sentimento del tempo, Prime
3. Da Il dolore alle ultime raccolte T12 Non gridate più
Giuseppe Ungaretti, Il dolore, I ricordi
parola chiave
analogia
approfondimento I maestri di Ungaretti: Leopardi e Mallarmé Una suggestione dall’Estremo Oriente?
219
14
236 237
T13 Grido d’amore
Giuseppe Ungaretti, La terra promessa, Cori descrittivi di stati d’animo di Didone, III
VERSO IL NUOVO ESAME Analisi del testo T14 Girovago, Giuseppe Ungaretti, L’allegria T15 La madre, Giuseppe Ungaretti, Sentimento
238
del tempo, Leggende
232
234
Sintesi con AUDIOLETTURA Conoscenze e Competenze
ONLINE scheda Ungaretti e il fascismo 212
223
Ungaretti spiega perché considera documento critico Leopardi e Mallarmé suoi maestri Mario Barenghi, Ungaretti e Bergson P. V. Mengaldo, La disgregazione audio-video del verso nell’Allegria Ungaretti legge I fiumi video Ungaretti raccontato dal critico Andrea Cortellessa
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scheda Da Il porto sepolto a L’allegria
239 240
4. CLASSICI UMBERTO SABA
LEGGERE IL CANZONIERE
CRONOLOGIA INTERATTIVA
242
L’uomo Saba visto da Ottavio Cecchi e Vittorio Sereni
243
1. Ritratto d’autore Tra vita e letteratura: le opere minori 1. U na vita all’insegna della «serena disperazione» T1 Il “romanzo familiare” di Saba T1a Mio padre è stato per me «l’assassino»
Umberto Saba, Canzoniere, Autobiografia
244
246
T1b La confessione di Ernesto
Umberto Saba, Ernesto T1c Una poesia alla balia Umberto Saba, Canzoniere, Il piccolo Berto
248
244
2. L a conoscenza del profondo: strumento per decifrare i comportamenti umani e le vicende storiche T2 La necessità di comprendere le istanze del “profondo” T2a «Non esiste un mistero della vita, o del mondo, o dell’universo» Umberto Saba, Scorciatoie 20; 116 T2b «Tubercolosi, cancro, fascismo» Umberto Saba, Scorciatoie 43
2. Il Canzoniere La struttura, la poetica narrativa, la cornice 1. La poetica dell’“onestà”
253
Canzoniere
255
T3 La concezione e il ruolo della poesia per Saba
Umberto Saba, Quello che resta da fare ai poeti, Storia e cronistoria del Canzoniere 255 T3a Il compito morale del poeta 255 T3b Poesia vs “letteratura” 255 T3c La funzione terapeutica della poesia: Finale Umberto Saba, Canzoniere, Preludio 256 e canzonette Umberto Saba, Canzoniere, Mediterranee
258
VERSO IL NUOVO ESAME Analisi e produzione di un testo argomentativo
251
Umberto Saba, Canzoniere, Casa e campagna
T5 Trieste
264
ANALISI TESTUALE
Umberto Saba, Canzoniere, Trieste e una donna 268
T6 Città vecchia
COLLABORA ALL’ANALISI
Umberto Saba, Canzoniere, Trieste e una donna 271
T7 Ritratto della mia bambina
Umberto Saba, Canzoniere, Cose leggere e vaganti
273
T8 In riva al mare
Umberto Saba, Canzoniere, L’amorosa spina
VERSO IL NUOVO ESAME Analisi e produzione di un testo argomentativo
documento critico
documento critico
Lorenzo Polato, L’originalità del linguaggio poetico di Saba
2. Un libro poetico in divenire I temi Lo stile
259
Giulio Ferroni, Il poeta è un «artigiano del quotidiano»
262 263
Sintesi con AUDIOLETTURA Conoscenze e Competenze
244
Storia e cronistoria del Canzoniere: 256 Saba interpreta Saba
250
245
252
274
261
ONLINE scheda Lo pseudonimo “Saba” Scorciatoie e raccontini: le “operette morali” di Saba I maestri di Saba: Nietzsche e Freud
251
253
T4 A mia moglie
ANALISI TESTUALE
T3d La rima fiore : amore : Amai
250
approfondimento Saba e il mondo ebraico
approfondimento Un romanzo “autobiografico”: Ernesto video Il poeta Giovanni Giudici parla del suo incontro con Saba
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15
275 276
5. CLASSICI EUGENIO MONTALE
CRONOLOGIA INTERATTIVA
278
L’uomo Montale visto da Alberto Moravia e da sé medesimo
279
1. Ritratto d’autore
280
1. Una vita ispirata alla «decenza quotidiana»
4. L’idea montaliana della poesia
287
280
Gli anni liguri (1896-1927) Gli anni fiorentini (1927-1948) Gli anni milanesi (1948-1981)
280 281 282
2. La visione del mondo
283
3. Le scelte ideologiche e politiche
285
T1 La percezione di una totale disarmonia
Eugenio Montale, Confessioni di scrittori (Inteviste con se stessi) T2 Engagement politico vs engagement morale Eugenio Montale, Queste le ragioni del mio lungo silenzio. Dialogo con Eugenio Montale
T3 Montale spiega come nasce la sua poesia
Eugenio Montale, Sulla poesia
T4 «Semplicità» e «chiarezza»
Eugenio Montale, Stile e tradizione, Auto da fé
T5 Due testi sulla poesia T5a I limoni
Eugenio Montale, Ossi di seppia
286
T5b Non chiederci la parola
289
ANALISI TESTUALE
Eugenio Montale, Ossi di seppia
2. Ossi di seppia
293
295
1. Il titolo e la struttura
295
2. I nuclei tematici e le scelte stilistiche
296
Ossi di seppia
297
T6 Spesso il male di vivere ho incontrato
Eugenio Montale, Ossi di seppia
297
COLLABORA ALL’ANALISI
T7 Meriggiare pallido e assorto
Eugenio Montale, Ossi di seppia
T8 Forse un mattino andando in un’aria di vetro
Eugenio Montale, Ossi di seppia
T9 Cigola la carrucola del pozzo
Eugenio Montale, Ossi di seppia
T10 Casa sul mare
Eugenio Montale, Ossi di seppia
T11 Giunge a volte, repente 299
Eugenio Montale, Ossi di seppia
3. Da Le occasioni a La bufera: la maturità poetica 1. Le occasioni: il tempo, la memoria, 304 il mito della donna-messaggera
300
302
304
T13 La figura salvifica della donna-messaggera T13a La speranza di pure rivederti
Eugenio Montale, Mottetti
T12 Il tema del tempo
T13b Ecco il segno; s’innerva
COLLABORA ALL’ANALISI
T12a La casa dei doganieri
Eugenio Montale, Le occasioni T12b Non recidere, forbice, quel volto Eugenio Montale, Le occasioni 16
306
Eugenio Montale, Mottetti
T13c Nuove stanze
308
© Casa Editrice G. Principato SpA
Eugenio Montale, Le occasioni
309
2. La bufera: un libro eterogeneo
VERSO IL NUOVO ESAME Analisi e produzione di un testo argomentativo
T14 La frangia dei capelli
Eugenio Montale, La bufera
documento critico
Giorgio Zampa, Montale e i giovani degli anni Trenta e Quaranta
T15 La primavera hitleriana 312
Eugenio Montale, La bufera T16 Piccolo testamento Eugenio Montale, Bufera e altro, Conclusioni provvisorie
4. Un nuovo Montale: da Satura alle ultime raccolte 1. La svolta poetica degli anni Sessanta e Settanta
321
2. Satura
321
3. Le ultime raccolte
323
T17 La storia non si snoda
Eugenio Montale, La Storia, Satura I
323
T18 Il raschino
Eugenio Montale, Satura I
almeno un milione di scale Eugenio Montale, Satura, Xenia II, 5
T22 Dopopioggia
Eugenio Montale, Quaderno di quattro anni
282
La nozione di correlativo oggettivo in Eliot e la poetica montaliana degli oggetti 288 Xenia: un affettuoso omaggio 322 alla moglie scomparsa
Il Diario postumo: un giallo 323 filologico
326
328
329
Sintesi con AUDIOLETTURA Conoscenze e Competenze
330 332
Spazio Competenze capitoli 3-5
334
ONLINE L’annuncio del premio Nobel 283 in casa Montale
321
Eugenio Montale, Satura, Xenia I, 5
Eugenio Montale, Ossi di seppia
approfondimento
319
T21 Non ho mai capito se io fossi
Eugenio Montale, Satura II
VERSO IL NUOVO ESAME Riflessione critica di carattere espositivo-argomentativo su tematiche di attualità 325
315
T20 Ho sceso, dandoti il braccio,
VERSO IL NUOVO ESAME Analisi del testo T23 Gloria del disteso mezzogiorno
T19 Auf Wiedersehen
scheda Auto da fé e Farfalla di Dinard
314
scheda Lo Zibaldone giovanile di Montale: il Quaderno genovese
approfondimento Archetipi simbolici: l’acqua, la terra, l’aria, il fuoco
video Collage di interviste a Montale con la lettura di alcuni Ossi di seppia
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17
documento critico Enrico Testa, I volti di Clizia nella Bufera
6. GENERI TEMI E FORME DEL FANTASTICO NOVECENTESCO
336
1. I maestri del fantastico novecentesco in Italia 1. Le nuove forme di rappresentazione 337 del fantastico 2. L’affermazione del fantastico nella cultura italiana
338
3. Il fantastico allegorico di Buzzati
338
337
T2 Strane coincidenze
Dino Buzzati, Il crollo della Baliverna
4. L’immaginario ossessivo di Landolfi T3 La poltrona stregata
Il deserto dei Tartari
339
OPERA Il deserto dei Tartari
339
T1 «Le pagine grige dei giorni»
Dino Buzzati, Il deserto dei Tartari, XXVI
340
Tommaso Landolfi, Questione d’orientamento, Del meno
5. L’universo onirico e surreale di Savinio
1. Il fantastico “filosofico” di Borges
345
T5 Un racconto-parabola
Jorge Luis Borges, Parabola del Palazzo, L’artefice T6 Un racconto sul tema del tempo Jorge Luis Borges, Il miracolo segreto, Finzioni
2. Bulgakov: fantastico e critica etico-politica
Alberto Savinio, Casa «La Vita»
3. L’antiutopia di Orwell
345
VERSO IL NUOVO ESAME Riflessione critica di carattere espositivo-argomentativo su tematiche di attualità 358
346
4. Il “realismo magico” di García Márquez Gabriel García Márquez, Cent’anni di solitudine
348
George Orwell, 1984
349
355
Sintesi con AUDIOLETTURA Conoscenze e Competenze ONLINE
cinema The Truman Show
359
gallery Buzzati: un pittore prestato alla letteratura?
approfondimento Il Grande Fratello televisivo 358
18
360
354
T8 Il Grande Fratello vi guarda
343
359
T9 La solitudine di Macondo
T7 Uno strano incontro
Michail Bulgakov, Il Maestro e Margherita, cap. I
343
T4 Un itinerario onirico-simbolico
2. Dimensioni e “usi” del fantastico fuori d’Italia
scheda La pietra lunare
342
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video Il trailer del film di Valerio Zurlini (1976) dal romanzo di Buzzati Lo scrittore Alessandro Baricco racconta Cent’anni di solitudine
363 365
7. CLASSICI CARLO EMILIO GADDA LEGGERE LA COGNIZIONE DEL DOLORE
CRONOLOGIA INTERATTIVA
L’uomo Gadda visto da sé medesimo e da un noto giornalista
367
1. Ritratto d’autore Tra vita e letteratura: le opere minori 1. La vita
368
2. L’ideologia e la poetica
370
La La La Lo
visione politica e sociale “filosofia” gaddiana funzione della letteratura stile
T3 La concezione della letteratura
Carlo Emilio Gadda, I viaggi la morte
T3a «Non cerco polli da dovergli buttare
perle false»
370
T3b La scrittura della “vendetta” T3c «Il fatto in sé, non è che il morto corpo
371 372
Carlo Emilio Gadda, Meditazione milanese
della realtà, il residuo fecale della storia»
T3d La mia penna è al servizio della mia anima
373
T4 U n ritratto corrosivo degli anni del fascismo e una
T2 “Normale” e “anormale”
Carlo Emilio Gadda, I viaggi la morte, Come lavoro
368 COLLABORA ALL’ANALISI
370
T1 Il filosofo
366
testimonianza del pastiche Carlo Emilio Gadda, Eros e Priapo
374
2. La narrativa di Gadda: un itinerario conoscitivo
376
1. Alle radici del narrare gaddiano
376
379
2. Un quadro d’insieme della narrativa gaddiana
377
3. I due romanzi principali La cognizione del dolore
379
Quer pasticciaccio brutto de via Merulana
379
La centralità autobiografica della prima guerra: 377 dal Giornale alla Meccanica
OPERA Quer pasticciaccio brutto de via Merulana
380
La Madonna dei filosofi
377
T6 Il ritratto del commissario Ingravallo
L’Adalgisa e la satira della borghesia milanese
377
Carlo Emilio Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana
381
T5 Un esempio delle tecniche narrative gaddiane
Carlo Emilio Gadda, L’incendio di via Keplero
3. Leggere La cognizione del dolore 1. Il titolo e le circostanze della composizione
385
2. La trama e la struttura
386
3. I temi e lo stile
387
T8 L’ambientazione nel Maradagàl-Italia: le ville in
Il plurilinguismo del romanzo T7 «Ogni oltraggio è morte»
385
388
Brianza, emblema di uno snobistico cattivo gusto Carlo Emilio Gadda, La cognizione del dolore, parte I, cap. i
La cognizione del dolore
389
T9 La distanza tra l’ideale etico della borghesia
e la degenerazione contemporanea
Carlo Emilio Gadda, La cognizione del dolore, parte I, cap. i
T9a Le virtù borghesi: l’antenato di Gonzalo
Carlo Emilio Gadda, La cognizione del dolore, parte I, cap. i
© Casa Editrice G. Principato SpA
19
T11 La violenza verso la madre
T9b L’esibizione narcisistica dei borghesi
nei ristoranti di lusso Carlo Emilio Gadda, La cognizione del dolore, parte II, cap. vi
389
T10 Il sogno-desiderio di Gonzalo
Carlo Emilio Gadda, La cognizione del dolore, parte II, cap. iii
e l’addio di Gonzalo alla casa Carlo Emilio Gadda, La cognizione del dolore, parte II, cap. viii
392
Sintesi con AUDIOLETTURA Conoscenze e Competenze
396 398
ONLINE approfondimento
Gadda e la psicoanalisi
parola chiave narcisismo
opera Eros e Priapo
video Gadda in TV: lo scrittore parla del pubblico, degli autori prediletti, del Pasticciaccio Alessandro Baricco e Gabriele Vacis leggono parti di un brano della Cognizione
388
375
La società del narcisismo 392 Un’immagine-simbolo: 395 la casa
temi/testi a confronto Il furore della parola Gadda e Céline
Gianfranco Contini, Gadda appartiene alla razza dei supremi macaronici Carla Benedetti, Gadda narratore della “totalità”
documenti critici Guido Piovene, Un giudizio a caldo sulla Cognizione del dolore
8. TEMI LA FAMIGLIA BORGHESE ALLO SPECCHIO
400
Un campo di osservazione privilegiato della letteratura del Novecento 400 Attraverso il Novecento: immagini della famiglia borghese
Moravia e Gli indifferenti
401
Lalla Romano: un problematico rapporto madre-figlio
414
402
Le parole tra noi leggère
414
Le fasi della narrativa moraviana
402
Alberto Moravia
403
Biografia
Gli indifferenti
404
OPERA Gli indifferenti
405
T1 Ritratto di famiglia in un interno
406
Alberto Moravia, Gli indifferenti, cap. II
L’universo familiare nell’opera di Natalia Ginzburg Biografia
Natalia Ginzburg
409 409
Lessico famigliare
409
T2 Un’educazione “all’antica”
410
Natalia Ginzburg, Lessico famigliare
Caro Michele
di una madre Natalia Ginzburg, Caro Michele, 7 20
Lalla Romano, Le parole tra noi leggère
Biografia
Lalla Romano
415 416
TEMI/TESTI A CONFRONTO
T5 La famiglia borghese nello sguardo impietoso
di un figlio Giuseppe Pontiggia, La grande sera, cap. XII
Sintesi con AUDIOLETTURA Conoscenze e Competenze
417
420 421
ONLINE 413
T3 «Sei venuto su molto balordo»: l’autocritica
T4 Un figlio alla ricerca di sé
video Scene dal film Gli indifferenti di Francesco Maselli (1964), tratto dal romanzo di Moravia.
© Casa Editrice G. Principato SpA
documento critico Cesare Segre, Una tecnica a indagine percorso tematico_cinema Il cinema e la famiglia borghese
9. TEMI LETTERATURA E CIVILTÀ CONTADINA
422
1. Immagini della civiltà contadina tra Nord e Sud
423
1. Letteratura e campagna: un filo rosso nella tradizione letteraria italiana
434
423
2. La letteratura novecentesca di fronte al mondo contadino del Sud
424
T1 Il mondo magico e arcaico dei pastori
Corrado Alvaro, Gente in Aspromonte Il lirismo estetizzante di Gente in Aspromonte 424 Un romanzo di denuncia: Fontamara 425 Biografia
Ignazio Silone
426
T2 I «cafoni» e lo stato:
due universi incommensurabili Ignazio Silone, Fontamara, I
426
Cristo si è fermato a Eboli: tra memoria e documento socio-antropologico Biografia
Carlo Levi
430 431
T3 L’arrivo a Gagliano
Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli
431
Paese d’ombre: una saga familiare nel mondo arcaico della Sardegna T4 Un funzionario piemontese e i problemi di una
piccola comunità sarda Giuseppe Dessì, Paese d’ombre
3. Le Langhe di Fenoglio e La malora La malora
435
T5 La dura vita in un podere delle Langhe
Beppe Fenoglio, La malora
4. Libera nos a Malo: l’affettuosa rievocazione di un mondo arcaico Biografia
Luigi Meneghello
T6 Libera non amaluàmen
Luigi Meneghello, Libera nos a Malo, cap. 13
2. Cesare Pavese Un universo simbolico legato alla campagna 1. Una figura complessa di intellettuale
444
2. La campagna di Pavese: un mondo mitico e ancestrale
445
439 440
441 444
T7 Il difficile approccio di Berto al mondo della cam-
pagna Cesare Pavese, Paesi tuoi T8 La vigna, un luogo mitico Cesare Pavese, Feria d’agosto T9 L’isola, il tema pavesiano del ritorno Cesare Pavese, Dialoghi con Leucò OPERA Paesi tuoi
447
T10 La collina, “un modo di vivere”
PASSO DOPO PASSO
Cesare Pavese, La casa in collina
Cesare Pavese, La luna e i falò, cap. I
OPERA La luna e i falò
446
449
452
T12 Il tema dei falò
Cesare Pavese, La luna e i falò 452 T12a «Chi sa perché mai si fanno questi fuochi...» Cesare Pavese, La luna e i falò, cap. IX 452 T12a La fine di Santa: «come il letto d’un falò» Cesare Pavese, La luna e i falò, 454 capp. XXXI-XXXII
Sintesi con AUDIOLETTURA Conoscenze e Competenze
ONLINE 448
436
T11 Il passato non torna
OPERA La casa in collina
scheda La produzione narrativa di Pavese
435
biografia Corrado Alvaro Giuseppe Dessì video Trailer del film Fontamara (1980) di Carlo Lizzani
Trailer del film Cristo si è fermato a Eboli (1979) di Francesco Rosi Cesare Pavese e la sua solitudine (Cult Book su Rai Storia)
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21
scheda Uno sguardo nuovo sul mondo contadino: Cesare Pavese ed Ernesto de Martino
457 459
10. TEMI NEL CUORE DEL SECOLO BREVE: RESISTENZA E SHOAH
460
1. La Resistenza fra mito e realtà 1. La speranza di un’Italia migliore
COLLABORA ALL’ANALISI
461
T4 Tarzan, il buon partigiano che seppe perché
Il popolo nella guerra partigiana: L’Agnese va a morire T1 La presa di coscienza di Agnese
462
OPERA L’Agnese va a morire
463
Il bene e il male nella guerra partigiana: Uomini e no di Vittorini
463
Renata Viganò, L’Agnese va a morire
OPERA Uomini e no
464
Beppe Fenoglio, Lettere 1940-1962 [Commemorazione del partigiano Dario Scaglione] T5 Johnny, il partigiano Robin Hood Beppe Fenoglio, Il partigiano Johnny 472 Una questione privata
473 PASSO DOPO PASSO
T6 Il duello mortale con la spia
Beppe Fenoglio, Il partigiano Johnny
T2 I morti parlano ai vivi
Elio Vittorini, Uomini e no
464
2. Il narratore della Resistenza “com’era”: Beppe Fenoglio Un quadro anticonformistico dei partigiani: I ventitre giorni della città di Alba Biografia
461
Beppe Fenoglio
467 467 467
T3 Il folkloristico ingresso dei partigiani ad Alba
Beppe Fenoglio, I ventitre giorni della città di Alba 468 Il ciclo dei romanzi resistenziali: da Primavera di bellezza al Partigiano Johnny 471
3. Il ripensamento critico della Resistenza
478
I «piccoli maestri» di Meneghello T7 Il confronto tra bande:
La persecuzione ebraica Biografia
VERSO IL NUOVO ESAME Riflessione critica di carattere espositivo-argomentativo su tematiche di attualità 479 480
481
T10b La lezione di Steinlauf T11 L’esperienza darwiniana del campo
di concentramento 487 PASSO DOPO PASSO T11a L’iniqua legge della sopravvivenza nel Lager Primo Levi, Se questo è un uomo 487 T11b La vergogna del sopravvissuto Primo Levi, I sommersi e i salvati
481
Giorgio Bassani
482
Il giardino dei Finzi-Contini: un Eden minacciato dalla storia 482 T9 Le leggi razziali e l’ingresso
COLLABORA ALL’ANALISI
nel mondo aristocratico Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini
T12 Le leggi della chimica e quelle dell’amicizia
2. La testimonianza sulla Shoah di un grande autore italiano: Primo Levi
483
Se questo è un uomo: un classico della letteratura italiana
483
Biografia
Primo Levi
T10 La resistenza alla disumanizzazione
Primo Levi, Se questo è un uomo T10a Il «campo di annientamento» 22
478
partigiani comunisti e azionisti Luigi Meneghello, I piccoli maestri T8 La «congiura della brava gente» Giorgio Fontana, Morte di un uomo felice
2. La tragedia della Shoah 1. Il tema dell’esclusione e l’opera narrativa di Giorgio Bassani
473
Primo Levi, Il sistema periodico, Ferro T13 La “non banalità del bene” Ruth Klüger, Vivere ancora. Storia di una giovinezza ONLINE
485
3. La «banalità del male» e il tema dei «giusti»
485 485
Sintesi con AUDIOLETTURA Conoscenze e Competenze
© Casa Editrice G. Principato SpA
491 492
ONLINE cinema L’epos della Resistenza: Roma città aperta 462 Il partigiano Johnny, il film 477 I piccoli maestri, 479 il film Il giardino dei FinziContini, il film 482
scheda L’immagine della Resistenza oggi fra letteratura e 479 saggistica Il termine Shoah 480 Le altre opere di 484 Primo Levi Un problema aperto: come ricordare oggi la Shoah? 489
percorso tematico _cinema Il neorealismo: un nuovo modo di fare cinema scheda Fenoglio, il grande incompreso Un rebus filologico della letteratura contemporanea Intellettuali e Resistenza
link Memoriale della Shoah di Milano Il “Museo della Shoah” della Fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea Centro di documentazione ebraica contemporanea (percorsi didattici con film e libri sulla Shoah) approfondimento Il simbolismo dello spazio
e del contrasto ombra/ luce video Lo scrittore Giorgio Montefoschi racconta Bassani in Scrittori per un anno Un’intervista a Primo Levi (1974) Primo Levi in viaggio verso Auschwitz, a quarant’anni dalla sua deportazione (1983)
11. TEMI LETTERATURA E INDUSTRIA
494
La letteratura interpreta le contraddizioni del boom economico Lo sviluppo industriale e i cambiamenti 495 nella società italiana Intellettuali e scrittori di fronte alla nuova realtà industriale L’incontro con il mondo della fabbrica Beppe Fenoglio e La paga del sabato Paolo Volponi e Memoriale Biografia
Paolo Volponi
498 498 499 499
T1 «Impossibile che io sia dei vostri»
Beppe Fenoglio, La paga del sabato, III T2 Una visita in fabbrica Vittorio Sereni, Gli strumenti umani, Una visita in fabbrica T3 Tra attrazione e paura Paolo Volponi, Memoriale T4 L’etica del lavoro di un operaio specializzato Primo Levi, La chiave a stella T5 Il dialogo fra la luna e il computer Paolo Volponi, Le mosche del capitale
L’altra faccia del “miracolo economico” 504 Lucio Mastronardi e Il maestro di Vigevano 504 Biografia
497
Lucio Mastronardi
504
T6 La metamorfosi sociale e antropologica
di un microcosmo provinciale Lucio Mastronardi, Il maestro di Vigevano, parte prima, 2
Luciano Bianciardi e La vita agra Biografia
Luciano Bianciardi
T7 Un’impietosa radiografia del “miracolo italiano”
Luciano Bianciardi, La vita agra, cap. X T8 Manodopera femminile nel Sud Ottiero Ottieri, Donnarumma all’assalto, XII
504 507 508
508
500
Sintesi con AUDIOLETTURA Conoscenze e Competenze
ONLINE cinema Il boom industriale al cinema 503
495
video Clip del film-documentario di Davide Ferrario La zuppa del demonio (2014)
video Enzo Jannacci canta Vincenzina e la fabbrica
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biografia Ottiero Ottieri percorso tematico_cinema Il boom economico e la commedia all’italiana
23
512 513
12. CLASSICI ITALO CALVINO
CRONOLOGIA INTERATTIVA
514
L’uomo Calvino visto da Natalia Ginzburg e da sé medesimo
515
1. Ritratto d’autore
516
1. La vita
516
2. La visione della letteratura: la forza della ragione contro il caos del mondo
T1 La sfida della complessità
Italo Calvino, Una pietra sopra
T2 Il valore dell’esattezza 517
Italo Calvino, Lezioni americane, 3. Esattezza
519
2. Tra fantasia e realtà: il confronto di Calvino con la storia 1. Il sentiero dei nidi di ragno
521
OPERA Il sentiero dei nidi di ragno
522
T3 La guerra partigiana T3a L’avventurosa fuga di Pin dal carcere tedesco
Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno
523
T3b Le riflessioni del commissario Kim
Italo Calvino, Il barone rampante, cap. XIV
527
Il visconte dimezzato e il tema del doppio
527
OPERA Il visconte dimezzato
527
Il cavaliere inesistente e il tema dell’alienazione
528
OPERA Il cavaliere inesistente
528
Il barone rampante, un modello per l’intellettuale
529
OPERA Il barone rampante
530
3. La narrativa realistica di Calvino e il confronto con la società del boom economico Italo Calvino, La speculazione edilizia, III
534
4. Marcovaldo, uno sguardo straniato sulla città industriale
Italo Calvino, Marcovaldo ovvero Le stagioni in città, Luna e Gnac, 14
5. La giornata di uno scrutatore e la svolta ideologica di Calvino T7 La crisi dell’intellettuale progressista
537
540
540
COLLABORA ALL’ANALISI
24
536
COLLABORA ALL’ANALISI
3. La nuova narrativa di Calvino
2. La narrativa combinatoria e il metaromanzo
535
PASSO DOPO PASSO T6 La metropoli cancella la volta stellata
Italo Calvino, La giornata di uno scrutatore, cap. IX
e il suo confronto con il padre
Italo Calvino, Le cosmicomiche, Gli anni-luce
534
OPERA La speculazione edilizia
T4 I nuovi valori del barone rampante
T8 Gli anni-luce
530
T5 L’ambiguo costruttore Caisotti
sul significato della Resistenza Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno 2. Il Calvino fantastico e la “trilogia degli antenati”
1. Le Cosmocomiche: uno sguardo “siderale” sulle vicende umane
521
541 546
3. Il personaggio di Palomar e il problematico rapporto con la realtà T9 Dal prato all’universo: il compito impossibile
della conoscenza Italo Calvino, Palomar, 1.2.3. Il prato infinito
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548
4. L’opera-mondo di Calvino: Le città invisibili
548
VERSO IL NUOVO ESAME Analisi del testo T10d Le città nascoste. 3. Marozia
Italo Calvino, Le città invisibili
T10 Tra realtà, utopia e antiutopia
Italo Calvino, Le città invisibili T10a La metropoli del mondo moderno globalizzato: Trude e Cloe T10b Città invisibili utopiche e distopiche: Perinzia, Andria e Raissa 550 T10c La conclusione delle Città invisibili: quale utopia? 554
Sintesi con AUDIOLETTURA Conoscenze e Competenze
ONLINE approfondimento Il labirinto come immagine del mondo 518 contemporaneo Calvino: uno scrittore 547 postmoderno?
video Romano Luperini, Intervista a Calvino, “un uomo invisibile” Marco Belpoliti sul Calvino del Sentiero e dei racconti resistenziali Calvino parla del Cavaliere inesistente (1969) e del film animato che ne è stato tratto Marcovaldo, sceneggiato Rai (1970)
Le città distopiche, dal capolavoro di Calvino al cinema Un’eredità di Calvino: le città invisibili diventano visibili
Calvino e il suo legame con Parigi e la cultura francese Lo spazio, il tempo, la lingua nelle Città invisibili approfondimento Il partigiano Calvino “padre” dei cantautori italiani Calvino e la narrativa dello straniamento Calvino e l’Oulipo
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documento critico Cesare Cases, Calvino e il «pathos della distanza»
25
556 558
13. GENERI LINEE DELLA LIRICA DEL SECONDO NOVECENTO
560
1. La poesia a confronto con la storia
561
1. Le linee portanti della poesia del secondo Novcento
561
Dall’ermetismo agli anni Sessanta
561
La neoavanguardia: lo scardinamento del linguaggio “alienato”
562
Oltre la neoavanguardia, verso il nuovo millennio
Vittorio Sereni: memoria personale e memoria storica
563
T5 Non sa più nulla, è alto sulle ali
2. La poesia di fronte alla storia
564
T6 Il tempo e la memoria
Salvatore Quasimodo: “rifare l’uomo” dopo la tragedia della guerra T1 Alle fronde dei salici
564
Salvatore Quasimodo, Giorno dopo giorno T2 «Sei ancora quello della pietra e della fionda» Salvatore Quasimodo, Giorno dopo giorno, Uomo del mio tempo Franco Fortini: dalla guerra partigiana a quella del Golfo
T4a Contro la guerra
565
Bertolt Brecht, Mio fratello aviatore
T4b Allegoria dell’ingiustizia sociale
Bertolt Brecht, Poesie di Svendborg, Il susino
Vittorio Sereni, Diario d’Algeria
569
570
Vittorio Sereni, Stella variabile, Giovanna e i Beatles
Antonio Porta: le “menzogne” dei Grandi e la violenza della storia T7 L’esplosione atomica
566
T3 Guerra di ieri e guerra di oggi T3a Il testamento dei partigiani
Franco Fortini, Foglio di via, Canto 567 degli ultimi partigiani T3b La lontana guerra televisiva Franco Fortini, Composita solvantur, Sette 567 canzonette del Golfo, Lontano lontano... T4 Bertolt Brecht, un modello per la poesia politica Due testi di denuncia
Antonio Porta, I rapporti, Europa cavalca un toro nero 573 T8 Lo sguardo dall’alto sul pianeta Antonio Porta, Il giardiniere contro il becchino, Airone Lo sguardo sulla storia di Wislawa Szymborska 574 T9 Fotografia dell’11 settembre
Wislawa Szymborska, Attimo
L’alienazione nel lavoro impiegatizio: Elio Pagliarani e La ragazza Carla T11 Storia di un’impiegata milanese
L’Italia «terrachiusa» Erri De Luca, Opera sull’acqua e altre poesie. Naufragi
576
Giovanni Giudici: l’alienazione della mentalità borghese T13 Mi chiedi cosa vuol dire
576
T14 Un tentativo di sottrarsi alla frustrazione
Elio Pagliarani, La ragazza Carla, II, 1-2 577 Edoardo Sanguineti: l’alienazione del linguaggio 580 T12 L’alienazione consumistica a Piangi piangi Edoardo Sanguineti, Purgatorio de l’Inferno 581 b Il denaro, motore immobile della società di oggi Edoardo Sanguineti, Purgatorio de l’Inferno, Se volti il foglio ci vedi il denaro 26
574
T10 La storia e l’attualità nella poesia di Erri De Luca
2. Lo sguardo critico della poesia sull’alienazione della società moderna 1. Le trasformazioni sociali riflesse nella poesia italiana del secondo Novecento
572
Giovanni Giudici, La vita in versi
576
582 583
impiegatizia Giovanni Giudici, La vita in versi, Cambiare ditta
L’odierna alienazione del mondo mass-mediatico: Valerio Magrelli 584 T15 La spersonalizzazione dello spettatore televisivo
Valerio Magrelli, Ecce Video
TEMI/TESTI A CONFRONTO
I l tema dell’alienazione contemporanea dal modernismo alla Beat generation
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585
Ezra Pound: l’alienazione della modernità capitalistica T16 L’alienazione e l’economia: contro l’usura
Cantos XLV e LIII Thomas Stearns Eliot: le «frante immagini» della civiltà modernas T17 Londra, città “irreale” La terra desolata I, 60-73
L’emarginazione dei giovani migliori: Allen Ginsberg e la generazione beat T17 La contestazione della società americana aE marginazione, ribellione, follia dei giovani migliori Urlo I b L’America-Moloch Urlo, Moloch
3. Poesia autoritratto e poesia narrativa 1. La poesia autoritratto
587
Sandro Penna: l’esclusione dalla società e l’adesione alla vita
587
T19 L’oscillazione degli stati d’animo: dalla tristezza
all’intensità vitale a La condizione malinconica Sandro Penna, Mi nasconda la notte e il dolce 588 vento b La gioia di vivere Sandro Penna, La vita è... ricordarsi 588 di un risveglio
Alda Merini, l’esperienza della follia e la «Terra Santa» del manicomio T20 Più folli gli ammalati o i dottori?
Alda Merini, Il dottore agguerrito nella notte T21 Patrizia Cavalli e la crisi dell’io, «sempre aperto teatro» L’io casa e l’io prigione Patrizia Cavalli, Anima piena, anima salotto e Ma davvero per uscire di prigione a La mutevolezza dell’io b La gioia di vivere
2. La poesia narrativa
590 590
Attilio Bertolucci, La camera da letto, Nonno e nipote (XV, 96-142) 595
La poesia “in prosa” e narrativa di Giovanni Raboni
597
T25 Milano tra passato e presente
Giovanni Raboni, A tanto caro sangue, Risanamento
597
Maurizio Cucchi: il padre perduto e ritrovato 598 T26 Il dialogo a distanza con il padre a Orgoglio di figlio
Maurizio Cucchi, Poesia della fonte, ’53
b La riconciliazione con la figura paterna
599
Vivian Lamarque: la verità dell’infanzia T27 I due padri
Vivian Lamarque, Una quieta polvere, Babbi
La poesia narrativa nel periodo dell’ermetismo 592 La poesia-racconto mitico di Pavese 592 PASSO DOPO PASSO
Cesare Pavese, Lavorare stanca, Ulisse
T24 Il racconto familiare
Maurizio Cucchi, L’ultimo viaggio di Glenn, 599 Lui se ne andò
592
T22 L’adolescente come nuovo Ulisse
587
593
La narrazione della vita intensa: Milo De Angelis T28 Una compagna di scuola inscritta nel mito
Milo De Angelis, Biografia sommaria (sezione III, Capitoli del romanzo) Per quell’innato scatto T29 Il passato irrevocabile Milo De Angelis, Tema dell’addio, Non è più dato
TEMI/TESTI A CONFRONTO
Ulisse adolescente di Kavafis T23 Poesie per Constance Dowling a La donna: acqua, luce, terra, silenzio Cesare Pavese, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, Hai un sangue, un respiro b Il «vizio assurdo» Cesare Pavese, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi Attilio Bertolucci: il racconto in versi “alla ricerca del tempo perduto”
Patrizia Valduga: il manierismo stilistico come freno alle emozioni T30 Per la morte del padre
Patrizia Valduga, Requiem
Davide Rondoni: l’amore come senso ultimo dell’universo 594
T31 L’amore per il figlio
Davide Rondoni, Apocalisse amore, Il terzo figlio
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27
4. La tendenza metafisica della poesia del secondo Novecento 1. Luzi: la poesia come tramite tra il mondo terreno e l’Eterno
b Preghiera d’esortazione o d’incoraggiamento
Giorgio Caproni, Il muro della terra
601
c Sulla staffa
T32 La poetica: Vola alta, parola
Mario Luzi, Per il battesimo dei nostri frammenti T33 Un incontro in un Purgatorio contemporaneo Mario Luzi, Nel magma, Nel caffè T34 Il contrasto tra il mondo storico e l’eterno Mario Luzi, Al fuoco della controversia, A che pagina della storia
2. Giorgio Caproni e il tema dell’assenza di Dio
Giorgio Caproni, Il franco cacciatore
d Benevola congettura
602
Giorgio Caproni, Il franco cacciatore
e Invocazione
Giorgio Caproni, Res amissa
T39 Il viaggio nei territori non «giurisdizionali»
Giorgio Caproni, Il franco cacciatore, L’ultimo borgo
603
605
T35 La reversibilità del tempo: Il seme del piangere a La scrittura come luce sul passato
Giorgio Caproni, Il seme del piangere, Perch’io... b Un’immagine femminile stilnovistica e moderna Giorgio Caproni, Il seme del piangere, Per una bicicletta azzurra
3. Zanzotto: l’io si interroga sul suo rapporto con la realtà e con il linguaggio Andrea Zanzotto, Idioma, Nino negli anni Ottanta b Una donna buona Andrea Zanzotto, Idioma, Andar a cucire T41 L’insufficienza del linguaggio Andrea Zanzotto, IX Egloghe, Così siamo T42 Il problematico rapporto fra “io”, mondo e linguaggio Andrea Zanzotto, La Beltà, Al mondo
606
607
c Il viaggio della madre verso il nulla
Giorgio Caproni, Il seme del piangere, Ad Portam Inferi T37 Congedo del viaggiatore cerimonioso Giorgio Caproni, Congedo del viaggiatore cerimonioso 608
Giorgio Caproni, Il muro della terra
Sintesi con AUDIOLETTURA Conoscenze e Competenze ONLINE
scheda La linea lombarda “Novecentismo”/ ”antinovecen-tismo”: una categorizzazione ancora valida?
biografia Salvatore Quasimodo Franco Fortini Vittorio Sereni Antonio Porta Elio Pagliarani Edoardo Sanguineti Giovanni Giudici Valerio Magrelli Sandro Penna Alda Merini Attilio Bertolucci Giovanni Raboni Mario Luzi Giorgio Caproni Andrea Zanzotto
562
564
video Sereni si racconta
28
612
T40 L’armonia tra uomo e natura nel vecchio mondo a Il contadino e la natura
COLLABORA ALL’ANALISI
T38 L’assenza e il bisogno di Dio a Lo stravolto
601
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Il poemetto di Pagliarani nel 2015 è diventato un film per la regia di Alberto Saibene Autoritratto di Luzi Zanzotto riflette sul leggere la poesia (e legge Al mondo) approfondimento Dal montaggio cinematografico al montaggio letterario scheda Poesia e cinema: la saga del Novecento di Attilio e Bernardo Bertolucci Un’arte per i bambini di ieri: il teatrino documento critico Giovanni Raboni, I luoghi «d’esilio» della poesia di Caproni
613
615 616
14. CLASSICI PIER PAOLO PASOLINI
CRONOLOGIA INTERATTIVA
618
L’uomo Pasolini visto da sé medesimo
619
1. Ritratto d’autore
620
1. Vita di un intellettuale “contro”
620
d La “Passione” di un borgataro
2. L’ideologia
623
e “ Una illuminazione improvvisa”: il Vangelo di
T1 Pasolini e la religione a «Io sono propenso... a una contemplazione
mistica del mondo» Pier Paolo Pasolini, Il malinteso 625 b «Eppure, Chiesa, ero venuto a te» Pier Paolo Pasolini, La religione del mio tempo c La crocifissione Pier Paolo Pasolini, L’usignolo della Chiesa cattolica, vv. 20-37 626
Pier Paolo Pasolini, Alì dagli occhi azzurri
Matteo Pier Paolo Pasolini, [Quasi un testamento] T2 Contro il potere televisivo Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari
T4 I cittadini italiani vogliono sapere
Pier Paolo Pasolini, Lettere luterane
633
2. Pasolini poeta controcorrente
634
3. Pasolini romanziere sperimentale
Le fasi della produzione poetica
634
Dagli anni Quaranta ai primi anni Cinquanta La raccolta centrale: Le ceneri di Gramsci Dagli anni Sessanta agli anni Settanta: il tempo della polemica
634
OPERA Le ceneri di Gramsci
636
635 635
COLLABORA ALL’ANALISI
T5 «Lo scandalo del contraddirmi»
Pier Paolo Pasolini, Le ceneri di Gramsci I e IV 636
cinema La ricotta
628
622
scheda Scritti corsari e Lettere luterane
632
624
cinema Pasolini scrittore-regista
647
639
Ragazzi di vita e il mito del sottoproletariato 639 Una vita violenta 640 Petrolio: un progetto sperimentale 641 T6 L’avventurosa lotta per la sopravvivenza dei giovani
borgatari Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di vita, cap. 5 T7 Pasolini interpreta Ragazzi di vita Pier Paolo Pasolini, Pasolini rilegge Pasolini T8 Intellettuali e politici in un salotto romano Pier Paolo Pasolini, Petrolio
Sintesi con AUDIOLETTURA Conoscenze e Competenze ONLINE
parola chiave omologazione
631
633
1. Una produzione multiforme e originale all’insegna dell’autobiografismo e della passione etico-civile
621
628
T3 «Io so», 14 novembre 1974
2. Una produzione multiforme
approfondimento Il mito pasolinano delle borgate Intellettuali e borgatari: gli amici di Pasolini
627
approfondimento Pasolini e i giovani: una vocazione pedagogica video Pasolini polemista (intervistato da Enzo Biagi, 1971) La scena della Deposizione Pasolini poeta della contraddizione (con letture) Pasolini poeta, corsaro, profeta (trasmissione Rai, 1993)
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29
scheda La preistoria della narrativa di Pasolini Un’ambigua fortuna: il “caso Pasolini” documento critico Giovanni Raboni, I luoghi «d’esilio» della poesia di Caproni
641
645
648 650
15. GENERI IL TEATRO DEL NOVECENTO
652
1. La sperimentazione di un nuovo teatro 1. Il teatro del Novecento: linee di tendenza
653
T1 Il “giusto prezzo” per la vita di un figlio
653
Bertolt Brecht , Madre Courage e i suoi figli, scena III 655
ONLINE
4. Il «teatro dell’assurdo» 2. Il teatro delle avanguardie e lo Eugène Ionesco sperimentalismo del primo Novecento Il capostipite delle avanguardie: Jarry Il teatro dadaista Il «teatro della crudeltà» di Antonin Artaud
3. Il teatro didattico ed epico di Brecht
ONLINE
5. Le sperimentazioni degli anni Sessanta e Settanta in Europa e negli Stati Uniti 654
Madre Courage, la storia di un’”anti-eroina”
654
T3 Un’inutile attesa
Samuel Beckett, Aspettando Godot, atto I
2. Il panorama del teatro italiano 1. Le tendenze dominanti
666
667
Eduardo De Filippo 667
Napoli milionaria! T4 «Adda passà ’a nuttata»
668
Eduardo De Filippo, Napoli milionaria!
668
3. Le giullarate politiche di Dario Fo 672 Mistero buffo T5 La resurrezione di Lazzaro
673
Dario Fo, Mistero buffo
675
666
ONLINE
T6 Colloquio con la madre morta
Giovanni Testori, Conversazione con la morte
5. Gli ultimi decenni del Novecento in Italia L’avanguardia teatrale dagli anni Sessanta Il «teatro di narrazione» T7 Una tragedia annunciata
Marco Paolini e Gabriele Vacis, Il racconto del Vajont
Sintesi con AUDIOLETTURA Conoscenze e Competenze
ONLINE parola chiave nonsense
659
biografia Dario Fo
673
30
661
4. Il teatro “religioso” di Giovanni Testori
2. La “commedia umana” nel teatro di Eduardo Biografia
659 659
scheda La sperimentazione di nuove forme e tecniche teatrali Il racconto del Vajont, un’«orazione civile»
video Ionesco parla del suo teatro, e non solo La resurrezione di Lazzaro in un Mistero buffo del 1991
biografia Bertolt Brecht Eugène Ionesco Samuel Beckett
link Il sito italiano di Samuel Beckett
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opera Aspettando Godot
681 683
16. TEMI NARRARE DI GIOVANI TRA ROMANZO DI FORMAZIONE E ROMANZO GENERAZIONALE
684
1. La condizione dell’adolescenza nello specchio della letteratura 1. Il tema dell’identità giovanile
685
2. Il garofano rosso di Elio Vittorini
686
3. Agostino di Alberto Moravia
686
4. L’isola di Arturo di Elsa Morante L’itinerario di Elsa Morante tra aspirazione realistica e “meraviglioso”
T1 Un amico speciale
Biografia
Elio Vittorini , Il garofano rosso, cap. II T2 L’adolescenza, «un’età di difficoltà e di miserie» Alberto Moravia, Agostino 687
Elsa Morante
T3 Una difficile separazione
Elsa Morante, L’isola di Arturo, cap. IV
685 691
691 692
693
2. Il pianeta giovani: un universo sfaccettato e metamorfico
696
1. Giovani ribelli
700
696
Un romanzo cult: Il giovane Holden di Salinger T4 «Un maledetto discorso»
696
Fra Salinger e Tondelli
697
2. Giovani “diversi” T7 Diversità e solitudine
Paolo Giordano, La solitudine dei numeri primi 701 T8 « Da qualche parte, ai tropici, vive una mosca che imita le vespe» Niccolò Ammaniti, Io e te 703
Jerome David Salinger, Il giovane Holden
T5 E mo’ basta!
Sintesi con AUDIOLETTURA Conoscenze e Competenze
Silvia Ballestra, La via per Berlino T6 Un liceale degli anni Novanta Enrico Brizzi, Jack Frusciante è uscito dal gruppo
697
Spazio Competenze capitoli 6-16
706 707 709
ONLINE percorso tematico_cinema I giovani dal secondo Novecento a oggi: un’identità problematica
biografia Jerome David Salinger opera Il giovane Holden
LETTERATURA, SCIENZA E TECNICA IL NOVECENTO E OLTRE T1 La fabbrica, organismo perfetto e salvifico
Paolo Volponi, Memoriale T2 La “terra di mezzo” fra legalità e illegalità Roberto Saviano, Gomorra T3 «I conflitti sono morti come la discomusic...» Giorgio Falco, Pausa caffè
714
Glossario Indice dei nomi
727
715 718
713
T4 La robotica e le nuove professioni
Roberto Cingolani, Mandiamo i robot a scuola di ecologia
721
T5 Relazioni sociali e apprendimento
al tempo di internet Anna Oliverio Ferraris, La sindrome Lolita
733
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31
723
QUADRO
LINGUISTICO-LETTERARIO
2 Il Novecento e oltre Tra gli anni Trenta e i primi anni Cinquanta si affermano
due principali tendenze: l’ermetismo e il neorealismo. L’ermetismo si sviluppa a Firenze negli anni Trenta e si esprime in una poesia difficile, oscura, densa di allusioni simboliche, volutamente lontana dalla dimensione storicopolitica. Il neorealismo (1945-1955 circa) invece documenta realisticamente nella letteratura e nel cinema le atrocità della guerra, le condizioni di un paese prostrato e impoverito, ma anche i valori e gli ideali politici che avevano ispirato la Resistenza. Nei primi anni Sessanta, in rapporto a un mutato contesto, la neoavanguardia riprende lo sperimentalismo delle avanguardie storiche per rappresentare con forme letterarie nuove una realtà avvertita come alienante e caotica. Dagli anni Ottanta si affermano nuove tendenze, riconducibili al postmoderno: ne è emblema, per la rivisitazione della storia e la sofisticata commistione di vari generi letterari, il bestseller di Umberto Eco Il nome della rosa. Negli stessi anni si afferma una narrativa legata all’universo giovanile: alcuni autori seguono la lezione di Calvino, altri inaugurano una narrativa trasgressiva, anche sotto il profilo linguistico. Negli ultimi anni sembra rinato un interesse per la dimensione etico-civile della letteratura.
le parole DA RICORDARE
metaletteratura
ermetismo
resistenza
neoavanguardia
sperimentalismo 108
STRUTTURALISMO © Casa Editrice G. Principato SpA
Unità
1 La letteratura tra autonomia e impegno
Lucio Del Pezzo, Simboli ◁△ particolari.
strumenti PER STUDIARE
1 L’autonomia della letteratura dalla storia L’importanza delle riviste ▪
Negli anni tra le due guerre, come già era avvenuto nel primo Novecento, le riviste continuano ad avere un ruolo importante nell’orientare la produzione letteraria. Spiccano in particolare due riviste, tra le quali esiste un filo rosso: «La Ronda» (1919-1923) e «Solaria» (1926-1936). In comune le due riviste hanno il rifiuto sia dell’estremo sperimentalismo, proprio delle avanguardie primo-novecentesche, sia del coinvolgimento degli scrittori negli avvenimenti storico-politici. La «Ronda» ▪ Già dal titolo scelto («un poliziesco richiamo all’ordine», lo definisce il critico Cataldi), «La Ronda» allude alla necessità, dopo il rumoroso “disordine” delle avanguardie, di un ripristino dell’“ordine”: il che significa per i rondisti riportare al centro del “fare letteratura” la perfezione dello stile. Di quest’ultimo i rondisti considerano modello il Leopardi delle Operette morali. In un momento storico confuso e violento (l’Italia sta vivendo in quegli anni l’ascesa del fascismo) l’esaltazione dell’autonomia della letteratura e il culto della perfezione stilistica rappresentano per i rondisti una difesa dal coinvolgimento dell’intellettuale, avvertito come un pericolo. In ambito letterario l’influenza della rivista «La Ronda» pone le premesse della cosiddetta prosa d’arte, della “bella pagina”, necessariamente breve proprio perché estremamente cesellata e rivolta, per sua natura, a un pubblico d’élite. In ambito lirico il maggiore interprete dello spirito rondista è Vincenzo Cardarelli (1887-1959), che dirige la rivista dal 1919 al 1923, per lo meno in una certa parte della sua ampia produzione poetica.
LE UNITÀ ● 1 . La letteratura tra autonomia e impegno ● 2. La stagione dello sperimentalismo e la neoavanguardia ● 3. Il postmoderno ● 4. Le ultime tendenze ● 5. Gli usi della lingua
ALTRI TESTI C10T❷ I morti parlano ai vivi Elio Vittorini_Uomini e no
C16T❶OL Un amico speciale
Elio Vittorini_Il garofano rosso, cap. I C12T❸ La guerra partigiana
I talo Calvino_Il sentiero dei nidi di ragno
V2bC11 ATTRAVERSO IL TEMPO «Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi»
Giuseppe Tomasi di Lampedusa _Il Gattopardo, cap. I
C8T➎ Temi/testi a confronto La famiglia borghese nello sguardo impietoso di un figlio
Giuseppe Pontiggia_La grande sera, cap. XII
C16T❸ Una difficile separazione
Elsa Morante_L’isola di Arturo, cap. IV
CONTENUTI DIGITALI
ITALIANO NEOSTANDARD
Esercizi interattivi Ascolti Video
neorealismo
DIDATTICA INCLUSIVA Mappe Sintesi
intertestualità impegno
postmoderno © Casa Editrice G. Principato SpA
DIDATTICA PER COMPETENZE Esercitare le competenze
109
Nelle sue poesie egli realizza uno stile classico: sentimenti ed emozioni sono delineati in modo nitido ed elegante, rifuggendo dal complesso simbolismo che caratterizza la maggiore poesia del Novecento, come si può notare anche da questo solo suggestivo esempio, tratto da Poesie: la lirica è strutturata sulla correlazione, di ascendenza classica, tra il declinare dell’estate e il tramonto della giovinezza. Autunno. Già lo sentimmo venire nel vento d’agosto, nelle piogge di settembre torrenziali e piangenti, e un brivido percorse la terra che ora, nuda e triste, Baccio Maria Bacci, «Solaria» al caffè delle Giubbe rosse, 1915 ca.
(Firenze, Palazzo Pitti).
accoglie un sole smarrito. Ora passa e declina, in quest’autunno che incede con lentezza indicibile il miglior tempo della nostra vita e lungamente ci dice addio.
«Solaria» ▪
2 il Novecento e oltre • QUADRO LINGUISTICO-LETTERARIO
La vita decennale della rivista (1926-1936), fondata a Firenze da Alberto Carocci, nello spirito della quale si formano Vittorini, Montale e Gadda, si sviluppa in parallelo agli anni della trasformazione del fascismo da movimento rivoluzionario in regime dittatoriale: una realtà di fronte alla quale i solariani scelgono di professare l’autonomia della cultura di fronte alla contaminazione della politica. Rispetto però ai rondisti i solariani pongono in primo piano non lo stile, ma la funzione “testimoniale” ed “etica” della letteratura, nella fiducia che di per sé possa esprimere una contrapposizione al fascismo e costituire un baluardo contro la barbarie e l’inciviltà dilaganti. È «Solaria» a lanciare due grandi romanzieri come Svevo e Tozzi e a pubblicare nel 1929 Gli indifferenti di Moravia, contribuendo così in modo determinante, contro il frammentismo della prosa d’arte rondista, al rilancio del romanzo, in una moderna prospettiva realista. Inoltre questa rivista è in prima linea nella diffusione della conoscenza dei grandi romanzieri europei: da Proust a Joyce, da Kafka a Mann, contrapponendosi alla provinciale autarchia culturale del fascismo.
2 L’ermetismo e la parola “assoluta” L’ermetismo è una tendenza letteraria che si sviluppa a Firenze tra gli anni Trenta e la guerra: ne sono testimonianza la raccolta poetica Isola di Alfonso Gatto (1932), alcune raccolte di Salvatore Quasimodo (Oboe sommerso, 1932; Erato e Apollion, 1936; Ed è subito sera, 1942), La barca di Mario Luzi (1935), 18 poesie (1936) e Poesie (1938) di Leonardo Sinisgalli, seguiti da altri poeti più giovani come Alessandro Parronchi e Piero Bigongiari. Punto di riferimento della poetica dell’ermetismo è il saggio di Carlo Bo Letteratura e vita (1938), in cui sono enunciati i principi cardine, e la rivista «Campo di Marte» (1938-39), fondata da Gatto e Pratolini. 110
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1 La letteratura tra autonomia e impegno
I modelli degli ermetici ▪ Gli ermetici respingono del tutto i riferimenti contingenti alla dimensione storica, per elevare a valore assoluto la parola poetica come portatrice di verità e riscatto rispetto ai “non valori”. Ne deriva una poesia difficile, addirittura “oscura”, il cui principale modello di riferimento è Ungaretti, in particolare nella raccolta Sentimento del tempo uscita nel 1933 (ma non è da trascurare anche l’influenza della poesia di Campana). Nell’uso di un linguaggio simbolico, di una parola ‘pura’ che non rappresenta ma evoca, gli ermetici testimoniano inoltre la piena assimilazione nella nostra poesia della lezione del simbolismo francese, in particolare di Mallarmé e Valéry. Il termine “ermetismo” ▪ L’ermetismo propriamente è una dottrina misterica iniziatica che si era diffusa a Roma nel tardo periodo imperiale. Il termine “ermetismo” per designare una linea poetica deriva da un fortunato saggio del critico crociano Francesco Flora (La poesia ermetica, 1936) che qualificava come “ermetica” – con una connotazione negativa – ampia parte della poesia moderna, della quale criticava il solipsismo e la voluta oscurità, che ne rendeva difficile la comprensione. Come è accaduto per altre etichette, la formula ha avuto fortuna ed è stata usata in modo estensivo creando non pochi equivoci: ermetici sono diventati d’ufficio Ungaretti e Montale! Oggi, per quanto con minor fortuna, si continua a usarla, ma con riferimento esclusivamente a un gruppo di poeti attivi a Firenze nella seconda metà degli anni Trenta o, in modo ancora più restrittivo, solo ad alcune delle loro raccolte (non tutte dunque): è il caso di Luzi o ancor più di Quasimodo, che, dopo la fase ermetica, sceglie una poesia civile dai toni enfatici. La predilezione per tematiche esistenziali e metafisiche ▪ Quella di poeta è per gli ermetici una condizione, non una professione, secondo la definizione di Carlo Bo, critico e maggiore teorico dell’ermetismo nel saggio Letteratura come vita: la poesia è «la massima condizione del nostro spirito, non serve per conoscere, ma è in se stessa una conoscenza». Questa concezione implica la concentrazione della poesia ermetica intorno a tematiche esistenziali, spesso di tipo religioso o comunque metafisico (gli ermetici fiorentini sono per lo più legati a una visione cattolica): l’“assenza”, che può essere la lontananza di persone e luoghi cari (come la terra natale mitizzata da Gatto e soprattutto Quasimodo), nel tempo e/o nello spazio, ma anche l’“attesa” di un evento rivelatorio, che per lo più non si verifica, la tensione verso un “altrove” che può essere a volte identificato con l’eterno, il trascendente. Un linguaggio cifrato ▪ Il linguaggio degli ermetici è lontano dalla significazione comune, è sempre alto, allusivo, cifrato. Si fa largo uso dell’analogia (cioè del collegamento inusitato fra immagini diverse), di iperbati e inversioni sintattiche e in genere di procedimenti che, accentuando la polisemia del linguaggio poetico, ostacolano volutamente la ricezione immediata e la comprensione univoca del messaggio. L’ermetismo: una fuga colpevole dalla realtà storica? ▪ Nella stagione dell’impegno che caratterizzò in modo marcato il dopoguerra, gli ermetici furono accusati di essersi estraniati dal loro tempo e di aver abdicato al ruolo di oppositori che spettava agli intellettuali di fronte alla barbarie fascista. In realtà la funzione testimoniale dei più alti valori dello spirito che essi attribuivano alla poesia, ma anche la presenza di tematiche “negative” nella loro opera costituivano di per sé un evidente dissenso nei confronti dell’ottimismo programmatico e della retorica trionfalistica del regime e rispetto al modello umano e poetico del vate D’Annunzio. D’altra parte non è casuale che la tendenza ermetica si Testi ON LINE esaurisca tra il 1943 e il 1945 e che Quasimodo, uno dei 1 Carri d’autunno poeti più rappresentativi della corrente ermetica, aderisca alla Alfonso Gatto_Isola poetica neorealista e scelga temi civili.
Testo
2 L’eucalyptus
Salvatore Quasimodo_Ed è subito sera
S. Quasimodo, Poesie e Discorsi sulla poesia, a c. di G. Finzi, Mondadori, Milano 1996
La poesia fa parte della raccolta Ed è subito sera (1942) in cui confluiscono le prime raccolte di Quasimodo, pubblicate a partire dal 1930. Può rappresentare in modo emblematico la fase della poesia di Quasimodo collegabile all’ermetismo, dalla quale il poeta siciliano si distaccherà vistosamente nel periodo della guerra.
Nota metrica Versi liberi
Per la biografia e altri testi di Quasimodo →C13U1T➊
5
Non una dolcezza mi matura, e fu di pena deriva ad ogni giorno il tempo che rinnova a fiato d’aspre resine1. In me un albero oscilla da assonnata riva, alata aria amare fronde esala2.
2 Il Novecento e oltre • QUADRO LINGUISTICO-LETTERARIO
10
M’accori3, dolente rinverdire4, odore dell’infanzia che grama gioia accolse5, inferma già per un segreto amore di narrarsi all’acque6.
15
Isola mattutina7: riaffiora a mezza luce la volpe d’oro uccisa a una sorgiva8.
1 Non una dolcezza... resine: costruisci così: Non mi matura una dolcezza, e il tempo che rinnova a fiato d’aspre resine fu deriva di pena ad ogni giorno. Il senso complessivo della dichiarazione che apre la ‘poesia’ è un’asserzione della pena di vivere: “Nessuna esperienza positiva, ‘dolce’, mi matura e il tempo che rinnova col suo profumo d’aspre resine (si allude forse al ricordo del profumo dell’eucaliptus, che dà il titolo alla poesia) è stato per me (una) deriva di pena, mi ha trascinato nel
dolore come una barca alla deriva”. 2 In me... esala: dentro il poeta affiora incerta (oscilla) dalle nebbie del passato (è forse questo il significato del sintagma assonnata riva) l’immagine dell’albero dell’eucalipto, ma si tratta di un’immagine amara (difficile, quasi impossibile, spiegare letteralmente l’espressione «alata aria / amare fronde esala»). 3 M’accori: mi rattristi, mi addolori. 4 dolente rinverdire: doloroso ricordo che rinnova l’immagine dell’albero nella memoria.
Guida alla lettura
Piet Mondrian, L’albero grigio, 1912
(L’Aia, Gemeentesmuseum).
5 che grama gioia accolse: che (riferito all’infanzia) visse ben poca gioia. 6 inferma... all’acque: espressione particolarmente ermetica: malata (l’infanzia) di un segreto desiderio di confidarsi alle acque del mare (un’allusione forse alla solitudine). 7 Isola mattutina: il ricordo dell’isola natìa affiora al mattino, o forse affiora il ricordo del paesaggio siciliano nel mattino. 8 riaffiora... sorgiva: la lirica si chiude con un’immagine simbolica di dolore e di morte.
I primi cinque versi della lirica enunciano il tema esistenziale della pena di vivere: nella vita del poeta non c’è stato posto per la dolcezza, l’azione trasformatrice del tempo non ha coinciso per lui con un cammino positivo, ma è stata una «deriva di pena», cioè un girovagare smarrito nel dolore. È al v. 6 che compare il riferimento che dà il titolo alla poesia: l’immagine dell’eucalyptus, un albero tipico di alcune zone della Sicilia, patria del poeta, affiora dalle nebbie della memoria (assonnata riva). Il profumo emanato della pianta rimanda proustianamente all’infanzia, ma il ricordo non è qui associato alla felicità: amare sono le fronde, fortemente negativo è il verbo che apre il v. 10: M’accori. Ben poche furono le gioie dell’infanzia («grama
Il tema esistenziale ▪
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Attività sul testo Abilità: comprendere e analizzare
1. Il contenuto Presenta in non più di 5 righe il contenuto della lirica. 2. Il tema Il tema centrale è a. □ il rimpianto dell’infanzia felice. b. □ la celebrazione mitica della terra natale. c. □ la pena esistenziale che corrode l’anima del poeta. d. □ la rappresentazione della natura. 3. L’albero del titolo Che cosa rappresenta l’albero che dà il titolo alla poesia? a. □ Il richiamo della memoria. c. □ L’ispirazione poetica. b. □ L’infanzia felice. d. □ La solitudine. – Individua i campi semantici legati alla pianta e spiegane il valore in rapporto al significato simbolico individuato.
4. Il linguaggio colto e arcaizzante Rintraccia nel testo alcuni esempi di linguaggio colto e arcaizzante e spiega il senso di questa scelta stilistica. Esercitare le competenze
5. Spiegare ed esemplificare la “concentrazione analogica” Spiega oralmente che cosa si intende per “concentrazione analogica” e danne alcune esemplificazioni attraverso opportune citazioni testuali (max 3 minuti). 6. Rappresentare in uno schema le caratteristiche tematiche e formali di poetica ermetica Costruisci uno schema che individui e sintetizzi le principali caratteristiche tematiche e formali del testo che rimandano alla poetica ermetica.
Testi ON LINE
3 L’immensità dell’attimo Mario Luzi_La barca
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1 La letteratura tra autonomia e impegno
gioia accolse»): un’infanzia che il poeta rappresenta come precocemente malata (inferma) forse per una vocazione alla solitudine, alla chiusura dentro di sé, anziché all’incontro, al contatto vitale con gli altri: potrebbe essere questo il significato del «segreto amore / di narrarsi all’acque»; ma, data l’indeterminatezza dell’espressione, vi si potrebbe leggere anche il desiderio di evasione che portò il poeta a lasciare la terra natìa. Dopo il parallelismo che lega il profumo dell’eucalyptus all’infanzia, negli ultimi versi Quasimodo istituisce un ulteriore parallelismo: infanzia-isola. Il ricordo dell’isola al mattino si accampa al v. 15, ma è nuovamente a un’immagine simbolica di dolore, anzi di morte, che Quasimodo affida la chiusa. Il mito della Sicilia e il tema della solitudine ▪ Nella lirica emerge il tema, ricorrente nella prima produzione di Quasimodo, della terra natale, la Sicilia, che il poeta (era nato a Modica, nel ragusano, nel 1901) lasciò nel 1929 e che affiora spesso nella sua memoria («Mi richiama talvolta la tua voce, / e non so che cieli ed acque / mi si svegliano dentro»: così si apre la lirica Vicolo). La Sicilia è evocata con l’acuta nostalgia dell’esule («Aspro è l’esilio», Vento a Tindari), che la trasfigura miticamente, che la trasforma spesso in un Eden perduto (la critica ha sottolineato la vicinanza di Quasimodo con Foscolo per la centralità del tema dell’esilio e il mito della terra natìa). Spesso la rievocazione della Sicilia si fonde con il ricordo dell’infanzia, vista in genere come momento felice di fusione quasi panica con la natura («Ride la gazza nera sugli aranci») mentre alla vita adulta, che il poeta vive lontano dall’isola amata, corrisponde la perdita d’armonia. In questa lirica invece l’evocazione dell’infanzia non si traduce in un contrasto tra presente e passato: l’infanzia stessa appare inquinata dal male di vivere, dalla solitudine. Le scelte stilistiche e la “grammatica” dell’ermetismo ▪ Con le sue prime raccolte Quasimodo ha un ruolo importante nel codificare la “grammatica” dell’ermetismo, gli elementi retorico-stilistici che caratterizzano marcatamente la poesia ermetica. Possiamo notare in questa lirica: – l’uso di un linguaggio colto e arcaizzante (M’accori, «dolente rinverdire»); – la disarticolazione dei nessi logici; – le ardite metafore («deriva di pena», «assonnata riva»); – le frequenti inversioni, che creano ambiguità ma anche un tono alto, solenne («di pena deriva», «amare fronde esala», «grama gioia accolse»); – l’uso anomalo e ambiguo delle preposizioni («a fiato d’aspre resine»).
3 Alla ricerca del “reale”
2 il Novecento e oltre • QUADRO LINGUISTICO-LETTERARIO
Gli antecedenti: il realismo degli anni Trenta Già durante il fascismo si afferma una tendenza realista, in controtendenza rispetto al gusto dominante per la raffinata prosa d’arte e il frammentismo rondista. Alla fine degli anni Venti risale l’opera prima di Alberto Moravia, Gli indifferenti (1929): rovesciando gli stereotipi sulla famiglia diffusi dal regime, lo scrittore romano traccia nel romanzo, con una prosa asciutta, lo spietato ritratto di una famiglia dell’alta borghesia (→C8). A partire all’incirca da quell’epoca altri romanzi davano spazio alla rappresentazione di mondi regionali e provinciali arretrati, in particolare del Sud del paese, che la mitologia trionfalistica e la propaganda del fascismo volutamente ignorava: sono in particolare importanti in questo ambito Gente in Aspromonte (1930) di Corrado Alvaro, e Fontamara di Ignazio Silone, pubblicato nel 1933 in Svizzera dove lo scrittore si era rifugiato in esilio (→C9). Nella formazione dei narratori che in seguito aderiranno al neorealismo – per esplicito riconoscimento di Italo Calvino, che ne fece temporaneamente parte con Il sentiero dei nidi di ragno (1947) – svolgono un ruolo fondamentale due romanzi: Conversazione in Sicilia (1937) di Elio Vittorini e Paesi tuoi di Cesare Pavese, di qualche anno successivo (1941 →C9U2). Anche in questo caso si descriveva una realtà umile e periferica (la Sicilia nel romanzo di Vittorini e il Piemonte rurale in Paesi tuoi) attraverso modalità rappresentative che però solo approssimativamente possono essere definite realiste: la critica ha infatti parlato non a caso di «realismo mitico» per alludere alla tendenza dei due autori a elevare il dato reale a significazioni simboliche.
Un militante della cultura deluso dalle ideologie: Vittorini Un siciliano inquieto ▪ Siracusano di nascita, di famiglia modesta, Elio Vittorini (1908-
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Vittorini si racconta
Elio Vittorini
fotografato con l’editore Alberto Mondadori.
1966), ebbe una formazione scolastica limitata a tre anni di scuola tecnica. Lasciata giovanissimo la Sicilia si trasferì dal 1930 al 1938 a Firenze, allora centro della cultura italiana, e collaborò alla rivista «Il Bargello», dove maturò una posizione ideologica ascrivibile al cosiddetto “fascismo di sinistra”. L’interesse alla cultura europea ▪ Lettore appassionato della letteratura inglese e soprattutto americana, intraprende il mestiere di traduttore: tra il 1933 e il 1943 traduce le opere di narratori inglesi e americani, contribuendo in modo determinante alla diffusione in Italia di queste letterature. Convinto che la cultura italiana dovesse aprirsi a quella europea (da Joyce a Proust a Kafka), e in netta contrapposizione al culto fascista della letteratura “strapaesana”, entra in contatto con la rivista «Solaria», dove esce a puntate (1933-34) il suo primo romanzo Il garofano rosso (→C16). Bloccato dalla censura per oscenità, sarà pubblicato in volume solo nel 1948. La guerra di Spagna: l’embrione di una coscienza antifascista ▪ La guerra di Spagna (1936-39) ha un ruolo chiave nella maturazione politica di Vittorini (e di altri giovani intellettuali): infatti lo indurrà a scegliere di militare nell’opposizione al fascismo. In quell’occasione storica Vittorini vive (e la rievoca attraverso la scrittura romanzesca) una trasformazione etica prima ancora che politica, fondata sulla scoperta-rivelazione di un sentimento di fratellanza con gli esseri umani, in particolare gli oppressi. Da questa condizione psicologica nasce il capolavoro di Vittorini, Conversazione in Sicilia, la cui celebre introduzione costituisce un documento storico-generazionale ancora oggi di forte suggestione (→T❹). 114
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Milano, la Resistenza, «Il Politecnico» ▪
illustrata del 1953 di Conversazione in Sicilia
(Archivio Fotografico Fondazione 3M, Milano)
ON LINE OPERA
Conversazione in Sicilia
Conversazione in Sicilia, pellegrinaggio nel «mondo offeso» Un libro chiave ▪ Pubblicato nel 1938-39 sulla rivista fiorentina «Letteratura» e poi in volume presso Bompiani nel 1941, Conversazione in Sicilia è considerato il capolavoro di Vittorini e un libro di riferimento nella storia del Novecento. Il romanzo è incentrato sul motivo tradizionale del viaggio, che si configura per il protagonista-narratore (in cui si rispecchia l’autore stesso) come un itinerario etico-conoscitivo: gli incontri che Silvestro si trova a vivere sul treno che lo porta in Sicilia e quelli che vive una volta giunto nel paese natale attivano dentro di lui un processo di autocoscienza che si identifica nella scoperta del «mondo offeso» e nella convinzione della necessità di compartecipare alla sofferenza dell’uomo, superando l’inerzia (la «quiete di non speranza»), il senso di rabbiosa impotenza (gli «astratti furori») da cui prende le mosse il romanzo. Un romanzo antirealistico e allegorico ▪ Conversazione in Sicilia è un romanzo con forte portata ideologica, ma Vittorini proietta il messaggio che gli sta a cuore trasmettere in una dimensione lirico-simbolica. Non c’è un vero e proprio intreccio, non ci sono neppure vere e proprie “azioni”: il libro è costituito da una serie di quadri giustapposti incentrati sulla “conversazione” (che dà il titolo al romanzo) tra il protagonista-narratore, e una serie di personaggi-emblema, che svolgono ognuno una funzione simbolica nella progressiva educazione (o rieducazione) ideologica di Silvestro. Da qui l’assenza di una loro caratterizzazione realistica sul piano fisico e psicologico, e addirittura di nomi propri, sostituiti a volte da un dettaglio del loro aspetto (Coi Baffi, Senza Baffi), da denominazioni quasi favolose (Il Gran Lombardo) o dal semplice riferimento alla professione che esercitano (L’arrotino). Vittorini crea nel romanzo un clima poetico, mitico, attraverso precise scelte stilistiche: in particolare, grazie agli effetti ritmici creati dalle simmetrie, dalle continue iterazioni di singole parole e interi sintagmi (anche di capitolo in capitolo) entro una sintassi essenziale, quasi esclusivamente paratattica, in cui il lessico (in prevalenza termini medi) è usato in modo allusivo-evocativo più che referenziale. © Casa Editrice G. Principato SpA
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1 La letteratura tra autonomia e impegno
Fotografia di Luigi Crocenzi per l’edizione
Nel 1938 Vittorini si trasferisce a Milano e partecipa attivamente alla Resistenza (opera nell’ambito della diffusione della stampa clandestina), a cui dedica il romanzo Uomini e no (1945), accolto da un grande consenso, anche perché pubblicato nel clima euforico della Liberazione (→C10U1). Nei primi anni del dopoguerra Vittorini dirige con entusiasmo la rivista militante «Il Politecnico» (1947-49), ma le pubblicazioni cessano in seguito alla polemica che lo contrappone a Togliatti, segretario del Pci (→p. 42). Deluso e amareggiato, nel 1951 lo scrittore esce dal Partito comunista. Riprende a scrivere romanzi, ma senza trovare più la felice ispirazione della Conversazione: tra il 1947 e il 1950 escono Il Sempione strizza l’occhio al Frejus, Le donne di Messina, La garibaldina. All’inizio degli anni Cinquanta comincia Le città del mondo che, dopo vari tentativi, abbandonerà definitivamente nel 1955. Un attento operatore culturale ▪ Abbandonata la militanza politica dopo l’invasione dell’Ungheria da parte dell’Unione Sovietica (1956), Vittorini si dedica totalmente all’attività a lui particolarmente congeniale, quella di operatore culturale: dal 1951 al 1958 dirige “I gettoni” di Einaudi, collana destinata a scrittori emergenti; negli ultimi anni della sua vita dirigerà la collana di scrittori stranieri “Medusa” di Mondadori. Nel 1959 fonda con Italo Calvino la rivista «Il menabò» che avvia il dibattito sulla necessità di un rapporto fra letteratura e nuova realtà, in cui era iniziato il boom industriale (→C11). Vittorini muore a Milano nel 1966.
Testo
4 Dall’inerzia alla solidarietà
a. «Io ero, quell’inverno, in preda ad astratti furori» Elio Vittorini_Conversazione in Sicilia, cap. I E. Vittorini, Conversazione in Sicilia, Einaudi, Torino 1973
Il primo capitolo del romanzo ne costituisce la necessaria premessa. L’io narrante, Silvestro, delinea infatti la condizione esistenziale da cui prenderà avvio l’intreccio, che ruota attorno alla progressiva scoperta, durante il viaggio in Sicilia del protagonista, di «nuovi doveri», in contrapposizione alla vuota inerzia tratteggiata nel capitolo iniziale.
2 Il Novecento e oltre • QUADRO LINGUISTICO-LETTERARIO
Io ero, quell’inverno1, in preda ad astratti furori2. Non dirò quali, non di questo mi son messo a raccontare. Ma bisogna dica ch’erano astratti, non eroici, non vivi; furori, in qualche modo, per il genere umano perduto. Da molto tempo questo, ed ero col capo chino. Vedevo manifesti di giornali squillanti3 e chinavo il capo; vedevo amici, per un’ora, due ore, e stavo con loro senza dire una parola, chinavo il capo; e avevo una ragazza o moglie che mi aspettava ma neanche con lei dicevo una parola, anche con lei chinavo il capo. Pioveva intanto e passavano i giorni, i mesi, e io avevo le scarpe rotte, l’acqua che mi entrava nelle scarpe, e non vi era piú altro che questo: pioggia, massacri sui manifesti dei giornali, e acqua nelle mie scarpe rotte, muti amici, la vita in me come un sordo sogno, e non speranza, quiete. Questo era il terribile: la quiete nella non speranza. Credere il genere umano perduto e non aver febbre4 di fare qualcosa in contrario, voglia di perdermi, ad esempio, con lui5. Ero agitato da astratti furori, non nel sangue, ed ero quieto, non avevo voglia di nulla. Non mi importava che la mia ragazza mi aspettasse; raggiungerla o no, o sfogliare un dizionario era per me lo stesso; e uscire a vedere gli amici, gli altri, o restare in casa era per me lo stesso. Ero quieto; ero come se non avessi mai avuto un giorno di vita, né mai saputo che cosa significa esser felici, come se non avessi nulla da dire, da affermare, negare, nulla di mio da mettere in gioco, e nulla da ascoltare, da dare e nessuna disposizione a ricevere, e come se mai in tutti i miei anni di esistenza avessi mangiato pane, bevuto vino, o bevuto caffè, mai stato a letto con una ragazza, mai avuto dei figli, mai preso a pugni qualcuno, o non credessi tutto questo possibile, come se mai avessi avuto un’infanzia in Sicilia tra i fichidindia e lo zolfo, nelle montagne; ma mi agitavo entro di me per astratti furori, e pensavo il genere umano perduto, chinavo il capo, e pioveva, non dicevo una parola agli amici, e l’acqua mi entrava nelle scarpe. quell’inverno: l’inquadramento cronologico rimane indeterminato. Siamo comunque nel periodo della guerra di Spagna (1936-1939). 2 astratti furori: la suggestiva espressione, di1
venuta celeberrima, allude a un’agitazione che non trova sbocco, un’indignazione velleitaria per il «genere umano perduto», come si dice poco dopo. 3 manifesti... squillanti: manifesti di giorna-
li che riportavano notizie clamorose (presumibilmente sulla guerra in corso in Spagna). 4 febbre: desiderio smanioso. 5 con lui: cioè il «genere umano perduto».
Guida alla lettura
La diagnosi acuta di un malessere psicologico e morale ▪ Come si è detto, il primo breve capitolo del
romanzo costituisce una premessa fondamentale per comprendere il viaggio di formazione del protagonista. Da scarni e del tutto vaghi riferimenti (i «massacri» riportati dai giornali) si deduce che l’azione del romanzo si svolge mentre è in corso una guerra: si tratta della guerra di Spagna, in cui trova la morte il fratello dello scrittore, Liborio. Un evento storico-chiave, come si è detto, nella vita stessa di Vittorini (come di altri giovani intellettuali della sua generazione). Il capitolo delinea con grande efficacia la condizione psicologico-esistenziale di Silvestro prima che l’azione del romanzo abbia inizio: una condizione sterile, caratterizzata da un’indignazione per il male del mondo che però si traduce non in azione, ma in apatico immobilismo (ben reso dalla ripetizione del gesto di “chinare il capo”). Quella diagnosticata acutamente dal 116
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narratore è una sorta di plumbea rassegnazione, di non-vita, che implica l’indifferenza agli affetti, alle amicizie, ai gesti in cui si concretizza per gli esseri umani l’esistenza (mangiare, bere, fare all’amore...), la rinuncia alla propria identità di persona, il disconoscimento delle proprie stesse radici («come se mai avessi avuto un’infanzia in Sicilia»). Da questa negativa condizione prenderà le mosse il viaggio di formazione di Silvestro.
Attività sul testo Abilità: comprendere e analizzare
1. La confessione iniziale Il romanzo di Vittorini si apre con una prima confessione da parte del protagonista: sintetizzala in 3 righe. 2. Lo stato d’animo dell’io narrante Come si può definire lo stato d’animo dell’io narrante? a. □ Esaltato. b. □ Apatico. c. □ Vitale. d. □ Appagato. 3. Gli atteggiamenti del protagonista Individua gli atteggiamenti che caratterizzano il protagonista e spiega perché ne rivelano lo stato d’animo.
4. I massacri sui giornali A che cosa si riferisce il narratore parlando di «massacri sui manifesti dei giornali»? a. □ Ai massacri della Grande Guerra. c. □ Alle repressioni del fascismo. b. □ A episodi di cronaca nera. d. □ Alla guerra di Spagna
6. Le caratteristiche della prosa Da quali aspetti è caratterizzata la prosa del testo? a. □ Ipotassi. c. □ Lessico evocativo. e. □ Cadenze ritmiche. b. □ Paratassi. d. □ Linguaggio aulico. f. □ Espressioni gergali. – Fai qualche esempio con citazioni testuali. Esercitare le competenze
7. Commentare l’immagine della vita come «sordo sogno» In un intervento orale di max 3 minuti commenta l’immagine della vita come «sordo sogno» (r. 9) in rapporto al tema trattato. 8. Riflettere sulla condizione psicologico-spirituale del protagonista come un ritratto generazionale
In un elaborato di max 15 righe spiega se e per quali motivi la condizione psicologico-spirituale di Silvestro si possa considerare un ritratto generazionale.
Testi ON LINE
4 b. «Uno che soffre per il dolore del mondo offeso»
Elio Vittorini_Conversazione in Sicilia, cap. XXXVIII
5 Vittorini e «Il Politecnico»
Elio Vittorini_Per una nuova cultura
a. «Per una cultura che combatte le sofferenze...» b. «... ma che non sia asservita alla politica»
Scheda
Il mito della letteratura americana A partire dagli anni Trenta-Quaranta si diffonde in Italia un vivo interesse per la narrativa degli Stati Uniti d’America, la cui conoscenza fu favorita da un’intensa attività di traduzione. Ebbero un ruolo importante in questo ambito Pavese (che si era laureato sul poeta americano Whitman e che scrisse numerosi saggi sugli scrittori americani, poi raccolti in La letteratura americana
e altri saggi) e Vittorini, anch’egli traduttore di varie opere e soprattutto curatore dell’antologia Americana pubblicata da Bompiani nel 1941. Bloccata in un primo tempo dalla censura fascista, l’antologia sarà ripubblicata nel 1942. Sugli scrittori italiani ebbe grande influenza in particolare la narrativa americana che si era sviluppata tra il primo e il secondo dopoguerra: autori come William Faulkner (1897-1962), Ernest Hemingway (1899-1961 →T❻), John Steinbeck (1902-1968), John Dos
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Passos (1896-1970) diventano modelli per uno stile narrativo realistico e incisivo, antiletterario, capace di rappresentare con forza i “fatti” più che soffermarsi sull’analisi psicologica dei personaggi, anche se ai fatti stessi conferisce in alcuni casi un’aura epica. Nell’Italia soggetta alla dittatura fascista l’America rappresentava il paese della libertà, un paese giovane e vitale, ricco di energie positive, in cui poteva realizzarsi l’“avventura”, il cambiamento dei destini individuali e collettivi.
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5. Gli «astratti furori» Con l’espressione «astratti furori» l’io narrante allude a a. □ una rabbia inerte. b. □ un’irrefrenabile voglia di combattere. c. □ fervide elucubrazioni mentali. d. □ un’indefinita smania di vivere. – Motiva la tua risposta.
La corrente neorealista
Significato e limiti di un’etichetta ▪ Il
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ON LINE DOCUMENTO CRITICO
Asor Rosa, Una critica al populismo neorealista
termine “neorealismo” (il prefisso neo- per distinguerlo da precedenti manifestazioni di realismo) nasce in ambito cinematografico (è impiegato per la prima volta nel 1942 dal montatore cinematografico Mario Serandrei a proposito del film Ossessione di Visconti); poco dopo si estende anche all’ambito letterario (e pittorico), ma solo a partire dal ’48 comincia a essere usato in modo generalizzato. Mentre per il cinema si può parlare di una vera e propria scuola (nella quale spiccano i nomi di De Sica, Rossellini, Visconti) che fa riferimento a una comune poetica ed elabora un linguaggio filmico nuovo, in ambito letterario il neorealismo identifica più che altro la temporanea convergenza (motivata soprattutto da ragioni etico-politiche) di scrittori assai diversi per formazione e profilo. Alcuni di essi, come Vittorini, Pavese, Calvino e lo stesso Moravia, pur non essendo assolutamente definibili come “neorealisti”, attraversano una fase neorealista, coinvolti dall’entusiasmo di un clima collettivo. Ne sono testimonianza, per Vittorini il romanzo Uomini e no (1947) (→C10T2) e, nello stesso anno, per Pavese Il compagno, per Calvino Il sentiero dei nidi di ragno, per Moravia soprattutto il romanzo La romana (1947) e, in anni più tardi, i Racconti romani (1954 →T❾OL) e il celebre romanzo La ciociara (1957). Lo stesso vale per la poesia; la diffusione del neorealismo induce non pochi autori a una svolta: il caso più clamoroso è quello di Salvatore Quasimodo, autore esemplare dell’ermetismo, che si converte al neorealismo (→C13U1T❶), ma si possono ricordare anche Gatto o Sereni. Alle radici della svolta neorealista ▪ I drammatici avvenimenti che si susseguono tra il 25 luglio 1943 (l’arresto di Mussolini), la lotta partigiana al nazifascismo fino alla liberazione delle città del Nord (25 aprile 1945), costituiscono un discrimine netto nella condizione dell’intellettuale e nella concezione della letteratura. Travolta dalla violenza degli eventi, crolla la fede nell’autonomia della letteratura rispetto alla storia e alla politica; con la Resistenza il popolo irrompe nella vita del paese e si crea un’inusitata alleanza, all’interno delle forze antifasciste, tra intellettuali e masse popolari: l’intellettuale sente il dovere di calarsi “gramscianamente” nella dimensione collettiva diventando “voce del popolo”. Il neorealismo è appunto il frutto del tentativo, nuovo per gli scrittori italiani, di dar vita a una letteratura dichiaratamente progressista in cui il vero protagonista sia il popolo. Tra oralità e memoria documentaria ▪ Nella celebre Prefazione del 1964 al Sentiero dei nidi di ragno (→T⓱a), Italo Calvino ricostruisce il clima fervido in cui fiorì il neorealismo, il bisogno che tutti avvertivano, all’indomani della Resistenza, di raccontare le proprie esperienze nelle strade, sui treni, nei negozi, il bisogno di fornire una testimonianza che potesse contribuire alla creazione di una società più libera e più giusta: «Ci muovevamo in un universo multicolore di storie». Alle spalle del neorealismo c’è da un lato appunto la suggestione di questa tradizione orale e dall’altro l’influenza di documenti, resoconti e diari della guerra partigiana pubblicati nella stampa clandestina tra il ’43 e il ’45. La motivazione a scrivere negli scrittori neorealisti inizialmente è soprattutto quella testimoniale: valore testimoniale, ha, nelle intenzioni dell’autore, Se questo è un uomo di Primo Levi (→C10U2). In questa tipologia di testi l’invenzione ha un peso minimo e si lasciano parlare i fatti nella loro drammatica evidenza: è una sorta di cronaca ad esempio un testo emblema del neorealismo, 16 ottobre 1943, racconto lungo del critico Giacomo Debenedetti, dove l’invenzione si limita al solo montaggio quasi cinematografico. I temi e i personaggi: popolarità e regionalismo ▪ I campi tematici entro cui si muove la rappresentazione neorealista, spesso tra di loro interagenti, sono due: il mondo popolare e il regionalismo. In rapporto all’influenza marcata dell’ideologia marxista, alla lettura dei testi di Gramsci, diventa quasi d’obbligo la rappresentazione del mondo 118
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Scheda
La parabola dell’esperienza neorealista Il neorealismo fu un’esperienza di breve durata (circa un decennio) di cui si possono indicare queste tappe. 1943-45 la nascita Come ha precisato Maria Corti in un saggio ancora fondamentale, il neorealismo ha la sua genesi nella Resistenza: tra il ’43 e il ’45 si avverte un forte senso di rottura con un passato politico e sociale e si diffonde l’idea che si possa (e si debba) creare una forma d’arte nova, nel cinema (dove si avranno gli esiti migliori) e nella letteratura. Prevalgono nella primissima fase testi memorialistici e documenti di vita. 1945-1950 lo sviluppo Il periodo di più intensa produzione sia cinematografica sia narrativa si colloca tra il 1945 e il ’47: in questi pochi anni sono pubblicati romanzi come Uomini e no, Cronache di poveri amanti, Spaccanapoli, Il sentiero dei nidi di ragno, Il compagno, Il cielo è rosso e altri ancora. Nel cinema Paisà e Roma citta aperta di Rossellini, La terra trema di Visconti (1948). L’esperienza si protrae ancora alcuni anni (del 1948 è il film Ladri di biciclette di De Sica, nel ’49 è pubblicato
Una scena dal film Ladri di biciclette.
Parola chiave
populismo
Con il termine “populismo” si intende la tendenza (presente fin dall’Ottocento) a mitizzare il popolo, considerandolo depositario di valori e aspetti positivi, che possono mutare nel tempo o anche a seconda degli autori: si può cercare nel popolo il fascino del “primitivo-barbarico” (come in certe opere dannunziane), l’innocenza, il vitalismo o altro ancora. È nel secondo dopoguerra però che il termine acquista il significato che gli viene più frequentemente associato: nel popolo si ritrova una forza capace di far evolvere in modo positivo la società, perché è nel popolo che vivono valori autentici, integrità morale, solidarietà. Un’ottica populista indubbiamente traspare da molte opere letterarie neorealiste e, secondo la critica, ne costituisce uno dei limiti più vistosi, perché si traduce nella tendenza a creare personaggi di estrazione popolare anche troppo positivi, volutamente esemplari: la rappresentazione allora non si può più definire davvero realistica (e il realismo era l’aspirazione della narrativa neorealista) ma oleografica e schematica. Fu proprio questo che venne rimproverato al romanzo Metello di Pratolini che più rappresenta la stagione neorealistica, e insieme la chiude.
operaio e popolare in genere. Allo stesso modo, in opposizione al mito fascista della nazione e all’esaltazione retorica della patria, si dà spazio alla rappresentazione delle periferie, delle realtà regionali: in questo ambito l’esempio migliore rimane uno dei primi romanzi neorealisti, Cristo si è fermato a Eboli (→C9T❸). Gli eroi del neorealismo sono opposti a quelli del romanzo borghese: sono contadini, operai, emarginati e disoccupati (significativo che il cinema stesso si avvalga di attori non professionisti, scelti tra la gente comune), di cui si rappresenta l’elementare vitalità, senza escludere il riferimento al sesso. La rappresentazione del popolo nei più tipici romanzi neorealisti per lo più è ispirata da una visione populistica che comporta l’idealizzazione del popolo e di quelle che sono ritenute le sue qualità, a cui è contrapposto nettamente
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d’inizio secolo. Il romanzo è accolto da un buon successo di pubblico, ma suscita subito un rovente dibattito in cui proprio i più autorevoli critici di sinistra affossano l’opera per il suo populismo ingenuo e volontaristico (→Parola chiave populismo). La fine del neorealismo La grave crisi delle sinistre in seguito alla denuncia dei crimini stalinisti e alla rivolta d’Ungheria (1956), ma ancor più l’inizio del periodo del boom industriale farà presto apparire invecchiati i romanzi neorealisti e defunte le generose utopie che ne avevano originato l’ideazione. Il neocapitalismo, in particolare nel Nord d’Italia, propone nuovi messaggi culturali. Il successo clamoroso nel 1958 di un romanzo di impianto e linguaggio tradizionali, aristocratico e decadente nei contenuti, sembra sigillare la fine di un’epoca: Il Gattopardo del nobile siciliano Tomasi di Lampedusa (→T⓫).
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un mondo marcato come “negativo” (i borghesi, i fascisti...). Esemplare dei caratteri della rappresentazione neorealista del popolo è Cronache di poveri amanti di Pratolini, forse il più tipico e suggestivo romanzo neorealista (→T➑). L’esigenza del realismo ▪ Il realismo diventa vera e propria parola d’ordine soprattutto dopo il ’48, anche in rapporto alla forte egemonia culturale del Pci e al modello, fatto proprio dal Partito, del cosiddetto “realismo socialista”. Con “realismo socialista” si intende una visione dell’arte elaborata in Russia negli anni Trenta da Andrej A. Ždanov (1896-1948). In linea con la visione di Stalin, per il quale l’arte deve essere subordinata alla politica, Ždanov aveva teorizzato la necessità che l’arte seguisse canoni esclusivamente realisti, scegliesse determinati contenuti e creasse eroi positivi appartenenti al popolo. Meno rigida è la visione del filosofo ungherese György Lukács (1885-1971) che concepisce la letteratura come “rispecchiamento” oggettivo della realtà sociale. Ma in Italia si fa molto sentire anche il modello di Verga, riscoperto come “autore del popolo” e realista, ma poi se ne ignora il pessimismo fatalista e la demistificazione amara del mito del progresso. Un ritorno al naturalismo? ▪ Per gli autori neorealisti, realismo significa prima di tutto “contenuti reali”, significa portare alla ribalta in tutta la sua drammaticità, la realtà storica: la guerra, la Resistenza, i gravi problemi sociali del dopoguerra. Una scelta prima di tutto ideologica, non estetica, e che comporta in sostanza un ritorno al naturalismo, annullando i risultati della grande narrativa europea del primo Novecento in nome di una volontà comunicativa immediata. Le scelte stilistico-linguistiche ▪ Animano le scelte narrativo-stilistiche dei neorealisti gli stessi obiettivi che ispirano la scelta dei soggetti: realismo, popolarità, regionalismo. Da qui la prevalenza del dialogato, l’uso di modi sintattici propri del parlato (prevalenza della paratassi, costrutti nominali), il rifiuto di un uso letterario della lingua e di un lessico metaforico (ma nelle parti diegetiche affiora talvolta una prosa lirica vicina alla prosa d’arte). Il tentativo di andare verso il popolo si traduce nell’uso abbastanza diffuso del dialetto, assunto però in genere all’interno dell’italiano medio o dell’italiano regionale. I risultati di questi «prelievi dal basso» (Corti) non sono sempre convincenti: vengono a coesistere, e a volte a confliggere, elementi eterogenei. Testo
6 Un modello per il realismo italiano
Ernest Hemigway_Per chi suona la campana, cap. 31
E. Hemigway, Per chi suona la campana, Opere, a c. di F. Pivano, trad. di M. Napolitano Martone, Mondadori, Milano 1963
Nel passo antologizzato (tratto da uno dei più famosi romanzi di Hemingway →p. 123), Maria, una giovane donna che si è arruolata in una banda armata per vendicare i genitori, uccisi dai militari franchisti, racconta la sua tragica esperienza di guerra a Robert Jordan, un giovane professore americano volontario nelle file della Resistenza internazionale antifascista a cui si è sentimentalmente legata.
“Mio padre era il sindaco del villaggio, era un galantuomo. Mia madre era una donna onesta e una buona cattolica e la fucilarono insieme a mio padre per via delle opinioni politiche di mio padre, che era repubblicano. Io li ho visti fucilare tutti e due e mio padre disse: “Viva la República!” Era appoggiato al muro del matadero1 del nostro villaggio, quando lo spararono. “Mia madre che era in piedi contro lo stesso muro disse: “Viva mio marito che era il sindaco di questo villaggio!” e io speravo che avrebbero fucilato anche me, e volevo dire: Viva la Republica y vivan mis padres2, ma invece non mi fucilarono ma mi fecero quelle cose3. 1 matadero: il luogo dove si eseguivano le sentenze di morte (da sp. matar, “uccidere”).
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Viva... mis padres: in spagn. “Viva la Repubblica e viva i miei genitori”.
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3 mi fecero quelle cose: allusione alla violen-
za sessuale subita.
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4 guardia civil: la Polizia di Stato, che agisce
in accordo con la falange del generale Franco. 5 i falangisti: la milizia speciale (falange) agli ordini di Francisco Franco.
6 la tagliò... della testa: la rasatura dei capelli delle donne del nemico come la più umiliante delle punizioni. 7 una monaca rossa : le monache usano
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portare sotto il velo i capelli rasati; l’aggettivo rossa qui e più avanti (Cristo Rosso) allude alla posizione politica della famiglia della ragazza. 121
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1 La letteratura tra autonomia e impegno
“Senti, voglio dirti una cosa perché ci riguarda. Dopo la fucilazione al matadero, trascinarono noialtri parenti che avevamo assistito all’esecuzione ma non eravamo stati uccisi, su per la salita ripida fino alla piazza del villaggio. Piangevamo quasi tutti, ma certi erano istupiditi per quello che avevano visto e i loro occhi si erano inariditi. Io stessa non riuscivo a piangere. Non mi accorgevo di niente perché continuavo a vedere mio padre e mia madre nell’istante dell’esecuzione e mia madre che diceva: “Viva mio marito che era il sindaco di questo villaggio” e c’era nella mia testa come un grido che non moriva ma continuava sempre. Mia madre non era una repubblicana e perciò non aveva gridato “Viva la República!” ma solo “Viva mio padre” che era steso lì, a faccia all’ingiù, ai suoi piedi. “Ma quello che aveva detto l’aveva detto molto forte, gridando, e poi l’avevano sparata ed era caduta e io volevo uscire dalla fila per correre da lei ma eravamo tutti legati. La fucilazione era stata fatta dalla guardia civil4 e le guardie si preparavano a fucilarne altri quando i falangisti5 ci trascinarono su per la collina lasciando le guardias civiles appoggiati ai loro fucili e tutti i corpi lì contro il muro. Eravamo legati per i polsi in una lunga fila di ragazze e di donne, e i falangisti ci spinsero su per la collina e per le strade fino alla piazza e si fermarono davanti alla bottega del barbiere che era sulla piazza del municipio. “Poi due uomini ci guardarono e uno disse: “Questa è la figlia del sindaco” e l’altro disse: “Comincia da lei”. “Allora tagliarono la corda che mi legava i polsi mentre uno diceva agli altri: “Lega di nuovo la fila” e quei due mi presero per le braccia e mi sollevarono e mi misero sulla poltrona del barbiere e mi tennero ferma. “Vidi nello specchio del barbiere la mia faccia e le facce di quelli che mi tenevano e le facce di altri tre che erano curvi su di me e non ne conoscevo nessuna: e nello specchio vedevo me e loro ma loro vedevano soltanto me. Ed era come quando si sta sulla poltrona del dentista, ma c’erano molti dentisti ed erano tutti pazzi. Non riconoscevo quasi il mio viso perché il dolore l’aveva cambiato, ma lo guardavo e capivo che era il mio. Ma il mio dolore era cosí forte che non avevo paura o altri sentimenti, solo dolore. “In quel tempo portavo i capelli in due trecce e mentre mi guardavo nello specchio uno degli uomini mi prese una treccia e la tirò cosí forte che a un tratto mi dolse nonostante il mio stesso dolore; e poi la tagliò con un rasoio proprio a livello della testa6. E io mi vidi con una treccia e un mozzicone dov’era stata l’altra. Poi tagliò l’altra treccia ma senza tirarla e il rasoio mi fece un piccolo taglio sull’orecchio e vidi uscire del sangue. La senti la cicatrice col dito?” “Sí. Ma sarebbe meglio non parlare di queste cose.” “Questo è niente. Non parlerò delle cose veramente brutte. Dunque il falangista mi aveva tagliate le due trecce, col rasoio, a livello della testa e gli altri ridevano e io non sentivo nemmeno il taglio sull’orecchio e a un tratto il falangista mi si piantò davanti e mi sbatté le trecce sulla faccia mentre gli altri mi tenevano; e diceva: “Ora ti facciamo diventare una monaca rossa7. Questo t’insegnerà a unirti ai tuoi fratelli proletari, sposa del Cristo Rosso!”. “E mi colpì ancora e ancora sulla faccia con le mie trecce e poi me le ficcò tutt’e due in bocca e me le legò strette intorno al collo facendo un nodo dietro, come un bavaglio, e i due che mi tenevano ridevano.
2 Il Novecento e oltre • QUADRO LINGUISTICO-LETTERARIO
Manifesto di Joan Miró, Aidez l’Espagne, 1937 (Barcellona, Fundació Joan Miró).
“Tutti quelli che erano presenti si misero a ridere e quando li vidi ridere nello specchio cominciai a piangere perché fino allora ero stata così gelata dentro per la fucilazione, che non potevo piangere. “Poi quello che mi aveva imbavagliata mi passò una macchinetta sulla testa: prima dalla fronte fino alla nuca e poi di traverso e dietro le orecchie, e intanto mi tenevano, in modo che potessi vedermi bene nello specchio del barbiere; e mentre vedevo quello che facevano non potevo crederci e piangevo e piangevo ma non potevo staccare gli occhi dalla mia faccia spaventosa, con la bocca aperta e le trecce ficcate dentro e la mia testa che usciva nuda di sotto la macchinetta. “E quando quello con la macchinetta ebbe finito, prese una boccetta di iodio8 dall’armadietto del barbiere (il barbiere l’avevano fucilato perché apparteneva a un sindacato, ed era steso sulla soglia della sua bottega e me l’avevano fatto scavalcare quando mi avevano portata dentro) e mi toccò sull’orecchio tagliato con lo stelo di vetro che era nella boccetta, io sentii quel bruciore attraverso la mia afflizione e il mio orrore. “Poi l’uomo che era davanti a me scrisse U.H.P.9 sulla mia fronte con la tintura di iodio, disegnando le lettere piano con cura come se fosse un pittore e io vedevo ogni cosa nello specchio e non piangevo piú perché mi s’era gelato dentro il cuore per mio padre e mia madre; e quello che ora accadeva a me non era niente e lo sapevo. “Poi quando ebbe finito di disegnare le lettere, il falangista fece un passo indietro e mi guardò per esaminare il suo lavoro e poi posò la boccetta di tintura di iodio e riprese la macchinetta e disse: “A chi tocca”. Mi portarono via dalla bottega del barbiere tenendomi stretta per le braccia e io inciampai nel barbiere che era sempre steso sulla soglia con la sua faccia livida e urtammo quasi la mia migliore amica Concepción Gracia che altri due portavano dentro; e quando Concepción mi rivide non mi riconobbe, e poi mi riconobbe e si mise a gridare e io seguitavo a udire i suoi strilli mentre mi trascinavano attraverso la piazza e mi spingevano nel portone del municipio e poi su per le scale e nell’ufficio di mio padre, dove mi stesero sul divano. E fu lì che mi fecero le brutte cose.” “Mio coniglietto” disse Robert Jordan, stringendola a sé con quanta dolcezza poteva. Ma era pieno d’odio quanto può esserlo un uomo. “Non ne parlare più. Non mi dire altro, perché sono già troppo pieno d’odio.” Maria era fredda e rigida nelle sue braccia. “No” disse “non ne parlerò mai più. Ma sono gente cattiva e io vorrei ucciderne qualcuno con te, se potessi. Ti ho detto tutto questo solo per il tuo orgoglio, se dovrò essere tua moglie. Perché tu capisca.” “Sono contento che tu me l’abbia detto” diss’egli. “Perché domani, se abbiamo fortuna, ne uccideremo molti.”
8 di iodio: di tintura di iodio, un antisettico
in soluzione liquida.
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9 U.H.P.: sigla anarchica (Unión Hermanos
Proletarios, Unione dei fratelli proletari), ri© Casa Editrice G. Principato SpA
conducibile all’alleanza operaia nella rivolta delle Asturie.
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Attività sul testo Abilità: comprendere e analizzare
Esercitare le competenze
1. Il riassunto Riassumi in max 5 righe i fatti narrati nel passo proposto. 2. Chi narra i fatti? A chi è affidata la narrazione dei fatti? a. □ A un narratore esterno. c. □ A un testimone. b. □ All’autore. d. □ Alla protagonista stessa. – Quali effetti espressivi produce tale scelta? 3. Gli interventi del narratore Individua e sottolinea nel passo gli interventi del narratore. Come li definiresti? a. □ Denotativi. c. □ Lirici. b. □ Fortemente connotati. d. □ Riflessivi. – Come interpreti questa scelta? 4. Lo sfondo della vicenda La vicenda narrata si colloca su uno sfondo a. □ leggendario. b. □ storico. c. □ di fantasia. d. □ indeterminato. – Specifica la tua risposta con riferimenti al testo. 5. Illustrare i motivi per cui Hemingway fu un modello per il neorealismo italiano Nella prefazione del 1964 al Sentiero dei nidi di ragno, Calvino, parlando di Per chi suona la campana, ricorda: «Fu il primo libro… sentito e vissuto». Alla luce del brano analizzato, illustra gli aspetti tematici e stilistici per i quali i narratori neorealisti italiani videro in Hemingway un modello (max 15 righe).
Biografia
Ernest Hemingway
Il romanzo, pubblicato nel 1940, è ambientato in Spagna al tempo della guerra civile (1936-1939) tra i repubblicani (in aiuto dei quali accorsero militanti antifascisti dall’Europa tutta e dagli Stati Uniti) e i falangisti del generale Fran-
allo sbarco in Normandia. Ispirato al suo amore per l’Africa e alla sua passione per la caccia e l’avventura è Verdi colline d’Africa (1932). Altro romanzo celeberrimo è Il vecchio e il mare (1952), epica lotta tra un vecchio pescatore e un enorme pescespada, in cui lo scrittore traspone la passione per la pesca d’altura praticata durante la sua permanenza a Cuba. L’arte narrativa di Hemingway, il suo stile incisivo e diretto, in cui si avverte l’influsso della prosa giornalistica, che ispirò il realismo italiano, si manifesta pienamente soprattutto nei Quarantanove racconti (1938). Divenuto famosissimo anche in Europa, nel 1953 Hemingway è insignito del premio Nobel per la letteratura. Spirito inquieto, soggetto a crisi depressive e schiavo dell’alcool, Hemingway si uccide con un colpo di fucile nel 1961.
cisco Franco. Il protagonista maschile, l’intellettuale americano Robert Jordan, volontario nell’esercito repubblicano, chiara proiezione autobiografica dell’autore, è incaricato di una pericolosa missione di guerra (far saltare un ponte d’acciaio). Al campo dei ribelli Jordan conosce la giovanissima Maria, i cui genitori sono stati uccisi dai soldati franchisti e che è stata violentata. Si innamora di lei, ricambiato dalla ragazza. Ma gli avvenimenti precipitano. I franchisti avanzano e annientano un avamposto
partigiano. Pur consapevole dell’inutilità del suo gesto, Robert fa ugualmente saltare il ponte. Ferito gravemente dai nemici, pretende che i rivoluzionari si allontanino con Maria, mentre egli rimane solo sulla collina a difenderne la ritirata. Il romanzo fu pubblicato in Italia nel 1946 dal «Politecnico». Nel 1943 Sam Wood ricava dal romanzo un film di grande successo, con due celebri interpreti: Gary Cooper nella parte di Jordan e Ingrid Bergman in quella di Maria.
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1 La letteratura tra autonomia e impegno
Per chi suona la campana
Ernest Hemingway, considerato uno dei grandi scrittori americani del Novecento, nasce in Illinois nel 1899 da un’agiata famiglia. Giornalista e narratore, traspone nei suoi romanzi esperienze personalmente vissute nella sua avventurosa esistenza, a cominciare da quella tragica della guerra: arruolatosi come volontario nella Croce Rossa, nel 1918 è mandato in Italia dove è ferito sul fronte del Piave. Ne trae il romanzo Addio alle armi (1929). Tra le due guerre viaggia in Europa ed entra in contatto con autori importanti come Joyce e Pound. Nel 1936 si reca come giornalista di guerra in Spagna dove divampava la guerra civile. Là Hemingway combatte a fianco dei repubblicani. Dall’esperienza trae il suo capolavoro, Per chi suona la campana, pubblicato nel 1940. Scoppiata la seconda guerra mondiale, è corrispondente di guerra e partecipa
Testo
7 a. Il “neorealismo” non fu una scuola
Italo Calvino_Prefazione a Il sentiero dei nidi di ragno
I. Calvino, Romanzi e racconti, ed. dir. da C. Milanini, vol. I, Mondadori, Milano 1991
Nel 1964 Calvino ripubblica presso Einaudi il suo primo romanzo, Il sentiero dei nidi di ragno (1947), preponendovi una lunga Prefazione diventata celebre e della quale proponiamo qualche stralcio significativo. A distanza di quasi vent’anni lo scrittore si interroga sul significato dell’esperienza neorealistica a cui egli stesso aderì con la sua prima opera. Le sue riflessioni sono tutt’oggi assai significative per inquadrare e contestualizzare il fenomeno neorealistico.
2 il Novecento e oltre • QUADRO LINGUISTICO-LETTERARIO
Questo romanzo è il primo che ho scritto; quasi posso dire la prima cosa che ho scritto, se si eccettuano pochi racconti. Che impressione mi fa, a riprenderlo in mano adesso? Più che come un’opera mia lo leggo come un libro nato anonimanente dal clima generale d’un’epoca, da una tensione morale, da un gusto letterario che era quello in cui la nostra generazione si riconosceva, dopo la fine della seconda Guerra Mondiale. L’esplosione letteraria di quegli anni in Italia fu, prima che un fatto d’arte, un fatto fisiologico, esistenziale, collettivo. Avevamo vissuto la guerra, e noi più giovani – che avevamo fatto appena in tempo a fare il partigiano – non ce ne sentivamo schiacciati, vinti, “bruciati”, ma vincitori, spinti dalla carica propulsiva della battaglia appena conclusa, depositari esclusivi d’una sua eredità. Non era facile ottimismo, però, o gratuita euforia; tutt’altro: quello di cui ci sentivamo depositari era un senso della vita come qualcosa che può ricominciare da zero, un rovello problematico generale, anche una nostra capacità di vivere lo strazio e lo sbaraglio; ma l’accento che vi mettevamo era quello d’una spavalda allegria. Molte cose nacquero da quel clima, e anche il piglio dei miei primi racconti e del primo romanzo. Questo ci tocca1 oggi, soprattutto: la voce anonima dell’epoca, più forte delle nostre inflessioni individuali ancora incerte. L’essere usciti da un’esperienza – guerra, guerra civile – che non aveva risparmiato nessuno, stabiliva un’immediatezza di comunicazione tra lo scrittore e il suo pubblico: si era faccia a faccia, alla pari, carichi di storie da raccontare, ognuno aveva avuto la sua, ognuno aveva vissuto vite irregolari drammatiche avventurose, ci si strappava la parola di bocca. La rinata libertà di parlare2 fu per la gente al principio smania di raccontare: nei treni che riprendevano a funzionare, gremiti di persone e pacchi di farina e bidoni d’olio, ogni passeggero raccontava agli sconosciuti le vicissitudini che gli erano occorse3, e così ogni avventore4 ai tavoli delle “mense del popolo”, ogni donna nelle code ai negozi; il grigiore delle vite quotidiane sembrava cosa d’altre epoche; ci muovevamo in un multicolore universo di storie. Chi cominciò a scrivere allora si trovò cosi a trattare la medesima materia dell’anonimo narratore orale5: alle storie che avevamo vissuto di persona o di cui eravamo stati spettatori s’aggiungevano quelle che ci erano arrivate già come racconti, con una voce, una cadenza, un’espressione mimica. [...] Eppure, eppure, il segreto di come si scriveva allora non era soltanto in questa elementare universalità dei contenuti, non era lì la molla [...]; al contrario, mai fu tanto chiaro che le storie che si raccontavano erano materiale grezzo: la carica esplosiva di libertà che animava il giovane scrittore non era tanto nella sua volontà di documentare o informare, quanto in quella di esprimere. Esprimere che cosa? Noi stessi, il sapore aspro della vita che avevamo appreso allora allora, tante cose che si credeva di sapere o di essere, e forse veramente in quel momento sapevamo ed eravamo. Personaggi, paesaggi, spari, didascalie 1 ci tocca: ci colpisce. 2 La rinata libertà di
le vicissitudini... occorse: le esperienze che gli erano capitate. 4 avventore: cliente. 5 l’anonimo narratore orale: alle origini 3
parlare: dopo la fine della dittatura era venuta meno ogni censura e limitazione alla libertà di parola. 124
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delle letterature romanze sta una trasmissione orale di racconti, a volte frutto di un’elaborazione collettiva.
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politiche, voci gergali, parolacce, lirismi, armi ed amplessi non erano che colori della tavolozza, note del pentagramma, sapevamo troppo bene che quel che contava era la musica e non il libretto6, mai si videro formalisti cosi accaniti come quei contenutisti che eravamo, mai lirici così effusivi come quegli oggettivi che passavamo per essere7. [...] Il “neorealismo” non fu una scuola. (Cerchiamo di dire le cose con esattezza). Fu un insieme di voci, in gran parte periferiche, una molteplice scoperta delle diverse Italie, anche – o specialmente – delle Italie fino allora più inedite per la letteratura. Senza la varietà di Italie sconosciute l’una all’altra – o che si supponevano sconosciute –, senza la varietà dei dialetti e dei gerghi da far lievitare e impastare nella lingua letteraria, non ci sarebbe stato “neorealismo2. Ma non fu paesano nel senso del verismo regionale ottocentesco. La caratterizzazione locale voleva dare sapore di verità a una rappresentazione in cui doveva riconoscersi tutto il vasto mondo: come la provincia americana in quegli scrittori degli Anni Trenta8 di cui tanti critici ci rimproveravano d’essere gli allievi diretti o indiretti. Perciò il linguaggio, lo stile, il ritmo avevano tanta importanza per noi, per questo nostro realismo che doveva essere il più possibile distante dal naturalismo. Ci eravamo fatta una linea, ossia una specie di triangolo: I Malavoglia, Conversazione in Sicilia, Paesi tuoi, da cui partire, ognuno sulla base del proprio lessico locale e del proprio paesaggio... scrittori neorealisti importassero esclusivamente i contenuti; in realtà, secondo Calvino (ma lo scrittore parla qui soprattutto per se stesso) la forma, cioè il problema stilistico era prevalente. Allo stesso modo il richiamo ob-
bligato all’oggettività non implicava affatto, secondo Calvino, la rinuncia al lirismo. 8 scrittori degli Anni Trenta: gli scrittori americani, in particolare Hemingway, costituirono un modello per i neorealisti.
Guida alla lettura
La Prefazione di Calvino contiene più di uno spunto importante per comprendere il neorealismo. Proviamo a enuclearli seguendo le argomentazioni dello scrittore. Il neorealismo come esito di un clima ▪ Estremamente significativa, e in linea del resto con le interpretazioni della critica, è l’osservazione secondo cui il neorealismo, più che di una consapevole posizione letteraria, fu il frutto e la testimonianza di una condizione collettiva, psicologica, morale, esistenziale, l’esito di un clima, in cui la tragedia della guerra e della guerra civile si trasformava tutto sommato in ottimismo, in euforia («non ce ne sentivamo [...] vinti, [...] ma vincitori»). Per la prima volta lo scrittore condivideva con la gente comune le stesse esperienze di vita. Questa condivisione stabiliva per la prima volta un’immediata comunicazione tra scrittore e pubblico. I racconti sulla guerra ▪ Il secondo aspetto che emerge dal testo è il legame stretto fra i racconti spontanei che fiorivano un po’ dappertutto relativi alla guerra e alla Resistenza e la letteratura che da quegli stessi fatti e contesti traeva ispirazione. Similmente il cantastorie medievale tirava le fila di racconti multipli fioriti nel tempo e li narrava a sua volta oralmente. Il problema formale ▪ L’accusa spesso rivolta dalla critica al neorealismo è quella di un’attenzione maggiore ai contenuti che alle modalità narrative e agli aspetti stilistico-linguistici, al di là delle buone intenzioni. Al contrario Calvino rileva (ma forse allude soprattutto a se stesso) la consapevolezza nei narratori neorealisti del problema formale, la coscienza che gli eventi vissuti erano solo il materiale su cui si sarebbe dovuto lavorare. L’importanza del regionalismo ▪ Dopo aver precisato che il neorealismo non può essere considerato una scuola, Calvino sottolinea come costitutivo della corrente, se così si può chiamare, il regionalismo: «Fu un insieme di voci, in gran parte periferiche, una molteplice scoperta delle diverse Italie...». Italie che non si conoscevano tra di loro (una scoperta di cui Calvino sottolinea con forza anche il risvolto linguistico, nella presenza di voci dialettali, di gerghi fatti confluire nella lingua letteraria). L’ottica della narrativa neorealista non era però quella ristretta di certo regionalismo verista minore, ma ci si ispirava a certa letteratura americana degli anni Trenta, per cui la provincia poteva diventare un paradigma. È la stessa ottica della Sicilia di Vittorini o del Piemonte di Pavese (ma Calvino riconosce come maestro della sua generazione anche Verga). © Casa Editrice G. Principato SpA
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6 quel che... libretto: nei melodrammi la musica si struttura in rapporto a un testo contenuto in un libretto. Ma la musica è ben più importante del libretto... 7 mai si videro... per essere: sembrava che agli
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Attività sul testo
Abilità: comprendere e analizzare
1. Il Sentiero come «un libro nato anonimamente» Calvino considera il suo romanzo più che una sua opera «un libro nato anonimamente dal clima generale di un’epoca» perché a. □ lo stile era comune a tutti gli scrittori. b. □ esprimeva una condizione esistenziale e un’esperienza collettiva. c. □ le tematiche affrontate erano comuni a tutti i libri del tempo. d. □ era la sua prima opera di giovane scrittore. 2. L’“esplosione letteraria” del dopoguerra Il clima dell’“esplosione letteraria” dell’immediato dopoguerra secondo Calvino era caratterizzato a. □ da un’euforia gratuita. b. □ dal peso schiacciante dell’esperienza bellica. c. □ dalla vitalità e dall’entusiasmo per la rinascita. d. □ da un inspiegabile ottimismo. 3. Il rapporto tra scrittore e pubblico Che cosa caratterizzava nel primissimo dopoguerra il rapporto tra scrittore e pubblico e per quali motivi?
4. Il neorealismo non fu una scuola Per quali ragioni il neorealismo, come asserisce Calvino, non fu una suola?
2 Il Novecento e oltre • QUADRO LINGUISTICO-LETTERARIO
Esercitare le competenze
5. Il neorealismo e il verismo ottocentesco Il neorealismo si distingueva dal verismo regionale ottocentesco perché a. □ aveva scoperto un’Italia minore. b. □ attraverso i microcosmi regionali voleva rappresentare l’universale. c. □ non usava i dialetti e i gerghi regionali. d. □ non aveva interesse per le questioni di linguaggio e di Testi ON LINE stile. 7 b Un giudizio critico 6. I maestri del neorealismo in letteratura Quali sono stati i maesul neorealismo stri della scrittura neorealista secondo Calvino? 7. Spiegare alcune metafore in relazione al contesto Spiega in rapporto al contesto le seguenti metafore: «non erano che colori della tavolozza, note del pentagramma», «quel che contava era la musica e non il libretto» (intervento orale di max 3 minuti).
Carlo Emilio Gadda_ Un’opinione sul neorealismo
ON LINE PERCORSO TEMATICO_CINEMA Il neorealismo: un nuovo modo di fare cinema
Il romanzo-manifesto del neorealismo: Cronache di poveri amanti di Pratolini Un romanzo “corale” ▪ Pubblicato nel 1947, Cronache di poveri amanti è forse il più emblematico romanzo del neorealismo, quello che meglio ne esprime le intenzionalità e le scelte ideologiche. Teatro dell’azione è un quartiere popolare di Firenze e in particolare una strada, via del Corno, l’epoca è l’anno successivo al delitto Matteotti, il 1925. Cronache di poveri amanti è un romanzo “corale”, la cui vera protagonista è, appunto, via del Corno, osservata con sguardo partecipe dal narratore nella sua vita quotidiana, scandita da vicende comunissime (amori, amicizie, pettegolezzi ecc.) con le sue figure tipiche e realistiche, i “cornacchiai” popolani e artigiani, come il carbonaio Nesi, il ciabattino, l’ambulante Ugo, il maniscalco Corrado, detto Maciste. Via del Corno sembra lontana dalla storia ufficiale, ma la violenza dei tempi si insinua anche lì: due abitanti del quartiere, Carlino e Osvaldo sono schierati con i fascisti e saranno i carnefici dei loro vicini, i cornacchiai antifascisti saranno aggrediti, arrestati, uccisi, come Maciste, l’eroe buono che muore per salvare delle vite umane. 126
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Il narratore-cronista ▪ Il romanzo (di cui forniamo un
1922 (Firenze, Collezione Vallecchi).
Biografia
Vasco Pratolini
Vasco Pratolini (1913-1991) nasce da una famiglia di modeste condizioni in un quartiere popolare del centro di Firenze. La conoscenza di Vittorini lo introduce negli ambienti letterari. Nel 1938 fonda con Alfonso Gatto la rivista «Campo di Marte», importante punto di riferimento per l’ermetismo. Nel 1939 si trasferisce a Roma, dove vivrà poi stabilmente, e inizia la carriera letteraria. Maturata una coscienza antifascista, partecipa alla Resistenza. Dopo la fine della guerra pubblica Il Quartiere (1945), Cronaca familiare e Cronache di poveri amanti (1947) e infine Le ragazze di San Frediano (1951). La materia da cui trae ispirazione in questi romanzi (a parte Cronaca familiare) è la vita quotidiana dei quartieri popolari di Firenze, ritratta con realismo e affettuosa adesione.
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Il romanzo forse più celebre di Pratolini è Metello del 1951, in cui lo scrittore, abbandonando la prospettiva ristretta del quartiere, affronta l’ambizioso progetto di un ciclo di romanzi intitolato Una storia italiana, che narri un secolo della storia d’Italia. Metello, primo romanzo della serie, rappresenta il periodo che va dal 1875 al 1902. Nel secondo romanzo della trilogia, Lo scialo (1960), rappresenta l’adesione al fascismo da parte di una piccola borghesia priva di valori morali; segue Allegoria e derisione (1966), un romanzo in parte autobiografico che dà voce alla crisi ideologica e di ruolo dell’intellettuale all’inizio degli anni Cinquanta. Tra il secondo e il terzo romanzo della trilogia si inserisce La costanza della ragione del 1963, che non rientra nel ciclo sulla storia italiana.
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1 La letteratura tra autonomia e impegno
Ottone Rosai, Via Toscanella,
campione testuale particolarmente significativo) dallo stesso Pratolini è definito nel titolo cronache (un vocabolo che richiama una tradizione antica soprattutto in Toscana, rinnovata dalla Resistenza). Il narratore assume deliberatamente il ruolo di “cronista”: non vi sono temi né personaggi principali, ma la semplice giustapposizione di storie simultanee, narrativamente autonome su cui si sposta via via l’obiettivo quasi cinematografico del narratore. Il narratore-interprete cantastorie ▪ La voce narrante di Cronache di poveri amanti sembra richiamarsi a modalità ottocentesche: infatti si tratta di un narratore onnisciente, che conosce i luoghi, i personaggi, che prevede quanto accadrà, che può interpretare le azioni dei personaggi (come viene fatto nell’apostrofe a Maciste in →T➑) e che commenta le vicende. Siamo però ben lontani dal narratore manzoniano: la voce narrante, in cui si rispecchia l’autore stesso, non è infatti “superiore”, ma appartiene allo stesso mondo narrato, ne condivide i valori, l’etica, la visione politica e ha con quel mondo un rapporto di forte identificazione. Anche il lettore (al quale il narratore chiede adesione più sentimentale che razionale) è immaginato a sua volta parte della stessa realtà socio-antropologica. Si crea così una circolarità narratorecollettività raccontata e pubblico o perlomeno pubblico ideale: spesso Pratolini usa un ‘noi’ che accomuna tutti e tre. In fondo la situazione richiama, come ha sottolineato Maria Corti, il cantastorie, il narratore orale di un’epica popolare: come i narratoricantastorie, anche Pratolini crea attesa, annuncia ciò che narrerà.
Testo
8 Maciste, l’eroe di una epopea popolare
Vasco Pratolini_Cronache di poveri amanti, parte seconda, cap. XIV
V. Pratolini, Cronache di poveri amanti, Vallecchi, Firenze 1950
I passi, tratti da un nucleo centrale del romanzo, si riferiscono ai tragici avvenimenti che si svolgono a Firenze in quella che il narratore definisce «la notte dell’Apocalisse». Protagonista dell’episodio è il maniscalco Corrado (detto Maciste per la sua statura gigantesca e la sua forza), membro del partito comunista, uomo di grande generosità e altruismo.
[L’antefatto degli avvenimenti narrati è la decisione dei fascisti di compiere una spedizione punitiva (come ritorsine per la morte di un “camerata”) nei confronti di noti antifascisti, compreso l’onorevole socialista Bastai. Maciste è informato dall’amico Ugo dei nomi delle persone designate come vittime della spedizione fascista; a sua volta Ugo ha costretto a rivelarglieli Osvaldo, un fascista del quartiere che quella notte è alla sua prima “missione”. Nella notte di luna Firenze è attraversata dal sidecar di Maciste che, con Ugo a bordo, si lancia in una lotta drammatica contro il tempo: deve avvisare le vittime potenziali prima che i fascisti le raggiungano. Nelle righe che precedono il passo antologizzato Maciste è riuscito a far fuggire il primo dei segnalati. Si dirige allora a gran velocità alla casa dell’onorevole socialista Bottai, in via dei della Robbia.]
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Ora, più che mai, occorre far presto. Che i dieci cavalli del motore diventino tanti puro sangue lanciati sull’ultima dirittura! Via dei della Robbia1 è una strada quieta e pulita. Fuori dalle soglie vi sono gli stoini2 di rete con tante palline bianche che formano la parola: Salve. Niente fagotti d’immondizia3, biche4 di sterco né cattivi odori. Non alberghi equivoci, non vigilati speciali che la ronda tiene d’occhio. Un ampio respiro di cielo tra le due file di case, e giardini odorosi di magnolia, in questa stagione. La strada olezza, sotto la luna. Le finestre hanno ante scorrevoli, saliscendi di giunco, persiane intonate alla scialbatura5 delle facciate. Ogni interno è un’isola di affetti6, di interessi bene amministrati: un castello ove a sera si ritira il ponte levatoio. I borghesi che vi abitano non sono gente curiosa come i nostri cornacchiai7, non soffrono né slanci né impazienze. Alla testimonianza orale e auricolare preferiscono il resoconto dei giornali: i si dice dell’indomani. Essi risentono inconsciamente le fatiche dei loro avi che fecero la storia: hanno affidato ad altri la difesa delle posizioni conquistate. Le loro stanze suggeriscono l’ordine, l’igiene, le buone maniere, il timor di Dio, il rispetto della Legge. E l’egoismo, la pavidità, la schiavitù mentale che tutto ciò costa, al giorno d’oggi. È una condizione che via del Corno rifiuta, ma nella quale via della Robbia si riconosce e vi trova il suo equilibrio, la sua privata felicità. Non si è quindi spostato un saliscendi, non si è schiusa una porta all’arrivo dei fascisti, non si è accesa una luce allorché nella casa dell’onorevole Bastai sono risuonati quattro colpi di pistola, gli urli di una donna, il pianto dei ragazzi8. Hanno il sonno pesante in via Robbia, o il terrore ha paralizzato la gola perfino agli animali domestici? I fascisti sono scesi veloci e sicuri, hanno lanciato un “A noi”, prima di risalire sulla macchina, sono partiti cantando: 1 Via dei della Robbia: l’elegante strada in cui abita l’onorevole Bottai, che Maciste e Ugo stanno cercando di avvertire del pericolo. 2 stoini: zerbini. 3 Niente fagotti d’immondizia...: in una lunga digressione descrittiva Pratolini contrappone indirettamente la borghese
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via dei della Robbia alla popolare via del Corno in cui vivono Maciste e Ugo. Non solo l’aspetto delle due vie è totalmente diverso, ma anche la visione morale di chi vi abita. 4 biche: mucchi.
5 scialbatura: colore pallido, scialbo. 6 un’isola di affetti: un mondo affettivo
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chiuso all’esterno (espressione metaforica). 7 cornacchiai: il nome con cui sono designati gli abitanti di via del Corno. 8 allorché... dei ragazzi: dunque l’onorevole Bastai non è stato avvisato in tempo ed è stato ucciso. Il truce episodio è reso in modo indiretto.
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All’armi, all’armi! All’armi, siam fascisti! La lotta sosterrem fino alla morte!
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Le strade sono deserte, i caffè notturni hanno abbassato le saracinesche: è spenta ogni luce. Le auto degli squadristi traversano un deserto di pietre e di luna. Con gli squadristi è la Morte. Ciascuno di essi ne reca il ritratto sul cuore: un teschio ricamato sulla camicia nera17. La Morte li accompagna di casa in casa, è in ogni loro gesto e pensiero. Il suo contatto ha gelato i cuori, acceso le menti della sua idea ossessiva. La sua presenza rende i fascisti audaci e guardinghi, li sconvolge e li esalta. Li opprime. Essi ne sollecitano la complicità e insieme ne temono la potenza. Avanzano sulle auto come su vascelli corsari incalzati dalla tempesta. [...] [I fascisti sono inferociti perché hanno fallito in quasi tutti i casi la loro missione punitiva. Intanto Maciste salva un’altra persona, il fratello dell’on. Bastai e si affretta per raggiungere un altro dei segnalati, pur sapendo di rischiare la vita.] impannate: infissi delle finestre, costituiti da telai con pannelli di stoffa o carta. 10 sidecar: veicolo costituito da una motocicletta a cui è agganciato un carrozzino laterale per il passeggero. 11 lastrici: lastricati, strade lastricate. 12 martinella: la campana di guerra che dal Medioevo in poi suonava a Firenze prima delle operazioni belliche perché fosse sentita da 9
tutti gli abitanti. 13 È l’antica... dominante: Pratolini, per descrivere il raid omicida dei fascisti rievoca gli odi che contrapposero nell’età comunale la fazione dei Bianchi a quella dei Neri: a questi ultimi sono assimilate le squadracce fasciste. 14 Bargello: la polizia, connivente con gli squadristi. 15 “n. n.”: la sigla (abbreviata anche in N.N., © Casa Editrice G. Principato SpA
dal lat. nescio nomen, “non conosco il nome”) si usa nei documenti burocratici o di polizia per indicare l’anonimato o un’incompleta identificazione di una persona. 16 San Lorenzo: popolare quartiere fiorentino, come Rifredi e Pignone citati subito dopo. 17 un teschio... nera: il dettaglio corrisponde alla divisa delle squadracce fasciste. 129
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Il loro canto si è sperduto lontano. Vibrano ora al vento, improvvisamente levatosi, le lampade ad arco, nei giardini gli alberi stormiscono, la luna riverbera sulle impannate9. E tuttavia le finestre restano chiuse, spente le luci, serrate le porte. Soltanto nella casa dell’onorevole, dalle stanze tutte illuminate come per una festa, provengono singhiozzi disperati, non più gridi: una veglia funebre. La strada è tornata al suo silenzio e al suo deserto, ove quegli spari, quegli urli e il canto, hanno lasciato un’eco, una presenza. Vi irrompe, con una ardita sterzata, il sidecar10. Gli spari e le grida hanno risuonato sulle mura, sui lastrici11 come su tam-tam primitivi, una fantastica martinella12 ha propagato il suo rintocco. Come i fischi dei treni che il silenzio della notte rivela alle opposte distanze, i colpi delle rivoltellate, le canzoni squadriste, hanno echeggiato in ogni strada recandovi il terrore. È l’antica fazione dominante13 che ripete le sue stragi, col favore della luna. E del Bargello14. Stanotte la Polizia è consegnata: la ronda degli ammoniti è rientrata dalla perlustrazione segnalando “n. n.”15 nel suo rapporto. Intanto le Bande Nere compiono l’eccidio. Ma la città è resa esperta dalla sua storia, di cui ogni pietra, ogni campana, conservano il ricordo. Il Priore di San Lorenzo16, Don Fratto, ha spalancato l’uscio della sagrestia, ha acceso una lampada sulla soglia, semmai un braccato voglia cercarvi rifugio. Nelle case del popolo si acconciano solai, si aprono cantine; si adatta, al riparo di un comignolo, un giaciglio di fortuna. I fascisti, eccitati dal sangue e dal fuoco, si annunziano con crepitii di salve, con urli e “A noi!” Se in via dei della Robbia le serrature hanno scattato per garantire la neutralità, nei quartieri di Rifredi e del Pignone l’arrivo del compagno fonditore ha messo in moto uomini e donne, una popolazione che veglia ora col cuore in gola su coloro che sono nascosti: ne condivide l’ansia, stando di vedetta, recitando rosari. [...].
Tu sei18 Maciste, il boia popolare che ha nome Samson19, l’Angelo dell’Annunciazione, sei un comunista a cui il Partito ha affidato un incarico di re sponsabilità; il maniscalco Corrado che stringe fra i ginocchi come nella tagliola la zampa del cavallo più focoso. Ma sei un uomo fatto di carne ed ossa, con gli occhi, il naso, trentadue denti, una ballerina tatuata sull’avambraccio. Il tuo petto è ampio, un intrigo di peli e sotto la selva c’è il tuo grande cuore. Il Partito ti rimprovererà di aver commesso un errore affidandoti al tuo cuore; ma se non ti fidassi del tuo cuore non saresti nel Partito. Hai forse mai letto una riga di quel volume intitolato “Il Capitale”20, che fa venire il sonno soltanto a guardarlo? Hai fatto l’Ardito del Popolo21 in considerazione della teoria del plusvalore o piuttosto perché il tuo cuore era offeso? Quel marinaio di Kronstadt22 che ti assomiglia credeva, figurati! che Marx fosse uno dei dodici Apostoli! Ora tu sei un dirigente dell’organizzazione clandestina, non avresti il diritto né di ascoltare il tuo cuore né di rischiare la vita per correre in aiuto di un massone23 dal quale gli squadristi sono forse già arrivati. Del resto, costui è un capitalista, nemico del fascismo per caso e nemico della classe operaia, per motivi ben precisi. Non ti fanno un piacere, dopo tutto? Invece tu acceleri per giungere là dove si compirà il tuo destino. Ugo è profeta se cerca di dissuaderti. Tu gli rispondi che se ha paura può scendere e tornarsene a casa. “Abbiamo perduto troppo tempo. Questa volta li intopperemo quant’è vero Cristo”, egli dice. E come per rimproverarti aggiunge: “Forse se non ci fosse stata la puntata dal fratello dell’onorevole24!” [...] 2 Il Novecento e oltre • QUADRO LINGUISTICO-LETTERARIO
Quando insieme ad Ugo avviasti di nuovo il motore, era trascorso un tempo prezioso: il vento si era levato più forte e delle nubi rincorrevano la luna. Erano oltre le due. Ugo ripeté: “In coscienza, abbiamo fatto più del nostro dovere!”. E tu dicesti: “Se hai paura, puoi tornartene a casa. Massone o no, è un uomo!”. Questo tuo cuore, Maciste, che non conosce le prefazioni di Engels25, e non ascolta la ragione, proprio quando occorre sia ascoltata! [...] D’improvviso, un rombo di motore. Il Pisano fermò lo chauffeur26 che stava ingranando la marcia. “Aspetta! Guardiamo chi è!”, disse. La strada era breve, una traversa, una delle strade dai pochi palazzi. Il sidecar fu costretto a rallentare per entrarvi. Si trovò davanti l’automobile. [...] Gridò ad Ugo: “Tieniti forte a me!”. Lanciò la moto sulla piazza27. Era il momento che il Pisano28 attendeva. Egli aveva la mano ferma, l’occhio sicuro. Quella schiena curva, a meno di cento metri, carica di luna, era un bersaglio mobile nel tirare al quale egli era maestro. Il sidecar sbandò, si capovolse sulla scalinata della Chiesa, col guidatore riverso; colpito alla nuca. L’altro uomo, subito rialzatosi, fuggì: svicolò lontano. L’auto si fermò davanti
18 Tu sei...: si apre un’ampia allocuzione con
cui il narratore-autore si rivolge direttamente, con toni enfatici, al suo “eroe”, il generoso Maciste. 19 Samson: il boia che nella rivoluzione francese giustiziò re Luigi XVI. 20 “Il Capitale”: si tratta del testo economico politico di ardua lettura scritto da Marx e che costituisce uno dei capisaldi della teoria marxista. Alla teoria economica di Marx appartiene anche la “teoria del plusvalore” più sotto nominata. 21 l’Ardito del Popolo: Arditi del Popolo era il nome di un’organizzazione antifascista 130
nata nel 1921 per contrastare l’azione delle camicie nere. 22 Kronstadt: base navale russa da cui nacque nel 1921 una ribellione al regime sovietico che fu stroncata. Il «marinaio di Kronstadt» che crede che Marx sia uno dei dodici apostoli simboleggia una fede ingenua nei valori del comunismo. 23 un massone: è un’altra delle vittime designate del raid fascista. Il fatto che aderisse alla massoneria (ma anche la sua estrazione borghese) lo rende estraneo e lontano rispetto a Maciste, che pure si prodiga a rischio della vita per avvertirlo.
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24 la puntata dal fratello dell’onorevole: arrivato a casa Bastai, Maciste aveva trovato la famiglia che piangeva l’uomo politico assassinato. La moglie dell’onorevole aveva pregato Maciste di avvisare suo fratello, anch’egli in pericolo. 25 Engels: Friedrich Engels, economista e filosofo tedesco, uno dei teorici del comunismo. 26 chauffeur: autista (in franc.). 27 sulla piazza: si tratta della piazza San Lo-
renzo. 28 il Pisano: il fascista a capo della spedizione punitiva.
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Osvaldo: così come Carlino, citato più sotto, Osvaldo è un fascista di via del Corno che ne conosce tutti gli abitanti.
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30 Amadori... Malevolti: altri fascisti che si trovano sulla macchina. 31 Mario e Milena: due abitanti di via del
Corno. Il marito di Milena, aggredito dai fascisti, era moribondo al vicino ospedale.
Guida alla lettura
I passi si riferiscono al macroepisodio della «Notte dell’Apocalisse». Il narratore segue come in presa diretta il succedersi incalzante e drammatico degli eventi di cui si fa cronista e che vedono contrapposte due forze, l’una portatrice di vita, l’altra di morte: da una parte Ugo e Maciste in sella al sidecar di Maciste, che cercano di salvare dalla violenza squadrista quante più persone possono, dall’altra i fascisti a caccia di sovversivi da punire o addirittura eliminare. La narrazione per lo più ha un ritmo rapido, dovuto alla brevità delle frasi, incentrate su un verbo di azione e coordinate, o, più spesso accostate per asindeto. D’altra parte non manca in questo resoconto cronachistico la presenza di interventi commentativi di carattere etico-politico della voce narrante (cfr. più sotto) e più in generale una prospettiva che rivela, anche troppo esplicitamente, la visione dell’autore: ci riferiamo in particolare ai riferimenti Tra cronaca ed epica ▪
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al sidecar. Osvaldo29 scese di un balzo, si chinò su Maciste: gli sollevò la testa per i capelli. Intravide in una nebbia la sua faccia rantolante. Egli era ebbro, allucinato: calciò sul corpo di Maciste. Come eccitati dal suo furore, gli altri lo imitarono: rivoltarono a calci il cadavere, di petto e di schiena. Carlino era rimasto fermo, con la rivoltella in pugno, guardava Maciste e batteva gli occhi come davanti ad un’apparizione; a cui non era preparato. Egli fu il solo, unitamente al Pisano, a non infierire sulla vittima, a risalire sulla macchina, ed a rimanersene spettatore dell’altrui follia. Contro la quale, comunque, né lui né il Pisano intervennero, quasi per timore di esasperarla ancora, Il Pisano aveva acceso una sigaretta riparandosi con le mani. Osvaldo gridò: “L’altro! Ugo”. Corse verso l’angolo dove Ugo era scomparso. La strada era deserta; il vento, più forte al crocicchio, lo investì. Egli si arrestò, come bloccato da un urto. Sparò dei colpi alle ombre immobili che le case proiettavano sul selciato, in direzione della strada che aveva un orizzonte di pietre. Ritornò sulla piazza dove un gruppo dei camerati aveva sollevato il sidecar. Amadori mirò sul serbatoio; Malevolti30 accese un fiammifero, un secondo, un terzo: era una lotta contro il vento che inghiottiva il guizzo di fuoco. Finché la benzina divampò, le fiamme lambirono il sidecar, ne fecero una torcia offerta al vento. Ai piedi della Chiesa, davanti alla piazza che la luce lunare rendeva più vasta e profonda, v’era il gruppo degli uomini gesticolanti attorno al falò. Fra essi, l’abside e il cielo, stava Maciste, verticale sulla scalinata, le braccia spalancate, le palme aperte, la nuca confitta tra gradino e gradino. Il suo volto guardava in alto, ad occhi aperti, un cielo che non era più suo. Amadori gridò: “Dentro le fiamme, il comunista”. Allora il Pisano balzò ìn piedi, gettò con ira la sigaretta. Dominando il gruppo dalla macchina, disse: “Camerati, all’ordine!”. Gli uomini tacquero d’improvviso, sconcertati dalla violenza del richiamo che ciascuno di essi interpretò come l’annuncio di un’imboscata. Risalirono solleciti sulla macchina. E alle loro affannate domande, il Pisano rispose fissandoli ad uno ad uno, in silenzio, girando lentamente sul tronco. Poi voltò le spalle: “Parti!”, disse allo chauffeur. Il sidecar bruciava ancora. Il crepitio delle fiamme era la sola, viva presenza sulla piazza, dove il vento si levava a folate e la luna appariva e spariva dietro le nubi. Mario e Milena31 si azzardarono fuori della sacrestia. Maciste ebbe due amici che lo vegliarono, nelle prime ore del suo lungo sonno.
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biblici e più in generale religiosi che conferiscono alla narrazione un tono a tratti epico-religioso. Il capitolo da cui sono tratti i passi riportati si apre con un andamento solenne, da Genesi: «All’alba la tempesta si placò, venne il sole, poi fu notte di nuovo e di nuovo l’uragano. Pioggia, vento, saette, fino al mattino successivo. Il terzo giorno il tempo volse al bello, la sera recò l’aria fresca dell’autunno, e la notte il cielo stellato e la luna nuova. Questa fu la Notte dell’Apocalisse». Non a caso, infine, è un’immagine cristologica che chiude l’episodio: il corpo di Maciste, steso con le braccia spalancate sui gradini della Chiesa e lo sguardo rivolto al cielo, evoca in modo evidente la crocefissione. E come Cristo è stato vilipeso, così il corpo di Maciste è oltraggiato dai suoi carnefici, dopo che l’umile artigiano ha dato la vita per persone che neppure conosce, ma che considera “fratelli” nel comune credo politico e soprattutto “uomini”: «Massone o no, è un uomo», dice Maciste a Ugo che gli rimprovera di correre un rischio mortale per un massone, appunto (r. 80). La visione populistica ▪ Il testo di Pratolini costituisce un documento esemplare della poetica neorealista anche per quanto concerne il populismo (→Parola chiave, p. 119): è evidente una visione senza mezze tinte, intesa a mitizzare i popolani di via del Corno e in particolare l’eroe popolano (e comunista) Maciste. Domina il racconto – ed è ispirata dall’indubitabile passione civile dell’autore – una struttura dicotomica che contrappone simbolicamente in modo manicheo il Bene al Male: se il sidecar in corsa pilotato dal gigante buono, Maciste, è come si è visto associato a una simbologia salvifica di tipo religioso, le squadre fasciste (rr. 50-56) sono associate alla violenza e alla morte, di cui portano «il ritratto sul cuore»: le loro auto avanzano nella notte «come su vascelli corsari incalzati dalla tempesta». Questa struttura dicotomica investe anche il simbolismo spaziale attraverso la netta contrapposizione tra la borghese via dei della Robbia e la popolare via del Corno. Il modello di riferimento positivo è via del Corno ed è sulla base (e in contrapposizione) di esso e non in assoluto che l’autore rappresenta via dei della Robbia: non è causale quindi che la descrizione della strada si apra con una serie di negazioni: «Niente fagotti... né... non... non». Via dei della Robbia, ci dice senza mezzi termini il narratore, è proprio l’opposto di via del Corno. Se nella prima parte della descrizione si fa riferimento soprattutto all’aspetto della via, all’igiene e alla bellezza del luogo, successivamente la raffigurazione assume precisi tratti etico-politici, anticipati e sintetizzati dalla metafora del castello che alla sera ritira per sicurezza il ponte levatoio: all’arrivo degli squadristi la via si chiude in se stessa a difesa, le finestre e le porte si serrano, le luci si spengono, nessuno sembra sentire i pianti disperati che provengono dalla casa dell’onorevole Bastai ucciso davanti ai suoi figli. Del tutto opposta è la solidarietà di via del Corno, e dei quartieri popolari (Rifredi e Pignone) che veglia, in ansia per la sorte dei perseguitati. Populistica (e retorica) è l’apostrofe del narratore al suo personaggio «Tu sei Maciste...», il cui coraggioso comportamento e le cui scelte vengono ricondotte al “cuore”, a ragioni quindi umanitarie e non a una matura e consapevole ideologia politica.
Attività sul testo Abilità: comprendere e analizzare
1. Il riassunto Riassumi il testo in non più di 10 righe.
2. Lo sfondo storico Precisa lo sfondo storico dell’episodio narrato. 3. La rappresentazione di Maciste Nell’apostrofe che gli rivolge il narratore (rr. 59-75), con quali caratteristiche viene rappresentato Maciste? a. □ Generosità. c. □ Ingenuità. e. □ Prudenza. g. □ Umanità. b. □ Indifferenza. d. □ Coraggio. f. □ Disciplina. h. □ Avventatezza. 4. Il punto di vista del narratore Individua nel testo i passi in cui emerge il punto di vista del narratore e spiegane il significato.
Esercitare le competenze
5. Illustrare nel testo la presenza di aspetti della narrativa neorealista In un testo di 15-20 righe evidenzia gli aspetti tematici, narrativi, stilistici che fanno del testo un documento esemplare del neorealismo. 132
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Testi ON LINE
9 Moravia neorealista: La ciociara Alberto Moravia_Racconti romani
La Storia
Ida Ramundo è una maestra elementare di origine ebrea per parte di madre. È vedova e vive di stenti a Roma, con il figlio Nino. Ma Ida ha anche un altro figlio, Giuseppe detto Useppe, frutto della violenza subìta da un soldato tedesco
ubriaco: Useppe (secondo alcuni il vero protagonista del romanzo) è un bambino straordinario, un po’ poeta e visionario, forse per la malattia di cui soffre, l’epilessia. Nino è attaccatissimo al fratellino e torna a trovarlo anche quando lascia la famiglia per arruolarsi prima nelle camicie nere e poi tra i partigiani. In un dopoguerra per tutti difficile, Nino diventa contrabbandiere e muore in un conflitto a fuoco con la polizia; e anche Useppe
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morirà per un attacco particolarmente violento del male. Impazzita dal dolore, Ida finirà i suoi giorni in manicomio. Ai personaggi principali si affiancano altre figure tutte ben definite, in particolare quella del giovane intellettuale ebreo Davide Segre; ma sono personaggi anche gli animali, come il cane Blitz, che muore in un bombardamento, e soprattutto Bella, custode attenta e inseparabile compagna del piccolo Useppe.
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1 La letteratura tra autonomia e impegno
La Storia di Elsa Morante: una riproposta del romanzo neorealista? Una scelta polemica e coraggiosa ▪ Nel 1974, vent’anni dopo la fine dell’esperienza neorealista, Elsa Morante (Roma 1912-1985), già nota soprattutto per il romanzo L’isola di Arturo (1957), pubblica presso Einaudi La Storia, in pochissimo tempo best seller tradotto in varie lingue del mondo. Come Metello (1955) e Il Gattopardo (1958), anche il romanzo della Morante suscita un acceso dibattito nella critica. La scrittrice romana, ignorando deliberatamente la recente esperienza dell’avanguardia (→U3), ritorna a un romanzo vistosamente tradizionale quanto all’impianto narrativo e nel quale sono in primo piano i contenuti: entro una cornice storica (la guerra, l’occupazione di Roma, la persecuzione antisemita) la Morante iscrive le drammatiche, spesso commoventi, vicende di personaggi appartenenti al popolo. Personaggi umili, oppressi e vinti dalla Storia (verso la quale suona duramente accusatorio il sottotitolo: «uno scandalo che dura da diecimila anni»), che sconvolge le loro misere esistenze. La precisa scelta di campo della scrittrice si richiama da un lato all’illustre modello manzoniano (la critica ha notato echi precisi dei Promessi sposi), dall’altro alla denuncia propria della narrativa neorealista, in contrapposizione – letteraria ma insieme anche ideologica – con le sofisticate e intellettualistiche opzioni della neoavanguardia. “Impegno” e “popolarità” ▪ Con il suo romanzo la Morante rinnova la necessità dell’“impegno”, già propria della stagione neorealista: di fronte alla realtà superficiale del mondo moderno, dominato dall’indifferenza, dall’ideologia del consumismo, la scrittrice romana ripropone un ruolo forte del romanzo, come testimonianza dei valori e denuncia dei controvalori, schierandosi dalla parte degli oppressi di ogni tempo. Del popolo (e la critica ha avuto buon gioco per parlare di nuovo populismo) la scrittrice mette in luce il vitalismo, l’allegria, la solidarietà, in qualche modo forme di “resistenza” ai mali del mondo e della Storia. Per volontà della Morante il romanzo fu pubblicato direttamente in edizione economica, in linea con la scelta programmatica della scrittrice di creare un romanzo “popolare” che potesse raggiungere un vasto pubblico al quale essa rivolge in modo esplicito il suo messaggio: la Morante dedica il libro, attraverso una citazione letteraria, agli «analfabeti», e vi prepone un’eloquente frase tratta dal Vangelo di Luca: «hai nascosto queste cose ai dotti e ai savi e le hai rivelate ai piccoli». Alla destinazione popolare corrisponde la scelta di uno stile piano e discorsivo, con inserti di dialetto romanesco nei dialoghi. La struttura, l’ambientazione, la vicenda ▪ La Storia è un romanzo lungo, scandito in otto capitoli, in cui il primo fa da introduzione, mentre gli altri sette sono dedicati ciascuno a un anno (dal 1941 al 1947). In ogni capitolo alla vicende dei personaggi sono preposte essenziali notazioni (in caratteri tipografici diversi) che rimandano a eventi della Macrostoria, che interagisce, in modo sempre negativo, con la microstoria dei personaggi. Lo sfondo delle vicende è la Roma dei quartieri popolari.
Testo
10 La violenza della Storia
Elsa Morante_La Storia, cap. 3
E. Morante, La Storia, Einaudi, Torino 1974
Gli alleati sbarcano in Sicilia, la capitale è bombardata a tappeto. Ida e Useppe sono vittime di una delle incursioni aeree alleate: la casa dove vivevano è distrutta, il piccolo perde il suo compagno di giochi, il cane Blitz che era appartenuto al fratello Nino.
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Due giorni dopo, 10 luglio, gli alleati sbarcarono in Sicilia. La sirena1, adesso, suonava tutte le notti, e Useppe, ogni sera, metteva sotto il proprio cuscino il guinzaglio di Blitz, il quale, prima ancora che la sirena suonasse, ne dava avviso alla famiglia con un abbaio discreto. Blitz non si staccava mai da loro due, fuorché nell’ora della spesa. Essendo la stagione delle vacanze, Ida usciva per le compere alla mattina verso le dieci; e in quei giorni aveva preso l’usanza, quasi ogni volta, di portarsi dietro Useppe, lasciando a guardia della casa Blitz, il quale, durante le file2, in coppia con Useppe sarebbe stato un doppio impiccio. Alla partenza, lui già sapeva che in simili occasioni non faceva parte della compagnia, e aggirandosi intorno a loro senza far festa, li guardava prepararsi a uscire con un’aria mortificata, e tuttavia rassegnata a questa sorte. Al loro ritorno, fino dalla strada potevano sentirlo che li salutava a piena voce, di vedetta su presso la finestra aperta all’ultimo piano. E all’arrivo, lo trovavano in attesa dietro l’uscio, pronto a riceverli con effusioni scatenate, che si rivolgevano principalmente a Useppe, ripetendogli cento volte: “Oramai, l’ultimo bene mio sei tu3!” Una di quelle mattine Ida, con due grosse sporte al braccio, tornava dalla spesa tenendo per mano Useppe. Faceva un tempo sereno e caldissimo. Secondo un’abitudine presa in quell’estate per i suoi giri dentro al quartiere, Ida era uscita, come una popolana, col suo vestito di casa di cretonne4 stampato a colori, senza cappello, le gambe nude per risparmiare le calze, e ai piedi delle scarpe di pezza con alta suola di sughero. Useppe non portava altro addosso che una camiciolina quadrettata stinta, dei calzoncini rimediati5 di cotone turchino, e due sandaletti di misura eccessiva (perché acquistati col criterio della crescenza6) che ai suoi passi sbattevano sul selciato con un ciabattìo. In mano, teneva la sua famosa pallina Roma7 (la noce Lazio8 durante quella primavera fatalmente era andata perduta). Uscivano dal viale alberato non lontano dallo Scalo Merci, dirigendosi in via dei Volsci, quando, non preavvisato da nessun allarme, si udí avanzare nel cielo un clamore d’orchestra metallico e ronzante. Useppe levò gli occhi in alto, e disse: “Lioplani”. E in quel momento l’aria fischiò, mentre già in un tuono enorme tutti i muri precipitavano alle loro spalle e il terreno saltava d’intorno a loro, sminuzzato in una mitraglia di frammenti. “Useppe! Useppeee!” urlò Ida, sbattuta in un ciclone nero e polveroso che impediva la vista: “Mà, sto qui”, le rispose, all’altezza del suo braccio, la vocina di lui, quasi rassicurante. Essa lo prese in collo, e in un attimo le ribalenarono nel cervello gli insegnamenti dell’UNPA (Unione Nazionale Protezione Antiaerea) e del Capofabbricato: che in caso di bombe, conviene stendersi al suolo. Ma invece il suo corpo si mise a correre senza 1 La sirena: l’allarme che avvisa gli abitanti
di mettersi in salvo nei rifugi antiaerei. 2 le file: in tempo di guerra i viveri di prima necessità (farina, latte, zucchero ecc.) erano razionati e bisognava rimanere a lungo in fila prima di ricevere la propria razione. 3 Oramai... sei tu: l’autrice interpreta, co134
me in altri punti del romanzo, il pensiero dell’animale. 4 cretonne: tela di cotone. 5 rimediati: trovati chissà dove, o anche adattati. 6 col criterio della crescenza: nell’idea che gli sarebbero andati bene anche quando © Casa Editrice G. Principato SpA
fosse cresciuto.
7 pallina Roma: il nome allude alla squadra
di calcio della capitale; la pallina era stata regalata a Useppe da Nino. 8 la noce Lazio: Useppe aveva dato a una noce il soprannome dell’altra squadra cittadina.
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direzione. Aveva lasciato cadere una delle sue sporte, mentre l’altra, dimenticata, le pendeva ancora al braccio, sotto al culetto fiducioso di Useppe. Intanto, era incominciato il suono delle sirene. Essa, nella sua corsa, sentí che scivolava verso il basso, come avesse i pàttini, su un terreno rimosso che pareva arato, e che fumava. Verso il fondo, essa cadde a sedere, con Useppe stretto fra le braccia. Nella caduta, dalla sporta le si era riversato il suo carico di ortaggi, fra i quali, sparsi ai suoi piedi, splendevano i colori dei peperoni, verde, arancione e rosso vivo.
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[Il bombardamento ha distrutto interi quartieri. Ida e Useppe attraversano strade ingombre di macerie cercando al più presto di raggiungere la loro casa.]
9 Bii: è il nome del cane Blitz, storpiato dalla pronuncia infantile di Useppe. 10 una quinta: elemento di scena (è uno dei due telai alti e stretti ai lati del palcoscenico).
11 immonnezze: immondizie (romanesco). 12 tessilsacco: sacco di carta robusta o di
materia plastica per proteggere abiti e altri indumenti dalle tarme. 13 Blitz... credenza: l’enumerazione disor© Casa Editrice G. Principato SpA
dinata, che assomma l’amatissimo cane a una serie di cose in vario modo preziose per Ida e la sua famiglia, restituisce con immediatezza il dramma della guerra. 135
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1 La letteratura tra autonomia e impegno
[...] La vocina di Useppe ripeteva a Ida una domanda incomprensibile, in cui le pareva di riconoscere la parola casa: “Mà, quando torniamo a casa?”. La sporta gli calava giù sugli occhietti, e lui fremeva, adesso, in una impazienza feroce. Pareva fissato in una preoccupazione che non voleva enunciare, neanche a se stesso: “mà?... casa?...” seguitava ostinata la sua vocina. Ma era difficile riconoscere le strade familiari. Finalmente, di là da un casamento semidistrutto, da cui pendevano i travi e le persiane divelte, fra il solito polverone di rovina, Ida ravvisò, intatto, il casamento con l’osteria, dove andavano a rifugiarsi le notti degli allarmi. Qui Useppe prese a dibattersi con tanta frenesia che riuscí a svincolarsi dalle sue braccia e a scendere in terra. E correndo coi suoi piedini nudi verso una nube piú densa di polverone, incominciò a gridare: “Bii9! Biii! Biiii!!” Il loro caseggiato era distrutto. Ne rimaneva solo una quinta10 spalancata sul vuoto. Cercando con gli occhi in alto, al posto del loro appartamento, si scorgeva, fra la nuvolaglia del fumo, un pezzo di pianerottolo, sotto a due cassoni dell’acqua rimasti in piedi. Dabbasso delle figure urlanti o ammutolite si aggiravano fra i lastroni di cemento, i mobili sconquassati, i cumuli di rottami e di immonnezze11. Nessun lamento ne saliva, là sotto dovevano essere tutti morti. Ma certune di quelle figure, sotto l’azione di un meccanismo idiota, andavano frugando o raspando con le unghie fra quei cumuli, alla ricerca di qualcuno o qualcosa da recuperare. E in mezzo a tutto questo, la vocina di Useppe continuava a chiamare: “Bii! Bii! Bii!” Blitz era perduto, insieme col letto matrimoniale e il lettino e il divanoletto e la cassapanca, e i libri squinternati di Ninnuzzu, e il suo ritratto a ingrandimento, e le pentole di cucina, e il tessilsacco12 coi cappotti riadattati e le maglie d’inverno, e le dieci buste di latte in polvere, e i sei chili di pasta, e quanto restava dell’ultimo stipendio del mese, riposto in un cassetto della credenza13. “Andiamo via! andiamo via!” disse Ida, tentando di sollevare Useppe fra le braccia. Ma lui resisteva e si dibatteva, sviluppando una violenza inverosimile, e ripeteva il suo grido: “Bili!” con una pretesa sempre piú urgente e perentoria. Forse reputava che, incitato a questo modo, per forza Blitz dovesse rispuntare scodinzolando di dietro qualche cantone, da un momento all’altro [...].
[Ida e Useppe trovano riparo in un’osteria dove, in mezzo ad altre persone rimaste senza tetto o fuggite in seguito al bombardamento, incontrano una contadina in pena per suo nipote, sorpreso dal bombardamento mentre era in giro per Roma.]
2 Il Novecento e oltre • QUADRO LINGUISTICO-LETTERARIO
Era una donna sui settant’anni, ma ancora in salute, alta e grossa, con la carnagione rosata e due buccole14 nere agli orecchi. Teneva sui ginocchi una canestra vuota con dentro 75 un cèrcine15 sciolto; e pareva disposta ad aspettare il nipote, là seduta con la sua canestra, magari per altri trecento anni, come il bramano16 della leggenda indù. Vedendo la disperazione di Useppe che ancora andava chiamando il suo Bi con voce sempre piú smorzata e fioca, tentò di divertirlo facendogli dondolare innanzi una crocetta di madreperla che portava al collo, appesa a un cordoncino: 80 “Bi bi bi pupé! Che dici, eh, che dici?” Ida le spiegò a bassa voce in un balbettio che Blitz era il nome del cane, rimasto fra le macerie della loro casa. “Ah, cristiani e bestie, crepare è tutta una sorte”, osservò l’altra, muovendo appena la testa con placida rassegnazione. Poi rivolta a Useppe, piena di gravità matriarcale e senza 85 smorfie, lo confortò col discorso seguente: “Non piangere pupé, che il cane tuo s’è messo le ali, è diventato una palombella17, e è volato in cielo”. Nel dirgli questo, essa mimò, con le due palme alzate, il bàttito di due ali. Useppe, che credeva a tutto, sospese il pianto, per seguire con interesse il piccolo movimento di quelle 90 mani, che frattanto erano ridiscese sulla canestra, e là stavano, in riposo, con le loro cento rughe annerite dal terriccio. “L’ali? pecché l’ali?” “Perché è diventato una palombella bianca”. “Palommella bianca”, assentì Useppe, esaminando attentamente la donna con gli occhi 95 lagrimosi che già principiavano a sorridere, “e che fa, là, mó?” “Vola, con tante altre palombelle”. “Quante?” “Tante! tante!” “Quante??” 100 “Trecentomila”. “Tentomila sono tante?” “Eh! piú d’un quintale!!” “Sono tante! Sono tante! eh! Ma là, che fanno? “Volano, se la spassano. Beh”. 105 “E le dóndini18 pure, ci stanno? E pure i vavalli, ci stanno?” “Ci stanno”. “Pure i vavalli?” “Pure i cavalli”. “E loro pure, ci volano?” 110 “E come, se ci volano!”
14 buccole: orecchini a pendenti. 15 cèrcine: panno arrotolato a forma
di cerchio, portato sul capo dalle contadine 136
per reggere i pesi. 16 il bramano: sacerdote della religione indù. © Casa Editrice G. Principato SpA
17 palomella: piccola colomba. 18 dóndini: rondini (nel linguaggio infantile
di Useppe).
Attività sul testo Abilità: comprendere e analizzare
1. La sintesi Sintetizza l’episodio narrato nel brano proposto in non più di 5 righe, fornendone le essenziali coordinate spazio-temporali. 2. Le descrizioni Le descrizioni dell’abbigliamento di Ida e Useppe (rr. 17-25) e delle loro cose distrutte dal bombardamento hanno la funzione di a. □ rallentare la narrazione creando un effetto di suspense. b. □ caratterizzare i personaggi sul piano socio-economico. c. □ verificare l’abilità rappresentativa dell’autrice. d. □ suscitare la solidarietà del lettore popolare. 3. Useppe e la contadina Il dialogo tra la vecchia contadina e Useppe tende a evidenziare a. □ l’ingenuità del protagonista e in generale dei bambini. b. □ il profondo legame del bambino con il suo cane. c. □ la spontanea e calorosa solidarietà tra le vittime della Storia. d. □ la cupa rassegnazione delle vittime della Storia. 4. Useppe e il cane Blitz Uno dei motivi dell’episodio proposto è il legame tra Useppe e Blitz: individua i momenti in cui si manifesta e spiega il valore che assume nel contesto. 5. Lo stile Definisci sinteticamente lo stile del brano in riferimento alle scelte sintattiche e lessicali.
Esercitare le competenze
6. Individuare i punti di contatto fra La Storia e il neorealismo Individua ed elenca oralmente gli elementi del testo analizzato che permettono di accostare il romanzo della Morante al neorealismo (max 3 minuti). 7. Commentare le accuse di populismo e sentimentalismo fatte al romanzo della Morante Il romanzo della Morante fu accusato di populismo e di facile sentimentalismo. Condividi tale giudizio sulla base del passo che hai letto? Motiva adeguatamente la tua risposta in un testo di circa 15 righe.
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1 La letteratura tra autonomia e impegno
Oltre il neorealismo: il successo paradigmatico del Gattopardo Il “caso” Gattopardo ▪ Nel 1958 esce da Feltrinelli Il Gattopardo, opera d’esordio di uno scrittore fino a quel momento del tutto sconosciuto, morto l’anno prima: Giuseppe Tomasi di Lampedusa (1896-1957), nobile siciliano. Nell’ideare la figura del protagonista, don Fabrizio principe di Salina, egli si era ispirato alla vicenda del suo bisnonno, Giulio Fabrizio, principe di Lampedusa, che aveva vissuto in prima persona lo sbarco dei garibaldini in Sicilia (1860) e la trasformazione politica che aveva portato all’annessione della Sicilia al regno d’Italia (→V2bC10). Il romanzo, rifiutato da Vittorini per la collana di Einaudi «I gettoni» che allora dirigeva, fu pubblicato da Feltrinelli, casa editrice nata da poco, che nel 1957 aveva messo a segno un altro colpo editoriale: la pubblicazione del romanzo Il dottor Živago dello scrittore russo Boris L. Pasternack, che divenne presto un best seller internazionale. Anche Il Gattopardo ebbe un successo clamoroso: nel solo 1958 vendette 40.000 copie, destinate a crescere prima con l’assegnazione nel 1959 del premio Strega e poi con la versione cinematografica del romanzo, firmata da Luchino Visconti nel 1963, che contribuì in modo rilevante a fare del Gattopardo un best seller. Lo straordinario successo del romanzo può essere spiegato nell’immediato con la crisi ormai evidente dopo la metà degli anni Cinquanta della narrativa neorealista in rapporto a un nuovo clima politico e culturale e con il rapido mutamento del gusto del pubblico, che, già stanco di storie crude e realistiche, preferisce ora narrazioni incentrate su temi psicologico-esistenziali. Un romanzo controcorrente ma non d’avanguardia ▪ Il Gattopardo è un romanzo antitetico rispetto ai temi e alle modalità narrative del neorealismo e d’altra parte non si tratta certo di un romanzo d’avanguardia, ma anzi considerato da una parte della critica persino attardato, ottocentesco: il narratore è esterno e onnisciente, al centro del romanzo si accampa un grande, affascinante protagonista, don Fabrizio, principe di Salina (di cui il narratore adotta quasi sempre il punto di vista), le vicende private, riguardanti la
L’attore americano Burt Lancaster nel ruolo del Principe Don Fabrizio di Salina nel film
Il Gattopardo di Luchino Visconti.
2 Il Novecento e oltre • QUADRO LINGUISTICO-LETTERARIO
famiglia del principe, si intrecciano con quelle storiche, e per di più queste ultime non sono contemporanee ma riguardano il periodo che va dallo sbarco dei Mille in Sicilia e l’annessione della Sicilia al regno d’Italia fino all’inizio del Novecento. La visione storico-politica che emerge, affidata soprattutto alle riflessioni di don Fabrizio, è tutt’altro che progressista e ottimista: domina nel romanzo una concezione scettica e amara del divenire storico, un’immagine immobilistica della società, soprattutto della società siciliana (→V2bC10). Le modalità narrative ▪ Non bisogna però cadere nell’errore di considerare Il Gattopardo una ripresa del romanzo di Verga o di De Roberto: Tomasi è autore raffinato, colto, conoscitore in lingua originale delle letterature inglese, francese, tedesca. Le tecniche narrative impiegate nel romanzo rimandano piuttosto all’influenza di autori come Proust e Joyce: la narrazione avanza a blocchi secondo un filo non lineare, spesso l’autore ricorre al flash-back per cui eventi e situazioni anche importanti (come il plebiscito in seguito al quale la Sicilia è annessa al Regno d’Italia) sono filtrati dalla memoria soggettiva del protagonista, i monologhi interiori del Principe risentono dell’influenza della Woolf. Il tema “decadente” della morte ▪ Più che una ripresa tardiva del romanzo storico o sociale, Il Gattopardo è un grande romanzo “decadente”: al clima del decadentismo si ricollega la centralità del tema della morte, che ha richiamato il racconto lungo di Thomas Mann, La morte a Venezia (1912 →V3aC12U2T➐). Tema questo che si configura nel romanzo di Tomasi di Lampedusa soprattutto come dissoluzione, rovina, fluire inesorabile del tempo che investe uomini, cose, classi sociali, la storia stessa.
Il Gattopardo
Il romanzo, in otto parti, si sviluppa lungo un arco temporale che va dal 1860 al 1910. Don Fabrizio, principe di Salina aderisce al nuovo regno d’Italia, non per convinzione sincera, ma perché crede inutile qualsiasi sforzo volto a cambiare il corso ineluttabile della storia. Assai più vitale e spregiudicato dello zio, il nipote Tancredi combatte nelle file garibaldine contro i Borboni; ma nemmeno la sua può dirsi una scelta dettata da motivi
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ideali. Sarà infatti proprio questo suo passato da patriota che negli anni successivi gli aprirà la strada per una brillante carriera politica. Tancredi è pronto ad afferrare le nuove opportunità offerte dal cambiamento politico, e in un colloquio con lo zio esprime un giudizio che rappresenta la sua morale di fondo: «occorre che cambi tutto, perché non cambi niente». Anche in ragione di questo principio Tancredi sposa Angelica Sedara, una fanciulla bellissima, di estrazione popolare ma ricchissima. Suo padre, uomo rozzo e incolto, fa parte di una nuova classe sociale di amministratori arricchiti, disposta a ricorrere a qualsiasi mezzo pur di farsi largo socialmente e politicamente. Il Principe appoggia il matrimonio del nipote con Angelica, preferendola a sua
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figlia Concetta, la quale non gli perdonerà di essere stata sacrificata. Dopo varie vicende, l’azione si sposta al 1883: è l’anno della morte del Principe, consapevole che è arrivata la fine e che occorre lasciare spazio ai giovani, desiderosi di farsi largo in un mondo nel quale egli non si riconosce più. Il romanzo si concluderà nel 1910, quando si assiste alla dissoluzione del patrimonio della grande famiglia. Alla fine del romanzo sarà Concetta a ordinare di gettare tra le immondizie la reliquia mummificata di Bendicò, l’amatissimo cane del Principe. Scompare così, col volo di Bendicò giù dalla finestra, l’ultima traccia della passata grandezza della famiglia, e il romanzo si chiude nel nulla, in coerenza con la vena di pessimismo che lo pervade.
Testo
11 Don Fabrizio e la morte
Giuseppe Tomasi di Lampedusa_Il Gattopardo, cap. VII Il passo che presentiamo è tratto dalla parte iniziale del penultimo capitolo del Gattopardo. Don Fabrizio Salina, ormai vecchio e ammalato, ritorna da Napoli dove si era recato per un consulto medico. Arrivato a Palermo dopo un viaggio estenuante, si sente male e anziché nella sua casa, viene trasportato in un albergo della città, dove si spegnerà.
quella sensazione: come si spiega subito dopo, il narratore allude alla lenta perdita dell’energia vitale. 2 stretto... a sabbia: la strettoia fra i due bulbi di una clessidra. 3 avvezzo a scrutare... abissi interni: don Fabrizio è un grande appassionato di astronomia (avvezzo, abituato); gli «spazi esteriori 1
illimitati» sono gli spazi siderali. Ma qui il narratore allude anche all’altra tendenza del Principe: l’introspezione, lo sguardo interiore che lo porta a indagare nel profondo di sé («vastissimi abissi interni»). 4 larga: vasta. 5 costretto: chiuso.
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COLLABORA ALL’ANALISI Comprensione Il capitolo si apre ponendo in primo piano il tema della morte (la “sensazione” di cui si parla è infatti quella della morte) che serpeggia in varia forma nell’intero romanzo. Non a caso Il Gattopardo si apre e si chiude con un riferimento alla morte: «“Nunc et in hora mortis nostrae. Amen”» (“Adesso e nell’ora della nostra morte...”, la chiusa della preghiera dell’Ave Maria, recitata dalla famiglia del Principe) nell’incipit del romanzo, e «Poi tutto trovò pace in un mucchietto di polvere livida», alla fine del racconto. Qui la presenza della morte si configura come sottile percezione interiore, per il Principe consueta e familiare (ma non così per gli altri), della dissoluzione, del fluire corrosivo del tempo che si porta via impercettibilmente ma inesorabilmente le sue energie vitali. Nelle sue meditazioni sulla fine della vita terrena don Fabrizio si era sempre sentito solo e ben poco compreso dai suoi familiari, legati a rappresentazioni tradizionali (e convenzionali) dell’aldilà che suscitavano il suo disprezzo. Ora per il Principe la fine della vita, lungamente attesa, era davvero arrivata: gli si annuncia inequivocabilmente dopo un penoso viaggio da Napoli a Palermo.
1. A che cosa viene inizialmente paragonato il fluire inesorabile della vita verso la morte? a. □ Agli illimitati spazi siderali. b. □ Alle particelle di vapor acqueo. c. □ A una grande piramide. d. □ Alla sabbia di una clessidra.
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1 La letteratura tra autonomia e impegno
Luglio 1883 Don Fabrizio quella sensazione1 la conosceva da sempre. Erano decenni che sentiva come il fluido vitale, la facoltà di esistere, la vita insomma, e forse anche la volontà di continuare a vivere, andassero uscendo da lui lentamente ma continuamente, come i granellini si af- 5 follano e sfilano ad uno ad uno senza fretta e senza soste dinanzi allo stretto orifizio di un orologio a sabbia2. In alcuni momenti d’intensa attività, di grande attenzione, questo sentimento di continuo abbandono scompariva per ripresentarsi impassibile alla più breve occasione di silenzio o di introspezione: come un ronzio continuo all’orecchio, 10 come il battito di una pendola s’impongono quando tutto il resto tace; ed allora ci rendono sicuri che essi sono sempre stati lí, vigili, anche quando non li udivamo. In tutti gli altri momenti gli era sempre bastato un minimo di attenzione per avvertire il fruscio dei granelli di sabbia che sgusciavano via 15 lievi, degli attimi di tempo che evadevano dalla sua mente e lo lasciavano per sempre. La sensazione del resto non era, prima, legata ad alcun malessere. Anzi, questa impercettibile perdita di vitalità era la prova, la condizione, per così dire, della sensazione di vita; e per lui, avvezzo a scrutare spazi esteriori illimitati, a indagare vastissimi abissi interni3, es- 20 sa non era per nulla sgradevole: era quella di un continuo, minutissimo sgretolamento della personalità congiunto al presagio vago del riedificarsi altrove di una personalità (grazie a Dio) meno cosciente ma più larga4. Quei granellini di sabbia non andavano perduti, scomparivano ma si accumulavano chissà dove, per cementare una mole più duratura. 25 Mole, però, aveva riflettuto, non era la parola esatta, pesante come era; e granelli di sabbia, d’altronde, neppure. Erano più come delle particelle di vapor acqueo che esalassero da uno stagno costretto5, per andar su nel cielo a formare le grandi nubi leggere e libere. Talvolta era sorpreso che il serbatoio vitale potesse ancora contenere qualcosa dopo tanti 30 anni di perdite. “Neppure se fosse grande come una piramide”. Tal altra volta, più spesso, si era inorgoglito di esser quasi solo ad avvertire questa fuga continua, mentre attorno a lui nessuno sembrava sentire lo
2. Individua le immagini che nel corso del testo si sostituiscono al paragone iniziale per indicare l’imminenza e poi l’arrivo vero e proprio della morte. 3. In che senso la concezione della morte e dell’aldilà di don Fabrizio è diversa da quella delle sue figlie e in generale di chi ha vicino? – Quale sentimento provoca in lui questa distanza? □ Solitudine. □ Orgoglio. □ Vergogna. □ Paura. 4. Quale significato riveste nell’interpretazione complessiva del passo l’espressione del nipote Tancredi ricordata da don Fabrizio: «Tu zio corteggi la morte»?
2 il Novecento e oltre • QUADRO LINGUISTICO-LETTERARIO
Analisi I tratti del protagonista del romanzo evidenti anche da questa sola pagina ne fanno un personaggio antitetico rispetto agli eroi della narrativa neorealista che fino quasi alla metà degli anni Cinquanta costituiva il modello narrativo dominante. Il narratore, voce narrante onnisciente ed esterna, ma costantemente focalizzata sul protagonista, ne scandaglia con finezza la psicologia e le reazioni emotive. Il paesaggio stesso, sia quello che appare agli occhi di don Fabrizio dalla terrazza dell’albergo palermitano, sia quelli che gli si fanno incontro durante il lungo viaggio ricostruito in flash back, più che con tratti realistici, è rappresentato nelle risonanze che suscita nell’animo del protagonista, sostenendo il tema centrale dell’avanzata della morte.
stesso; e ne aveva tratto motivo di disprezzo per gli altri, come il soldato anziano disprezza il coscritto6 che si illude che le pallottole ronzanti intorno siano dei mosconi innocui. Queste son cose che, non si sa poi perché, non si confessano; si lascia che gli altri le intuiscano e nessuno intorno a lui le aveva intuite mai, nessuna delle figlie che sognavano un oltretomba identico a questa vita, completo di tutto, di magistratura, cuochi e conventi; non Stella7 che, divorata dalla cancrena del diabete, si era tuttavia aggrappata meschinamente a questa esistenza di pene. Forse solo Tancredi8 aveva per un attimo compreso, quando gli aveva detto con la sua ritrosa ironia: “Tu, zione, corteggi la morte9.” Adesso il corteggiamento era finito: la bella10 aveva detto il suo “sì,” la fuga decisa, lo scompartimento nel treno riservato. Perché adesso la faccenda era differente, del tutto diversa. Seduto su una poltrona, le gambe lunghissime avviluppate in una coperta, sul balcone dell’albergo Trinacria, sentiva che la vita usciva da lui a larghe ondate incalzanti, con un fragore spirituale paragonabile a quello della cascata del Reno. Era il mezzogiorno di un lunedì di fine luglio, ed il mare di Palermo, compatto, oleoso, inerte, si stendeva di fronte a lui, inverosimilmente immobile ed appiattito come un cane che si sforzasse di rendersi invisibile alle minacce del padrone; ma il sole immoto e perpendicolare stava lì sopra piantato a gambe larghe, e lo frustava senza pietà. Il silenzio era assoluto. Sotto l’altissima luce don Fabrizio non udiva altro suono che quello interiore della vita che erompeva via da lui. Era arrivato la mattina da Napoli, poche ore fa; vi si era recato per consultare il professore Sémmola. Accompagnato dalla quarantenne figlia Concetta, dal nipote Fabrizietto11, aveva compiuto un viaggio lugubre, lento come una cerimonia funebre. Il tramestio del porto alla partenza e quello dell’arrivo a Napoli, l’odore acre della cabina, il vocio incessante di quella città paranoica, lo avevano esasperato di quella esasperazione querula dei debolissimi, che li stanca e li prostra, che suscita l’esasperazione opposta dei buoni cristiani che hanno molti anni di vita nelle bisaccie12. Aveva preteso di ritornare per via di terra: decisione improvvisa che il medico aveva cercato di combattere; ma lui aveva insistito, e così imponente era ancora l’ombra del suo prestigio che l’aveva spuntata. Col risultato di dover poi rimanere trentasei ore rintanato in una scatola13 rovente, soffocato dal fumo nelle gallerie che si ripetevano come sogni febbrili, accecato dal sole nei tratti scoperti, espliciti come tristi realtà, umiliato dai cento bassi servizi che aveva dovuto richiedere al nipote spaurito. Si attraversavano paesaggi malefici, 6 coscritto: soldato di leva. 7 Stella: la moglie di don Fabrizio. 8 Tancredi: il nipote di don Fabrizio,
da lui prediletto. 9 “Tu... corteggi la morte”: si allude a una battuta pronunciata da Tancredi in precedenza (parte VI): poco prima della famosa scena del ballo tra il Principe e la bellissima Angelica, che andrà sposa a Tancredi, don Fabrizio era stato sorpreso dai due giovani mentre, appartato nella biblioteca del palazzo dove si svolgeva il ballo, stava contemplando una copia del qua140
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dro di Jean-Baptiste Greuze (1725-1805) intitolato La morte del giusto. Il nipote gli aveva chiesto: «Ma cosa stai guardando? Corteggi la morte?». 10 la bella: la morte (quando la morte raggiungerà don Fabrizio, gli si presenterà nell’aspetto di una bellissima donna). 11 Fabrizietto: il figlio di Paolo, primogenito di don Fabrizio. 12 molti anni di vita nelle bisaccie: molti anni ancora da vivere. 13 scatola: lo scompartimento del treno.
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giogaie maledette, pianure malariche e torpide; quei panorami calabresi e basilischi14 che a lui sembravano barbarici, mentre di fatto erano tali e quali quelli siciliani. La linea ferroviaria non era ancora compiuta: nel suo ultimo tratto vicino a Reggio faceva una larga svolta per Metaponto attraverso plaghe lunari che per scherno portavano i nomi atletici e voluttuosi di Crotone e di Sibari. A Messina poi, dopo il mendace15 sorriso dello Stretto subito sbugiardato dalle riarse colline peloritane, di nuovo una svolta, lunga come una crudele mora procedurale16. Si era discesi a Catania, ci si era arrampicati verso Castrogiovanni: la locomotiva annaspante su per i pendii favolosi sembrava dovesse crepare come un cavallo sforzato; e, dopo una discesa fragorosa, si era giunti a Palermo. All’arrivo le solite maschere di familiari con il dipinto sorriso di compiacimento per il buon esito del viaggio. Fu anzi dal sorriso consolatorio delle persone che lo aspettavano alla stazione, dal loro finto, e mal finto, aspetto rallegrato, che gli si rivelò il vero senso della diagnosi di Sémmola che a lui stesso aveva detto soltanto frasi rassicuranti; e fu allora, dopo esser sceso dal treno [...] fu allora che si fece udire il fragore della cascata17. 14 basilischi: della Basilicata, lucani. 15 mendace: menzognero (perché appena passato
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narrazione. b. □ Restituisce la profonda e complessa psicologia del protagonista. c. □ Spiazza il lettore con un effetto di straniamento. d. □ Ridimensiona il ruolo del narratore. 6. Individua i paragoni e gli ag-
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gettivi impiegati per la rappresentazione paesaggistica, quindi commentali. 7. A quali modelli letterari primo-novecenteschi puoi ricondurre il passo?
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Approfondimento
to di una procedura giuridica, rinvio, sospensione. 17 fu allora... della cascata: prima di svenire don Fabrizio avverte il fragore della vita, come una sonora cascata, che lo sta lasciando.
8. In un testo espositivo di circa 10 righe traccia un breve ritratto di don Fabrizio sulla base degli indizi forniti da questo brano.
Don Fabrizio Salina (Burt Lancaster nel film di Visconti) nella biblioteca del suo palazzo, davanti al dipinto di Jean-Baptiste Greuze, La morte del giusto. L’opera è più volte
citata nel romanzo con un preciso significato simbolico (→nota 9).
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1 La letteratura tra autonomia e impegno
lo Stretto si ripresenta un paesaggio riarso; le «colline peloritane» sono i monti Peloritani, nella Sicilia nord-orientale; sbugiardato: smentito). 16 mora procedurale: ritardo nell’adempimen-
5. Quali effetti produce la costante focalizzazione sul protagonista? a. □ Riduce il realismo della
Unità
2 La stagione
dello sperimentalismo e la neoavanguardia
1 Lo sperimentalismo radicale della neoavanguardia Il termine e i modelli ▪
2 Il Novecento e oltre • QUADRO LINGUISTICO-LETTERARIO
All’inizio degli anni Sessanta si afferma in Italia un vero e proprio movimento letterario di carattere sperimentale (l’ultimo dotato di una sua coesione e volontà programmatica condivisa) che si è autodefinito “neoavanguardia”. L’atto di nascita del movimento coincide con la formazione del Gruppo 63. L’etichetta “neoavanguardia” rimanda alle avanguardie che si erano sviluppate nel primo Novecento in Italia (il futurismo) e in Europa (il dadaismo, l’espressionismo e in seguito il surrealismo →V3aC9): ad esse la “nuova avanguardia” si ricollega in parte, per l’azione di rottura che intende svolgere (ma ben diverso è il contesto).
Un movimento di rottura • La neoavanguardia rinuncia agli intenti etico-politici propri della letteratura neorealista e alla prospettiva realista Assai significativo, già dal titolo provocatorio, è un saggio di Giorgio Manganelli, autore che si riconobbe inizialmente nella neoavanguardia: Letteratura come menzogna (→T⓫OL), con evidente contrapposizione alla letteraturaverità che sta alla base del realismo. La letteratura non è mai riproduzione sincera, è sempre artificio intellettuale. • Come già il futurismo, la neoavanguardia rifiuta una poesia e una narrativa incentrate sull’io: da qui la dura polemica verso Cassola e Bassani, sprezzantemente definiti dagli aderenti al Gruppo 63 «le Liale degli anni ’60» (Liala, pseudonimo di Amalia Cambiasi Negretti, era una notissima autrice di romanzi ‘rosa’). • La letteratura deve confrontarsi con la realtà del presente, percepita dalla neoavanguardia come caos: per analizzarla non bastano più i rigidi strumenti concettuali del marxismo, ma è necessario il sussidio di nuove, più sofisticate, discipline, come la linguistica, la psicoanalisi e le nuove teorie della comunicazione. Giuseppe Capogrossi, Superficie 324, 1959
(Collezione privata).
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Il rifiuto della tradizione e la centralità del linguaggio ▪ Allo stesso modo, per rappresentare una
realtà informe, caotica, non sono adeguate le forme © Casa Editrice G. Principato SpA
ON LINE SCHEDA
Tappe e pietre miliari della neoavanguardia
Biografia
Alberto Arbasino
Nasce a Voghera nel 1930. Fin dai suoi esordi Arbasino lavora soprattutto sul linguaggio, cercando di “reinventare” la “conversazione”, la “chiacchiera” salottiera così tipica della società e degli ambienti intel lettuali italiani per rivelarne impietosamente le convenzioni, le miserie. All’inizio degli anni Sessanta Arbasino aderisce al Gruppo 63 e proprio in quell’anno esce il suo romanzo-fiume Fratelli d’Italia, poi ampliato e riscritto fino all’edizione del 1993. Altri romanzi, anch’essi caratterizzati da riscritture successive, sono Super-Eliogabalo (1969), La bella di Lodi, 1972, Specchio delle mie brame (1974). Si tratta di una produzione sostanzialmente monocorde, il centro della quale rimane Fratelli d’Italia, peraltro opera di un’intera vita.
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Ricorrente è, nella vita e nella scrittura di Arbasino, il tema del viaggio, sviluppato soprattutto negli anni Novanta (Mekong, 1994 e Passeggiando tra i draghi addormentati, 1997). Nel tempo Arbasino ha intensificato la scrittura saggistica, passando da quella soprattutto letteraria (Parigi o cara, 1960, poi ripreso nel 1995, Certi romanzi del 1964, Grazie per le magnifiche rose, 1965) a quella di costume, assai congeniale allo scrittore lombardo (Fantasmi italiani, 1977, Un paese senza, 1980, fino ai più recenti Paesaggi italiani con zombi, 1998, lettura ironica, ma anche amara e risentita dei vizi capitali dell’Italia, in cui Arbasino rielabora suoi interventi giornalistici per il quotidiano «la Repubblica») e Ritratti italiani, 2014 (galleria di personaggi del Novecento culturale).
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2 La stagione dello sperimentalismo e la neoavanguardia
letterarie tradizionali: ne consegue il rifiuto di ogni genere e sottogenere codificato, ma soprattutto la scelta di uno scardinamento delle strutture linguistiche tradizionali. Attraverso usi provocatori del linguaggio la poesia della neoavanguardia (in genere ben più trasgressiva della prosa →C13U1), rappresenta e insieme denuncia un mondo dominato dall’inautenticità e dall’incomunicabilità, le cui contraddizioni sono rispecchiate da codici usurati e che possono essere fatte deflagrare proprio attraverso il linguaggio: ad esempio, si accumulano senza alcuna gerarchia oggetti e dettagli, si infrangono i nessi sintattici fino ad arrivare a forme di ‘parole in libertà’, si valorizza il significante a scapito del significato, si forzano i termini in modo espressionistico, si mescolano termini afferenti a campi diversi (da ambiti ipercolti a lingue straniere al linguaggio dei media). Il romanzo sperimentale o ‘anti-romanzo’ ▪ La neoavanguardia decreta la “morte” del romanzo tradizionale (in cui rientrano i romanzi del neorealismo ma anche quelli, considerati ancora troppo naturalistici, di Pasolini) e teorizza il romanzo sperimentale o ‘anti-romanzo’. Nel 1965 si svolse a Palermo un convegno dedicato a questo tema, che teneva conto di testi già pubblicati di carattere sperimentale, ma importante è anche la lezione di Gadda (proprio nel 1963 esce in volume La cognizione del dolore), che la neoavanguardia considera un modello a cui guardare, anche per l’ardito plurilinguismo che caratterizza il romanzo dello scrittore milanese. Il romanzo sperimentale presuppone l’abbandono dell’intreccio lineare a favore di strutture aperte (ne è evidente esempio il romanzo-fiume Fratelli d’Italia [1963] di Arbasino →T⓭bOL), l’adozione di prospettive straniate, degradate, a volte oniriche, che già di per sé comportano l’infrazione della coerenza della narrazione (come si può notare già in Capriccio italiano di Sanguineti del 1963 e in seguito nel Serpente di Luigi Malerba del 1966 →⓭a), la contaminazione di forme diverse di narrazione e prosa saggistica (Hilarotragoedia di Manganelli, 1964), il rifiuto di un approccio di tipo psicologico e di personaggi rispondenti a tipologie Testi ON LINE tradizionali, per dare spazio, come nel nouveau ro12 Una definizione provocatoria man, spesso nominato come modello, a una registradi letteratura Giorgio Manganelli_La letteratura zione oggettiva di ambienti, oggetti, eventi, osservati come menzogna con uno sguardo impersonale (→⓭c).
Fratelli d’Italia
Un’opera ‘aperta’ ▪
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Fratelli d’Italia è considerato il capolavoro di Arbasino ed è l’opera di tutta una vita. Il romanzo è stato infatti pubblicato la prima volta nel 1963, poi riscritto e ampliato nel 1976 e infine riedito trent’anni dopo (1993) triplicato (le pagine arrivano a 1372), nell’idea che solo la metamorfosi del romanzo stesso, a cui l’autore aggiunge via via nuove pagine (tagliandone e rielaborandone altre), possa rispecchiare il cambiamento della società. Per questo carattere non definitivo del romanzo, Fratelli d’Italia, nata come opera d’avanguardia, diventa anche una delle testimonianze più emblematiche del postmoderno (→U3). Un ironico ritratto dell’Italia degli anni Sessanta ▪ Centrale nel romanzo di Arbasino è il ritratto della società italiana degli anni Sessanta, con uno sguardo rivolto soprattutto alle classi sociali altoborghesi, in netta contrapposizione con la centralità delle classi popolari propria del neorealismo: circolano nell’universo caleidoscopico del romanzo monsignori, dame della buona società, esponenti della grande borghesia, giovani intellettuali alla ricerca spasmodica del successo e della promozione sociale ritratti con ironia. Sullo sfondo c’è la Roma cosmopolita e insieme provinciale degli anni Sessanta. Lo schema del viaggio ▪ Il romanzo è strutturato sullo schema del viaggio, tradizionale nella narrativa: quattro giovani intellettuali si ritrovano con l’intenzione di fare un film insieme. Si mettono così alla ricerca di spunti per realizzarlo e vivono una frenetica estate in corsa da un’occasione mondana all’altra da Roma a Venezia, da Capri a Mantova (ma con puntate anche a Amsterdam, Zurigo e Londra). Un romanzo sperimentale ▪ Nel romanzo non c’è un intreccio, né un protagonista: il narratore è infatti un personaggio per certi versi secondario e le considerazioni più significative (anche a livello culturale o letterario) appartengono ad altri personaggi. Prerogativa fondamentale, che riconduce il romanzo alla neoavanguardia, è la centralità del linguaggio: Arbasino lavora alla realizzazione di una lingua sperimentale, che ha richiamato, come detto, il pastiche di Gadda (di cui Arbasino è grande ammiratore): lo scrittore elabora con straordinaria abilità un impasto linguistico in cui si mescolano continuamente espressioni gergali, parole straniere, lingua colloquiale e lingua colta, come si può notare anche nel passo proposto (→T⓭bOL). Scheda
Un modello di riferimento: il Nouveau roman e l’école du regard L’école du regard (“La scuola dello sguardo”) è una corrente letteraria che si afferma in Francia negli anni Cinquanta e che ha dato vita a una forma sperimentale di romanzo: il nouveau roman, “il nuovo romanzo” che si sviluppa dalla metà degli anni Cinquanta agli anni Sessanta. Ne sono esponenti principali Alain Robbe-Grillet (19222008), Michel Butor (1926) e Nathalie Sarraute (1900-1999). È Robbe-Grillet ad averne teorizzato con più lucidità i principi nella serie di saggi poi raccolti con il titolo Per un nuovo romanzo
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(1963). Secondo Robbe-Grillet il narratore non deve più esprimere la propria soggettività ma deve ridursi a puro ‘sguardo’, limitandosi a registrare e descrivere in modo impassibile – come una macchina da presa o un obiettivo fotografico – gli oggetti, gli eventi, le figure (ridotte a serie di gesti) che entrano nel suo campo visivo. La registrazione dell’oggetto non rispetta alcuna gerarchia tra cose o persone, e allo stesso modo la descrizione rimane impersonale, sempre uguale, senza mutamenti di tono o inflessioni soggettive. Robbe-Grillet sarà anche sceneggiatore nell’enigmatico film di Alain Resnais
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Un fotogramma dal film L’anno scorso a Marienbad di Resnais.
L’anno scorso a Marienbad (1961) e negli anni successivi sceglierà la regia cinematografica come campo elettivo di azione, coerentemente con l’adozione di una “poetica dello sguardo”.
Testo
13 Avanguardia e anti-romanzo a. Un serpente si è insinuato nel mio corpo Luigi Malerba_Il serpente, cap. 6
L. Malerba, Il serpente, Bompiani, Milano 1979
Ragioniamo. So che non è probabile. Ma è possibile. Dovrei riuscire a escludere la possibilità, ma c’è un solo modo e è un modo impossibile. Perché Baldasseroni e Miriam1 non si incontrino dovrei sopprimere uno dei due, ma ringoio subito questo pensiero. Ammettiamo pure che Baldasseroni non l’abbia nemmeno vista uscire dal negozio, ammettiamo che non sappia nemmeno della sua esistenza. Non può forse averla incontrata in un altro luogo? Può averla incontrata in un bar, in una tabaccheria, per la strada. Come si incontrano le donne? Si incontrano quasi sempre per caso. Come l’ho incontrata io? L’ho incontrata per caso nella palestra di Furio Stella. Tutto quello che è avvenuto fra Miriam e me può ripetersi fra Miriam e Baldasseroni. Se non è ancora il suo amante può diventarlo, domani, oggi stesso. In questo momento mentre io cammino per il Lungotevere sotto la pioggia, forse Baldasseroni offre il suo ombrello a Miriam in una strada qualsiasi di Roma. Ecco, salgono sulla sua automobile. Si è offerto di accompagnarla a casa e lei ha accettato. Fa un lungo giro, dice che conviene la Strada Olimpica2, l’Acqua Acetosa, si ferma in una laterale buia. Eccoli al buio dentro l’automobile ferma. Il luogo è deserto, naturalmente. Baldasseroni si sente al sicuro. Ecco, lo vedo, si china su di lei. Lei si distende, si sistema sul sedile per corrispondere ai suoi desideri. La macchina ha dei sobbalzi... Un serpente si è insinuato nel mio corpo, cammina, morde ora qui ora là. Mi fermo a ascoltare il dolore, non riesco a localizzarlo. Piove, ripiove, smette di piovere. Cammino verso il negozio ma so già che non potrò fermarmi al chiuso. Ho bisogno di aria, non mi basta questa che ho intorno. Mi pare di avere una gamba piú pesante dell’altra, me la trascino dietro a fatica, mi sembra che dovrei sollevare i piedi con le mani per camminare. Adesso è un braccio, e poi la testa che diventa gigantesca come le teste del carnevale di Viareggio. Mi sento ridicolo, devo correre a rifugiarmi in un portone, non oserò passare in via Arenula dove tutti mi conoscono. Eppure devo raggiungere il negozio, nascondermi. Cerco di camminare normalmente in mezzo alla gente ma sento delle risate. Ridono di me. Poco alla volta riacquisto la mia tranquillità, ma ho bisogno di sedermi, di riposare prima di arrivare al negozio. Non ci sono tavolini all’aperto con questo tempo e non oso entrare in un bar. Ecco, mi sembra di vedere Miriam là in fondo alla strada. È lei. Cammina in fretta con la testa bassa per non dare nell’occhio. Va a un appuntamento con Baldasseroni. La inseguo correndo, la afferro per un braccio. Non è lei, mi sono confuso e mi scuso tanto. La pioggia ha lavato l’aria. Si respira meglio, milioni di miliardi di microbi e di particelle sospese nell’aria sono precipitati con la pioggia, sono finiti nelle fogne della città, stanno camminando verso le cloache del Tevere, arriveranno al mare entro due o tre ore. Bisogna approfittare di questi lavaggi naturali della pioggia per respirare, ma già le macchine incominciano a sporcare l’aria un’altra volta, già i pedoni aspirano aria buona per mettere in circolazione milioni di miliardi di microbi. Fra poco tutto sarà come prima, il catrame, la nafta, i microbi. Sono già avvelenato. © Casa Editrice G. Principato SpA
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Baldasseroni e Miriam: il primo è un cliente del negozio di francobolli gestito dal protagonista e la seconda è la ragazza di cui egli è innamorato. 2 la strada Olimpica: strada di Roma, nella zona del Foro Italico e dello Stadio Olimpico, prosecuzione dalla Tangenziale Est; seguono altri riferimenti topografici della capitale (l’Acqua Acetosa, via Arenula, Piazzale Flaminio). 1
Da Il serpente (1966), romanzo sperimentale di grande interesse, frutto dell’adesione dell’autore al Gruppo 63, è tratto questo brano, che ne esemplifica le caratteristiche più generali: nel monologo dissociato del protagonista si accumulano interpretazioni e ipotesi. Nella prospettiva visionaria che caratterizza l’intero romanzo, il confine tra realtà e allucinazione è continuamente infranto. Il protagonista-narratore immagina che Miriam, la ragazza che ama, possa tradirlo con un suo cliente (il narratore ha un negozio di francobolli), ma le sue tortuose elucubrazioni in proposito non possono non lasciare perplesso il lettore.
3 la mia Beretta... allungata: si tratta di un tipo di pistola.
Aspetto Baldasseroni al portone di casa sua. Ho in tasca la mia Beretta canna allungata3 ma non la userò. Dalle otto del mattino a mezzogiorno, da mezzogiorno alle tre, dalle tre alle sette. Alle sette Baldasseroni esce. Sicuramente va a un appuntamento con Miriam. Ha un’aria felice, il maledetto. Lo seguo rasentando i muri per non farmi vedere, ma anche per appoggiarmi perché ho dei capogiri. Non assaggio cibo da ieri sera. Ho ancora la sensazione di camminare con le gambe di un altro, anche le braccia e tutto il resto del corpo è come se appartenessero a un estraneo. Devo guidarmi come si guida una automobile, a destra, a sinistra. Ho bisogno di fissarmi su cose obiettivamente reali, la facciata di una chiesa, un albero, una colonna. Sono piú che mai in preda alle furie. Non ho scoperto niente. Ha comprato un giornale a Piazzale Flaminio e poi è ritornato a casa come una talpa. Forse forse ha rimandato l’appuntamento a domani, o ha passato la giornata al telefono. C’è gente che fa l’amore al telefono.
Il serpente
2 Il Novecento e oltre • QUADRO LINGUISTICO-LETTERARIO
Il romanzo – se tale si può definire – è interamente costruito sul monologo allucinato del protagonista di cui non si conosce il nome. Al corpo della narrazione si aggiungono degli inserti in corsivo che non hanno, almeno a prima vista, uno stretto legame con la vicenda. Il titolo allude alla nevrosi dell’io narrante, che funge da prospettiva dominante dell’intera narrazione, strutturata secondo il copione del romanzo giallo. Il narratore ha un negozio di filatelia e conduce una
vita solitaria. A un certo punto inizia a seguire delle lezioni di canto presso un certo Furio Stella. Là dice di aver conosciuto una ragazza, Miriam, con cui intreccia una relazione. Ma presto diventa preda della gelosia, che si insinua dentro di lui come un serpente, in particolare nei confronti di un suo cliente, Baldasseroni. Sempre più geloso, costringe Miriam a una visita radiologica per cercare tracce che provino l’avvenuto adulterio con Baldasseroni. La ragazza scompare e il protagonista si lascia sempre più andare, respingendo i clienti con la stranezza dei suoi comportamenti. Ma un giorno Miriam
Guida alla lettura
ricompare: nel retrobottega del negozio beve un bicchiere d’acqua contenente del cianuro e muore; a questo punto il commerciante di francobolli decide di mangiarsela, come fanno le tribù di cannibali. Inizia a essere perseguitato dall’immagine e dalla voce di Miriam, finché decide di costituirsi, ma il brigadiere non riesce a stendere un verbale perché il discorso dell’uomo è confuso e non c’è alcuna prova del delitto, né dell’esistenza stessa di Miriam, di cui nessuno ha denunciato la scomparsa. Il brigadiere invita allora il presunto omicida a stendere un memoriale, ma egli non riesce a portarlo a termine.
Il passo è incentrato sulla possibilità che la misteriosa Miriam tradisca il protagonista con il signor Baldasseroni, un suo cliente e amico. La scarsa plausibilità della cosa è resa all’inizio del passo dalla significativa oscillazione dei tre aggettivi possibile/ probabile/impossibile: «So che non è probabile. Ma è possibile. Dovrei riuscire a escludere la possibilità, ma [...] è un modo impossibile». Un’alternanza che introduce un elemento dominante nell’intero romanzo: ciò che “avviene”, avviene esclusivamente nella mente contorta e disturbata del narratore-protagonista, il che conferisce tratti di labilità all’intera narrazione, la cui credibilità è radicalmente inficiata dall’inattendibilità palese del narratore. Il soliloquio dell’‘io narrante’ ▪ Quanto leggiamo non solo in questo passo ma nell’intero romanzo è un soliloquio che l’autore conduce con grande abilità, senza “cadute” della tensione, dall’inizio alla fine del romanzo. È all’interno dell’universo mentale del protagonista che si svolgono i “fatti” ma forse i fatti stessi non esistono, come sembra di capire nel caso del tradimento presunto di Miriam, e tutto ciò che esiste si svolge esclusivamente dentro la mente del narratore. La metafora del “serpente” ▪ Ciò che viene ritratto è in realtà il volto inquietante di una psicosi maniacale, che l’autore riesce a riprodurre con straordinaria efficacia e che diventa prospettiva centrale della narrazione con tutte le conseguenze che ne derivano. Il “serpente” che si è insinuato nel corpo nel protagonista, come egli asserisce, è la psicosi maniacale: il “serpente” altera, come avviene appunto nelle psicosi, la percezione del sé (la la testa «diventa gigantesca come le teste del carnevale di Viareggio»), arrivando a produrre una vera e propria spersonalizzazione (rr. 43-44), proietta il fantasma di Miriam su altre persone che Miriam non sono, induce il protagonista a vedersi perseguitato dall’irrisione degli altri, lo spinge a spiare il rivale addirittura per un’intera giornata (ammesso che la scansione temporale sia reale). Nel romanzo di Malerba, il “serpente” diventa anche metafora di una narrazione oscillante, avvolgente, a spirale, propria del romanzo. Un narratore palesemente inattendibile ▪
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Attività sul testo Abilità: comprendere e analizzare
1. Il contenuto Presenta sinteticamente il contenuto del testo (max 10 righe). 2. Il romanzo giallo Individua gli elementi che possono essere ricondotti al genere del romanzo giallo. 3. Le manifestazioni dell’ossessione del protagonista-narratore Individua ed elenca le diverse manifestazioni dell’ossessione di cui è vittima il protagonista-narratore. 4. La sintassi La sintassi è a. □ ipotattica. b. □ paratattica. c. □ ellittica. – Che rapporto ha questa scelta con la tematica trattata?
5. L’uso del presente Per quale motivo il tempo verbale adottato in prevalenza è il presente? Esercitare le competenze
6. Illustrare gli aspetti del testo riconducibili alla neoavanguardia Spiega in un testo di 15 righe al massimo per quali aspetti si può ricondurre quest’opera al clima e al dibattito della neoavanguardia.
d. □ involuta.
Testi ON LINE
13 b I salotti romani degli anni Sessanta Alberto Arbasino_Fratelli d’Italia
Biografia
Luigi Malerba
di sostanziale continuità con queste esperienze, anche se lo sperimentalismo risulta meno radicale, si colloca il romanzo Il pianeta azzurro (1986). Autore ricco e versatile, Malerba muta nel tempo anche in modo considerevole i suoi interessi e le sue modalità narrative: un medioevo “carnevalesco” è al centro de Il pataffio (1978), in cui lo scrittore usa un impasto linguistico maccheronico (dialetto laziale, latino, italiano antico); Il fuoco greco (1990) e Le maschere (1995) si iscrivono invece nel filone del romanzo cosiddetto “neostorico”. Nell’Italia contemporanea è ambientato il romanzo Le pietre volanti (1992). Del 1997 è una rivisitazione post-moderna del mito di Ulisse: Itaca per sempre.
2 La stagione dello sperimentalismo e la neoavanguardia
Luigi Malerba (pseudonimo di Luigi Bonardi, Parma 1927 – Roma 2008), inizialmente sceneggiatore cinematografico e giornalista, esordisce come scrittore nel 1963 con una raccolta di racconti, La scoperta dell’alfabeto, a cui seguono due romanzi ambientati a Roma, riconducibili all’area della neoavanguardia, per la dissoluzione delle strutture narrative che deriva dall’adozione di una prospettiva visionaria e straniata: Il serpente (1966) e Salto mortale (1968). A differenza di altri scrittori della neoavanguardia, Malerba mantiene però sempre un contatto comunicativo con il lettore che rende anche questi romanzi, di carattere volutamente sperimentale, leggibili e anche godibili. Su una linea
Testo
13 c. Delitto mancato
Giuseppe Pontiggia_L’arte della fuga, Sequenza nona. Il sosia
G. Pontiggia, L’arte della fuga, Adelphi, Milano 1968
1 la piazza ... nell’agonia: la piazza non sfuma davanti agli occhi dell’agonizzante negli ultimi momenti di vita (proprio perché nessuno viene in realtà ucciso).
Questo è uno dei microracconti inseriti in una delle Sequenze dell’Arte della fuga (1968). Si tratta di brevi testi a loro modo autonomi che testimoniano la volontà sperimentale del primo Pontiggia, in linea con la contestazione del romanzo tradizionale propria della neoavanguardia.
Delitto mancato L’assassino arrivò in ritardo al luogo del delitto: la vittima non si accasciò sul marciapiede, la folla non fuggì dentro i negozi, l’aggressore non fu inseguito per la strada, il cassiere non si precipitò a fermarlo, la piazza non vacillò nell’agonia1: la donna chiuse le griglie sul tramonto, il cassiere rimase dietro il vetro, il turista fotografò i piccioni in volo, la vittima continuò a bere un aperitivo e a fissare i passanti senza vederli.
Attività sul testo Abilità: comprendere e analizzare
1. Una struttura “geometrica” Spiega ed esemplifica perché si può affermare che il testo ha una struttura “geometrica”.
Testi ON LINE
14 Un linguaggio sperimentale per un antieroe picaresco
Gianni Celati_Le avventure di Guizzardi
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L’arte della fuga
L’arte della fuga, uscito nel 1968 (e successivamente, ampliato e rivisto, nel 1990) è il libro di Pontiggia più vicino alle posizioni della neoavanguardia.
Come l’autore stesso afferma, il titolo rimanda a una partitura musicale fatta di variazioni sul tema (celebre in particolare è L’arte della fuga di Bach). Il romanzo è costituito da diciannove sequenze titolate, ognuna delle quali ospita un certo numero di frammenti narrativi (ma alcuni sembrano poetici) titolati, che rimandano al tema principale non attraverso nessi logici espliciti ma attraverso una rete di associazioni analogiche.
Manca totalmente nell’opera un intreccio, anche se si allude enigmaticamente a un presunto delitto; i personaggi (se tali si possono chiamare) sono del tutto privi di un’identità socio-psicologica. Il narratore in terza persona non fa alcun commento, non fa trasparire alcuna partecipazione o giudizio: la narrazione, in modo analogo al nouveau roman, è freddamente impersonale, rigorosamente oggettiva.
Giuseppe Pontiggia (Como 1934 – Milano 2003), dopo aver lavorato a lungo in banca, si dedica alla letteratura, anche in qualità di consulente di alcune case editrici. La prima opera narrativa è La morte in banca (1959, ripubblicato nel 1979 con l’aggiunta di sedici racconti). Poi, influenzato dal Gruppo 63, scrive il romanzo sperimentale L’arte della fuga (1968). I romanzi successivi – Il giocatore invisibile (1978), Il
raggio d’ombra (1983), La grande sera (1989, a cui segue una 2a edizione nel 1995) – hanno strutture più tradizionali. Nel 1993 pubblica Vite di uomini non illustri, raccolta di biografie di uomini e donne “comuni” di cui sono rievocate le esperienze e gli episodi che hanno reso la vita di ciascuno di essi memorabile; alla vicenda del grave handicap motorio del figlio è dedicato Nati due volte (2002).
Biografia
Giuseppe Pontiggia
2 Il Novecento e oltre • QUADRO LINGUISTICO-LETTERARIO
2 L’impegno civile di Sciascia, una voce controcorrente
Leonardo Sciascia
L’opera dello scrittore siciliano Leonardo Sciascia (1921-1989) prende le mosse nei primi anni Sessanta, ma rimane del tutto autonoma dalle tendenze letterarie che vedono l’affermazione della neoavanguardia di cui rifiuta lo sperimentalismo in nome della fedeltà a un ideale “civile” di letteratura che ha come compito l’indagine critica del potere, lo smascheramento delle oscure trame della politica. Un compito affidato a una scrittura limpidamente razionale, sostenuta da una rigorosa struttura argomentativa. Nato a Racalmuto (Agrigento) nel 1921, Sciascia per alcuni anni insegna come maestro elementare nel suo paese; nel 1959 abbandona l’insegnamento per lavorare come impiegato statale (prima a Caltanissetta poi a Palermo). Dal 1975 è consigliere comunale a Palermo come indipendente nelle liste del Pci, ma si dimette nel 1977 per disaccordi con il partito. Dal 1979 al 1983 è deputato in parlamento nelle file del partito radicale (fa parte della commissione d’inchiesta sul caso Moro, 1978). Muore a Palermo nel 1989. Sciascia incarna una figura di intellettuale severa e coerente. Militante nella sinistra, non accetta però di seguire nessuna direttiva di partito, ma si riserva sempre il diritto di opinione e di critica: lo eserciterà in modo inflessibile prima nei confronti del “compromesso storico”, quindi della condotta dello Stato di fronte al rapimento di Moro, e persino della commissione antimafia, suscitando perplessità e critiche aspre per le sue posizioni controcorrente. 148
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La Sicilia come osservatorio e come metafora ▪ L’opera di Sciascia è imprescindibile
ON LINE VIDEO
Andrea Camilleri racconta Leonardo Sciascia
Il giorno della civetta Un libro scottante ▪ Pubblicato nel 1961, Il giorno della civetta per il tema trattato (la denuncia del potere mafioso e dei suoi legami con il potere politico) suscitò molto scalpore, dato che ancora non si parlava apertamente, e men che meno in un romanzo, di mafia (la Commissione antimafia sarà istituita nel 1963). Il titolo, a prima vista del tutto enigmatico, è tratto dal dramma di Shakespeare Enrico VI, come svela la citazione posta in epigrafe: «... come la civetta quando / di giorno com© Casa Editrice G. Principato SpA
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2 La stagione dello sperimentalismo e la neoavanguardia
dalla sua terra d’origine, la Sicilia, a cui riserva primaria attenzione nei suoi numerosi testi saggistici e da cui la sua narrativa prende le mosse: da Le parrocchie di Regalpetra (1956) ai racconti Gli zii di Sicilia (1958), al celebre Il giorno della civetta (1961) e A ciascuno il suo (1966), romanzi questi ultimi nei quali emerge per la prima volta in ambito letterario, e viene portato all’attenzione dell’opinione pubblica, il tema della mafia. Legati alla Sicilia sono anche il romanzo storico Il consiglio d’Egitto (1963), ambientato nel Settecento, il saggio storico Morte dell’inquisitore, ambientato nel Seicento (1964), I pugnalatori (1976) che fa riferimento a eventi accaduti a Palermo nel 1862. Per Sciascia ciò che si verifica in Sicilia costituisce un paradigma delle tendenze negative dell’intero paese e forse addirittura delle costituzionali inclinazioni della natura umana. Nel 1979 Sciascia detta a una giornalista francese, Marcelle Padovani, un’intervista dal significativo titolo La Sicilia come metafora. L’uso del genere giallo-poliziesco per indagare i lati oscuri della politica ▪ Verso l’inizio degli anni Settanta Sciascia amplia lo sguardo alla realtà italiana, in un momento storico drammatico della vita del paese (che vede nel ’69 la strage di Piazza Fontana, nel ’74 le stragi di Brescia e di Bologna). Assumendo il ruolo di una sorta di detective politico, Sciascia indaga i lati oscuri della politica italiana in romanzi-inchiesta ispirati al giallo, al poliziesco: Il contesto (1971), che lo scrittore definisce «un apologo sul potere nel mondo», e Todo modo (1974). Del giallo o del racconto poliziesco sono presenti nei due romanzi gli ingredienti fondamentali: i delitti e la figura dell’inquirente (che è in genere un po’ un intellettuale, dietro cui si intravede l’autore stesso. A differenza però del racconto poliziesco, qui non c’è una soluzione gratificante per il lettore: i colpevoli non vengono assicurati alla giustizia. Le “inchieste” vere proprie ▪ La forma romanzesca è addirittura annullata per lasciar parlare i fatti nell’inchiesta La scomparsa di Majorana (1975), che formula inquietanti ipotesi sulla scomparsa del fisico Ettore Majorana e nel vero e proprio pamphlet L’affaire Moro (1978), che prende spunto dalle lettere scritte dal leader democristiano Aldo Moro prigioniero delle Brigate Rosse (e poi giustiziato). L’allusione all’“affaire Dreyfus”, che vide il coraggioso J’accuse di Emile Zola (→V3aC2U2), sembra far riferimento implicitamente alla necessità per l’intellettuale di schierarsi, di prendere aperta posizione. Seguono inchieste storiche come La strega e il capitano (1986) e Porte aperte (1987) sul tema della pena di morte, a testimonianza dell’ininterrotta vocazione di Sciascia all’indagine documentaria. Un illuminista disincantato ▪ L’interesse costante al tema della giustizia (e dell’ingiustizia), la fiducia nel metodo razionale fanno di Sciascia un neo-illuminista (non è un caso che riprenda il romanzo filosofico di Voltaire in Candido ovvero Un sogno fatto in Sicilia, 1977), ma manca allo scrittore siciliano la fiducia ottimistica che la verità e i valori positivi possano trionfare. Al contrario, le sue opere testimoniano sempre la sconfitta della ragione e della giustizia (è significativo che nei gialli-polizieschi l’inquirente venga sempre sconfitto o addirittura ucciso, come in A ciascuno il suo, Il contesto e Il cavaliere e la morte, 1988).
Leonardo Sciascia
nel 1964 (ph. Ferdinando Scianna).
2 Il Novecento e oltre • QUADRO LINGUISTICO-LETTERARIO
Testo
pare». Sciascia ha inteso alludere alla trasformazione della mafia, abituata a operare di nascosto (la civetta è uccello notturno), ma uscita sempre più arditamente allo scoperto grazie alle coperture del potere politico. Qualche anno dopo (1968) un film di Damiani, con Franco Nero nel ruolo del protagonista, suggellò ulteriormente la notorietà del libro. La vicenda ▪ Il capitano dei carabinieri Bellodi, inviato da Parma in Sicilia, si trova a indagare sull’omicidio di un piccolo imprenditore edile, freddato a fucilate mentre stava per salire su un autobus. Immediatamente il capitano ha modo di constatare il muro di omertà dietro cui si trincerano gli abitanti del paese che hanno assistito all’omicidio. Successivamente scompare (e verrà trovato morto) un agricoltore, che si è imbattuto nel sicario e l’ha riconosciuto. Una lettera anonima e la confessione di un delinquente comune, abituale confidente della polizia (che pure verrà assassinato), inducono Bellodi a seguire la pista del delitto di mafia, collegato al controllo degli appalti: una pista che lo porta ad arrestare come mandante degli omicidi don Mariano Arena, un potente capomafia locale, a sua volta legato a esponenti del potere politico. Le indagini di Bellodi, che minacciano di risalire ancor più a monte coinvolgendo potenti personaggi politici, suscitano sempre più preoccupazione. Ma tutto alla fine viene rimesso a posto, l’ipotesi accusatoria viene smontata: al sicario è costruito un alibi, per l’omicidio del testimone scomodo è imboccata la pista alternativa, e più rassicurante, del delitto passionale (la moglie del morto aveva un amante). L’appassionata inchiesta di Bellodi è così vanificata. PASSO DOPO PASSO
15 La mafia, «... Una voce nell’aria...» Leonardo Sciascia_Il giorno della civetta
Il giorno della civetta, Adelphi, Milano 1993
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Nel Giorno della civetta alla narrazione condotta in terza persona, si alternano inserti dialogici molto efficaci, alcuni dei quali, come nel testo proposto, particolarmente rilevanti per definire il messaggio del romanzo. Gli interlocutori non sono sempre palesati dall’autore. Spetta perciò al lettore, dal tono complessivo e dagli indizi che può trarre dalle parole scambiate, risalire all’identità dei parlanti. In questo dialogo si confrontano un ufficiale dei carabinieri e un notabile del luogo in seguito al recente arresto di don Mariano, un potente capomafia, su mandato del capitano Bellodi. Il dialogo sconfina ben presto sul tema scottante dell’esistenza della mafia, negata dall’illustre personaggio e sostenuta invece (ma alquanto debolmente...) dal carabiniere.
«Non capisco, proprio non capisco: un uomo come don Mariano Arena, un galantuomo1: tutto casa e parrocchia; e in età, poveretto, con tanti malanni addosso, tante croci... E lo arrestano come un delinquente mentre, permettetemi di dirlo, tanti delinquenti se la spassano sotto gli occhi nostri, vostri potrei dire meglio: ma so quanto, voi personalmente, tentate di fare, e apprezzo moltissimo il vostro lavoro, anche se non tocca a me apprezzarlo nel giusto merito...». «Grazie: ma facciamo, tutti, il possibile». 1 un galantuomo: una persona per bene e rispettabile. Il termine in Sicilia ha anche una connotazione sociale: galantuomini sono i possidenti, la classe
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dirigente (si veda ad es. la novella Libertà di Verga →V3aC5T⓯OL).
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Ritratto di un «galantuomo» L’illustre personaggio che parla con il carabiniere traccia di don Mariano un ritratto “rovesciato”: nella sua ottica un pericoloso capomafia diventa un modello di specchiata onestà («un galantuomo... una casa onorata... un povero cristiano...»), vittima di un accanimento giudiziario particolarmente deprecabile, essendo egli anziano e malandato.
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2 qui il famoso... sangue: si allude alla dura repressione della mafia da parte del prefetto Cesare Mori, soprannominato “il prefetto di ferro”, inviato in Sicilia da Mussolini negli anni Venti del secolo scorso. 3 canea: chiasso, confusione. 4 coglieva... maturi: coglieva frutti ancora acerbi e frutti maturi, senza distinzione; fuor di
Il fascismo e la canea democratica Nel discorso del notabile ricorre nuovamente il rovesciamento: una delle rare scelte positive del fascismo (il tentativo cioè di reprimere con durezza il fenomeno mafioso) diventa un arbitrio, commesso da un regime verso cui il personaggio mostra palese simpatia. Per contro, la democrazia, definita con sprezzo canea, ha solo lati negativi.
Un’omelia in codice mafioso Il rinnovato elogio di don Mariano, condotto con sapienza retorica, sembra pronunciato da un uomo di Chiesa poiché celebra, con un’eloquenza e un lessico quasi da pulpito, le indiscusse (?) qualità morali dell’oscuro personaggio («onestà... amore del prossimo... saggezza... purezza del cuore»). Forse memore dell’andamento di alcuni celebri dialoghi manzoniani (Manzoni è autore ben presente a Sciascia), come quello tra il cardinale Federigo e don Abbondio, Sciascia costruisce un capolavoro di ironia e al contempo una testimonianza eloquente del codice mafioso.
metafora, come si capisce anche dopo, “colpiva colpevoli e innocenti”. 5 che ci sia... nessun lo sa: celebre verso del Metastasio (dal Demetrio), ripreso nel libretto di Lorenzo da Ponte per Così fan tutte di Mozart. 6 Vittorio Emanuele Orlando: politico e giurista siciliano, esperto di diritto costituzionale (1860-1952). © Casa Editrice G. Principato SpA
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2 La stagione dello sperimentalismo e la neoavanguardia
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«E no, lasciatemelo dire... Quando di notte si va a bussare ad una casa onorata, sì: onorata, e si tira dal letto un povero cristiano, vecchio e sofferente per giunta, e lo si trascina in carcere come un malfattore, gettando nella costernazione e nell’angoscia una famiglia intera: e no, questa non è cosa, non dico umana, ma, lasciatemelo dire, giusta...». «Ma ci sono dei sospetti fondati che...». «Dove e come fondati? Uno perde il senno, vi manda un biglietto col mio nome scritto sopra: e voi venite qui, nel cuore della notte e, così vecchio come sono, senza considerazione per il mio passato di galantuomo, mi trascinate in galera come niente». «Veramente, nel passato dell’Arena qualche macchia c’è...». «Macchia?... Amico mio, lasciatemelo dire, da siciliano e da uomo quale sono, se per quello che sono merito un po’ della vostra fiducia: qui il famoso Mori ha spremuto lacrime e sangue2... È stata una di quelle cose del fascismo che, per carità, è meglio non toccare: e guardate che io del fascismo non sono un detrattore, certi giornali mi chiamano addirittura fascista... E forse che nel fascismo non c’era del buono? C’era, e come... Questa canea3 che chiamano libertà, queste manciate di fango che volano nell’aria a colpire anche le vesti più immacolate, i sentimenti più puri... Lasciamo andare... Mori, come vi dicevo, è stato qui un flagello di Dio: passava e coglieva, come qui si suol dire, duri e maturi4; chi c’entrava e chi non c’entrava, birbanti e galantuomini, a fantasia sua e di chi gli faceva le spiate... È stata una sofferenza, amico mio, e per la Sicilia intera... Ora voi venite a parlarmi della macchia. Quale macchia? Se conosceste, come io lo conosco, don Mariano Arena, voi non parlereste di macchie: un uomo, lasciatemelo dire, come ce ne sono pochi: non dico per integrità di fede, che a voi, non voglio considerare se giustamente o meno, può anche non interessare; ma per onestà, per amore del prossimo, per saggezza... Un uomo eccezionale, vi assicuro: tanto più se si pensa che è sprovvisto di istruzione, di cultura... Ma voi sapete quanto più della cultura valga la purezza del cuore... Ora prendere un uomo simile come un malfattore è cosa che, lasciatemelo dire con la mia sincerità di sempre, mi fa pensare per l’appunto ai tempi di Mori...». «Ma dalla voce pubblica l’Arena è indicato come capo mafia». «La voce pubblica... Ma che cos’è la voce pubblica? Una voce nell’aria, una voce dell’aria: e porta la calunnia, la diffamazione, la vendetta vile... E poi: che cos’è la mafia?... Una voce anche la mafia: che ci sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa5... Voce, voce che vaga: e rintrona le teste deboli, lasciatemelo dire... Sapete come diceva Vittorio Emanuele Orlando6? Vi cito le sue parole, che, lontani come siamo dalle sue concezioni, assumono, dette da noi, più, lasciatemelo dire, autorità. Diceva...». «Ma la mafia, almeno per certe manifestazioni che io ho potuto constatare, esiste».
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«Mi addolorate, figlio mio, mi addolorate: come siciliano mi addolorate, e come uomo ragionevole quale presumo di essere... Quel che, indegnamente, rappresento, si capisce non c’entra... Ma il siciliano che io sono, e l’uomo ragionevole che presumo di essere, si ribellano a questa ingiustizia verso la Sicilia, a questa offesa alla ragione. Badate che la ragione ha per me, naturalmente, la erre minuscola: sempre... Ditemi voi se è possibile concepire l’esistenza di una associazione criminale così vasta ed organizzata, così segreta, così potente da dominare non solo mezza Sicilia, ma addirittura gli Stati Uniti d’America: e con un capo che sta qui, in Sicilia; visitato dai giornalisti e poi dai giornali presentato, poveretto, nelle tinte più fosche... Ma lo conoscete voi? Io sì: un buon uomo, padre di famiglia esemplare, lavoratore infaticabile. E si è arricchito, certo che si è arricchito: ma col lavoro. E ha avuto i suoi guai con Mori, anche lui... Ci sono uomini rispettati: per le loro qualità, per il loro saper fare, per la capacità che hanno di comunicare, di crearsi immediatamente un rapporto di simpatia, di amicizia; e quella che voi chiamate voce pubblica, il vento della calunnia, subito si leva a dire “ecco i capi mafia...”. E c’è una cosa che non sapete: questi uomini, che la voce pubblica vi indica come capi mafia, hanno una qualità che io mi augurerei di trovare in ogni uomo, e che basterebbe a far salvo ogni uomo davanti a Dio: il senso della giustizia... Istintivo, naturale: un dono... E questo senso della giustizia li rende oggetto di rispetto...». «È questo il punto: l’amministrazione della giustizia è compito dello Stato: e non si può ammettere che...». «Parlo di senso della giustizia, non di amministrazione della giustizia... E poi vi dico: se noi due stiamo a litigare per un pezzo di terra, per una eredità, per un debito; e viene un terzo a metterci d’accordo, a risolvere la vertenza... In un certo senso, viene ad amministrare giustizia: ma sapete cosa sarebbe accaduto di noi due, se avessimo continuato a litigare davanti alla vostra giustizia? Anni sarebbero passati, e forse per impazienza, per rabbia, uno di noi due, o tutti e due, ci saremmo abbandonati alla violenza... Non credo, insomma, che un uomo di pace, un uomo che mette pace, venga ad usurpare l’ufficio di giustizia che lo Stato detiene e che, per carità, è legittimo...».
“La mafia non esiste...” Il notabile (a sua volta presumibilmente colluso con la mafia) continua la sua appassionata perorazione, questa volta a proposito dell’esistenza, da lui negata, della mafia. Che la mafia esista e si estenda fino in America è considerato un oltraggio.
Il tema della giustizia Passo fondamentale, in cui viene affrontato il tema della giustizia, un tema che all’“illuminista” Sciascia stava particolarmente a cuore. I capi mafia sono identificati dall’autorevole personaggio in coloro che hanno per naturale istinto, il «senso della giustizia». Osserva la sottile (e perversa) distinzione che il personaggio, portavoce del codice mafioso, pone tra «senso della giustizia» e «amministrazione della giustizia».
Attività sul testo Abilità: comprendere e analizzare
1. I due interlocutori Chi sono i due interlocutori del dialogo? Da quali punti ed elementi del testo deduci la loro identità?
Testi ON LINE
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Temi/testi a confronto
«Ho conosciuto un giudice, procuratore aggiunto...» Vincenzo Consolo_ Lo spasimo di Palermo
2. L’argomento del dialogo Da cosa prende spunto il dialogo e su che cosa verte? 3. Gli interventi del notabile Nel dialogo ampio spazio è riservato agli interventi del notabile perché in essi a. □ si deplora il fascismo. c. □ si palesa il codice mafioso. b. □ si ricavano informazioni su don Mariano. d. □ si esalta la giustizia. 4. Gli interventi del carabiniere Gli interventi del carabiniere sono ridotti al minimo e quasi sempre si chiudono con puntini di sospensione: che cosa sta a significare questo? 5. Le “virtù” di don Mariano Quale “virtù” il notabile attribuisce con maggior insistenza a don Mariano? a. □ Sincerità. b. □ Fede. c. □ Generosità. d. □ Giustizia.
Esercitare le competenze
6. Dedurre dal testo elementi riconducibili alla funzione civile che Sciascia attribuiva alla letteratura Alla luce del brano analizzato e delle informazioni più generali di cui disponi sul romanzo, illustra la funzione civile che Sciascia attribuiva alla letteratura (max 15 righe). 152
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Unità
2 Il postmoderno 3
1 Letteratura e postmoderno Una premessa ▪
(1984, Londra, Collezione privata).
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2 Il 3 Lapostmoderno stagione dello sperimentalismo e la neoavanguardia
Carlo Maria Mariani, Sogno profetico
Nel Nord America si incomincia a parlare di postmoderno fin dagli anni Settanta, mentre in Italia questa categoria concettuale ed estetica si diffonde negli anni Ottanta. È opportuno distinguere tra “postmoderno” come insieme di caratteristiche che riguardano, anche a livello di costume, gli ultimi decenni del Novecento e “postmodernismo”, da intendersi come una particolare visione dell’arte propria dell’età contemporanea (che può interessare l’architettura, l’arte figurativa, la letteratura). È d’altra parte ovvio che vi siano inevitabili connessioni tra il modello socio-culturale e antropologico postmoderno e le manifestazioni artistico-letterarie che vi si iscrivono. In precedenza (→C1) abbiamo fatto riferimento alle più generali componenti ideologiche del postmoderno, sintetizzabili nella sfiducia generalizzata nelle ideologie politiche, nelle grandi “narrazioni filosofiche”, nella perdita di autorevolezza di istituzioni come la scuola, la famiglia, i partiti, tradizionali produttori di ideologie forti, nella globalizzazione dell’economia e della conoscenza, nel pluralismo e relativismo. Qui ci limiteremo agli aspetti del postmoderno che interessano propriamente il modo di fare letteratura, riferendoci agli autori e alle opere che in qualche modo possono essere definiti “postmoderni” anche senza che vi sia da parte degli scrittori una consapevole adesione a una poetica “postmodernista”. Occorre inoltre dire che non è possibile fissare un termine preciso alla tendenza post-moderna: pur in presenza di nuove coordinate socio-culturali, componenti postmoderne sussistono infatti anche in opere e autori degli anni Novanta e oltre. La visione estetica postmoderna ▪ Il termine postmoderno implica l’idea di una frattura sostanziale rispetto al modernismo novecentesco: una frattura caratterizzata dalla compromissione con la cultura di massa e con il Kitsch (ne è un esempio la pop art di Andy Warhol che rielabora immagini e icone della cultura di massa), e dall’accoglimento di elementi provenienti da epoche diverse in un’eclettica combinazione. Ibridismo e ambiguità appaiono elementi fondamentali della visione estetica postmoderna.
La narrazione postmoderna negli Usa ▪
2 Il Novecento e oltre • QUADRO LINGUISTICO-LETTERARIO
In ambito letterario sono per primi gli Stati Uniti, dove si erano ormai affermati da decenni il tardo capitalismo, la cultura di massa, una civiltà ipertecnologica e fondata sull’informazione, a dar vita a una ricca produzione narrativa postmoderna: essa è caratterizzata dal pastiche stilistico, dal gusto del citazionismo, dalla mescolanza di generi, dalla complicazione degli intrecci (spesso vi domina l’intrigo, il complotto, anche in rapporto a una visione particolarmente negativa del Potere). Figura centrale della narrativa postmoderna statunitense è Thomas Pynchon (n. 1937), il cui complesso romanzo L’arcobaleno della gravità (1973), ambientato in Inghilterra negli ultimi anni della seconda guerra mondiale, è considerato il manifesto del postmodernismo (ma significativo è anche Vineland, del 1989, in cui viene parodizzata la società di massa). Un altro scrittore importante è Don De Lillo (n. 1936), di cui ricordiamo, tra le altre opere, Rumore bianco (1985), un apologo sulla civiltà ipertecnologica. Un grande precursore: Borges ▪ Precursore di molti aspetti postmoderni è lo scrittore argentino Jorge Luis Borges (1899-1986 →M7) la cui influenza è ben riconoscibile in romanzi italiani dichiaratamente postmoderni, dal Nome della rosa di Umberto Eco (→T⓴) alle Città invisibili e soprattutto al Castello dei destini incrociati di Calvino (→C12). Nei racconti dello scrittore argentino, estremamente raffinati e intellettualistici, ricorrono l’infrazione delle coordinate spazio-temporali, lo scambio realtà-finzione, i continui ed esibiti rimandi all’intertestualità, la riscrittura sofisticata, tutti aspetti che caratterizzano la letteratura postmoderna. Centrale nell’immaginario di Borges è il labirinto, vero e proprio emblema della visione conoscitiva del postmoderno. Il romanzo combinatorio di Georges Perec ▪ Un altro autore, questa volta europeo, che viene esaltato da Calvino per la sua capacità di creare una struttura narrativa combinatoria è Georges Perec (1936-1982), il maggior esponente del sofisticato gruppo dell’Oulipo (→Scheda). Nel 1978 pubblica il suo capolavoro La vita: istruzioni per l’uso [La vie mode d’emploi], definito da Calvino una «nuova “commedia umana”» (dopo quella, celebre, di Balzac). Il poderoso romanzo di Perec è stato tradotto in italiano nel 1984.
ON LINE OPERA
La vita: istruzioni per l’uso
La vita: istruzioni per l’uso, un iper-romanzo La vita: istruzioni per l’uso, dedicato a Raymond Queneau, fondatore dell’Oulipo, è una sorta di “romanzo di romanzi” (Calvino ne ha parlato come di un «iper-romanzo»): ogni capitolo è infatti la descrizione metodica di una delle stanze (in tutto ne vengono descritte 99) di uno stabile parigino di dieci piani e con dieci stanze per piano, e insieme degli oggetti (catalogati secondo complessi e obbligati schemi matematici) che rimandano alla vita e ai rapporti con gli altri inquilini di chi vi abita, o vi ha abitato, in una commistione continua di passato e presente (l’arco di tempo considerato dalla narrazione è tra il 1875 e il 1975). Di fatto le singole narrazioni (che si richiamano, quasi in una sorta di “enciclopedia”, a diverse tipologie narrative: poliziesco, storico ecc.), sono interdipendenti e organizzate obbligatoriamente attorno al luogo che le unifica (appunto il palazzo parigino), così che il romanzo finisce per essere una sorta di gigantesco puzzle (e il tema del puzzle, non a caso, è centrale anche a livello della trama, in particolare nella storia di Perceval Barthlebooth). Al di sotto della storia, che può sembrare soltanto bizzarra, c’è una riflessione amara sull’imTesti ON LINE possibilità di sfuggire all’arbitrarietà insensata 17 Gli strani viaggi della vita, ma il romanzo è anche un’immagine di Barthlebooth e Smauf metaforica della letteratura e del suo significato in Georges Perec_La vita: istruzioni per l’uso, cap. XV un’epoca postmoderna. 154
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Scheda
L’Oulipo e la letteratura potenziale Georges Perec è stato uno dei principali esponenti del gruppo dell’Oulipo (sigla da Ouvroir de Littérature Potentielle, “Officina di letteratura potenziale”) fondato nel 1960 a Parigi da Raymond Queneau (1903-1976) e ispirato a un’originale sperimentazione. Nell’Oulipo – a cui aderirono tra gli altri il maestro del surrealismo Marcel Duchamp e Italo Calvino, che allora già viveva a Parigi – la letteratura è vista come campo sperimentale, le cui potenzialità devono ancora essere esplorate (da qui il termine “letteratura potenziale”). L’Oulipo contribuì a diffondere il gusto per una letteratura che si sottoponga a
regole razionali prestabilite, evitando i canali obbligati dell’espressione di emozioni e sentimenti, una letteratura che sia combinazione originale di strutture narrative. Alcune opere di Calvino si richiamano espressamente ai princìpi dell’Oulipo: in particolare Il castello dei destini incrociati (1973) e soprattutto Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979), un romanzo fatto di dieci inizi di romanzi diversi. Vicini alla prospettiva dell’Oulipo sono inoltre scrittori come Giorgio Manganelli (del 1979 è Centuria, «cento romanzi fiume» →T⓳OL, che non a caso, presentato da Calvino, ha grande successo in Francia); Umberto Eco, autore a sua volta di divertenti giochi linguistici; e Guido Almansi, che si è
L’autore Marcel Duchamp si moltiplica in quest’opera, Intorno a un tavolo (1917).
prodotto in virtuosistiche riscritture, poesie rovesciate, variazioni di stile (Maramao, 1989). “Oulipiano”, in senso lato, è il celebre libro di Ersilia Zamponi destinato a giovanissimi lettori I draghi locopei. Imparare l’italiano con i giochi di parole (1986).
2 Il postmoderno in Italia
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3 Il postmoderno
Nella letteratura italiana aspetti postmoderni, e in particolare la contaminazione di generi e linguaggi, si possono riscontrare già prima degli anni Ottanta: ad esempio nel romanzo-fiume di Arbasino Fratelli d’Italia (è del 1963 la prima edizione) o Hilarotragoedia di Manganelli (→U1). Ma è dagli anni Ottanta che i caratteri propri del postmoderno si radicano e si diffondono nella cultura letteraria italiana, anche in rapporto alla crisi delle ideologie e dell’impegno politico che caratterizza quel periodo. Essi sono particolarmente evidenti nella narrativa e soprattutto nel romanzo. Cercheremo qui di schematizzarli affiancando alla tipologia indicata le scelte di lettura. La rinuncia alla funzione ideologica del romanzo ▪ Il romanzo perde una fondamentale prerogativa che aveva mantenuto anche nella crisi conoscitiva ed etica del primo Novecento: la funzione di trasmettere dei messaggi forti (che magari potevano essere problematici, o addirittura negativi). Si percepisce che o non c’è un significato nella condizione umana o ce ne sono diversi e contraddittori. Come la vita, anche la storia non solo non ha nulla da insegnare ma risulta un inestricabile labirinto persino per gli osservatori più acuti e culturalmente attrezzati (come Guglielmo da Baskerville, il monaco-detective del Nome della rosa). Questa sostanziale rinuncia del romanzo a farsi “lettura del mondo” è espressione e conseguenza dell’ideologia debole propria del postmoderno. L’ambiguità, l’enigmaticità ▪ L’enigmaticità è la cifra prevalente in molti romanzi e racconti, che si configurano espressamente come “opere aperte”: è il caso dei racconti di Tabucchi (→T 22 ) e di un romanzo che per per più aspetti è definibile come postmoderno: Le menzogne della notte di Bufalino (→T 21 OL), in cui i confini tra verità e bugia sono particolarmente labili, e persino l’identità personale si sfalda in frammenti incomponibili. La dissoluzione dell’io che scrive ▪ Nella narrativa postmoderna tende spesso a scomparire la fisionomia dell’autore che possiamo intravedere tra le righe di un’opera (la sua identità biografica, la sua visione del mondo, anche politica). Nella pagina conclusiva della quinta e ultima (dal titolo Molteplicità) delle sue Lezioni americane, Calvino scrive in proposito parole illuminanti. Dopo aver elogiato il «romanzo come grande rete», aggiunge: «chi siamo noi, chi è ciascuno di noi se non una combinatoria d’esperienze,
ON LINE BIOGRAFIA
Giorgio Manganelli
ON LINE OPERA
Centuria
2 Il Novecento e oltre • QUADRO LINGUISTICO-LETTERARIO
d’informazioni, di letture, d’immaginazioni? Ogni vita è un’enciclopedia, una biblioteca, un inventario d’oggetti, un campionario di stili, dove tutto può essere continuamente rimescolato e riordinato in tutti i modi possibili». L’ibridismo delle forme narrative e dei codici ▪ I generi o sottogeneri romanzeschi tendono a dissolversi del tutto, ma più facilmente a essere impiegati come modelli aperti, intrecciati in una commistione di forme narrative e relativi codici. Lo si constata facilmente in uno dei generi più illustri, il romanzo storico, che trova una nuova fortuna (→Scheda p. 157): anche quando sembra di trovarci di fronte a un romanzo storico canonico, in realtà è facile verificare la presenza di un ibridismo di codici letterari e forme narrative. È così ad esempio nel Nome della rosa, che mescola romanzo storico, filosofico, giallo; o delle Menzogne della notte, apparente rivisitazione del romanzo storico avventuroso ottocentesco, ma in realtà, come lo definisce l’autore stesso, «giallo filosofico». “Letteraturizzazione” della vita, metaletteratura, citazionismo, riscritture ▪ Forse l’aspetto che più identifica la letteratura postmoderna in relazione alla crisi delle ideologie è la tendenza a fare della letteratura la vera realtà: all’interesse per il mondo e i suoi problemi tende a sostituirsi l’universo fittizio della letteratura, volutamente deprivato di vita, di passioni, di emozioni ed esplorato nei suoi meccanismi. Non è un caso che personaggi letterari compaiano di frequente nei romanzi moderni: in Requiem di Tabucchi, ad esempio, il poeta Pessoa è un personaggio; il romanzo Tutto il ferro della Torre Eiffel di Michele Mari (n. 1955) pullula di figure e oggetti appartenenti alla letteratura (→⓲bOL). La diffusione (e la moda culturale) della narratologia negli anni Settanta porta gli scrittori a una sofisticata consapevolezza dei meccanismi narrativi che conferisce a molti romanzi e racconti caratteri metaletterari a volte anche troppo cerebrali e autoreferenziali: sono editi nel 1979 Se una notte d’inverno un viaggiatore, metaromanzo, costituito da dieci inizi che corrispondono ad altrettanti modi di avviare un romanzo; e Centuria di Manganelli (→⓳OL), cento microromanzi, ognuno dei quali racconta “un caso” in uno spazio obbligato (circa una cinquantina di righe). La convinzione che tutto sia già stato detto e scritto porta a un altro aspetto tipico della letteratura postmoderna: il gusto della citazione, i costanti rimandi intertestuali (più o meno esibiti e decifrabili). La si ritrova in Eco, in Tabucchi, ma anche nei narratori “giovani”, a partire da Tondelli. La concezione estetica postmoderna traspare in questo dipinto (Archeologia con de Chirico, 1972, Milano, Fondazione Marconi) in cui l’autore – il pittore e scrittore milanese Emilio Tadini (1927-2002) – combina
in chiave ironica elementi di epoche, stili e provenienze diverse. Accanto a due citazioni colte (la pittura metafisica di De Chirico e quella suprematista di Malevič), affianca una maschera simile a quelle usate dai saldatori.
Giorgio De Chirico, Le Muse inquietanti,
1918.
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Kazimir Malevič, Composizione suprematista,
1915.
Giorgio Manganelli_Centuria, Cinque
Scheda
I romanzi neostorici Il successo mondiale del Nome della rosa (1980) dà inizio negli anni Ottanta a un vero e proprio boom, destinato a protrarsi nel tempo (anche perché spinto dalle case editrici), del romanzo storico, o forse meglio sarebbe dire “neostorico”, dato che i nuovi romanzi storici degli anni Ottanta-Novanta ben poco hanno a che vedere con il modello ottocentesco (si tratta comunque di romanzi ibridi, in cui varie tipologie narrative sono fuse, secondo i caratteri propri del postmoderno). Le epoche in cui i romanzi sono ambientati possono essere le più diverse: il Medioevo bizantino per Il fuoco sacro
di Malerba (1990), il Seicento per La chimera (1990) di Vassalli, il Settecento per La lunga vita di Marianna Ucrìa (1990) di Dacia Maraini, l’epoca napoleonica per Le strade di polvere (1987) di Rosetta Loy, l’età risorgimentale per I fuochi del Basento (1987) di Raffaele Nigro, per citare solo alcuni dei molti romanzi di questo filone. La diffusione del sotto-genere neostorico, che conquista il gusto dei lettori, può essere spiegata in un contesto storico-culturale caratterizzato dalla fine delle illusioni e delle ideologie, dalla crisi del romanzo come strumento capace di interpretare un presente destituito di valore. Si guarda allora alla storia passata, in alcuni casi, per cer-
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carvi figure importanti, eventi capitali, o per lo meno significativi senza che all’autore sia richiesta una assunzuione di responsabilità ideologica. Ciò non vale certo per un autore come Vincenzo Consolo, autore già nel 1976 di un romanzo neostorico: Il sorriso dell’ignoto marinaio, ambientato al tempo dello sbarco in Sicilia di Garibaldi, negli stessi anni del Gattopardo. Ma, a differenza dell’opera di Tomasi, il romanzo neostorico è inteso da Consolo come severa testimonianza civile, ricerca di verità, in una prospettiva opposta al romanzo di consumo. A una concezione alta della letteratura risponde anche la sua ricerca linguistica sperimentale.
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3 Il postmoderno
Frequenti sono poi le riscritture di opere precedenti. Già alla fine degli anni Settanta escono nello stesso anno due riscritture di Pinocchio, ad opera di letterati che avevano fatto parte del Gruppo 63: Manganelli (Pinocchio: un libro parallelo) e Malerba (Pinocchio con gli stivali). La tendenza continua: Alessandro Baricco (n. 1958) riscrive alcune scene ed episodi dell’Iliade in un mondo senza dèi (Iliade, 2004); Emilio Tadini (1927-2002) ripensa La tempesta shakespeariana (La tempesta, 1993) ambientandola nella periferia milanese: l’isola incantata del capolavoro teatrale diventa una catapecchia; Prospero, il protagonista, diventa un ex commerciante di stracci che sta per essere sfrattato dalla polizia. Recupero-reinvenzione della storia ▪ A differenza delle avanguardie il postmoderno non nega il valore del passato né intende creare una netta frattura con esso, ma anzi lo recupera con interesse, come dimostra il gran numero di romanzi che vengono definiti neostorici. Tuttavia spesso non c’è una vera discesa nelle profondità della storia (lo impedisce un sostanziale scetticismo). La storia è concepita come insieme di materiali, «grande serbatoio culturale di immagini da consumare», come scrive Remo Ceserani. Materiali che sono sottoposti a procedimenti di combinazione, reinvenzione e riscrittura (che può anche essere ironica). La rinuncia all’individualità dello stile, il pastiche ▪ In genere, nella cultura letteraria del postmoderno vanno perdendosi le caratteristiche stilistiche individuali e si tende a rielaborare e contaminare gli stili altrui in forme diverse di pastiche (a volte con finalità parodiche). Pier Vittorio Tondelli (1955-1991 →U4), in quegli anni considerato fra i più interessanti dei giovani scrittori, apre la strada alla tendenza, poi presente in altri giovani autori che ne seguirono il modello, ad accogliere e contaminare i linguaggi del cinema, della televisione e soprattutto della musica, codice di riferimento prediletto dalle nuove generazioni. Stanno a sé le scelte degli scrittori siciliani (come Consolo e Bufalino), il cui Testi ON LINE stile neobarocco, aulico e prezioso, decisa18 Cos’è il postmoderno? Due definizioni mente controcorrente, è frutto di una pred’“autore” cisa scelta: la resistenza alla banalizzazione a Un esempio illuminante linguistica, alla “chiacchiera” propria della Umberto Eco_Postille al Nome della rosa postmodernità. Una scelta linguistica in b La madeleine di plastica linea con la rigorosa coscienza etica che Michele Mari_Tutto il ferro della Torre Eiffel 19 Un microromanzo ispira le opere dei due scrittori siciliani.
3 Umberto Eco e Il nome della rosa
2 il Il Novecento e oltre • QUADRO LINGUISTICO-LETTERARIO
Umberto Eco.
Umberto Eco, un intellettuale eclettico Umberto Eco (1932-2016) è uno degli intellettuali e scrittori italiani più conosciuti a livello internazionale soprattutto per il successo mondiale del romanzo Il nome della rosa (1980). Personalità eclettica, Eco è stato professore di semiotica all’Università di Bologna presso il DAMS, ha collaborato per molti anni con il quotidiano «la Repubblica» e con il settimanale «L’Espresso», mostrando sempre un’attenzione critica al costume contemporaneo e alle dinamiche della società di massa. Ne sono derivati vari scritti: tra i più importanti Diario minimo (1963), che contiene la celebre satira del “fenomeno Mike Bongiorno” (→C1❹OL, seguito nel 1990 dal Secondo diario minimo), Dalla periferia dell’impero (1973), Sugli specchi e altri saggi (1985) fino al più recente A passo di gambero (2006). Ha fatto parte del Gruppo 63, contribuendo al dibattito della neoavanguardia (nel 1962 aveva scritto Opera aperta, dedicato a un’analisi dei linguaggi sperimentali e delle ideologie dell’avanguardia). Lo studioso di semiotica e narratologia ▪ L’attività di romanziere che ha dato la fama a Eco non può essere compresa senza far riferimento ai suoi interessi e ai suoi studi nel campo della semiotica e della filosofia del linguaggio (Trattato di semiotica generale, 1975; Semiotica e filosofia del linguaggio, 1984), e soprattutto nell’ambito narratologico, a cui ha dedicato saggi di grande rilevanza a partire dalla fine degli anni Settanta: allo strutturalismo si richiama Le forme del contenuto (1971), a cui segue Lector in fabula (1979) in cui Eco analizza il ruolo determinante del lettore nella costruzione del senso di un’opera letteraria. Il romanziere ▪ Nel 1980 Eco pubblica il suo primo e più celebre romanzo, Il nome della rosa, che diventa presto un best seller mondiale, tradotto in moltissime lingue ed esaltato soprattutto dalla critica straniera; a questo primo seguono altri romanzi che però non ne replicano il successo. Il pendolo di Foucault (1988) riprende la struttura del “giallo”, ambientato però nel presente. In esso tre redattori di una casa editrice, lavorando al computer, cercano di smascherare il progetto criminale di una setta che si prefigge di dominare il mondo e le cui radici risalgono all’ordine medievale dei Templari. Il terzo romanzo, L’isola del giorno prima (1994), è ambientato nel Seicento. Il protagonista Roberto de la Grive naufraga vicinissimo a un’isola che però (a differenza del Robinson di Stevenson) non può raggiungere. Tra il 2000 e il 2004 escono due nuovi romanzi: Baudolino (2000) nel quale Eco torna al prediletto medioevo con una serie di avventure picaresche che hanno per protagonista un contadino, appunto Baudolino, che viene adottato dall’imperatore Federico Barbarossa); e La misteriosa fiamma della regina Loana (2004), sorta di romanzo multimediale che prende le mosse dalla perdita di memoria di sé di un libraio antiquario, colpito da ictus. Del 2010 è Il cimitero di Praga. Nel 2015 Eco è tornato alla ribalta con Numero zero, ambientato nel 1992, in piena Tangentopoli, in cui affronta i problemi attuali della comunicazione giornalistica. Postuma è uscita una raccolta delle sue “Bustine di Minerva”, pubblicate su «l’Espresso» fra il 2000 e il 2015, dal titolo dantesco di Pape Satàn Aleppe. 158
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APPROFONDIMENTO
La pianificazione di vari livelli di lettura e il successo del romanzo
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3 Il postmoderno
ON LINE
Il nome della rosa: un romanzo postmoderno “costruito a tavolino” Il romanzo di Eco è considerato il primo esempio in Italia dell’esplicita volontà di costruire un romanzo postmoderno. Di postmoderno del resto (e delle relative categorie estetiche e narrative) parla lo stesso Eco nelle Postille scritte nel 1983 (→T⓲aOL) e annesse a tutte le edizioni del romanzo successive alla prima. L’ambientazione spazio-temporale ▪ Le vicende si svolgono nel tardo medioevo e precisamente nel 1327, al tempo del dilagare dei movimenti ereticali e del contrasto fra l’imperatore Ludovico il Bavaro e il papa avignonese Giovanni XXII. Il luogo è un’abbazia benedettina, non meglio precisata, del Nord Italia. L’intera azione dura sette giorni, ognuno dei quali scandito dalle sette ore liturgiche della regola benedettina (da mattutino a compieta). La trama ▪ L’autore finge di aver ritrovato nel 1968 la versione francese di un manoscritto del XIV secolo in cui un monaco benedettino ormai vecchio, Adso da Melk, narra le fosche vicende di cui è stato testimone cinquant’anni prima. All’abbazia Adso, allora giovane novizio, giunge con il dotto francescano Guglielmo di Baskerville, incaricato di mediare i contrasti fra l’ordine francescano e il papa. Nell’abbazia si è appena verificata la morte misteriosa di un monaco miniatore e l’Abate incarica Guglielmo di indagare. Al primo seguono altri cinque delitti, compreso quello del bibliotecario Malachia, avvelenato come già un altro monaco, e alla fine dell’Abate stesso. L’inquisitore Bernardo Gui individua negli “eretici” Remigio e Salvatore i responsabili. Intanto le indagini di Guglielmo si concentrano su una sezione inaccessibile della labirintica biblioteca dell’abbazia. Dopo essere riusciti a penetrarvi, Guglielmo e Adso trovano ad attenderli Jorge da Burgos. I delitti sono in realtà opera di questo vecchio monaco, intenzionato a impedire a chiunque la lettura del secondo libro della Poetica di Aristotele, dedicato alla commedia e al riso, che si considerava perduto, ma di cui un preziosissimo esemplare era conservato nella biblioteca dell’abbazia. La lettura del libro era considerata, dall’intransigente fanatismo di Jorge, pericolosa: grazie all’autorità di Aristotele il comico avrebbe infatti trovato piena legittimità e a tutti sarebbe stato consentito di irridere, di dissacrare attraverso l’arte. È per questo che ha cosparso di veleno le pagine del manoscritto uccidendo quelli che avevano cercato di nascosto di leggerlo. Scoperto, Jorge cerca di inghiottire i fogli avvelenati, strappati dal libro. Nel tentativo disperato di Guglielmo e Adso di impedirglielo, si sviluppa un incendio. Non solo il libro proibito, ma l’intera biblioteca e l’abbazia sono divorate dal fuoco. La rivisitazione della storia ▪ Con la competenza che gli deriva dall’essere uno studioso del medioevo, Eco ricostruisce nel romanzo i conflitti politico-religiosi che dilaniarono la società tardo-medievale, le principali tendenze del sapere del tempo (l’enciclopedismo e l’allegorismo), i temi centrali del dibattito filosofico e teologico. La rivisitazione storica tiene comunque d’occhio un presente angoscioso: eresie, fanatismi, millenarismo apocalittico del medioevo si confrontano indirettamente nel romanzo di Eco con le nuove testimonianze di fanatismo irrazionale che caratterizzavano in Italia gli anni di piombo. L’abilità combinatoria ▪ Nel Nome della rosa sono mescolati generi narrativi ‘alti’ e ‘bassi’: dal romanzo giallo-poliziesco (Eco è grande conoscitore della narrativa poliziesca, da Conan Doyle a Ian Fleming) al romanzo gotico (con gli ingredienti canonici degli enigmi e degli omicidi in un ambiente chiuso, isolato, cupo e misterioso), al romanzo storico e filosofico. Eco mescola citazioni vere e false, attribuisce a personaggi medievali frasi
2 Il Novecento e oltre • QUADRO LINGUISTICO-LETTERARIO
appartenenti a epoche differenti, come nel caso di un giudizio del filosofo del Novecento Ludwig Wittgenstein, che alla fine dell’avventura Guglielmo pronuncia attribuendolo a un mistico tedesco. La contaminazione riguarda anche il livello stilistico-lessicale: in una lingua di base piana, quasi giornalistica, Eco innesta passi didascalico-sentenziosi, dotte citazioni latine e così via. L’intertestualità ▪ Nell’opera domina un continuo rimando (sia diretto, attraverso la citazione vera e propria, sia mimetizzato) ad altri libri, ad altri testi, non solo medievali, che affollano la ricchissima “enciclopedia” dell’erudito professor Eco. I nomi stessi di alcuni personaggi spesso sono riferimenti ad altre figure della cultura e/o della letteratura, a cominciare dal personaggio chiave del romanzo: nel nome del dotto francescano Guglielmo da Baskerville, si fonde infatti il riferimento a Guglielmo da Occam, importante filosofo medievale, di cui il personaggio ha la ferrea logica, e il titolo di una celebre opera di Arthur Conan Doyle (1859-1930), ovvero Il mastino di Baskerville. Lo stesso ritratto fisico di Guglielmo riecheggia da vicino il ritratto di Sherlock Holmes che Conan Doyle fa nel secondo capitolo di Uno studio in rosso. Del resto Guglielmo in ogni senso è una sorta di “Sherlock Holmes del medioevo” e il suo rapporto con Adso, il giovane monaco che lo accompagna, riproduce il rapporto tra Sherlock Holmes e Watson (a cui anche fonicamente rimanda il nome Adso). L’antagonista di Guglielmo, il vecchio monaco che custodisce i segreti della bibliotecalabirinto dell’abbazia, è cieco e si chiama Jorge da Burgos. Impossibile non pensare a uno dei modelli della letteratura postmoderna, lo scrittore argentino Jorge Luis Borges e a uno dei suoi racconti più noti: La biblioteca di Babele, ma Jorge nel suo fanatismo, è l’esatta antitesi dello scrittore argentino. Un’ideologia ‘debole’ ▪ Il nome della rosa può documentare lo spirito postmoderno anche per quanto riguarda il messaggio ideologico che traspare dal complesso dell’opera, soprattutto in rapporto a Guglielmo, protagonista dell’“inchiesta”: tra i pensatori medievali egli si richiama soprattutto a Occam, tradizionalmente considerato scettico dissolutore della Scolastica. Nelle pagine conclusive del romanzo Guglielmo appare addirittura una figura postmoderna: lo scetticismo, ai limiti del nichilismo, che enuncia alla fine della vicenda, è infatti proprio di tempi da “pensiero debole” (→C1U3), come quello a cui appartiene Eco. Specchio forse del suo autore, Guglielmo esce sconfitto dalla “sfida al labirinto”: la conoscenza umana è limitata e fallace, all’uomo rimane solo l’esercizio intellettualistico e autoreferenziale della decifrazione dei “segni”, in cui Guglielmo-Eco è maestro, anche se gli rimane oscura la relazione tra di essi. «Dove sta tutta la mia saggezza?» confessa alla fine Guglielmo al suo discepolo, «mi sono comportato da ostinato, inseguendo una parvenza di ordine, quando dovevo sapere che non vi è un ordine nell’universo». Un titolo enigmatico ▪ suggestivo ed enigmatico titolo del romanzo è stato scelto per colpire e incuriosire il lettore. È tratto dall’esametro latino che lo chiude «Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus», cioè “La rosa originaria esiste solo nel nome, noi uomini possediamo solo i nomi delle cose” (in altre parole: esiste la rosa “in sé”? Non lo sappiamo, conosciamo solo il “nome”). Come Eco stesso dichiara nelle Postille, è tratto da un verso di un De contemptu mundi [Il disprezzo del mondo] di un benedettino dell’XII secolo, Bernardo Morliacense. Il senso della citazione si collega alla visione scettica e postmoderna che percorre il romanzo: tutto svanisce nel nulla, soltanto i nomi delle cose restano a testimoniarne l’esistenza. Forse anche la realtà delle cose è inattingibile, il linguaggio che cerca di definirla è tutto ciò che abbiamo, ma è comunque diverso e lontano dalla realtà. 160
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Testo
20 La biblioteca-labirinto
Umberto Eco_Il nome della rosa
U. Eco, Il nome della rosa, Bompiani, Milano 1980
I due brani appartengono alla seconda delle giornate in cui è scandita l’azione del romanzo, e rispettivamente al momento che segue la recita liturgica dei vespri e alla notte. Il narratore (come in tutto il romanzo) è il giovane novizio Adso, che scrive gli accadimenti molti anni dopo, ormai anziano. Nel primo passo Guglielmo parla con un vecchissimo monaco che suggerisce l’analogia tra la biblioteca, in cui si annida il mistero ‘nero’ dell’abbazia, e l’immagine del labirinto. Nel secondo Adso e Guglielmo penetrano nella biblioteca e, nonostante le lucidissime teorizzazioni di Guglielmo sulla pianta di questa, si smarriscono “come secondo copione”.
Secondo giorno DOPO VESPRI Dove, malgrado il capitolo sia breve, il vegliardo Alinardo dice cose assai interessanti sul labirinto e sul modo di entrarvi.
1 imbecille: infermo, malandato (latinismo). 2 Venanzio: è il giovane monaco trovato an-
negato in una tinozza piena del sangue dei maiali sgozzati (si tratta del secondo omicidio avvenuto nell’abbazia). 3 La grande bestia... del leone: la descri-
zione di Alinardo ricalca da vicino un passo dell’Apocalisse (13, 1-2), il testo profetico di Giovanni che ebbe particolare fortuna nel medioevo. La bestia è figura di Satana, del male. 4 scriptorium: il luogo in cui i monaci ama© Casa Editrice G. Principato SpA
nuensi copiavano i testi antichi. 5 Malachia, Berengario: il primo è l’attuale bibliotecario, il secondo l’aiuto bibliotecario. 6 chioccia: stridula.
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3 Il postmoderno
[...] Prima di entrare in refettorio, facemmo ancora una piccola passeggiata nel chiostro, per dissolvere i fumi del sonno all’aria fredda della sera. Vi si aggiravano ancora alcuni monaci in meditazione. Nel giardino prospiciente il chiostro scorgemmo il vecchissimo Alinardo da Grottaferrata, che ormai imbecille1 nel corpo, trascorreva gran parte della propria giornata tra le piante, quando non era a pregare in chiesa. Sembrava non sentire freddo, e sedeva lungo la parte esterna del porticato. Guglielmo gli rivolse alcune parole di saluto e il vecchio parve lieto che qualcuno si intrattenesse con lui. “Giornata serena,” disse Guglielmo. “Per grazia di Dio,” rispose il vecchio. “Serena nel cielo, ma scura in terra. Conoscevate bene Venanzio2?” “Venanzio chi?” disse il vecchio. Poi una luce si accese nei suoi occhi. “Ah, il ragazzo morto. La bestia si aggira per l’abbazia...” “Quale bestia?” “La grande bestia che viene dal mare... Sette teste e dieci corna e sulle corna dieci diademi e sulle teste tre nomi di bestemmia. La bestia che pare un leopardo, coi piedi come quelli dell’orso e la bocca come quella del leone3... Io l’ho vista.” “Dove l’avete vista? In biblioteca?” “Biblioteca? Perché? Sono anni che non vado più nello scriptorium4 e non ho mai visto la biblioteca. Nessuno va in biblioteca. Io conobbi coloro che salivano alla biblioteca...” “Chi, Malachia, Berengario5?” “Oh no...” il vecchio rise con voce chioccia6. “Prima. Il bibliotecario che venne prima di Malachia, tanti anni fa...” “Chi era?” “Non mi ricordo, è morto, quando Malachia era ancora giovane. E quello che venne prima del maestro di Malachia ed era aiuto bibliotecario giovane quando io ero giovane... Ma nella biblioteca io non misi mai piede. Labirinto...” “La biblioteca è un labirinto?”
“Hunc mundum tipice laberinthus denotat ille7, recitò assorto il vegliardo. “Intranti largus, redeunti sed nimis artus8. La biblioteca è un gran labirinto, segno del labirinto del mondo. Entri e non sai se ne uscirai. Non bisogna violare le colonne d’Ercole9...”. “Quindi non sapete come si entra nella biblioteca quando le porte dell’Edificio sono chiuse?” “Oh sì,” rise il vecchio, “molti lo sanno. Passi per l’ossario. Puoi passare per l’ossario, ma non vuoi passare per l’ossario. I monaci morti vegliano.” “Sono quelli i monaci morti che vegliano, non quelli che si aggirano di notte con un lume per la biblioteca?” “Con un lume?” Il vecchio parve stupito. “Non ho mai sentito questa storia. I monaci morti stanno nell’ossario, le ossa calano a poco a poco dal cimitero e si radunano lì a custodire il passaggio. Non hai mai visto l’altare della cappella che reca all’ossario?” “È la terza a sinistra dopo il transetto, è vero?” “La terza? Forse. È quella con la pietra dell’altare scolpita con mille scheletri. Il quarto teschio a destra, spingi negli occhi10... E sei nell’ossario. Ma non ci vai, io non ci sono mai andato. L’Abate non vuole.”
2 Il Novecento e oltre • QUADRO LINGUISTICO-LETTERARIO
Secondo giorno NOTTE Dove si penetra finalmente nel labirinto, si hanno strane visioni e, come accade nei labirinti, ci si perde. Rimontammo allo scriptorium, questa volta per la scala orientale, che saliva anche al piano proibito, il lume alto davanti a noi. Io pensavo alle parole di Alinardo sul labirinto e mi attendevo cose spaventevoli. Fui sorpreso, come emergemmo nel luogo in cui non avremmo dovuto entrare, di trovarmi in una sala a sette lati, non molto ampia, priva di finestre, in cui regnava, come del resto in tutto il piano, un forte odore di stantio o di muffa. Nulla di terrificante. La sala, dissi, aveva sette pareti, ma solo su quattro di esse si apriva, tra due colonnine incassate nel muro, un varco, un passaggio abbastanza ampio sormontato da un arco a tutto sesto. Lungo le pareti chiuse si addossavano enormi armadi, carichi di libri disposti con regolarità. Gli armadi portavano un cartiglio11 numerato e così pure ogni loro singolo ripiano: chiaramente gli stessi numeri che avevamo visto nel catalogo. In mezzo alla stanza un tavolo, anch’esso ripieno di libri. Su tutti i volumi un velo abbastanza leggero di polvere, segno che i libri venivano puliti con una certa frequenza. E anche per terra non vi era lordura di sorta12. Sopra all’arco di una delle porte, un grande cartiglio, dipinto sul muro che recava le parole: Apocalypsis Iesu Christi13. Non pareva sbiadito, anche se i caratteri erano antichi. Ci avvedemmo14 dopo, anche nelle altre stanze, che questi cartigli erano in verità incisi nella pietra, e abbastanza profondamente, e poi le cavità erano state riempite con della tinta, come si usa per affrescare le chiese.
7 Hunc... ille: “il labirinto della biblioteca allude (allegoricamente) a questo mondo”. È uno dei molti passi in latino dell’opera. 8 Intranti... artus: “largo per chi entra, ma troppo angusto per chi torna indietro”. 9 Non bisogna... Ercole: secondo la mitologia greca, le colonne d’Ercole erano state poste dall’eroe su due promontori dello stretto
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di Gibilterra per contrassegnare i limiti del mondo; qui, per metafora, rappresentano il divieto di accedere alla biblioteca. 10 spingi negli occhi: premi gli occhi (del quarto scheletro effigiato). L’operazione faceva aprire la via di accesso all’ossario. 11 un cartiglio: motivo ornamentale che raffigura un rotolo di carta, in parte svolto, su © Casa Editrice G. Principato SpA
cui è apposta un’iscrizione. 12 non vi era... di sorta: non c’era traccia di sporcizia. 13 Apocalypsis Iesu Christi: la rivelazione di Gesù Cristo. Si tratta delle parole con cui si apre il libro dell’Apocalisse. 14 Ci avvedemmo: ci accorgemmo.
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15 Super... mors: ancora versi dell’Apocalisse, rispettivamente, “sui troni (stavano) ventiquattro (vecchi)” e “il suo nome era morte”. 16 eptagonale: a forma di poligono ettagonale (con sette angoli).
17 Obscuratus... aer: “il sole e l’aria si oscurarono”. 18 Facta ... ignis: “ci furono grandine e fuoco”. 19 Mi pare elementare: elementare è espressione usata comunemente, rivolgendosi a
Watson, da Sherlock Holmes. 20 Siamo... il conto torna: precedentemente Guglielmo, osservando la struttura esterna dell’abbazia, aveva pensato di aver individuato la pianta dell’interno.
Guida alla lettura
Il primo passo è occupato dal dialogo tra Guglielmo da Baskerville e un vecchissimo monaco. Eco riesce a creare un’atmosfera suggestiva in cui aleggia il senso del proibito e serpeggia la paura: attraverso le parole di Alinardo il lettore immagina che dall’infrangere i limiti e le proibizioni possano derivare gravi punizioni. Fa balenare l’idea che le morti (fino a quel momento due) verificatesi tra i monaci dell’abbazia possano essere frutto del peccato e segnalino l’avvento del tempo dell’Apocalisse (erano molto diffuse nel momento storico in cui è immaginata l’azione le attese millenaristiche sulla fine del mondo). Dalle parole ambigue del monaco, che mostra di conoscere esattamente il modo in cui si penetra nella biblioteca, si deduce che molti ci siano stati, nonostante la proibizione dell’Abate, e probabilmente – nonostante lo neghi – lui stesso («E sei nell’ossario. Ma non ci vai, io non ci sono mai andato»). L’obiettivo di creare un clima inquietante secondo i dettami tipici del racconto fantastico è riuscito: infatti Adso (in cui si proietta e immedesima il lettore un po’ sprovveduto) all’inizio
La creazione della suspense ▪
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3 Il postmoderno
Passammo per uno dei varchi. Ci trovammo in un’altra stanza, dove si apriva una finestra, che in luogo dei vetri portava lastre di alabastro, con due pareti piene e un varco, dello stesso tipo di quello da cui eravamo appena passati, che dava su un’altra stanza, la quale aveva due pareti piene anch’esse, una con finestra, e un’altra porta che si apriva davanti a noi. Nelle due stanze due cartigli simili nella forma al primo che avevamo visto, 75 ma con altre parole. Il cartiglio della prima diceva: Super thronos viginti quatuor, quello della seconda: Nomen illi mors15. Per il resto, anche se le due stanze erano più piccole di quella da cui eravamo entrati in biblioteca (infatti quella era eptagonale16 e queste due rettangolari) l’arredo era lo stesso: armadi con libri e tavolo centrale. Accedemmo alla terza stanza. Essa era vuota di libri e senza cartiglio. Sotto alla finestra 80 un altare di pietra. Vi erano tre porte, una da cui eravamo entrati, l’altra che dava sulla stanza eptagonale già visitata, una terza che ci immise in una nuova stanza, non dissimile dalle altre, salvo che per il cartiglio che diceva: Obscuratus est sol et aer17. Di qui si passava a una nuova stanza, il cui cartiglio diceva Facta grando et ignis18; era priva di altre porte, 85 ovvero, arrivati a quella stanza non si poteva procedere e occorreva tornare dietro. “Ragioniamo,” disse Guglielmo. “Cinque stanze quadrangolari o vagamente trapezoidali, con una finestra ciascuna, che girano intorno a una stanza eptagonale senza finestre a cui sale la scala. Mi pare elementare19. Siamo nel torrione orientale, ogni torrione dall’esterno presenta cinque finestre e cinque lati. Il conto torna20. La stanza vuota è proprio quella che guarda a oriente, nella stessa direzione del coro della chiesa, la luce del sole 90 all’alba illumina l’altare, il che mi sembra giusto e pio. L’unica idea astuta mi pare quella delle lastre di alabastro. Di giorno filtrano una bella luce, di notte non lasciano trasparire neppure i raggi lunari. Non è poi un gran labirinto. Ora vediamo dove portano le altre due porte della stanza eptagonale. Credo che ci orienteremo facilmente.” Il mio maestro si sbagliava e i costruttori della biblioteca erano stati più abili di quanto 95 credessimo. Non so bene spiegare cosa avvenne, ma come abbandonammo il torrione, l’ordine delle stanze si fece più confuso. Alcune avevano due, altre tre porte. Tutte avevano una finestra, anche quelle che imboccavamo partendo da una stanza con finestra e pensando di andare verso l’interno dell’Edificio. Ciascuna aveva sempre lo stesso tipo . di armadi e di tavoli, i volumi in bell’ordine ammassati sembravano tutti uguali e non ci 100 aiutavano certo a riconoscere il luogo con un colpo d’occhio. [...]
del passo successivo si attende cose terribili nel momento di infrangere il divieto («Io pensavo alle parole di Alinardo sul labirinto e mi attendevo cose spaventevoli»). La biblioteca-labirinto: un omaggio a Borges ▪ Nel secondo passo Adso e Guglielmo si trovano nella sala centrale, da cui si diparte la struttura della biblioteca che, nel passo precedente, Alinardo ha definito un labirinto, creando una forte inquietudine in Adso. Su quattro lati si aprono passaggi ad altre sale, nelle quali, a loro volta, si aprono nuovi passaggi, in una struttura ordinata ma appunto, al contempo, labirintica. All’implacabile razionalismo di Guglielmo la biblioteca non sembra a prima vista «un gran labirinto» e pensa di potervisi orientare senza difficoltà, ma non è così: i due – come in ogni labirinto che si rispetti – si smarriscono e solo casualmente riusciranno alla fine a ritrovare il punto da cui erano entrati. Nella rappresentazione della biblioteca-labirinto è evidente la suggestione esercitata su Eco (e non solo su di lui: basti pensare a Calvino) dal celebre racconto di Borges (→C6U2), La biblioteca di Babele (1941) pubblicato in Italia nel 1951 (nella raccolta Finzioni). In esso l’universo è immaginato come un’immensa biblioteca che contiene, in interminabili scaffali che si ripetono in gallerie esagonali, tutti i libri reali e tutti i libri possibili. È impossibile però per l’uomo (che Borges identifica nell’immagine metaforica del «bibliotecario imperfetto») decifrare la legge matematica della biblioteca, cioè, fuor di metafora, cogliere il senso indecifrabile dell’universo. Nella visione di Borges l’immagine tradizionale della biblioteca come simbolo di un sapere codificato, certo, si rovescia in quella, di segno opposto, del labirinto come simbolo tradizionale di smarrimento. Se ne deduce che non esiste più alcuna certezza, che il senso stesso del mondo vacilla. La tematica metafisica del racconto di Borges, con i suoi contorni di angosciosa problematicità, nel romanzo di Eco, se non proprio parodizzata, viene però riprodotta in un modo ironico e sostanzialmente “leggero” tipicamente postmoderno. 2 Il Novecento e oltre • QUADRO LINGUISTICO-LETTERARIO
Attività sul testo Abilità: comprendere e analizzare
1. La sintesi Sintetizza in max 8 righe il contenuto dei due brani. 2. L’argomento del dialogo tra Guglielmo e Alinardo L’argomento centrale del dialogo tra Guglielmo e Alinardo riguarda a. □ i misteriosi omicidi in abbazia. b. □ l’avvicendamento dei bibliotecari. c. □ l’Apocalisse. d. □ i segreti della biblioteca. 3. La possibilità di accedere alla biblioteca Quale particolare importante rivelato dal vecchio monaco consente ai due protagonisti di accedere alla biblioteca? 4. Aspetti della cultura medievale Quali tra i seguenti aspetti della cultura medievale emergono nei due brani? a. □ Razionalismo. b. □ Fanatismo. c. □ Scetticismo. d. □ Allegorismo. e. □ Senso del peccato. f. □ Millenarismo. g. □ Antropocentrismo. 5. Le caratteristiche di Guglielmo Quali sono le caratteristiche della personalità di Guglielmo? a. □ Curiosità. b. □ Pavidità. c. □ Umiltà. d. □ Senso dell’ironia. e. □ Insicurezza. f. □ Lucidità razionale. g. □ Dogmatismo. – Esemplifica la tua risposta con alcuni riferimenti al testo. 164
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Una scena dal film Il nome della rosa di Jean-Jacques Annaud (1986).
4 Gesualdo Bufalino e Le menzogne della notte
Gesualdo Bufalino.
Lo scrittore siciliano Gesualdo Bufalino (1920-1996), svolse per molti anni l’attività di insegnante di lettere a Comiso (presso Ragusa), sua città natale. Esordì come scrittore a più di sessant’anni, con Diceria dell’untore (1981), romanzo di carattere autobiografico, ambientato in un sanatorio siciliano nel 1946. È narrato in prima persona da un giovane che, unico tra i suoi compagni, riesce a sfuggire alla morte e sente di dover testimoniare la sua esperienza. L’opera si caratterizza per l’accentuata dimensione simbolica, che investe anche i luoghi e il paesaggio, e per una scrittura sontuosa, barocca. Diceria dell’untore vince il premio Campiello e rivela alla critica e al pubblico le doti di fine narratore di Bufalino, autore colto e raffinato. Dopo il fortunato esordio, pubblica: Argo il cieco ovvero i sogni della memoria (1984, prose autobiografiche), L’uomo invaso e altre invenzioni (1986, raccolta di racconti), i romanzi Le menzogne della notte (1988), Calende greche (1992), Tommaso e il fotografo cieco (1996). Alla produzione narrativa si accompagna quella poetica (L’amaro miele, 1982) e una ricca e raffinata produzione di saggi, aforismi, brevi prose.
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Le menzogne della notte: un’investigazione postmoderna La struttura e il soggetto ▪ Le menzogne della notte è un romanzo breve, scandito in 14 capitoletti titolati (→T 21 OL). I primi quattro introducono la “cornice”: il luogo in cui si svolge l’azione (una stanza claustrofobica in una prigione-fortezza a picco su un isolotto compreso nel Regno delle Due Sicilie), protagonisti e la materia della narrazione: il Governatore Consalvo de Ritis scorre i profili giudiziari di quattro condannati a morte per cospirazione contro il re che devono essere giustiziati il mattino dopo. Dei successivi capitoletti, quattro contengono ognuno i racconti dei quattro condannati nella lunga notte che li separa dalla morte (V, VII, IX, XI): il barone Corrado Ingafù, il poeta Saglimbeni, il soldato Agesilao e il giovane studente Narciso. I racconti sono intervallati (nei capitoletti intermedi) dalle riflessioni dei quattro cospiratori e da quelle del misterioso frate Cirillo, un pericoloso brigante anch’egli condannato a morte, che li ha indotti a raccontare e che li provoca con il suo cinismo e la sua dissacrante ironia. Il Governatore aveva offerto ai condannati la possibilità di salvarsi se anche uno solo di loro avesse rivelato (in forma rigorosamente anonima) il nome del misterioso “Padreterno”, un rivoluzionario nemico giurato del Re, di cui i quattro sono fedelissimi seguaci, ma fino alla fine non si sa se qualcuno di loro tradirà. Nel XIII capitolo, intitolato Diabolus ex machina, frate Cirillo si rivela essere in realtà il Governatore stesso (il vero brigante è già stato giustiziato), che si è cammuffato per carpire con l’inganno ai condannati (cosa che la tortura non era riuscita a fare) il nome del misterioso “Padreterno”. Consalvo crede di averli ingannati e di avere in mano il nome che incautamente si sono fatti sfuggire, ma negli ultimi suoi giorni di vita (quando il “Padreterno”, identificato nel fratello del re è stato a sua volta giustiziato) ha la sensazione di essere stato beffato: il nome non era forse quello che aveva creduto o forse addirittura il Padreterno non esiste neppure e l’hanno inventato i ribelli per incutere paura. Per non aver servito adeguatamente il suo sovrano decide di uccidersi.
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L’ultimo capitolo (XIV), è costituito dal testamento del Governatore Consalvo e dalla lettera che egli scrive al re, in cui manifesta la sue angosciose perplessità su quanto è accaduto nella “notte delle menzogne” (da qui il titolo del romanzo). La cifra dell’enigmaticità ▪ Le menzogne della notte è un esempio della destrutturazione della forma romanzo tipica del postmoderno, innanzitutto perché si qualifica programmaticamente come “opera aperta”, soggetta a diverse interpretazioni e prospettive di lettura: non solo c’è discrepanza tra i profili ufficiali dei condannati e i loro racconti notturni, ma c’è contraddizione anche tra questi racconti e le verità celate che ognuno dei condannati ha dentro di sé, come evidenzia sarcasticamente frate Cirillo-Consalvo. «Fantasia storica» e «giallo metafisico» ▪ Lo sfondo del romanzo è storico, ma si tratta secondo la definizione data dall’autore di una «fantasia storica». Ma il genere in cui forse può maggiormente essere iscritto il romanzo è il giallo poliziesco, anche se lo scrittore siciliano traspone il copione usurato dell’investigazione – come avviene spesso nelle opere migliori del postmoderno – a un livello alto (e infatti di «giallo metafisico» parla l’autore stesso): nelle Menzogne della notte l’inchiesta non riguarda solo e non tanto l’identità del cospiratore di cui i quattro sono seguaci, ma più in generale il destino umano, il senso (o non senso) delle scelte di vita individuali, della storia. La verità del mondo e della stessa personalità umana coincide alla fine con il guazzabuglio di manzoniana memoria. La dimensione intertestuale ▪ Un altro aspetto prettamente postmoderno del romanzo di Bufalino è la frequente allusione oltre che al romanzo manzoniano, a vari testi illustri della sua memoria letteraria e filosofica (Platone, Pascal, Leopardi, Stendhal e altri ancora) e l’utilizzazione nella costruzione delle vicende di topoi propri della tradizione narrativa come l’avventura, il riconoscimento e così via. Il rimando intertestuale più esplicito riguarda due opere celeberrime della tradizione narrativa: Le mille e una notte (a cui allude la narrazione notturna e la prospettiva della morte) e soprattutto il Decameron. Nel primo passo antologizzato Cirillo-Consalvo parla esplicitamente (e ironicamente) di «Decamerone notturno». Testi ON LINE
21 La notte degli inganni Gesualdo Bufalino_Le menzogne della notte, XIII e XIV
5 A ntonio Tabucchi: la vita come “rebus” Antonio Tabucchi è considerato uno degli scrittori più rappresentativi e qualificati del postmoderno (e peraltro uno dei pochissimi che hanno accettato che la propria opera fosse definita all’interno di questa categoria). Lo dimostrano già i continui, sofisticati rimandi intertestuali presenti nelle sue opere (Conrad, Kipling, Stevenson, Pirandello, Borges, Baudelaire, ma anche autori cinematografici come Hitchcock e altri). Ma è anche indicativa la concezione della vita come “rebus” (è anche il titolo di un racconto di Tabucchi) destinato a rimanere irrisolto, serie di equivoci, di appuntamenti mancati, di combinazioni. La stessa personalità individuale rimane misteriosa: quelli di Tabucchi sono personaggi dalla “biografia imperfetta”, di cui si conoscono solo dei dettagli, che inducono il narratore a cercare nuovi aspetti, altre visuali, in un’idea della letteratura come inchiesta alla ricerca di “verità nascoste”, senza però che si pervenga a una conclusione univoca. 166
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Biografia
Antonio Tabucchi
Narratore, saggista, traduttore, docente universitario, Antonio Tabucchi (Pisa 1943 – Lisbona 2012) è stato un fine studioso della letteratura portoghese: in particolare ha curato l’edizione di tutte le opere del grande poeta Fernando Pessoa (1888-1935), che ha fatto conoscere in Italia. Ha esordito come narratore nel 1975 con Piazza d’Italia, una coinvolgente saga familiare sullo sfondo della storia italiana dall’Ottocento al secondo dopoguerra. A distanza di pochi anni segue un altro romanzo, Il piccolo naviglio (1978). La sua qualità di fine narratore si esplicita soprattutto nella misura breve del racconto: Il gioco del rovescio (1981), Piccoli equivoci senza importanza (1985), I volatili del Beato Angelico (1987), L’angelo nero (1991),
Il romanzo è ambientato a Lisbona alla fine degli anni Trenta del secolo scorso al tempo della dittatu-
ra di Salazar e racconta il processo interiore che porta Pereira, un goffo giornalista che scrive sulle pagine culturali di un giornale, dopo l’incontro con un giovane
rivoluzionario, alla scelta di ribellarsi al regime e di denunciare le violenze della polizia, diventando finalmente protagonista della propria vita.
Piccoli equivoci senza importanza Piccoli equivoci senza importanza è una raccolta di undici racconti del 1985, nella quale Tabucchi dà spazio agli equivoci, appunto, che lo scrittore intende come «malintesi, incertezze, comprensioni tardive, inutili rimpianti, ricordi forse ingannevoli, errori sciocchi e irrimediabili». Tema fondamentale della raccolta è una visione della vita come serie di appuntamenti con il caso, scelte esistenziali dai motivi inesplicabili, prospettive ambigue (scelte è parola ricorrente anche nel racconto antologizzato). Frequente nella raccolta, come in tutte le opere di Tabucchi, è il gusto postmoderno della rivisitazione di temi e personaggi letterari (in Stanze la protagonista si rivela essere la sorella di un celebre personaggio della letteratura italiana; o in un altro racconto, I treni che vanno a Madras, in cui Tabucchi fa comparire un personaggio che dice di chiamarsi Peter Schlemihl come il celebre personaggio di Chamisso poi ripreso da E.T.A. Hoffmann). I racconti utilizzano spesso ingredienti propri del racconto fantastico, e altrettanto spesso è mescolato (come nel fantastico canonico) “meraviglioso” e realismo quotidiano; ma Tabucchi rivisita e rivitalizza il genere attraverso una sottile indagine psicologica e soprattutto una visione nichilista prettamente postmoderna. Aspetti postmoderni ancora sono il tema della personalità doppia o ambigua, e soprattutto l’uso di trame aperte, la presenza di storie inconcluse e pronte a rovesciarsi, da cui si deduce la provvisorietà e precarietà di ogni prospettiva.
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Sostiene Pereira
Sogni di sogni (1992). Tabucchi è anche autore di pièces teatrali (I dialoghi mancati, 1988, omaggio a Pessoa e Pirandello). La fama di Tabucchi presso il grande pubblico è legata soprattutto al romanzo di carattere storico-politico Sostiene Pereira (1994) vincitore del Premio Campiello e Viareggio, dal quale è stato tratto nel 1995 un fortunato film con la regia di Roberto Faenza e Mastroianni nel ruolo del protagonista. Altri romanzi sono Notturno indiano (1984), Requiem, un’allucinazione (1992), scritto originariamente in portoghese, e il giallo poliziesco La testa perduta di Damasceno Monteiro (1997), ispirato a un reale fatto di cronaca.
Testo
22 Un esempio di riscrittura “dalla parte di”
Antonio Tabucchi_Piccoli equivoci senza importanza, Stanze
A. Tabucchi, Piccoli equivoci senza importanza, Feltrinelli, Milano 1985
1 Guido: il fratel-
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lo della protagonista, celebre letterato, è gravemente ammalato. 2 un Dantino: volume di piccolo formato e in caratteri minuti contenente il testo integrale della Divina Commedia. 3 libro d’ore: piccolo libro di preghiere. 4 ex-libris: all’interno della copertina o sul frontespizio era consuetudine contrassegnare l’appartenenza di un libro a una determinata persona (lat. “dai libri [di]”), con il nome, e un’immagine o un fregio, spesso accompagnato da un motto. 5 i questuanti: coloro che chiedevano a Guido, data la sua notorietà, qualche favore.
Nel racconto Stanze protagonista è una donna ormai alle soglie della vecchiaia che, assistendo il fratello gravemente malato, riflette non senza amarezza sul tempo e sulla vita. Nel corso della narrazione, da alcuni dettagli, il lettore è indotto a identificare il malato in un celeberrimo personaggio della letteratura italiana e in Amelia, protagonista del racconto, la sorella.
Amelia guarda il leggero velo di nebbia che in lontananza sta calando sul tetto della casa e pensa: è tardi, dobbiamo affrettarci. Il sentiero è ripido e sinuoso, lastricato di granito tagliato largo, con l’umidità della sera sembra un ruscello pietrificato dal tempo, ci sono cespugli di rosmarino e di salvia che lo fiancheggiano, l’aria è fresca e l’aroma è intenso, delle macchie gialle tappezzano già la costa della collina: è di nuovo l’ottobre, pensa Amelia, forse domani avremo il primo giorno di pioggia. [...]. Della sua casa, dal sagrato, si vedono appena il tetto e le finestre del piano superiore; c’è un rampicante che si inerpica fino ai davanzali, è già semispoglio per l’autunno; la finestra di Guido1 ha una luce fioca: la lampada schermata sul tavolino da notte. Accanto al lume di ottone, sul fazzoletto di trina gialla, un Dantino2 con la rilegatura dorata come in libro d’ore3, il flacone di cristallo graduato con la polvere per la pozione durante le crisi più leggere, una scatolina d’avorio con un rosario di madreperla, un corno rosso di corallo. Amelia, camminando, passa in rassegna gli oggetti a memoria come può farlo chi conosce la minuziosa geografia di una stanza. L’armadio di noce occupa la parete di fondo. Sua madre vi riponeva i lini e le canape, anche lei ce li conserva ancora: lenzuola spesse e ingiallite che hanno ospitato per generazioni i sonni della sua famiglia; una volta l’armadio aveva una chiave grossa che spiccava nel mazzo appeso al chiodo del guardaroba dove erano appese le chiavi di tutta la casa con cartellini scritti con inchiostro marrone: dispensa, biancheria, arca ripostiglio, armadio camere. Sulla destra dell’armadio, sotto la finestra, c’è un piccolo tavolo col ripiano di marmo, quando Guido era ancora in grado di alzarsi era lì che scriveva, guardando nel riquadro della finestra le cime degli alberi e la costa della collina. Nel cassetto destro, nascosto in una piccola scacchiera pieghevole, teneva il suo diario che lei ha letto puntualmente ogni mattina, per anni, confrontando la sua impressione della giornata trascorsa con la descrizione eseguita dal fratello. Pensa come è falsa la scrittura, con quella sua prepotenza implacabile fatta di parole definite, di verbi, di aggettivi che imprigionano le cose, che le candiscono in una fissità vitrea, come una libellula restata in un sasso da secoli che mantiene ancora la parvenza di libellula ma che non è più una libellula. Così è la scrittura, che ha la capacità di allontanare di secoli il presente e il passato prossimo: fissandoli. Ma le cose sono diffuse, pensa Amelia, e per questo sono vive, perché sono diffuse e senza contorni e non si lasciano imprigionare dalle parole. Sul piccolo tavolo di Guido sono allineati i libri della sua vita; alcuni hanno rilegature di cuoio antico, altri una rilegatura cartonata che assomiglia a un marmo azzurro, con venature color cenere: i Vangeli, una Eneide settecentesca stampata a Parigi per i tipi dei fratelli Michaud, l’Aminta del Tasso, la Vita dell’Alfieri, il Petrarca, Shelley, le liriche di Goethe, l’Adelchi di Manzoni. Nella pagina bianca prima del frontespizio, in alto a destra, l’ex-libris4 di Guido, un quadratino color seppia con un faro che lancia un fascio di luce sopra un mare notturno e sotto, in corsivo, guido, con l’iniziale minuscola. Nel cassetto sinistro, legate con nastri di vari colori, ci sono le lettere che Guido ha ricevuto nella sua vita. Le ha ordinate lei per anni, catalogandole in ordine di importanza: l’Accademia, l’Università, i letterati italiani e stranieri, gli editori, le riviste, i questuanti5. Alcune cominciano così: Caro Maestro e Amico; altre dicono solo: Eccellenza, e hanno 168
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6 la prosopopea: l’aria ufficiale, l’atmosfera di solennità.
calligrafie pompose e svolazzanti. Negli ultimi mesi della malattia sono arrivate poche lettere dei veri pochi amici e una lettera formale dell’Accademia che esprimeva preoccupazione per lo stato di salute del Maestro e augurava una pronta guarigione. Amelia ha risposto con un biglietto cortese e breve: “Mio fratello non è in grado di rispondere, per il momento; apprezzo molto la Vostra generosa attenzione.” Sul cassettone con la specchiera, di fianco alla finestra, ci sono i ritratti. Sono quasi tutti ritratti di Guido e di lei, e uno della mamma da bambina; quelli di mamma e papà insieme ha voluto tenerli lei in camera sua, sul suo cassettone. Camminando, Amelia guarda quei ritratti e pensa a come passa il tempo. Come passa il tempo. Nel primo ritratto Guido ha dodici anni, indossa una giacca da uomo, i pantaloni di velluto sono a mezza gamba, chiusi in fondo con tre bottoni laterali. Porta degli scarponcini alti, con le fibbie, e il piede destro è appoggiato su un tronco di cartapesta che il fotografo ha messo nello studio per dare un ambiente rustico. Sul fondale di tela è dipinta una balconata incongrua che dà su una specie di golfo di Napoli, ma senza pini e senza Vesuvio. Nell’angolo destro, trasversalmente, la calligrafia dell’autore ha lasciato il suo nome: Studio Savinelli, Fotografo. Amelia guarda la fotografia accanto e sono già passati dieci anni. È incorniciata in una cornice d’argento; l’umidità, che ha forse reagito con il metallo, ha disegnato sui bordi una macchia sinuosa come l’orlo lasciato dalle onde su una spiaggia. Guido è alla sinistra di Amelia e le offre il braccio destro al quale lei si appoggia leggiadramente, come una sposa. Guido ha un vestito scuro e una cravatta ampia, lungo i fianchi regge il cappello per la falda. Lei ha un vestito bianco, leggermente vaporoso, con un nastro in vita. In testa porta un cappello di paglia che le ombreggia il viso, la linea scura le taglia la fronte fino agli occhi, che si scorgono appena: ma il resto del viso è inondato di luce e un sorriso ingenuo e forse felice le scopre i denti candidi. È estate. Il pergolato di vite, dietro di loro, disegna pozze d’ombra sul cortile. Sul tavolino di ferro battuto c’è una brocca che qualcuno ha riempito di fiori. Sembrano proprio due sposi, come se la cerimonia fosse appena finita. E il giorno della laurea di Guido, c’è stato un pranzo sotto il pergolato [...]. Amelia sa che odia quella fotografia. Ha imparato a odiarla molti anni dopo, quando ormai odiarla non aveva più senso. Lo sa e preferisce non sapere il vero perché. Preferisce che di quel lontano momento che la lastra catturò, la infastidiscano particolari insignificanti: il suo sorriso così infantile e quasi stupido, la spalla destra di Guido leggermente cadente che denota forse un lieve imbarazzo: cose così, insignificanti. E poi ci sono altre due fotografie accanto a questa, ma queste non le odia, fanno parte della sua vita vera, quando le scelte ormai erano fatte. Le scelte. Quali scelte?, pensa Amelia camminando e scostando col bastone un tralcio di rovi che dal ciglio ha invaso il sentiero. Da un po’ usa il bastone, non perché sia così vecchia, cammina molto bene e non ha bisogno di sostegni: ma le piace uscire la domenica pomeriggio col bastone che fu di suo padre; è una canna d’India elegante e snella, con un pomo d’argento a forma di piccola testa di cane. Quali scelte. Nella terza fotografia Guido ha un’espressione solenne come vuole la circostanza: ha la toga, regge in mano un papiro arrotolato e con l’altra mano si appoggia al bordo di una fontana senza l’acqua, nel chiostro dell’Università. L’ultima fotografia è un pranzo ufficiale, il festeggiato è Guido, che siede al centro della tavola. Sono stati ripresi alla fine del pranzo, quando le bevande hanno sciolto sui volti la prosopopea6 dell’avvenimento, rendendoli disponibili e indifesi. Ci sono i letterati e gli artisti, il magrolino in fondo alla tavola è un musicista celebre che lei ha sempre trovato insipido come le sue composizioni. Lei siede alla destra del fratello, nei suoi occhi si legge soddisfazione e contentezza, ma le labbra le si sono assottigliate, rispetto alla fotografia dei suoi diciott’anni: hanno perso generosità e offerta, sono labbra avare, guardinghe, vigilano le parole, i pensieri, la vita.
7 consommé: brodo.
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concrezione: propriam., qualsiasi formazione (organica o inorganica) per se dimentazio ni successive nel tempo.
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Com’è strano il tempo. Il signor Guido ha avuto una crisi, le dice Cesarina sommessamente, il dolore doveva essere insopportabile perché si mordeva le mani per non gridare, poi ha cominciato a lamentarsi piano come una bestia, ora forse si è assopito, non ne può più. Cesarina è una sposa con le guance bianche e rosse e un seno enorme, tutta latte e sangue, porta con sé l’ultimo nato e lo fa dormire in una cesta di paglia sulla madia, è un bimbone pacifico che si sveglia solo per reclamare il cibo, lei lo allatta seduta su uno sgabello di cucina. Ha preso il posto di sua madre, nel servizio, sua madre si chiamava Fanny, ha servito in casa per tutta la vita, era una coetanea di Amelia e da bambine giocavano insieme, se Amelia si fosse sposata ora avrebbe una figlia della sua età, a volte ci pensa, e due o tre nipoti. Le risponde che ora se ne occuperà lei, grazie, ormai è così negli ultimi tempi; e ora vada pure a casa, si è fatto tardi e la strada per il paese è scura e piena di buche. Risponde alla buona notte e prende la caraffa dell’acqua; la minestra è pronta, dice ancora Cesarina, ho fatto un consommé7 leggero. Salendo le scale sente il rumore del cancello che si apre e si richiude; ora nella casa c’è solo il lieve rumore dei suoi passi, dalla camera di Guido filtra una fessura di luce, passando sente il suo respiro pausato e lugubre: dorme. Apre con cautela la porta accanto, la sua camera, e la richiude con altrettanta cautela, appena un cigolio del vecchio legno; si toglie il mantello al buio e lo appende all’attaccapanni a treppiedi accanto alla porta; sul cassettone arde un lumicino perenne davanti alla fotografia di papà e mamma: sono due volti antichi in un ovale sfocato che sorridono al nulla. Nella semioscurità cerca la veste da camera e apre la finestra. L’aria è pungente e la luna che spunta dalla collina diffonde nel cielo un alone sfrangiato dagli alberi. Amelia si stende sul letto e guarda fuori, la notte. Quel letto era dei suoi genitori, è lì che due persone, tanti anni fa, la concepirono. La parete a cui è appoggiato il suo letto lo divide dal letto di Guido. Così, divisi da una parete, per tanto tempo. Amelia pensa a questo e pensa di nuovo al tempo. Le sembra quasi di sentirlo scorrere, ora che la campagna dorme e il silenzio è grande: è come un ronzio, il rumore di un fiume sotterraneo. Pensa a quante notti ha dormito in quel letto pensando alla persona che dormiva dall’altra parte del muro. E pensa all’odio. Anche l’odio è una cosa diffusa, non si lascia imprigionare dalle parole, ha molteplici forme di vivere, sfumature, frange, chiaroscuri impercettibili, flussi, andamenti. Fa sì che di una persona si arrivi a desiderare la morte. Lei ha provato questo desiderio così a lungo, segretamente. Ma non saprebbe dire quando è cominciato: l’odio ha una sua concrezione8 strana, quando è definito e formulabile era già nato in noi, preesisteva in silenzio acquattato in una piega dell’animo. E poi, forse, non era odio. Amelia pensa a questa espressione: le pieghe dell’animo. E pensa alla sua verità, perché l’animo ha molte pieghe. Le arriva un gemito acuto, come un sibilo. È così che Guido si sveglia quando cominciano i dolori. Poi il lamento diventa straziante, un guaito, e a volte un unico grido immenso e pauroso nella notte. Si alza e accende il lume. Sul panno di lino steso sulla toeletta è pronta la scatolina di metallo con la siringa bollita, l’alcool, il cotone, le fiale. Ora Guido si è svegliato, graffia la parete con un dito, su e giù, la sua unghia ha scavato un solco profondo nell’intonaco del muro sopra il suo letto. Amelia prende la seghetta di ferro e sfrega rapidamente l’ampolla, estrae la siringa dall’astuccio, fa schizzare via l’acqua rimasta nell’ago, aspira il liquido della fiala, gira la siringa verso l’alto e aziona abilmente lo stantuffo per espellere le ultime bolle d’aria, immerge un batuffolo di cotone nel flacone dell’alcool, lo strizza. Vengo subito, Guido, dice a sua volta. Pensa a cosa significa la pietà e sa che le sue mani la stanno amministrando. Dentro il petto sente un vuoto, come un tunnel gelido. Ma le mani che reggono la siringa sono ferme: senza un brivido, senza un tremito. 170
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Guida alla lettura
Protagonista assoluta del racconto è Amelia, una donna di mezza età, di cui il narratore adotta integralmente il punto di vista, registrandone le impressioni e i pensieri. La figura del fratello, che, da quanto si dice, è una persona importante (le lettere gli si rivolgono infatti come Maestro, o addirittura Eccellenza) è invece presentata sullo sfondo, nel suo letto di malato, ma soprattutto vive nel testo esclusivamente in rapporto alla figura della sorella, alle sue percezioni, ricordi, rimpianti. L’originalità del racconto sta proprio in questo ribaltamento di prospettiva: mentre l’intera vita di Amelia è stata infatti subordinata al culto del celebre fratello (che vari dettagli consentono di identificare con Giovanni Pascoli) e dedicata alla cura amorevole della sua persona, il racconto le assegna il primo piano assoluto. La scelta narrativa dell’autore non è certo casuale, ma da un lato corrisponde al gusto postmoderno di scrivere una storia ‘dal punto di vista di’ (in questo caso la sorella del celebre scrittore, Mariù, qui con il nome fittizio di Amelia), dall’altro rispecchia l’idea di Tabucchi della letteratura come indagine “ricomponente”, “svelante”, capace di portare alla luce una verità che comunque mantiene ampi margini di enigmaticità. Un titolo enigmatico ▪ Il racconto porta un titolo a prima vista spiazzante: Stanze. In realtà è più che altro la stanza di Guido che è minuziosamente descritta per il lettore dal pensiero di Amelia che sta tornando a casa. È proprio attraverso una serie di dettagli, di oggetti presenti nella stanza e percorsi analiticamente dal narratore, attraverso il punto di vista di Amelia, che assume consistenza la figura di Guido: la piccola edizione della Commedia che si trova sul suo comodino già fa ipotizzare che il malato sia un letterato. I libri sul tavolino da lavoro (classici della letteratura italiana e latina, qualche straniero) ne indicano poi alcune propensioni letterarie. Le lettere, che la sorella ha meticolosamente diviso e ordinato secondo i mittenti, quasi già pensando al loro valore documentario dopo la morte dell’illustre fratello, suggeriscono una carriera importante anche nel campo accademico. Altri oggetti alludono invece alla particolare relazione tra i due fratelli che convivono nella vecchia casa di famiglia: in particolare il diario di Guido nascosto nel cassetto, che la sorella ha quotidianamente letto per anni, suggerisce in Amalia la presenza di una morbosa curiosità per la vita interiore di Guido, che rimanda a sua volta all’intreccio inquietante delle vite dei due fratelli. Un ruolo centrale nel racconto hanno però soprattutto le fotografie che si trovano sul cassettone nella stanza di Guido e che inducono la donna a riflettere sul trascorrere del tempo («Come passa il tempo») e sulla sua stessa vita, su quelle scelte (o meglio non scelte) che hanno comportato la sua rinuncia a una vita propria, anche sentimentale. In questo senso le fotografie (una delle quali non a caso Amelia dice di odiare) hanno la funzione di un pirandelliano “specchio”, poiché in esse la donna “si vede vivere” (di Pirandello, uno degli autori amati da Tabucchi, si avvertono nella sua opera non pochi echi). Ma in un certo modo “specchio” capace di rivelare le frustrazioni esistenziali di Amelia è anche l’opulenta, carnale domestica «tutta latte e sangue» (mentre Amelia sembra vivere di pensiero) che allatta il suo bambino e che le ricorda ogni giorno la sua rinuncia alla vita. Il titolo rivela solo verso la fine del racconto la sua portata simbolica: non solo la stanza di Amelia è contigua a quella del fratello, ma, ancor più, a testimoniare e simboleggiare la loro simbiosi, le testate dei letti di Guido e Amelia sono separate solo dalla parete (come effettivamente era nella casa di Pascoli. Un finale ambiguo e aperto ▪ Come avviene non di rado nella narrativa di Tabucchi e nella letteratura definibile come postmoderna, il finale del racconto è particolarmente ambiguo e “aperto”. Come nei più canonici racconti fantastici, il narratore dissemina indizi che pongono al lettore delle domande. Nelle vesti di “infermiera” Amelia suscita qualche dubbio: le sue mani, nel preparare la siringa per Guido, si dispongono, ad “amministrare la pietà”. Ma cosa contiene la siringa? Un semplice antidolorifico? Ma allora perché l’autore enfatizza questo momento contrapponendo il gelido vuoto che Amelia sente nel cuore alla sua fermezza? Forse la siringa contiene un veleno letale destinato a uccidere Guido? E in questo caso quella di Amelia è eutanasia ispirata alla pietà per la sofferenza intollerabile di Guido, oppure, sulla base dei precedenti “indizi”, è il desiderio di ribellarsi a una presenza soffocante e di essere finalmente lei a decidere la sorte del fratello? Il ribaltamento della prospettiva ▪
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Attività sul testo Abilità: comprendere e analizzare
1. La sintesi Sintetizza il contenuto del brano in max 10 righe. 2. Il punto di vista Il racconto è condotto secondo il punto di vista a. □ del narratore. b. □ di Guido. c. □ di Amelia. – Motiva la tua risposta.
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□ di
Cesarina.
3. La presentazione di Amelia Amelia viene presentata attraverso a. □ un ritratto dettagliato. c. □ il racconto della sua vita. b. □ le sue azioni. d. □ le sue riflessioni. 4. La presentazione di Guido Attraverso quali elementi viene presentato Guido? a. □ La sua biografia. d. □ Il ritratto fisico. b. □ Il resoconto della domestica. e. □ Gli oggetti e i libri della sua stanza. c. □ I pensieri di Amelia. f. □ Il ritratto psicologico. – Motiva la tua risposta. 5. Tra le seguenti, quali valenze si possono attribuire al rapporto tra i due fratelli? d. □ Amore. a. □ Simbiosi. b. □ Rivalità. e. □ Ambiguità. c. □ Odio malcelato. f. □ Sopraffazione. – Motiva la tua risposta. 6. Le fotografie Quale ruolo esercita l’analitica descrizione delle fotografie? Soffermati su ognuna di esse. 7. Un “racconto di pensieri” In Stanze è quasi del tutto assente l’azione, così che sostanzialmente si può parlare di un “racconto di pensieri”: motiva questo giudizio. 2 Il Novecento e oltre • QUADRO LINGUISTICO-LETTERARIO
8. La scena finale Dopo aver letto le osservazioni della Guida alla lettura relative all’epilogo del racconto, dai la tua interpretazione della scena finale. 9. Un racconto postmoderno? Individua gli aspetti tematici e narrativi che consentono di definire “postmoderno” questo racconto.
APPROFONDIMENTO
Dylan Dog, un eroe postmoderno Dylan Dog, l’investigatore dell’incubo, protagonista dell’omonimo fumetto horror di enorme successo, nasce da un’idea di Tiziano Sclavi nel 1986. Aspetto alla Rupert Everett, accompagnato dal fedele e scombinato assistente Groucho (identico a Groucho Marx), Dylan Dog si è trovato ad affrontare mostri di ogni tipo, zombie, streghe, licantropi, serial killer; è finito in dimensioni parallele, nello spazio, nell’oltretomba, sempre e comunque con quell’aplomb disincantato e ironico che lo ha reso famoso. Dylan Dog è stato oggetto di studi sociologici e antropologici, di libri, nonché di ormai numerosissime tesi di laurea e Umberto Eco, suo grande estimatore, ha commentato a proposito: «Posso leggere la Bibbia, Omero e Dylan Dog per giorni e giorni». Al di là del successo commerciale di questa pubblicazione, che rimane uno dei “casi” più significativi nella storia
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del fumetto, «Dylan Dog» ha sempre suscitato notevoli apprezzamenti da parte dei lettori più sofisticati e dalla critica per alcune caratteristiche che in un certo modo lo avvicinano a un prodotto letterario come Il nome della rosa di Eco. Il celebre romanzo di Eco del 1983 può essere fruito da un pubblico molto eterogeneo, dai lettori più semplici che rimangono avvinti dalla trama da giallo storico agli intellettuali, che tra le pagine del romanzo possono sbizzarrirsi a ricercare un’infinità di citazioni colte inserite volutamente dall’autore. Allo stesso modo, la trasversalità di lettura è una delle caratteristiche più interessanti di «Dylan Dog», essendo un fumetto che vira dal noir allo splatter più esplicito e al contempo un serbatoio di infiniti rimandi culturali alla letteratura, all’arte, al cinema. Molti albi propongono un doppio binario di lettura dunque: da un lato l’intrattenimento offerto dalla storia horror, dall’altro un itinerario di ricerca delle citazioni più o meno esplicite.
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Innanzitutto, già il nome dell’investigatore dell’incubo trae origine dal poeta inglese Dylan Thomas (1914-1953), mentre il suo rapporto con l’assistente Groucho rimanda ad altre celebri coppie letterarie: innanzitutto a Sherlock Holmes e John Watson di Sir Arthur Conan Doyle (1887) e a Don Chisciotte e Sancio Panza di Cervantes (1606). Un esempio esplicito del gusto per la citazione di Sclavi con il suo Dylan Dog è rappresentato ad esempio dall’albo Golconda (n. 41), ispirato al dipinto omonimo del 1953 del celebre artista surrealista René Magritte (1898-1967), che raffigura un’inspiegabile pioggia di uomini in bombetta sui tetti di una città. Nel fumetto di Sclavi avviene esattamente lo stesso nel cielo di Londra, dove all’arrivo dei misteriosi personaggi, si associa una serie di orribili delitti. Sclavi spesso ha poi reso omaggio a classici della letteratura fantastica, di cui è grande cultore: da Frankenstein di Mary Shelley (albo omonimo n. 60)
3 Il postmoderno
a L’isola del dottor Moreau di H.G. Wells (albo L’isola misteriosa n. 23), da Lo strano caso del dottor Jekyll e Mister Hyde di Robert Louis Stevenson (albo Jekyll! n. 33), a Io sono leggenda di Richard Matheson (albo L’ultimo uomo della terra numero n. 77). L’albo numero 67, L’uomo che visse due volte, invece (oltre a rimandare nel titolo al celebre film di Hitchcock La donna che visse due volte del 1958) è una trasposizione del Fu Mattia Pascal in versione horror contaminata con altri riferimenti cinematografici al tema del doppio: il protagonista Mattew Pascal si trova infatti a fronteggiare il suo doppio malvagio Adrian Meis, una sorta di metà oscura e criminale che si è sostituita a lui. L’aspetto geniale (e postmoderno) del gusto citazionistico di Dylan Dog è inoltre quello di spaziare da rimandi colti a riferimenti al cinema più commerciale di genere fantastico-horror, in una continua contaminazione. Ad esempio, l’albo Partita con la morte (n. 66), in cui un uomo sospeso tra la vita e la morte può ritornare a vivere cercando di vincere la Morte a scacchi, cita la famosa scena della partita a scacchi tra il cavaliere e la Morte del Settimo sigillo capolavoro di Ingmar Bergman (1957), l’albo Lama di rasoio (n. 28), in cui le mogli apparentemente perfette sono in realtà dei robot, rimanda al romanzo di Ira Levin La fabbrica delle mogli e l’omonimo film del 1975. Non mancano i rimandi ai grandi classici cinematografici del passato: ad esempio, l’albo Polvere di stelle (n. 147) è una sorta di versione horror di Viale del tramonto (1950); in questo caso infatti Dylan Dog si trova ad affrontare una diva del muto sopravvissuta allo scorrere del tempo grazie al fatto di essere una spietata e sanguinaria vampira. Nel numero 18 intitolato Cagliostro (come l’alchimista settecentesco) è uno dei più ricchi in quanto a rimandi cinefilo-
letterari. Si passa dall’apparizione di un personaggio identico a Cary Grant che finisce ucciso da due apparentemente innocue vecchiette (riferimento al film Arsenico e vecchi merletti di Frank Capra del 1944), all’incontro tra Dylan Dog e lo scrittore Howard Phillips Lovecraft (1890-1937), uno dei maestri della letteratura fantastica, e i mostri del suo Ciclo di Cthulhu. In questo stesso albo Dylan Dog facendo l’autostop incontra una “certa” Marion Crane con la quale raggiunge il Bates Motel (riferimenti a Psycho di Alfred Hitchcock del 1960), e infine si trova a fronteggiare nella New York moderna una strega dalle fattezze identiche a Grimilde (riferimento a Biancaneve e i sette nani di Walt Disney del 1937). Lovecraft è uno degli autori preferiti di Sclavi, insieme al contemporaneo Stephen King (i suoi Shining e Misery tornano in un paio di albi) e al maestro
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indiscusso dell’horror, Edgar Allan Poe. La zona del crepuscolo (albo n. 7) e il suo seguito Ritorno al crepuscolo (albo n. 57) sono entrambi omaggi al grande scrittore americano. I riferimenti a Poe si ritrovano più volte in altre storie di Dylan Dog, da La morte rossa (albo n. 126), evidente riferimento al racconto La maschera della morte rossa del 1842, al titolo dell’albo numero 63 Maelstrom che evoca invece il racconto Una discesa nel Maelstrom (1842). In questo stesso albo compare un esplicito omaggio a Franz Kafka, altro autore molto amato da Sclavi, di cui vengono contemporaneamente citati Il Processo (1925) e La metamorfosi (1915); mentre in Paura di vivere («Almanacco della paura» del 1997), vicenda incentrata sulla paranoia e sulla persecuzione, densa di rimandi al cinema di Roman Polanski, il protagonista ha le fattezze di Kafka stesso.
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Unità
2 Le ultime tendenze 4
1 La “nuova narrativa” L’editoria guarda ai giovani ▪
2 Il Novecento e oltre • QUADRO LINGUISTICO-LETTERARIO
Keith Haring, Untitled, 1985.
Agli inizi degli anni Ottanta si comincia a parlare – anche in rapporto a precise scelte editoriali per attrarre il pubblico giovanile – di “nuova narrativa” o anche di “giovani narratori”, perché danno voce all’universo giovanile, e con modalità nuove rispetto al passato, cercando non solo di rappresentarne i comportamenti e la mentalità, ma anche di riprodurne il linguaggio. Una tendenza che continuerà anche negli anni Novanta. L’emergere in ambito narrativo di figure di giovani, stimolato e sostenuto dall’editoria, non è casuale: alle spalle c’è il protagonismo dei giovani e della cultura giovanile in Italia (e non solo in Italia) dal Sessantotto ai movimenti della fine degli anni Settanta. L’archetipo e gli antecedenti ▪ Se l’archetipo remoto della narrativa “giovane” è rappresentato dal romanzo cult Il giovane Holden (1951) dello scrittore americano J.D. Salinger (→C16), antecedenti immediati del filone generazionale in Italia sono il fortunato romanzo Porci con le ali (1976) scritto a quattro mani da Rocco e Antonia, i due ragazzi protagonisti (in realtà gli autori erano Marco Lombardo Radice e Lidia Ravera), e Boccalone (1979) di Enrico Palandri. Due romanzi, due diverse linee ▪ Aprono la strada nel 1980-81 alla “nuova narrativa” due romanzi che rappresentano quasi simbolicamente due opposte direzioni: Treno di panna di Andrea de Carlo (1981) e Altri libertini di Pier Vittorio Tondelli (1980). Il primo rappresenta quella che è stata definita una linea “calviniana”, ancora più evidente in Daniele Del Giudice, esordiente anch’egli all’inizio degli anni Ottanta con Lo stadio di Wimbledon (1983). Il secondo inaugura la linea della “poetica dell’eccesso” e del “neo-maledettismo”, che caratterizza anche il primo romanzo di Aldo Busi, pubblicato anch’esso all’inizio degli anni Ottanta: Seminario sulla gioventù (1984). Una linea che si manifesta poi in forme esasperate nel fenomeno dei giovani “cannibali”, eredi dichiarati di Tondelli (→Scheda p. 180).
2 I calviniani o l’anestesia delle passioni La lezione di Calvino ▪
Sulle giovani generazioni di scrittori esercita una grande influenza Calvino: in particolare l’ultimo Calvino, in cui prevale l’interesse narratologico, il Calvino algido che si concentra sul “vedere”, «su un inesausto catalogare e classificare, sul 174
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delimitare oggetti e porzioni di realtà (come se di più non si potesse fare)» (La Porta). Di Calvino i nuovi narratori fanno proprio l’ideale, anche linguistico, della precisione e della leggerezza, ma i motivi calviniani, deprivati dell’ironia, dell’umorismo, della vocazione all’apologo propri del modello, finiscono spesso per assumere un carattere manieristico. Di questi scrittori, tuttora in attività, ricordiamo qui solo le loro opere di esordio, più significative ai fini dell’indicazione di una linea di tendenza.
Daniele Del Giudice e Atlante occidentale Esordisce all’inizio degli anni Ottanta anche Daniele Del Giudice (Roma 1949). Considerato l’erede maggiore di Calvino, Del Giudice ne condivide il culto di una scrittura nitidamente razionale, geometrica, e l’interesse per la convergenza tra scienza e letteratura. La sua scrittura è caratterizzata dal rifiuto dell’immediatezza comunicativa, dallo spessore conoscitivo, dal tentativo anche troppo ambizioso di ridare vita al settecentesco conte philosophique. Al quasi coetaneo De Carlo (almeno al De Carlo di Treno di panna) lo accomuna la deliberata rinuncia, apprezzata da Calvino, a esplorare la psicologia, la dimensione interiore del personaggio, di cui vengono invece osservati e rappresentati analiticamente gesti, comportamenti, percezioni. © Casa Editrice G. Principato SpA
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4 Le ultime tendenze
Andrea De Carlo e Treno di panna Andrea De Carlo (Milano 1952) esordisce a ventinove anni con il romanzo Treno di panna, accolto positivamente dal pubblico e dalla critica. Consulente in quegli anni della casa editrice Einaudi era proprio Italo Calvino, che diventa il nume tutelare del giovane scrittore. Di De Carlo Calvino apprezza la scelta di una rappresentazione oggettiva, che rinuncia deliberatamente allo scavo nella psicologia dei personaggi, lo sguardo “fotografico”, il descrittivismo meticoloso dei particolari, che ne avvicina la scrittura, a suo parere, all’iperrealismo di certa pittura americana. Io narrante e protagonista del romanzo è Giovanni Maineri, un giovane fotografo milanese, che si reca a trovare Ron e Tracy, una coppia di amici conosciuti durante una vacanza, a Los Angeles (il romanzo si apre e si chiude con una visione panoramica della città dall’aereo). Un eroe senza qualità ▪ La storia di Giovanni potrebbe sembrare quella di un arrampicatore sociale, un nuovo Bel-Ami (il protagonista del romanzo omonimo di Maupassant, 1885). In realtà Giovanni non ama affatto la smania di successo che si respira nella metropoli californiana, è un “eroe senza qualità”, privo di ideali e di reali progetti esistenziali (specchio perfetto della generazione post-ideologica a cui lo stesso De Carlo appartiene). Giovanni si abbandona in modo sostanzialmente passivo al flusso delle esperienze che, a Los Angeles lo porteranno a conoscere da vicino lo star system di Hollywood (Treno di panna è il titolo di un film, che ha per protagonista la diva Marsha Mellows). La poetica dello sguardo ▪ Giovanni si limita a osservare, con sguardo ora indifferente ora disgustato oppure ironico, ciò che entra nel suo limitato campo visivo. Per Treno di panna si è parlato di “poetica dello sguardo”: una prospettiva che avvicina il romanzo dello scrittore milanese a certa produzione di Calvino, in particolare a Palomar (1983). Mentre però l’osservazione di Calvino è lo spunto per complesse problematiche filosofiche, lo sguardo di Giovanni-De Carlo si mantiene rigorosamente in superficie e si limita a registrare nel dettaglio oggetti e figure come farebbe l’obiettivo impersonale di una macchina fotografica o di una cinepresa (→T 23 ).
Lo stadio di Wimbledon ▪
2 Il Novecento e oltre • QUADRO LINGUISTICO-LETTERARIO
Tema centrale delle opere di Del Giudice è la riflessione sul senso della scrittura, a cominciare dall’opera prima: Lo stadio di Wimbledon (1983). L’io narrante compie una sorta di viaggio-inchiesta in Inghilterra e in Italia sulle orme di Bobi Bazlen (1902-1965), un intellettuale triestino amico e consigliere di molti importanti scrittori e letterati (da Montale a Debenedetti). Il narratore (dietro cui si cela l’autore stesso) non risolverà il mistero del perché Bazlen abbia rinunciato alla scrittura creativa, ma troverà dalla sua “inchiesta” la forza, l’energia per scrivere: si tratterà però di una scrittura concentrata esclusivamente sulla descrizione degli “oggetti”. Atlante occidentale ▪ Due anni dopo Del Giudice scrive un altro significativo romanzo: Atlante occidentale (1985): il suggestivo titolo, come ha spiegato l’autore stesso, deriva dalla sua passione fin da ragazzo, per gli atlanti e la geografia, intesa come «scienza del possibile, luogo dove tutto può accadere». Tema dell’opera è il possibile rapporto, l’integrazione tra le cosiddette due culture, quella letteraria e quella scientifica. Il romanzo, quasi privo d’intreccio, ha per protagonisti Ira Epstein, un anziano scrittore tedesco alle soglie del Nobel, che ritiene di aver esaurito il suo ruolo di scrittore, e il giovane fisico italiano Piero Brahe, che lavora al Cern di Ginevra a un importante esperimento al grande reattore nucleare. I due si sono conosciuti in un piccolo aereoporto, perché condividono la passione per il volo (passione dello stesso Del Giudice, che gli ispirerà nel 1994 i racconti di Staccando l’ombra da terra). Il romanzo segue le dense conversazioni tra i due: entrambi aspirano a cogliere e descrivere l’invisibile, i «segni di un universo nascosto» (Cannella) nel miraggio di fornire una mappa conoscitiva, un “atlante”, appunto, attraverso cui orientarsi (→T 24 OL). Testo
23 Uno sguardo asettico
Andrea De Carlo_Treno di panna
A. De Carlo, Treno di panna, Einaudi, Torino 1981
la Mustang: auto sp or tiva della Ford. 1
Il testo è tratto dalla prima parte del romanzo. Giovanni si trova ospite a Los Angeles da Ron e Tracy, i suoi amici americani. Una mattina accompagna Tracy a Beverly Hills, la cittadina presso Los Angeles luogo di residenza prediletto delle star di Hollywood. Il brano, che registra analiticamente le impressioni, quasi esclusivamente visive, di Giovanni, costituisce un esempio significativo di quella “poetica dello sguardo” che caratterizza l’intero romanzo e ne ispira la tecnica narrativa, fondata su sequenze quasi cinematografiche.
Alla fine siamo arrivati ai negozi di Beverly Hills, incanalati nel traffico di grandi automobili. Abbiamo lasciato la Mustang1 in uno spazio a parchimetri lungo il marciapiede. Tracy mi ha guidato alla svelta attraverso la strada e lungo una via vetrinata. Guardavo i negozi italiani di abiti che si affacciavano sulla strada in forma di immense scatole di confetti. C’erano gioiellerie come ambasciate ottocentesche: con pilastri e marmi sulle facciate, tende di velluto negli atrii. Altri edifici erano inconsistenti, fragili; bianchi e squadrati. Era un giorno grigio, di luce opaca diffusa, di bassa pressione. Andavo dietro a Tracy e respiravo con una certa difficoltà; guardavo in giro in preda a una strana ansia morbosa. Tracy camminava davanti a me, veloce; marcava il passo con un’oscillazione delle braccia. Cercava di trascinarmi dove voleva andare, senza curarsi del mio interesse per il paesaggio. L’ho seguita per qualche minuto in atteggiamento di pecora condotta in giro: svogliato, lento agli incroci. A un certo punto il suo modo di camminare e strattonarmi avanti mi è diventato insopportabile. All’altezza di un negozio di orologi le ho detto che potevamo vederci alla macchina più tardi. Lei mi ha guardato alla svelta; ha detto «Va bene, va bene». Sono tornato verso la strada che avevo visto all’inizio. 176
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suburbi: periferie.
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Attività sul testo Abilità: comprendere e analizzare
1. La sintesi e il tema Sintetizza il testo mettendone in luce il tema centrale.
2. Un io narrante senza identità L’io narrante appare quasi privo di un’identità, come puro “sguardo”: individua gli elementi testuali (ad esempio la presenza di verbi e sintagmi ricorrenti) che lo testimoniano. 3. La notazione paesaggistica La notazione paesaggistica nel terzultimo capoverso (rr. 35 e sgg.) è finalizzata a. □ ad aprire spazio alla riflessione. b. □ a recuperare i ricordi. c. □ a enfatizzare l’introspezione emotiva. d. □ a conferire maggior rilievo alle impressioni visive. 4. La prosa La prosa risulta essenzialmente a. □ ipotattica. b. □ paratattica. – Motiva la tua risposta.
c. □ complessa.
d. □ classicheggiante.
5. Tecniche cinematografiche Quali tecniche mutuate dalla cinematografia puoi facilmente riscontrare nel brano proposto? Esercitare le competenze
6. Spiegare esemplificando nel testo il concetto di iperrealismo Spiega oralmente (max 5 minuti) che cosa si intende per iperrealismo e per quali aspetti e con quali obiettivi il brano proposto si rifà a questa tecnica.
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Testi ON LINE
24 Dialogo sul tempo
Daniele Del Giudice_Atlante occidentale
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4 Le ultime tendenze
Guardavo la gente davanti e dietro alle vetrine; le grandi macchine che passavano raso al marciapiede e si fermavano per qualche minuto senza aprire le portiere. Fermo a un angolo ho osservato una signora mentre parcheggiava una Rolls Royce grigia in uno spazio ristretto tra due altre automobili. Cercavo di registrare i suoi gesti, il suo modo di inclinare la testa per vedere nello specchio retrovisore chi guidava dietro di lei e chi invece arrivava lungo il marciapiede. C’era una connessione tra i vestiti che aveva, la lentezza dei suoi movimenti, i riflessi sui vetri della sua macchina. Guardavo gli oggetti esposti nelle vetrine: mi colpiva la loro consistenza, la loro densità nella luce. Guardavo ragazze che camminavano veloci, con calzoni larghi chiusi alle caviglie e guance arrossate; signore di mezz’età con occhiali pesanti e sandali sottili; uomini con pance e abbronzature di diverso spessore. Non riuscivo bene a capire chi faceva davvero parte della scena, e chi invece era ai margini e si limitava a indossare modi di fare e abiti di ruolo. Quasi tutti avevano espressioni che li legavano al posto, alle sfumature del posto. Pensavo che alcuni dovevano essere in realtà commessi di negozio, o segretarie ad alto livello, o ragazzine dei suburbi2; ma avevano assorbito abbastanza dallo scenario da assumerne i caratteri. Si erano rivoltolati nella brillantezza abbastanza a lungo da divenire brillanti a loro volta. Dopo qualche minuto il cielo si è incrinato e aperto; e nel giro di poco era azzurro. La strada ha acquistato contrasto di colpo. Dal punto dov’ero i dettagli venivano fuori tridimensionali, brillanti. Cercavo di assorbirli più che potevo; di inalarli, quasi. C’erano gruppi di persone sedute ai tavoli di un bar all’aperto: radiavano attorno quantità enormi di benessere e sicurezza di sé. Si rigiravano nel piacere di essere seduti in quel punto particolare a quell’ora del giorno, come uno può rigirarsi in un bagno di schiuma. La schiuma era costituita dai loro vestiti, dalle espressioni di quelli che passavano, le automobili in costa al marciapiede, i bicchieri guarniti sui tavolini. Il sole mi passava attraverso; mi sentivo vestito in modo inadeguato, leggermente goffo e opaco. Non sapevo bene cosa fare o come reagire. Tutta la scena comunicava una sensazione strana di accessibilità, e allo stesso tempo mi spingeva alla sua periferia come una centrifuga.
3 I “neomaledetti” e la poetica dell’eccesso
Pier Vittorio Tondelli,
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con una copia del suo libro Altri libertini.
Pier Vittorio Tondelli e Altri libertini Un romanzo “chiave” ▪ Nel gennaio 1980 il venticinquenne Pier Vittorio Tondelli (Correggio 1955 – Reggio Emilia 1991) pubblica Altri libertini, sei storie apparentemente eterogenee, con diverse voci narranti, che nel loro insieme compongono una sorta di romanzo corale. Con Altri libertini Tondelli inaugura una linea opposta alla linea “calviniana”, caratterizzata da quella che è stata definita “poetica dell’eccesso” e dal “neomaledettismo” (con riferimento alla trasgressività già appartenuta ai “poeti maledetti” francesi di fine Ottocento, ma, in senso traslato, anche agli scrittori americani della beat generation. Al romanzo di Tondelli la critica attribuisce oggi notevole significato come documento generazionale e soprattutto in quanto principale modello di riferimento per molti giovani narratori che seguirono. Altri libertini è un testo narrativo sperimentale sul piano sia dei contenuti, perché vi si rappresenta per la prima volta in modo diretto l’emarginazione, il ribellismo giovanile, l’esperienza della droga e dell’amore omosessuale (una scelta che costò a Tondelli un processo per oscenità), sia delle scelte stilistico-linguistiche. L’adesione programmatica al vissuto emozionale dell’universo giovanile ▪ Tondelli ha definito la sua una letteratura «emotiva». Nel romanzo, i cui protagonisti sono tutti giovani ai margini della società, che vivono in modo trasgressivo e spesso autodistruttivo, le diverse voci narranti sono accomunate proprio dalla registrazione diretta del vissuto emozionale: Tondelli aderisce al mondo rappresentato senza alcun apparente filtro intellettuale o letterario e fu proprio per la sua arditezza che il libro sconvolse la critica accademica. I modelli letterari del romanzo ▪ In realtà Tondelli è autore colto, come dimostra già il titolo, che allude agli autori libertini settecenteschi (→V3_700C8OL). Per le tematiche il giovane scrittore si ispira alla letteratura americana dura e violenta (da Salinger a Kerouac, da James Baldwin a Hubert Selby), ma anche a Céline, mentre sul piano stilistico si avverte l’influenza di Arbasino e di Celati, di cui Tondelli aveva seguito le lezioni all’Università di Bologna.
Jean-Michel Basquiat, Notary, 1983
(Collezione privata).
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L’osmosi pubblico-autore-narratori ▪
Nel romanzo si ha una totale omogeneità tra autore, voci narranti, lettori, innanzitutto sul piano anagrafico, perché Tondelli si rivolge – per sua diretta ammissione – al pubblico giovanile (quelli che come lui avevano nel 1980 dai venti ai venticinque anni), quasi escludendo pregiudizialmente un pubblico adulto che non ha le chiavi per penetrare nell’immaginario, nei linguaggi, e nei gusti, soprattutto musicali, evocati. Una lingua sperimentale ▪ Sul piano stilistico questa totale immersione nel presente e nel mondo giovanile implica scelte precise e consapevoli: Tondelli ha dichiarato di aver privilegiato nelle sue prime opere «la gioia di inventare e di divertirsi con il linguaggio», in particolare di aver voluto trasportare sulla pagina «l’emozione del linguaggio parlato». Dopo Altri libertini Tondelli nella sua breve vita scrive altri romanzi, recuperando nel tempo forme più tradizionali (ma non altrettanto per i contenuti): Pao Pao (1982), Rimini (1986) e lo struggente Camere separate (1989), considerata l’opera più matura ed equilibrata. Nel 1990 Tondelli pubblica Un weekend postmoderno. Cronache degli anni Ottanta, definito dall’autore il “laboratorio” da cui sono nati i suoi romanzi e anche una sorta di “sottotesto” che ne favorisce l’interpretazione. Il progetto di Under 25: Tondelli talent scout ▪ Nel 1986 Tondelli avvia un innovativo progetto editoriale per stimolare i giovani a scrivere, che porta la sigla assai significativa di “Under 25”. La prima antologia si intitola Giovani Blues. Ne seguiranno altre due fino al 1990. Under 25 ha contribuito a lanciare giovani scrittori come Giuseppe Culicchia e Silvia Ballestra (→C16). Tra parlato giovanile e pastiche Centrale nelle scelte stilistiche di Altri libertini è la mimesi del parlato giovanile, di quegli anni, che riguarda innanzitutto il piano lessicale: Tondelli riproduce gli elementi gergali del linguaggio dei giovani, o meglio di una particolare categoria di giovani emarginati, sbandati: ricorrono termini come sfiga, svacco, rimorchiare, cazzata, menare, menarsela, scannato (“disinibito”) e il sottocodice della droga (fumo, spino, trip per “sballo”, scoppiare/scoppiato). Ma è evidente che l’autore interviene su questo parlato
con sue scelte creative: ad esempio spesso sono usate ripetizioni che enfatizzano («piantala piantala», «vola vola», «ci siamo ci siamo»), sono introdotte talvolta citazioni letterarie, per lo più in modo ironico («voce catarrosa che nemmeno carondimonio»), si ritrovano anche voci straniere (non inusuali come joint, trip, freak, folk ecc.), ma magari rivisitate o storpiate (famiglien, doicc per deutsch, savà savà, Virginiawulf). Interessanti sono le neoformazioni che fondono i due termini di espressioni diffuse come bellefoto, granbaldoria, porcaputtana, vaccaeva, bellavita, san-
tapace, granbaccano, orapronobis, pergiunta. L’effetto complessivo è quello di un pastiche funzionale alla poetica dell’eccesso di cui si è detto. La sintassi è spesso scardinata, manca quasi la punteggiatura, è usato con frequenza il che polivalente (non solo cioè per introdurre una proposizione relativa), come si può notare in questo solo esempio paradigmatico: «E quante di liti fatte su quel film di Spielberg eppoi su quelli di Dario Argento che a me piacciono tutti, mica ci ho il puzzo come lui che la crisi del cinema italiano è perché ci sta l’invasione degli americani!»
Aldo Busi e Seminario sulla gioventù Anche i romanzi di Aldo Busi (n. 1948) possono essere iscritti in una “poetica dell’eccesso”. Lo scrittore lombardo (nasce e vive l’infanzia a Montichiari presso Brescia) esordisce con Seminario sulla gioventù, considerato la sua prova migliore. Si tratta di un romanzo di formazione con un intreccio picaresco: vi si racconta la crescita di Barbino – evidente proiezione dell’autore stesso, che nel personaggio proietta il suo rifiuto di farsi inglobare negli schemi della “normalità” – sul piano esistenziale, ma innanzitutto sessuale, attraverso lo schema classico del viaggio (che porta il protagonista dalla campagna bresciana a Milano, Venezia, Parigi, Londra). Lo stile di Busi, che La Porta definisce «torrenziale e barocco», si richiama alla linea plurilinguista, per la commistione di elementi del parlato e di elementi provenienti dalla lingua letteraria. © Casa Editrice G. Principato SpA
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4 Le ultime tendenze
APPROFONDIMENTO
Scheda
“Gioventù cannibale” e la moda della letteratura pulp
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Alla ricerca del lettore giovane La ricerca spasmodica di novità da parte delle case editrici di esordienti di successo, induce nel 1996 la casa editrice Einaudi a lanciare (nella collana Einaudi Stile libero) l’operazione “Gioventù cannibale”. Si tratta di un’antologia di racconti, curata da Daniele Brolli, di autori diversi, tra cui Aldo Nove e Niccolò Ammaniti (poi diventato noto con opere successive nel tempo e ormai lontane dalla stagione pulp, in particolare con il romanzo Io non ho paura, 2001). Il termine “cannibale” Il titolo dato alla raccolta è così spiegato (da Fabio Repetto, responsabile della collana): «Abbiamo voluto questa parola per significare la capacità onnivora a cibarsi delle cose più basse del reale contemporaneo, per poi trasferirle in qualcosa che appartiene alla
letteratura o alla fiction di fine millennio. C’è naturalmente una sensibilità comune nel rappresentare un mondo degradato, scollato, certamente non consolatorio». Il termine “cannibale” ebbe grande risonanza, ma fu inteso soprattutto – anche per l’amplificazione dei media in questa direzione – in rapporto ai contenuti scandalosi dei racconti, in cui è ostentata la violenza, il sangue, il sesso estremo, e si ricercano deliberatamente effetti raccapriccianti per shoccare il pubblico e alla trasgressività, a volte gratuita, del linguaggio. E “cannibale”, con inevitabile approssimazione, finì per essere definita un’intera area di scrittori giovani: oltre ai già citati Niccolò Ammaniti (la sua fase “cannibale” è rappresentata da Branchie, 1994, e Fango, 1996) e Aldo Nove (autore nello stesso 1996 di Woobinda, raccolta di brevissimi racconti), Tiziano Scarpa (Occhi sulla graticola, 1996), Isabella Santacroce (Fluo, 1994, Destroy, 1996), Simona Vinci (Dei bam-
bini non si sa niente, 1997). La produzione di questi giovani scrittori, accomunata da un pessimismo che rasenta il nichilismo assoluto, esprime il disorientamento di una generazione priva ormai di ideali, di valori, delusa dai movimenti politici di protesta, che si esprime esclusivamente nella provocazione nei confronti dei modelli culturali degli adulti, senza però che si prendano le distanze dalla società consumistica e dalla cultura mass-mediale in cui i “cannibali” stessi sono inseriti. Modelli sono il fumetto e il cinema splatter, ma innanzitutto il film culto di questa generazione, Pulp Fiction di Quentin Tarantino (1994, Palma d’oro a Cannes), in cui era presente tutto l’armamentario del genere pulp (violenza, droga, trivialità ecc.). La moda (forse, appunto, è più corretto parlare di moda che di corrente) dura poco tempo. Non a caso la maggior parte degli scrittori “cannibali” prendono nuove direzioni.
Testo
25 Avventure nell’estate del settantaquattro Pier Vittorio Tondelli_Altri libertini, Il viaggio
P.V. Tondelli, Altri libertini, Feltrinelli, Milano 2005
Les Marolles: quartiere di Bruxelles; più sotto, Place du Jeu-deBalle è una celebre piazza, il petit Sablon un giardino e Rue des Tanneurs una strada del centro storico della città. 2 Trapiste: tipo di birra. 3 marché aux puces: mercato delle pulci, mercatino dell’usato. 4 les trous: franc. “buchi” (qui locali per omosessuali). 1
I passi sono tratti da Il viaggio, il più lungo e strutturato dei racconti di Altri libertini, in fondo, a suo modo, un miniromanzo di formazione. Il narratore ricorda il tempo trascorso a Bruxelles con l’amico Gigi, all’indomani degli esami di maturità. Il vitalismo sfrenato, la ricerca di sensazioni e di esperienze conferisce al racconto un ritmo picaresco.
Bruxelles ci piace nell’estate del settantaquattro, troviamo a Les Marolles1 un caffè in cui si beve Trapiste2 e da cui si guarda Place du Jeu-de-Balle, al mercoledì c’è una sorta di marché aux puces3, tra gattini e robivecchi da tutto il contado fiammingo. Bruxelles è meno cara di Parigi, più provinciale e più nordica. Ci serve per smaltire l’esame di maturità e i sonnolenti anni dell’apprendistato. Scopriamo tutt’insieme la birra, il sesso, les trous4. Ai giardinetti del Petit Sablon andiamo spesse volte perché si trova gente giovane come noi, si fuma canapa5, si suona e si chiacchiera su che faremo da grandi. Lì una notte conosciamo Ibrahim che è egiziano e lavoracchia da queste parti, parla un francese corretto, ha qualche anno più di noi. Ci si vede ogni sera e a noi piace soprattutto quando ci racconta la guerra che ha fatto l’anno prima al Sinai6, anche se spesso tende a strafare con i suoi carrarmati stella rossa che a sentir lui era il solo di tutti gli arabi che stava sulla torretta a sbracciarsi e dare ordini e come fischiava il piombo d’Israele e come rimbalzavano le mitraglie sulla corazza del T557, pareva di stare al tirassegno tanto che poi solleva immancabilmente la camicia e mostra la cicatrice, però non si capisce bene come abbia fatto a ferirsi proprio lì. 5 canapa: cannabis, una sostanza stupefacente.
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6 la guerra... al Sinai: la guerra del 1973 tra Israele ed Egitto (quarta
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guerra arabo-israeliana).
7 T55: carro armato russo.
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ses: poveri svizzeri. 9 bifsteck: fr. bifteck “bistecche”. 10 cave: cantina (in francese). 11 il cous-cous: piatto di origine nord- africana (semolato di grano duro condito variamente con verdure e carne), oggi molto diffuso anche in Italia. 12 pirrenmüessli: dolce svizzero. 13 bloody-mary: cocktail di colore rosso per la presenza del succo di pomodoro fra i componenti. 14 c’intrigate: ci date fastidio. 15 uscire dall’impasse: tirarsi fuori dalla difficoltà, da l momento critico. 16 sluma: getta un’occhiata (gergale). 17 sanguinaccio: metaforicamente, il sugo al pomodoro per il color sangue.
Quando finiamo i franchi andiamo a lavorare con lui in Rue des Tanneurs. Puliamo i vetri di un ospedaletto-ambulatorio, laviamo i pavimenti, scrostiamo gli usci, intonachiamo e verniciamo, anche i termosifoni che son la mia specialità perché si lavora da seduti col pennello angolare come lo specchietto del dentista e non si fatica più di tanto. Lì conosciamo anche gli svizzeri che sono in due e stanno sempre a farfugliare per i cazzi loro e non sono mica tanto espansivi, tutt’al più quando Gigi arriva a lavorare in ritardo loro canticchiano allegri e strafottenti “Arriva Giggi l’ammoroso, tralalà” che è l’unica canzonaccia italiana che conoscono, poveri les suisses8. C’è poi anche Jeff che parla solo fiammingo ed è un casino comunicare perché stiracchia non più di cinque vocaboli inglesi e trequattro tedeschi, ma a gesti e sorrisi e pacche si riesce comunque. Ci pagano una miseria ogni finesettimana, però c’è sempre la risorsa della cassa comune che ci passano per il mangiare e allora si riesce a fregare qualche franco in più stiracchiando sulle vivande facendo i morti di fame con le infermiere che così si commuovono e passano le bifsteck9, gratis. Dormiamo sempre lì in Rue des Tanneurs in uno scantinato che è poi una cave10 immensa e anche bella e con un odore buonissimo di margarina fritta e io ci sto bene e penso anche il Gigi. [...] I primi che se ne partono sono gli svizzeri che andranno a Parigi e così per la sera combiniamo un gran ristoro d’addio, noi cuoceremo gli spaghetti, Ibrahim preparerà il couscous11 e les suisses il pirrenmüessli12, come dessert. Jeff invece dice che il massimo che può fare è invitare gente e così la sera nella sala mensa siamo in tanti, davvero troppi e gli svizzeri hanno preparato un pentolone pieno di yogurt e frutta fresca e Ibrahim il cous-cous sbagliando però le dosi così che ne ricava solo tre piatti di quella poltiglia giallina e gli italiani invece a darsi da fare intorno alle pentole d’acqua bollente e al sugo rosso sangue che fa senso vederlo far le bolle sul fuoco. Quando viene il momento di scolare la pasta ci sono tutti addosso che hanno il languorino di stomaco per quel bloody-mary13 che bolle in pentola e noi a dire andate via che c’intrigate14 e sedetevi un po’, mica c’è niente da vedere, nessun trucco, nessun miracolo, e dopo riusciamo finalmente a smammarli però succede che mentre io verso il pentolone nello scolapasta, in piedi su uno sgabello per fare centro, Gigi si scotta col vapore e caccia un urlo e molla tutto nel lavandino, due chili di spaghetti in giro nello sporco. Io prendo a ridere a vedere il Gigi tutto lessato e con gli occhiali appannati che resta lì fermo impalato a vedere i vermicelli che scappano per il buco del lavandino e allora mi piego a metà tutto ingolfato dai singulti che non riesco nemmeno più a respirare e lui sbotta in una madonna e subito dopo sibila “datti da fare impiastro!”. Intanto gli altri si voltano per vedere che cazzo combiniamo in mezzo a quel vapore e quelle grida, ma Gigi sorride da gran dama e dice, un attimo cari e siamo pronti, e loro tornano a chiacchierare mentre noi, di spalle, ce la facciamo sotto dal ridere, però bisogna uscire dall’impasse15 al più presto, mica possiamo menarla per molto questa storia, la pasta scuocerebbe e gli spaghetti diverrebbero lumaconi freddi e insipidi e loro se ne accorgerebbero e allora tutto a puttane, i soliti italiani pasticcioni. Così Gigi ha un lampo e sluma16 verso la dispensa, vede uno straccio di quelli per asciugare le stoviglie, l’afferra, si benda la mano e via, dentro al lavandino a raccattare gli spaghetti scivolosi e bollenti e metterli nella pentola, e sibila di far così anch’io e farlo presto prima che se ne vadano tutti giù nel gorgo del sifone, e smuoviti che nessuno se ne accorgerà, ma io sono sempre piegato in due che me la rido a vederlo tutto bestemmiante che dà manate agli spaghetti e ogni tanto si volta pure come niente fosse e sgrana un sorriso paraculo verso i commensali cioè come dire tutto fila liscio, state buoni e vedrete che bontà, slurp slurp. Dopo, quando si sono recuperati spaghetti a sufficienza io verso il sanguinaccio17 sempre fra i singulti trattenuti che non gliela faccio più a continuare la commedia del
grand-chef e allora mi ricordo d’un colpo che non ho messo il sale nell’acqua di cottura, accidenti a me, e sbianco, tanta fatica per niente. Però lo dico subito al Gigi piagnucolando, il sale il sale, cazzo l’ho scordato Gigi, e lui s’incazza e sbuffa e prende il barattolo del sale e lo sparge sulla pasta con gesti ampi a mo’ di croce e ci fa sopra scongiuri e benedizioni alzando gli occhi verso la cappa nera della cuisine, e io sbotto a ridere matto d’un Gigi che non sei altro, ma ormai è fatta, portiamo la zuppiera in tavola e quando è ora di dividere le porzioni diciamo che non abbiamo più fame e che in fondo è tutta una questione di gentilezza che usiamo loro perché lo sappiamo fin troppo bene, noi, che di queste squisitezze non hanno mica l’occasione di vedersele in tavola ogni giorno, fortuna nostra, e così gli spaghetti furoreggiano nei piatti e loro si complimentano e ci stringono la mano e sorridono leccandosi i baffi, dopo però scappiamo in una pasticceria che abbiamo i crampi allo stomaco per la fame, le risate e l’occhiolino complice che ci stringevamo mentre gli altri sforchettavano nei loro piatti.
Guida alla lettura
Il testo fa riferimento a una data precisa, l’ormai lontano 1974, e ritrae due amici nel loro primo affacciarsi alla vita adulta, durante un viaggio all’estero che li ha portati a Bruxelles. Hanno appena superato l’esame di maturità, si chiedono, come i ragazzi di ogni epoca, che cosa “faranno da grandi” e sono affamati di esperienze di vita, di libertà. Se l’esibita spregiudicatezza di comportamenti e di linguaggio (qui molto meno radicale che in altri punti del racconto) riconduce al clima ideologico degli anni Settanta, tutto sommato l’universo giovanile ritratto appare non troppo diverso da certe frange di quello attuale. Attuale è anche il contesto multietnico in cui si vengono a trovare i due amici nel posto di lavoro temporaneo che hanno trovato per vivere a Bruxelles (devono ripulire e riattare un piccolo ambulatorio): lavorano con loro un egiziano, un fiammingo, due svizzeri, con le inevitabili difficoltà di comunicazione che ne conseguono. Tutti si ritrovano uniti alla allegra cena di addio, dopo la quale ognuno seguirà nuove strade: le diverse nazionalità sono simbolicamente unificate dai piatti, propri delle tradizioni locali, che tutti insieme consumano. Una scena comico-picaresca ▪ Nel racconto Il viaggio da cui abbiamo tratto i due passi, non manca una vena comico-umoristica, come dimostra la divertente scena della cottura accidentata degli spaghetti al sugo di pomodoro, piatto inequivocabilmente italiano che il narratore e l’amico Gigi vogliono offrire ai compagni stranieri. La dimensione umoristica, con cui il narratore prende le distanze dalla materia narrata, è introdotta già a proposito dei piatti preparati dall’egiziano e dagli svizzeri e si intensifica fino a sfociare in vera e propria comicità nella scena esilarante della cottura degli spaghetti, quasi un frammento da cinema muto alla Charlot, governata da un ritmo picaresco. E nuovi picari sono del resto i ragazzi del racconto. La resa mimetica del parlato-pensato e il pastiche ▪ Il passo evidenzia in modo esemplare l’intento di Tondelli di trasporre sulla pagina, senza filtri di alcun tipo, il linguaggio dei giovani protagonisti: non solo attraverso la palese riproduzione del gergo, degli intercalari propri del lessico giovanile del tempo, ma anche attraverso un uso liberissimo (che rivela forte consapevolezza letteraria) della sintassi, volto a rendere il vitalismo, l’assenza di progettualità, l’adesione al fluire della vita momento per momento, dei giovani. Il risultato è il diretto contatto, senza mediazioni dell’autore, tra il mondo giovanile rappresentato e il lettore, immaginato come del tutto omologo ad esso. Particolarmente ricorrente è l’uso del che polivalente (→p. 191) e l’immissione del discorso diretto nella narrazione senza stacchi o segnali di alcun tipo. Due soli esempi: «tende a strafare con i suoi carrarmati stella rossa che a sentir lui era il solo di tutti gli arabi che stava sulla torretta» (rr. 10-12); «e sibila di far così anch’io... e smuoviti che nessuno se ne accorgerà» (rr. 57-59 ). Ma la ricca tavolozza stilistica di Tondelli non si limita alla mimesi del linguaggio e del modo di pensare giovanile, ma, come si è detto, evidenzia un uso creativo del linguaggio: ad esempio nei termini metaforici con cui è definito il sugo di pomodoro (bloody-mary, sanguinaccio) e nell’uso di termini stranieri, come les suisse, bifsteck, la cuisine. Un ritratto giovanile ancora attuale ▪
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Attività sul testo Abilità: comprendere e analizzare
Esercitare le competenze
1. Il luogo dell’azione Dove si svolge l’azione, rispettivamente nel primo e nel secondo dei passi riportati dal racconto di Tondelli? 2. La cena d’addio Riassumi la scena della cena d’addio. 3. Ibrahim e altri personaggi Il personaggio di Ibrahim è presentato c. □ con ironia. a. □ con ammirazione. b. □ con enfasi. d. □ con disapprovazione. – È un tono che si rileva anche nella presentazione degli altri personaggi? Quale atteggiamento del protagonista-narratore manifesta secondo te? 4. Il pubblico di riferimento A quale tipo di pubblico si rivolge l’autore? a. □ Popolare b. □ Colto c. □ Borghese d. □ Giovanile – Quali scelte ne derivano? 5. Le scelte stilistico-linguistiche In una tabella raccogli gli esempi più significativi dell’operazione stilisticolinguistica attuata da Tondelli distinguendo le espressioni del parlato, il gergo giovanile, la destrutturazione sintattica. 6. Spiegare le caratteristiche della “poetica dell’eccesso” di Tondelli Da che cosa è caratterizzata la “poetica dell’eccesso” di Tondelli e in che senso essa inaugura una linea opposta a quella “calviniana”? Spiegalo in un intervento orale di max 3 minuti.
4 La riscoperta della memoria storica e della dimensione civile: verso un nuovo impegno
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4 Le ultime tendenze
Negli ultimi tempi la critica ha sottolineato il declino delle tematiche e delle modalità di scrittura genericamente definibili come postmoderne e il profilarsi di un nuovo impegno degli scrittori, alcuni dei quali appaiono sensibili alle tematiche collettive, interpretate alla luce di un severo giudizio etico e civile. Già verso la fine degli anni Novanta si registra in qualche opera un rinnovato interesse ai grandi eventi della memoria storica, come nel romanzo Campo del sangue (1997) di Eraldo Affinati, diario di un viaggio ad Auschwitz sulle tracce della Shoah. In Tu, mio (1998) di Erri De Luca il recupero dei drammatici eventi storici del passato viene iscritto nello schema classico del romanzo di formazione. In anni più vicini, è uscito Il tempo migliore della nostra vita (2015) di Antonio Scurati (Napoli 1969), dedicato alla rievocazione della vita e della morte di un grande intellettuale, Leone Ginzburg, intersecata dalla narrazione delle vicende della famiglia dell’autore, una famiglia come tante altre, sullo sfondo dei drammatici avvenimenti negli anni del fascismo e della Resistenza (→T 26 ). Nel 2018 Scurati ha pubblicato M. Il figlio del secolo, fluviale romanzo sul fascismo raccontato attraverso Benito Mussolini. Non a caso in questi anni sono riproposte forme narrative realistiche (ma naturalmente ben lontane dalle modalità del neorealismo) e si verifica spesso l’ibridazione della narrativa con l’inchiesta storica e/o giornalistica: è il caso anche dell’opera forse più emblematica per documentare la nuova assunzione di responsabilità civile della letteratura, cioè Gomorra (2006) di Roberto Saviano (→T 27 ), aspra denuncia sullo strapotere della camorra, preceduta due anni prima da Sandokan (2004) di Nanni Balestrini, di argomento affine. Del 2012 (vincitore del premio Strega 2013) è il romanzo del critico e saggista Walter Siti (Modena 1947) Resistere non serve a niente, un duro affresco sul mondo oscuro e violento della finanza, in cui l’unico valore è il possesso di denaro, da realizzarsi con ogni mezzo e ad ogni costo (→T 28 OL). Significativo può essere anche il distacco di alcuni scrittori “cannibali” dall’individualismo esibizionistico, dal nichilismo caratteristici del gruppo per affrontare temi di impegno sociale: è il caso di Aldo Nove che in Mi chiamo Roberta (2006) affronta il grave problema del precariato giovanile.
Testo
26 «Non distogliamo lo sguardo da un uomo ucciso ingiustamente» Antonio Scurati_Il tempo migliore della nostra vita
A. Scurati, Il tempo migliore della nostra vita, Bompiani, Milano 2015
2 Il Novecento e oltre • QUADRO LINGUISTICO-LETTERARIO
1 via Filippo Corridoni: strada di Milano. 2 squadre d’azione Ettore Muti: squadre fasciste operanti dopo l’8 settembre1943; più sotto «legionari della Muti». 3 sciura: signora (dialetto milanese).
I due passi proposti sono esemplificativi della struttura dell’intero romanzo di Scurati, che prevede l’alternanza tra cronaca storica, racconto della breve esistenza di Leone Ginzburg e narrazione delle vicende della famiglia del narratore. Il primo passo fa riferimento a una rappresaglia fascista che coinvolge il nonno dell’autore, Antonio, e a cui assiste il padre Luigi, allora bambino; il secondo passo, che nel romanzo segue direttamente il precedente, racconta in modo asciutto gli ultimi tempi della vita di Leone Ginzburg, intellettuale ebreo di famiglia russa approdata a Odessa, studioso di letteratura russa, fondatore con Giulio Einaudi della casa editrice Einaudi, morto a soli 35 anni nel 1944 nelle carceri nazifasciste per le violenze subite.
“Non ti vengono a prendere i tuoi genitori?” È un signore alto, di bell’aspetto, con i capelli rossicci e la carnagione chiara tipica dei rossi di capelli. Il piccolo Luigi lo conosce. È il padre di una sua compagna e abita in una stradina secondaria a poca distanza dalle case della cooperativa. È un comunista – lo ha sempre sentito dire a sua madre che poi, però, subito aggiungeva “ma è una brava persona” – e si chiama Abele Merli. “Metti il paltò, ti porto a casa io,” gli sussurra il comunista. Appena usciti da scuola, Abele Merli lascia la strada maestra e svicola in quelle secondarie. Tiene una mano sulla spalla alla figlia e l’altra su quella di Luigi. Senza dire una parola, esercitando una lieve pressione della sua mano di adulto e di padre, indirizza i bambini. In via Filippo Corridoni1 trovano un assembramento. Militi delle squadre d’azione Ettore Muti2 con i baschi sulla testa, i calzoni al ginocchio e il mitra spianato rastrellano la strada. Sono i fascisti più tremendi, lo sanno anche i bambini. Ci sono degli uomini faccia al muro. Tengono le mani alzate. Sono in molti. Stanno in silenzio. Luigi si sgancia dalla guida della mano di Abele Merli. Gli uomini al muro lo attraggono come in forza di un magnetismo terrestre. Luigi ha riconosciuto suo padre Antonio. Il figlio riesce a vedere suo padre solo di spalle perché l’uomo si appoggia al muro con entrambe le mani a palmi aperti come se volesse impedire al palazzo di crollare. Ma il bambino sa riconoscere suo padre anche faccia al muro, suo padre e la sua bicicletta Bianchi che giace gettata in terra poco più in là carica di pacchi. “Vieni via.” Abele Merli lo ha riagguantato. Con delicatezza lo indirizza dall’altra parte. “Ti porto a casa,” gli ripete passandogli una carezza sulla testa. Tagliano per i campi. Luigi rintraccia facilmente tra l’erba alta i sentieri che batte ogni pomeriggio con i suoi amichetti. Giunti al negozio da sua madre Angela, il bambino si tormenta. Non sa se dirle di aver visto suo padre faccia al muro. Si affida a quel signore gentile che sembra sapere cosa fare. La madre lo sta ringraziando, anche se è un comunista. Lo ha visto di sicuro anche lui, si conoscono da anni, sono vicini di casa ma Abele Merli non dice nulla ad Angiolina Recalcati sul fatto che suo marito, Antonio Scurati, aveva i mitra della Muti contro la schiena. Abele Merli saluta, prende per mano sua figlia e gira sui tacchi. Luigi va a giocare nel retrobottega. Poi scoppia il finimondo. “Mi faccia scappare, sciura3 Scurati, mi faccia scappare!” Luigino sente urlare nel negozio. Un attimo dopo sua madre fa strada a un uomo che si precipita nel bugigattolo ed esce dalla porta che dà sui campi. Luigino lo riconosce: è il Pedretti, abita dietro l’angolo, alla court dei spin, il cortile dei roveti. Non ha preso, però, la strada di casa. Luigino lo rivede di lì a poco tra due legionari della Muti che lo trascinano per le braccia. Uno del drappello che precede il prigioniero affronta sua madre: “Lei, signora, mi dica: è questo Pedretti?!” Il capo della squadra avrà forse vent’anni, gli altri pure meno. 184
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“No, l’conossi no4. L’è minga el Pedretti questo qui.” Luigi, di fronte alla menzogna della madre, abbassa gli occhi, per non tradirla. [...] A metà pomeriggio, all’orizzonte del cortile Luigi vede stagliarsi la figura per lui inconfondibile di suo padre. Antonio Scurati posa la bicicletta e si mette a inventariare la poca merce che è riuscito a procurare. Qualche bambola, delle cerbottane. Non dice una parola, come sempre. La sera a cena Antonio rompe il silenzio per informare la moglie. Quella mattina i gappisti5 hanno sparato all’ingegnere della Breda che viveva a Milanino nella villetta dietro la pesa del bestiame. Quello fascista, quello che denunciava gli operai. Lui lo hanno lasciato andare perché, sebbene antifascista, dopo l’8 settembre non si è affrettato a cancellare il fascio dalla carta d’identità come avevano fatto in tanti che si erano proclamati fascisti fino al giorno prima. Un gesto troppo teatrale. La serietà lo ha salvato. La Muti ha preso il Pedretti e Abele Merli. Li hanno portati nel cortile della scuola. La mattina seguente, quando Luigino arriva a scuola con i suoi compagni, il paesaggio non è più lo stesso. È inverno, l’erba è alta e le impronte lasciate dai due cadaveri rimarranno impresse nel terreno fino alla primavera. Il terzo braccio di Regina Coeli6 è un “carcere allegro”. Le porte delle celle – stando ai ricordi di Carlo Muscetta7 – scardinate durante una rivolta seguita alla proclamazione dell’armistizio8, non sono mai state riparate. I detenuti vi circolano liberamente e i detenuti sono il mondo intero: italiani, stranieri, famiglie al completo, dissidenti, preti, borsari neri9, donne, prostitute, bambini, militari e civili, militanti di tutti i partiti, fittavoli della Sabina10 che hanno combattuto già l’altra guerra e si trovano per la seconda volta prigionieri dei tedeschi, borsaioli in attesa di processo che si aggirano in pigiama, fungendo da barbieri, e insegnano la tecnica del borseggio a futuri presidenti della repubblica11. Di questi, in quei giorni, nel terzo braccio12 zeppo di antifascisti, ce ne sono addirittura due. Una delle guardie carcerarie che, sentendo prossima la fine, lasciano i prigionieri addirittura liberi di sgattaiolare da una cella all’altra anche di sera, una volta, accompagnandoli all’ora d’aria, dice: “Voi sarete i futuri ministri.” Non si sbaglia. Gli uomini, come sempre in tutte le carceri, si raggruppano per bande. Al secondo piano sono alloggiati i liberali, al primo gli azionisti13 e i comunisti che sdegnano di giocare a poker con gli altri. Si organizzano lezioni su vari argomenti, nei quali gli intellettuali insegnano ai popolani. Leone tiene corsi di letteratura russa, su Manzoni e sul Risorgimento. Svuota il bugliolo14, lo rovescia, ci si siede e trasforma, così, in cattedra il secchio usato per orinare e defecare. Nelle celle da tre si dorme in sei ma non si sta male. Le avanguardie della 5a armata americana fronteggiano le postazioni di montagna della linea d’inverno tedesca. Non può essere lontana, oramai, la primavera. Un pomeriggio d’inizio dicembre, però, le guardie italiane improvvisamente s’inquietano. Costringono tutti a entrare nelle celle con assoluto divieto di uscire e perfino di guardare dallo spioncino. I tedeschi irrompono. In testa portano l’elmo d’acciaio a catino, attorno al petto nastri di mitragliatrici d’ottone luccicante, granate da lancio infilate nella cintura e mitragliatrici spianate. Il capoguardia urla un nome. Un unico nome. Dopo poco Leone Ginzburg è
11 insegnano... repubblica: l’espressione è so-
lo apparentemente paradossale: delinquenti comuni si trovavano davvero allora in carcere fianco a fianco a oppositori politici tra i quali figuravano personaggi di spicco della storia fu-
tura dell’Italia (tra di essi, Sandro Pertini, che, appunto, divenne presidente della Repubblica: cfr. nota 18). 12 braccio: un’ala dell’edificio carcerario. 13 azionisti: membri del Partito d’Azione, di o© Casa Editrice G. Principato SpA
rientamento repubblicano e social-democratico, nato nel 1942 e sciolto nel 1947. 14 il bugliolo: il secchio per escrementi nella cella. 185
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l’conossi no: “non lo conosco”. 5 gappisti: partigiani appartenenti ai gruppi di azione patriottica (GAP). 6 Regina Coeli: carcere romano. 7 Carlo Muscetta: critico letterario (1912-2004) appartenente all’area marxista. 8 armistizio: la cessazione ufficiale, annunciata l’8 settembre 1943, delle ostilità tra governo italiano, temporaneamente guidato dal generale Badoglio, e le forze alleate anglo-americane. 9 borsari neri: persone che, approfittando della penuria di generi alimentari durante la guerra, esercitavano la borsa nera, ovvero la vendita di beni primari a prezzi esorbitanti. 10 fittavoli della Sabina: lavoratori in un podere di cui pagavano l’affitto al proprietario: la Sabina è una regione storica del Lazio. 4
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consegnato. Si avvia, gracile, tra i suoi nuovi carcerieri con il suo vestito blu strapazzato che spicca tra le pesanti uniformi verdognole. Qualcuno da una cella comincia a fischiare l’inno del Piave15. È un fischio limpido e sicuro. Gli italiani si commuovono. Una voce urla: “Coraggio!” I tedeschi ignorano. 85 Leone è portato via. Il sesto braccio è quello esposto peggio, illuminato peggio, lurido. Niente lenzuola, poca acqua, poca aria, pagliericcio, cimici. In cortile solo due volta la settimana. La vera identità di Leone Ginzburg è stata scoperta confrontando i documenti di Leonida Gianturco16 con la scheda segnaletica risalente alla carcerazione di nove anni prima. 90 I tedeschi lo sottopongono a interrogatori continui. È un capo, vogliono nomi, delazioni. Lo colpiscono a sangue. Ripetutamente. Lui oppone il suo ultimo “no”17. Uno degli amici che lo incontrano in quei giorni, testimonia di un cuore indebolito, di un corpo consunto. Leone gli confessa la paura di dover morire, una sincera, sicura 95 paura di finire. Un altro, che lo vede tra gli ultimi mentre i carcerieri nazisti lo trascinano a braccia dopo avergli fratturato la mascella, testimonia di averlo udito bisbigliare: “Guai a noi se in futuro non riusciremo a non odiare l’intero popolo tedesco.” È incredibile, quasi sovrumano ma dobbiamo credergli perché il testimone è Sandro Pertini18. A inizio gennaio Leone è di nuovo trasferito. In qualche luogo ancora più tetro. Ci si 100 accanisce sull’ebreo. Al principio di febbraio i compagni riescono a farlo ricoverare in infermeria. Si spera, da lì, di riuscire a farlo fuggire. Gli americani sono sbarcati ad Anzio, sul litorale romano, ma lì dove Leone si trova, non li può sentire. Il 4 febbraio sta male tutto il giorno. Verso sera un infermiere gli pratica un’iniezione 105 di canfora. Leone sembra trarne giovamento. Chiede carta e penna e scrive. Scrive a Natalia, sua moglie19. Poi muore durante la notte. 15 l’inno del Piave: la celebre canzone patriottica della prima guerra mondiale, dopo l’8 settembre, fu temporanemante impiegata come inno nazionale dagli avversari del fascismo e della monarchia. 16 Leonida Gianturco: il nome fittizio adottato da Leone Ginzburg.
17 il suo ultimo “no”: Leone Ginzburg aveva pronunciato un altro celebre “no”, nel gennaio 1934, quando aveva rifiutato, giovanissimo docente, di prestare il giuramento di fedeltà al fascismo rinunciando così alla possibilità di insegnare. 18 Sandro Pertini: uomo politico (1896-
Guida alla lettura
1990), figura di spicco dell’antifascismo e della Resistenza, fu presidente della repubblica dal 1978 al 1985. 19 Natalia, sua moglie: è la scrittrice Natalia Levi (1916-1991), che nel 1938 aveva sposato Leone Ginzburg. È autrice tra l’altro del celebre Lessico famigliare (1963).
Come si è detto, Scurati imposta il suo romanzo sul rapporto – di manzoniana memoria – tra Storia e vicende dei singoli. Le storie individuali evocate nel romanzo, inevitabilmente condizionate dalla macrostoria (trattandosi di anni particolarmente drammatici della storia italiana ed europea), riguardano ora la famiglia dei nonni materni dell’autore (i Ferrieri) ora quella dei nonni paterni (gli Scurati). Parallela a queste storie di oscuri personaggi (e centrale nel romanzo, così da costituire una vera e propria biografia) è la ricostruzione della tragica esistenza di Leone Ginzburg, nobile figura di intellettuale, apertamente schierato con l’antifascismo fin dalla più giovane età. Il suo primo “no” è il rifiuto, condiviso con pochissimi altri docenti universitari (13 su 1300), di giurare fedeltà al fascismo: un primo “no” a cui si ricollega, in un cammino di limpida coerenza intellettuale, l’ultimo, il rifiuto di tradire, sotto il ricatto della violenza nazista, i compagni della Resistenza. Nell’ultima parte del romanzo lo scrittore spiega la scelta di intersecare la vicenda di un uomo eccezionale (indagato per cercare «un antiveleno alla nostra storia») con quelle di persone qualunque «in una sorta di profano vangelo sinottico»: secondo Scurati «la sua straordinaria grandezza la misuri a pieno sullo stesso terreno arato delle vite ordinarie di tutti gli altri». Il rapporto tra Storia e storie: un tema manzoniano ▪
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Nel primo passo proposto il lettore assiste, quasi in presa diretta a uno dei tanti drammatici episodi che turbavano la vita di comuni persone, come appunto gli Scurati, subito dopo l’armistizio. Altrettanto scarno, quasi cronachistico, volto a lasciar parlare l’eloquenza dei fatti, è il resoconto degli ultimi mesi di vita di Leone Ginzburg, fino al giorno della morte in seguito alle torture subite. Significato di un titolo ▪ Il suggestivo titolo del romanzo viene spiegato dall’autore stesso nelle pagine di taglio saggistico-autobiografico che chiudono il volume. Questo prende spunto dalle struggenti parole scritte da Natalia Ginzburg poco dopo la morte di Leone a chiusura del racconto Inverno in Abruzzo, in cui la scrittrice rievoca il tempo in cui aveva vissuto con i figli bambini e il marito al confino in un paesino di quella regione: un tempo difficile, che però, alla luce di quanto poi accadde, le appare «il tempo migliore» della sua vita. Scurati riflette sulla sua generazione, nata e cresciuta in un paese protetto, agiato, immersa nella noia delle serate televisive, che pensa alla Resistenza, alla lotta contro un nemico, alle persecuzioni, e conclude: «quello avrebbe potuto essere il tempo migliore della nostra vita». Uno stile antiretorico ▪
Attività sul testo Abilità: comprendere e analizzare
Gomorra: tra romanzo e reportage Gomorra (2006), il romanzo d’esordio di Roberto Saviano (Napoli 1979), scrittore e giornalista, potrebbe ricordare la tendenza di Sciascia a usare la scrittura per opereinchiesta ispirate a una forte tensione morale e civile. Il giovane scrittore, animato, come Sciascia molto prima di lui, da una coraggiosa volontà di denuncia, struttura il suo romanzo-reportage come un incontro ravvicinato, condotto in prima persona, con il mondo della camorra napoletano-campana: utilizzando le sue personali impressioni ma anche fonti qualificate (come atti di istruttorie e verbali di polizia), Saviano mira a far conoscere al lettore nel dettaglio i luoghi e gli ambiti (appalti edilizi, commercio dell’abbigliamento, mercato della droga ecc.) in cui si manifesta il potere del “sistema”. Il duro attacco alle associazioni camorristiche, le cui criminose attività sono descritte per la prima volta con precisione documentaria in un testo destinato al largo pubblico, è fruttato a Saviano minacce di morte (dallo stesso 2006 vive sotto scorta). Lo straordinario successo del libro-reportage (tradotto in 52 paesi, in molti dei quali è da anni un best seller), moltiplicato dal film di Matteo Garrone del 2008 (e in seguito anche da una fortunata serie televisiva), ha fatto dell’autore un “personaggio”, un’icona soprattutto del pubblico giovanile, spesso invitato a dibattiti e trasmissioni televisive. © Casa Editrice G. Principato SpA
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1. Il momento storico di riferimento Indica il momento storico in cui si collocano entrambi i passi riportati. 2. Il riassunto Riassumi i due passi in max 5 righe per ciascuno. 3. La sorveglianza a Regina Coeli Che cosa aveva determinato l’allentamento della sorveglianza nel terzo braccio di Regina Coeli? a. □ Una rivolta dei prigionieri. b. □ La presenza di prigionieri illustri nel carcere. c. □ Il disorientamento degli stessi carcerieri in seguito all’armistizio. d. □ La fine della guerra. 4. La narrazione La narrazione è □ interna. □ a focalizzazione interna fissa. □ esterna non focalizzata. □ a focalizzazione interna multipla. – Quale effetto produce questa scelta stilistica? 5. Il rapporto fra la vita di Leone Ginzburg e la storia della famiglia Scurati Quale rapporto intercorre tra la rievocazione della vita e della morte di un grande intellettuale come Leone Ginzburg e la narrazione delle vicende della famiglia dell’autore? A quale scopo Scurati accosta le storie dei singoli ai grandi eventi? Esercitare 6. Illustrare affinità e differenze tra il testo di Scurati e quello dalla Storia Individua e illustra oralmente (max 3 le competenze minuti) le affinità e le differenze che intercorrono tra il brano proposto e quello tratto dal romanzo La Storia della Morante.
Testo
27 «Mi rimbombò nelle orecchie l’Io so di Pasolini» Roberto Saviano_Gomorra
R. Saviano, Gomorra, Mondadori, Milano 2006
Il passo che proponiamo è tratto dalla seconda parte del romanzo: mentre la prima è costruita su dati incalzanti, spesso iscritti in lunghi “elenchi”, nella seconda emerge maggiormente la componente autobiografica e si infittisce la presenza di riflessioni e considerazioni. La consacrazione dello scrittore come testimone di dure verità, l’acquisizione della consapevolezza di quella che si può considerare una “missione”, passa attraverso una sorta di pellegrinaggio rituale compiuto dal narratore alla tomba di Pasolini. Al celebre «Io so» dello scrittore friulano (→C14T❸OL) segue, quasi in un simbolico passaggio di consegne, il nuovo «io so» di Saviano.
2 Il Novecento e oltre • QUADRO LINGUISTICO-LETTERARIO
Il potere dei clan rimaneva il potere del cemento1. Era sui cantieri che sentivo fisicamente, nelle budella, tutta la loro potenza. Per diverse estati ero andato a lavorare nei cantieri2, per farmi impastare cemento non mi bastava altro che comunicare al capomastro la mia origine e nessuno mi rifiutava il lavoro. La Campania forniva i migliori edili d’Italia, i più bravi, i più veloci, i più economici, i meno rompicoglioni. Un lavoro bestiale che non sono mai riuscito a imparare particolarmente bene, un mestiere che ti può fruttare un gruzzolo cospicuo solo se sei disposto a giocarti ogni forza, ogni muscolo, ogni energia. Lavorare in ogni condizione climatica, con il passamontagna in viso così come in mutande. Avvicinarmi al cemento, con le mani e col naso, è stato l’unico modo per capire su cosa si fondava il potere, quello vero. Fu quando morì Francesco Iacomino però che compresi sino in fondo i meccanismi dell’edilizia. Aveva trentatré anni quando lo trovarono con la tuta da lavoro sul selciato, all’incrocio tra via Quattro Orologi e via Gabriele D’Annunzio a Ercolano3. Era caduto da un’impalcatura. Dopo l’incidente erano scappati tutti, geometra compreso4. Nessuno ha chiamato l’autoambulanza, temendo potesse arrivare prima della loro fuga. Allora, mentre scappavano, avevano lasciato il corpo a metà strada, ancora vivo, mentre sputava sangue dai polmoni. Quest’ennesima notizia di morte, uno dei trecento edili che crepavano ogni anno nei cantieri in Italia si era come ficcata in qualche parte del mio corpo. Con la morte di Iacomino mi si innescò una rabbia di quelle che somigliano più a un attacco d’asma piuttosto che a una smania nervosa. Avrei voluto fare come il protagonista de La vita agra di Luciano Bianciardi5 che arriva a Milano con la volontà di far saltare in aria il Pirellone per vendicare i quarantotto minatori di Ribolla, massacrati da un’esplosione in miniera, nel maggio 1954, nel pozzo Camorra. Chiamato così per le infami condizioni di lavoro. Dovevo forse anch’io scegliermi un palazzo, il Palazzo6, da far saltare in aria, ma ancor prima di infilarmi nella schizofrenia7 dell’attentatore, appena entrai nella crisi asmatica di rabbia mi rimbombò nelle orecchie l’Io so di Pasolini8 come un jingle musicale9 che si ripeteva sino all’assillo. E così invece di setacciare palazzi da far saltare in aria, sono andato a Casarsa, sulla tomba di Pasolini. Ci sono andato da solo, anche se queste cose per il potere del cemento: il potere legato all’industria delle costruzioni. Più avanti si dirà: «Non esiste impero economico nato nel Mezzogiorno che non veda il passaggio nelle costruzioni: gare d’appalto, appalti, cave, cemento, inerti [materiali costituenti del calcestruzzo], malta, mattoni, impalcature, operai. [...] L’imprenditore italiano che non ha i piedi del suo impero nel cemento non ha speranza alcuna. È il mestiere più semplice per far soldi nel più breve tempo possibile...». 2 ero andato... nei cantieri: l’io narrante nel romanzo mostra sempre una conoscenza diretta delle realtà che rappresenta, che vuole 1
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conoscere fisicamente, come ha detto poco prima, per poterla davvero comprendere e poi rappresentare. 3 Ercolano: località vicino a Napoli. 4 Dopo l’incidente... compreso: evidentemente l’operaio caduto dall’impalcatura non lavorava in condizioni di sicurezza e nessuno (ovviamente non il geometra) è disposto a confessarlo. 5 il protagonista... Bianciardi: il protagonista dell’importante romanzo La vita agra (1962) di Luciano Bianciardi (1922-1971), dalla provincia va a vivere a Milano con l’obiettivo di vendicare i minatori morti in un grave incidente causato dalla mancanza di © Casa Editrice G. Principato SpA
tutela della sicurezza sul lavoro. il Palazzo: un simbolo inequivocabile del potere politico ed economico (da qui l’articolo determinativo e la maiuscola). 7 schizofrenia: qui, esaltazione delirante. 8 l’Io so di Pasolini: Saviano si riferisce a un celebre articolo di Pasolini sul «Corriere della Sera» (14 novembre 1974) in cui lo scrittore friulano afferma di poter additare con certezza le responsabilità politiche dei fatti sanguinosi di quegli anni (ma di non disporre delle prove). 9 jingle musicale: motivetto ricorrente, sigla musicale. 6
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10 Caproni: Giorg io Capron i (1 9 1 2 1990) è uno dei maggiori poeti del Novecento (→C13U4). 11 santino laico: santo protettore laico.
12 porci da tartufo: grazie al loro ottimo senso dell’olfatto, i maiali sono in grado di scovare i tartufi (da molto tempo quest’uso è vietato per legge; sono stati sostituiti nella
ricerca dai cani). 13 l’io so del mio tempo: con riferimento all’“io so” di Pasolini anche Saviano, nelle righe seguenti non riprodotte, scrive un testo
analogo di forte denuncia che si conclude con la frase: «Io so e ho le prove. E quindi racconto. Di queste verità».
Attività sul testo Abilità: comprendere e analizzare
1. Il riassunto Riassumi in max 8 righe il contenuto del brano.
2. Il cantiere edile L’io narrante sceglie di essere assunto in un cantiere edile per a. □ ottenere un lavoro sicuro. c. □ conoscere le dinamiche della camorra. b. □ mettere a frutto le sue competenze. d. □ il salario redditizio. – Motiva la tua risposta. 3. La morte sul lavoro di Iacomino Che cosa provoca nell’io narrante l’ennesima morte sul lavoro, quella di Iacomino? a. □ Grande paura. b. □ Crisi di rabbia. c. □ Senso di colpa. d. □ Senso di impotenza. 4. La reazione dell’io narrante Come viene elaborata dall’io narrante la prima reazione alla morte di Iacomino? 5. Il protagonista-narratore davanti alla tomba di Pasolini Con quali stati d’animo il protagonista-narratore sosta davanti alla tomba di Pasolini? a. □ Condivisione. c. □ Conforto. e. □ Rabbia. g. □ Pietà. b. □ Disperazione. d. □ Determinazione. f. □ Solitudine. h. □ Sollievo.
Esercitare le competenze
6. Spiegare il titolo del romanzo di Saviano Spiega il significato del titolo scelto da Saviano per il suo romanzo. 7. Mettere a confronto romanzi accomunati dallo stesso tema In un testo di 2 colonne di foglio protocollo, confronta i brani di Sciascia (→T⓯) e di Consolo (→T⓰OL) con il testo di Saviano, indicando analogie e differenze nell’approccio dei diversi autori al tema del potere criminale e mafioso.
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28 «Tra finanza legale e illegale non c’è più un limite preciso» Walter Siti_Resistere non serve a niente
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4 Le ultime tendenze
renderle meno patetiche bisognerebbe farle in compagnia. In banda. Un gruppo di fedeli lettori, una fidanzata. Ma io ostinatamente sono andato da solo. [...] Andai sulla tomba di Pasolini non per un omaggio, neanche per una celebrazione. Pier Paolo Pasolini. Il nome uno e trino, come diceva Caproni10, non è il mio santino laico11, né un Cristo letterario. Mi andava di trovare un posto. Un posto dove fosse ancora possibile riflettere senza vergogna sulla possibilità della parola. La possibilità di scrivere dei meccanismi del potere, al di là delle storie, oltre i dettagli. Riflettere se era ancora possibile fare i nomi, a uno a uno, indicare i visi, spogliare i corpi dei reati e renderli elementi dell’architettura dell’autorità. Se era ancora possibile inseguire come porci da tartufo12 le dinamiche del reale, l’affermazione dei poteri, senza metafore, senza mediazioni, con la sola lama della scrittura. Presi il treno da Napoli per Pordenone, un treno lentissimo dal nome assai eloquente sulla distanza che doveva percorrere: Marco Polo. Una distanza enorme sembra separare il Friuli dalla Campania. Partito alle otto meno dieci arrivai in Friuli alle sette e venti del giorno dopo, attraversando una notte freddissima che non mi diede tregua per dormire neanche un po’. Da Pordenone con un bus arrivai a Casarsa e scesi camminando a testa bassa come chi sa già dove andare e la strada può anche riconoscerla guardandosi la punta delle scarpe. Mi persi, ovviamente. Ma dopo aver vagato inutilmente riuscii a raggiungere via Valvasone, il cimitero dove è sepolto Pasolini e tutta la sua famiglia. Sulla sinistra, poco dopo l’ingresso, c’era un’aiuola di terra nuda. Mi avvicinai a questo quadrato con al centro due lastre di marmo bianco, piccole, e vidi la tomba. “Pier Paolo Pasolini (19221975)”. Al fianco, poco più in là, quella della madre. Mi sembrò d’essere meno solo, e lì iniziai a biascicare la mia rabbia, con i pugni stretti sino a far entrare le unghie nella carne del palmo. Iniziai a articolare il mio io so, l’io so del mio tempo13.
Unità
5 Gli usi della lingua
1 La progressiva affermazione di una lingua parlata comune Alle radici dell’unificazione linguistica ▪
2 Il Novecento e oltre • QUADRO LINGUISTICO-LETTERARIO
Un ricamo su tela di Alighiero Boetti (1994).
Nei decenni che seguono la seconda guerra mondiale è l’italiano parlato che dimostra maggior dinamismo e che va rafforzandosi rispetto alla lingua scritta, ed è un fenomeno destinato a crescere nel tempo. Mentre fino agli anni Sessanta la maggior parte degli italiani si esprime in dialetto, a partire dal secondo dopoguerra sempre più italiani ricorrono all’italiano per le più varie situazioni comunicative, a volte persino per la conversazione quotidiana: inizia a formarsi quello che in seguito sarebbe stato definito l’«italiano dell’uso medio» (Sabatini) o italiano standard. Il fenomeno è dovuto a diverse ragioni: l’aumento della scolarizzazione e dell’acculturazione, lo sviluppo economico, l’urbanizzazione, l’emigrazione massiccia dal Sud al Nord industrializzato in seguito al boom economico. Ma ancora più rilevante è l’influenza esercitata sul parlato degli italiani dai mass media: prima dalla radio e dal cinema e poi soprattutto dalla televisione (in Italia le trasmissioni iniziano nel 1954), la cui rapida diffusione nel paese crea le premesse per un’unificazione linguistica che sembrava lontanissima dal realizzarsi. L’italiano medio ▪ La lingua parlata unitaria che si va costruendo non deriva dagli autorevoli modelli della tradizione letteraria, ma in larghissima misura dal linguaggio delle telecronache sportive, che incollano milioni di italiani davanti al televisore o dagli sketch di Tognazzi e Vianello, o dalle fortunate trasmissioni di Mike Bongiorno (alle cui caratteristiche linguistiche fa riferimento un celebre intervento di Umberto Eco →C1T➍OL). Si può dire che alla fine degli anni Ottanta quasi tutti gli italiani parlino l’italiano standard. L’influenza del Sessantotto e della pubblicità ▪ Tra i fattori che incidono nella realtà linguistica dei decenni in esame si segnala il Sessantotto che introduce nella lingua media una spaccatura, inserendo nel tessuto linguistico elementi specifici legati a una funzione «identitaria» (Antonelli), insieme politica e generazionale. Si diffondono slogan, stereotipi linguistici di segno ideologico-politico in relazione al diffuso assemblearismo, alla preminenza della dimensione politica (→U2) e per la prima volta vengono sdoganate e utilizzate, sia nel parlato che nello scritto, le parolacce, in relazione alla lotta al perbenismo che caratterizza più in generale le posizioni del movimento libertario. Anche la pubblicità incide sull’evoluzione linguistica all’inizio degli anni Settanta, creando neologismi e composti arditi. 190
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APPROFONDIMENTO
Due celebri interventi a proposito della “nuova” questione della lingua: Pasolini vs Calvino
di termini tecnici e scientifici. Come si è detto, in realtà l’identità dell’italiano medio che si stava formando tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta dipendeva soprattutto dall’influenza dei mezzi di comunicazione di massa. Le nuove questioni linguistiche oggi Di recente il linguista Giuseppe Antonelli, per la rivista «Nuovi argomenti», con il titolo Che lingua fa? (che a distanza di cinquant’anni riprende il modello dell’intervento pasoliniano), ha raccolto i pareri di molti studiosi, scrittori ed esperti della comunicazione sullo stato della lingua italiana e su quali potrebbero essere le “nuove questioni linguistiche” oggi. Al di là delle singole valutazioni, comune è la preoccupazione per la salute dell’italiano odierno, per la grave perdita delle competenze linguistiche da parte delle giovani generazioni e per l’avanzata dell’inglese che rischia di dialettizzare, cioè di relegare in una posizione marginale, l’italiano per quanto riguarda alcuni ambiti culturali (quello tecnico-scientifico in particolare) e nella stessa didattica nelle facoltà scientifiche ed economiche.
2 L’italiano oggi Una lingua in evoluzione ▪ L’italiano di oggi, che viene definito neostandard, presenta
forti elementi di diversità rispetto al passato anche recente. Le principali linee di tendenza sono: la sempre maggiore semplificazione, l’informalità, il marcato avvicinamento tra scritto e parlato, il sostanziale abbassamento, anche dovuto alla forte influenza della scrittura digitata. Ecco un’esemplificazione minima di questi processi in corso. • La subordinazione va riducendosi a netto favore della paratassi, i periodi sono sempre più brevi • L’indicativo estende la sua frequenza a scapito del congiuntivo e tanto più del condizionale. Ad es. sono diffusi periodi ipotetici di questo tipo: “Se facevi in fretta eri già arrivato”, “Se lo sapevo venivo”. • Il passato remoto è ormai quasi scomparso a favore del passato prossimo. Oggi si dice: “Cinque anni fa sono andato a Roma”, anziché “andai”. • Aspetti prettamente colloquiali e indici di un abbassamento del livello linguistico sono ad esempuo l’uso del che come connettivo polivalente: “Il giorno che ti ho visto” e l’uso di gli (“a lui”) al posto di le (“a lei”). • Tendono marcatamente a scomparire i segni di punteggiatura intermedi tra la virgola e il punto (cioè il punto e virgola e i due punti) per una sorta di «estremismo interpuntorio» (Garavelli) che prevede solo poche virgole e soprattutto punti fermi. Una tendenza che © Casa Editrice G. Principato SpA
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5 Gli usi della lingua
La cosiddetta questione della lingua (ovvero il problema a quale modello di lingua ci si debba conformare o quale lingua parlata si debba preferire), che ha il suo momento chiave nel Cinquecento, di fatto attraversa la storia della cultura e della società italiana, emergendo in modo particolare in alcuni periodi. L’intervento di Pasolini Nel dicembre del 1964 Pasolini – provocatorio anche in questo ambito – rilancia il tema in una conferenza intitolata “Nuove questioni linguistiche”, pubblicata nello stesso mese sulla rivista «Rinascita». Pasolini lamentava la progressiva sparizione dei dialetti e, per contro, constatava la nascita dell’italiano come lingua nazionale. Per lui la lingua comune che si andava formando era un italiano prettamente tecnologico, frutto dell’affermazione della borghesia capitalistica del Nord, che, ponendosi in un rapporto “neo-colonialistico” nei confronti del Sud, rappresentava ormai, grazie al potere economico che
deteneva, la nazione: la nuova classe egemonica tecnocratica rifiuta sia la lingua “conservatrice” della tradizione sia la lingua “espressiva” dei dialetti e richiede una lingua moderna e tecnologica. Pasolini giudica in modo negativo questa prospettiva. La posizione di Calvino La presa di posizione dello scrittore suscitò un vivace dibattito. Tra i vari interventi spicca quello di Italo Calvino, pubblicato su «Il Giorno» del 3 febbraio 1965, intitolato L’antilingua (ora in Una pietra sopra). Calvino vedeva nell’italiano comune che andava formandosi non un apporto eccessivo di termini tecnici, bensì il persistente influsso di quella che definisce, con un termine che poi ha avuto fortuna, diventando proverbiale, l’“antilingua”: la lingua burocraticogiuridica, e, più in generale, la lingua aulica propria della tradizione retorica. L’italiano era incapace di modernizzarsi perché affetto da quello che Calvino chiamava «terrore semantico»: rifuggiva cioè dall’uso di parole troppo dirette e da espressioni concrete e precise. Al contrario di Pasolini, egli pensava che la modernizzazione della lingua anzi avrebbe comportato l’accoglimento
2 il Novecento e oltre
investe la stessa letteratura: ad es. Paolo Giordano nel bestseller La solitudine dei numeri primi (2008) usa solo virgola, punto e qualche punto interrogativo (Antonelli). • Prosperano formule stereotipate, per lo più derivate dal linguaggio banalizzante dei media: da “assolutamente sì” a “nel senso che”, da “piuttosto che” a “un attimino” a “della serie”, ecc. (→T 30 ). Ma esiste ancora la lingua letteraria? ▪ Indubbiamente è oggi molto più difficile identificare gli scrittori di qualità, sia per l’inflazione di testi, in particolare romanzi, pubblicati a getto continuo, sia per la dilagante tendenza a uno stile poco personale, che rende arduo persino ai critici distinguere uno scrittore dall’altro. Mimesi del parlato, informalità, gergalità esibita, omologazione lessicale, avvicinano la lingua di molti romanzi alla lingua corrente. Di certo la letteratura non svolge più da tempo un ruolo “modellizzante” sulla lingua comune, ma al contrario risulta spesso condizionata da essa anche perché la ricerca linguistica non sembra più essere un interesse primario degli scrittori, per lo meno dei narratori (diverso è il discorso sulla poesia). Peraltro già negli anni Ottanta vi erano scrittori, anche di alto profilo, che sceglievano di esprimersi nell’italiano medio: ad esempio Moravia, la Ginzburg, lo stesso Eco. L’unico momento a suo modo creativo sul piano linguistico in quegli anni era stata la letteratura generazionale, da Tondelli ai ‘cannibali’, che riproducevano, estremizzandoli provocatoriamente, i linguaggi dei giovani e dei media. Nel panorama stilisticamente piatto della prosa narrativa odierna è comprensibile, al di là della popolarità anche televisiva del personaggio di Montalbano, l’interesse suscitato dalla prosa del tutto anomala del siciliano Andrea Camilleri (che, nato nel 1926, peraltro appartiene a una generazione precedente a quella della maggior parte degli scrittori di oggi): se i suoi conterranei Consolo e Bufalino indulgevano a una prosa aulica, barocca per contrapporsi volutamente all’appiattimento linguistico di una società omologata, Camilleri attinge alle potenzialità del dialetto per creare uno stile originale, del tutto suo, fortemente espressivo, denso di voci e termini siciliani che però risultano per la maggior parte comprensibili, attraverso abili accorgimenti dello scrittore, ai suoi molti lettori.
3 La rivincita dello scritto: ma quale scritto? L’“italiano digitato” ▪
Emilio Isgrò, Una indivisibile minorata,
2010 (da La Costituzione Cancellata, Galleria Boxart di Verona).
Verso la metà degli anni Novanta l’avvento della telematica introduce forti innovazioni nel panorama linguistico. Innanzitutto si verifica, grazie a internet, un incremento dei testi scritti: la posta elettronica per prima, e quindi le chat, i blog, i social network, ma anche l’uso dei messaggi sul cellulare hanno creato una vera e propria proliferazione di testi scritti: gli italiani (in particolare i giovani) sembrano diventati tutti «graforroici» (Antonelli). Ovviamente si tratta di testi scritti diversi da quelli tradizionali, con caratteristiche proprie legate alle esigenze della comunicazione web, per la cui lingua Antonelli usa appunto un termine apposito, l’e-taliano. La rete richiede in generale una lingua franta, veloce, poco adatta all’argomentazione complessa: ciò soprattutto in quella che è stata definita «neoepistolarità», cioè tutti quei tipi di scrittura per natura informali che servono alla confessionecondivisione oggi così diffusa (anche →C1U2). La “desacralizzazione” della scrittura ▪ Le varie forme della scrittura digitale hanno ben presto desacralizzato l’atto dello scrivere, rendendolo un gesto quotidiano che appare quasi un’estensione del parlare: da qui l’abitudine sempre più diffusa a scrivere senza esercitare il controllo tradizionalmente impiegato per il testo scritto. Ne consegue la tolleranza di chi scrive e legge per gli errori (di ortografia innanzitutto), ammessi appunto per l’assoluta informalità del testo. 192
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Il problema è che questa libertà nello scrivere tende a estendersi pericolosamente a forme di scrittura che invece richiederebbero registri più formali e un necessario controllo della correttezza. Tende a estendersi a varie situazioni comunicative anche l’impoverimento (o l’essenzializzazione) della punteggiatura, come pure l’inflazione della punteggiatura espressiva (punto esclamativo e puntini di sospensione), e persino la presenza di emoticons per conferire al testo determinati aspetti emotivi. APPROFONDIMENTO
La nuova antilingua: aziendalese e neopolitichese
conferire al loro discorso il senso di oggettività ed efficienza manageriale. Come aveva scritto ironicamente qualche anno fa il giornalista Gian Antonio Stella, al latinorum di don Abbondio si sostituisce oggi l’inglesorum: si cerca di colpire i cittadini con termini come governance, deregulation, authority bancaria, spoil sistem, venture capital, welfare fino ai recenti spending review e jobs act. L’antilingua ha solo cambiato veste.
Testi ON LINE
29 L’antilingua esiste ancora
Gianrico Carofiglio_Con parole precise. Breviario di scrittura civile
5 Gli usi della lingua
L’antilingua di cui ha parlato in anni ormai lontani Calvino, una lingua anticomunicativa, concepita per allontanare i cittadini, non è stata veramente sconfitta, ma ha soltanto mutato volto. L’antico “burocratese”, a volte denso di latinismi, di giri di parole retorici, è stato prevalentemente sostituito dall’“aziendalese”, un vocabolario che vuole dare un’idea di efficienza e modernità. Termini tecnici, o apparentemente tali, spesso mutuati dal linguaggio economico-finanziario e dall’inglese, abbondano oggi nelle relazioni di ogni azienda: implementare, ottimizzare, sinergie, criticità, processare (elaborare),
performante (efficace), case history, interfacciarsi (relazionarsi), upgradare (aggiornare), deliverare (consegnare) e così via. Quanto al linguaggio dei politici, sono presenti due linee di tendenza: da un lato, la ricerca del consenso di massa, a volte collegata a visioni populistiche, induce alcuni ad abbassare notevolmente il livello del discorso per adeguarsi ai destinatari, e a scegliere un registro decisamente informale, che accoglie persino, all’occorrenza, il turpiloquio. Dall’altro, alcuni politici, per conferire autorevolezza alle loro parole, non utilizzano più l’abilità retorica, eredità della cultura umanistica, ma esibiscono dati statistici e utilizzano una terminologia finanziaria, preferibilmente inglese, per
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30 Espressioni da non usare (e perché non usarle) Beppe Severgnini_L’italiano. Lezioni semiserie
B. Severgnini, L’italiano. Lezioni semiserie, Rizzoli, Milano 2007
Il giornalista Beppe Severgnini (n. 1956) propone un’analisi scherzosa nel tono, ma profondamente seria nella sostanza, sullo stato della lingua italiana. In particolare Severgnini stigmatizza qui con bonaria ironia usi linguistici assai diffusi, vuoti di reale senso, frutto di un passivo adeguamento dei più a una lingua banalmente standardizzata.
Assolutamente sì è assolutamente insopportabile. Rivela infatti tre debolezze. La prima è la rassegnazione: lo dicono tutti, lo dico anch’io. La seconda è la piaggeria davanti all’inglese: assolutamente sì è infatti figlio di absolutely. La terza debolezza è la più inquietante: diciamo assolutamente sì perché siamo convinti che sì non basti. La più bella, semplice e netta tra le affermazioni italiane – come sanno gli amanti e gli sposi – è affievolita dall’abitudine, minata dalle bugie, segnata dalla disattenzione. Oggi il sì può essere ritrattato, scambiato per un sospiro, confuso col pronome riflessivo (per colpa di quanti lo scrivono senza accento. Anche Montanelli lo faceva, ma a lui concediamo tutto). Assolutamente sì diventa una dichiarazione programmatica. Peggio: una dimostrazione di sfiducia nel prossimo, e del prossimo in noi. L’Italia era il «bel paese là dove ’l sì suona» (Dante Alighieri, Inferno, canto XXXIII, 80). È diventato lo strano posto dove rimbomba l’assolutamente sì. La Commedia s’aggiorna, ma non so se ci abbiamo guadagnato. [...] IN QUALCHE MODO Quando sento queste tre parole, mi vien voglia di chiedere: «In quale modo?». Ma sarebbe fatica sprecata. Gli Inqualchemodisti amano essere generici, e non risponderanno mai. IN TEMPO REALE Cos’è il «tempo reale»? Esiste un tempo irreale? Un tempo repubblicano? In tempo reale vuol dire subito o contemporaneamente. Usiamo queste espressioni, sono meno ridicole. [...] ASSOLUTAMENTE SÌ? ASSOLUTAMENTE NO!
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Mostriciattolo assai popolare: oggi – chissà perché – sostituisce oppure. Se una fanciulla dice «Vado al cinema piuttosto che in discoteca», vuol dire che non ha preferenze: il fidanzato verrà trascinato a vedere un film oppure a ballare (basta che non apra bocca). NEL SENSO CHE Domanda: perché diciamo nel senso che...? Risposta: perché non sappiamo spiegarci la prima volta, e dobbiamo ripetere il concetto; oppure ci siamo spiegati, ma l’interlocutore era distratto. Un tempo, nelle stesse situazioni, molti dicevano Voglio dire... Sì, è così. I Nelsensocheisti di oggi sono i Vogliodiristi di ieri; entrambi avanzano una goffa richiesta d’aiuto. Un esempio? Lei dice, con l’occhio lucido e fintamente colpevole: «Ti voglio lasciare, nel senso che preferisco star sola...». Lui, invece di festeggiare lo scampato pericolo, chiede spiegazioni. Voi penserete: «Cavolo, te l’ha detto due volte in nove parole: ti vuole m-o-l-l-a-r-e!». Niente da fare: lui vuole parlarne. E più la conversazione perde di senso, più volano i nel senso che... («Nel senso che vuoi lasciarmi?» «Nel senso che ho bisogno di riflessione.» «Nel senso che hai un altro?» «Nel senso che non sono affari tuoi»). [...] PIUTTOSTO CHE
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SALUTI SOSPETTI
2 Il Novecento e oltre • QUADRO LINGUISTICO-LETTERARIO
I tic linguistici sono come i funghi: la soddisfazione, all’inizio di ogni stagione, è trovarli prima degli altri. Molti sanno che gli antichi italiani (anni Settanta) dicevano bestiale, gasato e imbranato; alcuni viziosi avevano introdotto addirittura nella misura in cui. Tutti ricordano il neoitaliano dei «banali anni Ottanta», come li chiamava Sebastiano Vassalli, autore di un volume sull’argomento. Non c’erano solo gli effimeri paninari che cercavano di cuccare col cazzeggio; tutti erano motivati e si sbattevano. Negli anni Novanta è toccato a spalmare, inciucio e buonismo. Alcune novità d’inizio secolo le abbiamo appena viste. Cosa s’intravede, adesso, sull’orizzonte linguistico? Ve lo dico subito: ciao-ciao-ciao. Due ragazze progettano la serata. Tre banchieri (o tre alpinisti) studiano la scalata. Quattro colleghi chiudono una riunione. Cinque studenti si salutano dopo un esame. Pochi dicono a presto! o arrivederci!. Quasi tutti, ormai, chiudono con ciao-ciao-ciao. Pronunciati insieme, i tre vocaboli diventano un neologismo, e una moderna forma di commiato. La moltiplicazione del ciao è un sintomo delle nostre vite affrettate – mai, nella storia, l’umanità era passata da un’attività inutile a un’altra con tanta frenesia – e un modo di superare l’imbarazzo del congedo. Ciao è secco. Ciao ciao appare – chissà perché – personale. Ciao-ciao-ciao è perfetto. Un microscopico discorso che simula rimpianto, e suona come un bambino in una pozzanghera o un vecchio ballo (cha-cha-cha). Alcuni appassionati hanno già introdotto una variante, cambiando l’ultima vocale. Ascoltate le conversazioni telefoniche – non è difficile, in Italia – e scoprirete il ciauciau-ciau: un piccolo ululato sociale, informale e confidenziale. Questa forma in u piace alle donne. Di solito sono giovani e semigiovani, informate, disinvolte e un po’ snob: annusano le nuove tendenze come il setter sente l’odore della lepre, e si lanciano all’inseguimento. Una giovane brillante collega, per esempio, ama «ciauciauciauare» il mondo, e s’aspetta che il mondo risponda a tono. Ciauciauciau! biascica al direttore del giornale, lasciando intendere un’orgogliosa indipendenza. Ciauciauciau... sussurra agli amanti, rammentando un’insufficiente intimità. Ciauciauciau dice al termine della telefonata, ricordandomi un’antica familiarità. Ciauciauciau?, vorrei chiederle: ma non ho il coraggio. Così resto col telefonino in mano, pensando che queste donne sono proprio brave, e andranno lontano.
Attività sul testo Esercitare le competenze
1. Rintracciare e analizzare espressioni e stereotipi linguistici Trova altre espressioni stereotipate analoghe a quelle citate da Severgnini e prova ad analizzarle tu, imitando il tono semiserio del giornalista. 194
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2. Il Novecento e oltre
Sintesi con
QUADRO QUADRO LINGUISTICO-LETTERARIO LINGUISTICO-LETTERARIO
AUDIOLETTURA
Dal fascismo al dopoguerra: tra autonomia della letteratura e impegno
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Amerigo Bartoli, Amici al caffè, 1930 (Galleria d’arte moderna di Roma). Nel dipinto sono ritratti alcuni intellettuali facenti capo alla «Ronda», assidui frequentatori del caffè Aragno di Roma.
ermetismo anni TrentaQuaranta � temi esistenziali � estraneità alla realtà contemporanea � parola evocativa � significati simbolici di difficile decifrazione
neorealismo esigenza di testimoniare e documentare la storia civile e la ricostruzione cinema Rossellini, De Sica
letteratura Vittorini, Primo Levi, Carlo Levi, Pratolini
rappresentazione del mondo popolare e delle periferie
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Negli anni del fascismo, alcuni letterati avvertono il bisogno di difendere la dignità e l’autonoma funzione della letteratura. Un’esigenza di cui si fanno portavoce le riviste «La Ronda» (1918-23) e «Solaria» (1926-36), che ha un ruolo fondamentale nel diffondere la conoscenza di grandi autori europei come Kafka, Joyce, Proust e Mann. L’ermetismo Tra gli anni Trenta e la guerra, con centro a Firenze, si afferma soprattutto nella poesia, una tendenza letteraria nota come “ermetismo”. È una poesia che rifiuta ogni riferimento alla realtà contingente per dare spazio ad ardui temi esistenziali e metafisici, utilizzando una parola “pura”, allusiva, che rimanda a complessi significati simbolici. I poeti ermetici più rappresentativi sono Alfonso Gatto, Mario Luzi e Salvatore Quasimodo, almeno nella fase iniziale della sua produzione. Il neorealismo La storia italiana dal 1939 al 1945 crea le premesse per l’affermazione della tendenza neorealista che caratterizza sia la letteratura sia il cinema. Il neorealismo fu soprattutto un clima a cui autori come Vittorini, Pavese, Primo Levi, Carlo Levi, ma anche Calvino e Moravia, aderiscono in alcune loro opere e in una determinata fase del loro itinerario di scrittori. Intellettuali e registi si sentono impegnati in un comune compito di testimonianza delle sofferenze subite e dei valori collettivi espressi dalla Resistenza, ma anche di documentazione delle condizioni di un’Italia reale, ben diversa da quella mistificata dalla propaganda fascista. L’adesione all’ideologia marxista, dominante dopo la guerra, induce a privilegiare personaggi del popolo, in cui gli intellettuali in questo momento storico si identificano. Essi sono presentati come portatori di valori esclusivamente positivi: una schematizzazione evidente che farà parlare di populismo e che costituisce di per sé un limite della corrente. Nello stile i neorealisti si prefiggono obiettivi di realismo (da qui l’uso di modi vicini al parlato, anche regionale) e di comunicatività immediata. Tra gli scrittori neorealisti discorso a sé merita Elio Vittorini che nel dopoguerra diventa un importante operatore culturale. Il suo nome è legato soprattutto a due romanzi: Il garofano rosso (a puntate 1933-34; in volume 1948)e Conversazione in Sicilia (a puntate 1938-39; in volume 1941) che ricostruisce attraverso tappe e incontri simbolici il cammino di formazione del protagonista, Silvestro: un viaggio nella natia Sicilia sfocia nella presa di coscienza della necessità di impegnarsi per il «mondo offeso». Il neorealismo si esaurisce già intorno alla metà degli anni Cinquanta per la crisi delle sinistre in seguito ai fatti di Ungheria (1956) e l’inizio del boom industriale.
mappe PER STUDIARE
2. Il Novecento e oltre Il rapido mutare del clima culturale è testimoniato dal successo di un’opera lontanissima dai modi e dallo spirito del neorealismo: Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa (1958) e dalla tendenza dell’editoria a privilegiare romanzi fondati su temi privati e intimistici. Vent’anni dopo, Elsa Morante riproporrà con un grande romanzo popolare, La Storia (1974), ambientato durante la seconda guerra, la lezione anche etico-civile del neorealismo. Lo sperimentalismo della neoavanguardia
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Già nel corso degli anni Cinquanta si sente l’esigenza di superare il neorealismo per sperimentare nuovi modi di rappresentare in ambito letterario una realtà in rapido mutamento: iniziava l’era industriale e scoppiava il boom economico, emergevano nuovi temi come l’alienazione e l’incomunicabilità. Dell’esigenza di una letteratura sperimentale, in modi diversi, si fanno portavoce varie riviste: «Officina», fondata nel 1955, «Il Verri» (1956) e «Il menabò», fondata nel 1959 (in quest’ultima è celebre il numero dedicato ai rapporti tra Letteratura e industria). La neovanguardia è un movimento di rottura che si richiama allo sperimentalismo delle avanguardie storiche. Si lega al costituirsi del Gruppo 63 (dall’anno in cui si forma), di cui fanno parte, tra gli altri, Edoardo Sanguineti e Umberto Eco. L’intellettuale come coscienza civile del paese: il modello Sciascia
Impersona la figura di intellettuale come coscienza civile del paese il siciliano Leonardo Sciascia (1921-1989) che assume una posizione autonoma di fronte sia alle ideologie politiche, sia alle mode culturali e letterarie. Rimane sempre fedele nel tempo a un severo atteggiamento critico-razionale e alla funzione civile della letteratura, testimoniata da ogni sua opera. La sua prima produzione narrativa muove dall’osservazione acutamente critica della realtà siciliana, considerata paradigma dei mali dell’intera società italiana. Il celebre romanzo Il giorno della civetta (1961), scritto in anni in cui iniziava la neoavanguardia, porta per la prima volta coraggiosamente alla ribalta il tema dei rapporti tra mafia e potere politico. La vocazione di Sciascia a indagare i lati oscuri del potere, ma al contempo il desiderio di incontrare il grande pubblico, lo induce a privilegiare la forma letteraria del giallo-poliziesco e una prosa limpidamente razionale. Il postmoderno
La categoria di postmoderno, nata in America nell’ambito dell’architettura e dell’arte figurativa, in Italia viene usata a partire dagli anni Ottanta. Più che il modello della letteratura americana conta in Italia, ad esempio in Calvino, l’influenza di autori legati alla cultura europea che in vario modo precorrono il gusto postmoderno, come Borges, Perec e il gruppo parigino dell’Oulipo fondato da Raymond Queneau. L’opera narrativa di Borges, 196
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boom economico e industrializzazione
emergere di nuovi temi
� superamento del neorealismo � ricerca di sperimentalismo riviste letterarie: «Il Verri», «Officina», «Il Menabò» neoavanguardia
Gruppo 63
Eco, Sanguineti, Manganelli e altri
� rifiuto dell’indirizzo neorealista e dei generi della tradizione � rifiuto della letteratura intimista � autonomia della letteratura da politica e storia � commistione di forme narrative e registri linguistici � contaminazione narrativa-saggistica � sussidio di altre discipline � centralità del linguaggio
QUADRO LINGUISTICO-LETTERARIO
postmodernismo coscienza di vivere la crisi delle ideologie
mancanza di un significato della condizione umana
fine della funzione conoscitiva della letteratura rinuncia a proporre nuovi modelli e nuove verità
Le ultime tendenze
A partire dagli anni Ottanta l’editoria cerca di conquistare il pubblico giovanile proponendo romanzi di autori a loro volta giovani, per i quali si parla di “nuova narrativa’. Due sono le principali linee di tendenza all’interno di essa. La linea calviniana interessa autori che si richiamano direttamente alla lezione di Calvino e che danno vita a una narrativa quasi asettica, deprivata di passioni e sentimenti e caratterizzata da uno sguardo iper-razionalistico. Ne sono testimonianza romanzi come Treno di panna (1981) di Andrea De Carlo, ambientato a Los Angeles, o di Atlante occidentale (1985) di Daniele Del Giudice, ritenuto il maggior erede di Calvino per la sua scrittura limpidamente razionale e per l’interesse nei confronti del rapporto tra scienza e letteratura, testimoniato dal romanzo citato, che è incentrato sulle conversazioni fra uno scrittore in crisi e un giovane fisico. La linea dell’“eccesso” Parallelamente alla precedente si afferma una tendenza opposta, manifestata dal romanzo Altri libertini (1980) di Pier Vittorio Tondelli: uno spregiudicato ritratto generazionale e sociale, condotto attraverso più voci narranti omologhe al mondo narrato, di giovani emarginati e sbandati. Il linguaggio impiegato è caratterizzato prevalentemente dalla riproduzione del parlato giovanile, contaminato però con voci straniere storpiate e ironiche citazioni letterarie. A Tondelli si ispira il fortunato, ma labile, esperimento La “nuova narrativa”
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“nuova narrativa”
linea calviniana
linea dell’eccesso
sguardo iper-razionale sul mondo
ribellismo giovanile (droga e sesso compresi)
prosa piana, precisa
lingua modellata sul parlato giovanile
Andrea De Carlo Daniele Del Giudice
Pier Vittorio Tondelli
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con il suo raffinato intellettualismo, la tendenza a costruire i racconti su una suggestione letteraria, presenta più di un’anticipazione postmoderna. Così Perec (con il romanzo La vita: istruzioni per l’uso, 1978) e l’Oulipo diffondono una visione della letteratura concepita come creativo esercizio intellettuale, combinazione di strutture anziché veicolo di emozioni e sentimenti personali. Caratteristiche principali del gusto postmoderno, che si protrae ben oltre gli anni Ottanta, sono: – la rinuncia a proporre messaggi ideologici forti e una visione del mondo che rispecchi quella dell’autore; – l’enigmaticità e l’ambiguità; – la commistione di forme e codici narrativi eterogenei; – la tendenza a fare “letteratura sulla letteratura”, il gusto della citazione e della riscrittura. – il recupero della storia come insieme di materiali da rivisitare e combinare in una prospettiva moderna; – la perdita dello stile individuale e la contaminazione di diversi linguaggi (spesso attinti al cinema e alla televisione); L’opera più emblematica in Italia del gusto postmoderno è il Il nome della rosa di Umberto Eco, edito nel 1980, in cui confluiscono tutti gli elementi caratteristici del postmoderno. Il romanzo è ambientato nel medioevo, all’interno di un’abbazia dove accadono strani delitti.
2. Il Novecento e oltre dei “cannibali”, giovani scrittori (lanciati dalla collana “Stile libero” di Einaudi) alla fine degli anni Novanta. La letteratura cosiddetta “cannibale” (la formula è editoriale) è caratterizzata da un’esibita volontà provocatoria, privilegia contenuti scandalosi o splatter, un linguaggio volutamente gergale. Verso un nuovo impegno Negli ultimi tempi si profila una rinascita del ruolo impegnato dello scrittore, che comporta una ri-
Bruno Munari, Campari, manifesto del 1964. Commenta in proposito lo stesso
Munari: «Alcune parole – come alcuni notissimi marchi di fabbrica – sono talmente conosciute, che se noi togliamo tutte le lettere meno quella o quelle caratterizzate e le sostituiamo con delle sbarrette nere, noi leggiamo sempre lo stesso nome e poi, in un secondo tempo, ci accorgiamo che è qualcosa di diverso...».
presa dell’interesse verso la dimensione storica e la testimo-
e una rinnovata fiducia nella letteratura di incidere sulla società. Non è un caso, ad esempio, che un romanzo-documento su un tema scottante come il potere della camorra, Gomorra (2006) del giovane scrittore Roberto Saviano, sia diventato un best seller. nianza civile e sociale
La lingua
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Tra la seconda metà degli anni Cinquanta e i primi decenni degli anni Sessanta inizia a realizzarsi l’unificazione linguistica dell’Italia: comincia a costituirsi e diffondersi un italiano medio dell’uso, anche se i dialetti mantengono la loro presenza. A monte di questo importante processo stanno vari fenomeni sociali: la lotta all’analfabetismo, l’urbanizzazione, la crescita del benessere in seguito all’industrializzazione e al boom economico, l’emigrazione interna che porta al Nord masse di cittadini dal Sud Italia. La televisione ha un ruolo primario nella diffusione dell’italiano medio e in parte contribuisce a plasmarlo. Di fronte all’evoluzione linguistica del paese si crea un vivace dibattito tra gli intellettuali, che assumono diverse posizioni: tra il ’64 e il ’65 particolarmente rilevanti per la risonanza che ebbero sono gli interventi di Pasolini e di Calvino. Pasolini giudica negativamente il processo in corso: alla progressiva marginalizzazione dei dialetti si contrappone l’affermazione di una lingua omologata e tecnologica, voluta dalla potente borghesia capitalistica del Nord del paese. Calvino, al contrario, ritiene la lingua ancora succube di una aulica tradizione retorica, soprattutto in ambiti come quello burocratico in cui regna l’“antilingua”e auspica una modernizzazione della lingua con apporti anche dei linguaggi tecnici e scientifici. A distanza di cinquant’anni l’italiano è ormai parlato dalla quasi totalità dei cittadini. L’italiano scritto ha subito negli ultimi decenni vistose trasformazioni, dovute all’influenza del parlato, ma anche al proliferare di nuove tipologie di comunicazione scritta in rapida evoluzione (dagli sms ai blog, ai social network ecc). In sintesi l’italiano scritto è sempre meno formale, accoglie toni colloquiali un tempo riservati solo al parlato e va verso una marcata semplificazione della sintassi e della punteggiatura. Queste caratteristiche tendono sempre più a riguardare anche il modo di scrivere degli autori delle ultime generazioni, che usano una lingua standard, rinunciando per lo più a uno stile personale. 198
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questione della lingua
emigrazione interna
avvento della televisione
lotta all’analfabetismo
diffusione di un italiano medio
Pasolini teme l’imporsi di una lingua omologata e tecnologica e critica la marginalizzazione dei dialetti
Calvino auspica una modernizzazione della lingua anche grazie a linguaggi tecnici e scientifici
QUADRO LINGUISTICO-LETTERARIO
Conoscenze e Competenze Conoscenze
1. Tra le seguenti affermazioni indica quali siano corrette (C) e quali errate (E). Poi correggi a parte quelle errate. C E a. Negli anni tra le due guerre le riviste non riescono più ad orientare la produzione letteraria. □ □ b. In ambito lirico il maggiore interprete dello spirito rondista è Vincenzo Cardarelli. □ □ c. La rivista «Solaria» professa l’autonomia della politica □ □ d. La rivista «Campo di Marte» venne fondata da Gatto e Pratolini. □ □ e. L’ermetismo si sviluppa a Firenze tra gli anni Trenta e la guerra. □ □ f. Punto di riferimento della poetica dell’ermetismo è il saggio di Carlo Bo Letteratura e vita. □ □ g. Il termine “ermetismo” per designare una linea poetica è stato coniato da Carlo Bo. □ □ h. Il principale modello di riferimento degli ermetici è Montale. □ □ A. Vasco Pratolini B. Giuseppe Tomasi di Lampedusa C. Italo Calvino D. Umberto Eco E. Elsa Morante F. Carlo Cassola G. Giorgio Bassani
3. Quali tra i seguenti aggettivi definiscono il linguaggio ermetico? a. □ Evocativo b. □ Polisemico c. □ Colloquiale. d. □ Solenne e. □ Immediato f. □ Prezioso g. □ Tecnico h. □ Gergale 4. Il ruolo di Vittorini nel dibattito culturale del dopoguerra è legato a. □ all’attività editoriale e giornalistica. b. □ unicamente alla sua produzione letteraria. c. □ all’insegnamento universitario. d. □ agli incarichi politici assunti come membro del Pci. 5. Qual è il romanzo manifesto del neorealismo italiano? □ Il sentiero dei nidi di ragno. □ Cronache di poveri amanti. □ La Storia. □ Metello. – Motiva la tua risposta. 6. Il Gattopardo segna la fine del neorealismo perché a. □ anticipa tematiche e scelte formali del romanzo d’avanguardia. b. □ trascura lo sfondo storico-sociale delle vicende narrate. c. □ assegna ampio rilievo ai temi psicologico-esistenziali. d. □ è narrato in prima persona. 7. Con il nome Gruppo 63 si designa a. □ il movimento fondante della neoavanguardia. b. □ gli ultimi epigoni del neorealismo. c. □ gli esponenti del postmoderno. d. □ gli esponenti della linea narrativa calviniana. © Casa Editrice G. Principato SpA
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2. Abbina a ciascuna opera il proprio autore. a. Sentiero dei nidi di ragno ________ b. La ragazza di Bube ________ c. Cronache di poveri amanti ________ d. La Storia ________ e. L’isola di Arturo ________ f. Metello ________ g. Il Gattopardo ________ h. Il giardino dei Finzi-Contini ________ i. Il nome della rosa ________
2. Il Novecento e oltre
QUADRO LINGUISTICO-LETTERARIO
8. Che cosa caratterizza la letteratura della neoavanguardia? a. □ Il marcato impegno politico. b. □ Il sovvertimento di ogni convenzione letteraria. c. □ Il linguaggio ricercato e volutamente oscuro. d. □ La funzione del romanzo come modello esplicativo del mondo. – Motiva la tua risposta. 9. Perché Sciascia può essre definito un intellettuale neo-illuminista? a. □ Per la visione ottimistica della realtà b. □ Per l’interesse verso il progresso scientifico c. □ Per l’incrollabile fiducia nella giustizia d. □ Per l’appassionata indagine critica sui meccanismi del potere 10. Per Sciascia la Sicilia rappresenta a. □ il mito dell’infanzia nostalgicamente rievocato. b. □ il mondo del mito classico. c. □ il simbolo della corruzione dell’intero Paese. d. □ l’immagine esemplare dell’arretratezza.
Competenze
11. Contestualizza il movimento dell’ermetismo illustrandone il rapporto con la realtà storica contemporanea (max 3 minuti). 12. In un intervento orale di max 5 minuti individua e illustra il messaggio ideologico che Vittorini consegna attraverso il romanzo Conversazione in Sicilia.
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13. In un elaborato di max 20 righe fai un sintetico confronto tra il romanzo Cronache di poveri amanti e il realismo ottocentesco di Manzoni e Verga, esemplificando con alcuni riferimenti alle pagine antologizzate. 14. Presenta alla classe in un intervento di max 5 minuti i pregi della letteratura neorealista e i limiti rilevati dalla critica in questa esperienza letteraria. 15. Utilizzando i brani proposti e le conoscenze generali sul’argomento, sintetizza in uno schema gli aspetti caratterizzanti del romanzo sperimentale in relazione a temi, obiettivi, scelte formali. 16. In un elaborato di max 15 righe, facendo riferimento al romanzo Il giorno della civetta, riconosci e presenta la funzione attribuita da Sciascia alla letteratura. 17. Rintraccia nelle pagine antologizzate le principali espressioni del postmoderno nella letteratura italiana e presentale in max 5 minuti. 18. Costruisci una mappa delle ultime tendenze della narrativa italiana, indicando esponenti, modelli, tematiche, scelte stilistiche.
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Attraverso l’arte Il Novecento e oltre Le tappe di un percorso
Vasilij Pablo Picasso Kandinskij Guernica Improvvisazione «L’avete fatta voi» 26
Jackson Pollock Pali blu
La rabbia in corpo
Andy Warhol Vesuvio
La quintessenza dello stereotipo
La musica dei colori
Michelangelo Pistoletto Venere degli stracci Che cosa guarda la Venere?
Frank Lloyd Wright Casa Kaufmann (Casa sulla cascata) Abitare un capolavoro
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Attraverso l’arte. Il Novecento e oltre
Tra la fine dell’Ottocento e la prima guerra mondiale, le avanguardie artistiche pongono le basi di una rivoluzione radicale che influenza profondamente il Novecento. Mentre ciascun movimento, nel primo dopoguerra, continua a sviluppare le proprie ricerche secondo modalità diverse, irrompe sulla scena il surrealismo, che fa riferimento alla psicoanalisi di Freud e alla sua scoperta dell’inconscio. Intanto, quasi come una sorta di reazione alla frenesia rivoluzionaria di inizio secolo, negli anni Venti e Trenta si afferma una diffusa tendenza al “ritorno all’ordine”, a una ritrovata compostezza stilistica e formale che si manifesta nei movimenti Nuova Oggettività, Realismo Magico, Novecento italiano, Scuola romana. Dopo il secondo conflitto mondiale, l’Informale raccoglie l’eredità dell’espressionismo, mentre la pop art fa la critica e la parodia dei falsi miti della “società dei consumi”. Nel frattempo si verifica un radicale mutamento nel modo stesso di concepire l’arte, le cui conseguenze si ripercuotono sino ai giorni nostri. Ambizione di alcune avanguardie era stata quella di estendere, per così dire, la portata e l’influenza dell’arte oltre l’ambito propriamente estetico, per trasferirla direttamente nella vita. Ciò vale specialmente per il dadaismo, movimento ispirato a un furore distruttivo e demistificatorio che approda a un’“antiarte” vera e propria. Su questa scia, nel secondo dopoguerra, s’impone diffusamente l’idea che l’artisticità non risieda nel valore storico e nella pregiata fattura di un determinato manufatto, frutto del talento e della cultura dell’artista, bensì nell’intenzione, nel pensiero e non nel prodotto dell’artista stesso: trionfa dunque il ready-made, l’oggetto “già fatto”, prelevato di peso dalla realtà e inserito in un contesto “altro”. L’arte contemporanea persegue una sempre più marcata “riduzione” (Minimalismo, Process art, Land art, Arte povera, Arte concettuale), ove il ready-made si ripropone, con l’andar del tempo, in una infinità di assemblaggi, manipolazioni e variazioni differenti. Aumenta a dismisura l’importanza del critico d’arte, che spesso diventa il vero e proprio ispiratore, l’inventore di un determinato movimento, come nel caso dell’Arte povera degli anni Sessanta; oppure, sul versante di un programmatico recupero della manualità pittorica, della Transavanguardia degli anni Ottanta.
Attraverso l’arte
Il Novecento e oltre
❶ Il puro accostamento dei colori trasmette emozioni come fa la musica.
❹ Colori complementari (verde, arancio, viola).
Attraverso l’arte. Il Novecento e oltre
❷ Il titolo Improvvisazione 26 (che fa parte di una serie di opere chiamate appunto “Improvvisazioni”) viene dalla terminologia musicale. ❸ Colori primari (rosso, giallo, blu).
❺ Segni
neri come persistenza figurativa.
La musica dei colori Vasilij Kandinskij (1866-1944) Improvvisazione 26 1912, Monaco, Städtische Galerie im Lenbachhaus
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Nato in Russia, Kandinskij studia arte a Monaco di Baviera ed è un appassionato cultore di musica e di teosofia (una dottrina filosofico-religiosa di tipo sincretistico molto in auge tra Otto e Novecento). Proprio dal convergere dei suoi interessi musicali con quelli spirituali, Kandinskij giunge all’astrattismo, un’arte che non vuole rappresentare nulla di reale, di “oggettivo”, bensì trasmettere emozioni attraverso il puro accostamento dei colori ❶, in analogia con quanto avviene nella musica, la quale, pur non descrivendo oggettivamente nulla, non risulta per questo meno comunicativa, intensa e suggestiva. Kandinskij, inoltre, è persuaso che l’emozione suscitata dal libero gioco di colori e forme astratte,
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aiuti lo spettatore a riscoprire la ricchezza dei valori dello spirito in un’epoca di materialismo trionfante (concetti teorizzati dall’artista in due importanti saggi, Lo spirituale nell’arte, 1912, e Punto, linea, superficie, 1923). Negli anni in cui dipinge Improvvisazione 26 ❷, tutto giocato sui colori primari (rosso, giallo, blu) ❸ e complementari (verde, arancio, viola) ❹ più alcuni spessi segni neri che vibrano ancora di qualche remota eco figurativa ❺, l’artista suddivide la sua produzione in Improvvisazioni, Impressioni e Composizioni, ove la terminologia squisitamente musicale ribadisce ulteriormente l’analogia tra musica e pittura.
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«L’avete fatta voi» Pablo Picasso (1881-1973) Guernica 1937, Madrid, Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía
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❶ Gigantesca tela di 3 metri e mezzo di altezza per quasi 8 metri di lunghezza.
Invitato all’Esposizione internazionale di Parigi del 1937, Picasso era alla ricerca del soggetto adatto, quando il 26 aprile 1937 giunse la notizia che bombardieri tedeschi, in appoggio alle truppe del generale Franco contro il legittimo governo repubblicano di Spagna, avevano raso al suolo la cittadina basca di Guernica. Era un luogo senza importanza strategica, dunque l’unico obiettivo era fare una strage e terrorizzare la popolazione. Fu allora che Picasso concepì il capolavoro che dalla cittadina basca prende il nome: Guernica. In tempo per l’inaugurazione dell’Expo, la gigantesca tela (3 metri e mezzo di altezza per quasi 8 metri di lunghezza) ❶ era compiuta. Picasso, che ai primi del secolo era stato l’inventore del cubismo, negli anni Trenta godeva già di fama mondiale: perciò questa sua denuncia degli orrori della guerra e della dittatura assume un peso decisivo e drammaticamente profetico. L’eccidio di Guernica non è soltanto un episodio della guerra civile spagnola, bensì il preludio di una tragedia apocalittica, la seconda guerra mondiale, che scoppierà appena due anni dopo. Volutamente “povero” e disadorno, sostanzialmente monocromatico e bidimensionale ❷, giocato su forme brutalmente deformate ❸, Guernica si potrebbe definire il quadro della “deprivazione” (deprivazione del colore, del volume, della forma) ❹ poiché rappresenta la morte non in quanto termine naturale della vita, ma come de-privazione violenta, assurda, innaturale
❹ Quadro“de-privato”: del colore, del volume, della forma.
della stessa. Sembra che durante l’occupazione nazista di Parigi, ad alcuni critici d’arte tedeschi che gli parlavano di Guernica, Picasso rispondesse amaramente: «Non l’ho fatta io, l’avete fatta voi».
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❸ Forme brutalmente deformate, frammentate, bloccate in grida disperate.
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Attraverso l’arte. Il Novecento e oltre
❷ Opera monocromatica (grigio, bianco e seppia accostati con effetti di contrasto) e bidimensionale (spazio privo di profondità)
La rabbia in corpo Jackson Pollock (1912-1956), Pali blu, 1953, Collezione privata
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❹ Uso di colori anticonvenzionali: smalti e vernici sintetiche industriali.
❷ Sulla tela di grandi dimensioni, distesa a terra, l’artista fa sgocciolare i colori (dripping).
Attraverso l’arte. Il Novecento e oltre
Tra gli anni Quaranta e i Cinquanta si afferma, negli Stati Uniti e in Europa, la corrente dell’Informale, una tendenza a infrangere ogni sistema figurativo, astratto o geometrico, risolvendo l’urgenza espressiva in pura deflagrazione di segni, gesti e materia cromatica ❶. Intorno al 1946, l’americano Jackson Pollock ne fornisce una personalissima versione con l’invenzione dell’action painting, la “pittura d’azione” che non vuole rappresentare realtà oggettive né condizioni soggettive, bensì scaricare la tensione, l’ira, la rabbia che si è accumulata nell’artista. Pollock anticipa quella che si chiamerà Beat generation (pensiamo a scrittori come Jack Kerouac o Allen Ginsberg), e la “gioventù bruciata” resa celebre dal cinema, e che più tardi diventerà la contestazione, la rivolta giovanile degli anni Sessanta. Ma nella pittura di Pollock non ci sono ideologie né filosofie, chiavi di lettura né messaggi da decifrare: la pittura, per lui, è pura esperienza esistenziale, del tutto irriducibile a qualsiasi “ordine”. Il termine “pittura d’azione” va inteso in senso letterale: Pollock usa tele di grandi dimensioni, che distende a terra per potervi girare intorno e persino camminarci sopra, facendo sgocciolare i colori sul supporto (è la tecnica chiamata dripping, cioè “sgocciolatura”) ❷. Il movimento del corpo, delle braccia, delle gambe, è come una danza che imprime un ritmo alla sgocciolatura, agli schizzi del colore sulla tela, asseconda il raptus che spinge l’artista a usare tele e colori in modo contrario a ogni regola ❸, come del tutto anticonvenzionali sono i colori stessi, smalti e vernici sintetiche prodotti dall’industria ❹.
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❶ Pittura come deflagrazione di segni, gesti e materia cromatica. ❸ L’artista si muove come in una danza che imprime un ritmo alla sgocciolatura, agli schizzi del colore sulla tela.
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Attraverso l’arte
Il Novecento e oltre
❹ L’immagine risulta deprivata del proprio valore in una società consumistica. ❶ Opera realizzata con la tecnica seriale della serigrafia.
colore e di marcati segni grafici, caratteristico del linguaggio iconico della comunicazione di massa.
La quintessenza dello stereotipo Andy Warhol (1928-1987) Vesuvio 1985, Pittsburgh, The Andy Warhol Museum
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Figlio di immigrati polacchi, Andrew Warhola anglicizza il proprio nome in Andy Warhol e inizia a lavorare a New York come grafico pubblicitario. Tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta fa parte del gruppo della pop art newyorkese (cioè Popular art, arte delle immagini di massa), che s’impone immediatamente all’attenzione mondiale. Andy Warhol, anche grazie a un’accorta gestione della propria immagine pubblica, diviene egli stesso una pop star, riassumendo in sé le più esemplari caratteristiche del movimento: impersonalità, freddezza, enfatizzazione dell’opera come puro e semplice “oggetto”, rapporto imprescindibile con la realtà urbana. Warhol preleva le sue immagini, che quasi sempre realizza con la tecnica seriale della serigrafia ❶, dal mondo della comunicazione di massa, della pubblicità, dal cine-
ma, dalla televisione ❷, riuscendo a trasformarle, per così dire, nella quintessenza dello stereotipo. Così Vesuvio, parte di una serie realizzata nel 1985 su richiesta di un famoso mercante d’arte napoletano, è l’omaggio a un’icona del paesaggio partenopeo, soggetto “abusato” dalla pittura fra Sette e Ottocento, sino all’inflazione di stampe e fotografie popolari fra Otto e Novecento ❸. Un’icona, dunque, logora, sfatta, consumata, un’immagine vista tante volte che ormai la si riconosce senza osservarla, fagocitata nel grande serbatoio dell’inconscio, ossia, senza essere passata attraverso la coscienza. Un’immagine, infine, priva di valore, poiché non possono esistere valori stabili in una società fondata sulla patologica voracità del consumismo ❹.
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Attraverso l’arte. Il Novecento e oltre
❸ L’icona del paesaggio partenopeo, soggetto ricorrente nella pittura fra Sette e Ottocento, così come nelle stampe e fotografie popolari fra Otto e Novecento.
❷ Uso del
❹ La percezione dell’insieme è condizionata dal contesto ambientale in relazione allo spazio espositivo, il Castello di Rivoli, con vasti e suggestivi saloni.
❸ La fissità e il candore della figura contrastano con l’instabile e caotico ammasso multicolore. Attraverso l’arte. Il Novecento e oltre
Che cosa guarda la Venere? Michelangelo Pistoletto (1933) Venere degli stracci 1967, Collezione privata (qui fotografata in esposizione al Castello di Rivoli, Museo d’Arte Contemporanea)
❶È un’«istallazione» realizzata con i materiali più disparati prelevati dalla realtà (ready-made). ON LINE IMMAGINE INTERATTIVA
La Venere degli stracci, capolavoro dell’Arte povera, è un’«installazione», cioè un’opera che non è più un quadro o una scultura nel senso tradizionale del termine, bensì un lavoro realizzato con i materiali più disparati prelevati dalla realtà (readymade) ❶, nel quale l’intervento dell’artista si limita per lo più alla progettazione dell’opera stessa, che in pratica può essere realizzata da chiunque. Essenziale, per la riuscita dell’installazione, è la sua collocazione in relazione allo spazio espositivo, in questo caso il Castello di Rivoli, già residenza sabauda nei pressi di Torino e oggi consacrato a Museo d’Arte Contemporanea, che con i suoi vasti saloni offre location particolarmente suggestive.
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❷ La statua di una Venere classica in cemento dà l’impressione di sbirciare dentro un enorme mucchio di stracci.
La Venere degli stracci è composta dalla riproduzione in cemento di una Venere classica disposta in modo da dare l’impressione di sbirciare dentro un enorme mucchio di stracci ❷. La fissità e il candore della figura contrastano con l’instabile e caotico ammasso multicolore ❸; la percezione dell’insieme, come si è detto, è poi fortemente condizionata dal contesto ambientale ❹. Tocca all’osservatore fornire la “lettura”, l’interpretazione dell’opera: essa intende porre le forme pure e composte dell’arte classica in ironico, stridente contrasto con la caotica sciatteria del mondo moderno, oppure vuole dimostrare che una Venere, riprodotta in serie e brutalmente privata della sua “aura” originaria, diventa un mero oggetto di consumo al pari degli stracci?
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Attraverso l’arte
Il Novecento e oltre
Abitare un capolavoro Frank Lloyd Wright (1867-1959) Casa Kaufmann (Casa sulla cascata) 1936-1939, Mill Run, Allegheny Mountains, Pennsylvania
ON LINE IMMAGINE INTERATTIVA
Lo statunitense Frank Lloyd Wright è uno dei grandi maestri dell’architettura del Novecento, insieme al francese Le Corbusier, ai tedeschi Gropius e van der Rohe, al finlandese Aalto. Sostenitore di un’architettura organica, integrata cioè con l’ambiente naturale, crea il suo capolavoro, definito dalla critica «il più emozionante oggetto plastico creato dall’architettura moderna» (Argan 1970), con la cosiddetta Fallingwater, o Casa sulla cascata, o Casa Kaufmann dal nome del suo committente, il ricchissimo uomo d’affari Edgar J. Kaufmann. Il rapporto con il committente è fondamentale in casi come questo, ove soltanto una ingente disponibilità economica consente di costruire in uno spazio quasi inaccessibile, nel folto di una foresta e sopra la cascata di un torrente. Wright
❶ Il corpo verticale di pietre a vista, che replicano l’andamento orizzontale delle pietre del torrente, costituisce il nucleo centrale.
❷ Grandi terrazzi aggettanti di cemento sono protesi nel vuoto.
❺ Grandi vetrate aprono gli spazi interni alla luce naturale del bosco.
❸ Le acque del torrente penetrano quasi fin dentro la casa.
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Attraverso l’arte. Il Novecento e oltre
❹ I rami degli alberi invadono gli spazi vuoti tra i piani geometrici delle terrazze.
non cerca affatto di dissimulare l’edificio nella natura, ma ve lo inserisce per così dire “a forza”, sfruttando tutte le risorse della tecnologia, come un autonomo organismo plastico. Incardina su un nucleo centrale (il corpo verticale di pietre a vista che replicano l’andamento orizzontale delle pietre piatte del torrente ❶) grandi terrazzi aggettanti di cemento, che si protendono nel vuoto come a sfidare la legge di gravità ❷. Le acque penetrano quasi fin dentro la casa ❸, i rami degli alberi invadono gli spazi vuoti tra i piani geometrici delle terrazze ❹, grandi pareti vetrate aprono gli spazi interni alla luce naturale del bosco ❺. La famiglia Kaufmann gode di tutte queste bellezze fino ai primi anni Sessanta, quando la villa viene donata a un Ente che la trasforma in casa-museo.
3 Da Il dolore alle ultime raccolte La poesia del “dolore” ▪
3 Giuseppe Ungaretti • CLASSICI
Dopo l’esperienza di una poesia astratta e metafisica, nella raccolta successiva al Sentimento, Ungaretti avverte un rinnovato bisogno di confessione e di testimonianza in rapporto all’urgenza di eventi drammatici, personali e storici, ai quali allude il titolo stesso della raccolta: Il dolore. Pubblicato nel 1947, Il dolore è composto di solo 16 testi, scritti tra il 1937 e il 1946, che testimoniano innanzitutto dolorosi eventi vissuti dal poeta: la morte del fratello (1937) e soprattutto la tragica esperienza della morte del figlio Antonietto, avvenuta in Brasile nel 1939. Ma la raccolta trae spunto anche dalla tragedia collettiva della guerra e dai drammatici eventi dell’occupazione tedesca di Roma e delle deportazioni degli ebrei: il “dolore” è questa volta quello che accomuna il poeta agli altri uomini, di cui si sente ancora una volta “fratello” e di cui si fa interprete in liriche di commossa indignazione. Di per sé significativi sono già i titoli che il poeta dà alle sezioni della raccolta: Tutto ho perduto (1937), ricordo dell’infanzia e del fratello morto; Giorno per giorno (194046), una sorta di diario in cui riporta i sentimenti strazianti provati per la morte del suo bambino; Il tempo è muto (1940-45), ricordo di Antonietto nel paesaggio del Brasile; Incontro a un pino (1943), ripresa graduale di contatto con il paesaggio romano; Roma occupata (1943-46), rappresentazione commossa della tragicità della guerra e del dolore umano; I ricordi (1942-46), in cui la pietà e la speranza paiono risorgere dallo sfacelo. Le ultime raccolte ▪ Nelle ultime raccolte di versi Ungaretti continua il percorso di ricerca sulla parola poetica e di riflessione sull’esperienza umana, che sarà riunito sotto il titolo complessivo di Vita d’un uomo nell’edizione di tutte le sue poesie (1969). Si tratta in molti casi di frammenti poetici estremamente essenziali, in cui la parola è quasi prosciugata e si percepisce il rapporto del poeta con le nuove tendenze sperimentali sia in ambito musicale (Luigi Nono nel 1958 ha musicato i Cori di Didone di Ungaretti) sia figurativo (in particolare l’arte informale di Alberto Burri degli anni Sessanta e delle sue Combustioni). Un grido e paesaggi ▪ Raccoglie versi scritti tra il 1939 e il 1952, tra cui Monologhetto, scritto come una ballata nel 1951 (su commissione della Rai), in cui rievoca avvenimenti della sua vita legati al mese di febbraio, e Gridasti: Soffoco, in cui Ungaretti rievoca la morte del figlio. La terra promessa ▪ (1935-53) È un poema incompiuto, a più voci e con parti corali, che avrebbe dovuto essere musicato come un melodramma. L’idea del poeta era di scrivere un’opera incentrata sulla figura di Enea e il suo arrivo in Italia (appunto «la terra promessa»), in cui parti significative avrebbero riguardato la morte del nocchiero Palinuro e la tragedia di Didone. Il taccuino del vecchio ▪ (1960) Contiene tra l’altro la poesia Per sempre, composta per la morte della moglie Jeanne, e 27 composizioni che vanno sotto il titolo di Ultimi cori per la Terra Promessa, nati da avvenimenti contingenti come un breve ritorno in Egitto, un viaggio in jet in Giappone o il lancio di satelliti artificiali. In molti casi queste poesie riflettono la preoccupazione del poeta di fronte agli sviluppi del progresso scientifico e tecnologico del suo secolo. Le ultime piccole e raffinate raccolte sono costituite dai Proverbi (1966-69), in cui si ribadisce il valore consolatorio della poesia, Dialogo (196668), nove poesie d’amore di una rinnovata stagione sentimentale, e Nuove (1968-70), un ultimo appello alla vita e all’amore.
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Testo
12 Non gridate più
Giuseppe Ungaretti_Il dolore, I ricordi
G. Ungaretti, Vita d’un uomo. Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1969
Nella lirica, scritta durante il secondo conflitto mondiale, il poeta rivolge un monito severo ai sopravvissuti che non riescono a deporre l’odio causato dalla guerra civile.
Cessate d’uccidere i morti,
5
Hanno l’impercettibile sussurro,
La metrica non gridate più, non gridate non fanno più rumore Due strofe: la prima di novenari, se li volete ancora udire, del crescere dell’erba, la seconda composta se sperate di non perire. lieta dove non passa l’uomo1. da un endecasillabo, due settenari e un novenario; una rima tra i vv. 3 e 4 1 lieta… l’uomo: l’erba può crescere soltanto dove non arriva l’uomo con la sua violenza.
Guida alla lettura
Il dolore nella storia ▪ Composta, in una prima stesura molto più lunga, dopo il bombardamento degli alleati
Attività sul testo
Abilità: comprendere e analizzare
1. Il tema Il tema fondamentale della poesia è a. □ il dolore per le vittime della guerra. b. □ un appello all’umanità perché ponga fine all’odio e alla guerra. c. □ un appello contro l’oblio delle vittime della guerra. d. □ il ricordo delle stragi della guerra a Roma. 2. Gli imperativi A chi sono rivolti gli imperativi della prima strofa? a. □ Alle vittime della guerra. c. □ Ai nemici di guerra. b. □ Ai vivi che ancora odiano. d. □ Ai soldati che ancora combattono. 3. Il primo verso Quale figura retorica è presente al v. 1? 4. «non gridate» A che cosa si contrappongono le grida del v. 2? 5. I richiami fonici Sottolinea nel testo i richiami fonici e spiega il loro valore espressivo rispetto alla tematica. 6. Il verso 4 Qual è il significato del v. 4 «se sperate di non perire»? a. □ Se sperate di uscire vittoriosi dalla guerra. b. □ Se sperate di non morire in guerra. c. □ Se non volete che l’umanità sia annientata dall’odio. d. □ Se sperate di non essere dimenticati. 7. L’erba «lieta» Spiega con parole tue il significato dell’aggettivo lieta (v. 8) attribuito all’erba.
Esercitare le competenze
8. Dare una spiegazione dell’apostrofe iniziale in relazione al contesto storico Facendo riferimento alle tue conoscenze storiche, spiega, in un testo di 2 colonne di foglio protocollo, il significato che assume l’apostrofe iniziale della lirica nel contesto storico dell’immediato dopoguerra. 9. Illustrare il senso di una testimonianza Spiega oralmente quale testimonianza può venire dai morti secondo Ungaretti e perché è difficile sentirla. © Casa Editrice G. Principato SpA
Testi ON LINE
13 Grido d’amore
Giuseppe Ungaretti_La terra promessa, Cori descrittivi di stati d’animo di Didone, III
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2 Le stagioni della poesia di Ungaretti
su Roma del 19 luglio 1943 che colpì il cimitero della chiesa di San Lorenzo, la lirica testimonia la commossa partecipazione del poeta al dramma della guerra vissuto dal proprio paese, ma dopo un’accanita rielaborazione si trasforma in un canto universale. Alle grida di chi ancora continua a odiare, Ungaretti contrappone «l’impercettibile sussurro» dei morti. Nella prima strofa si rivolge ai vivi, incapaci di superare la violenza scatenata dalla guerra. Il primo verso è di grande ON LINE DOCUMENTO CRITICO forza proprio grazie al suo significato paradossale: è evidente che i morti non possono più essere Pier Vincenzo uccisi, ma se ne può cancellare il ricordo e, peggio ancora, può venir meno il rispetto umano di Mengaldo, fronte alla morte. Nella seconda strofa sono i morti a parlare, anche se il loro messaggio (presuLa disgregazione del verso mibilmente l’invito alla pace) è difficile da udire (impercettibile). L’immagine dell’erba che cresce nell’Allegria (non però dove l’uomo, con la sua violenza, la calpesta) può alludere alle fosse in cui sono sepolte le vittime della guerra, ma anche a una possibilità di rinascita. Lo stile ▪ La sintassi è lineare, priva di inversioni, e il lessico semplice e chiaro: di fronte al dolore della guerra ritorna nel poeta l’esigenza di farsi interprete del sentimento comune, di comunicare in modo chiaro il messaggio che ha da rivolgere al lettore. L’esortazione accorata di Ungaretti agli uomini del suo tempo è enfatizzata nella prima strofa dalle rime interne (cessate : gridate : sperate) e a fine verso (udire : perire) e dalle iterazioni (Non gridate… non gridate, Se… Se).
Verso il nuovo Esame
Tipologia A. Analisi del testo
Testo
14 Girovago G. Ungaretti, Vita d’un uomo. Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1969
5
10
Giuseppe Ungaretti_L’allegria In questa poesia dell’Allegria Ungaretti riprende il tema autobiografico dell’esilio, esistenziale e geografico, e del nomadismo, che sarà una costante di tutta la sua produzione.
GIROVAGO Campo di Mailly maggio 1918 In nessuna 15 parte di terra mi posso accasare1 A ogni nuovo clima che incontro mi trovo languente2 che una volta già gli ero stato
1 In nessuna… accasare: la prima stesura di
questa poesia avviene in Francia, dove Ungaretti è stato trasferito con il suo reggimento. 2 languente: indebolito, stremato 3 che… assuefatto: dato che, ogni volta, ad essi (ai diversi climi) mi ero adattato (ero stato assuefatto).
Comprensione 1.
2. 3. 4. 5. 6. Interpretazione 7. Analisi
8.
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assuefatto3 E me ne stacco sempre straniero Nascendo tornato da epoche troppo vissute4 Godere un solo minuto di vita iniziale
25
Cerco un paese innocente5
Nascendo… vissute: il peso del passato (che sia di un paese con così tanta storia come l’Egitto o delle origini della sua famiglia o di quello appreso attraverso la formazione culturale) gli impedisce di rinascere alla vita senza condizionamenti. Tornato: di ritorno. 5 Cerco un paese innocente: molto impor-
4
tante per il poeta è il tema dell’innocenza, «della quale l’uomo invano cerca traccia in sé o negli altri sulla terra» (lo stesso Ungaretti in Note all’Allegria). È l’aspirazione a un’umanità non ancora toccata dal male e che si trova nella condizione di “non nuocere” agli altri uomini.
Riassumi il significato della poesia strofa per strofa. Individua le parole chiave della poesia, spiegando la tua scelta. Fai un’analisi della poesia dal punto di vista metrico e sintattico. Tra la quarta e la quinta strofa c’è un’antitesi: individuala e spiegala. Nella poesia è presente un’unica rima: individuala e spiega in che relazione sono i due termini. Puoi trovare nel testo delle corrispondenze dal punto di vista fonico? In un’intervista televisiva del 1963 Ungaretti disse: «Sono italiano, ma non interamente. Sono un forestiero in questo paese. Sono d’Egitto. Sono di Francia. Sono d’altrove. Sono di qui, certamente; ma questo fatto d’essere nato lontano, d’aver avuto una preparazione alla vita in un mondo diverso, con un cielo diverso, con il deserto attorno, è una cosa grave; è una cosa che mi ha fatto sentire la mia vita come scissa in più parti». Attraverso una Testi ON LINE ricostruzione della biografia del poeta, spiega che 15 Verso il nuovo Esame cosa significhi per lui il tema dell’esilio. Tipologia A. Analisi del testo Mettendo a confronto questa poesia con altre La madre Giuseppe Ungaretti_ liriche di Ungaretti (ad esempio I fiumi) illustra il Sentimento del tempo, Leggende significato che ha per lui la ricerca dell’innocenza. 238
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3. Giuseppe Ungaretti
CLASSICI
Sintesi con AUDIOLETTURA
mappe PER STUDIARE
La formazione e l’idea di poesia
autobiografia ricerca nel proprio animo di una verità valida per tutti mezzo per rivelare la verità e per esprimere il dolore e la disarmonia
poetica della parola la parola è strumento di conoscenza
• culto della parola • rielaborazione continua del testo (varianti)
Le opere
L’allegria Pubblicata nel 1933, è il frutto della lunga rielaborazione di due raccolte poetiche precedenti: Il porto sepolto (1916) e Allegria di naufragi (1919). È il libro più famoso di Ungaretti, in cui si riflette l’esperienza tragica della prima guerra mondiale vissuta in prima persona sul fronte del Carso e su quello francese. Dal punto di vista stilistico è l’opera più sperimentale: i versi sono brevi, essenziali (a volte di una parola sola), privi di punteggiatura e il poeta fa ampio uso dell’analogia. Sentimento del tempo Sempre nel 1933 esce questa nuova raccolta, in cui Ungaretti recupera la metrica e il linguaggio poetico della tradizione, pur mantenendo il culto della parola evocativa e il gusto per l’analogia. Caratterizzato dal venir meno di un soggetto lirico che dice “io”, ha come temi centrali il trascorrere del tempo, che assume anche una connotazione religiosa, e la memoria. La raccolta, per la sua preziosità e allusività, diventerà un modello per i poeti ermetici. © Casa Editrice G. Principato SpA
L’allegria rielaborazione del Porto sepolto (1916) e Allegria di naufragi
• la vita militare in trincea • l’esperienza bellica e umana • frasi brevi e semplici • eliminazione della punteggiatura
• parola nuda, scarna, essenziale: i “versicoli” • uso dell’analogia versi liberi
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3 Giuseppe Ungaretti • CLASSICI
Giuseppe Ungaretti (1888-1970) nasce e vive la sua giovinezza lontano dall’Italia. La sua formazione, influenzata dalla cultura francese e dagli incontri con altri artisti e intellettuali in un clima aperto e cosmopolita, contraddistingue in modo originale e innovativo la sua prima raccolta poetica, in cui scardina le regole della lirica tradizionale, raggiungendo al tempo stesso un’efficacia comunicativa estranea alle esperienze delle avanguardie. Per Ungaretti, poeta è colui che scende a scavare nelle profondità dell’animo umano, alla ricerca di una verità da riportare poi agli altri uomini attraverso i suoi versi. Costante di tutta la sua opera è la poetica della parola: la parola è infatti strumento fondamentale della conoscenza e deve essere meditata a lungo prima di essere pronunciata, in modo da darle il giusto valore. Anche per questo egli continua per tutta la vita a rielaborare i suoi testi poetici per renderli più efficaci ed essenziali. Il dolore è vissuto dal poeta come un’esperienza terribile e purtroppo inevitabile, grazie a cui però è possibile entrare in contatto con il nucleo originario e assoluto dell’uomo. Tutta la sua opera, raccolta per suo volere in un volume dal titolo Vita d’un uomo, ha una forte componente autobiografica, che non rimane confinata alla sua esperienza personale ma assume un significato più largo di riflessione esistenziale valida per tutti gli uomini.
3. Giuseppe Ungaretti Il dolore, Un grido e paesaggi
Queste due raccolte, pubblicate rispettivamente nel 1947 e nel 1952, testimoniano eventi dolorosi vissuti dal poeta sul piano sia personale sia pubblico: in particolare la morte del figlio Antonietto e la tragedia della seconda guerra mondiale. Il tono rimane retoricamente elevato, ma la scrittura è più diretta e comprensibile. La terra promessa Si tratta di frammenti di un poema allegorico incompiuto, a cui Ungaretti lavora tra il 1935 e il 1953, che avrebbe dovuto essere musicato; è incentrato sulla figura di Enea e sulla sua ricerca di una «terra promessa». Le ultime raccolte Nelle ultime raccolte poetiche – Il taccuino del vecchio del 1960, a cui seguono le piccole raccolte di Dialogo (1968), Proverbi (1969), Nuove (1970) – si accentuano i temi della nostalgia e della perdita della giovinezza, ma sono anche espresse le preoccupazioni del poeta di fronte alle trasformazioni della società.
Sentimento del tempo
poesie scritte a partire dal 1919
riflessione su temi esistenziali: il tempo e la memoria parola evocativa e analogia recupero della metrica tradizionale
3 Giuseppe Ungaretti • CLASSICI
Conoscenze e Competenze Conoscenze
1. Completa le seguenti frasi sulla vita e sulla poetica di Ungaretti. a. Ungaretti nasce a _____________________________________________________________ b. Nel 1912 ___________________________________________________________________ c. Durante la prima guerra mondiale ________________________________________________ d. Nel 1919 esce a Firenze la nuova raccolta poetica _____________________________________ e. Il 1928 segna una svolta nel suo percorso interiore ____________________________________ f. A partire dal 1936 Ungaretti si trasferisce __________________________________________ g. L’ultimo decennio di vita _______________________________________________________ h. Per Ungaretti l’analogia ________________________________________________________ i. Ungaretti attribuisce alla poesia __________________________________________________ l. Per Ungaretti la parola _________________________________________________________ 2. Accanto a ogni opera di Ungaretti scrivi la data corrispondente. a. Il taccuino del vecchio _______ b. Allegria di naufragi _______ c. Sentimento del tempo _______ d. Il porto sepolto _______ e. Il dolore _______ 3. Indica con una crocetta la risposta corretta tra quelle proposte. A che cosa fa riferimento il titolo precedente della raccolta Allegria di naufragi? a. □ Alla vitalità con cui l’uomo riesce a superare le difficoltà della vita. b. □ Alla voglia di vivere di chi è sopravvissuto alla guerra. c. □ All’attaccamento alla vita al di là di ogni tragedia. d. □ Al sollievo di chi è sopravvissuto a un naufragio. 4. L’allegria, nell’edizione del 1931: quale delle seguenti sezioni non appartiene all’ordine definitivo dato dal poeta? a. □ Il porto sepolto. c. □ Girovago. b. □ Naufragi. d. □ Sentimento del tempo. 240
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CLASSICI 5. Che cosa rappresenta il porto sepolto per Ungaretti? a. Un antichissimo porto sommerso di fronte ad Alessandria d’Egitto. b. Il titolo della sua seconda raccolta di poesie. c. Il segreto delle cose, nascosto nel profondo. d. Il dolore struggente e “segreto” per la perdita del figlio. 6. Quali tra i seguenti temi della poesia ungarettiana sono centrali nella raccolta L’allegria? a. □ Il senso della precarietà dell’esistenza. b. □ Il dramma di Roma occupata durante la seconda guerra mondiale. c. □ Il rinnovamento sentimentale grazie all’amore. d. □ La ricerca di identità e la nostalgia dell’innocenza perduta. e. □ La tragica esperienza della morte del figlio. f. □ Il recupero del mito e della tradizione letteraria. g. □ L’esperienza della guerra di trincea. 7. Completa la tabella associando le innovazioni formali della prima stagione poetica ungarettiana ai modelli letterari che le hanno influenzate. innovazioni
modelli
parola evocativa
simbolismo
abolizione punteggiatura simbolismo, futurismo
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3 Giuseppe Ungaretti • CLASSICI
Competenze
8. Perché è importante il titolo delle poesie dell’Allegria? a. □ Perché orienta nella lettura. b. □ Perché costituisce parte integrante del testo. c. □ Perché è scritto dall’autore stesso. d. □ Perché rappresenta la più radicale innovazione formale. 9. Tra i seguenti elementi formali indica quelli che caratterizzano la raccolta Il porto sepolto. a. □ Testi brevi. f. □ Scardinamento sintattico. b. □ Recupero della tradizione metrica. g. □ Analogie ardite. c. □ Struttura ipotattica. h. □ Lessico aulico. d. □ Immagini mitologiche. i. □ Assenza delle figure retoriche. e. □ Linguaggio scarno. 10. Quale delle raccolte di Ungaretti è stata presa come punto di riferimento dall’ermetismo? a. □ L’allegria. c. □ Sentimento del tempo. b. □ Vita di un uomo. d. □ Il dolore. 11. Indica quali dei seguenti aspetti della poetica ungarettiana rivelano l’influenza del simbolismo. a. □ Culto della parola rivelatrice di verità. b. □ Poesia come illuminazione del mistero del reale. c. □ Valore etico della poesia e del ruolo del poeta. d. □ Centralità dell’io lirico. e. □ Valore testimoniale dell’esperienza personale. f. □ Ricorso all’analogia come strumento privilegiato della poesia. g. □ Concezione elitaria della poesia. h. □ Superamento delle convenzioni metriche. 12. Prepara per la classe la presentazione, di circa 10 minuti, di una lirica a tua scelta tra quelle antologizzate. Dovrai illustrare la tematica, l’occasione in cui fu composta, i rapporti con la vicenda esistenziale del poeta, le principali caratteristiche stilistiche. 13. Un anno prima della morte del poeta la raccolta completa dei suoi versi fu pubblicata con il titolo di Vita d’un uomo. Spiega in un breve testo (max 20 righe) come questo titolo rappresenti la peculiare natura dell’opera poetica di Ungaretti. 14. Illustra in un intervento orale di max 5 minuti qual è stato il rapporto di Ungaretti con la religione nel corso della sua vita. Argomenta, facendo riferimento alle liriche lette. 15. Stendi una relazione, corredata da opportuni riferimenti ai testi, sulle differenze tematiche e formali tra la prima e l’ultima produzione poetica di Ungaretti.
CLASSICI 4 Umberto Saba Leggere il Canzoniere
Umberto Saba ha una collocazione del tutto particolare nella poesia italiana della prima metà del Novecento: estraneo alle sperimentazioni dell’avanguardia, ma anche al simbolismo, si riallaccia alla grande tradizione poetica italiana, da Dante e Petrarca a Leopardi. Utilizza infatti nel suo Canzoniere la metrica classica, sceglie uno stile quasi prosastico, un linguaggio che oscilla tra la lingua comune e i termini della lingua letteraria più usuali, rimanendo fedele nel tempo a un ideale di poesia “onesta”, che dia voce ai sentimenti, agli affetti familiari, che esprima i valori, senza compiacimenti letterari. Tuttavia la poesia di Saba è solo apparentemente “semplice”, perché il poeta vi immette contenuti assolutamente moderni. Il Canzoniere è una sorta di autoanalisi, uno scavo nella profondità dell’io, condotta da Saba con il contributo della psicoanalisi, per cogliere le ragioni della sua sofferenza esistenziale. Sofferenza che il poeta cerca di sconfiggere immergendosi nella vita di tutti e grazie all’amore per la vita che, nonostante tutto, continua a provare.
cronologia INTERATTIVA 1883 Umberto Poli nasce a Trieste; è affidato alla balia con cui vive fino al 1887.
1893-1899 Frequenta prima il ginnasio e poi l’Accademia di commercio; diventa commesso e si dedica a «sterminate letture»
1903 Si trasferisce a Pisa; iniziano gli attacchi d’ansia che lo tormenteranno per tutta la vita. Tornato a Trieste, è ricoverato in ospedale in Slovenia.
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1905 1910 Incontra per la Nasce la figlia, prima volta il Linuccia. padre e conosce Carolina Wölfler (Lina) che diventerà sua moglie (1909).
1911 1912 1919 1921 Pubblica sotto Esce nelle edizio- Il poeta torna a Pubblica a sue lo pseudonimo ni della «Voce» il Trieste; grazie a spese la prima di Saba la prima secondo libro di un’eredità, acedizione del raccolta, Poesie; poesie (Coi miei quista una libre- Canzoniere. invia il saggio occhi, poi Trieste ria antiquaria. Quel che resta e una donna). da fare ai poeti 1915 L’Italia alla rivista «La entra in guerra; Voce» che lo Saba, interven1922 Marcia respinge. tista, si arruola; 1914 Scoppia 1918 Fine del- su Roma; Musè assegnato la prima guerra la prima guerra solini diventa alle retrovie. mondiale. mondiale. primo ministro.
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L’uomo Saba
visto dallo scrittore Ottavio Cecchi
Un uomo scisso Ottavio Cecchi (1924-2005) aveva conosciuto Saba durante la seconda guerra mondiale a Firenze dove il poeta si nascondeva a causa delle persecuzioni razziali. Il ritratto mette in rilievo gli aspetti più rilevanti della sua personalità umana. Io facevo molta fatica, allora, a capire l’uomo Saba; né ho capito la sua poesia per molto tempo. L’ho capita a poco a poco. Prima di me, prima di tutti, Saba aveva scoperto in sé un cuore scisso: l’insanabile contraddizione, l’impossibilità delle sintesi felici. [...] Era scostante, lontano, rinchiuso in un mondo suo; era rinchiuso nella sua soffe-
strumenti PER STUDIARE
renza: cupa, senza fondo e inconsolabile. [...] Io ora so che Saba soffriva perché era un uomo del nostro tempo, scisso, e la scissura lo dissociava da sé e dagli altri. Avrebbe voluto vivere, ma era chiamato dalla morte; avrebbe voluto morire, ma era chiamato dalla vita.
LE UNITÀ ● 1. Ritratto d’autore ● 2. Il Canzoniere
O. Cecchi, L’aspro vino di Saba, Editori Riuniti, Roma 1988
CONTENUTI DIGITALI Esercizi interattivi Ascolti Video
visto dal poeta Vittorio Sereni
Un ritratto in poesia
Il poeta Vittorio Sereni (1913-1983) dedica a Saba un ritratto che ne evoca l’aspetto, la personalità, la passione civile nell’Italia del dopoguerra. Berretto pipa bastone, gli spenti oggetti di un ricordo. Ma io li vidi animati indosso a uno ramingo1 in un’Italia di macerie e di pol vere. Sempre di sé parlava ma come lui nessuno ho conosciuto che di sé parlando e ad altri vita chiedendo nel parlare altrettanta e tanta più ne desse a chi stava ad ascoltarlo. E un giorno, un giorno o due dopo il 18 aprile2, lo vidi errare da una piazza all’altra dall’uno all’altro caffè di Milano inseguito dalla radio. «Porca – vociferando – porca». Lo guardava stupefatta la gente. Lo diceva all’Italia. Di schianto, come a una donna che ignara o no a morte ci ha ferito. V. Sereni, Gli strumenti umani, Einaudi, Torino 1965
1929 Inizia con Edoardo Weiss una terapia psicoanalitica.
1933 In Germania va al potere Hitler.
1938 Si trasferisce con la famiglia a Parigi; ritornato a Trieste, esce dalla comunità ebraica ma rifiuta di battezzarsi (per sfuggire alla persecuzione).
DIDATTICA INCLUSIVA Mappe Sintesi
DIDATTICA PER COMPETENZE Esercitare le competenze Spazio competenze 1 ramingo: senza meta. 2 18 aprile: il 18 aprile 1948,
CLASSE ROVESCIATA
data delle elezioni politiche vinte dalla Democrazia cristiana e con la sconfitta del Fronte democratico popolare (formato dal Partito comunista italiano e dal Partito socialista italiano) a cui il poeta era idealmente vicino.
L’uomo Saba
1943 Si rifugia a Firenze, dove vive nascosto con la famiglia.
1938 In Italia sono promulgate le leggi razziali.
1945 1947 1948 1951-53 1953 Si trasferisce Pubblica Cura una nuo- Le sue Scrive il roa Roma e poi le prose di va edizione del condizioni manzo a Milano; esce Scorciatoie e Canzoniere psicologiche Ernesto (usciuna nuova peggiorano e raccontini. che comrà postumo). edizione del prende anche lo costringono Canzoniere Mediterranee; al ricovero in ospedale. per Einaudi. pubblica Storia e cro1939 Invasione nistoria del della Polonia: Canzoniere. ha inizio la II guerra mon1940 L’Italia 1947 Con le tensioni tra Usa e 1945 Fine della II diale. entra in guerra. guerra mondiale. Urss ha inizio la guerra fredda.
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1956 Muore la moglie Lina.
1957 Muore in ospedale a Gorizia.
Unità
1 Ritratto d’autore
Tra vita e letteratura: le opere minori
1 Una vita all’insegna della «serena disperazione» Un’infanzia traumatica ▪
4 Umberto Saba � CLASSICI
ON LINE VIDEO
Il poeta Giovanni Giudici parla del suo incontro con Saba
Umberto Poli (Saba è uno pseudonimo) nasce a Trieste nel 1883 da Ugo Poli e Rachele Cohen: il padre, appartenente a una famiglia ebraica di piccoli commercianti, lascia la moglie prima della nascita del figlio. L’abbandono assumerà per il bambino il carattere di un trauma per l’infelicità che la madre riverserà su di lui da quel momento. Dopo pochi mesi le precarie condizioni di salute e le difficoltà economiche inducono la donna ad affidarlo a una balia slovena di religione cattolica, Gioseffa Sabazche, in alcune poesie, viene chiamata con il nomignolo affettuoso di Peppa. Con lei il piccolo Umberto resta fino all’età di circa quattro anni, quando la madre lo riprende con sé. Al dolore causato dalla separazione dall’amata balia Saba riconosce un ruolo fondante della propria personalità: da quell’esperienza traumatica deriva infatti la scissione interiore, riflessa nella sua opera, tra il desiderio di vivere la vita come tutti e l’impossibilità di realizzare pienamente tale aspirazione. La balia e la madre ▪ Il rapporto con la balia, gioiosa e vitale, è ricordato dal poeta nella sua opera (in particolare nella raccolta Il piccolo Berto) come una dimensione felice, a cui viene contrapposta la madre dal «mesto viso», eccessivamente severa e sempre preoccupata per le difficoltà economiche. Un adolescente malinconico dalle “sterminate letture” ▪ Nel Canzoniere, che raccoglie tutta la sua produzione in versi e che Saba stesso definiva una sorta di “romanzo autobiografico”, sono numerosi i riferimenti al periodo dell’adolescenza, triste e solitario. Nei versi iniziali della raccolta Autobiografia (1922-24) si rappresenta triste e infelice, già votato all’introspezione e alla solitudine: «Per immagini tristi e dolorose / passò la giovinezza mia infelice». Le esperienze dell’adolescenza sono rievocate nel romanzo autobiografico Ernesto (→T❶bOL) composto negli ultimi anni di vita. L’esperienza scolastica di Saba è negativa. Abbandonato il ginnasio, frequenta le scuole commerciali, ma lascia anche questo tipo di studi: lavora quindi presso un’azienda di commercio e intanto si dedica allo studio del violino e alla lettura.
Scheda
Lo pseudonimo “Saba” Nel 1911 Saba pubblica il suo primo volume di versi, Poesie, usando per la prima volta lo pseudonimo Umberto Saba (da lui assunto poi come co
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gnome anche all’anagrafe). L’origine dello pseudonimo è stata variamen te interpretata: chi l’ha ritenuto un omaggio alla balia, dal cui cognome (Sabaz o Saber) sarebbe derivato; chi l’ha identificato con la parola ebrai
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ca saba attribuendole il significato di “pane”; chi ha ricordato invece che saba in ebraico equivale a “nonno” e in questo caso rappresenterebbe un ricordo del bisnonno materno, figura importante della giovinezza del poeta.
ON LINE APPROFONDIMENTO
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APPROFONDIMENTO
Saba e il mondo ebraico Il tema dominante che attraversa l’opera di Saba nel lungo arco della sua produ zione è il senso della propria diversità ri spetto agli altri uomini, a cui il poeta cerca di contrapporre la ricerca di una comune identità. Per questo stato d’animo ri corrente sono state fornite spiegazioni diverse: oltre alle vicende dell’infanzia
di cui si è detto, una possibile causa è stata individuata nell’appartenenza alla comunità ebraica, considerata “diversa” nonostante la sua secolare presenza e in tegrazione nella società triestina. Questa origine è vissuta da Saba in età adulta in modo conflittuale: in alcuni testi poetici (ad esempio nel primo sonetto dell’Autobiografia) e in alcuni racconti egli rievoca
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con affetto personaggi e atmosfere del mondo ebraico della sua infanzia; anche le figure della tradizione ebraica della Bib bia sono recuperate come un mondo di valori in cui riconoscersi; severa è invece la condanna nei confronti della ritualità religiosa ebraica, che sente gravata dal pessimismo e come un limite alla piena espressione della personalità.
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1 Ritratto d’autore
Un romanzo “autobiografico”: Ernesto
Nella sua formazione da autodidatta hanno un posto importante i classici della letteratura (da Petrarca a Manzoni), in particolare Leopardi; dei poeti contemporanei conosce Pascoli e apprezza il D’Annunzio del Poema paradisiaco. Il soggiorno in Toscana, il servizio militare, il matrimonio ▪ L’amore per la poesia spinge Saba a stabilire i primi rapporti con intellettuali e artisti triestini suoi coetanei: con alcuni di loro nel 1903 decide di recarsi a Pisa per approfondire la conoscenza della lingua e della cultura italiana. Nella città toscana si manifesta per la prima volta la malattia psichica che, nella forma di forti crisi d’angoscia, a fasi alterne lo tormenterà per tutta la vita. Nel successivo soggiorno a Firenze (1905-1906) conosce alcuni esponenti della cultura fiorentina del primo Novecento, in particolare Prezzolini e Papini, che fonderanno la rivista «La Voce». Nel 1909, tornato a Trieste, sposa Carolina Wölfler, la Lina del Canzoniere; l’anno seguente nasce la figlia, Linuccia, ma il matrimonio vive una fase di crisi che porta la coppia a una separazione temporanea, a cui seguirà un definitivo riavvicinamento. Le due Line ▪ La moglie e la figlia, accomunate dallo stesso nome, rappresentano nella vita del poeta i principali riferimenti affettivi: sono anche figure centrali in quello che si può definire, con espressione mutuata dalla psicoanalisi, il “romanzo familiare” del Canzoniere. La guerra, la libreria a Trieste, i primi riconoscimenti come poeta ▪ Allo scoppio della prima guerra mondiale, come molti intellettuali dell’epoca, anche Saba è interventista; richiamato sotto le armi, per i suoi problemi di salute è assegnato alle retrovie, in sedi diverse, tra cui Milano nel 1917. Alla fine del conflitto ritorna a Trieste dove, grazie all’eredità di una zia, compera una libreria antiquaria, che fino all’inizio della seconda guerra mondiale gli assicurerà sufficiente tranquillità economica, sarà un luogo di incontro con altri scrittori e poeti triestini (come Italo Svevo e Giani Stuparich) e gli permetterà anche di pubblicare autonomamente i suoi versi. Nel 1921 esce la prima edizione del Canzoniere, che riunisce le raccolte già pubblicate. Nel 1928 la rivista fiorentina «Solaria», allora portavoce della ricerca letteraria italiana vicina alle tendenze europee, gli dedica un numero unico. L’incontro con la psicoanalisi ▪ Nel 1929 un nuovo attacco dei disturbi nervosi induce il poeta a ricorrere alla terapia psicoanalitica praticata a Trieste dal dottor Edoardo Weiss, discepolo di Freud: la cura viene però interrotta per il trasferimento del medico a Roma. In ogni caso, l’incontro con la psicoanalisi ha un ruolo fondamentale nelle poesie di Saba, specie per quanto riguarda le poesie della raccolta Il piccolo Berto (1929-1931), in cui sono rivissuti e portati alla luce i traumi dell’infanzia (si vedano in particolare Tre poesie alla mia balia →T❶c). Le leggi razziali e la seconda guerra mondiale ▪ La promulgazione delle leggi razziali nel 1938 induce Saba ad abbandonare l’Italia per rifugiarsi a Parigi, ma l’esperienza risulta deludente, portandolo a rinunciare al progetto di trasferirsi nella capitale francese e così ritorna a Trieste ( APPROFONDIMENTO). Nel 1943 per sfuggire alla persecuzione si rifugia a Firenze, dove vive nascosto con la famiglia, aiutato da alcuni intellettuali fiorentini tra cui Montale. In questa situazione angosciante scrive la raccolta 1944 e comincia a progettare la seconda edizione del Canzoniere.
Dal felice periodo romano al declino degli ultimi anni ▪ A Roma, dove si trasferisce
Scorcio di Trieste con il
Caffè Verdi in Piazza Unità,
ritrovo di artisti e intellettuali.
4 Umberto Saba � CLASSICI
nel 1945 prima della fine della guerra, vive un breve periodo positivo nella città liberata dagli alleati, circondato dall’affetto e dal riconoscimento degli intellettuali e artisti antifascisti. In questo periodo Saba matura anche il suo avvicinamento al comunismo: più che di una vera e propria scelta politica, si tratta di un’adesione di tipo sentimentale a una forza che gli sembra favorire il rinnovamento della società. Nell’autunno pubblica da Einaudi la nuova edizione del Canzoniere e scrive i testi in prosa di Scorciatoie e raccontini (→T❷). Nel 1946 trova accoglienza a Milano e, grazie all’editore Mondadori, occasioni di lavoro, anche se solo temporanee. Dopo il ’48, il mutato contesto politico pone fine alle speranze del poeta in un profondo rinnovamento della società italiana: l’Italia è per lui «l’atroce paese che amo»; alla delusione si aggiunge negli ultimi anni, nonostante i riconoscimenti pubblici, la sempre più grave sofferenza psicologica. Ritornato a Trieste nel 1951, si sente isolato e incompreso, ma è lui stesso a rifiutare l’incontro e l’aiuto di quelli che gli erano stati sempre amici e vicini. La morte della moglie nel 1956 ne accelera la fine: il poeta si spegne un anno dopo Lina, nel 1957.
TESTO
1 Il “romanzo familiare” di Saba
a. Mio padre è stato per me «l’assassino» Umberto Saba_Canzoniere, Autobiografia U. Saba, Tutte le poesie, a c. di A. Stara, introd. di M. Lavagetto, Mondadori, Milano 1988
La poesia è la terza della raccolta Autobiografia, scritta alla fine del 1924 e composta da 15 sonetti, che corrispondono ciascuno a una fase della vita del poeta, dalla nascita all’età matura: la nascita nel ghetto, l’infanzia con i traumi familiari, povera ma anche beata, «con una zia benefica»; il primo amico; la vita militare e la guerra; l’incontro con Lina e l’acquisto della libreria antiquaria. In Storia e cronistoria del Canzoniere Saba ha spiegato il significato della scelta metrica del sonetto, come forma ‘chiusa’ e in quanto tale «utile a isolare diversi periodi della sua vita, cavando di ciascuno l’essenziale». Del sonetto qui riportato ha scritto che «condensa tutta la storia familiare e razziale», ed è in questa prospettiva che il testo va letto, come rappresentazione fantasmatica di uno dei nuclei chiave della biografia personale e dell’immaginario poetico di Saba.
La metrica Sonetto, con la disposizione di rime: ABAB ABAB CDE CDE
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Mio padre1 è stato per me «l’assassino», fino ai vent’anni che l’ho conosciuto. Allora ho visto ch’egli era un bambino2, e che il dono ch’io ho da lui l’ho avuto3.
1 Mio padre: Ugo Edoardo Poli, veneziano e di origine nobile, era di professione venditore di robivecchi; allontanato dalla città dal governo austroungarico per motivi politici prima della nascita del figlio, abbandonò la famiglia; «l’assassino»: il termine è tipico
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del linguaggio popolare ed è contrassegnato dalle virgolette perché corrisponde all’epiteto usato comunemente dalla madre per denominare il marito. 2 un bambino: una personalità con tratti infantili (non per nulla il padre era fuggito © Casa Editrice G. Principato SpA
dalle responsabilità familiari proprie dell’uomo adulto). 3 il dono... avuto: il dono della poesia, ritenuto una trasgressione dalla madre severa, rappresenta per il poeta un’espressione dello spirito ribelle del padre.
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Aveva in volto il mio sguardo azzurrino4, un sorriso, in miseria5, dolce e astuto. Andò sempre pel mondo pellegrino6; più d’una donna l’ha amato e pasciuto7. Egli era gaio e leggero; mia madre tutti sentiva della vita i pesi. Di mano ei8 gli9 sfuggì come un pallone10.
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«Non somigliare – ammoniva – a tuo padre». Ed io più tardi in me stesso lo intesi: eran due razze in antica tenzone11.
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4 il mio sguardo azzurrino: lo stesso colore degli occhi. 5 in miseria: nella condizione di povertà in cui viveva.
6 Andò... pellegrino: visse senza una dimora stabile. 7 pasciuto: nutrito. 8 ei: egli.
9 gli: le. 10 come un pallone: il paragone
indica l’impossibilità per la madre di trattenerlo.
11 tenzone: conflitto; il contrasto che divise irreparabilmente i genitori è ricollegato dal poeta alla loro diversità di religione.
Guida alla lettura
La figura ambivalente del padre ▪ Nel primo verso Saba rievoca emblematicamente la figura paterna con
Attività sul testo Abilità: comprendere e analizzare
1. La presentazione del padre Spiega i due epiteti con cui viene presentato il padre. 2. La similitudine Quali caratteristiche del padre mette in luce la similitudine «come un pallone» (v. 11)? a. □ Leggerezza. d. □ Grandezza. g. □ Fragilità. b. □ Inconsistenza. e. □ Libertà. h. □ Povertà. c. □ Vacuità. f. □ Indipendenza. i. □ Infantilismo. © Casa Editrice G. Principato SpA
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1 Ritratto d’autore
l’epiteto «l’assassino» usato comunemente dalla madre: il padre non ha avuto altra identità per lui fino a quando lo ha incontrato, per la prima volta, all’età di vent’anni (e non è difficile immaginare le inevitabili e gravi conseguenze psicologiche di tale situazione per il giovane Umberto). All’immagine materna del padre lo scrittore affianca, sempre nella prima quartina, quella scoperta da lui stesso, ormai giovane uomo: all’assassino si contrappone una sorta di bambino, una persona non cresciuta psicologicamente, in cui però il poeta ritrova caratteristiche proprie, sintetizzate nello «sguardo azzurrino» (v. 5), che rimanda non tanto a una somiglianza fisica quanto a una comune identità psicologica ed esistenziale. Un rapporto edipico “rovesciato” ▪ Le due terzine focalizzano il carattere opposto dei genitori, in cui il figlio-poeta riconosce, a distanza di anni, un rovesciamento dei ruoli tradizionali: se la figura paterna è normalmente connotata come autorevole e severa, qui il padre è invece «gaio e leggero» (v. 9). Al contrario la madre, abitualmente identificata con le qualità “femminili” della comprensione e della dolcezza, è rigidamente severa, perché per sorte, e forse per la sua stessa indole, deve sopportare «della vita i pesi» (v. 10): l’immagine acquista ulteriore rilievo grazie all’inversione sintattica (iperbato), procedimento ricorrente nel Canzoniere, che colloca in fine di verso il termine da evidenziare. L’identificazione con il padre ▪ Nonostante l’ammonimento materno a non assomigliare al padre, il poeta, ormai adulto, ne rintraccia l’eredità («Ed io più tardi in me stesso lo intesi», v. 13) nella vocazione poetica (cioè «il dono…», v. 4) in essa riconoscendo l’atteggiamento “infantile” del padre («Allora ho visto ch’egli era un bambino», v. 3). Nel verso finale interpreta il conflitto tra i genitori, che già prima della sua nascita li aveva divisi: attribuendolo alla loro diversa appartenenza culturale e religiosa, il poeta lo presenta come inevitabile, non ascrivibile alla responsabilità del padre e della madre, che diventano così oggetto della sua comprensione e del suo perdono. Lo stile ▪ Le forme letterarie pel, ei, eran (come spiega Saba stesso in Storia e cronistoria del Canzoniere) sono adottate per motivi prosodici; lo stesso per il termine pallone (per Saba era più adatto palloncino). Al registro dell’italiano parlato e colloquiale rimanda invece l’anacoluto «fino ai vent’anni che l’ho conosciuto»; il tono volutamente dimesso del sonetto (Saba lo definisce «raso terra») è sottolineato anche dal ritmo disteso, per effetto della posizione degli accenti, variati rispetto allo schema canonico dell’accentazione dell’endecasillabo.
3. Il conflitto tra padre e madre Nel sonetto il poeta attribuisce il conflitto tra i genitori alla a.□ diversa origine sociale. c.□ differenza di religione. b.□ diversità di carattere. d.□ differenza d’età. – Da che cosa lo si deduce? 4. Le immagini del padre nel tempo La prima strofa fa riferimento a due tempi diversi, a cui corrispondono differenti immagini del padre: come spieghi tale differenza? a. □ Il padre col passare del tempo è cambiato. b. □ Il poeta ha avuto modo di conoscerlo direttamente. c. □ La madre nel tempo ha cambiato il suo giudizio. d. □ Il poeta, pur non incontrando il padre, col tempo lo ha perdonato. 5. L’«antica tenzone» A che cosa si riferisce l’«antica tenzone» del v. 14? a. □ Al lungo contrasto per la supremazia tra le comunità etniche triestine. b. □ Al tormentato e difficile legame tra i genitori del poeta. c. □ Al secolare contrasto tra le diverse tradizioni religioso-culturali dei genitori. d. □ Alle tensioni provate nell’infanzia per il conflitto fra i genitori. 6. Il poeta e il padre Descrivi l’atteggiamento del poeta nei confronti del padre sulla base degli indizi testuali e individua gli aspetti della propria personalità che Saba riconosce nel genitore. 7. La rima significativa in -ino Nel testo il poeta istituisce attraverso la rima un collegamento tra i termini assassino, bambino, azzurrino: a tuo avviso che cosa vuole comunicare? 8. L’iperbato L’iperbato «Tutti [...] della vita i pesi» ha una funzione a. □ stilistica. b. □ metrica. c. □ semantica. – Motiva la tua risposta.
d. □ ritmica.
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9. Coppie di aggettivi e verbi Evidenzia l’utilizzo nella poesia di Saba di coppie di aggettivi o di verbi: quali effetti producono sul ritmo del componimento? Esercitare le competenze
10. Illustra i motivi di un conflitto fra persone e culture Alla luce dell’analisi svolta, commenta queste parole di Saba tratte dalla sua Autobiografia: «Mio padre fu per me quello che nei romanzi è l’assassino, cioè il “cattivo”, perché aveva fatto soffrire mia madre». Evidenzia in un breve testo (max 20 righe) il contrasto tra le due figure genitoriali, anche inteso come conflitto tra due nature, tra due TESTI ON LINE culture (v. 14 eran due razze in antica tenzone). 1 b. La confessione di Ernesto
c. Una poesia alla balia
Umberto Saba_Ernesto
Umberto Saba_Canzoniere, Il piccolo Berto U. Saba, Tutte le poesie, a c. di A. Stara, introd. di M. Lavagetto, Mondadori, Milano 1988
La metrica Tre strofe di diversa lunghezza, composte da endecasillabi, tranne il primo di ciascuna (nella seconda anche l’ultimo) che è trisillabo. In ogni strofa l’ultimo verso rima con il primo della successiva; i vv. 5-6 e 7-8 sono legati da rime baciate
Sono molte le poesie, e addirittura intere parti del Canzoniere, composte prima dell’analisi compiuta da Saba con lo psicoanalista Edoardo Weiss, che documentano la presenza in Saba di una spiccata tendenza autoanalitica (non a caso il critico Gianfranco Contini lo definì «analitico prima dell’analisi»). La sezione in cui però essa risulta particolarmente evidente è Il piccolo Berto, in cui il poeta traspone sul piano poetico i risultati dell’esperienza terapeutica. Nella raccolta, non a caso dedicata a Weiss, riemergono alla coscienza i primi anni di vita di Saba, secondo la concezione freudiana della loro importanza nella costruzione dell’identità individuale: delle 16 poesie che la compongono, tre sono dedicate al rapporto con la balia (Tre poesie alla mia balia). Riproduciamo la prima, che esplicita in modo più evidente il contributo della psicoanalisi alla costruzione del testo.
Mia figlia mi tiene il braccio intorno al collo, ignudo; ed io alla sua carezza m’addormento. 5
Divento legno in mare caduto che sull’onda galleggia1. E dove2 alla vicina sponda anelo3, il flutto mi porta lontano. 248
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Divento... galleggia: nel sonno il poeta sogna di essere un legno trasportato dalle onde del mare. 2 dove: mentre. 3 anelo: aspiro con ansia. 1
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Oh, come sento che lottare è vano! Oh, come in petto per dolcezza il cuore vien meno4! Al seno approdo di colei che Berto ancora mi chiama, al primo, all’amoroso seno5, ai verdi paradisi dell’infanzia6.
4 Oh come... meno: il sentimento di dolcezza suscitato dall’abbandono è tale da travolgere con la sua intensità il cuore del poeta.
5 Al seno... seno: il flutto che nel sogno trascina lontano il legno/poeta lo fa ricongiungere con il seno della sua balia.
ai verdi... infanzia: in Storia e cronistoria del Canzoniere Saba indica la fonte del verso nella poesia di Baudelaire Moesta et errabunda (v. 21: Mais le vert paradis des amours enfantines, “Ma il verde paradiso degli amori infantili”).
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Guida alla lettura
Il ricordo della balia è già presente in alcune liriche delle raccolte antecedenti Il piccolo Berto (ad esempio, in Casa della mia nutrice, o in Cuor morituro). Ben diversa è l’intensità evocativa delle poesie composte dopo l’analisi. Nella prima delle tre dedicate alla balia, qui antologizzata, attraverso l’abbandono alla dimensione onirica, il poeta rivive la vicinanza fisica e il senso di protezione offerto dal seno della donna. Il recupero di quell’emozione si sviluppa in tre fasi, corrispondenti ciascuna a una strofa del componimento: nella prima l’abbraccio della figlia bambina concilia il sonno al poeta, la seconda racconta il sogno che l’accompagna, la terza lo riconduce alla sua infanzia e alla vicinanza protettiva della balia. Nel sonno («m’addormento», v. 3) il controllo dell’io si attenua permettendo ai conflitti e ai desideri inconsci di emergere: in questo caso l’ambivalenza tra il desiderio di recuperare e conoscere il passato e la paura di ciò che è ignoto. La dinamica è resa attraverso la metafora della navigazione in cui il legno (simbolo del soggetto del sogno) è attratto dalla vicina sponda (cioè ciò che è noto alla coscienza) ma nello stesso tempo spinto lontano verso ciò che è accessibile solo all’inconscio («E dove alla vicina sponda / anelo, il flutto mi porta lontano»). La metafora si conclude nella strofa finale: il sogno ha fatto rinascere la balia con i tratti sperimentati nella prima infanzia dal poeta e perciò la donna è identificata con il seno (attraverso la sineddoche). La struttura ▪ La prima strofa ha la forma del trisillabo + endecasillabo, una delle figure ritmiche tipiche di Saba; nella seconda strofa, la più lunga, la metafora del legno trasportato dalle acque nel viaggio per mare, più che a una tradizionale immagine poetica, corrisponde a una dimensione nota a Saba non solo per la posizione geografica di Trieste ma anche per una sua esperienza giovanile di lavoro come mozzo su una nave (evocata nella poesia Ulisse). La terza strofa infine riporta il soggetto in primo piano (approdo), simmetricamente alla prima per cui al presente – l’infanzia della figlia – corrisponde il passato, quello del poeta. Il ritorno all’infanzia ▪
Comprensione
1. Il contenuto Presenta sinteticamente il contenuto della poesia (max 3 righe). 2. Il dedicatario A chi è dedicata la poesia? a. □ Al dottor Weiss. b. □ Alla balia. c. □ Alla figlia. – Qual è il motivo della dedica?
d. □ Al piccolo Berto.
3. Il significato del sonno Quale situazione e quale figura femminile propizia nel poeta l’abbandono al sonno? 4. La metafora del “legno” Che cosa rappresenta la metafora del “legno” nella situazione del sogno? 5. La parola «seno» Oltre a quello letterale, quale significato metaforico, legato alla situazione vissuta dal poeta nel sogno, può avere la parola «seno»? a. □ Golfo. b. □ Abbandono. c. □ Porto sicuro. d. □ Infanzia. 6. Una perifrasi Chi indica la perifrasi dei vv. 12-13? Quale significato esprime? 7. Il tema del viaggio Quale valore simbolico assume il tema del viaggio in questa poesia di Saba? Con quale connotazione si presenta? Esercitare le competenze
8. Analizzare l’influenza della psicoanalisi sulla letteratura del tempo Il testo costituisce un documento emblematico della suggestione esercitata dalla psicoanalisi sulla letteratura del tempo. Analizza nella lirica tale influenza, riconoscendo e illustrando, in un testo di circa 30 righe, i temi e le immagini in cui si manifesta. © Casa Editrice G. Principato SpA
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1 Ritratto d’autore
Attività sul testo
2 La conoscenza del profondo: strumento per decifrare i comportamenti umani e le vicende storiche Lo “scandaglio del profondo”, che Saba in Storia e cronistoria del Canzoniere (→U2) riconosce come il programma fondamentale della sua opera poetica, è l’elemento dominante anche nei testi in prosa di Scorciatoie e raccontini, che l’autore ha definito le sue “operette morali” per evidenziarne il carattere di riflessione sull’uomo e sulla storia, in particolare quella del Novecento. Nella concezione dell’uomo e nell’interpretazione delle vicende storiche, come nella poetica, il principio guida per Saba è la ricerca della verità: essa va intesa come consapevolezza delle motivazioni profonde dell’agire umano, secondo la lezione di Nietzsche e soprattutto di Freud, indicati esplicitamente da Saba come i maestri del proprio pensiero. La riflessione del poeta non ha una forma sistematica: nelle prose, generalmente di breve o media lunghezza, egli esplicita le sue considerazioni sui comportamenti umani, prendendo spunto da piccoli episodi quotidiani o da fatti e personaggi rilevanti nella storia e nella politica. Ne emerge una visione nuova, uno sguardo critico, che indaga le ragioni profonde dell’agire umano, tanto nella quotidianità quanto nella storia.
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Scheda
Scorciatoie e raccontini: le “operette morali” di Saba Pubblicato nel 1946, Scorciatoie e raccontini è costituito da due parti, evidenziate dal titolo; le Scorciatoie sono raggruppate in cinque serie per un totale di 165 testi (brevi o brevissi mi). I Raccontini hanno una misura più estesa, vicina a quella del racconto breve.
Scorciatoie Nella penultima delle Scorciatoie Saba le definisce «brevi componimenti in prosa, di taglio scorciato e incisivo, che hanno l’accento della poesia e il rigore dell’afo risma, scorciatoie perché, in modi rapidi ed ellittici, arrivano a conclusioni lontane e spesso sorprendenti».
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I temi presi in esame sono diversi: van no dalla storia (soprattutto le recenti e drammatiche vicende del Novecento) ad aspetti della cultura contemporanea (ad esempio il genere poliziesco) e del costume, a piccoli episodi quo tidiani o comportamenti che assumono nell’interpretazione di Saba un signifi cato emblematico in relazione alla vita profonda dell’uomo e ai suoi meccani smi inconsci. L’analisi acuta del poeta si sofferma an che sulla letteratura del passato (Dante, Petrarca, Foscolo) e contemporanea (Proust, Svevo, Penna, Moravia), indi viduando la genesi psicologica delle opere letterarie e le debolezze umane degli autori. Comune a tutte le Scorciatoie è la vo lontà di indagare la realtà oltre le apparenze, di smascherare le ipocrisie, di portare alla luce le ragioni profonde dei comportamenti anche apparente mente banali e insignificanti o di quelli che hanno avuto conseguenze rilevanti e drammatiche nella storia. L’ultima scorciatoia (Genealogia di scorciatoie), che consta della semplice indicazione «Nietzsche – Freud», riconosce il debi to di Saba verso i suoi modelli teorici: la lezione dei due ispira tutta la sua
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opera nel proposito, che è anche un monito per il lettore, di indagare «la verità che giace al fondo». Nell’ambito storico l’approccio psico analitico fa emergere le ragioni profon de dell’agire dei potenti, degli uomini comuni, dei ceti sociali: ne sono stra ordinari esempi Totem e tabù, sulla fine di Mussolini, e Tubercolosi, cancro, fascismo (→T❷b) in cui la dittatura fascista è definita la malattia morale del Novecento, e l’adesione ad essa un tentativo della borghesia, in Italia e altrove, di rifarsi una vita nuova, di ringiovanire, con effetti tragici. Lo stile espositivo è sobrio e distacca to, a tratti anche ironico, anche se non mancano espressioni di diretta parte cipazione. Raccontini Nei Raccontini episodi di carattere diver so, a partire da uno spunto autobiografi co, diventano l’occasione per le riflessioni del poeta: le situazioni riguardano anche in questo caso la storia, filtrata attraverso la vita quotidiana. Emergono gli incontri umani significativi con uomini e donne che hanno lasciato un segno nella me moria dello scrittore, le incoerenze nei comportamenti.
TESTO
2 La necessità di comprendere le istanze del “profondo” Proponiamo alcune significative testimonianze tratte dalle Scorciatoie: i due passi di →T❷a enunciano la chiave di interpretazione a cui Saba si attiene; →T❷b esemplifica il suo metodo di lettura delle vicende storiche e in particolare presenta una significativa e originale interpretazione del fascismo.
a. «Non esiste un mistero della vita, o del mondo, o dell’universo» U. Saba, Scorciatoie e raccontini in Tutte le prose, a c. di A. Stara, intr. di M. Lavagetto, Mondadori, Milano 2001
Le scorciatoie n. 20 e n. 116 hanno in comune il tema della conoscenza: entrambe sostengono l’importanza dell’analisi delle istanze del profondo che generano i conflitti interni; la presa di coscienza delle loro cause, secondo il poeta, rappresenta una fonte di sollievo per ognuno; e ai potenti può evitare gli “abissi” in cui precipitano, ignari dei propri meccanismi interni.
NON ESISTE un mistero della vita, o del mondo, o dell’universo. Tutti noi, in quanto nati dalla vita, facenti parte della vita, sappiamo tutto, come anche l’animale e la pianta. Ma lo sappiamo in profondità. Le difficoltà incominciano quando si tratta di portare il nostro sapere organico alla coscienza1. Ogni passo, anche piccolo, in questa direzione, è di un valore infinito. Ma quante forze – in noi, fuori di noi – sorgono, si coalizzano, per impedire, ritardare, quel piccolo passo!
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GLI UOMINI infilzati (io volevo dire impirati2; ma lo scrittore Antonio Baldini3 mi confermò che il termine non è – come già lo sospettavo – italiano) in conflitti interni, che neppure sospettano di portare in sé, procedono – re, duci, filosofi, Somme Autorità in testa – verso abissi che un bambino saprebbe loro indicare, e nei quali – tanto più 10 ciechi quanto più vicini al pericolo – infallibilmente precipitano. Anche tu, anch’io... Ma se tu, se io, potessimo portare quelli inconsci conflitti alla luce della coscienza, ne proveremmo un grande, un indicibile sollievo; e quelli si risolverebbero – scoppierebbero – in aria, come bolle di sapone.
b. «Tubercolosi, cancro, fascismo» Umberto Saba_Scorciatoie 43 U. Saba, Scorciatoie e raccontini in Tutte le prose, a c. di A. Stara, intr. di M. Lavagetto, Mondadori, Milano 2001
sdilinquimenti sentimentali: eccessi, struggimenti amorosi. 2 abbarbicato: attaccato tenacemente. 3 esame necroscopico: autopsia, qui in senso metaforico, cioè dopo la fine di quel sistema politico. 4 totalitariamente imperato: governato con potere assoluto. 1
Lo sguardo critico di Saba è rivolto in questa scorciatoia (la n. 43) al fascismo: la chiave di lettura del fascismo è ricercata nell’analogia tra i processi fisici e quelli storici, accomunati dalla stessa origine psicologica. L’evento storico è interpretato come una malattia morale, conseguenza del tentativo sbagliato della borghesia italiana di ringiovanire (cioè di assumere un nuovo ruolo sociale).
TUBERCOLOSI, CANCRO, FASCISMO Ogni epoca ha la sua malattia, alla quale risponde un’altra (ma è probabilmente la stessa) nel campo morale. L’Ottocento ebbe la tubercolosi e gli sdilinquimenti sentimentali1; il Novecento ha il cancro e il fascismo. Tutto il processo del fascismo – manifestarsi della sua vera natura quando è già tardi per un efficace intervento chirurgico; sua impossibilità di morire se non assieme alla vittima alla quale si è 5 abbarbicato2; tendenza a riprodursi in posti lontani dalla sua prima sede; disperate sofferenze che genera in quelli che ne sono colpiti; guasti profondi che si rivelano all’esame necroscopico3 dei corpi (o paesi) sui quali abbia totalitariamente imperato4 – tutto, dico, il suo processo ha sorprendenti somiglianze con quello del cancro. Ma in un’altra cosa gli somiglia ancora. Nessuno ignora oggi che la tubercolosi è, molte volte, uno dei mezzi che i giovani im- 10 © Casa Editrice G. Principato SpA
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1 Ritratto d’autore
portare... coscienza: diventare coscienti del sapere connaturato alla nostra condizione di viventi. 2 impirati: il neologismo deriva forse da pira, catasta di legno per la cremazione, da cui assumerebbe il significato di “accatastati”, con l’idea di un cumulo opprimente. 3 Antonio Baldini: scrittore e critico letterario (1889-1962), collaboratore della «Voce» e successivamente della «Ronda». 1
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neoplasma: agglomerato di cellule tumorali. 6 «ordine nuovo»: un nuovo modo di governare e di nuovi rapporti sociali. 7 L’«Impero Romano»: il fascismo si presentava come una prosecuzione moderna dell’antico impero romano. 5
piegano per suicidarsi. Azzardo l’ipotesi che il cancro (malattia degli anziani) abbia le sue radici psichiche in un tentativo sbagliato dell’organismo per ringiovanire. La formazione di un neoplasma5 potrebbe significare il desiderio di rifarsi un nuovo organo; p. es. un nuovo stomaco. (Ho comunicata questa mia ipotesi ad alcuni medici intelligenti, i quali ne hanno tutt’altro che riso.) Ebbene: che cosa è stata, in fondo, l’adesione al fascismo – in Italia e altrove – se non un tentativo sbagliato della borghesia di rifarsi una vita nuova, di ringiovanire? Troppo tardi si è accorta poi dell’errore; e allora... non c’era più rimedio; la buona cosa, la cosa provvidenziale, che si presentava apportatrice di un «ordine nuovo»6 recava invece inumane sofferenze; e, a più o meno lunga scadenza, la morte. L’«Impero Romano»7 (nel secolo XX!) ebbe – purtroppo per noi – la genesi, i caratteri e le conseguenze di un neoplasma.
Attività sui testi →T❷a e →T➋b Abilità: comprendere e analizzare
1. I titoli Sintetizza in un titolo nominale il contenuto di ciascuna delle Scorciatoie antologizzate.
2. Dalla metodologia all’esemplificazione Il →T❷a propone due Scorciatoie di carattere metodologico: i criteri formulati trovano un’esemplificazione in →T❷b perché esso a. □ mostra le capacità dell’uomo di conoscere le proprie pulsioni. b. □ mostra le capacità dell’uomo di curare le proprie patologie. c. □ fa emergere le radici psicologiche profonde dell’affermazione del fascismo. d. □ mostra le affinità tra il fascismo e il cancro.
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3. I testi e la definizione delle Scorciatoie Confronta i testi →T❷a e →T❷b con la definizione di Saba delle Scorciatoie (→ Scheda p. 250): corrispondono al procedimento che, a suo avviso, le caratterizza? Indica poi le conclusioni a cui portano riespettivamente i due testi. Esercitare le competenze
4. Argomentare come l’analisi di Saba aiuti la comprensione del fenomeno storico del fascismo Dopo aver individuato in T❷b le espressioni che rivelano il giudizio del poeta sul fascismo, argomenta in un breve testo (circa 20 righe) come l’analisi proposta da Saba può arricchire la comprensione del fenomeno storico. 5. Fare una schedatura lessicale Analizza il →T❷b dal punto di vista lessicale e completa una tabella come questa con i termini e le espressioni appartenenti ai campi semantici indicati. medicina
politica
Osservane le occorrenze e collega poi i due campi semantici al tema trattato (max 15 righe). Scheda
I maestri di Saba: Nietzsche e Freud La lezione di Nietzsche L’autore che Sa ba stesso riconosce come fondamentale nella sua formazione in una prima fase è il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche (1844-1900). L’influenza di Nietzsche che il poeta mette in rilievo è sintetizzata in Storia e cronistoria del Canzoniere: essa non riguarda certo il mito del superuomo (divulgato in Italia attraverso D’Annunzio) ma «le tante verità [...] dell’anima umana» da lui intuite, «per cui la sua opera può essere considerata anche come l’immen so preludio alle scoperte di Freud». Della lezione del filosofo tedesco Saba fa pro
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pria l’attenzione da questi teorizzata alla profondità dell’animo umano attraverso un’esigenza di chiarezza, sintetizzata nel la formula «siamo profondi, ridiventiamo chiari». Saba e la psicoanalisi La conoscenza dell’opera di Sigmund Freud (1856-1939) è connessa alla terapia psicoanalitica in trapresa dal poeta: la cura, oltre a pro durre la raccolta Il piccolo Berto, avvicina Saba alle teorie freudiane, influenzando la sua opera successiva, anche se il critico Gianfranco Contini ha coniato per lui la definizione di «psicoanalitico prima della psicoanalisi». Nel Canzoniere, secondo lo studioso, si rintracciano temi e situazioni che si possono definire psicoanalitici pri ma dell’incontro diretto del poeta con la
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psicoanalisi: il ritorno all’infanzia, il sogno, i sensi di colpa, il complesso rapporto con la figura femminile, che si tratti del la madre o delle altre donne amate dal poeta. Nel dopoguerra Saba, in rispo sta a un articolo del filosofo Benedetto Croce fortemente negativo e sprezzante nei confronti della psicoanalisi, difende il contributo di Freud per la conoscenza della psiche umana: «chi vuol occuparsi del pensiero umano non può più prescin dere dall’inconscio: l’ignoranza di questo e delle strane leggi che lo governano ha generato, sia negli uomini di pensiero che negli uomini d’azione, gran parte degli er rori e degli spaventosi mali che funestano il nostro infelice secolo».
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Unità
2 Il Canzoniere
La struttura, la poetica narrativa, la cornice
1 La poetica dell’“onestà” Un poeta a lungo incompreso ▪
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2 Il Canzoniere
Come per Svevo, anche per Saba si può parlare di un vero e proprio “caso” per indicare il mancato apprezzamento della sua opera da parte della critica letteraria del suo tempo: il poeta stesso ha descritto la sua vicenda come «un’ingiustizia, che rimarrà nella cronaca nera della letteratura italiana». Una delle esperienze poetiche più alte del Novecento è rimasta isolata e incompresa per lungo tempo e solo dal secondo dopoguerra se ne è veramente riconosciuta la grandezza che fa oggi di Saba uno dei classici indiscussi del canone poetico italiano. Il tardivo riconoscimento è da collegare innanzitutto all’estraneità di Saba alle mode letterarie coeve: il poeta triestino esordisce in un contesto culturale periferico (Trieste) scegliendo come modello la grande tradizione letteraria italiana (in particolare Leopardi) nel momento in cui erano dominanti la poetica simbolista e l’avventura delle avanguardie. Esibisce il legame con la tradizione, continuando a usare il verso classico per eccellenza, l’endecasillabo, nell’ormai imperante affermazione del verso libero. L’adesione alle “cose” ▪ La concezione della poesia di Saba appare già definita nei suoi elementi basilari nello scritto Quello che resta da fare ai poeti (del 1911, ma pubblicato postumo →T❸a). L’idea cardine che ispira il testo è quella della “poesia onesta”, capace di attingere al senso profondo delle “cose”, una delle parole più frequenti nelle liriche di Saba: «amiche cose», «belle cose», «cose ond’ebber gioia i miei occhi». Secondo il poeta, il significato profondo del reale deve essere raggiunto attraverso la rappresentazione diretta della realtà stessa, nei suoi aspetti di vita quotidiana, a cui egli adegua il linguaggio poetico: Saba non suggerisce le “cose”, ma le “nomina”, cioè le rappresenta esattamente. È evidente in questa scelta la distanza sia dai compiacimenti estetizzanti di D’Annunzio sia dalle poetiche simboliste protese a «esprimere l’inesprimibile», secondo la formula di Rimbaud, attraverso la ricerca di “attimi” privilegiati, o l’evocazione di sensazioni indefinite. Allo stesso modo Saba rifiuta le sperimentazioni dell’avanguardia futurista, recuperando al contrario la lezione della tradizione poetica. Il valore conoscitivo della poesia, “scandaglio del profondo” ▪ La poesia di Saba ha essenzialmente carattere autobiografico ed è indissolubilmente connessa alle sue esperienze esistenziali e al suo rapporto con la vita: la parola poetica è orientata all’evocazione dei momenti avvertiti da Saba come fondamentali per il costituirsi del suo mondo interiore. Gli strumenti per il riconoscimento di questi nuclei centrali del proprio vissuto derivano a Saba dalla psicoanalisi, da lui conosciuta prima come esperienza terapeutica e successivamente assunta come chiave di interpretazione dei comportamenti umani attraverso
l’indagine del “profondo”. La poesia stessa è ricerca della «verità che giace al fondo», strumento per portare alla luce un mondo interiore complesso e costituzionalmente scisso. «E d’ogni male / mi guarisce un bel verso»: la funzione terapeutica della poesia ▪ Tuttavia nell’opera di Saba c’è anche
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l’aspirazione costante a «contrastare il caos, la dispersione, a ricomporre le opposizioni, le “voci discordi”» (Brugnolo), compito questo che egli assegna alla poesia. Già il titolo di una delle prime raccolte, La serena disperazione (1913-1915), esprime attraverso la figura retorica dell’ossimoro l’aspirazione alla pace interiore e l’accettazione del dolore della vita; se è vero che la poesia rappresenta lo scandaglio per arrivare dalla superficie al fondo della vita, dalle apparenze alla verità, essa è al tempo stesso riscatto dal dolore grazie alla sua bellezza, alla Saba nella sua libreria antiquaria gioia del canto: «E d’ogni male / mi guarisce un bel verso. / [...] sono partito da Malincon l’amico scrittore Giani conia / e giunto a Beatitudine per via» (T❸c). Il riscatto del dolore della vita attraverso la Stuparich. poesia è ribadito da Saba in Storia e cronistoria del Canzoniere (1946). Grazie alla poesia si può raggiungere «uno stato d’animo vicino, se non alla felicità, almeno a una transitoria beatitudine. A quella beatitudine che – come dice Nietzsche – può raggiungere solo chi molto soffre». Una parola che aderisce alle “cose” ▪ Alla formula della “poesia onesta”, assunta da Saba a principio guida della sua ricerca, corrisponde l’uso di una parola poetica che aderisce alle “cose” della vita. Per raggiungere questo obiettivo il poeta adotta soluzioni controcorrente rispetto alle tendenze letterarie del suo tempo: utilizza infatti prevalentemente parole della quotidianità, accostate a termini della tradizione poetica divenuti ormai familiari a ogni lettore di poesia. La “poesia onesta” deve dare voce ai sentimenti profondi, senza la paura di dirli con le parole più semplici, addirittura con il linguaggio dei bambini, come Saba stesso definisce la lingua usata in A mia moglie (→T❹): «se un bambino potesse sposare e scrivere una poesia, scriverebbe questa mescolanza sapiente di parole auliche e parole rasoterra». Sempre in Storia e cronistoria del Canzoniere la riflessione sulla parola è collegata al bisogno di renderla il più vicina possibile e fedele al mondo interiore, per cui il poeta dichiara di aver rappresentato «il suo tormento e la sua consolazione usando i termini più dimessi, le parole più comuni del vocabolario, che ogni altro poeta italiano, antico o recente, (ma soprattutto recente) avrebbe, come i triti paragoni, disdegnati». L’espressione triti paraD’Annunzio Saba goni, qui utilizzata per indicare la semUn’unica raccolta di plicità delle proprie similitudini, ha un Diverse raccolte impianto unitario che poetiche dai caratteri si pone come “storia equivalente nelle trite parole, con cui il differenti di una vita” poeta definisce la propria lingua poetica nella poesia Amai (→T❸d), comIdea della poesia Una poesia “onesta”, come valore assoluto lontana dall’originalità posta nello stesso periodo e manifesto e privilegio ricercata, vicina al conclusivo della sua poetica. Saba dà per pochi mondo interiore anche una motivazione storica ed etica della sua ricerca della parola “vergine”: Prezioso e ricercato, Discorsivo e dal sfrutta la forza per il poeta essa è espressione del bilessico quotidiano evocativa e musicale della parola sogno di contrastare la finzione e la menzogna che egli sentiva dominanVarietà metrica e te nel linguaggio dell’epoca fascista: Strutture metriche ritmica al limite tradizionali «mai come in quegli anni la parola della sperimentazione era affetta da menzogna» (Storia e cronistoria del Canzoniere). 254
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TESTO
Canzoniere
3 La concezione e il ruolo della poesia per Saba
Umberto Saba_Quello che resta da fare ai poeti, Storia e cronistoria del Canzoniere
U. Saba, Quello che resta da fare ai poeti, in Tutte le prose, a c. di A. Stara, introd. di M. Lavagetto, Mondadori, Milano 2001
a. Il compito morale del poeta Il saggio Quello che resta da fare ai poeti (1911) enuncia una visione morale del compito (da fare) del poeta: il modello di riferimento per Saba (non diversamente da Gadda) è l’opera poetica del Manzoni, in contrapposizione con l’artificiosità della poesia di D’Annunzio e dei suoi imitatori e prosecutori, compresi i futuristi. In questo brano Saba propone una sorta di vademecum che definisce le condizioni per il raggiungimento della “poesia onesta”.
[... L’] onestà letteraria […] è prima un non sforzare mai l’ispirazione, poi non tentare, per meschini motivi di ambizione o di successo, di farla parere più vasta e trascendente1 di quanto per avventura2 essa sia: è reazione, durante il lavoro, alla pigrizia intellettuale che impedisce allo scandaglio3 di toccare il fondo; reazione alla dolcezza di lasciarsi prender la mano dal ritmo, dalla rima, da quello che volgarmente4 si chiama la vena5. trascendente: capace di esprimere significati profondi (letteralmente “ciò che riguarda la realtà non visibile e perciò non
1
sperimentabile”).
2 per avventura: per caso. 3 scandaglio: indagine; letteralmente indica
5
la misurazione di uno spazio in profondità.
4 volgarmente: nell’uso comune. 5 vena: in senso figurato, creatività poetica.
U. Saba, Storia e cronistoria del Canzoniere, in Tutte le prose, a c. di A. Stara, introd. di M. Lavagetto, Mondadori, Milano 2001
A distanza di alcuni decenni, Saba ribadisce i principi espressi nell’articolo del 1911 in Storia e cronistoria del Canzoniere: nella valutazione a posteriori della propria opera, il poeta conferma la fedeltà all’ispirazione come elemento caratterizzante della poesia, che egli contrappone alla letteratura, intesa come “mestiere”, cioè competenza tecnica chiamata a sopperire alla mancanza o alla povertà di idee.
Saba1, nelle sue composizioni più alte, ed anche in quelle che ha, mano mano, rifiutate, fu uno dei pochi poeti dei nostri giorni che si abbandonarono sempre, ed in piena buona fede, a quella grande e rara cosa che gli antichi chiamavano ispirazione. [...] Ed è anche vero che, dove l’ispirazione gli manca o scarseggia, Saba vale poco o nulla: è impotente a rimediare. La “letteratura” non gli fu mai un valido soccorso. Per lui, per la sua particolare 5 poetica, la letteratura sta alla poesia come la menzogna alla verità. (E un uomo simile doveva nascere proprio in Italia, proprio nel paese dei letterati!) «Ero fra lor di un’altra spece2» dice egli stesso a proposito di un cenacolo di letterati («La Voce») del quale, per ragioni contingenti, fece un tempo parte. Per tutte queste ragioni, e per altre ancora, che verremo mano mano esponendo, e fra 10 le quali non possiamo omettere il profondo smarrimento e confusione di tutti i valori che regnò in Italia (e non solo in Italia) nel periodo sabiano, e dal quale solo un “arretrato”, un “periferico” poteva salvarsi del tutto, la poesia di Saba ebbe, fino a ieri, una contrastata fortuna. 1 Saba: Storia e cronistoria del Canzoniere è scritto in terza persona ed è attribuito a un autore la cui identità è fittizia.
2 Ero... spece: è un’autocitazione di un verso
dal sonetto 10 della raccolta Autobiografia in cui Saba rievoca le tappe significative della sua
vita; esprime il sentimento di diversità vissuto nel rapporto con gli intellettuali della rivista «La Voce» durante il soggiorno a Firenze.
Attività sul testo 1. Il significato di “onestà” Nella concezione di Saba “onestà” significa a. □ immediatezza. b. □ facilità. c. □ sincerità. – Riguarda solo i contenuti o anche le scelte stilistiche? © Casa Editrice G. Principato SpA
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□
modestia.
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b. Poesia vs “letteratura”
Attività sul testo Abilità: comprendere e analizzare
2. Il concetto di “ispirazione” Come si deve intendere il concetto di “ispirazione”? a. □ Rivelazione magica. c. □ Autenticità dei contenuti. b. □ Capacità di immaginazione. d. □ Artificio formale. 3. L’onestà in letteratura A che cosa deve reagire l’onestà letteraria? 4. Una definizione della poetica di Saba Nel testo →T❸b cosa intende Saba per «la sua particolare poetica»?
Esercitare le competenze
5. Spiegare i punti chiave della poetica e della fortuna di Saba Il poeta si definisce «arretrato» e «periferico»: spiega il significato dei due termini in contesto e quale rapporto possono avere con la sua «contrastata fortuna».
Scheda
toria e cronistoria S del Canzoniere: Saba interpreta Saba
4 Umberto Saba � CLASSICI
Nel 1944 mentre progetta la secon da edizione del Canzoniere (che sarà pubblicata da Einaudi nel 1945), Saba comincia a scrivere un ampio saggio dedicato all’analisi della sua produzio ne poetica: sarà completato nel 1947 e pubblicato l’anno dopo con il titolo Storia e cronistoria del Canzoniere. Il saggio è strutturato in venti capitoli, cor rispondenti alle sezioni del Canzoniere del 1945 (→p. 261), introdotti e conclusi da due altri capitoli complessivi sulla po esia di Saba. Nella prefazione il poeta illustra lo scopo del saggio: difendere la propria opera dall’indifferenza e dalle letture riduttive susseguitesi nel corso del tempo; l’assunzione della maschera di critico è secondo lui giustificata, in quanto si
ritiene la persona più autorizzata a parlare della propria poesia grazie alla serenità che gli proviene dall’età: «Il saggio» scrive «è pieno di particolari e di fatti dei quali solo chi li ave va vissuti poteva essere a conoscenza. [...]. Per ragioni di età ed altre, quando Saba incomin ciò a scriverlo, si sentiva abbastanza “distacca to” dalla sua poesia per poterla guardare con occhi, relativamente, sereni». L’autodifesa in realtà è svolta in terza persona e presentata come una «tesi di laurea» di un certo Giuseppe Cari mandrei; l’originalità dell’opera è proprio nella creazione della voce anonima che gestisce il testo secondo le procedure di un saggio critico: l’occasione della composizione, l’analisi del testo, il com
Pagine autografe di Saba.
mento e il giudizio, il rapporto con le ten denze poetiche e i poeti del periodo, la discussione delle opinioni degli studiosi. Al di là dell’intenzione auto-apologetica, Storia e cronistoria del Canzoniere co stituisce una vera e propria guida alla lettura, da cui oggi non è più possibile prescindere per lo studio e la compren sione del Canzoniere.
c. La funzione terapeutica della poesia: Finale Umberto Saba_Canzoniere, Preludio e canzonette U. Saba, Tutte le poesie, a c. di A. Stara, intr. di M. Lavagetto, Mondadori, Milano 1988
La metrica Tre strofe: la prima e l’ultima, di due versi endecasillabi a rima baciata, fungono da premessa e conclusione rispetto a quella centrale, di endecasillabi prevalentemente rimati
La poesia, pubblicata in rivista nel 1922 e successivamente nella raccolta Figure e canti (1926), a partire dalla seconda edizione del Canzoniere (1945) conclude la sezione Preludio e canzonette: la collocazione, come il titolo, evidenzia il carattere di conclusione, anche se provvisoria, che il poeta le assegna nella propria meditazione sulla vita e sulla sua esperienza artistica.
L’umana vita è oscura e dolorosa, e non è ferma1 in lei nessuna cosa.
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Solo il passo del Tempo è sempre uguale. Amor fa un anno come un giorno breve2; il tedio accoglier numerosi gli anni può in una sola giornata; ma il passo suo non sosta, né muta3. Era Chiaretta4 una fanciulla, ed ora è giovanetta, 256
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1 ferma: stabile, immutabile. 2 Amor... breve: l’amore è capace di rendere
un anno di vita della durata di un giorno. 3 il tedio... muta: la noia accoglie numerosi anni in un giorno (cioè sono resi uguali dalla monotonia), ma lo scorrere del tempo non si arresta e non cambia. 4 Chiaretta: a questa figura femminile Saba dedica alcune poesie nella stessa raccolta Preludio e canzonette e in quella precedente (L’amorosa spina).
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sarà donna domani. E si riceve, queste cose pensando, un colpo in mezzo del cuore5. Appena, a non pensarle, l’arte mi giova; fare in me di molte e sparse cose una sola e bella6. E d’ogni male mi guarisce un bel verso. Oh quante volte – e questa ancora – per lui che nessuno più sa, né intende, sopra l’onte e i danni, sono partito da Malinconia e giunto a Beatitudine per via7.
5 E si riceve... cuore: pensando a queste cose,
si riceve un dolore terribile nel cuore. 6 Appena... bella: a malapena la poesia mi aiuta a non pensare a quelle verità dolorose (cioè lo scorrere del tempo, il venir meno della giovinezza e dell’amore); mi aiuta (a
non pensarci) a riunire molti e diversi temi in un un’unica opera bella. 7 Oh quante... per via: quante volte, e anche questa, per merito di un bel verso (lui: il pronome è riferito a bel verso al v. 14), che attualmente nessuno più conosce né capi-
sce, superando le offese (onte) e le sofferenze (danni), sono partito dalla malinconia e sono arrivato alla beatitudine. Malinconia, con l’iniziale maiuscola, evoca il sonetto di Dante Un dì si venne a me Malinconia.
Guida alla lettura
La visione dolorosa della vita ▪ La poesia enuncia la visione dolorosa della vita che il poeta ha già ripetuta-
Attività sul testo Abilità: comprendere e analizzare
1. Tre parti titolate Suddividi il componimento in tre parti (esordio, svolgimento, epilogo) e dai a esse un titolo. 2. Chiaretta Di che cosa è simbolo Chiaretta? a. □ Della fugacità dell’amore e della felicità. b. □ Della fugacità del tempo e della giovinezza. c. □ Della potenza dell’amore nella vita. d. □ Della vanità dell’amore e delle sue illusioni. – Come risuona nell’animo del poeta questo simbolo? 3. Dall’universale al personale In quale punto del testo avviene il passaggio dal discorso universale a quello personale? 4. Il percorso psicologico Quale percorso psicologico è delineato nel testo? Quali espressioni lo indicano? a. □ La perdita dell’entusiasmo per la vita. b. □ La conquista della consapevolezza del proprio valore. c. □ La conquista della serenità interiore. d. □ La rinuncia a qualsiasi forma di consolazione.
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2 Il Canzoniere
mente espresso in testi precedenti, trasponendola ora dal piano autobiografico a una dimensione universale: Saba riprende qui temi ricorrenti nella tradizione poetica, letteraria (dai classici greci a Petrarca a Leopardi) e anche religiosa (la Bibbia): l’infelicità della condizione umana («L’umana vita è oscura e dolorosa»), l’instabilità e l’assenza di certezze che la caratterizzano. Unico sollievo al tedio della vita è Amor, anch’esso però destinato a subire lo scorrere inesorabile del Tempo. Oltre ai concetti, anche le modalità enunciative (con la forma assertiva e impersonale dal v. 1 al v. 7) conferiscono alla prima parte del componimento un tono sapienziale. Il testo entra poi nella sfera personale, avvalorando le verità generali con l’intensità dell’esperienza vissuta dal poeta. Il riferimento a Chiaretta, l’ultimo amore del poeta, incarna così il passare del tempo e della giovinezza. Il conforto della poesia ▪ La soluzione alle sofferenze, indotte dalle esperienze e dalle amare riflessioni esistenziali, è identificata nell’arte: essa non può rappresentare un vero rimedio, ma è comunque una distrazione, un sollievo al male di vivere. Le meditazioni dolorose si sublimano nella bellezza della poesia («un bel verso») che assume una funzione terapeutica («mi guarisce»). La conquista progressiva di serenità – la Beatitudine che subentra alla Malinconia – è scandita dai verbi di moto appartenenti al campo semantico del viaggio: sono partito, giunto. Pur nell’isolamento cui la sua poesia è costretta dall’incomprensione dei contemporanei – [il verso] «che nessuno / più sa, né intende» –, Saba rivendica orgogliosamente il valore della sua opera.
5. L’uso delle maiuscole Perché secondo te Malinconia e Beatitudine sono scritte con la maiuscola? 6. La solitudine Individua nella poesia il tema della solitudine: a che cosa egli la attribuisce? a. □ Alla fine dell’amore. c. □ Alla delusione dell’arte. b. □ All’incomprensione della sua poesia. d. □ Alla concezione elitaria del ruolo del poeta. 7. La costruzione sintattica Quale procedimento retorico è ricorrente nella costruzione sintattica del testo? a. □ Enumerazione. b. □ Asindeto. c. □ Iperbato. d. □ Anacoluto. – Esemplificalo con almeno una citazione dal testo e spiegane il valore stilistico. Esercitare le competenze
8. Spiegare la concezione dell’arte e della poesia nel componimento di Saba e argomentare in merito Quale concezione dell’arte traspare da questo componimento di Saba? Quale funzione assolve l’arte e in particolare il «bel verso» per il poeta? Che cosa salva il poeta dalla visione pessimistica della vita? Sei d’accordo con questa interpretazione? Argomenta in merito.
d. La rima fiore : amore : Amai U. Saba, Tutte le poesie, a c. di A. Stara, intr. di M. Lavagetto, Mondadori, Milano 1988
Umberto Saba_Canzoniere, Mediterranee Composta nel 1945 e inserita nella sezione Mediterranee, la lirica rappresenta l’ultimo manifesto in versi della poetica di Saba, che vi delinea a posteriori le motivazioni profonde della sua opera, sintetizzandole in poche, essenziali formule.
ANALISI TESTUALE 4 Umberto Saba � CLASSICI
La metrica Due quartine più un distico di versi endecasillabi, tranne il terzo che è trisillabo; i versi centrali delle quartine hanno la rima baciata, l’ultimo della prima quartina rima con il primo della seconda, mentre l’ultimo della seconda rima con il primo del distico
Amai trite1 parole che non uno osava. M’incantò la rima fiore amore2, la più antica difficile del mondo. 5
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Amai la verità che giace al fondo, quasi un sogno obliato3, che il dolore riscopre amica. Con paura il cuore le si accosta, che più non l’abbandona4. Amo te5 che mi ascolti e la mia buona carta lasciata al6 fine del mio gioco.
1 trite: consumate dall’uso. 2 la rima… amore: in Trieste
(→T❺) i vv. 12-13 «per regalare un fiore; / come un amore» realizzano questa rima fiore : amore. 3 quasi un sogno obliato: simile a un sogno
dimenticato, che riaffiora alla coscienza. 4 che il dolore... abbandona: il cuore si accosta con timore alla verità per il dolore che può suscitare, ma una volta scoperta non l’abbandona più.
Guida alla lettura
te: l’interlocutore, la cui identità è lasciata volutamente indeterminata, a cui il poeta dedica la poesia. 6 al: alla. 5
La poesia, scritta nel secondo dopoguerra, appartiene alla stagione della piena maturità poetica di Saba. Il significato centrale della sua lunga attività è qui espresso in modo emblematico dalla ripetizione del verbo amare al passato remoto nelle prime due strofe; esso esplicita l’origine non intellettualistica della sua poesia: la lirica è strutturata come una triplice dichiarazione d’amore, nei confronti degli elementi che per il poeta triestino contraddistinguono il fare poesia. La fedeltà alla tradizione ▪ Nella prima quartina Saba ribadisce i principi che hanno guidato la sua ricerca stilistica: riafferma la sua fedeltà alle «trite parole», cioè alla lingua comune, e alla tradizione poetica, identificata dalla formula «la rima fiore / amore», da lui assunta come modello, con una scelta solitaria («che non uno / osava»), opposta alle tendenze dominanti nel suo tempo. La rima è però definita difficile, perché la fedeltà alla tradizione non è stata per il poeta passiva imitazione, ma volontà e sforzo di creare, a partire da quella lezione, una poesia nuova. Una triplice dichiarazione d’amore ▪
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La ricerca della verità ▪ La seconda quartina è dedicata ai temi a lui congeniali, riconosciuti nella «verità che
giace al fondo», cioè ricerca delle emozioni e motivazioni segrete dei comportamenti, destinate altrimenti a rimanere nascoste, «quasi un sogno obliato». Secondo il poeta è l’esperienza del dolore ad avvicinare alla ricerca della verità, che, una volta portata alla luce, risulta amica, cioè familiare. Il cuore può temere quella verità (cioè la conoscenza delle ragioni della propria sofferenza), ma poi «non l’abbandona» in quanto essa dà significato all’esistenza umana e al dolore stesso. Una poetica sempre attuale ▪ Nella strofa finale la ripresa anaforica al presente dello stesso verbo con cui iniziano le due precedenti (Amo) ribadisce la vocazione originaria anche in quella che il poeta sente come la stagione conclusiva della sua vita e della sua opera: la poesia è per Saba un atto d’amore, ora espresso nei confronti del proprio interlocutore («te che mi ascolti») e della nuova stagione poetica («la mia buona /carta lasciata al fine del mio gioco») che la sorte gli ha concesso; nel linguaggio metaforico (carta, gioco) la ricerca poetica si conferma come il senso della sua opera e della sua esistenza. Lo stile ▪ L’incisività del testo, una sorta di testamento spirituale oltre che poetico, è il risultato della semplificazione sintattica e della scelta di una struttura omogenea, contraddistinta nelle tre strofe dalle riprese anaforiche del verbo amare e dai parallelismi nella costruzione della frase iniziale, in cui alla breve proposizione principale segue la relativa.
Attività sul testo Abilità: comprendere e analizzare
VERSO IL NUOVO ESAME Tipologia B.
Documento critico Lorenzo Polato_L’originalità del linguaggio poetico di Saba L. Polato, L’aureo anello. Saggi sull’opera poetica di Umberto Saba, Franco Angeli, Milano 1994
Analisi e produzione di un testo argomentativo
Il saggio del critico Lorenzo Polato è dedicato all’analisi degli elementi caratterizzanti la lingua poetica sabiana; il passo riportato prende in esame il grado di sperimentazione che la distingue rispetto ai poeti del primo Novecento e il suo rapporto con la tradizione letteraria, e le sue forme più trite.
La descrizione di alcuni aspetti della lingua poetica di Saba, quali i fenomeni di inversione sintattica, l’assunzione di modi e forme della lingua quotidiana, il carattere e la funzione di alcune similitudini e metafore, certe tendenze del lessico (dell’aggettivazione © Casa Editrice G. Principato SpA
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Esercitare le competenze
1. L’amore del poeta strofa per strofa Indica per ciascuna strofa l’“oggetto” dell’amore del poeta. 2. Il verso 5 Il verso «Amai la verità che giace al fondo» significa che a. □ per il poeta il raggiungimento della verità avviene nel sogno. b. □ per il poeta raggiungere la verità è un sogno. c. □ il poeta predilige la ricerca interiore. d. □ il poeta deve cercare la verità nascosta nel profondo. 3. L’uso dei tempi verbali Quale valore riveste il passato remoto dominnate nelle prime due strofe e quale il presente nella terza? a. □ Il cambiamento dell’oggetto del proprio amore. b. □ Il trascorrere inesorabile del tempo. c. □ La continuità del sentimento e della sua poetica. d. □ Le disillusioni vissute dal poeta. 4. L’anastrofe Qual è la funzione delle riprese in anastrofe all’inizio di verso? a. □ Metrica. b. □ Ritmica. c. □ Sintattica. d. □ Semantica. – Motiva la tua risposta. 5. La poetica nella prima strofa Quale principio della poetica di Saba è espresso nella prima strofa? Ti sembra confermato in questa lirica? 6. Spiegare perché questo componimento è un “bilancio” dell’itinerario di Saba Riflettendo in particolare sull’ultima breve strofa, spiega il carattere di bilancio di un intero cammino poetico ed esistenziale assunto dal testo e quale stato d’animo raggiunto dal poeta traspare in questa conclusione.
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in particolare), ci sembra possa costituire un avvio e un contributo ad un esame che di tale lingua voglia indicare la molteplicità dei piani e delle direzioni. [...] La lingua di Saba presenta una costante tendenza all’inversione sintattica. Si tratta di uno dei fenomeni più vistosi dell’aulicità di tale lingua, e l’analisi di esso ci sembra assai opportuna anche per chiarire il significato, almeno entro certi limiti, di una etichetta – aulicità – spesso attribuita od usata in modo generico come se esistesse dietro la parola una realtà scontata e definita. Tale analisi offre inoltre la possibilità di individuare altri fenomeni interessanti quali quello dell’antitesi e di rilevare alcune tipiche soluzioni del rapporto metrica-sintassi. Molto spesso, e in modo particolare nelle prime raccolte, l’inversione avviene per ragioni di rima. Si tratta certamente di un’operazione esterna, ma va notato subito che la fedeltà alla rima finisce col promuovere la tendenza ad una disposizione sintattica particolare, destinata ad organizzarsi come una costante, anche indipendentemente dalla necessità della rima stessa. [...] Saba parte da stilemi e costrutti tradizionali, ma giunge ad una sua originalità sintattica perché sa scoprire uno spazio, una possibilità di manovra, una libertà, entro le maglie di un organismo che gli si presentava rigido, inerte per la sua ovvietà. È uno sperimentare difficile, che comporta pericolose conseguenze, difficile quanto quello che il poeta attua nel registro prosastico: nell’uno e nell’altro caso si dirige verso il comune, il logoro, l’ovvio (nella dimensione così del letterario come del quotidiano) e lo riscatta spesso in una lingua poetica che possiamo dire nuova. È un procedimento molto lontano da quello che caratterizza invece, in direzione del valore evocativo della parola, l’opera di rinnovamento dei più significativi poeti del primo Novecento. Non condizionata da una forte mediazione dannunziana o pascoliana, come quella di numerosi altri poeti del suo tempo (in modo particolare i crepuscolari), la lingua di Saba si riallaccia direttamente alla prima stagione della tradizione ottocentesca (Foscolo, Leopardi, Manzoni), di cui il poeta riprende le forme più trite, con quella stessa insistenza che rivela, per esempio, nell’utilizzazione di aggettivi e sostantivi tanto comuni (Amai trite parole) da essere ritenuti impoetici per l’abuso secolare che ne ha fatto il linguaggio quotidiano.
Comprendere e produrre Comprendere
1. Tra le seguenti affermazioni riferite alla tendenza in Saba all’inversione sintattica indica quali sono corrette (C) e quali errate (E). L’inversione sintattica C E □ □ a. avviene sempre per ragioni di rima. b. è uno dei procedimenti più ricorrenti e originali di Saba. □ □ c. è una sperimentazione che porta al prosastico. □ □ d. rappresenta un elemento di sostenutezza aulica. □ □ e. appartiene al registro colloquiale. □ □ f. assume un importante valore espressivo. □ □ 2. Secondo il critico, che cosa accomuna nel linguaggio poetico sabiano la sperimentazione sintattica e quella lessicale? Quale effetto ne deriva? 3. Quali autori indica Polato come fonti letterarie della lingua di Saba? Quali modelli sono invece assenti? Come questa scelta caratterizza il suo stile?
Produrre
4. Scegli una lirica di Saba e mettila a confronto con quanto sostenuto dal critico: elabora quindi un’analisi del testo scelto e, applicando le indicazioni presenti nel brano analizzato, in un testo di circa 2 colonne di foglio protocollo, metti in luce le modalità con cui il poeta innova il linguaggio poetico pur nella fedeltà alla tradizione letteraria.
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2 Un libro poetico in divenire Pubblicato in varie edizioni nel tempo, il Canzoniere riunisce le diverse raccolte di poesie composte e pubblicate da Saba, che egli organizza in un’opera unitaria. Il titolo ▪ Il titolo dell’opera rimanda in modo immediato al celeberrimo Canzoniere di Petrarca: una scelta che suggerisce il legame dell’opera di Saba con la grande tradizione della poesia italiana. 1921 — Prima edizione del Canzoniere La prima edizione del Canzoniere, uscita a Trieste nel 1921, comprende le raccolte composte fino a quel momento (circa 200 testi scritti tra il 1900 e il 1921). È strutturata in 10 sezioni, secondo un ordine cronologico che dispone i testi in relazione alle diverse fasi della biografia dell’autore.
Alle prime quattro sezioni (corrispondenti a Poesie, la prima raccolta del 1911) che rivelano l’apprendistato poetico, seguono i Versi militari, caratterizzati dall’unione di situazioni e linguaggio realistici con la forma metrica del sonetto propria della tradizione letteraria.
Le raccolte Casa e campagna e Trieste e una donna sono le più significative. Un’altra sezione, La serena disperazione, indica nel titolo il dominio, almeno temporaneo, dell’angoscia esistenziale; la conquista di una nuova serenità si manifesta in particolare in Cose leggere e vaganti e L’amorosa spina.
1925 — Seconda edizione del Canzoniere
È il risultato di un totale rifacimento del primo Canzoniere: i testi là compresi compaiono solo in parte e quelli scelti sono sottoposti a un processo di revisione formale, di cui il poeta stesso ha fornito alcune esemplificazioni in Storia e cronistoria del Canzoniere, motivandone le ragioni.
1948 — Terza edizione del Canzoniere La terza edizione del Canzoniere è del 1948. Tutta la produzione di Saba è strutturata in tre volumi, ciascuno corrispondente a una fase della vita e inserito in un sistema complesso di relazioni che collega i testi e le raccolte.
Il primo volume, che comprende circa la metà del Canzoniere del 1921, è costituito in maggior parte dalle raccolte già citate come le più significative della prima edizione. Nel secondo volume le sezioni più significative sono: Preludio e canzonette, in cui prevalgono le forme metriche tradizionali (canzonetta); Autobiografia; Preludio e fughe che, ispirata alle “fughe” musicali con l’alternanza di voci, attraverso la struttura in forma di dialogo rappresenta la
dialettica della vita interiore del poeta; Il piccolo Berto. Il terzo volume si apre con le raccolte Parole e Ultime cose, considerate tra le espressioni più alte della poesia di Saba; in relazione a un più distaccato rapporto con la propria dolorosa vicenda esistenziale, a una maggiore chiarificazione ed essenzialità dei contenuti, la poesia di Saba procede verso un’ulteriore semplificazione stilistica.
1961 — Edizione definitiva del Canzoniere Nel 1961 esce postuma l’edizione definitiva del Canzoniere, secondo le indicazioni del poeta, per un totale di 437 liriche.
Comprende anche le ultime quattro raccolte: Epigrafe, Uccelli, Quasi un racconto, Sei poesie della vecchiaia.
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Il secondo Canzoniere esce nel 1945 per Einaudi. Alle precedenti raccolte rielaborate si aggiungono le otto composte e pubblicate dopo il 1921.
Un’opera unitaria ▪
Nel Canzoniere, nonostante le indubbie differenze tra le varie raccolte che vi sono confluite nel tempo, si possono rintracciare ricorrenze tematiche che accomunano le diverse sezioni. Il carattere unitario dell’opera è stato sottolineato dal poeta stesso: «Saba riconosce una certa interdipendenza fra le singole parti della sua opera; una continuità che non può essere spezzata senza danno dell’insieme». Le ricorrenze non riguardano solo i temi-chiave dell’opera, ma anche i personaggi: la madre, la balia, la moglie, alcune donne amate dal poeta e indicate esplicitamente con il nome, come Chiaretta; a essi si accompagnano le figure-simbolo, in particolare giovani che assumono varie forme o identità (Glauco, Il fanciullo appassionato), nei quali il poeta riconosce se stesso o che funzionano da “maschere” cui attribuire le sue emozioni o i suoi pensieri. L’unitarietà dell’opera è il risultato di una consapevole strategia dell’autore: i temi ricorrenti nel Canzoniere sono messi in evidenza dal loro ripetersi in diverse poesie, anche di periodi lontani, così da realizzare un’unità profonda. I temi
La centralità della dimensione autobiografica ▪ In Storia e cronistoria del Canzoniere
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Saba individua il carattere dominante del Canzoniere nell’autobiografismo, che così definisce: «Il Canzoniere è la storia (non avremmo nulla in contrario a dire il “romanzo”, e ad aggiungere, se si vuole, “psicologico”) di una vita, povera (relativamente) di avvenimenti esterni; ricca, a volte, fino allo spasimo, di moti e di risonanze interne». Fin dalle sue prime poesie Saba “racconta” la sua vita e i suoi stati d’animo, attraverso “episodi” anche minimi che hanno assunto per lui un significato emblematico, sia in singole poesie sia in intere raccolte: ad esempio Autobiografia è una sorta di sistematica rivisitazione delle tappe significative della sua biografia fino alla maturità; Il piccolo Berto è interamente incentrata sul recupero dell’infanzia attraverso la chiave di lettura fornita dalla psicoanalisi. Centrali, come già si è detto, nell’autobiografia-romanzo di Saba, sono i traumi vissuti nell’infanzia (→U1T❶-❷), avvertiti come costitutivi della sua storia e della sua personalità anche prima della consapevolezza data dalla terapia psicoanalitica. Tra le successive esperienze esistenziali ha un posto di particolare rilievo l’amore, in particolare per la moglie Lina. Una vera e propria dichiarazione d’amore è, in Casa e campagna, una delle prime raccolte, la celebre poesia A mia moglie (→T➍): nell’insolita forma di un paragone tra la donna e le femmine degli animali domestici Saba esalta la dimensione erotica e insieme affettiva e spirituale del suo sentimento verso la moglie. In Nuovi versi alla Lina (in Trieste e una donna) il tema prevalente è il rapporto complesso con la moglie originato dalla problematica dimensione affettiva infantile. Illuminante del conflitto tra la pulsione istintuale e le inibizioni prodotte dall’educazione è la poesia Eros (in Cuor morituro), con un protagonista adolescente che rappresenta l’alter ego del poeta. In successive raccolte (in particolare La serena disperazione, L’amorosa spina e Preludio e canzonette) l’eros è indagato in forme diverse, con espliciti riferimenti autobiografici a nuove occasioni d’amore. Autobiografica è anche la piccola raccolta 1944, che comprende le poesie composte durante la clandestinità a Firenze: le vicende personali si intrecciano qui con quelle storiche (la seconda guerra mondiale), in particolare in Teatro degli Artigianelli, una sorta di istantanea di un momento di festa in un teatro popolare per l’avvenuta liberazione. Il lungo “romanzo” della vita del poeta culmina nella poesia Ulisse (in Mediterranee, una delle ultime raccolte), con un ritratto “simbolo”. Nella figura dell’eroe omerico Saba rappresenta il significato profondo della sua esistenza: i principi che l’hanno contraddistinta (l’amore per la conoscenza, simboleggiato dal viaggio, e la rinuncia alla tranquillità esistenziale, emblematicamente rappresentata dal “porto”) sono così trasposti sul piano del mito. 262
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La lacerazione interiore e l’adesione alla “vita di tutti” ▪
Il ghetto ebraico di Trieste in una
foto degli anni Trenta.
Lo stile
La fedeltà alla tradizione ▪ Il linguaggio poetico scelto da Saba è quello della tradizione let-
teraria italiana, che si traduce innanzitutto nell’uso dei versi tradizionali, soprattutto endecasillabi e settenari, e rende la sua opera estranea alla rivoluzione del verso libero. Dalla tradizione Saba deriva anche le forme strofiche di molte sue poesie: il sonetto innanzitutto ma anche la canzonetta e il madrigale. Presenza costante e ricercata è la rima, soprattutto nella forma “facile”, in contrasto con la tendenza dominante nella poesia del Novecento: per essa in Amai (→T❸d), come si è visto, dichiara la sua predilezione («M’incantò la rima fiore / amore»). Ma quello di Saba è solo un tradizionalismo apparente: sostiene l’uso della tradizione ma in funzione di una poesia profondamente nuova. © Casa Editrice G. Principato SpA
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L’io lirico occupa incontrastato la scena del Canzoniere, ma è del tutto assente la dimensione autocelebrativa dannunziana. Centrale nell’opera di Saba è infatti una condizione interiore di scissione e lacerazione: essa si manifesta come sentimento di solitudine e dolore ma insieme desiderio di vivere la «calda vita» (Il Borgo) nella sua pienezza. Il senso di estraneità ed esclusione nei confronti del mondo e degli altri uomini (Trieste →T❺) accomuna Saba alla condizione del poeta moderno, ma il poeta triestino, a differenza della poesia simbolista e decadente, contrappone al pessimismo esistenziale l’amore per la vita e per l’umanità, la costante volontà di incontrare il mondo, il bisogno di sentirsi uguale agli altri: «Esser uomo tra gli umani, / io non so più dolce cosa» (Sesta fuga). Il mondo del “quotidiano” ▪ Se il centro della poesia di Saba è il mondo interiore, lo spunto da cui la sua riflessione prende le mosse riguarda sempre la vita quotidiana, i gesti e le abitudini di tutti i giorni. Spesso le sue poesie assumono un andamento narrativo, sono il “racconto” di una situazione osservata o vissuta: dalle passeggiate e gli incontri per Trieste (Trieste →T❺, Città vecchia →T❻) alle figure familiari (oltre alla madre e alla balia, la moglie, la figlia, le giovani commesse della libreria), ai ragazzi che incontra, agli animali presenti nella sua vita (dalla gallina e dal merlo dell’infanzia e adolescenza a quelli “da cortile” in A mia moglie (→T❹). Persino minuzie della realtà quotidiana, come il coccio di In riva al mare (→T❽OL), possono diventare il tramite per raccontare la ricerca del senso della vita; ma non mancano le gioie e i momenti di serenità, ad esempio attraverso la grazia leggera della figlia e lo spettacolo del cielo sulla sua città (Ritratto della mia bambina →T❼). Anche la natura è ritratta nella dimensione quotidiana, distante dall’adesione estetizzante e sensuale dell’Alcyone di D’Annunzio. Trieste ▪ La città natale di Saba è onnipresente (addirittura si è parlato di una forma di simbiosi) non solo nella produzione in versi ma nella prosa narrativa (in particolare nel romanzo autobiografico Ernesto), nella produzione critica e nella stessa corrispondenza epistolare. La città natale tende a rappresentare per il poeta tutta la realtà: gli elementi della natura, in particolare il mare e il cielo, sono da lui vissuti in relazione ad essa e la sua idea stessa di umanità è correlata allo spazio urbano triestino. Saba è consapevole di aver assegnato alla sua città, con la propria opera, un posto nella poesia italiana: «Avevo una città bella tra i monti / rocciosi e il mare luminoso. Mia / perché vi nacqui, più che d’altri mia / che la scoprivo fanciullo, ed adulto / per sempre a Italia la sposai col canto».
TESTO
La critica più recente ha precisato che il conservatorismo di Saba non implica l’estraneità del poeta all’inquietudine e alla sperimentazione di gran parte della poesia del primo Novecento. Il rinnovamento si realizza in lui mediante gli strumenti della tradizione poetica: nella metrica tramite l’abbassamento prosastico dell’endecasillabo, nel lessico tramite la combinazione di aulico e quotidiano, la mescolanza di termini colloquiali (ad esempio cose) con arcaismi e forme letterarie alte. A differenza dei crepuscolari, Saba associa diversi registri lessicali non per produrre un effetto di contrasto o con un intento ironico, ma per conferire alla dimensione quotidiana una forma tale da «convertire un’esperienza personale in storia emblematica di tutti» (Mengaldo), una forma che la renda universale. Questo obiettivo è raggiunto anche grazie a una costruzione complessa e ricercata, in cui l’apparente semplicità del linguaggio è sostenuta da una sintassi elaborata, ottenuta attraverso il ricorso ai procedimenti dell’inversione sintattica e dell’iperbato.
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Umberto Saba_Canzoniere, Casa e campagna
U. Saba, Tutte le poesie, a c. di A. Stara, introd. di M. Lavagetto, Mondadori, Milano 1988 4 Umberto Saba � CLASSICI
La metrica Sei strofe di varia lunghezza per complessivi ottantasette versi, a loro volta di diversa misura: dal bisillabo all’endecasillabo, con prevalenza dei settenari; le rime, numerosissime, sono disposte senza un ordine fisso. Il modello metrico più simile è la canzone libera di Leopardi
La poesia è dedicata alla moglie Lina e fa parte della sezione Casa e campagna: attraverso una serie di paragoni tra la donna e gli animali più comuni Saba mette in rilievo le qualità e le caratteristiche che Lina condivide con questi. L’insolito accostamento, inizialmente poco gradito dalla moglie stessa e giudicato scandaloso dai primi lettori, vuole celebrare, attraverso la femminilità della moglie, la vicinanza della donna alla natura, all’interno di una dimensione di laica religiosità: «È come sono tutte / le femmine di tutti / i sereni animali / che avvicinano a Dio».
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Tu sei come una giovane, una bianca pollastra1. Le si arruffano al vento le piume, il collo china per bere, e in terra raspa; ma, nell’andare, ha il lento tuo passo di regina, ed incede2 sull’erba pettoruta e superba. È migliore del maschio. È come sono tutte le femmine di tutti i sereni animali che avvicinano a Dio. Così se l’occhio, se il giudizio mio non m’inganna, fra queste hai le tue uguali, e in nessun’altra donna3. Quando la sera assonna4 le gallinelle, mettono voci5 che ricordan quelle, dolcissime, onde6 a volte dei tuoi mali
1 pollastra: gallina; l’uso del termine meno consueto conferisce preziosità all’insolito paragone; la gallina, normalmente considerata un animale da cortile, poco nobile, ha invece un ruolo importante nell’opera di Saba, corrispondente alla sua idea della “poesia delle cose”. Sappiamo che nella difficile ado-
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lescenza di Umberto una gallina e un merlo avevano avuto un ruolo consolatorio. 2 incede: avanza; l’uso del termine ricercato al posto di quello quotidiano sottolinea la regalità dell’andatura come i due agg. pettoruta (impettita, col petto in fuori) e superba, entrambi espressione di importanza. © Casa Editrice G. Principato SpA
3 fra queste... donna: le caratteristiche di Lina la rendono simile alle femmine degli animali e non alle altre donne. 4 assonna: fa addormentare (assonnare è d’uso letterario e poetico). 5 mettono voci: producono suoni, versi. 6 onde: con le quali.
ti quereli7, e non sai che la tua voce ha la soave e triste musica dei pollai. 25
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Tu sei come una lunga17 cagna, che sempre tanta dolcezza ha negli occhi, e ferocia nel cuore. Ai tuoi piedi una santa18 sembra, che d’un fervore19 indomabile arda, e così ti riguarda20 come il suo Dio e Signore. Quando in casa o per via segue21, a chi solo tenti avvicinarsi, i denti candidissimi scopre. Ed il suo amore soffre di gelosia.
Marc Chagall, Circo Blu (1950, Londra.
Tate Gallery).
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Tu sei come una gravida8 giovenca9; libera ancora e senza gravezza10, anzi festosa; che, se la lisci11, il collo volge, ove tinge un rosa tenero la sua carne12. Se l’incontri13 e muggire l’odi14, tanto è quel suono lamentoso15, che l’erba strappi, per farle un dono16. È così che il mio dono t’offro quando sei triste.
Tu sei come la pavida22 coniglia. Entro l’angusta23 gabbia ritta al vederti s’alza, e verso te gli orecchi alti protende e fermi; che la crusca e i radicchi24
7 ti quereli: ti lamenti; anche in questo caso la voce aulica conferisce maggiore dignità alla donna. 8 gravida: incinta. 9 giovenca: giovane mucca, vitella. 10 libera... gravezza: ancora agile e non appesantita nei movimenti dalla gravidanza. 11 lisci: accarezzi. 12 ove... carne: dove la pelle ha un colore rosa tenero.
13 incontri: il verbo in questo caso è riferito
a un sogg. generico. 14 l’odi: la senti (forma letteraria). 15 tanto... lamentoso: iperbato. 16 farle un dono: offrirgliela da mangiare. 17 lunga: riferito alla posizione, allungata ai piedi del padrone, in atteggiamento di riposo ma anche di guardia, come indicano subito dopo i due termini antitetici dolcezza e ferocia. © Casa Editrice G. Principato SpA
18 una santa: per la devozione nei confronti
del padrone.
19 fervore: ardore, passione. 20 riguarda: guarda. 21 segue: ti segue. 22 pavida: paurosa. 23 angusta: stretta. 24 radicchi: radicchi selvatici, erbe spontanee
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TEMI 11 Letteratura e industria Tra la seconda metà degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta il rapido sviluppo industriale e il boom economico trasformano la società italiana e modificano lo stesso volto del paesaggio, soprattutto nel Nord del paese. Il Sud rimane ai margini del processo, fornendo soprattutto manodopera all’industria grazie all’emigrazione di massa verso il Nord sviluppato. La fabbrica e la figura dell’operaio diventano per alcuni anni una presenza chiave nell’immaginario collettivo e ispirano il dibattito ideologico. Il volto stesso dell’intellettuale muta e non pochi si inseriscono a vari livelli nella vita industriale (in particolare grazie al progetto illuminato e illuministico di Adriano Olivetti). La fabbrica e la condizione operaia costituiscono un tema d’obbligo per la letteratura stessa, che tende a rappresentare una voce “critica”, che svela le contraddizioni e i costi umani del processo (da Mastronardi a Bianciardi a Volponi). Già nei primi anni Settanta nuove tecnologie, un mercato più articolato, un capitalismo più aggressivo portano al declino del lavoro operaio tradizionale e aprono nuovi, inquietanti scenari che ancora una volta la letteratura è chiamata a interpretare. L’EPOCA
le immagini • Periferia di Mario Sironi • Il grattacielo Pirelli a Milano in costruzione • 1956: operai ai cancelli della FIAT al Lingotto, in attesa di entrare al lavoro • Lavatrici in esposizione in uno dei primi centri commerciali, anni Sessanta • Pubblicità della macchina per scrivere Olivetti Lettera 22 progettata da Marcello Nizzoli • Pubblicità della nuova 500 FIAT
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La letteratura interpreta le contraddizioni del boom economico L’Alfa Romeo 100 sulla linea di produzione dello stabilimento del Portello (1955), foto di Tino Petrelli ◁△ particolari.
Lo sviluppo industriale e i cambiamenti nella società italiana
strumenti PER STUDIARE
Un rapido sviluppo economico ▪
Tra il 1955 e il 1963, l’Italia conosce un periodo di grande sviluppo, una crescita economica intensa che nell’arco di nemmeno dieci anni ridisegna, per lo meno nel Nord, il volto del paese, trasformandolo da prevalentemente agricolo a industriale. È il cosiddetto “miracolo” economico italiano, risultato della concomitanza di molti fattori nazionali (la costituzione di grandi imprese pubbliche, lo sviluppo delle infrastrutture, l’espansione della domanda, la stabilità della moneta) e internazionali (gli aiuti provenienti dall’America grazie al piano Marshall, la costruzione di una Comunità economica europea). Le Olimpiadi di Roma nel 1960 sono viste da molti come simbolo di questa ripresa economica. Lo squilibrio tra Nord e Sud ▪ Le grandi fabbriche hanno sede prevalentemente al Nord, nel “triangolo industriale”; a Torino la Fiat Mirafiori è la più grande concentrazione operaia del paese (dal 1953 al 1962 passa da 16.000 a 32.000 lavoratori). Mentre l’Italia settentrionale è proiettata verso lo sviluppo e la modernità, l’Italia meridionale continua a basarsi su un’economia prevalentemente agricola e stenta ad assimilare la nuova mentalità produttiva. La conseguente emigrazione di massa dalle regioni meridionali alle città industriali del Nord crea inevitabilmente attriti sociali tra emigrati e abitanti delle città del Nord, a causa dei diversi stili di vita e di un divario culturale, e anche linguistico, che renderà l’integrazione un processo non sempre facile e scontato.
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CONTENUTI DIGITALI Esercizi interattivi Ascolti Video
DIDATTICA INCLUSIVA Mappe Sintesi
DIDATTICA PER COMPETENZE Esercitare le competenze
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Trasformazioni spazio-temporali e antropologiche ▪ La ricerca di un posto di lavoro spinge intere
11 Letteratura e industria • TEMI
Emigrante,
dalla serie “Emigranti” del fotografo Uliano Lucas, 1968. Lucas rappresenta l’arrivo di un emigrato (con una grossa valigia e uno scatolone sulle spalle) sul piazzale antistante la Stazione Centrale di Milano, di fronte al Pirellone, il grattacielo disegnato da Giò Ponti, simbolo della moderna città industriale.
famiglie dalle campagne (anche del Nord, dal Veneto, dalla zona pedemontana, dalla Bassa padana) verso le città, e decreta la fine della società rurale e contadina. Le città settentrionali vivono uno sviluppo edilizio caotico, si allargano i sobborghi industriali e la fabbrica diventa un elemento sempre più caratterizzante del profilo urbano. La modernizzazione del paese cambia anche il rapporto fra produzione artigianale e industria, oltre a modificare lo status sociale di intere categorie di lavoratori che perdono, oppure acquistano, un nuovo peso sociale. I tempi dettati dall’industria sono diversi da quelli della natura (il ciclo di lavorazione non rispetta la distinzione tra giorno e notte, la catena di montaggio impone movimenti meccanici e ripetitivi): i nuovi ritmi alimentano l’alienazione, generano disagi psicologici, nevrosi (→T❸). Ma le nuove possibilità di lavoro rappresentano anche un’occasione di riscatto per le classi meno agiate, una presa di coscienza dei propri diritti, oltre che maggiori comodità e appagamento di desideri materiali. Inizia a svilupparsi anche in Italia la “società dei consumi”, oggetto di critica da parte di alcuni scrittori che vedono snaturarsi i rapporti umani in cambio di un poco di benessere; esemplare in questo senso è il romanzo di Bianciardi La vita agra (1962 →T➐). La nascita di una “cultura industriale” ▪ In questi anni i più innovativi gruppi industriali – Olivetti, Pirelli, Finmeccanica, ENI ad esempio – pubblicano anche riviste di carattere culturale e impegnano numerosi intellettuali nello sforzo di divulgare un’immagine positiva dello sviluppo tecnologico. Si costituisce una nuova figura di intellettuale che ha a che fare con la sfera della produzione ed entra direttamente nella fabbrica, lavora nell’ambito delle relazioni aziendali, della selezione del personale, oppure opera a stretto contatto col mondo industriale come adetto stampa, pubblicitario e redattore di riviste (esempi ne sono scrittori come Ottiero Ottieri, Franco Fortini, Paolo Volponi, poeti come Vittorio Sereni, Leonardo Sinisgalli, Attilio Bertolucci). L’utopia di Olivetti ▪ Una delle figure di imprenditori di maggior rilievo in questo periodo è certamente quella di Adriano Olivetti (1901-1960). Egli cerca di conciliare le aspirazioni dei lavoratori a un lavoro retribuito giustamente e gratificante con le esigenze del mercato. Ritiene da una parte che la produttività sia legata al coinvolgimento del lavoratore in quello che fa e dall’altra che sia dovere dell’imprenditore reinvestire i profitti per lo sviluppo della società. Nella sua visione anche il bello, la cultura, l’arte devono essere portati dentro la fabbrica e contribuire allo sviluppo dell’intelligenza e delle potenzialità di chi ci lavora. Per questi motivi Olivetti sceglie come dirigenti della sua azienda uomini di cultura e fonda le “Edizioni di Comunità”, punto di incontro tra l’industria e gli intellettuali, che contribuiranno alla nascita del fenomeno della letteratura industriale. Inoltre, poiché l’industria deve dialogare con la società e il territorio in cui si trova, dà vita a ipotesi di riorganizzazione urbanistica sia nella città di Ivrea che a Pozzuoli. Con la morte di Olivetti questo tentativo, considerato da alcuni utopistico, si interrompe. 496
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Linea di produzione di macchine per scrivere, primi anni Sessanta.
Adriano Olivetti di fronte alla sua azienda a Ivrea negli anni
Cinquanta (Fondazione Adriano Olivetti). Uno dei prodotti di punta della Olivetti sono state le macchine per scrivere portatili, su tutte le Lettera22 (1950) e la Lettera32 (1963), che
grazie al limitato ingombro, alla trasportabilità e anche al design (di Marcello Nizzoli) ebbero uno straordinario successo, specie fra gli studenti e i giornalisti (come Enzo Biagi e Indro Montanelli, spesso fotografati mentre erano intenti a scrivere il loro articolo).
Intellettuali e scrittori di fronte alla nuova realtà industriale Le reazioni degli intellettuali ▪
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La letteratura interpreta le contraddizioni del boom economico
Gli scrittori reagiscono nei confronti della rapida industrializzazione del paese, per lo più mettendone in evidenza le conseguenze negative da un punto di vista umano e sociale; la maggior parte affronta la nuova realtà col desiderio di analizzarla e comprenderla. L’importanza centrale che la fabbrica assume nella società italiana fa sì che all’inizio degli anni Sessanta il tema della sua rappresentazione e della condizione operaia divenga oggetto di un vivace dibattito. «Il menabò»: significato di un titolo ▪ La rivista in cui si avvia un’accesa discussione al proposito è «Il menabò», fondata a Torino nel 1959 da Elio Vittorini e Italo Calvino, che ne condivisero la direzione fino al 1966, anno della morte di Vittorini. Il termine menabò ON LINE fa riferimento a una fase del lavoro editoriale prima dell’avvento del digitale: è un VIDEO modello di impaginazione, un bozzetto grafico della pagina con testi e immagini; Clip del film-documentario il titolo della rivista allude dunque alla funzione che, secondo i suoi fondatori, di Davide Ferrario La dovrebbe assumere l’intellettuale nel mondo dell’industria e della produzione zuppa del demonio (2014). L’espressione culturale: colui che inquadra i fenomeni e dà loro ordine e significato. (usata da Dino Buzzati La rivista pubblica due o tre numeri all’anno, di carattere monografico, raccoper commentare un documentario industriale gliendo sia testi in prosa e poesia sia saggi letterari che siano riconducibili a una del 1964, Il pianeta tematica comune. Già nel primo numero vi si leggeva Il calzolaio di Vigevano acciaio, sulle lavorazioni di Lucio Mastronardi, uno dei primi romanzi che affrontavano i temi del bonegli altoforni) descrive «l’ambigua natura om economico e delle trasformazioni sociali e antropologiche da esso derivate dell’utopia del progresso (→T❻). Nel numero 4 (settembre 1961), interamente dedicato a Industria e che ha accompagnato tutto il secolo scorso» (Ferrario), letteratura, e nel numero 5 (1962), in cui molti intellettuali provano a rispondominato dall’idea positiva dere agli interrogativi proposti dal precedente, si concentra senza dubbio il dello sviluppo industriale e tecnologico momento più vivace del dibattito sull’argomento. La riflessione di Vittorini ▪ Nel saggio introduttivo al n. 4 del «Menabò» Vittorini – già protagonista nell’immediato dopoguerra di un acceso dibattito sui rapporti fra intellettuale e società in cui esso è immerso con il suo «Politecnico» (→p. 42 C2U1) – sottolinea la necessità di colmare il divario che si è aperto fra la letteratura e il nuovo contesto socio-economico del paese. A suo avviso la letteratura (molto più delle altri arti) è rimasta indietro rispetto al processo di industrializzazione che ha cambiato il volto della nazione e le sue abitudini; perciò è necessario che gli scrittori si confrontino con i cambiamenti avvenuti, non solo proponendo nuovi contenuti relativi al mondo
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Andy Warhol, Campbell’s Soup Cans,
1962 (New York, Museum of Modern Art).
della fabbrica, ma soprattutto cercando di comprendere, e quindi rappresentare con nuovi mezzi espressivi, i mutamenti sociali, antropologici, di mentalità, che la nuova realtà industriale stava producendo in Italia. Come esempio di un tentativo di alto livello poetico di raccontare il “nuovo mondo”, ma ancora legato a forme della letteratura tradizionale, Vittorini citava Vittorio Sereni, che nello stesso numero del «Menabò» pubblicava la lirica Una visita in fabbrica (→T➋OL). La posizione di Calvino ▪ Tra i tanti che risposero alla provocazione di Vittorini nel numero successivo della rivista c’è Italo Calvino: in La sfida al labirinto egli afferma che la letteratura è uno strumento indispensabile per comprendere e far fronte al disagio causato dalla comparsa della civiltà industriale, ma che è necessario ancora del tempo perché il mondo della cultura assimili appieno i cambiamenti che ne sono derivati. Calvino però indaga le contraddizioni della nuova realtà anche attraverso l’immaginario, la fantasia, l’ironia, creando la raccolta di novelle Marcovaldo (→C12T❻OL): favole contemporanee in cui una voce poetica, incantata e ingenua mette a nudo i problemi della società moderna. La proposta della neoavanguardia ▪ Negli stessi anni anche la poesia della neoavanguardia ospita il tema dell’alienazione e sperimenta forme e linguaggi che rispecchino la nuova realtà, come ad esempio La ragazza Carla di Pagliarani (→C13T⓫) pubblicata sempre nel «Menabò».
L’incontro con il mondo della fabbrica Beppe Fenoglio e La paga del sabato Nel 1949 Beppe Fenoglio (1922-1963 →C9T❺; →C10T❸-❻) scrive La paga del sabato, un romanzo breve (o racconto lungo) il cui tema principale è l’inserimento nella società civile di chi aveva militato nella Resistenza: un problema di estrema attualità nel dopoguerra che lo scrittore aveva vissuto personalmente. Nello stesso tempo l’autore descrive i cambiamenti avvenuti ad Alba dopo la fine del conflitto con l’espansione dell’industrializzazione (in pochi anni l’industria dolciaria locale passa da un organico di 50 operai a circa 2000 dipendenti) e mette in guardia contro la propaganda della ricostruzione e del progresso. Il romanzo fu presentato alla casa editrice Einaudi nel 1950 ma venne rifiutato e uscì solo nel 1969, postumo, in seguito al ritrovamento da parte della filologa Maria Corti (1915-2002) del manoscritto tra le carte di Fenoglio.
Fabio Mauri, Cassetta: objets achetés, carta, cartone e oggetti in cassetto di legno (1959-60, Centro Studi e Archivio della Comunicazione, Università di Parma). Nel mondo dell’arte questi sono gli anni che vedono affermarsi la Pop Art, che spesso ha messo al centro del proprio immaginario i prodotti industriali, come le lattine di zuppa Campbell’s per Andy Warhol o i primi resti del consumismo, come qui Mauri.
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La trama ▪ I genitori di Ettore, un giovane di Alba che aveva partecipato alla guerra par-
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Nel 1977 dalla Paga del sabato il regista Sandro Bolchi ha tratto un film televisivo
tigiana, premono perché accetti un posto da impiegato in una grossa industria dolciaria locale, ma egli si ritiene inadatto a questo lavoro. Dopo aver vissuto in una dimensione eroica e violenta nel periodo della lotta contro il fascismo, non riesce a tornare alla vita normale. Rifiuta perciò il lavoro in fabbrica e si rivolge a Bianco, anch’egli ex partigiano e ora implicato in attività illecite: estorsioni, rapine e contrabbando diventano il mestiere di Ettore, fino a quando la sua fidanzata, Wanda, gli rivela di essere incinta. Ettore si assume le sue responsabilità, decide di mollare Bianco e comprare un camion per iniziare un’attività di trasporti in proprio. Proprio quando sembra aver messo la testa a posto, il giovane muore per un banale incidente sul lavoro, in un amaro contrasto con quel destino unico ed eccezionale che tanto aveva cercato.
Biografia
Paolo Volponi
Volponi nasce a Urbino nel 1924. Nel 1950 conosce Adriano Olivetti, di cui condivide le generose utopie e nel 1956 entra alla Olivetti di Ivrea, dove ricopre dal 1966 al 1971 l’incarico di direttore delle relazioni aziendali; in seguito lavora in Fiat, alla Fondazione Agnelli e poi in Rai. Dopo aver esordito come poeta, Volponi affronta il campo della narrativa, in un momento in cui gli intellettuali si rendono conto della necessità di parlare nelle loro opere del mondo delle fabbriche, di ritrarre i rapporti tra l’uomo e la nuova realtà industriale. In questo clima nasce Memoriale (1962), che da una particolare angolatura dà risposta a questa esigenza, suscitando molto interesse nel pubblico e nella critica: sul «Menabò»
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dello stesso anno (n. 5), Calvino giudica il romanzo di Volponi «il risultato poetico più alto» della letteratura che fa riferimento alle nuove tematiche industriali. A Memoriale seguono a breve distanza di anni La macchina mondiale (1965, premio Strega); alcuni anni dopo, Corporale (1974) e Il sipario ducale (1975). I rapporti di Volponi con il mondo industriale non sono privi di drammatica conflittualità: ad esempio, l’aperto schieramento con il Pci nelle elezioni del 1975 gli costa il posto di segretario generale della Fondazione Agnelli. La fine del sogno utopico di un neocapitalismo illuminato è rispecchiata nel romanzo Le mosche del capitale (1989). Volponi muore ad Ancona nel 1994.
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Paolo Volponi e Memoriale Il romanzo a cui soprattutto è legato il nome di Paolo Volponi (1924-1994) è Memoriale: è infatti quello che traduce forse nel modo più significativo e artisticamente riuscito l’invito di Vittorini a trattare il tema della fabbrica attraverso nuove prospettive stilistiche. La genesi del libro risale al quotidiano contatto che l’autore – nel suo ruolo di addetto alle relazioni sociali presso l’Olivetti – aveva con i “memoriali” degli operai. E il romanzo è impostato appunto come una sorta di confessione. L’io narrante-protagonista è Albino Saluggia, un reduce di guerra tornato al suo paese, Candia, nel Canavese, che il 26 giugno 1946 entra per la prima volta nella grande fabbrica di Ivrea da cui è stato assunto (e per cui avrebbe lavorato per dieci anni). Saluggia viene da un passato di sofferenza: è stato internato in un campo di concentramento ed è lì che probabilmente ha contratto la tubercolosi che gli viene diagnosticata nella visita medica d’assunzione. Inizialmente il lavoro in fabbrica gli appare concretizzare il suo desiderio di iniziare una vita nuova e sana. Al contrario, la disumanità del lavoro, la superficialità dei rapporti all’interno della fabbrica, ma anche l’incapacità di Saluggia, proveniente da una cultura arcaica cattolico-contadina, di rapportarsi fattivamente con il mondo della fabbrica, fanno ben presto emergere in lui la malattia, non solo fisica, ma soprattutto psichica. L’assistenza dei medici-burocrati della fabbrica è interpretata dalla mente alterata di Saluggia, segnata da un complesso di persecuzione, come una congiura per emarginarlo; al suo progressivo
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autoisolamento corrisponde un rendimento sul lavoro sempre più basso, ma la dirigenza della fabbrica decide di licenziarlo solo quando la sua disperata protesta assume carattere di contestazione politica. Dalla fabbrica all’azienda: Le mosche del capitale ▪ Dopo gli anni Settanta il fenomeno del boom in Italia è già esaurito; la società si avvia ad essere sempre più tecnologicizzata, i modelli manageriali abbandonano le istanze di solidarietà sociale a favore di un capitalismo più autoritario e aggressivo, delle speculazioni in borsa e del profitto come principio totalizzante. Questa è la situazione analizzata con occhio spietato da Paolo Volponi nel suo ultimo romanzo Le mosche del capitale, pubblicato nel 1989: le mosche del titolo sono i manager, che ronzano ciecamente attorno al capitale, o al suo miraggio, volti solo all’accumulo di potere e ricchezza personale, indifferenti alle sorti dell’azienda e dei lavoratori. Come già in Memoriale Volponi descrive l’azienda dal suo interno, questa volta però dal punto di vista non più di un operaio ma di un dirigente con vocazione “umanista”, costretto a constatare l’inapplicabilità delle sue idee alla realtà del sistema produttivo in cui si trova. Nel romanzo l’autore rielabora diversi spunti autobiografici, rivedendo con occhio critico le proprie esperienze di responsabile del personale alla Olivetti e poi di consulente alla Fiat. Egli descrive lucidamente – anche se spesso con modalità espressionistiche e visionarie – l’intreccio fra industria, capitale finanziario e potere politico che stava prendendo piede nella società italiana e mostra il fallimento del progetto di Adriano Olivetti (non a caso, dedicatario del romanzo) che legava il profitto dell’industria al benessere sociale e allo sviluppo democratico del paese. La vicenda è ambientata negli anni Settanta, ma lo sguardo dell’autore Testi ON LINE è influenzato dalle evoluzioni dei processi in1 «Impossibile che io sia dei vostri» dustriali, dominati da società multinazionaBeppe Fenoglio_La paga del sabato, III 2 Una visita in fabbrica li, e finanziari nell’era della globalizzazione. Vittorio Sereni_Gli strumenti umani, Una visita in fabbrica
Testo
3 Tra attrazione e paura Paolo Volponi_Memoriale
P. Volponi, Memoriale, Einaudi, Torino 1962
sanatori: facendo un’anticipazione, il protagonista contrappone alla rumorosità della fabbrica la quiete ovattata del sanatorio in cui sarà ricoverato per curare la tubercolosi che lo affligge.
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All’inizio del romanzo Albino Saluggia nel suo primo giorno in fabbrica descrive con occhi meravigliati, e un po’ di soggezione, la vita all’interno dello stabilimento, soffermandosi su aspetti che gli appaiono già sottilmente inquietanti.
Intanto seguivamo una guardia verso l’interno delle officine. C’era dovunque lo stesso odore acre, l’odore dell’olio, e dovunque un rumore schietto, diverso dal rumore che si sentiva fuori della fabbrica. Era il rumore dell’aria compressa e quello di centinaia di stantuffi. Dal fondo dell’officina che attraversavamo veniva il rumore alterno e schiacciante delle presse. Dopo il primo momento s’avvertiva il rumore continuo dei torni e dei trapani e poi, chissà da dove, lo squillo di un metallo. Bisognava aspettare per sentire il rumore degli uomini; appena entrati si vedeva che parlavano e si muovevano senza però che a tali gesti si potesse attribuire un suono. Invece più tardi si sentivano i rumori delle voci, dei passi, dei gesti di lavoro. Ora posso dire che a differenza dei sanatori1 dove, fra tutte le voci accanite, il rumore di una macchina, di un rubinetto o di un cesso prende il sopravvento e attira l’attenzione di tutti, nella fabbrica, tra il grande frastuono delle macchine, l’orecchio finisce per scegliere le voci degli uomini, il loro brusio: una risata, anche alla mattina alle dieci e mezza quando il lavoro corre più forte e fa tremare tutta la fabbrica e niente più del lavoro esiste anche in tutti gli uomini e le donne, diventa il rumore più forte e verso la sua parte si 500
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Pinna: uno degli operai assunti insieme a Saluggia, che prima di lavorare in fabbrica era stato arruolato in marina; da questa esperienza nasce la similitudine in cui paragona la fabbrica a un incrociatore.
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3 Grosset: il capo reparto.
mandrino: dispositivo meccanico, installato su una macchina utensile, che permette di serrare e tenere fermo un pezzo di qualsiasi forma per potervi eseguire la lavorazione richiesta (portaattrezzi).
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ghisa: lega di ferro e carbonio (a tenore relativamente alto), ottenuta attraverso il trattamento a caldo dei minerali di ferro.
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voltano, anche solo per un attimo, tutte le facce del reparto; quelle centinaia di facce, sbigottite dal lavoro, che si levano tutte insieme. Scrivo del rumore, perché la prima volta che uno entra nella fabbrica il rumore è la cosa più importante, e più che guardare uno sta a sentire e sta a sentire senza volontà quel gran rumore che cade addosso come una doccia. – Che rumore, – disse Pinna2, – sembra di essere nella sala macchine d’un incrociatore. Guardai la guardia che ci precedeva temendo che lo rimproverasse; ma vidi che non aveva dato alcun peso alle sue parole. Il rumore era forte e le officine erano impressionanti. Erano grandi già allora che la fabbrica era un terzo di quello che è oggi. Grandi, pulite e ordinate, con molta luce. Ciascuno aveva il suo posto di lavoro e ciascuno agiva per conto suo, con grande sicurezza. Sembravano tutti molto bravi e importanti. Mi stupì il fatto che non ci fossero lavori da fare in gruppi: un gruppo tutt’insieme che si dà una mano e tira e spinge di qua o di là o batte martelli o alza una grande macchina. Tutte le macchine erano per un uomo solo e un uomo poteva manovrarle comodamente. [...] Io avevo paura di questo inizio, soprattutto paura che la fabbrica potesse assomigliare all’esercito. Mi tranquillizzava appena la differenza tra Grosset3 e il sergente Vattino e mi trascinava il pensiero del lavoro da imparare. Adesso che stava per cominciare non pensavo più alla vita nuova. Aspettando per pochi minuti Grosset guardavo la macchina che egli prima stava riparando. Forse proprio quella sarebbe capitata a me: lo speravo, lieto che anch’essa dovesse ricominciare dopo un guasto. Una parte che poteva essere la sua testa era scoperchiata e questo aumentava la mia confidenza e la sua arrendevolezza. Grosset arrivò puntualmente; ripose i giornali, riprese il suo camice e ricompose con il suo sguardo la nostra squadretta di nuovi. Intanto arrivavano alla spicciolata tutti gli altri operai, con aria indolente e quasi ribelle: sembrava che tornassero ai reparti per prendere qualcosa che vi avevano lasciato. Con animo ben diverso, io, di fronte a Grosset, mi accingevo al lavoro. – Questa è una fresatrice-pialla a ciclo automatico, – disse indicando proprio la macchina guasta; – viene costruita dalla nostra officina meccanica e si chiama FP3. Serve a lavorare una serie di pezzi di dimensioni medie. Pensate a una pialla comune che un falegname adopera su una tavola e pensate poi allo scalpello che lo stesso falegname debba adoperare per fare qualche taglio o incavo nella stessa tavola. Questa fresatrice-pialla fa le stesse cose sul ferro e sulla ghisa4. Invece della mano del falegname la spinge la forza industriale. Grosset ci spiegò adagio e molto bene ogni pezzo della FP3, facendola ogni tanto funzionare e invitandoci a vedere il lavoro degli operai del suo reparto per chiarirci meglio qualche dettaglio, specie di quegli operai che avevano bisogno della sua guida o per il funzionamento della fresatrice o per qualche particolare problema del pezzo in lavorazione. Ogni operaio doveva fare trenta pezzi all’ora, cioè un pezzo ogni due minuti: prendeva il pezzo dalla cassetta dei grezzi che gli arrivava dalla fonderia ogni mezza giornata, lo lavorava e lo metteva poi nella cassetta dei finiti; tutto in due minuti. Il lavoro era molto, tanto che il pezzo finito sembrava diventato d’argento. Gli operai erano tutti uomini seri che andavano avanti bene e con calma. Anche quando smettevano un attimo per regolare il mandrino5 porta-attrezzi o la presa dell’aria compressa erano calmi e non si preoccupavano di perdere tempo. Avevano tutti press’a poco la mia età, forse qualche anno di più, ad eccezione di un giovanissimo e di due sui cinquant’anni. Nel reparto di Grosset erano ventitré e con noi sarebbero stati ventisette, costituendo il reparto forse più grosso di tutte le officine. Vestivano tutti allo stesso modo, o così mi sembrava per l’uniformità dell’ambiente, delle macchine e del lavoro che poteva annullare le piccole differenze. Alle cinque, noi quattro nuovi avevamo avuto la prima spiegazione di Grosset e potevamo incominciare qualche esercizio pratico. Prima di ogni altro il modo di stare di fronte
la cartolinaorologio: il cartellino, che riporta il timbro dell’ora di entrata e di uscita quotidiana dal posto di lavoro.
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alla fresatrice, in tutte le posizioni necessarie per impostare il lavoro, per avviare la forza motrice e seguire le lavorazioni. Grosset mise in moto la macchina e poi la fermò e volle che ciascuno di noi ripetesse i suoi gesti. Tutto andò bene. Io mi sentivo bene, anche se lavoravo con il mio abito buono e pesantissimo che mi faceva sentire molto caldo; ma Grosset non mi disse mai di togliermi la giacca. Quando si trattò di fare il primo esercizio con una fresa innestata, Francesco Pinna si fece avanti dicendo che toccava a lui giacché la macchina si chiamava come lui, F.P. Io riuscii nel primo esercizio come gli altri tre, anche meglio. Grosset disse che avremmo potuto cominciare a lavorare con l’allenatore dopo una settimana e dopo un’altra settimana forse già nel reparto per la produzione. Un quarto d’ora prima dell’orario di chiusura, il capo ci rimandò all’Ufficio Personale. Lì ci consegnarono la cartolina-orologio6 indicandoci dove custodirla e come servircene. Ci dissero di andare allo spaccio interno per l’acquisto degli indumenti da lavoro. Io comperai una tuta, a due pezzi, come un abito borghese. Uscii dalla fabbrica con il mio pacchetto sotto il braccio, molto stanco e, appena l’aria di fuori m’investì con un caldo diverso, molti problemi s’affollarono nella mia mente. Ebbi paura, una fortissima paura, di aver sbagliato tutto e di essere tornato nelle disgrazie dell’esercito. Mi sembrava di essere lontanissimo da Candia e da casa mia e di non poter trovare la strada per tornarci, tra tutta quella gente che usciva e che si salutava con un ultimo discorso, a voce alta e con una confidenza che non era per me e che mi allontanava ancora di più da tutti loro. Non presi nemmeno il pullman operai, nell’incertezza di rivolgermi a qualcuno per chiedere da quale punto preciso partivano le linee per Candia e Caluso e dove potevo trovare il capo-corriera. Decisi di prendere ancora il treno, ma quello delle 20 e 12, meno affollato di gente della fabbrica. Così arrivai a casa che era già notte. Trovai mia madre in cucina, seduta al buio; appena mi vide cominciò a piangere. Io la tranquillizzai su tutto e le dissi che avevo un lavoro, un buon lavoro con un salario di circa quarantamila lire, la mensa, le corriere e tutto il resto. Lei mi diede da mangiare verdure del nostro orto, che ancora, alla fine di luglio, dava piselli e fagiolini oltre ai pomidori, nel pezzo dietro casa, a nord, più umido e riparato da due alberi di noce. Io le mostrai la divisa di lavoro che avevo acquistato e lei volle subito, mentre io mangiavo, rinforzare tutti i bottoni con un filo più grosso.
Guida alla lettura
Saluggia fa il suo ingresso nel mondo della fabbrica, che costituirà lo sfondo principale del romanzo. La descrizione dell’ambiente, del lavoro che vi si svolge, dei macchinari e degli operai, è condotta attraverso il punto di vista del protagonista-narratore, portavoce di una visione del mondo arcaica, radicata nella realtà contadina. Ne deriva una rappresentazione solo apparentemente realistica della fabbrica, che risente dei fluttuanti stati d’animo del protagonista: da luogo positivo ed efficiente, “impressionante”, l’ingresso nel quale ha qualcosa di iniziatico, a luogo innaturale, ostile, da cui Saluggia esce disorientato e incerto (rr. 78-80). La prima percezione della realtà della fabbrica è uditiva: Saluggia è sbalordito dal forte rumore che vi regna (rr. 17-18) e che gli appare “diverso” da ogni altro rumore a lui noto. In seguito lo stupore di Saluggia riguarda il modo di lavorare degli operai, ognuno dei quali è solo davanti alla macchina; non esiste la collaborazione che per Saluggia, abituato al lavoro nei campi, è la normalità. Il lavoro degli operai gli sembra di sorprendente efficienza nella calma regolarità con cui ogni operaio produce i pezzi con la macchina fresatrice. Sembra non esserci posto per variazioni, incidenti, eccezioni, scelte individuali in un contesto in cui domina (e lo sguardo del neofita coglie in pieno l’alienante realtà del lavoro meccanizzato) l’uniformità, persino nel vestiario che annulla le differenze tra le persone. Alla fine della sua prima esperienza nel mondo della fabbrica, iniziata con entusiasmo, Saluggia si sente profondamente angosciato, proiettato da “estraneo” e “diverso” in una realtà lontana dal suo mondo, anche e soprattutto mentale, di contadino. L’antitesi fabbrica/campagna ▪
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Significativamente il passo si chiude con una netta contrapposizione, di valore simbolico, tra fabbrica e campagna, che esplicita il confronto presente, tra le righe, fin dall’inizio. Saluggia recupera una sorta di equilibrio interiore solo una volta giunto a casa, nella sua campagna, di cui descrive minuziosamente i prodotti dell’orto e le caratteristiche delle coltivazioni; in quel luogo egli è padrone del proprio tempo e dei prodotti del suo lavoro, a differenza della fabbrica in cui spazio e tempo sono regolati dalla volontà altrui, proprio come nell’esercito. Lo stile di Memoriale ▪ La lontananza della poetica di Volponi da modelli realistici e neorealistici è evidente a livello espressivo: solo saltuariamente infatti viene riprodotto un linguaggio popolare, che si adatterebbe al personaggio. Il linguaggio tipo di Memoriale oscilla piuttosto tra una prosa lucida, analitica, quasi saggistica, e una prosa lirica, spesso arditamente analogica, frutto dell’ottica visionaria, “diversa” di Saluggia, che, prima ancora di entrare in fabbrica, è vittima di una grande nevrosi.
Attività sul testo Abilità: comprendere e analizzare
1. Il riassunto Riassumi il contenuto del testo (max 10 righe).
2. La voce narrante La voce narrante è a. □ interna. c. □ esterna con focalizzazione interna fissa. b. □ esterna con focalizzazione zero. d. □ esterna con focalizzazione interna multipla. – Quale valore espressivo attribuisce alla narrazione questa scelta stilistica? 3. Il pianto della madre Perché la madre del protagonista piange quando lo vede tornare a casa? a. □ Teme che il figlio non abbia avuto il lavoro. b. □ Le pesa dover stare sola mentre il figlio è lontano, al lavoro. c. □ Soffre per lo sradicamento che il figlio deve subire. d. □ Ha paura per la salute del figlio.
5. Il rumore Il rumore è il primo elemento che cattura l’attenzione di Saluggia ed è la parola chiave della prima parte del brano: sottolinea nel testo le espressioni che vi fanno riferimento. 6. La campagna e la fabbrica Scegli tra i seguenti aggettivi quelli che caratterizzano l’universo della casa e della campagna rispetto a quello della fabbrica: a. □ rassicurante. c. □ attraente. e. □ complesso. g. □ conosciuto. i. □ freddo. b. □ estraneo. d. □ naturale. f. □ uniforme. h. □ familiare. 7. L’umanizzazione della macchina Il protagonista umanizza la macchina che deve essere aggiustata e rimessa in funzione. Dove? Qual è il significato di tale rappresentazione? Quali elementi alludono all’uniformità e alla spersonalizzazione del lavoro? Esercitare le competenze
8. Descrivere i mutamenti psicologici del protagonista Individua e descrivi la diversa condizione psicologica del protagonista all’inizio e poi alla fine del brano e interpreta il significato di questo passaggio (circa 15 righe). 9. Mettere a confronto due protagonisti di romanzi sul lavoro in fabbrica Confronta questo testo con →T❶OL. L’atteggiamento dei due protagonisti di fronte al lavoro in fabbrica è opposto: Saluggia è desideroso di integrarsi, Ettore rifiuta a priori tale possibilità. Tuttavia la loro descrizione del lavoro in fabbrica ha alcuni punti di contatto. In un breve testo (ca 15 righe) esponi il risultato del confronto.
Testi ON LINE
4 L’etica del lavoro di un operaio specializzato Primo Levi_La chiave a stella
5 Il dialogo fra la luna e il computer Paolo Volponi_Le mosche del capitale
Cinema
Il boom industriale al cinema Fra i film dedicati ai cambiamenti della società in conseguenza del boom industriale, ricordiamo questi. – Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti (1960): storia della disgregazione di una famiglia composta da una vedova e cinque figli, costretta dalla miseria a emigrare dalla Lucania a Milano.
– La classe operaia va in Paradiso di Elio Petri (1971): descrizione caricaturale della vita in fabbrica e delle lotte politiche di un operaio, prima licenziato e poi riassunto. – Romanzo popolare di Mario Monicelli (1974): commedia all’italiana che affronta con ironia i cambiamenti avvenuti nella nostra società, in particolare i rapporti tra uomo e donna, e tra
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meridione e Italia del Nord. Collaborarono alla stesura dei dialoghi e della colonna sonora Enzo Jannacci e Beppe Viola, scrivendo tra l’altro forse la più struggente canzone “operaia” della ON LINE musica leggera italiana: VIDEO Enzo JanVincenzina e la fabbrica. nacci canta
Vincenzina e la fabbrica su youtube
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4. La vita nello stabilimento Individua ed elenca gli aspetti della vita all’interno dello stabilimento che agli occhi del protagonista appaiono inquietanti. Da che cosa nasce questa sensazione?
L’altra faccia del “miracolo economico”
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Lucio Mastronardi e Il maestro di Vigevano Della trilogia Gente di Vigevano, Il maestro di Vigevano è il romanzo più noto (certo anche per la trasposizione cinematografica che nel 1965 ne fece il regista Elio Petri, con il popolare attore Alberto Sordi nel ruolo del protagonista). Il romanzo traccia un ritratto impietoso della società vigevanese, sconvolta dagli effetti del boom economico che ne trasforma le strutture economico-sociali e di conseguenza i valori: nei rapporti stessi tra i coniugi il successo, la ricchezza costituiscono ormai l’unico parametro di giudizio. La narrazione, in prima persona, è affidata al protagonista, il maestro Antonio Mombelli (in cui si proietta l’autore stesso) che vede ormai svilita, perché poco redditizia, la sua professione, un tempo considerata onorevole, a confronto con i nuovi modelli sociali degli «industrialotti» calzaturieri, spesso ex operai o ex artigiani arricchiti. La trama ▪ Ada, la moglie di Antonio, insoddisfatta del tenore di vita che la professione del marito le assicura, insiste per andare a lavorare in una delle fabbriche di calzature, su cui si fonda la fiorente industria locale. L’uomo dapprima è contrario (per la sua educazione piccolo-borghese appare sconveniente che la moglie faccia l’operaia), ma alla fine cede alle insistenze della donna. Ada diviene sempre più indipendente, fino a concepire l’idea di creare un laboratorio insieme al fratello; per questa impresa chiede ad Antonio di licenziarsi e usare la liquidazione come capitale sociale. L’uomo esita, ma alla fine ancora una volta cede, entrando in società con il cognato e la moglie. Dopo breve tempo però viene da loro espulso dalla ditta a causa di una sua leggerezza e i rapporti con la moglie peggiorano sempre più, tra invidie e sospetti di tradimenti. Antonio riprende allora il suo lavoro di maestro, ma l’improvvisa morte di Ada cambia la sua vita: l’amato figlio, su cui l’uomo aveva riposto tante speranze, si ribella all’autorità paterna e finisce in riformatorio. Sempre più disilluso, Antonio torna alla sua routine scolastica e valuta se risposarsi con una collega che non ama, ma che è una donna tranquilla e affidabile. Biografia
Lucio Mastronardi
Lucio Mastronardi nasce a Vigevano nel 1930, da famiglia abruzzese, e diventa maestro elementare seguendo le orme dei genitori. Nel 1959 pubblica sulle pagine della rivista «Il menabò» il romanzo Il calzolaio di Vigevano, che gli procura un buon consenso della critica e una positiva recensione di Montale sul «Corriere della Sera». Il romanzo inaugura la “saga di Vigevano”: la cittadina lombarda appariva allo scrittore, come egli stes-
so dichiarò, «il mondo in piccolo» poiché condensava i problemi che la società italiana si trovava allora ad affrontare. Per interessamento di Italo Calvino, nel 1962 Einaudi pubblica Il maestro di Vigevano, e nel 1964 Il meridionale di Vigevano, nel quale lo scrittore focalizza la difficile condizione di un impiegato del Sud trasferitosi al Nord. I romanzi sono raccolti in un solo volume nel 1977 con il titolo Gente di Vigevano. Muore nel 1979.
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6 La metamorfosi sociale e antropologica
di un microcosmo provinciale
Lucio Mastronardi_Il maestro di Vigevano, parte prima, 2 L. Mastronardi, Il maestro di Vigevano, Einaudi, Torino 1994
Il breve passo ben documenta i temi, lo spirito, le scelte espressive del romanzo di Mastronardi. Lo scenario è la Piazza ducale di Vigevano in cui sfilano i personaggi-tipo della Vigevano del boom economico. I due personaggi principali che dialogano animatamente sono il maestro Antonio Mombelli e sua moglie Ada: quest’ultima rimprovera con asprezza al marito la sua misera condizione economica additandogli l’esempio dei nuovi ricchi che lo sviluppo industriale ha creato nella cittadina lombarda. 504
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Piazza: la monumentale Piazza Ducale di Vigevano, costruita tra il 1492 e il 1494 per volere di Ludovico il Moro su progetto di Ambrogio da Corte. 2 vista nel film: prima della passeggiata i due protagonisti sono stati al cinema a vedere una commedia. 3 sibillina: oscura, enigmatica. La donna sprezzantemente non vuole spiegare al marito il sottinteso della sua affermazione. 4 operaro: dialettale per “operaio”. 5 contasse: raccontasse. 6 sufficiente: con aria di sufficienza, per 1
schernire l’ironia del marito. «Informatore Vigevanese»: pubblicato per la prima volta nel 1945, è tuttora uno dei quotidiani locali più autorevoli e diffusi in Lomellina. 8 i redditi Vanoni: riferimento alla legge Vanoni (dal nome del ministro Ezio Vanoni) che nel 1951 aveva avviato una fondamentale riforma tributaria (con l’introduzione dell’obbligo della dichiarazione dei redditi). 9 alfetta: possedere un’automobile sportiva Alfa Romeo era un simbolo di successo (erano le auto usate anche dalle star di Hollywo7
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od); fino agli anni Cinquanta l’Alfetta 158 e 159 gareggiava nelle corse di Formula 1. 10 sindico: dial. per “sindaco”. 11 vegne: dial. per “viene”. 12 bolli: biglietti da mille lire (colloquiale). 13 giuntora: operaia specializzata nella cucitura delle tomaie alle suole. 14 menando: gergale per “stava insistendo”. 15 Pias Pigal: storpiatura, per Place Pigalle (piazza parigina rinomata per i suoi locali notturni); come più sotto Tur Eifel per Tour Eiffel. 16 ioma: c’abbiamo (dialettale). 505
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Per tornare a casa Ada volle passare dalla Piazza1. – Di qui facciamo prima, – dissi indicando la strada. – Dalla Piazza, – insisté lei. La Piazza a quell’ora assomigliava alla piazza vista nel film2. Non dal punto di vista architettonico, naturalmente, ma come atmosfera. Al caffè Sociale un gruppetto di industrialotti se ne stavano stravaccati sulle poltroncine con un’aria soddisfatta e beata. A un tavolo vicino sedeva un grosso industriale con un operaio tirapiedi accanto. E tutti e due ci avevano l’aria contenta di essere vicini: l’industriale sembrava voler mostrare il suo attaccamento agli operai; l’operaio sembrava soddisfatto, come se la ricchezza e la potenza dell’industriale si riflettessero su di lui. Ada mi indicò un tale che scendeva sotto i portici. – Questo ha messo su una fabbrica di scarpe. Ha un anno meno di te! – disse sibillina3. – Era operaro4, – seguitò: – ha tentato e ora guadagna venti milioni all’anno! – Non sapevo che ti contasse5 i suoi interessi, – risposi a denti stretti. Ella sorrise sufficiente6: – L’ho letto sull’«Informatore Vigevanese»7: i redditi Vanoni8! Più avanti mi indicò un altro. – Quello, vedi, ha un anno più di te e ha impiantato due fabbriche di scarpe. Ha l’alfetta9! Ci siamo seduti al bar Principe. Accanto a noi il giornalista Pallavicino dell’«Informatore» teneva cattedra a una decina di operari. – Questa Piazza si sta rovinando, – gridava. – Ma io ce l’ho detto al sindico10, ce l’ho detto: quattro imbianchini che ci diano una bella manata di bianco e la vegne11 fantastica. Ci scriverò un articolo. – Quello ha sei anni meno di te e guadagna duecento bolli12 al mese, – mi disse Ada. Mentre bevevamo il caffè si fermò una fuoriserie. Scesero un industrialotto con la moglie. Tutti e due bei grassi, di quella grassezza flaccida e molle. La moglie avrà avuto su venti chili di oro fra braccialetti anelli collane spille; lui almeno la metà. Camminavano sussiegosi. – Quello fino all’anno scorso era un operaio, – mi disse Ada; – e lei una giuntora13, – aggiunse con voce alta e aspra. – Non farti sentire! – mormorai. I due erano proprio dietro di noi. – E ora usano la fuoriserie per venire a farsi vedere in Piazza. Come se la fuoriserie ce l’avessero solo loro, – gridò. I due se ne andarono. Risalirono in macchina con calma. Prima hanno aperto la portiera, poi hanno messo su la gamba sinistra, quindi si sono seduti, quindi hanno infilato l’altra gamba, hanno chiuso la portiera e sono partiti. – Cerca di controllarti, – dissi ad Ada. Il giornalista Pallavicino la stava menando14 ancora. – Io vi dico che Vigevano vale duecento Parigi. Cosa c’è a Parigi che non ci sia a Vigevano? A Parigi c’è Pias Pigal15; a Vigevano ioma16 Pias Ducal; a Parigi c’è la Senna; a
Tisin: è il fiume Ticino in dialetto. 18 tur Bramant: è la torre del Bramante, che chiude un lato della piazza; innalzata nel 1492-94, fu attribuita all’architetto Donato Bramante (14441514). 17
Vigevano c’è il Tisin17; a Parigi c’è la tur Eifel, num ioma la tur Bramant18, – diceva. Il campanone della torre rintoccò mezzanotte. Le insegne colorate dei bar tremolavano umide. – Andiamo a casa! – dissi. Ella si alzò con scatto: – Città bastarda, – disse fra i denti. – Andiamo, è l’unica, – disse poi. […] – Noi andiamo a dormire! – disse Ada. Il tono di voce era aspro. Non le risposi, ché sentivo che aspettava solo una parola per scatenarsi. – Ma non possiederemo mai né una macchina né una casa… – Il pane non ci manca, – dissi offeso. Lei rise con il suo solito sorriso materno. – Prima di sposarti le mie amiche mi dicevano: la Ada sposa un maestro!, con aria invidiosa. Ora dicono: povera Ada. Ha sposato un maestro!
Guida alla lettura
La scena descritta nel testo esprime in modo efficace il cambiamento sociale in atto durante gli anni del boom in una cittadina di provincia, luogo-emblema di una situazione più generale: professioni un tempo stimate e rispettate, come quella di maestro elementare, che garantivano un decoroso status sociale, ora sono svilite perché la loro retribuzione appare misera in confronto ai profitti che l’industria rende possibili. A Vigevano, insieme all’industria calzaturiera, cresce anche il mito del denaro, di cui Ada è vittima: la donna guarda con avidità e invidia agli imprenditori cittadini e schernisce il marito perché ai suoi occhi è un fallito. Così la passeggiata in piazza diventa un pretesto per fare una rassegna degli arricchiti. La Piazza come specchio e osservatorio dei mutamenti sociali ▪ In ogni cittadina, come nella Vigevano ritratta da Mastronardi, la piazza è il cuore pulsante della vita. In questo caso diventa lo specchio eloquente dei mutamenti rilevanti che il boom industriale ha introdotto nella sonnolenta vita provinciale: nella piazza i nuovi ricchi esibiscono trionfalmente il loro raggiunto benessere, come la coppia di grassi coniugi, carichi di oro, che arriva direttamente in piazza con l’alfetta per farsi ammirare, suscitando l’acido commento di Ada. Non è un caso che Ada, dopo essere stata al cinema con il marito, voglia a ogni costo rientrare a casa proprio passando per la Piazza, nonostante Antonio le faccia notare che allungheranno il percorso: essa vuole umiliare il marito costringendolo a confrontarsi con l’opulenza dei nuovi ricchi, oscuri concittadini che sono stati capaci da semplici operai di diventare imprenditori grazie all’industria della scarpa, come rabbiosamente spiega al marito. Di fronte a una valutazione tutta economica delle persone il povero maestro Mombelli diventa paradossalmente un esempio negativo: significativa è la chiusa, affidata a un’icastica frase di Ada («povera Ada. Ha sposato un maestro!») che sintetizza efficacemente il rapido cambiamento sociale in seguito al quale un lavoro prima considerato nobile e dignitoso come quello del maestro viene svalutato perché ben poco redditizio. Ma la Piazza è anche l’occasione per un cenno rapido alla provinciale cultura locale, impersonata qui dal giornalista Pallavicini, per cui la sua Vigevano non ha nulla da invidiare a una metropoli come Parigi. Lo stile: commistione di lingua e dialetto ▪ La tensione tra marito e moglie è espressa attraverso una lingua che imita la parlata dialettale locale e uno stile piatto e discorsivo, paratattico; le secche repliche («Di qui facciamo prima, – dissi... – Dalla Piazza, – insisté lei») riflettono la tensione emotiva tra i due personaggi che stentano a trovare una base di dialogo. La grettezza dell’ambiente si percepisce anche nei discorsi del giornalista, che nel suo discorso al caffè utilizza un italiano fortemente influenzato dal dialetto locale (rr. 21-22). La lingua del maestro non fa ricorso al dialetto perché riflette la sua condizione di istruito; anche nei discorsi di Ada l’influenza dialettale non è fortissima, ma la sua lingua è molto più connotata da espressioni mutuate dall’italiano popolare rispetto al marito («Questo ha messo su una fabbrica di scarpe», «guadagna duecento bolli al mese»); il suo livore e la frustrazione per uno stile di vita inarrivabile sfocia anche in veri propri accessi di violenza verbale («Città bastarda»). La metamorfosi sociale ▪
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Attività sul testo Abilità: comprendere e analizzare
1. I personaggi in piazza Descrivi i diversi personaggi che si trovano in piazza al passaggio dei due coniugi Mombelli. 2. L’industriale e il suo operaio Qual è il rapporto tra il grosso industriale seduto al bar e il suo operaio? a. □ Di franca amicizia. c. □ Di paritetica collaborazione. b. □ Di ammirazione reciproca. d. □ Di mistificazione dei sentimenti. – Quali “valori” esprime questo rapporto?
3. Il giornalista Il giornalista del quotidiano locale rappresenta a. □ la meschinità di certa cultura provinciale. d. □ la modestia innata negli abitanti b. □ l’orgoglio del proprio luogo natale. di una piccola città. c. □ l’apertura mentale degli intellettuali locali. 4. Che è il narratore? A chi è affidata la narrazione? Quale effetto produce questa scelta? 5. Espressioni popolari e gergali Riconosci le espressioni popolari e gergali e spiegane il diverso valore a seconda dei personaggi che le utilizzano. Esercitare le competenze
6. Spiegare i fattori di crisi dei valori tradizionali a partire dal testo Spiega oralmente (circa 5 minuti) come dal brano esaminato emergano il processo e le ragioni per cui le strutture e di conseguenza i valori tradizionali sono messi in crisi dagli effetti del miracolo economico. 7. Immaginare un dialogo nato dall’osservazione della vita in una piazza Nelle città e nei paesi italiani la piazza è sempre stata il centro vitale: in piazza si manifesta, si fa il mercato, si gioca o semplicemente “ci si fa vedere”. Prova a osservare con un occhio meno distratto del solito ciò che accade nella piazza principale del luogo in cui vivi, poi scrivi un dialogo (circa 15-20 righe) in cui due persone descrivono e commentano quello che vedono.
Carlo Lizzani
tratto da La vita agra di Bianciardi.
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La letteratura interpreta le contraddizioni del boom economico
Locandina del film (1964) di
Luciano Bianciardi e La vita agra Attraverso la vicenda del protagonista-narratore della Vita agra, un intellettuale, il romanzo ripercorre le tappe più significative della biografia stessa di Luciano Bianciardi (1922-1971), a cominciare dall’evento chiave nella vita dello scrittore toscano: l’esplosione (1954) nella miniera di Ribolla (anche se il paese non è mai espressamente nominato), di proprietà della società Montecatini, che provoca la morte di 43 minatori. A seguito della tragedia, il protagonista si trasferisce a Milano, deciso a portare a conoscenza dell’opinione pubblica la vicenda e a vendicare la memoria dei morti. Nella metropoli lombarda trova lavoro come traduttore per mantenere se stesso e la sua famiglia, moglie e figlio, rimasti nel paese natale. Si stabilisce a pensione da una vedova nel quartiere centrale di Brera e dopo qualche tempo conosce Anna, con la quale inizia una relazione sentimentale e professionale, tra ristrettezze economiche e le inevitabili difficoltà della situazione. La realizzazione di quella che considera una vera e propria missione (vendicare i minatori morti) si infrange contro l’indifferenza della stampa e dei quadri politici della stessa sinistra, che considerano la tragedia mineraria come un fatto privo di interesse politico da archiviare. Lo sdegno del protagonista si trasforma allora in aperta contestazione del sistema capitalistico, che ha il suo simbolo nel «torracchione» della Montecatini che il protagonista sogna di far crollare, per poi estendere la sua azione anarco-insurrezionale ai posti chiave del potere di tutta la nazione, sognando una riforma etica che coinvolga tutta la società. Questo programma resta però del tutto velleitario, perché il protagonista riconosce amaramente che la società che tanto contesta e di cui coglie le contraddizioni è riuscita a piegarlo, a narcotizzarlo, a distogliere il suo sguardo dai problemi più grandi sostituendoli con una serie di preoccupazioni quotidiane, contingenti, e di bisogni indotti del tutto consumistici.
Biografia
Luciano Bianciardi
Luciano Bianciardi nasce a Grosseto nel 1922. Dopo la laurea in lettere, svolge varie attività (insegnante, bibliotecario, giornalista). Dopo il tragico episodio del 1954 alla miniera di Ribolla (rievocato nella Vita agra) si trasferisce a Milano; due anni dopo pubblicherà presso Laterza l’inchiesta I minatori della Maremma, realizzata in collaborazione con lo scrittore conterraneo Carlo Cassola, testimonianza civile e omaggio alle vittime della sciagura. Bianciardi vive gli anni del boom economico nella metropoli milanese, lavorando come traduttore dall’inglese per Feltrinelli, con cui ha un rapporto conflittuale che sfocerà nel licenziamento per scarso rendimento. Tuttavia è per Feltrinelli che nel 1957 pubblica il suo primo
romanzo-saggio, Il lavoro culturale, in cui descrive con ironia il suo percorso di formazione negli anni del dopoguerra. Seguono nel 1959 L’integrazione, nel quale mette a nudo le contraddizioni del mondo editoriale; Da Quarto a Torino. Breve storia della spedizione dei Mille (1960) e La battaglia soda (1964), romanzi storici ambientati durante il Risorgimento (→V2bC10). La sua opera di maggior successo, sia di critica che di pubblico, è La vita agra (1962). Alle vicende narrate nel libro è ispirato un film diretto nel 1964 da Carlo Lizzani, con Ugo Tognazzi nel ruolo del protagonista; ma Bianciardi preferisce sottrarsi alla notorietà e tornare al suo lavoro di traduttore. Muore a Milano nel 1971, a soli 49 anni, distrutto dall’alcool.
Testo 11 Letteratura e industria • TEMI
7 Un’impietosa radiografia del “miracolo italiano” Luciano Bianciardi_La vita agra, cap. X
L. Bianciardi, La vita agra, Bompiani, Milano 2009
1 gonfiano: si riempiono di rabbia repressa.
Nell’amaro sfogo finale del protagonista (è l’inizio del penultimo capitolo del libro), si delineano i mali della società moderna: il cinismo, l’indifferenza, l’interesse economico come obiettivo primario da perseguire a ogni costo. Di fronte a questa realtà nulla possono le utopie rivoluzionarie: scardinare una classe dirigente non basta – osserva il narratore in un amaro bilancio – se non nasce un nuovo modello di uomo.
Lo so, direte che questa è la storia di una nevrosi, la cartella clinica di un’ostrica malata che però non riesce nemmeno a fabbricare la perla. Direte che finora non mi hanno mangiato le formiche, di che mi lagno, perché vado chiacchierando? È vero, e di mio ci aggiungo che questa è a dire parecchio una storia mediana e mediocre, che tutto sommato io non me la passo peggio di tanti altri che gonfiano1 e stanno zitti. Eppure proprio perché mediocre a me sembra che valeva la pena di raccontarla. Proprio perché questa storia è intessuta di sentimenti e di fatti già inquadrati dagli studiosi, dagli storici sociologi economisti, entro un fenomeno individuato, preciso ed etichettato. Cioè il miracolo italiano. Un ubriaco muore di sabato battendo la testa sul marciapiede e la gente che passa appena si scansa per non pestarlo. Il tuo prossimo ti cerca soltanto se e fino a quando hai qualcosa da pagare. Suonano alla porta e già sai che sono lì per chiedere, per togliere. Il padrone ti butta via a calci nel culo, e questo è giusto, va bene, perché i padroni sono così, devono essere così; ma poi vedi quelli come te ridursi a gusci opachi, farsi fretta per scordare, pensare soltanto meno male che non è toccato a me, e teniamoci alla larga perché questo ormai puzza di cadavere, e ci si potrebbe contaminare. Persone che conoscevi si uccidono, altre persone che conosci restano vive, ma fingono che non sia successo niente, fingono di non sapere che non era per niente una vocazione, un vizio assurdo, e che la colpa è stata di tutti noi. Fai testamento, ci scrivi chi vuoi a seguire il tuo carro, come vuoi il trasporto, ti raccomandi che non ti facciano spirare negli scantinati, ma poi, a ripensarci, vedi che quest’ultima tua volontà è fatta soltanto di rancore beffardo. Poiché 508
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l’impresa non era abbastanza redditizia, pur di chiuderla hanno ammazzato quarantatré amici tuoi, e chi li ha ammazzati oggi aumenta i dividendi2 e apre a sinistra3. Tutti questi sono i sintomi, visti al negativo, di un fenomeno che i più chiamano miracoloso, scordando, pare, che i miracoli veri sono quando si moltiplicano pani e pesci e pile di vino, e la gente mangia gratis tutta insieme, e beve (il fatto fu uno solo, anche se il dottor Giovanni scinde e sposta la storia del vino nella località di Cana4). Mangiano e bevono a brigate sull’erba, per gruppi di cento e di cinquanta. Mangiano, bevono e cantano, stanno a sentire la conferenza e appena buio, sempre lì sull’erba, come capita capita, fanno all’amore. Il conferenziere si è tirato in disparte coi suoi dodici assistenti, e discorre con loro sorridendo. È un dottorino ebreo, biondo, sui trent’anni5. I miracoli veri sono sempre stati questi. E invece ora sembra che tutti ci credano, a quest’altro miracolo balordo: quelli che lo dicono già compiuto e anche gli altri, quelli che affermano non è vero, ma lasciate fare a noi e il miracolo ve lo montiamo sul serio, noi. È aumentata la produzione lorda e netta, il reddito nazionale cumulativo e pro capite6, l’occupazione assoluta e relativa, il numero delle auto in circolazione e degli elettrodomestici in funzione, la tariffa delle ragazze squillo, la paga oraria, il biglietto del tram e il totale dei circolanti su detto mezzo, il consumo del pollame, il tasso di sconto, l’età media, la statura media, la valetudinarietà7 media, la produttività media e la media oraria al giro d’Italia. Tutto quello che c’è di medio è aumentato, dicono contenti. E quelli che lo negano propongono però anche loro di fare aumentare, e non a chiacchiere, le medie; il prelievo fiscale medio, la scuola media8 e i ceti medi. Faranno insorgere bisogni mai sentiti prima. Chi non ha l’automobile l’avrà, e poi ne daremo due per famiglia, e poi una a testa, daremo anche un televisore a ciascuno, due televisori, due frigoriferi, due lavatrici automatiche, tre apparecchi radio, il rasoio elettrico, la bilancina da bagno, l’asciugacapelli, il bidet e l’acqua calda. A tutti. Purché tutti lavorino, purché siano pronti a scarpinare, a fare polvere9, a pestarsi i piedi, a tafanarsi10 l’un l’altro dalla mattina alla sera. Io mi oppongo. Quassù io ero venuto non per far crescere le medie e i bisogni, ma per distruggere il torracchione di vetro e cemento11, con tutte le umane relazioni che ci stanno dentro. Mi ci aveva mandato Tacconi Otello12, oggi stradino per conto della provincia, con una missione ben precisa, tanto precisa che non occorse nemmeno dirmela. E se ora ritorno al mio paese, e ci incontro Tacconi Otello, che cosa gli dico? Sono certo che nemmeno stavolta lui dirà niente, ma quel che gli leggerò negli occhi lo so fin da ora. E io che cosa posso rispondergli? Posso dirgli, guarda, Tacconi, lassù mi hanno ridotto che a fatica mi difendo, lassù se caschi per terra nessuno ti raccatta, e la forza che ho mi basta appena per non farmi mangiare dalle formiche , e se riesco a campare, credi pure che la vita è agra, lassù.
5 Il conferenziere… trent’anni: Gesù e i do-
dici apostoli, descritti sempre con ironia in una moderna chiave aziendalistico-manageriale. La “conferenza” di Gesù potrebbe alludere al celebre discorso della montagna, in cui i poveri e gli sventurati vengono chiamati beati. 6 reddito… pro capite: il reddito nazionale cumulativo indica il reddito dei residenti in uno stato nella loro globalità, mentre quello pro capite (a testa) è un indicatore teorico della ricchezza di ogni singolo cittadino (risultante dal reddito nazionale diviso per la
popolazione residente). 7 valetudinarietà: tendenza alla malattia. 8 la scuola media: nel 1962 era stata approvata in Italia la riforma della scuola media unificata, che permetteva l’accesso a qualsiasi scuola superiore, ed era stata abolita la scuola di avviamento al lavoro. 9 fare polvere: alzare la polvere a causa dell’attività frenetica (e per mostrare di essere attivi). 10 tafanarsi: gergale per “infastidirsi” (da tafano, insetto molesto dalla puntura dolorosa). © Casa Editrice G. Principato SpA
torracchione… cemento: la sede della società che il protagonista ha deciso di fare esplodere. 12 Tacconi Otello: ex consigliere provinciale, compaesano e alleato del protagonista nella sua battaglia contro la società Montecatini; all’inizio del romanzo lo sprona a recarsi a Milano per vendicare la morte dei minatori di Ribolla e realizzare il suo piano dinamitardo. 11
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aumenta i dividendi: i dividendi sono il g uadagno che spetta agli azionisti alla fine dell’anno finanziario, in proporzione al numero di azioni possedute. Un’azienda florida e ben quotata in borsa riesce a dare dividendi alti ai propri azionisti, mentre un’azienda in crisi non ne distribuisce. 3 apre a sinistra: intavola un dialogo con le forze politiche progressiste della sinistra nel tentativo di sembrare attenta alle condizioni della propria forza lavoro. 4 quando si moltiplicano… Cana: il riferimento, in chiave ironica, si rifà a due episodi distinti del Vangelo: l’episodio delle nozze di Cana, in cui Gesù trasforma l’acqua in vino (Giovanni 2-1, 11) e la moltiplicazione di pani e pesci per sfamare la folla (Matteo 14, 13-21; Marco 6, 30-44). 2
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13 gente come te: un proletario, uno della classe operaia. 14 sezione: sede locale del Pci. 15 ai piani… 2: allusione a una strada milanese (meneghina) non altrimenti identificabile. 16 ventiduesimo: è l’Art. 22 della Costituzione italiana, che recita: «Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome». 17 sganasciare… italiana: sopprimere (lett. “scardinare”) la classe dirigente italiana. 18 in interiore homine: nell’animo dell’uo mo. L’espressione latina rimanda a un passaggio delle Confessioni di sant’Agostino: «Non uscire da te, ritorna in te stesso, nell’interno dell’uomo abita la verità».
Almeno avessi trovato gente come te13. Ma la gente come te non me la fanno vedere, non gli danno il modo di dormire a sazietà, la tengono distante, staccata, la fanno venire tutte le mattine presto col treno, e io ho appena fatto in tempo a intravederli, senza capirci nulla, senza nemmeno potergli dire una parola. Lo so, potrei andare in sezione14, dici tu, ma qui dove mi hanno chiuso, ai piani alti di via Meneghino 215, come si fa? Non lo sa nessuno dov’è la sezione, se lo domandi per strada ti guardano come se tu fossi matto. E se anche la trovassi, che cosa credi che dicano, là dentro? Parlano del ventiduesimo16, lo sai anche tu. Del torracchione intatto non parlano, e se mi ci azzardo dicono che è una notizia superata, stravecchia, che ci vorrebbe un altro scoppio per ritirarla fuori e sfruttarla politicamente, denunciare all’opinione pubblica e portare avanti un’azione di massa. Dicevano così, te lo ricordi? E se poi fosse soltanto una questione politica, io saprei il da fare. Se si trattasse soltanto di aprire un vuoto politico, dirigenziale, in Italia, con pochi mezzi ci riuscirei. Il progetto l’ho già esposto altrove, ed è semplice. Mi basta da un massimo di duecento a un minimo di cinque specialisti preparati e volenterosi, e un mese di tempo, poi in Italia ci sarebbe il vuoto. E nemmeno con troppe perdite: diciamo una trentina, e nessuno dei nostri. Con trenta omicidi ben pianificati io ti prometto che farei il vuoto, in Italia. Ma il guaio è dopo, perché in quel vuoto si ficcherebbero automaticamente altri specialisti della dirigenza. Non puoi scacciarli perché questo è il loro mestiere, e si sono specializzati sugli stessi libri di quelli che dirigono adesso, ragionano con lo stesso cervello di quelli di ora, e farebbero le stesse cose. Lo so, sarebbero più onesti, dici tu, più seri, ma per ciò appunto più pericolosi. Farebbero crescere le medie, sul serio, la produttività, i bisogni mai visti prima. E la gente continuerebbe a scarpinare, a tafanarsi, più di prima, a dannarsi l’anima. No, Tacconi, ora so che non basta sganasciare la dirigenza politico-economico-socialdivertentistica italiana17. La rivoluzione deve cominciare da ben più lontano, deve cominciare in interiore homine18.
Guida alla lettura
Nella prima parte del brano Bianciardi si concentra sulla demolizione del mito italiano del “miracolo economico”: il benessere materiale apportato dal boom economico a un’attenta analisi risulta più che altro un miraggio e, soprattutto, ha come contropartita una lotta senza esclusione di colpi, in cui tutti potranno accedere ai beni di consumo, purché siano pronti a calpestare le più elementari regole della convivenza tra gli uomini («a pestarsi i piedi, a tafanarsi l’un l’altro dalla mattina alla sera»). Nessuna pietà per il prossimo in difficoltà, nessuna solidarietà tra lavoratori, disprezzo per i perdenti, un continuo impegno a cercare di non vedere, a chiudere gli occhi davanti alle difficoltà degli altri. Bianciardi confronta questo moderno uso del termine “miracolo” con quello originario che si ritrova nel Vangelo, rievocando due episodi della vita di Gesù (la trasformazione dell’acqua in vino durante le nozze di Cana e la moltiplicazione dei pani e dei pesci) per sottolineare la gratuità del vero miracolo, ben lontana dagli interessi economici sempre sottesi al processo economico. Forse non è un caso che già un decennio prima proprio nel capoluogo lombardo fosse ambientato il film di Vittorio De Sica Miracolo a Milano (1951), sceneggiato da Cesare Zavattini, che con toni evangelici ed egualitari aveva messo in scena una comunità di barboni emarginati dalla città e dal suo sviluppo economico. Incremento “medio”, bisogni mai sentiti prima ▪ L’insistenza di Bianciardi sull’aggettivo “medio” («l’età media, la statura media, la valetudinarietà media…») vuole sottolineare come questo cosiddetto progresso tenda a uniformare la società alla sua “media”, che non è la somma dei Il «miracolo balordo» ▪
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1. Il «miracolo balordo» L’autore definisce il cosiddetto miracolo economico degli anni Sessanta «miracolo balordo» perché a. □ è paradossale in quanto è un miracolo con effetti negativi. b. □ è descritto con stile stravagante. c. □ è un fenomeno di dimensioni straordinarie. d. □ si tratta di un fenomeno imprevedibile. 2. Le caratteristiche del «miracolo» secondo Bianciardi Indica quali sono secondo Bianciardi le caratteristiche del «miracolo balordo» italiano. 3. Un confronto fra “miracoli” Qual è il significato del confronto tra il miracolo italiano e i miracoli evangelici?
4. Il mondo della politica Che cosa rimprovera il protagonistanarratore al mondo della politica? Esercitare le competenze
5. Individuare nell’analisi della società anni Sessanta una chiave profetica Il romanzo è stato scritto nel 1962; pensando alla società odierna, ritieni che l’analisi del protagonista si riveli in un certo senso profetica? In che modo? Argomenta in merito in un testo di circa 20 righe. © Casa Editrice G. Principato SpA
Testi ON LINE
BIOGRAFIA Ottiero Ottieri
8 Manodopera femminile nel Sud
Ottiero Ottieri_Donnarumma all’assalto, XII
ON LINE PERCORSO TEMATICO_CINEMA Il boom economico e la commedia all’italiana
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La letteratura interpreta le contraddizioni del boom economico
singoli individui, ognuno con caratteristiche ed esigenze specifiche, ma piuttosto la tendenza ad appiattire ogni diversità. Così il reddito pro capite è un indicatore teorico, non dice nulla delle diseguaglianze tra ricchi e poveri. L’omologazione sarà poi diffusa nella società attraverso il bisogno di acquistare merci indotto dalle esigenze del mercato (e lo scrittore sembra davvero profetico quando parla di «due televisori» ciascuno in anni in cui per guardare i programmi televisivi la maggior parte degli italiani doveva recarsi al bar!): Bianciardi coglie con largo anticipo quelli che saranno i tratti salienti della società dei consumi; in altri passi del libro dimostra anche di avere chiara coscienza del ruolo invasivo della pubblicità nel far insorgere bisogni mai sentiti prima. Io mi oppongo ▪ L’unica soluzione che l’intellettuale sembra intravvedere è di tipo eversivo, per eliminare la classe dirigente e avviare un nuovo corso politico, ma a un più maturo e disincantato esame essa appare inutile perché la nuova classe al potere finirebbe per riproporre le vecchie modalità, peggiorando persino la situazione. La sua è una battaglia solitaria, donchiscottesca, priva di fiducia in ogni tipo di organizzazione o regola di carattere comunitario («Lo so, potrei andare in sezione...»). Il fallimento di ogni tentativo di ribellione è causa di una delusione angosciante; e nemmeno il ritorno alla provincia è più possibile (r. 56). Solo alla fine del testo troviamo un’affermazione nuovamente propositiva: dalla rivoluzione politica l’autore passa ad auspicare una rivoluzione interiore: è il singolo che deve interrogarsi sui suoi reali bisogni e su ciò che lo rende felice e ribellarsi allo stile di vita imposto dalla società moderna. Uno stile ironico ed espressionista ▪ La lingua di Bianciardi esprime gli umori ribelli e vitalistici del protagonista che nel suo soliloquio utilizza un registro linguistico alto («spirare», «si è tirato in disparte», «valetudinarietà», la citazione latina finale «in interiore homine»), indice della sua cultura, in cui i riferimenti letterari si mischiano ai termini tecnici dell’economia («dividendi», «reddito nazionale cumulativo e pro capite», «tasso di sconto» ecc.) insieme a uno più colloquiale («di che mi lagno?», «non me la passo peggio...») o addirittura triviale («ti butta via a calci nel culo») per dar concretezza alla rabbia e all’invettiva polemica. Ma la caratteristica principale dello stile dell’autore toscano è l’espressionismo metaforico accompagnato da un’ironia spesso amara (ad es. «la cartella clinica di un’ostrica malata che però non riesce nemmeno a fabbricare la perla..», «finora non mi hanno mangiato le formiche», «ridursi a gusci opachi», «questo puzza di cadavere», «tafanarsi l’un l’altro», «sganasciare la dirigenza» ecc.).
11. Letteratura e industria
Sintesi con
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AUDIOLETTURA
Lo sviluppo industriale e i cambiamenti nella società italiana
11 Letteratura e industria • TEMI
Gli anni fra il 1955 e il 1963 vedono una straordinaria crescita economica che cambia il volto dell’Italia, trasformandola da paese prevalentemente agricolo a industriale: è il cosiddetto “miracolo” economico, il boom, che comporta tra l’altro l’accentuarsi del divario economico tra Nord e Sud, l’emigrazione dalle regioni meridionali alle città settentrionali, il nascere di una nuova cultura industriale, lo svilupparsi della società dei consumi. In questo periodo si configura una nuova figura di intellettuale che ha a che fare con i vari ambiti della produzione industriale e, mentre diventa centrale il ruolo della fabbrica, gli scrittori cercano di rappresentare i cambiamenti sociali e di costume. Nel numero 4 della rivista «Il menabò» (1961) Elio Vittorini apre il dibattito su “Letteratura e industria” ponendo la necessità di trovare nuovi modi per rappresentare il contesto socio-economico del paese. Una visita in fabbrica di Vittorio Sereni è un esempio di poesia che affronta il tema del rapporto fra intellettuale e industria. Già nel primo dopoguerra Beppe Fenoglio (1922-1963) nel romanzo La paga del sabato, scritto nel 1949 con modalità neorealiste ma pubblicato nel 1969, aveva mostrato l’impossibilità per un ex partigiano di inserirsi nel nuovo sistema produttivo. Paolo Volponi (1924-1994) è considerato lo scrittore più rappresentativo della cosiddetta “letteratura industriale”. Nel suo romanzo Memoriale (1962) la fabbrica è descritta dal punto di vista nevrotico del protagonista, che all’inizio ne è attratto, per il senso dell’ordine che offre, ma poi ne subisce gli effetti alienanti fino a cadere nella malattia psichica. Lucio Mastronardi (1930-1979) nel romanzo Il maestro di Vigevano (1960) affronta i temi del boom economico e delle trasformazioni sociali all’interno di un soffocante ambiente di provincia: il protagonista capisce che la sua professione di maestro perde credito e valore a confronto con le attività dei nuovi arricchiti grazie allo sviluppo dell’industria locale. La più impietosa radiografia del “miracolo italiano” è realizzata nel romanzo La vita agra (1962) da Luciano Bianciardi (19221971), che rappresenta in modo espressionistico e con amara ironia il mondo dell’industria, della politica, della cultura milanese, indifferente ai veri disagi sociali e dove gli uomini sono portati a concentrarsi sul soddisfacimento di bisogni consumistici indotti artificialmente. Anche Italo Calvino (1923-1985) mette a nudo nella raccolta di novelle Marcovaldo (1963) i problemi legati al consumismo e all’industrializzazione, utilizzando fantasia e ironia. 512
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“miracolo economico” 1955-1963 sviluppo economico-industriale � divario socio-economico fra Nord e Sud � emigrazione interna � aumento della domanda � inizio del consumismo � nuova cultura industriale nuovi ambiti di confronto per gli scrittori Vittorini nella rivista «Il menabò» propone nuovi mezzi espressivi per nuovi contenuti
il difficile reinserimento di un ex partigiano nel nuovo modello produttivo
gli effetti alienanti della vita in fabbrica su un reduce di guerra
le conseguenze del boom economico nelle trasformazioni sociali della vita di provincia
un ritratto amaro e sarcastico del mondo dell’industria e della cultura
TEMI Successivamente agli anni Sessanta diversi scrittori documenteranno con vari punti di vista l’evolversi del rapporto tra industria e società: Primo Levi, ad esempio, in La chiave a stella (1978) dà risalto all’etica del lavoro di un operaio specializzato, mentre Paolo Volponi torna sul tema nelle Mosche del capitale (1989) rappresentando l’impossibilità di applicare una visione umanistica all’organizzazione di un’azienda nella società post-industriale.
Primo Levi fotografato nel laboratorio
chimico dell’azienda in cui lavorava
Conoscenze e Competenze Conoscenze
2. Su quale rivista si svolse il dibattito sull’incontro letteratura e industria? a. □ «Il menabò». c. □ «Il Politecnico». b. □ «Comunità». d. □ «Solaria». – Da chi fu fondata? a. □ Olivetti. c. □ Vittorini. b. □ Vittorini e Calvino. d. □ Carocci. 3. In che cosa consiste l’utopia di Olivetti? a. □ Nell’integrazione tra letteratura e industria. b. □ Nella conciliazione tra gratificazione e riconoscimento economico dei lavoratori ed esigenze del mercato. c. □ Nell’accettazione da parte degli intellettuali delle esigenze del mercato e delle leggi dell’economia. d. □ Nell’accettazione da parte dei lavoratori delle esigenze del mercato e delle leggi dell’economia. – Con quali strumenti ha cercato di realizzarla? 4. Da quale prospettiva Volponi affronta il tema del lavoro nella grande fabbrica? a. □ Da quella dell’innovazione tecnologica. b. □ Da quella del superamento dello scarto tra civiltà contadine e società industriale. c. □ Da quella dell’alienazione e della crisi esistenziale del lavoratore. d. □ Da quella della fiducia nel capitalismo illuminato. 5. Qual è il tema centrale del romanzo La paga del sabato di Fenoglio? a. □ Il difficile inserimento nel mondo del lavoro dei reduci dalla Resistenza. b. □ Il superamento della contrapposizione tra civiltà contadina e società industriale. c. □ La condanna dello sviluppo industriale. d. □ Le opportunità di affermazione individuale offerte dallo sviluppo industriale.
Competenze
6. In un testo espositivo-argomentativo di circa 20 righe presenta l’altra faccia del miracolo economico, utilizzando riferimenti alle letture ed, eventualmente, al cinema contemporaneo. 7. Sintetizza in uno schema le reazioni degli intellettuali di fronte ai problemi della nuova realtà industriale e le principali caratteristiche della loro produzione letteraria. © Casa Editrice G. Principato SpA
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11 Letteratura e industria • TEMI
1. A quale periodo si fa riferimento con l’espressione “miracolo economico”? a. □ Agli anni Settanta. c. □ Al periodo tra il 1955 e il 1963. b. □ Agli anni dell’immediato dopoguerra. d. □ Al biennio 1968-69.
CLASSICI 14 Pier Paolo Pasolini è oggi considerato una delle figure più rappresentative della cultura italiana del secondo Novecento. La sua importanza non riguarda solo la letteratura e la cultura ma più in generale la storia italiana, con la quale si è sempre confrontato, convinto della responsabilità civile e morale dell’intellettuale. Forse più ancora che per le sue opere – che spaziano dalla poesia alla narrativa, dal teatro al cinema – Pasolini è oggi ricordato per l’appassionata riflessione critica che ha attraversato tutta la sua vita, sui problemi socio-culturali e politici dell’Italia dal dopoguerra ai difficili anni Settanta. Muovendo dall’idealizzazione di un mondo arcaico pre-industriale e da un’autentica tensione etica, Pasolini rifiuta l’Italia snaturata dal benessere consumistico, dal potere mediatico e dalla dilagante corruzione politica. La sua critica assume toni apocalittici negli Scritti corsari e nelle Lettere luterane, pubblicate dopo la sua tragica morte. Pier Paolo Pasolini
cronologia INTERATTIVA 1922 Pier Paolo Pasolini nasce a Bologna. 1939 Terminato il liceo, si iscrive alla facoltà di lettere a Bologna.
1942-43 Pubblica la sua prima raccolta di poesie, Poesie a Casarsa in dialetto friulano.
1945 Si laurea con una tesi su Pascoli.
1939-1945 Seconda guerra mondiale
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1947 Si iscrive al Pci.
1946 In seguito al referendum del 2 giugno nasce la Repubblica italiana.
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1950 Lascia per sempre il Friuli e, con la madre, va a vivere a Roma.
1954 Pubblica La meglio gioventù, che raccoglie le poesie dialettali.
L’uomo Pasolini
visto da sé medesimo Pasolini non amava le elucubrazioni filosofiche, la metafisica e i sistemi ideologici astratti. Questo scriveva, a ventun anni, in una lettera del 1943 al coetaneo Franco Farolfi. Non mi interessano quelle cose astratte che sono Dio, Natura, Parola. I filosofi non mi interessano affatto se non in certi brani poetici. Non trovo nulla di più vano e doloroso che prendere a prestito un linguaggio usato da secoli e servirmene per una nuovamente astratta costruzione
strumenti PER STUDIARE
filosofica [...]. L’unica filosofia che io senta moltissimo vicina a me è l’esistenzialismo, con il suo poetico (e ancora vicinissimo a me) concetto di “angoscia”, e la sua identificazione esistenza-filosofia.
LE UNITÀ ● 1. Ritratto d’autore ● 2 . Una produzione multiforme
P.P. Pasolini, Lettere, a c. di N. Naldini, vol. I, Einaudi, Torino 1988
ALTRI TESTI C1U2T⓬eOL
Nella dolorosa dichiarazione che segue, affidata a un’intervista, Pasolini mette in luce un nodo centrale della sua vita e della sua fisionomia intellettuale, legato alla condanna della sua “diversità”. Sono vent’anni che la stampa italiana, e in primo luogo la stampa scritta, ha contribuito a fare della mia persona un controtipo morale, un proscritto. Non c’è dubbio che a questa messa al bando da parte dell’opinione pubblica abbia contribuito l’omofilia, che mi è stata imputata per tutta la vita come un marchio d’ignominia particolarmente emblematico nel caso che rappresento: il suggello stesso di un abominio umano da cui sarei segnato, e che condannerebbe tutto ciò che io sono, la mia sensibilità, la mia immaginazione, il mio lavoro, la totalità delle mie emozioni, dei miei sentimenti e delle mie azioni a non essere altro se non un camuffamento di questo peccato fondamentale, di un peccato e di una dannazione. [...]. Molti non mi hanno mai perdonato di scrivere tra di loro senza essere infeudato
1955-59 Escono i romanzi Ragazzi di vita (1955) e Una vita violenta (1959) e le raccolte poetiche Le ceneri di Gramsci (1957) e L’usignolo della Chiesa cattolica (1958). 1956 La rivolta popolare in Ungheria è repressa dall’Unione sovietica. Crisi della sinistra italiana
1961-64 Pubblica La religione del mio tempo e Poesia in forma di rosa. Inizia l’esperienza cinematografica con Accattone (1961) cui seguono altri film ambientati a Roma e Il Vangelo secondo Matteo (1964). 1962 Istituzione della scuola media unica.
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ad alcun potere né vincolato dalla legge della sopravvivenza. Il mio vero peccato è di avere esercitato il mestiere di giornalista da polemista e da poeta, nella più totale insubordinazione. Questa insubordinazione, l’hanno trasferita sul piano morale, e l’omosessualità è divenuta, mediante tale operazione di transfert, il principio stesso del male. [...] È una tecnica vecchia come il mondo: quella dell’amalgama calunnioso. Tutti i processi alle intenzioni che hanno condotto contro scrittori, da Socrate a Oscar Wilde, passando per Baudelaire, hanno giocato sulla confusione tra finzione creativa e vissuto.
CONTENUTI DIGITALI Esercizi interattivi Ascolti Video
DIDATTICA INCLUSIVA Mappe Sintesi
DIDATTICA PER COMPETENZE Esercitare le competenze
CLASSE ROVESCIATA
P.P. Pasolini, Diverso come gli altri, in Il sogno del centauro, in Saggi sulla politica e la società, Mondadori, Milano 2009
1967-75 Prosegue l’attività di sceneggiatore e regista con Edipo re (1967), Teorema (1968) e Medea (1970); seguirà la Trilogia della vita (1971-1974) e infine Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975).
1972 Inizia a lavorare al romanzo Petrolio, lasciato incompiuto e pubblicato postumo nel 1992.
1968 Scoppia la rivolta studentesca.
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L’uomo Pasolini
1973 Inizia a collaborare con il «Corriere della Sera». Gli articoli confluiscono in Scritti corsari (1975) e Lettere luterane (postume, 1976). 1969-1974 Serie di attentati terroristici a Milano (1969), Bologna e Brescia (1974).
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1975 Muore assassinato all’idroscalo di Ostia.
Unità
1 Ritratto d’autore
1 Vita di un intellettuale “contro” L’infanzia, le figure della madre e del padre ▪
14 Pier Paolo Pasolini • CLASSICI Pier Paolo e la madre Susanna
Colussi, a Roma nel 1961 (foto di Mario Dondero).
Pier Paolo Pasolini, uno degli intellettuali più rappresentativi della cultura italiana del secondo Novecento, nasce a Bologna nel 1922. Il padre, Carlo Alberto Pasolini, militare di carriera, discende da una nobile famiglia ravennate, mentre la madre, Susanna Colussi, è una maestra elementare friulana. Con il padre, uomo autoritario e passionale, Pier Paolo avrà sempre un rapporto conflittuale. Non solo alcune opere di Pasolini (in particolare le tragedie), ma la sua stessa vocazione polemica, le battaglie contro ogni ottusa autorità, possono essere considerate – come lo scrittore stesso ha suggerito – espressione del conflitto con la figura paterna. Fin da bambino Pier Paolo ha invece un legame particolarmente forte con la madre, che condizionerà la sua vita privata e che è presumibilmente alla radice delle sue scelte intellettuali: Susanna ama le letture, la poesia, è spontaneamente avversa alla retorica politica che la cultura del fascismo andava imponendo e a cui il marito aderisce invece entusiasticamente, anche per la sua formazione di militare. Un brillante studente a Bologna ▪ Nel 1937 la famiglia si trasferisce a Bologna. Nel 1939, a soli diciassette anni, si iscrive alla facoltà di lettere a Bologna. Studente assai dotato, si appassiona alla filologia romanza e alle arti figurative, avendo come maestro un grande studioso, Roberto Longhi. Agli studi e alle vaste letture (soprattutto di poesia) associa la passione per il calcio e le lunghe gite in bicicletta con gli amici: «Lo sport è veramente la mia pura, continua, spontanea consolazione» scrive in una lettera. Si laurea brillantemente nel 1945 con una tesi su Pascoli. Casarsa, «terra d’elezione» ▪ Il paese natale della madre, Casarsa, in Friuli, dove la famiglia Pasolini si recava per le vacanze, e dove il futuro scrittore risiede stabilmente dal 1942 al 1950, è il luogo elettivo del suo immaginario: ne deriveranno importanti scelte di vita e letterarie, come in particolare quella di scrivere le sue prime poesie in dialetto friulano (Lettere a Casarsa). La fede antifascista, l’adesione al marxismo ▪ Pier Paolo è spontanemante antifascista, ma non sceglie di aderire alla lotta armata nella Resistenza come invece fa il fratello minore Guido (Guido morirà nel 1945 a Porzûs in uno degli episodi più oscuri della Resistenza). Nell’immediato dopoguerra si avvicina all’ideologia comunista; nel 1947 si iscrive alla sezione del Partito comunista di Casarsa e l’anno dopo ne diventa segretario. Il mestiere di insegnante ▪ Pasolini aveva un’autentica vocazione didattica e nella prima parte della sua vita è stato soprattutto un insegnante (dal 620
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APPROFONDIMENTO
Pasolini e i giovani: una vocazione pedagogica
Gli anni della persecuzione: la trasformazione mediatica di Pasolini in “personaggio” ▪ Da quel momento ogni nuova opera di Pasolini suscita scalpore e polemiche, se non
addirittura denunce, dividendo in schieramenti contrapposti il pubblico e la critica. Pasolini diventa così suo malgrado un “personaggio” che, con la complicità della stampa più conservatrice, è identificato dall’opinione pubblica nei suoi personaggi, nel mondo “basso” e violento evocato nei suoi romanzi: “pasoliniano” diventa così sinonimo, in APPROFONDIMENTO
Il mito pasoliniano delle borgate L’interesse per il mondo popolare nasce spontaneo appena Pasolini arriva a Roma e si concretizza nella personale frequentazione dell’universo delle borgate. Un interesse che si accentuerà in seguito alla lettura degli scritti di Gramsci, in un periodo in cui in Italia si tendeva a riscoprire la vera anima popolare che il fascismo aveva represso. Anche nel caso del sottoproletariato borgataro, così come era accaduto già per il Friuli, l’interesse umano e sociopolitico si salda con l’interesse filologico per i linguaggi: Pasolini ascolta parlare i
borgatari e spesso trascrive espressioni idiomatiche che utilizzerà poi in alcuni suoi romanzi. Nell’estate del 1951 conosce Sergio Citti, diciottenne, imbianchino, appena uscito dal riformatorio: il borgataro di Tor Pignattara sarà da allora in poi il suo «dizionario vivente» (Naldini), un vero e proprio consulente linguistico: mentre scriveva Ragazzi di vita, Pasolini annotava su un taccuino le espressioni che lo colpivano e ne chiedeva poi spiegazioni a Citti. Le borgate sono lo sfondo di quella che, nell’opera di Pasolini, si può considerare una sorta di trilogia: i romanzi Ragazzi di vita e Una vita violenta e il film Accattone.
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Pasolini nella periferia di Roma (in un servizio giornalistico degli anni Cinquanta).
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1 Ritratto d’autore
ON LINE
1943 al 1949 a Casarsa). In seguito, tra il 1951 e il 1953, insegnerà a Roma in una scuola media di periferia. L’esperienza scolastica sarà poi abbandonata per il lavoro di scrittore e, in seguito, di regista. L’addio al Friuli, la fuga a Roma «come in un romanzo» ▪ Nel 1949 viene denunciato per corruzione di minorenni e rimosso dal posto di insegnante, nonostante le proteste dei genitori dei suoi ragazzi. Lo stesso Pci lo espelle per immoralità. Sarà assolto per insufficienza di prove, ma lo scandalo segnerà la sua reputazione. Lascerà per sempre l’amato Friuli: all’alba del 28 gennaio 1950 Pier Paolo e la madre fuggono a Roma («come in un romanzo» dirà in seguito). Pasolini vive subito una sorta di innamoramento nei confronti di Roma: nel suo immaginario poetico, «questa nuova Casarsa», secondo le sue stesse parole, sostituisce ben presto il Friuli con la sua struggente bellezza, la vitalità del suo popolo, la sua disponibilità ad accogliere, con allegra indifferenza, «qualsiasi sbandato o reietto» (Naldini). Pasolini, lui stesso all’inizio povero ed emarginato dalla classe sociale di cui faceva parte, trova una spontanea consonanza con gli “ultimi” delle borgate: un sottoproletariato che vive alla giornata, spesso di espedienti, e che sarà centrale nei suoi romanzi. Ragazzi di vita: l’inizio di una difficile celebrità ▪ Dal 1953 al 1961 Pasolini scrive il meglio della sua produzione, grazie alla quale diventa noto non solo alla critica ma anche al vasto pubblico: i romanzi Ragazzi di vita (1955) e Una vita violenta (1959), le raccolte poetiche Le ceneri di Gramsci (1957) e La religione del mio tempo (1961), i saggi critici di Passione e ideologia (1960); inoltre è il principale animatore della rivista «Officina» (1955-1959). Inizia anche, nello stesso periodo, a lavorare per il cinema: scrive tredici sceneggiature e firma il suo primo film, Accattone (1961), secondo molti il suo migliore. Ragazzi di vita ha grande successo di pubblico ma sconcerta e divide la critica, anche di parte marxista (ad es. Carlo Salinari parla di ispirazione «torbida»). Viene accusato di oscenità dalla presidenza del consiglio dei ministri. Al processo testimoniano a favore del romanzo Giuseppe Ungaretti e il critico cattolico Carlo Bo, che rileva addirittura nell’opera un valore religioso nella difesa degli ultimi. Il romanzo verrà assolto con formula piena.
APPROFONDIMENTO
Intellettuali e borgatari: gli amici di Pasolini A Roma Pasolini si circonda di pochi amici fidati, quasi tutti scrittori di una certa fama o destinati a raggiungerla ben presto: tra di essi quasi subito figura il poeta Sandro Penna. E poi Giorgio Caproni, Attilio Bertolucci, Giorgio Bassani e Carlo Emilio Gadda. In un secondo tempo diventerà assiduo soprattutto della coppia MoranteMoravia, con i quali compirà memora-
14 Pier Paolo Pasolini • CLASSICI
Pasolini
fotografato a Göreme, in
Cappadocia
(giugno 1969).
bili viaggi in India e Africa. L’amica più fedele è l’attrice Laura Betti, che sarà l’infaticabile, battagliera custode della sua memoria e dei suoi scritti dopo la morte. Agli intellettuali di spicco si associano due umili borgatari, onnipresenti nella casa di Pasolini: Sergio Citti, che poi affiancherà Pasolini nell’attività cinematografica, e Ninetto Davoli, che Pasolini conosce ancora ragazzino nel 1963, mentre prepara il Vangelo secondo Matteo. Sarà con Ninetto che Pasolini
cenerà nell’ultima sera della sua vita.
L’attrice Laura Betti e lo scrittore Goffredo Parise insieme a Pasolini in
occasione del premio Strega 1960.
particolare a Roma, di omosessualità, degradazione sociale e persino malavita. È l’inizio di una vera e propria persecuzione: lo scrittore viene spiato, fotografato, deve affrontare continuamente processi (arriva addirittura a subire una denuncia per tentata rapina) che lo mettono a dura prova psicologicamente, anche se si concludono sempre con un’assoluzione. Un nuovo amore: il cinema ▪ Dagli anni Sessanta la principale attività artistica di Pasolini diventa il cinema, grazie al quale conoscerà un grande successo internazionale (→Pasolini scrittore-regista p. 647). Il suo interesse per il cinema ha a che fare con una crescente sfiducia nella possibilità della letteratura di incidere sulla realtà e con un mutato clima politico e culturale: a partire dal 1956 (dopo i fatti di Ungheria) la sinistra è segnata da una lacerante crisi, inizia il dibattito sul rapporto tra “letteratura e industria”, avviato da Elio Vittorini sulla rivista «il menabò», e si profila la neoavanguardia, che Pasolini avverserà aspramente (→U2). L’avanzata dell’industrializzazione e del neocapitalismo rende rapidamente inattuali le storie di borgata care a Pasolini. I viaggi, alla ricerca dell’“alternativa” ▪ Con gli anni Sessanta Pasolini comincia a viaggiare in paesi del Terzo mondo, per il suo lavoro cinematografico, ma anche alla ricerca di ideali alternativi al mito perduto del popolo borgataro. Nel 1960-61 con Moravia e la Morante si reca in India e ne trae il reportage L’odore dell’India. In seguito si recherà in varie zone dell’Africa, spesso in compagnia della grande cantante lirica Maria Callas. Gli ultimi quindici anni: l’età della polemica ▪ Intanto Pasolini assume sempre più il ruolo del polemista, sul piano sia etico-politico sia culturale-letterario: da una parte attacca senza esclusione di colpi tanto la borghesia, che considera responsabile del degrado politico e morale del paese, quanto il conformismo di sinistra, dall’altro critica violentemente la neoavanguardia. Pur essendo famoso è sempre più isolato: «io, del Nuovo / Corso della Storia / – di cui non so nulla – come / un non addetto ai lavori, un / ritardatario lasciato fuori per sempre – » (Nuova poesia in forma di rosa). Scoppiata la contestazione del Sessantotto, Pasolini non solo rimane ai margini del movimento, ma addirittura lo attacca, nella convinzione che il movimento fosse non una vera rivoluzione, ma una rivolta interna alla borghesia stessa. In occasione della battaglia studentesca a Valle Giulia a Roma contro le forze di polizia, in una poesia diventata celebre (Il PCI ai giovani!!) difende provocatoriamente i poliziotti “figli di poveri” mentre dichiara il suo odio per gli studenti figli di borghesi (→C1U2T⓬eOL). 622
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Pasolini corsaro e luterano ▪
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Pasolini polemista (intervistato da Enzo Biagi, 1971)
Dal 1973 inizia a collaborare con il «Corriere della Sera» con articoli poi raccolti in Scritti corsari. Oltre a ospitare la polemica di Pasolini nei confronti dell’omologazione linguistica e comportamentale divenuta ormai ricorrente, gli interventi sono contraddistinti da una evidente volontà di provocazione, che induce lo scrittore ad assumere posizioni controcorrente in occasione di importanti momenti della storia italiana di quegli anni (dalla vittoria dei referendum su divorzio e aborto, all’istituzione della scuola media unica →T❷-T❸OL). Ancora più veementi, ispirati a un moralismo intransigente e profetico, gli scritti pubblicati postumi con il titolo di Lettere luterane (→T➍) in cui Pasolini, tra l’altro, chiede, a nome degli italiani, che si faccia luce sulle trame oscure che insanguinarono l’Italia a partire dalla strage di piazza Fontana e invoca un processo pubblico per la classe dirigente che ha guidato il paese dopo il fascismo. Si ritira sempre più spesso in una torre isolata nella campagna (a Chia, presso Viterbo), simbolo lampante della sua stessa emarginazione, dove lavora febbrilmente agli ultimi scritti, tra cui il romanzo Petrolio, lasciato incompiuto (sarà pubblicato allo stato di abbozzo nel 1992). In una villa presso Mantova, nel 1975, realizza il più terribile e disperato dei suoi film: Salò o le 120 giornate di Sodoma, espressione di un pessimismo ormai radicale che non prevede più alcuno sbocco. Una morte “oscura” ▪ Nella notte tra l’1 e il 2 novembre 1975 Pasolini è brutalmente assassinato al lido di Ostia: una morte oscura, su cui pesano a tutt’oggi inquietanti interrogativi. L’omicidio fu attribuito a un “ragazzo di vita”, reo confesso, che anni dopo ritratterà. Dopo gli affollatissimi funerali in Campo dei Fiori, Pasolini viene sepolto nel piccolo cimitero di Casarsa, dove nel 1981 lo raggiunge la madre Susanna.
Un’opera dalla forte impronta ideologica ▪ L’opera di Pasolini si fonda fin dall’inizio
su una forte componente ideologica, che non si richiama però a specifici sistemi filosofici, verso i quali lo scrittore mostra un sostanziale scetticismo. La visione pasoliniana del mondo è comunque ricollegabile in senso lato all’area ideologica del comunismo, cui Pasolini aderisce assai presto e a cui rimarrà sempre fedele, anche se con una posizione costantemente critica o addirittura apertamente polemica. Nello strutturarsi di tale ideologia, più che il pensiero di Marx, incide la lettura dell’opera di Gramsci, in particolare Letteratura e vita nazionale, ma è forse ancora più importante l’istintiva adesione di Pasolini all’universo popolare. L’adesione al popolo: una posizione “populista”? ▪ L’adesione di Pasolini al popolo, rappresentato prima dai contadini di Casarsa, poi dal sottoproletariato romano, rimarrà sempre viscerale, irrazionale, più che motivata da ragioni politiche: Pasolini considera il popolo depositario di energia vitale, di genuinità, di “sanità”. Intellettuale sofisticato di estrazione piccolo-borghese, lo scrittore cercherà in tutti i modi di “immergersi” nel popolo, di condividerne da vicino la vita, gli umori, la mentalità (partecipa alle sagre paesane e rionali, frequenta le balere). Il mito, tutto sommato irrazionale, quasi “romantico”, del popolo che percorre gli interventi e le opere di Pasolini per lo meno fino all’inizio degli anni Sessanta, attira su di lui l’accusa di “populismo” (Parola chiave →C2 p. 119) da parte degli intellettuali marxisti. Un laico con una visione religiosa della vita ▪ In più occasioni Pasolini allude alla sua visione laica, elaborata fin dalla prima giovinezza. Per contro lo scrittore riconosceva di avere una concezione religiosa della vita, fondata sull’amore istintivo per gli “ultimi” e su una visione arcaica, contadina, della religione, assimilata anche grazie alla madre negli anni friulani. Pasolini distingue nettamente l’istituzione Chiesa dalla religione: della prima © Casa Editrice G. Principato SpA
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1 Ritratto d’autore
2 L’ideologia
14 Pier Paolo Pasolini • CLASSICI
condanna il pragmatismo e l’asservimento al potere politico; verso il messaggio evangelico ha invece un atteggiamento di rispetto o addirittura di attrazione. In un’intervista del 1974 su «L’Europeo», definendosi un «marxista eretico», afferma: «Tutto quello che Marx ha detto della religione è da prendere e da buttar via, è frutto di una colossale ignoranza. E la critica alla religione è una grossa fetta del marxismo». Centrale nell’immaginario pasoliniano è, secondo il suo biografo ufficiale, il cugino Nico Naldini, l’immagine sofferente di Cristo sulla croce, “scandalo” che richiama alla necessità di un impegno anche civile: «Bisogna esporsi (questo insegna / il povero Cristo inchiodato?)» (→T❶c). Parola chiave L’attrazione di Pasolini per la figura di Cristo e il messaggio evangelico omologazione trova un’altissima testimonianza poetica nel Vangelo secondo Matteo (1964): il Il termine omologazione film crea scompiglio e divisioni nelle gerarchie cattoliche e, per ragioni diverse, indica l’assimilazione acrinel mondo della cultura di sinistra, testimoniando la posizione anomala e per tica dei comportamenti, molti aspetti “scomoda” di Pasolini. degli stili di vita, dei modi di pensare, di parlare, a La critica all’universo neocapitalista e al consumismo ▪ Proprio sulla un modello dominante, a base del mito, in lui molto radicato, della “sanità” proletaria, Pasolini considera volte imposta in modo aunegativa la transizione che all’inizio degli anni Sessanta, soprattutto nel Nord, toritario (come nei regimi stava trasformando l’Italia da paese arcaico e contadino in nazione industriale dittatoriali). e depreca l’emigrazione che stava avvenendo in modo massiccio dalle campagne Pasolini usa il termine per alle città e dal Sud verso il Nord. Pasolini condanna il nascente consumismo stigmatizzare la scomparsa nella società itafrutto del boom economico e il ruolo della borghesia capitalistica che stava liana ormai massificata imponendo anche alle classi meno abbienti nuovi comportamenti, nuovi valodelle culture locali e di ri – o meglio pseudovalori – e persino una nuova lingua (→C2U5) omologata, quella popolare, in nome tecnologica, annullando la ricchezza linguistica del paese rispecchiata dai suoi del dilagante edonismo e dialetti. Con intuizione che spesso è stata definita “profetica” Pasolini depreca del culto della modernità l’avvento della civiltà di massa, che stava comportando una vera e propria mudiffusi soprattutto dalla televisione. tazione antropologica, soprattutto tra le giovani generazioni: «questi ragazzi hanno perso la loro individualità, son tutti uguali, fascisti, antifascisti, studenti, operai, borghesi, sottoproletari, delinquenti» (da un’intervista del 1974). Questo processo, da lui giudicato un vero e proprio «genocidio», è favorito per Pasolini dall’ingerenza sempre più forte nella vita degli italiani dei mass media e in particolare Pasolini ritratto dal fotografo della televisione (→T❷). Dino Pedriali mentre lavora L’“ultimo Pasolini”: l’intellettuale come testimone critico ▪ Dagli anni Sessanta e nella sua casa soprattutto Settanta, Pasolini assume posizioni sempre più polemiche riguardo alle tendi Chia, nel viterbese (ottobre denze politiche e culturali del suo tempo, che gli fruttano, nonostante il successo delle sue 1975). È una opere (soprattutto cinematografiche), una crescente impopolarità negli stessi ambienti delle ultime immagini dello della sinistra. Pasolini aderisce sempre più all’idea di un ruolo critico dell’intellettuale, scrittore prima non “schierato” e non compromesso con il potere: una posizione che ricorda l’ultimo della morte. Leopardi. Con il grande poeta ottocentesco Pasolini condivide un destino di progressivo isolamento dovuto alle sue posizioni controcorrente: attacca, come già si è detto, il Sessantotto, movimento in cui coglie impietosamente una natura borghese e non veramente rivoluzionaria; in nome di un’idea tutto sommato nostalgica della società, arriva a condannare la legge che introduce la scuola media unica; e prende posizione contro la legalizzazione dell’aborto e contro il divorzio. E, infine, chiede, a nome di tutti gli italiani, la verità sugli eventi oscuri che in quegli anni insanguinavano il paese. 624
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Testo
1 Pasolini e la religione La diffusa presenza di spunti di riflessione etico-religiosa e di vere e proprie suggestioni liturgiche nell’opera di Pasolini rimanda a un nodo senz’altro centrale nell’immaginario dello scrittore. Presentiamo una serie di brevi testi che nell’insieme possono dare almeno un’idea dei caratteri assunti dalla tematica religiosa nell’opera di Pasolini.
a. «Io sono propenso... a una contemplazione mistica del mondo» P.P. Pasolini, Saggi sulla politica e sulla società, a c. di W. Siti e S. De Laude, Mondadori, Milano 1999
Pier Paolo Pasolini_Il malinteso
Nel passo che segue Pasolini da un lato prende le distanze dal cattolicesimo istituzionale, dall’altro riconosce in sé la propensione a una visione mistica, qui intesa come ammirazione della natura e degli uomini, intuizione del senso profondo delle cose.
Io sono propenso a un certo misticismo: i biografi testimoniano che Pasolini lesse testi della letteratura mistica e ne trasse suggestioni profonde. Qui egli
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allude genericamente a una visione che coglie la presenza del divino nella natura e nelle cose del mondo.
Emilio Vedova (1919-2000), Cristo nel Getsemani, da Tintoretto (1942,
Fondazione Emilio e Annabianca Vedova).
Attività sul testo Abilità: comprendere e analizzare
1. Pasolini e il cattolicesimo istituzionale Quale suo atteggiamento interiore contrappone Pasolini al cattolicesimo istituzionale? a. □ Cristianesimo. c. □ Spirito religioso. b. □ Ateismo. d. □ Appartenenza per battesimo. – Prova a indicarne le ragioni, sulla base della conoscenza che hai dell’ideologia e delle esperienze dello scrittore.
Esercitare le competenze
2. Spiegare in relazione a un testo di Pasolini il concetto di «cripto-cristianesimo» Spiega che cosa significa letteralmente «cripto-cristianesimo». Quindi interpreta il breve testo cercando di capire a chi alludesse Pasolini parlando dei “più aggressivi” che gli rimTesti ON LINE proveravano questo atteggiamento e individuando 1 b. «Eppure, Chiesa, ero venuto a te» l’obiezione dello scrittore.
Pier Paolo Pasolini_La religione del mio tempo
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1 Ritratto d’autore
Non mi piace il cattolicesimo in quanto istituzione, non per ateismo militante, ma perché la mia religione, o meglio il mio spirito religioso – che non ha nulla a che vedere con un’appartenenza fondata sul battesimo – ne viene offeso. Rimane poi questo criptocristianesimo, che mi imputano i più aggressivi, quasi fosse una tara vergognosa. Dirò per rispondere loro che difficilmente un occidentale può non essere cristianizzato, se non un cristiano convinto. A maggior ragione un italiano. [...] Io sono propenso a un certo misticismo1, a una contemplazione mistica del mondo, beninteso. Ma questo è dovuto a una sorta di venerazione che mi viene dall’infanzia, d’irresistibile bisogno di ammirare la natura e gli uomini, di riconoscere la profondità là dove altri scorgono soltanto l’apparenza esanime, meccanica, delle cose.
c. La crocifissione
Pier Paolo Pasolini_L’usignolo della Chiesa cattolica, vv. 20-37
P.P. Pasolini, L’usignolo della Chiesa cattolica, in Tutte le poesie, vol. I, Mondadori, Milano 2009
La lirica da cui sono tratti i versi proposti costituisce una meditazione sul tema della crocifissione, sul quale Pasolini ritornerà più volte, non solo nell’opera letteraria, ma anche nel cinema (da La ricotta al Vangelo): il poeta si chiede se il senso del sacrificio di Cristo, la sua tragica esposizione sulla croce («Tutte le piaghe sono al sole / ed Egli muore sotto gli occhi / di tutti» così inizia la poesia), non sia quello dello “scandalo”, non rappresenti cioè un monito agli uomini di coraggio perché testimonino le posizioni estreme in cui credono, nonostante la società “normale” le sconfessi e le respinga. Non a caso Pasolini prepone alla lirica un passo della Lettera ai Corinzi di san Paolo: «Ma noi predichiamo Cristo crocifisso: scandalo pe’ Giudei, stoltezza pe’ Gentili». Riportiamo le ultime due strofe della lirica. 20
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Bisogna esporsi (questo insegna il povero Cristo inchiodato?), la chiarezza del cuore è degna di ogni scherno, di ogni peccato di ogni più nuda passione1... (questo vuol dire il Crocifisso? sacrificare ogni giorno il dono2 rinunciare ogni giorno al perdono sporgersi ingenui sull’abisso3.) Noi4 staremo offerti sulla croce5, alla gogna, tra le pupille limpide di gioia feroce6, scoprendo all’ironia le stille del sangue dal petto ai ginocchi7, miti, ridicoli, tremando d’intelletto e passione8 nel gioco del cuore arso dal suo fuoco, per testimoniare lo scandalo.
la chiarezza... passione: vale la pena, pur di mantenere un animo sincero e limpido, di essere scherniti, di vivere ogni peccato e ogni passione. 2 il dono: forse il poeta allude al dono dell’accettazione da parte degli altri, della “normalità”. 3 sporgersi... abisso: affrontare sereni ogni prova. 1
4 Noi: emerge la sovrapposizione dell’io lirico al Cristo esposto sulla croce. 5 sulla croce: qui il termine assume un significato metaforico. 6 tra le pupille... feroce: tra gli sguardi felici e feroci della gente: anche riferendosi a Cristo, Pasolini aveva parlato delle pupille, cioè degli sguardi di coloro che assistevano alla crocifissione.
Salvator Dalí, Corpus Hypercubus
(1954, New York, Metropolitan Museum of Art).
7 scoprendo... ginocchi: esponendo all’ironia degli altri le ferite del cuore. 8 tremando... passione: è proposto un binomio (intelletto e passione) caro a Pasolini, sintesi della sua natura di intellettuale: per testimoniare “lo scandalo” delle scomode verità in cui crede, egli associa la passione e l’ideologia (e Passione e ideologia è anche il titolo di un’importante raccolta di suoi saggi).
Attività sul testo Abilità: comprendere e analizzare
1. L’identificazione con Cristo Su quali elementi si fonda l’identificazione del poeta con Cristo esposto sulla croce? 2. I valori Individua ed elenca i valori celebrati nella lirica e in cui l’autore si riconosce. 3. Un’immagine e una figura retorica Spiega l’immagine dei vv. 30-31: «pupille / limpide di gioia feroce». – Quale figura retorica riconosci? a. □ Anastrofe. b. □ Ossimoro. c. □ Endiadi. d. □ Dittologia. – Che cosa esprime?
Esercitare le competenze
4. Spiegare un termine “programmatico” nella vita e nella ideologia di Pasolini a partire da una sua poesia Spiega che cosa si deve intendere per “scandalo” nel contesto di questa lirica. Quindi prova a spiegare se e come il “programma” cui allude l’ultimo verso – «per testimoniare lo scandalo» – abbia trovato corrispondenza nelle scelte di Pasolini come individuo e come intellettuale. 626
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d. La “Passione” di un borgataro Pier Paolo Pasolini_Alì dagli occhi azzurri
P.P. Pasolini, Romanzi e racconti (1962-1975), a c. di W. Siti e S. De Laude, vol. II, Mondadori, Milano 1998
Il frammento fa parte della sceneggiatura de La ricotta (1963), un episodio filmico che si inscrive nel percorso di riflessione religiosa che l’anno dopo condurrà Pasolini al capolavoro del Vangelo secondo Matteo. Quello che segue è il dialogo colorito tra due popolani romani che sono stati ingaggiati per recitare la parte di Cristo e quella del buon ladrone in un film sulla vita di Gesù: quest’ultimo è impersonato da un poveraccio, Stracci (presumibilmente un soprannome allusivo alla sua condizione miserabile), padre di sette figli, perennemente affamato. Grazie a un inaspettato guadagno (Stracci vende il cagnolino dell’attrice che impersona la Maddalena fingendo che sia suo) compra un’enorme quantità di ricotta e se la mangia. Morirà sulla croce di indigestione.
STRACCI CRISTO STRACCI CRISTO STRACCI CRISTO STRACCI CRISTO
STRACCI
1 Fa’... dei Cieli: il Cristo popolano minaccia Stracci di non portarlo, se bestemmia, nel Regno dei Cieli (allusione alle parole di Cristo che, al buon ladrone, crocifisso insieme a lui, annunciò: «In verità ti dico, oggi sarai
con me nel paradiso», Luca, 23, 43). 2 Starebbe... io: starei tanto bene io nel Regno della Terra! Nella sua popolare pragmatica saggezza, Stracci contrappone il concreto “regno della terra” alla speranza del “regno
dei cieli”. E chi pe’ pijallo... mazziato: le colorite espressioni gergali alludono alla condizione di chi nella vita è abituato ad essere schiacciato e offeso da tutti. 3
Guida alla lettura
Pur nella sua brevità, il dialogo illustra in modo significativo le ragioni poetiche e ideologiche che ispirano l’episodio filmico di Pasolini, che ha al centro l’immaginechiave della crocifissione. La crocifissione di Stracci, che avrebbe dovuto essere pura finzione cinematografica, diventa la crocifissione vera di un “ultimo” nel quale misteriosamente rivive la passione di Cristo, sacrificato proprio per il suo amore per gli “ultimi”. Della “Passione” vissuta dal pover’uomo nessuno della troupe si accorge fino alla fine, men che meno il regista, assorto nella stilizzata immagine “artistica” della crocifissione che intende realizzare. Nel testo si esprime la dolente religiosità di Pasolini in una delle sue testimonianze forse più autentiche e convincenti (dopo Il Vangelo secondo Matteo). Il linguaggio “degradato” e popolaresco, degno del Belli, il grande poeta di Roma, risulta assai efficace a restituire la concreta umanità dei due poveri “attori” e a ridurre all’essenzialità il tema trattato. Dietro le parole del Cristo e di Stracci si profila anche la sfiducia nei partiti politici del tempo: Stracci è ironicamente apostrofato dal compagno Cristo di aderire al “partito” che difende i ricchi (presumibilmente allora la Democrazia cristiana), ma non c’è d’altra parte molta fiducia che il Pci (il partito dell’attore che impersona Cristo) difenda i diritti dei poveri. La Passione di un “ultimo” ▪
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1 Ritratto d’autore
STRACCI CRISTO
(morente di fame, con le braccia distese sulla croce) Ciò fame, ciò fame, mannaggia! Mo bestemmio! Seee! Provace! Te dò un sacco de botte. Bel Cristo che sei! Mo secondo te, non ciavrebbe raggione io de protestà. Fa’, fa’, ma guarda che dopo nun te ce porto mica nel Regno dei Cieli1. Starebbe tanto bene ner Regno della Tera, io2. Sì, co’ ’sta fame! Eh, tocca soffrì... tocca avecce pazienza, su ’sta Tera, no lo sai? Chi è nato pe’ balla’, e chi è nato pe’ canta’... E chi pe’ pijallo in saccoccia! Cornuto e mazziato3! Eppure, oggi comanda er Partito tuo! Sì, perché er tuo sarebbe mejo! Ammazza ammazza è tutta ’na razza! E co’ questo? Io nun te capisco: mori sempre de fame, e sei dalla parte dei signori che te fanno morì de fame! C’è chi nasce co’ ‘na vocazione e chi nasce co’ ’n’altra. Io sarò nato co’ la vocazione de morì de fame!
Cinema
La ricotta La ricotta (1963) è il quarto episodio di un film a più mani: ROGOPAG (la sigla corrisponde ai nomi dei quattro registi: Rossellini, Godard, Pasolini, Gregoretti). L’episodio di Pasolini fu subito sequestrato per vilipendio alla religione: si vide nell’opera una blasfema parodia della crocifissione (anche se alcuni autorevoli docenti della Pontificia Università Gregoriana dissentirono da questo giudizio). Ne seguì un acceso processo durante il quale l’avvocato difensore di Pasolini lesse un testo scritto dal suo assistito qualche tempo prima, nel
quale, tra l’altro si diceva: «Io, per me, sono anticlericale (non ho mica paura a dirlo!) ma so che in me ci sono duemila anni di cristianesimo [...]. Sarei folle se negassi tale forza potente che è in me». Lo stesso Pasolini, nella presentazione della Ricotta, scrisse: «La storia della Passione è la più grande che io conosca, e i testi che la raccontano sono i più sublimi che siano mai stati scritti».
ON LINE VIDEO
La scena della Deposizione
Attività sul testo Abilità: comprendere e analizzare
1. I due protagonisti Chi sono i due protagonisti del dialogo?
2. Il riassunto del contenuto Riassumi in max 5 righe il contenuto del dialogo.
La scena incriminata della crocifissione
dall’episodio film Ricotta nel film ROGOPAG.
Testi ON LINE
1 e. “Una illuminazione improvvisa”: il Vangelo di Matteo Pier Paolo Pasolini_[Quasi un testamento]
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Testo
2 Contro il potere televisivo Pier Paolo Pasolini_Scritti corsari
P.P. Pasolini, Scritti corsari, in Saggi sulla politica e sulla società, Mondadori, Milano 1999
Il passo è tratto da un articolo apparso sul «Corriere della Sera» il 9 dicembre 1973 con il titolo Sfida ai dirigenti della televisione. In seguito, con la soppressione di un’ultima parte (che conteneva la vera e propria “sfida”), è entrato a far parte degli Scritti corsari con il nuovo titolo Acculturazione e acculturazione.
Nessun centralismo fascista1 è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi. Il fascismo proponeva un modello, reazionario e monumentale, che però restava lettera morta2. Le varie culture particolari (contadine, sottoproletarie, operaie) continuavano imperturbabili a uniformarsi ai loro antichi modelli: la repressione si limitava ad ottenere la loro adesione a parole. Oggi, al contrario, l’adesione ai modelli imposti dal Centro3, è totale e incondizionata. I modelli culturali reali sono rinnegati. L’abiura4 è compiuta. Si può dunque affermare che la «tolleranza» della ideologia edonistica5 voluta dal nuovo potere, è la peggiore delle repressioni della storia umana. Come si è potuta esercitare tale repressione? Attraverso due rivoluzioni, interne all’organizzazione borghese: la rivoluzione delle infrastrutture e la rivoluzione del sistema d’informazioni. Le strade, la motorizzazione ecc. hanno ormai strettamente unito la periferia al Centro, abolendo ogni distanza materiale. Ma la rivoluzione del sistema d’informazioni è stata ancora più radicale e decisiva. Per mezzo della televisione, il Centro ha assimilato a sé l’intero paese, centralismo fascista: durante il fascismo ogni manifestazione della vita sociale e culturale era controllata in modo dirigista dalle autorità politiche che facevano capo al governo. 2 restava lettera morta: non produceva alcun effetto. 1
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3 Centro: Pasolini utilizza il termine, enfatiz-
zandolo con la maiuscola, come sinonimo del potere economico-politico, da cui emanano le direttive culturali ad esso funzionali. 4 abiura: con questo termine si allude propriamente all’atto di rinnegare sotto giuramento © Casa Editrice G. Principato SpA
le proprie idee (come ad esempio nel caso di Galileo, accusato di eresia dalle autorità ecclesiastiche). 5 ideologia edonistica: visione del mondo finalizzata al piacere.
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Non c’è dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione sia autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo. Il giornale fascista e le scritte sui cascinali di slogans mussoliniani11 fanno ridere: come (con dolore) l’aratro rispetto a un trattore. Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l’anima del popolo italiano: il nuovo fascismo12, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto, la televisione), non solo l’ha scalfita, ma l’ha lacerata, violata, bruttata13 per sempre...
9 mimesi: imitazione. 10 pragmatico: passibile di impiego pratico. 11 le scritte... mussoliniani: Pasolini allu-
de qui a una ingenua forma di persuasione di massa utilizzata dal regime fascista, cioè
gli slogan esposti sulle facciate delle case di campagna. 12 il nuovo fascismo: con questa espressione, che Pasolini utilizza più di una volta, lo scrittore allude al sistema neocapitalistico, che © Casa Editrice G. Principato SpA
asservisce le masse proprio come il fascismo, ma certamente con strumenti più efficaci, come appunto la televisione. 13 bruttata: sporcata. 629
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6 omologazione: azzeramento delle differenze, ridotte a un unico modello. 7 Un edonismo neo-laico: un sistema di vita, basato sul conseguimento del piacere, ispirato a posizioni di novità rispetto alle forme storiche, soprattutto ottocentesche, del pensiero laico (si pensi ad esempio al positivismo). 8 sottoproletari: categoria sociale (che non rientra o rientra solo marginalmente e occasionalmente nel sistema produttivo) che Pasolini, negli anni centrali della sua attività letteraria (quelli in cui scrive Ragazzi di vita), considerava depositari di autenticità e vitalità, capaci di intuire il «mistero della realtà» di cui si parla poco dopo.
che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ha cominciato un’opera di omologazione6 distruttrice di ogni autenticità e concretezza. Ha imposto cioè – come dicevo – i suoi modelli: che sono i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di un «uomo che consuma», ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo. Un edonismo neo-laico7, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane. [...]. Non c’è infatti niente di religioso nel modello del Giovane Uomo e della Giovane Donna proposti e imposti dalla televisione. Essi sono due Persone che avvalorano la vita solo attraverso i suoi Beni di consumo (e, s’intende, vanno ancora a messa la domenica: in macchina). Gli italiani hanno accettato con entusiasmo questo nuovo modello che la televisione impone loro secondo le norme della Produzione creatrice di benessere (o, meglio, di salvezza dalla miseria). Lo hanno accettato: ma sono davvero in grado di realizzarlo? No. O lo realizzano materialmente solo in parte, diventandone la caricatura, o non riescono a realizzarlo che in misura così minima da diventarne vittime. Frustrazione o addirittura ansia nevrotica sono ormai stati d’animo collettivi. Per esempio, i sottoproletari8, fino a pochi anni fa, rispettavano la cultura e non si vergognavano della propria ignoranza. Anzi, erano fieri del proprio modello popolare di analfabeti in possesso però del mistero della realtà. Guardavano con un certo disprezzo spavaldo i «figli di papà», i piccoli borghesi, da cui si dissociavano, anche quando erano costretti a servirli. Adesso, al contrario, essi cominciano a vergognarsi della propria ignoranza: hanno abiurato dal proprio modello culturale (i giovanissimi non lo ricordano neanche più, l’hanno completamente perduto), e il nuovo modello che cercano di imitare non prevede l’analfabetismo e la rozzezza. I ragazzi sottoproletari – umiliati – cancellano nella loro carta d’identità il termine del loro mestiere, per sostituirlo con la qualifica di «studente». Naturalmente, da quando hanno cominciato a vergognarsi della loro ignoranza, hanno cominciato anche a disprezzare la cultura (caratteristica piccolo-borghese, che essi hanno subito acquisito per mimesi9). Nel tempo stesso, il ragazzo piccolo-borghese, nell’adeguarsi al modello «televisivo» – che, essendo la sua stessa classe a creare e a volere, gli è sostanzialmente naturale – diviene stranamente rozzo e infelice. Se i sottoproletari si sono imborghesiti, i borghesi si sono sottoproletarizzati. La cultura che essi producono, essendo di carattere tecnologico e strettamente pragmatico10, impedisce al vecchio «uomo» che è ancora in loro di svilupparsi. Da ciò deriva in essi una specie di rattrappimento delle facoltà intellettuali e morali. La responsabilità della televisione, in tutto questo, è enorme. Non certo in quanto «mezzo tecnico», ma in quanto strumento del potere e potere essa stessa. Essa non è soltanto un luogo attraverso cui passano i messaggi, ma è un centro elaboratore di messaggi. È il luogo dove si fa concreta una mentalità che altrimenti non si saprebbe dove collocare. È attraverso lo spirito della televisione che si manifesta in concreto lo spirito del nuovo potere.
Guida alla lettura
In questo celebre passo Pasolini sostiene una tesi assai forte e provocatoria: l’identificazione della moderna società consumistica creata dal neocapitalismo (il passo è del 1973) con un nuovo totalitarismo, assai peggiore di quelli del passato. Il risultato prodotto da quello che Pasolini chiama il nuovo Centro è infatti per lui ben più grave del centralismo fascista poiché, nel nome dell’ideologia del consumo, ha prodotto una reale, diffusa omologazione nel paese e ha eliminato con un colpo di spugna le differenze culturali, l’originalità propria sia dei diversi strati sociali sia delle diverse aree regionali del paese. Ciò è stato possibile da un lato grazie alla modernizzazione dei collegamenti tra le varie zone del paese e tra esse e il centro del potere economico-politico, dall’altro, e soprattutto, grazie alla rivoluzione dei mezzi di comunicazione. È in particolare sul ruolo negativo della televisione che si incentra l’appassionato J’accuse, l’atto di accusa dello scrittore che ha comportato quella che egli chiama l’abiura (termine ricorrente nel lessico pasoliniano) da parte dei ceti popolari alla propria identità antropologica, nel tentativo, peraltro destinato al fallimento, di rincorrere i modelli della borghesia. I modelli imposti dalla televisione snaturano il proletariato e d’altra parte impediscono una reale evoluzione dei ragazzi piccolo borghesi. La «sindrome dell’‘età dell’oro’» ▪ La visione nostalgica di un passato in cui il sottoproletariato conservava senza vergogna la propria identità non poteva non suscitare reazioni, perché sembrava far coincidere l’emancipazione degli strati sociali più bassi con uno snaturamento. Ad esempio il poeta Edoardo Sanguineti, critico marxista ed esponente della neoavanguardia, che più volte si trovò in rapporti polemici con Pasolini, rispose all’articolo di Pasolini sul giornale «Paese sera» (5 gennaio 1974) ironizzando pesantemente su quello che gli sembrava il mito dell’«analfabeta felice». Anche altri attaccarono Pasolini per la mitizzazione di una presunta ‘età dell’oro’: ad esempio sull’«Unità» (16 gennaio 1974) Roberto Romani, in un articolo intitolato Tra l’Arcadia e l’Apocalisse, considera il mito edenico pasoliniano frutto di «un’avversione di matrice cattolica contro la società moderna». Una tesi provocatoria ▪
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Attività sul testo Abilità: comprendere e analizzare
1. La tesi e l’argomentazione Completa a parte uno schema come questo individuando la tesi e l’argomentazione del passo proposto. tesi
strumenti attraverso cui si è realizzata
rivoluzione infrastrutture
rivoluzione informazione effetti esempi
2. Effetti del «centralismo della civiltà dei consumi» Perché secondo Pasolini gli effetti del «centralismo della civiltà dei consumi» sono stati addirittura più dannosi di quelli del «centralismo fascista»? a. □ Perché il fascismo non aveva avuto un reale seguito nel popolo italiano. b. □ Perché contro il fascismo c’era stata un’opposizione. c. □ Perché l’adesione all’ideologia fascista era superficiale e non aveva intaccato le diverse culture tradizionali. d. □ Perché il centralismo fascista si era imposto con la repressione. 3. Conseguenze della rivoluzione del sistema di informazione Qual è stata la più grave perdita provocata dalla rivoluzione del sistema di informazione? a. □ La perdita delle differenze sociali. b. □ La perdita della tolleranza. c. □ La perdita del rispetto delle gerarchie. d. □ La perdita delle identità originali e differenziate. 630
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Esercitare le competenze
4. I modelli di giovani proposti dalla televisione Che cosa vuol dire Pasolini sostenendo che nei modelli di giovani proposti dalla televisione «non c’è niente di religioso»? a. □ Che è andato perduto il senso profondo di umanità. b. □ Che è stata abbandonata la religione tradizionale. c. □ Che diffondono comportamenti immorali. d. □ Che diffondono messaggi contrari alla religione. – Individua e spiega l’enunciato con cui Pasolini definisce l’ideologia sottesa a questi modelli. 5. La televisione, un “bersaglio” di Pasolini Perché, secondo te, è proprio la televisione il bersaglio degli attacchi pasoliniani? 6. Alcune espressioni Spiega in rapporto al contesto le seguenti espressioni: «Centro, omologazione, periferia, rivoluzione del sistema di informazioni». 7. Stile giornalistico Individua nel testo (che nasce come articolo del «Corriere della Sera») gli aspetti formali propri dello stile giornalistico. 8. Scrivere un testo argomentativo sulla società e sulla cultura consumistiche ed edonistiche di massa Le polemiche considerazioni di Pasolini offrono spunti per una riflessione critica sulla società e sulla cultura consumistiche ed edonistiche di massa. In un elaborato di circa 4 colonne di foglio Testi ON LINE protocollo argomenta se possono essere ancora attuali, con particolare riferimento alla realtà giovanile. 3 «Io so», 14 novembre 1974 Pier Paolo Pasolini_Scritti corsari
1 Ritratto d’autore
Testo
4 I cittadini italiani vogliono sapere Pier Paolo Pasolini_Lettere luterane
P.P. Pasolini, Saggi sulla politica e sulla società, a c. di W. Siti e S. De Laude Mondadori, Milano 1999
Il tema della necessità di una specie di processo alla classe dirigente italiana ricorre in più testi giornalistici delle Lettere luterane. Il passo che riportiamo, che ben esemplifica lo spirito delle Lettere luterane, è uno stralcio dall’articolo Perché il Processo pubblicato sul «Corriere della Sera» il 28 settembre 1975 (circa un mese prima della morte di Pasolini) in risposta a un articolo della «Stampa» di qualche giorno prima.
I cittadini italiani vogliono consapevolmente sapere perché in questi dieci anni di cosiddetto benessere si è speso in tutto fuorché nei servizi pubblici di prima necessità: ospedali, scuole, asili, ospizi, verde pubblico, beni naturali cioè culturali. I cittadini italiani vogliono consapevolmente sapere perché in questi dieci anni di cosiddetta tolleranza si è fatta ancora più profonda la divisione tra Italia Settentrionale e Italia Meridionale, rendendo sempre più, i meridionali, cittadini di seconda qualità. I cittadini italiani vogliono consapevolmente sapere perché in questi dieci anni di cosiddetta civiltà tecnologica si siano compiuti così selvaggi disastri edilizi, urbanistici, paesaggistici, ecologici, abbandonando, sempre selvaggiamente, a se stessa la campagna. I cittadini italiani vogliono consapevolmente sapere perché in questi dieci anni di cosiddetto progresso la «massa», dal punto di vista umano, si sia così depauperata e degradata. I cittadini italiani vogliono consapevolmente sapere perché in questi dieci anni di cosiddetto laicismo l’unico discorso laico sia stato quello, laido, della televisione (che si è unita alla scuola in una forse irriducibile opera di diseducazione della gente). I cittadini italiani vogliono consapevolmente sapere perché in questi dieci anni di cosiddetta democratizzazione (è quasi comico il dirlo: se mai «cultura» è stata più accentratrice che la «cultura» di questi dieci anni) i decentramenti siano serviti unicamente come cinica copertura alle manovre di un vecchio sottogoverno clerico-fascista divenuto meramente mafioso. © Casa Editrice G. Principato SpA
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Ho detto e ripetuto la parola «perché»: gli italiani non vogliono infatti consapevolmente sapere che questi fenomeni oggettivamente esistono, e quali siano gli eventuali rimedi: ma vogliono sapere, appunto, e prima di tutto, perché esistono.
Guida alla lettura
«Io non ho alle mie spalle nessuna autorevolezza: se non quella che mi proviene paradossalmente dal non averla e dal non averla voluta: dall’essermi messo in condizione di non aver niente da perdere, e quindi di non essere fedele a nessun patto che non sia quello con un lettore che io considero del resto degno di ogni più scandalosa “ricerca”». Questa dichiarazione di Pasolini, riportata da Franco Brevini (Per conoscere Pasolini, 1981), può ben introdurre lo spirito dei testi “luterani”, di cui è esempio il passo riportato. La scelta, portata ai limiti estremi, di essere un “intellettuale disorganico” consente a Pasolini, come a ben pochi altri intellettuali italiani del periodo, di pronunciare parole accusatorie di inaudita durezza nei confronti del potere, bersaglio dei suoi ultimi scritti giornalistici e del romanzo Petrolio (→U2T➑). Pasolini dà vita a una «saggistica politica d’emergenza» (Berardinelli), genere poco praticato dalla cultura italiana, da cui derivano le specifiche scelte retoriche della prosa “luterana” e “corsara”: «uno dei dati più originali della prosa ‘corsara’ e ‘luterana’ [è] la sua unità e la sua compattezza, l’eliminazione delle esitazioni e delle variazioni di tono della pubblicistica precedente, ancora legate all’incertezza sul canale nel quale inoltrare i messaggi». Portando all’estremo sviluppo la chiarezza analitica della sua prosa critica, Pasolini perviene a una scrittura ferma, lucida, tutta cose, senza scorciatoie giornalistiche. In essa l’indignazione si cala nelle strutture rigorose del ragionamento, riesce a farsi passione di capire e di far capire, a tradursi nell’esercizio implacabile della razionalità
Le scelte retoriche di una “saggistica politica d’emergenza” ▪
14 Pier Paolo Pasolini • CLASSICI
Attività sul testo Abilità: comprendere e analizzare
1. Le colpe del potere politico Attraverso le sue “domande” l’autore denuncia quelle che considera le colpe più gravi del potere politico: individuale e sintetizzale in un elenco. 2. Un accostamento retorico Alla r. 14 quale figura retorica individui nell’accostamento laico-laido? a. □ Chiasmo. b. □ Ossimoro. c. □ Allitterazione. d. □ Iperbole. – Spiegane il valore espressivo. 3. Un’antitesi Spiega l’antitesi democratizzazione/“accentramento” (rr. 17-18). 4. La prosa “luterana” Fai qualche esempio presente nel testo dello stile proprio della prosa “luterana”.
Esercitare le competenze
5. Spiegare i motivi dell’attacco alla classe dirigente politica In un intervento orale di circa 5 minuti cerca di spiegare, anche facendo riferimento alle tue conoscenze storiche, il significato del duro attacco alla classe dirigente politica di quegli anni e in particolare della conclusione del pezzo.
Scheda
Scritti corsari e Lettere luterane Dal gennaio del 1973 Pasolini inizia a collaborare in modo continuativo con il «Corriere della Sera», espressione di quella moderna borghesia imprenditoriale a cui lo scrittore imputava l’involuzione del paese. Non per questo Pasolini rende più morbida la sua denuncia: al contrario, sceglie di attaccare duramente la società borghese e capitalista dall’interno di essa, utilizzando la “tribuna” che gli veniva offerta in un grande quotidiano grazie alla notorietà raggiunta soprattutto come regista. Gli
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articoli pubblicati dal 1973 al 1975 prevalentemente sul «Corriere» sono raccolti da Pasolini poco prima della morte e pubblicati con il titolo provocatorio e incisivo, da lui voluto, di Scritti corsari. Bersagli della polemica pasoliniana sono il consumismo (anche sessuale) e la perdita del “sacro” soprattutto tra le giovani generazioni; le colpe della classe politica democristiana che ha governato l’Italia dopo il fascismo e che, alleata con il potere economico e con i nuovi media, ha contribuito a portare il paese a una vera e propria mutazione antropologica di segno negativo.
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Di spirito simile, ma con una vis polemica ancora più rovente, sono le Lettere luterane, una raccolta di vari scritti pubblicata postuma presso Einaudi nel 1976 con un titolo complessivo che si deve all’autore stesso. Con i termini corsaro e luterano Pasolini fa diretto riferimento al carattere ribelle, irregolare, dissidente, delle sue posizioni, alla sua proposta di una visione alternativa, addirittura “eretica”, non solo al conformismo del regime ma anche a quello della sinistra, che Pasolini condanna duramente arrivando a parlare di «fascismo degli antifascisti».
Unità
2 Una produzione multiforme
1 Una produzione multiforme e originale all’insegna dell’autobiografismo e della passione etico-civile
in una foto di
Mario Tursi
(1969).
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2 Una produzione multiforme
Pasolini sul set di Medea
Pasolini è stato un autore estremamente prolifico: in poco più di trent’anni scrive almeno 20.000 pagine, distribuite su più fronti (poesia, narrativa, sceneggiature cinematografiche, teatro, saggistica, prosa giornalistica). In questa vastissima produzione è difficile, e forse non corretto, istituire gerarchie di valore per farne una classificazione canonica (del tipo opere maggiori e opere minori), anche per l’osmosi tra produzione saggistica, letteraria e cinematografica che caratterizza la sua opera. Le opere di Pasolini hanno le radici innanzitutto nel sostrato autobiografico; inoltre tutte sono sostenute da un’ideologia “forte”, impostata fin dall’inizio, e da una costante intenzione pedagogico-polemica. In ogni ambito Pasolini assume una posizione originale, non conformandosi alle tendenze imperanti: questo vale innanzitutto per la produzione poetica, che si contrappone sia alla criptica lirica ermetica, sia alle sperimentazioni sofisticate della neoavanguardia. Meno vistosa, ma comunque presente, è la distanza dei romanzi di Pasolini dalla lezione neorealista, a cui pure, apparentemente, sembra richiamarsi. Anche nella produzione teatrale, a cui si dedica a partire dagli anni Sessanta, Pasolini compie scelte decisamente controcorrente. Decide infatti addirittura di riproporre un “teatro di parola” (come già aveva fatto D’Annunzio), che rinnova l’essenziale ritualità della tragedia greca, da cui era stato profondamente colpito traducendo nel 1960 l’Orestea di Eschilo. I grandi conflitti propri della tragedia antica sono però trasposti nel mondo moderno e riferiti alla visione pasoliniana e al suo stesso vissuto personale. Tra i sei drammi (Orgia, Pilade, Affabulazione, Porcile, Calderón, Bestia da stile), forse il più significativo è Affabulazione, incentrato sul tema del rapporto tra padre e figlio, di chiara origine autobiografica.
2 Pasolini poeta controcorrente
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Pasolini, poeta della contraddizione (con letture)
14 Pier Paolo Pasolini • CLASSICI
L’interesse della critica, più che sui romanzi, è oggi maggiormente focalizzato sulla poesia di Pasolini che attraversa tutta la sua esistenza: un universo che deve ancora essere pienamente esplorato. Una poetica antinovecentista ▪ Profondamente convinto delle responsabilità eticocivili dell’intellettuale, Pasolini rifiuta una poesia “cifrata”, cioè per pochi eletti. Da qui il recupero – nella fase più significativa della sua produzione (Le ceneri di Gramsci, 1957 e La religione del mio tempo, 1961) – di modelli pre-novecenteschi: il poemetto pascoliano in terzine e l’uso della rima, l’adozione di un taglio discorsivo e a volte addirittura argomentativo per le sue poesie (non a caso sono state definite «articoli in versi»), la scelta di privilegiare vocaboli precisi più che evocativi. Per lui il linguaggio della poesia deve essere caratterizzato da razionalità, logicità e storicità. La polemica con la neoavanguardia ▪ Alla poesia “pura”, teorizzata e realizzata dagli ermetici, Pasolini contrappone un’idea di poesia che si confronti costantemente con la realtà del tempo: un’idea “forte” di letteratura che lo induce a un rapporto ferocemente polemico con la neoavanguardia, da lui considerata una forma di sterile “neo-accademismo”, di snobistico rifiuto di ogni riferimento alla vita reale. In un passo dell’importante saggio Libertà stilistica (inizialmente pubblicato nella rivista «Officina» e quindi entrato nella raccolta Passione e ideologia), Pasolini non esita a definirsi “antimoderno” e a contrapporsi a certo ostentato sperimentalismo. “Sperimentale” di certo è anche la sua poesia più matura, ma la sua carica innovativa si traduce essenzialmente nella tendenza narrativa e nel plurilinguismo.
Le fasi della produzione poetica Dagli anni Quaranta ai primi anni Cinquanta La poesia dialettale ▪ All’interno della produzione poetica di Pasolini, un posto sicuramente importante è occupato dalla poesia in dialetto friulano, con cui esordisce, appena ventenne (Poesie a Casarsa, 15 testi quasi tutti brevi pubblicati a sue spese nel 1942). La scelta di usare il dialetto della zona di Casarsa, in Friuli, certamente originale nel panorama letterario del tempo, non è ingenua e immediata; al contrario, il giovanissimo poeta mostra già una sofisticata consapevolezza letteraria: si accosta al dialetto con sguardo di appassionato filologo, e la visione che lo ispira, come lui stesso precisa, è vicina alle poetiche simboliste: nel dialetto Pasolini cerca una lingua vergine, evocativa, lontana da ogni incrostazione letteraria. Nel 1954 riunisce tutte le sue poesie friulane nella raccolta La meglio gioventù, dedicata al critico-filologo Gianfranco Contini. Il titolo è preso da un celebre canto degli alpini (Sul ponte di Perati). La prima parte del canzoniere dialettale ha al centro il mito dell’innocenza della terra friulana e dei suoi contadini, che per il poeta rappresentano una sorta di paradiso perduto: anche se assai giovane, egli ha già sperimentato la condizione della “modernità” nel dolore del vivere, nella frattura tra “natura” e “coscienza”. Le influenze letterarie più evidenti nella prima parte della raccolta sono i poeti provenzali e Pascoli (la ricorrenza delle campane, della sera, delle figure della madre e dei fanciulli, il tono a volte patetico-sentimentale). La seconda parte del canzoniere ha un’ispirazione epico-sociale ed è cronologicamente legata alla guerra, alla Resistenza e al dopoguerra. L’usignolo della Chiesa cattolica ▪ Tra il 1943 e il 1949, parallelamente alle poesie dialettali, Pasolini scrive anche versi in lingua, che saranno pubblicati solo nel 1958 con il titolo L’usignolo della Chiesa cattolica (l’usignolo è simbolo ricorrente nella poesia 634
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provenzale ben nota a Pasolini). Si tratta di una raccolta composita, in cui emerge in particolare il motivo religioso (non a caso alle due sezioni che la costituiscono sono preposte delle epigrafi evangeliche →U1T❶c), qui presente nell’intreccio di eros e misticismo, ma anche di suggestioni decadenti. La raccolta centrale: Le ceneri di Gramsci Una scelta controcorrente per una poesia civile Nel 1957 Pasolini pubblica Le ceneri di Gramsci, la sua raccolta poetica più significativa. È composta da undici poemetti disposti in ordine cronologico, uno dei quali, il più noto, dà il titolo all’intera raccolta (→T❺). La scelta metrica è ispirata volutamente alla tradizione: i poemetti sono in terzine di endecasillabi con una forte presenza della rima. Una scelta certo controcorrente come, sul piano dei contenuti, quella di dar vita a una poesia “civile”, anche se il tema civile è sempre saldato alla dimensione interiore dell’io lirico e se il contenuto dei testi risulta poi dichiaratamente pessimistico, per nulla propositivo. I poemetti più significativi, oltre a quello eponimo (che cioè dà il nome alla raccolta), sono Il pianto della scavatrice (1956) e Una polemica in versi (1956).
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2 Una produzione multiforme
Dagli anni Sessanta agli anni Settanta: il tempo della polemica Nel decennio dal 1961 al 1971 Pasolini pubblica altre raccolte poetiche: La religione del mio tempo nel 1961 (un titolo ironico, poiché l’eclissi della dimensione del sacro nella società contemporanea, su cui Pasolini torna più volte, indurrebbe piuttosto a parlare di “irreligione”), Poesia in forma di rosa (1964) e Trasumanar e organizzar (1971). Le prime due raccolte ▪ Considerate nel loro complesso, le prime due raccolte costituiscono un amaro bilancio storico e insieme esistenziale e testimoniano un pessimismo ormai radicato. In un intervento giornalistico del 1961, in risposta al critico marxista Salinari, Pasolini conferma che La religione del mio tempo esprime la crisi degli anni Sessanta: «La sirena neo-capitalistica da una parte, la desistenza rivoluzionaria dall’altra: e il vuoto, il terribile vuoto esistenziale che ne consegue». Cronologicamente le poesie confluite nelle due raccolte si iscrivono nel periodo in cui Pasolini si dedica al cinema e inizia una fitta attività saggistica dominata da una sempre più accentuata volontà polemica. Allo stesso modo anche la produzione poetica di questi anni è dominata da una netta contrapposizione al proprio tempo, che si traduce ora in dura polemica, ora in un atteggiamento di narcisistico vittimismo: Pasolini vede attorno a sé solo simboli di rovina e si autorappresenta come un emarginato, un relitto, un fossile («Io sono una forza del passato»), uomo solo, perseguitato, immagine vivente della “diversità” del poeta rispetto al mondo inautentico del neocapitalismo e della banalità televisiva. Antidoto all’omologazione snaturante della società dei consumi può essere solo un Alì dagli occhi azzurri, proveniente dal Terzo Mondo che guiderà un esercito che invaderà il Nord e rifonderà, in una sorta di palingenesi, il corso della storia (Profezia). Traspare nell’inquietante “profezia”, oggi estremamente attuale, l’utopia pasoliniana del Terzo Mondo, che spinge lo scrittore deluso a viaggiare verso paesi poveri e sottosviluppati, come l’India e l’Africa, alla ricerca della perduta vitalità e genuinità del “popolo”. Trasumanar e organizzar ▪ L’ultima raccolta di poesie è pubblicata nel 1971 dopo sette anni di silenzio e consegue a nuove delusioni, come il ’68. Carattere specifico della nuova raccolta è la presenza massiccia del tema politico (segnalato anche da titoli di tipo cronachistico), la deliberata noncuranza stilistica e l’inusuale tono ironico, evidente già nell’associazione, presente nel titolo, tra il pragmatico verbo organizzar e il dantesco trasumanar (“trascendere i limiti della condizione umana”, un neologismo dantesco, dal primo canto Paradiso).
Le ceneri di Gramsci
Il poemetto eponimo Le ceneri di Gramsci (1954) ha come tema centrale il rapporto contrastato di Pasolini con la dimensione politico-ideologica. È diviso in sei parti, e prende spunto da una visita del poeta alla tomba di Antonio Gramsci al Cimitero degli Inglesi, presso il popolare quartiere del Testaccio, a Roma. Il titolo riproduce le parole iscritte sul cippo della tomba di Antonio Gramsci («Cinera Gramsci»). L’atmosfera funebre, il titolo stesso che associa al nome del fondatore del Partito comunista il termine ceneri, rimandano a una crisi insieme personale e storica, al fallimento delle speranze suscitate dalla
Resistenza («la fine del decennio in cui ci appare // tra le macerie finito il profondo / e ingenuo sforzo di rifare la vita», «tu, morto, e noi / morti ugualmente, con te, nell’umido / giardino»). Il pianto della scavatrice Composto nel 1956 (anno del XX Congresso del Partito comunista sovietico) il poemetto traccia una sorta di autobiografia, un “miniromanzo di formazione” dello scrittore in rapporto a Roma, «stupenda e misera città» che lo ha formato negli anni della sua giovinezza («mite / violento rivoluzionario / nel cuore e nella lingua. Un uomo fioriva»). Il lamentoso suono di una scavatrice, che dà il titolo al poemetto, diventa lo struggente “correlativo-oggettivo” di un tempo finito, ma che si apre al contempo al cambiamento («Piange ciò che muta, anche / per farsi migliore»). Una polemica in versi Composto anch’esso nel 1956, è un testo quasi saggistico
Pasolini davanti alla tomba di Antonio Gramsci, al cimitero acattolico di Roma.
dal dichiarato significato politico: nel poemetto il poeta rivolge una risentita accusa ai dirigenti del Partito comunista, che si trovano ormai «sui binari / morti». L’involuzione burocratica paralizza il partito, un’involuzione resa attraverso immagini forti: il vento non gonfia più «le rosse / bandiere», «è già vecchio / il piano di lotta di ieri, cade / a pezzi sui muri il più fresco manifesto».
14 Pier Paolo Pasolini • CLASSICI
Testo
5 «Lo scandalo del contraddirmi»
Pier Paolo Pasolini_Le ceneri di Gramsci I e IV
P.P. Pasolini, Tutte le poesie, a c. di W. Siti, Mondadori, Milano 2003
Il poemetto Le ceneri di Gramsci, che dà il titolo alla raccolta omonima, è scritto da Pasolini nel 1954, più o meno in parallelo a Ragazzi di vita. Riproduciamo la prima e la quarta sezione, le più note e significative del poemetto. La prima sezione prospetta lo scenario entro cui si sviluppa la riflessione di Pasolini e introduce quindi il dialogo del poeta con Antonio Gramsci; la quarta pone in primo piano l’angosciosa presa di coscienza da parte del poeta della costitutiva conflittualità della sua adesione al popolo.
COLLABORA ALL’ANALISI Comprensione Prima sezione La prima sezione del poemetto può essere divisa in due parti: la prima colloca la riflessione del poeta in un determinato ambiente fisico e naturale, la seconda introduce il dialogo del poeta con Antonio Gramsci davanti alla sua tomba.
La metrica Terzine di endecasillabi, alcune volte ipometri o ipermetri a rima incatenata (ma alle rime si sostituiscono spesso delle assonanze).
3
I Non è di maggio questa impura aria che il buio giardino straniero1 fa ancora più buio, o l’abbaglia
6
con cieche schiarite2... questo cielo di bave3 sopra gli attici giallini che in semicerchi immensi fanno velo
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alle curve del Tevere, ai turchini monti del Lazio... Spande4 una mortale pace, disamorata come i nostri destini5,
1. Indica i versi corrispon-
denti alla prima e alla seconda parte.
Analisi L’ampia sequenza descrittiva che occupa la prima parte del poemetto non ha tanto il fine realistico di delineare le carat-
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1 il buio giardino straniero: il cosiddetto Cimitero degli inglesi, o anche “degli acattolici”, a Roma, dove si trova la tomba di Antonio Gramsci. 2 l’abbaglia... schiarite: lo rischiara con lampi di luce improvvisi. 3 bave: leggeri soffi di vento.
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4 Spande: diffonde (il sogg. è l’autunnale maggio dei vv. 10-11). 5 una mortale... destini: la pace dal sapore funebre che regna nel luogo è paragonata alla perdita di passioni di chi, come Pasolini, ha visto tramontare le speranze di rinnovamento nella società italiana.
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tra le macerie finito il profondo e ingenuo sforzo di rifare la vita6; il silenzio, fradicio e infecondo...
18
Tu giovane, in quel maggio in cui l’errore era ancora vita7, in quel maggio italiano che alla vita aggiungeva almeno ardore,
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quanto meno sventato e impuramente sano dei nostri padri – non padre, ma umile fratello8 – già con la tua magra mano
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delineavi l’ideale9 che illumina (ma non per noi10: tu, morto, e noi morti ugualmente, con te, nell’umido
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giardino) questo silenzio. Non puoi, lo vedi?, che riposare in questo sito estraneo11, ancora confinato12. Noia
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patrizia ti è intorno13. E, sbiadito, solo ti giunge qualche colpo d’incudine dalle officine di Testaccio14, sopito
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nel vespro: tra misere tettoie, nudi mucchi di latta, ferrivecchi, dove cantando vizioso un garzone già chiude la sua giornata, mentre intorno spiove15. [...]
6 la fine del decennio... la vita: Pasolini allude al decennio tra il 1945, termine della seconda guerra mondiale, e il 1954, anno in cui scrive il poemetto. In quel decennio che si chiude è tramontata la speranza di rinnovare il mondo. 7 Tu giovane... ancora vita: il poeta si rivolge a Gramsci, rievocando la data del primo maggio 1919, in cui fu fondata la rivista «Ordine Nuovo», dalla cui esperienza sarebbe poi nato il Partito comunista. L’espressione «l’errore / era ancora in vita» allude alle vitali illusioni che nutrivano quel felice momento (non è esclusa una memoria leopardiana). 8 non padre... fratello: Gramsci è sentito
non come un’autorità severa di tipo paterno, ma come un fratello. 9 l’ideale: la rivoluzione comunista. 10 ma non per noi: ma non per me (Pasolini usa frequentemente il noi per parlare di sé). 11 sito estraneo: luogo straniero. 12 ancora confinato: per lunghi anni Gramsci fu incarcerato. 13 Noia patrizia ti è intorno: attorno alla tomba di Gramsci sono sepolti molti aristocratici inglesi (ma anche nobili russi fuggiti in Italia in seguito alla rivoluzione). 14 Testaccio: quartiere popolare di Roma nei pressi del quale si trova il Cimitero degli inglesi. 15 spiove: cessa di piovere. © Casa Editrice G. Principato SpA
teristiche del luogo, ma introduce specifiche connotazioni simboliche che rimandano al significato complessivo del poemetto: la tristezza angosciosa del luogo, la giornata autunnale anche se è maggio, il silenzio funebre, diventano corrispettivi della fine degli ideali che animarono la Resistenza, della crisi dei valori in cui Gramsci aveva creduto.
2. Qual è il luogo rappresentato? Quale espressione usa l’autore per definirlo? Vi si può rintracciare una parola chiave? 3. Individua e trascrivi i sostantivi e gli aggettivi che rimandano all’area semantica della tristezza, dell’abbandono. 4. Considerata la data di composizione, quali eventi in Italia (e fuori) possono spiegare il desolato pessimismo dello scrittore? 5. Quale rapporto semantico istituisce la rima tra le parole mondo: profondo : infecondo? La seconda parte della prima sezione costituisce un muto dialogo con Antonio Gramsci (il Tu del v. 16), figura centrale nella formazione di Pasolini, come più volte egli stesso ha sottolineato. A Gramsci egli deve in larga parte la sua stessa idea di cultura; al grande pensatore lo accomuna anche una forte vocazione pedagogica. Ma nel corso della sua vita Pasolini, assunto il ruolo marcato di “dissidente” votato alla persecuzione, sente particolarmente vicino il Gramsci “carcerato”, nel quale si identifica. Secondo vari critici Pasolini riduce Gramsci a un suo “doppio”: non a caso lo immagina giovane ardente, nell’atto di indicare la via, ma anche condannato presto all’emarginazione, alla prigionia.
6. Quale immagine indica l’importante ruolo storico del personaggio? 7. Quale significato ti sembra possa avere la precisazione «non padre, ma umile / fratello»? 8. Spiega il senso della reminiscenza leopardiana nel contesto di questa lirica. 9. Che cosa accomuna il periodo più duro della vita di Gramsci (l’emarginazione e la prigionia) alla sorte delle sue spoglie? 10. Interpreta il significato del riferimento ai suoni del quartiere, alla vita e al lavoro del popolo, che giungono “sbiaditi”, come lontani, alla tomba di Gramsci. 637
2 Una produzione multiforme
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tra le vecchie muraglie l’autunnale maggio. In esso c’è il grigiore del mondo, la fine del decennio in cui ci appare
Nella quarta sezione emerge l’io lirico, di cui sono portate alla luce le laceranti contraddizioni in rapporto all’ideologia marxista e all’adesione al popolo. Celeberrima la terzina (vv. 85-87) in cui Pasolini enuncia con sintetica evidenza la contraddizione che gli impedisce una razionale adesione all’ideologia marxista: da un lato in luce, cioè nell’apparenza, nelle prese di posizione pubbliche, egli è “con Gramsci”; nel profondo del suo essere, a livello irrazionale e d’istinto, sa di rimanere ancorato alle sue radici borghesi: la sua vicinanza al proletariato non è quindi di matrice ideologico-politica; più che sensibile alla difesa dei diritti dei subalterni, e attratto dalla loro vitalità. La sezione si chiude con una angosciosa domanda, relativa al significato che può avere la consapevolezza storica.
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IV Lo scandalo del contraddirmi, dell’essere con te e contro di te; con te nel cuore, in luce, contro te nelle buie viscere16;
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del mio paterno stato traditore – nel pensiero, in un’ombra di azione – mi so ad esso attaccato nel calore
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degli istinti, dell’estetica passione17; attratto da una vita proletaria a te anteriore, è per me religione
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la sua allegria, non la millenaria sua lotta: la sua natura, non la sua coscienza18; è la forza originaria
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dell’uomo, che nell’atto s’è perduta, a darle l’ebbrezza della nostalgia, una luce poetica: ed altro più
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io non so dirne, che non sia giusto ma non sincero, astratto amore, non accorante simpatia19...
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Come i poveri povero, mi attacco come loro a umilianti speranze, come loro per vivere mi batto
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ogni giorno. Ma nella desolante mia condizione di diseredato, io possiedo: ed è il più esaltante
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dei possessi borghesi, lo stato più assoluto. Ma come io possiedo la storia20, essa mi possiede; ne sono illuminato:
11. Sintetizza con parole tue la con-
14 Pier Paolo Pasolini • CLASSICI
traddizione che costituisce il nodo centrale del poemetto. 12. Nel testo ricorrono frequentemente delle contrapposizioni. Spiega il senso delle seguenti antitesi: Pasolini nel suo rapporto con
• Gramsci: cuore / luce vs buio / viscere; • la classe borghese: pensiero / «un’ombra di azione» vs «calore / degli istinti» / «estetica passione»; • il popolo: allegria vs «millenaria / sua lotta»; natura vs coscienza; giusto vs «non sincero»; «astratto / amore» vs «accorante simpatia». 13. Che cosa differenzia il poeta dai
poveri? 14. Qual è il significato della domanda che chiude la quarta sezione, quella maggiormente autobiografica, del poemetto?
ma a che serve la luce21?
Interpretazione
15. Ora che hai letto e analizzato
il testo, spiega e interpreta il titolo: Le ceneri di Gramsci. 16. Pasolini inaugura una particolare forma di poesia civile, animata dalla passione ideologica, attenta ai temi collettivi, ma al contempo ancorata alla dimensione dell’io. Sviluppa un’analisi complessiva del testo in questa prospettiva. 17. Spiega la distanza della poesia di Pasolini dalla poesia dell’ermetismo a livello sia tematico sia metrico-stilistico.
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essere con te... viscere: Pasolini denuncia le proprie contraddizioni: razionalmente e sentimentalmente aderisce all’ideologia marxista, ma nell’intimo è contrario ad essa. 17 del mio paterno... passione: traditore della condizione borghese a cui appartiene (paterno stato) nel pensiero e in qualche labile azione, lo scrittore è consapevole (mi so) di essere vincolato ad essa nel profondo da un’attrazione istintuale e da ragioni di gusto personale (estetiche). 18 attratto... coscienza: sono questi i versi centrali di tutto il poemetto in cui si esplicita con grande chiarezza la contraddittoria adesione di Pasolini al popolo: quello che egli ama nel 16
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popolo è antecedente alla riflessione del marxismo, egli venera (è per me religione) l’allegria popolare che non ha nulla a che fare con la lotta per i diritti dei subalterni che dura da secoli; lo attrae la natura e non la coscienza popolare. 19 ed altro più... simpatia: il poeta rifiuta altre forme di adesione al popolo che possono essere giuste ma non sincere e corrispondere a un amore astratto invece che a quella viscerale simpatia che sente propria. 20 possiedo la storia: possiedo la consapevolezza razionale del corso della storia. 21 ma a che... luce: lo scrittore si chiede a cosa serva la luce della consapevolezza razionale se non è capace di vivificare l’azione.
3 Pasolini romanziere sperimentale
ON LINE SCHEDA
La preistoria della narrativa di Pasolini
Pasolini gioca a pallone su un campetto di borgata (foto del 1960).
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Ragazzi di vita e il mito del sottoproletariato La genesi di Ragazzi di vita (1955), il maggiore romanzo di Pasolini, è da ricercare nell’incontro fra il mito friulano della “meglio gioventù” e l’esperienza esaltante dell’esplorazione dell’universo delle borgate romane vissuta da Pasolini appena arrivato a Roma dal Friuli (→U1 e →APPROFONDIMENTO p. 621). Un “antiromanzo popolare” ▪ Ragazzi di vita non corrisponde certamente all’idea convenzionale di romanzo: manca innanzitutto un vero e proprio protagonista (neppure Riccetto può davvero incarnare tale ruolo), manca un “filo conduttore”, manca in fondo un vero e proprio intreccio: il romanzo è costituito da episodi che si susseguono rimanendo sostanzialmente autonomi l’uno dall’altro; men che meno esiste infine un “sugo della storia”. Più che le vicende di singoli personaggi l’opera di Pasolini ritrae per fotogrammi, in modo quasi “cinematografico”, la vita dal sottoproletariato delle borgate, colto nel momento della prima giovinezza, attraverso uno sguardo insieme sociologicamente curioso e portatore di un’evidente simpatia. La materia narrativa è organizzata in otto capitoli, unificati dalla continuità dei luoghi (tutti interni a Roma e alle sue periferie) e dal ritmo frenetico dell’azione. I “ragazzi di vita” ▪ I personaggi che si muovono sulla scena del romanzo sono tutti ragazzi e appartengono al sottoproletariato romano. Solo in rari casi essi sono identificati dal nome proprio (Amerigo, Genesio). Per lo più sono designati da un soprannome, un nome in codice loro assegnato dalla comunità borgatara di cui fanno parte sulla base di qualità o dell’aspetto fisico: il Riccetto, il Lenzetta, il Piattoletta, il Caciotta. Si tratta di personaggi dalla psicologia elementare, caratterizzati da una vitalità “biologica” che li spinge a lanciarsi continuamente in avventure ora comiche, ora grottesche, ora tragiche, per soddisfare bisogni elementari: il cibo prima di tutto, ma anche il sesso. Sospinti da un’esuberante energia, sono continuamente proiettati nel vortice dell’azione, nel ritmo di una vita picaresca, disperata ma anche a suo modo allegra, che sempre si rinnova in nuove scorribande per di più al di fuori della legalità (→T❻). Lo sguardo partecipe dell’autore ▪ Anche se non manca nel romanzo una prospettiva sociologica nel rappresentare il degrado e l’emarginazione che spingono alla delinquenza i ragazzi, l’interesse dell’autore per i personaggi e il mondo del sottoproletariato è viscerale, irrazionale: essi rappresentano ai suoi occhi la vitalità della prima giovinezza e una primitività quasi romantica. Proprio l’assenza di un obiettivo di denuncia, oltre a taluni aspetti narratologici, allontana il romanzo pasoliniano dall’ottica neorealista: Ragazzi di vita non è assolutamente un romanzo neorealista come invece fu letto, essendo piuttosto vicino allo sperimentalismo teorizzato nella rivista «Officina» (→C2U2). Le scelte narrative e stilistiche ▪ È soprattutto sul piano stilistico-linguistico che il romanzo si presenta come sperimentale. Di fatto Pasolini tenta un’operazione analoga a quella verghiana (ma in parte si sente anche il rapporto con l’esperienza di Gadda), ovvero tenta un’operazione di mimesi del modo di pensare e parlare del sottoproletariato romano, che corrisponde alla sua adesione al mondo descritto. Da qui la massiccia immissione
della parlata delle borgate, in particolare nei dialoghi tra i personaggi: un gergo, anche carico di stravolgimenti e deformazioni linguistiche, che Pasolini ricostruisce attraverso un’attenta documentazione, riuscendo a rendere con immediatezza il parlato-pensato dei “ragazzi di vita”. Allo stesso intento di mimesi risponde anche l’uso ricorrente del discorso indiretto libero. I modi dialettali entrano in parte anche nell’italiano medio utilizzato invece dalla voce narrante che, a differenza del narratore verghiano, è onnisciente e introduce non di rado interventi esplicativi o di commento che testimoniano l’evidente “simpatia” dell’autore per il mondo rappresentato. Spesso raffinatamente letterarie sono invece le descrizioni paesaggistiche, in cui traspare in modo evidente il punto di vista dell’autore colto.
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Una vita violenta A Ragazzi di vita segue Una vita violenta, pubblicato sempre presso Garzanti nel 1959. Il romanzo ebbe grande successo e fu tradotto in molte lingue. Una vita violenta avrebbe dovuto far parte, dopo Ragazzi di vita, di una trilogia “romana” e “borgatara” che resta incompiuta: del terzo romanzo, Il rio della grana, esistono solo abbozzi. Di fatto sarà il film Accattone (1961) a prenderne il posto: le tematiche sono infatti analoghe e il mondo evocato è sempre quello delle borgate. Un romanzo più tradizionale ▪ Dal punto di vista narrativo Una vita violenta è più vicino al modello tradizionale di romanzo: diviso in due parti simmetriche, ognuna di cinque episodi, si sviluppa attorno alle vicende di un indiscusso protagonista, Tommaso Puzzilli, anche lui inizialmente un “ragazzo di vita”; la narrazione ne segue la storia, da un breve squarcio della sua infanzia (nel primo episodio) alla morte con cui si conclude il romanzo. Un’ideologia più sfaccettata ▪ L’universo sociale a cui appartiene Tommaso è lo stesso del primo romanzo: anche in questo caso dominano la povertà, la ricerca di denaro, una cinica amoralità che spinge il protagonista a unirsi ai giovani borgatari non solo in furti, ma anche in azioni teppistiche fasciste. Ma, a differenza dei protagonisti di Ragazzi di vita, chiusi in una realtà antropologica immobile, per Tommaso l’autore prevede un’evoluzione che, significativamente, inizia proprio con l’emancipazione dal mondo delle borgate. All’inizio della seconda parte del romanzo la famiglia Puzzilli abbandona la squallida vita delle baracche per trasferirsi in un appartamento dell’Ina-Case popolari: da qui inizia per Tommaso una crescita che lo induce a cercare un lavoro, a pensare al matrimonio e a progettare di iscriversi alla Democrazia cristiana, con l’opportunistico obiettivo di sistemarsi. Ma si ammala di tubercolosi e finisce in un sanatorio: qui inizia a maturare un’elementare coscienza politica che, una volta dimesso, lo porta a iscriversi al Partito comunista. Durante un’inondazione che colpisce il quartiere di baracche dove un tempo abitava, Tommaso salva una donna, ma il suo fisico debilitato non regge alla fatica e il giovane muore proprio quando avrebbe potuto iniziare una nuova vita. La crisi del mito populista ▪ Il romanzo esplicita la crisi del mito populista che sta alla base del primo romanzo, al quale non si sostituisce però una fiducia nelle «magnifiche sorti e progressive», anche se la critica di indirizzo marxista salutò come un fatto positivo l’apparizione del tema politico, che finalmente apriva alla speranza del futuro i personaggi del popolo. In realtà proprio quando Pasolini passa dal mito alla storia il pessimismo si accentua. 640
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Petrolio: un progetto sperimentale Un romanzo incompiuto ▪ Nel 1972 Pasolini inizia a scrivere un amplissimo romanzo, a cui stava ancora lavorando quando fu assassinato il 2 novembre 1975: ci sono pervenute circa cinquecento pagine, pubblicate nel 1992 da Einaudi a quasi vent’anni dalla morte dell’autore. I vari testi si presentano come appunti numerati in ordine progressivo, a volte titolati. Il titolo ▪ Il titolo dell’opera era già previsto da Pasolini (insieme a un altro, più enigmatico: Vas) ed è stato forse suggerito dall’intreccio tra politica e finanza legato all’ENI, l’Ente nazionale idrocarburi fondato da Enrico Mattei (1906-1962), morto poi tragicamente in un sospetto incidente aereo. Utilizzando un espediente consueto nella tradizione letteraria, da Ariosto a Manzoni, Pasolini nel 1973 in un’annotazione presenta il testo che stava scrivendo come «edizione critica di un testo inedito», testimoniato da vari manoscritti e da altri materiali. La contaminazione dei generi ▪ La volontà sperimentale induce Pasolini a dissolvere del tutto la struttura romanzesca attuando un’ardita contaminazione di generi: dalla pagina saggistica alla pagina di viaggio, alla fantapolitica al racconto erotico, alle riflessioni metaletterarie, in una sorta di moderno Satyricon o anche di una versione attualizzata delle Metamorfosi di Apuleio (anche in Petrolio ci sono delle metamorfosi come quella del “protagonista” Carlo Valletti in donna). Non esiste nelle pagine di Petrolio un vero e proprio protagonista: certo la figura più rilevante è quella di Carlo Valletti, ingegnere piemontese che vive una scissione tra un io razionale e un io preda della più abbietta sensualità (una figura in parte autobiografica), intorno al quale si muove l’inquietante scenario politico dell’Italia nei primi anni Settanta. 2 Una produzione multiforme
Testo
6 L’avventurosa lotta per la sopravvivenza dei giovani borgatari Pier Paolo Pasolini_Ragazzi di vita, cap. 5
P.P. Pasolini, Ragazzi di vita, in Romanzi e racconti, vol. I, Mondadori, Milano 2006
Il brano proposto (tratto dal capitolo intitolato Le notti calde, uno dei più “movimentati” del romanzo) può ben testimoniare le caratteristiche salienti di Ragazzi di vita. Nella prima scena il Riccetto e alcuni compagni (Alduccio, il Lenzetta, Lello) tentano di rubare in un’officina, ma sono costretti a rinunciare all’impresa. Nella seconda è protagonista il solo Riccetto, che si aggira in cerca di cibo al mercato.
D’altra parte, il Riccetto, i quattro soldi che guadagnava facendo il pischello del pesciarolo1, non gli bastavano. E allora come fai a comportarti da ragazzo onesto! Quando c’era da rubare, rubava, capirai, con quella fame addietrata di grana che teneva2! Adesso poi c’aveva pure l’anello da fare alla ragazza3... Così, col Lenzetta, decisero di organizzare un furto in grande: di farsi un bottino di semiassi e altro ferrovecchio da restare ingranati almeno per una mesata4. Partirono in quattro: il Riccetto, il Lenzetta, Alduccio e un certo Lello, un amico del Lenzetta, ch’era di quelli che frequentavano il Bar della Pugnalata. Erano col carrettino. Come imboccarono la Casilina5, cominciò a soffiare il vento e delle colonne di polvere bianca e d’immondezza cominciarono a girare qua e là sui larghi e sugli spiazzi, suonando sui fili della ferrovia di Napoli come su una ghitarra6. In quattro e quattr’otto, dietro tutto quel bianco il cielo si fece nero, e contro quel fondale nero come l’inferno, le facciate rosa e bianche della Casilina brillavano come carte di cioccolatini. Poi anche quella luce 1 il pischello del pesciarolo: il garzone del pescivendolo (letteralmente pischello significa “ragazzetto”). 2 fame addietrata... teneva: bisogno arretrato di denaro (grana) che aveva. 3 Adesso... alla ragazza: il Riccetto si è fidanzato con Irene.
restare ingranati… mesata: avere soldi per almeno un mese. 5 la Casilina: la strada che da Roma va a Napoli. 6 ghitarra: chitarra. 4
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si offuscò, e tutto fu scuro, spento, ormai freddo, sotto gli sfregamenti delle ventate che riempivano gli occhi di granelli di polvere. I quattro s’andarono a riparare sotto un portoncino appena in tempo per non prendersi addosso il primo rovescio d’acqua. Tuonava con dei rimbombi che pareva che sei o sette cupoloni di San Pietro, messi dentro un bidone che li potesse contenere tutti, fossero sbattuti uno contro l’altro lassù in mezzo al cielo, e i loro botti si sentissero poi un po’ fasulli qualche chilometro discosto, dietro le file delle case e le distese dei quartieri, verso il Quadraro o verso San Lorenzo7, o chissà in che posto, proprio magari là dove c’era ancora un po’ di cielo azzurro e ci volavano i passeretti. Dopo una mezzoretta spiovve8 e i quattro arrivarono infreddoliti e bagnati come pulcini a Porta Metronia, dalle parti dov’erano stati a rubare l’altra volta: era spiovuto, ma il cielo ancora era tutto buio, come ci fosse stato messo davanti un velo per coprirci qualche cosa di pauroso, e questo velo fosse più pauroso ancora: qua e là lo sgaravano9 dei lampetti rossi. Era venuto sera almeno due ore prima, e a Porta Metronia era tutto deserto e gocciolante. I quattro fecero la conta10: al Riccetto toccò star fuori col carrettino. Gli altri entrarono, e come furono dentro il magazzino, fecero un’altra volta la conta per chi doveva entrare per primo col sacco. Toccò a Lello. Con uno spagheggio11 che tremava come una foglia Lello entrò, e riempì il sacco di semiassi, trapani e altra roba, in modo che non ce la faceva più quasi a smuoverlo. Allora riuscì a chiamare il Lenzetta e Alduccio che lo aiutassero a portare il sacco, visto che ormai il peggio era fatto. Uscì ma non trovò più gli altri due. Allora corse fuori dal magazzino, dal Riccetto che stava lì a aspettare col carretto, e gli chiese dov’erano andati. E il Riccetto gli disse che lui li aveva visti entrare. Lello allora rientrò, per cercare di portar fuori da solo il sacco sul carrettino. Il Riccetto lo vide sparire dentro il magazzino ma, come dopo un po’ ricomparve trascinando il sacco, venne fuori il guardiano e gli si gettò addosso. Intanto il Lenzetta e Alduccio, ch’erano entrati in un magazzino che stava dietro il deposito di ferrivecchi, che dalla strada non si vedeva, ora stavano risortendo12 da laggiù con l’altro sacco pieno di roba che il Riccetto non capiva, ma che erano delle forme di formaggio. Come furono nel cortile del deposito, però, smicciarono13 Lello acchiappato dal guardiano che cercava di svincolarsi e di tagliare14, ma non ce la faceva. Allora, per aiutarlo, lasciarono perdere il sacco del formaggio, e si gettarono pure loro addosso al guardiano: questo però, poveraccio, cominciò a chiamare aiuto, e così corsero fuori da un forno lì presso il padrone del forno e i suoi garzoni. Soltanto Alduccio riuscì a svignarsela: ma prima d’arrivare sulla strada, dove il Riccetto, facendo finta di niente, lo stava a aspettare, proprio sul cancello gli si mise davanti dell’altra gente ch’era corsa lì; lui allora filò giù lungo la rete metallica verso un altro cancello più piccolo ch’era più avanti: fece per scavalcarlo ma nella fretta scivolò con un piede sul ferro bagnato, e rimase infilato con una coscia s’una sbarra a punta come una lancia, che gli si conficcò tutta dentro. Ma poté lo stesso saltare dall’altra parte, e il Riccetto gli corse incontro per aiutarlo: gli altri due o tre che gli erano corsi dietro, vedendo che s’era fatto male, lo lasciarono perdere, per non avere niente che fare. Il Riccetto prese Alduccio sotto braccio, lo accompagnò un po’ più giù, verso la Passeggiata Archeologica, e come furono in un punto scuro, gli fasciò stretto con un pezzo di canottiera la ferita; poi andarono ancora avanti, presero la circolare15, restando di dietro, sulla piattaforma, e scesero al Ponte Rotto. Il Riccetto lasciò Alduccio Quadraro... San Lorenzo: quartieri di Roma, come ancora altri più avanti. 8 spiovve: cessò di piovere. 9 sgaravano: squarciavano. 10 fecero la conta: estrassero a sorte. 11 Con uno spagheggio: con una paura (anche in italiano si usa: prendersi uno spaghetto). 7
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12 risortendo: uscendo. 13 smicciarono: videro di scorcio. 14 tagliare: scappare. 15 la circolare: l’autobus che percorreva
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all’ingresso dell’ospedale Fatebenefratelli. Intanto, piano piano, era ricominciato a piovere e tuonare, per quei quartieri e quelle strade per dove il Riccetto, pensando che o Alduccio all’ospedale o gli altri due in camera di sicurezza, presi a ceffoni o a sacchettate di sabbia, avrebbero parlato, si preparava a vagabondare per tutta la notte. [...]
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[Il Riccetto, sfinito dal caldo e dalla fame, ritorna con un autobus in città e al mercato di via Taranto da cui era partito.]
16 Allumava: sbirciava. 17 fruttaroli: fruttivendoli. 18 persica: pesca. 19 facendo moina: facendo
finta di niente, dandosi un contegno. 20 saccoccia: tasca. 21 lo sgamò: se n’accorse. 22 a signó: signora. Il vocativo preceduto da a e la forma tronca sono forme tipiche del romanesco. 23 paragula: furbastra.
24 tirando… ganci: tirando pugni (nel pugilato, sferrati con il braccio piegato ad angolo retto) come capitava. 25 sbarellò: vacillò. 26 da fusto e da dritto: da grande e grosso e da scaltro. 27 a moretti: ragazzi, gente (propr. chi è scuro di capelli, poi appellativo generico). 28 nun je fo’ niente: non gli faccio niente. 29 spesa: paga. 30 treppio: crocchio di persone.
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Allumava16 le bancarelle dei fruttaroli17, e qualche persica18 e due o tre mele, riuscì a fregarle: se le andò a mangiare in un vicoletto. Poi ritornò più affamato ancora con quel po’ di dolce nello stomaco, attratto dall’odore del formaggio che veniva dalla fila delle bancarelle bianche proprio lì di fronte al vicoletto, dietro la funtanella, sul selciato fradicio. C’erano allineate delle mozzarelle, delle caciotte, e dei provoloni appesi in alto, e sopra il banco c’erano delle pezze già tagliate di emmenthal e di parmigiano, o di pecorino; ce n’erano pure dei pezzi ridotti alla misura di tre o quattro etti, e anche meno, isolati e sparsi tra le forme intere. Il Riccetto, turbato, mise gli occhi su una fetta di gruviera, dalla pasta un po’ ingiallita, e così odorosa che toglieva il fiato. Ci s’accostò, facendo moina19, e aspettando che il padrone fosse assorbito dalla discussione con una cliente, grassa come un vescovo, che stava da un bel pezzetto lì a esaminare con aria velenosa il formaggio, e con una mossa fulminea zac si beccò il pezzo di gruviera e se lo schiaffò in saccoccia20. Il padrone lo sgamò21. Piantò il coltello in una forma, fece: «Un minuto, a signó22», uscì fuori dal banco, acchiappò pel colletto della camicia il Riccetto che se la squagliava facendo il tonto, e con aria paragula23, sentendosi in pieno diritto di farlo, gli ammollò due sganassoni che lo voltò dall’altra parte. Il Riccetto furioso, come si riebbe dall’intontimento, senza pensar tanto gli si buttò sotto a testa bassa, tirando alla disperata dei ganci24 ai fianchi: l’altro sbarellò25 un momento, ma poi, siccome era grosso due volte il Riccetto, cominciò a menarlo in modo tale che se degli altri bancarellari non fossero corsi lì a separarli, l’avrebbe mandato diretto al Policlinico. Ma però, da fusto e da dritto26 come si sentiva, poté permettersi di calmarsi subito. Disse a quelli che lo reggevano: «Lassateme, lassateme, a moretti27, che nun je fo’ niente28. Che me metto co li regazzini, io?». Il Riccetto invece, tutto pesto e con un po’ di sangue che gli spuntava tra i denti, continuò a calciare ancora per un pezzetto tra le braccia di quelli che lo reggevano. «Damme er formaggio mio, e spesa29», fece già quasi conciliante il formaggiaro. «E dàje ’sto formaggio», fece un pesciarolo lì appresso. Il Riccetto si sfilò fiacco dalla tasca il pezzo di gruviera, e glielo porse, con una faccia smorta, masticando vaghi pensieri di vendetta e inghiottendo il rancore con il sangue delle gengive. Poi, mentre che il treppio30 intorno si scioglieva, siccome che il fatto era proprio trascurabile, se ne andò giù in mezzo alla folla, tra le bancarelle rosse, verdi, gialle, tra montagne di pomodori e di melanzani, coi fruttaroli che urlavano intorno così forte che si dovevano piegare sulla pancia, tutti allegri e contenti. Si diresse giù a via Taranto, e si fece piano piano i quattrocento scalini che portavano al pianerottolo dove dormiva. Non si reggeva più in piedi per la debolezza; vide, sì, che la porta dell’appartamento vuoto, di solito chiusa, era aperta e sbatteva di tanto in tanto a qualche
colpo d’aria: ma non ci fece caso. Barcollando e a gesti lenti come uno che nuota sott’acqua, cacciò dalla saccoccia un pezzo di spago, lo fece passare per due occhielli e lo legò, tenendo così chiusi i battenti. Poi s’allungò sul pavimento, già addormentato. Non doveva essere passata neppure mezzora – giusto il tempo perché la portiera facesse una telefonata e quelli arrivassero – che il Riccetto si sentì svegliare a pedate e si vide addosso due poliziotti. Per farla breve, durante la notte l’appartamento lì accanto era stato svaligiato; per questo la porta sbatteva. Il Riccetto, svegliato, poverello, da chissà che sogni – forse di mangiare a un ristorante o di dormire su un letto – s’alzò stropicciandosi gli occhi, e senza capirci niente seguì ciondolando giù per le scale i poliziotti. “Perché m’avranno preso”, si chiedeva, ancora non del tutto sveglio. “Boh...!” Lo portarono a Porta Portese, e lo condannarono a quasi tre anni – ci dovette star dentro fino alla primavera del ’50! – per imparargli31 la morale. 31 imparargli: insegnargli.
Guida alla lettura
Il testo presentato si articola in due scene: la prima vede in azione il gruppo dei “ragazzi di vita”, impegnati in un tentativo di furto, nel secondo protagonista assoluto è il Riccetto. In entrambi gli episodi l’azione narrativa è messa in moto da bisogni elementari, come del resto avviene in tutto il romanzo: nel primo caso la ricerca di denaro, nel secondo la ricerca di cibo per sfamarsi. Bisogni che presuppongono una condizione di miseria ed emarginazione che accomuna tutti i “ragazzi di vita” e costituisce il realistico sfondo sociologico del romanzo. Nel primo episodio: ▪ i ragazzi si propongono, grazie alla vendita della refurtiva, di vivere almeno per un mese senza problemi economici (ingranati). La precarietà che caratterizza la loro misera esistenza, il vivere alla giornata, li spinge a cercare continuamente nuove avventure, quasi sempre all’insegna dell’illegalità, senza che li sfiori neppure un barlume di coscienza morale. Il tentativo (fallito) di furto nel deposito è descritto “in presa diretta” attraverso una sintassi semplificata e verbi prevalentemente di azione (entrò, uscì, corse, rientrò, ricomparve ecc.). Il secondo episodio: ▪ ha come protagonista il Riccetto. La molla dell’azione è in questo caso la fame arretrata del ragazzo. Dopo aver faticato per ore a lavorare con degli spazzini per rimediare un po’ di cibo, il Riccetto si ritrova al punto di partenza. È ormai giorno e il mercato dove il ragazzo si aggira comincia ad animarsi con i primi clienti. La fame lo porta guidato dall’olfatto, verso un banco di formaggi. Nonostante l’abilità con cui sottrae un pezzo di formaggio, è scoperto dal formaggiaio e l’avventura anche in questo caso finisce male: il Riccetto si ritrova non solo affamato ma anche pestato. Il ciclo iniziato nella notte precedente con il primo furto fallito si chiude anche peggio: durante la notte il Riccetto è svegliato dai poliziotti che lo arrestano per un furto che non ha commesso. La tipologia della voce narrante e le scelte lessicali ▪ Come si può vedere soprattutto nel primo episodio, nel quale mancano totalmente i dialoghi, nelle parti di narrazione, affidate a una voce narrante in terza persona, Pasolini impiega prevalentemente un italiano medio, con inserimento di alcune espressioni dialettali, in particolare nel lessico («pischello del pesciarolo»). Il secondo episodio ha più termini dialettali (allumava, persica, facendo moina, saccoccia, aria paragula) che diventano dominanti quando il narratore dà la parola direttamente al formaggiaio. È in questo breve, colorito inserto che la mimesi del parlato e del pensato popolare è massima. Una vera e propria regressione alla mentalità e al lessico del mondo narrato si ha però anche nel brevissimo inserto iniziale di discorso indiretto libero: la voce è quella del narratore, ma il punto di vista è quello di Riccetto o di uno dei “ragazzi di vita”. Se l’espressione «E allora come fai a comportarti da ragazzo onesto!» a livello sia linguistico che mentale non è riferibile ai ragazzi di vita, il seguito del breve inserto adotta integralmente l’ottica borgatara di Riccetto nell’ammettere la necessità di rubare e in alcune parole come addietrata, grana, teneva. La voce narrante del romanzo di Pasolini non è in ogni caso paragonabile a quella “impassibile” dei Malavoglia: è infatti una voce narrante onnisciente, che spiega al lettore chi sono i partecipanti al furto, illumina ad esempio sul contenuto dei sacchi che contengono forme di formaggio («pieno di roba che il Riccetto non capiva, ma che erano forme di formaggio») ed è una voce emotivamente partecipante, come si vede dagli incisi («povero figlio», poverello riferito al Riccetto). Struttura e temi ▪
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Attività sul testo Abilità: comprendere e analizzare
1. Riassunto e titolazioni Riassumi il brano in max 10 righe, quindi trova una titolazione appropriata per ciascuna delle due parti in cui si articola. 2. Il contesto In quali contesti ambientali e sociali si iscrive il racconto? 3. Il diminutivo nei soprannomi Quali significati può avere l’uso del diminutivo nei soprannomi dei protagonisti? a. □ Il riferimento a loro caratteristiche fisiche. b. □ Una manifestazione di scherno per la loro collocazione sociale. c. □ Il riferimento alla loro giovane età. d. □ Il riferimento a ricordi d’infanzia dell’autore. e. □ L’espressione della partecipazione emotiva dell’autore. f. □ La registrazione oggettiva di stampo naturalistico delle abitudini popolari. – Motiva la tua risposta
4. Presentazione e tipologia dei protagonisti Quali dei seguenti enunciati relativi alla presentazione e alla tipologia dei protagonisti sono corretti (C ) e quali invece sono errati (E)? C E □ □ a. Sono descritti dettagliatamente nella loro psicologia. b. Sono presentati attraverso i loro bisogni elementari. □ □ c. Sono presentati attraverso giudizi di ordine morale. □ □ d. Sono presentati in modo oggettivo, neutro. □ □ e. Sono personaggi dinamici che conoscono un’evoluzione. □ □ f. Sono presentati attraverso le loro azioni e le loro parole. □ □ g. La presentazione rivela la simpatia e la solidarietà del narratore. □ □ – Motiva la tua risposta con puntuali riferimenti al testo.
6. Le scelte linguistiche Qual è la caratteristica del testo sul piano delle scelte linguistiche? a. □ Plurilinguismo. c. □ Uso esclusivo del dialetto. b. □ Uso esclusivo dell’italiano standard. d. □ Lessico esclusivamente letterario. – Esemplifica la tua risposta con riferimenti al testo e spiega gli effetti espressivi ottenuti dalla scelta dell’autore. Esercitare le competenze
7. Individuare e spiegare l’esemplarità del romanzo rispetto alla letteratura “picaresca” Cerca il significato del termine picaro e che cosa si intende per letteratura picaresca (→V2a_600); poi spiega perché le avventure del romanzo, di cui il brano è un esempio paradigmatico, sono state definite “picaresche”. 8. Spiegare perché Ragazzi di vita non è una riproposta del neorealismo Per alcuni critici Ragazzi di vita era come una riproposta del neorealismo: indica le ragioni per cui tale interpretazione non è sostenibile (max 3 minuti).
Testi ON LINE
7 Pasolini interpreta Ragazzi di vita
Pier Paolo Pasolini_Pasolini rilegge Pasolini
Testo
8 Intellettuali e politici in un salotto romano Pier Paolo Pasolini_Petrolio
P.P. Pasolini, Petrolio, in Romanzi e racconti, vol. II, Mondadori, Milano 2008
Tratto dall’«appunto 32», che reca il sottotitolo Provocatori e spie (nel 1960), questo brano tratto dal romanzo incompiuto e postumo Petrolio presenta alcuni protagonisti della vita intellettuale e della politica degli anni Sessanta, facilmente riconoscibili sotto il velo ironico dell’autore.
Ricordo i personaggi che avevano spicco in quei gruppi (e che una giornalista avrebbe notato per primi nella sua lista, piena di una cieca fiducia in un ‘establishment’ oltre tutto in ‘decollo’). Chi non li conosceva – e, come il giovane Carlo1 li vedeva magari per 1 il giovane Carlo: è il giovane ingegnere piemontese, protagonista in ampie parti di Petrolio.
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5. La voce narrante e il mondo narrato Il passo mostra nella voce narrante l’oscillazione tra un massimo e un minimo di vicinanza al mondo narrato: evidenziala attraverso riferimenti al testo e spiegane il senso in un autore come Pasolini.
ON LINE VIDEO
Pasolini poeta, corsaro, profeta (trasmissione Rai, 1993)
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la prima volta – dopo le affrettate presentazioni – li guardava da lontano con lo stesso sguardo con cui si guarda la vita quotidiana delle teofanie2. C’era un intellettuale3, da molti anni all’opera e quindi celebre e venerabile, che tuttavia aveva ancora l’aria giovanile di chi non crede a nulla ma si interessa a tutto: i suoi capelli erano bianchi e cortissimi, il suo naso pronunciato, la bocca rientrante, senza labbra, e aguzzo il mento; foltissime, barbariche le sopracciglia, con sotto gli occhi vivaci e eternamente distratti di chi è un po’ sordo. In qualunque posa si mettesse seduto o in piedi, era continuamente inquieto, inquieto quasi con violenza. Benché perfettamente estraneo, in ricevimenti del genere, vi si trovava a suo agio, faceva perfettamente parte del quadro: era lontano da lì, ma visto che era lì, accettava il gioco, e non desisteva neanche per un momento dalla tensione della sua intelligenza. Ogni sua parola era una parola critica: nonno e nipote, egli stava in mezzo a quella flottiglia eternamente arenata, come la prua di una vecchia nave che avesse solcato tutti i mari, ma in un’avventura più intellettuale che poetica: divenuta poetica, però, a causa di un rigore intellettuale mai neanche per un istante allentato. Un altro intellettuale4, una quindicina d’anni più giovane di lui, stava in un altro angolo del salotto, infinitamente più timido e quindi più aggressivo: la sua aggressività – mescolata alla naturale dolcezza anzi, quasi soavità del suo carattere – pareva far parte di un ruolo ch’egli era stato costretto ad accettare. Non aveva affatto l’aria di sentirsi a suo agio; se mai aveva l’aria di sentirsi imposto lì solo dal suo successo e dal suo tempestoso prestigio. L’aria era quella dell’adolescente, magro e scavato, con zigomi quasi esotici e smarriti occhi castani. Una sensualità indecente grondava dal suo corpo non meno asceticamente e rigidamente votato a un’avventura tutta intellettuale, come il suo più anziano amico: i suoi calzetti, del resto, erano allora corti, e i suoi vestiti un po’ troppo vistosi. C’era anche un uomo politico5 – era ministro da dieci anni e poi lo sarebbe stato per altri quindici – seduto su una poltroncina rossa, con un viso tondo di gatto ritratto tra le spalle, come non avesse collo o fosse un po’ rachitico: la fronte grossa di intellettuale era in contrasto col suo sorriso furbo, che aveva qualcosa di indecente: voleva cioè manifestare, con furberia e degradazione, la coscienza della propria furberia e degradazione. Del resto il sentimento della vita intesa come ‘gioco’, come ‘scommessa’ da perdere o da vincere, e quindi tutta fondata sull’azione e sul comportamento, se in lui aveva il suo campione reale, era un modello di vita che più o meno inconsciamente era seguito da tutti, in quel ricevimento, compresi coloro che ne ridevano, magari presuntuosamente (per esempio dalle colonne de “L’Espresso”6).
teofanie: apparizioni del divino (l’espressione suona ironica). 3 C’era un intellettuale...: dalla descrizione si riconosce il narratore e giornalista Alberto Moravia (1907-1990), per molti anni al centro della vita culturale romana. 2
4 Un altro intellettuale: anche in questo caso il personaggio è agevolmente identificabile: si tratta di Pasolini stesso. 5 C’era anche un uomo politico: si tratta di Giulio Andreotti (1919-2013), figura di spicco della storia italiana, esponente della Dc,
più volte presidente del Consiglio dei ministri. 6 compresi… de “L’Espresso”: negli anni Sessanta, «L’Espresso», era un periodico con forte connotazione politica di sinistra, che non perdeva occasione per attaccare l’establishment.
Attività sul testo Abilità: comprendere e analizzare
1. Il ritratto di due intellettuali e di un politico importante Nel testo vengono ritratti due intellettuali (Moravia e lo stesso Pasolini) e un importante politico democristiano, Giulio Andreotti, protagonista di decenni della vita politica italiana. Di ognuno Pasolini traccia un icastico ritratto fisico e comportamentale, che rimanda alla loro personalità etico-intellettuale. Identifica per ogni personaggio, anche attraverso riferimenti agli aspetti stilistico-linguistici (lessico, paragoni ecc.), quelli che ti sembrano i tratti caratterizzanti che lo scrittore intendeva sottolineare attraverso la sua descrizione.
2. «Un modello di vita» Nell’ultima parte del testo si nomina «un modello di vita» che tutti i presenti al ricevimento seguivano (compresi coloro che lo criticavano a parole). Spiega con parole tue di quale modello si tratta. 646
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Cinema
Pasolini scrittore-regista Pasolini e il cinema Il rapporto tra Pasolini e la cinematografia è un esempio unico nella storia della letteratura. I film di Pasolini, di cui è stato sia sceneggiatore che regista, sono parte essenziale della sua opera (forse addirittura la più riuscita), e sono in stretto rapporto con la sua produzione letteraria e con il suo difficile itinerario di intellettuale.
sociali. La dolente madre di Cristo è impersonata da Susanna Colussi, la madre del regista. I film sulla crisi ideologica e di valori del mondo contemporaneo La crisi della sinistra come modello ideologico nel boom economico degli anni Sessanta induce Pasolini a distaccarsi dal mito del proletariato per un’analisi critica della società contemporanea. Ne deriva la scelta antirealistica di un pessimistico apologo surreale (in cui le immagini storiche, reali, dei funerali di Togliatti acquistano a loro volta un evidente significato simbolico), Uccellacci e uccellini (1966) con protagonisti Totò e il popolano Ninetto Davoli, accompagnati da un corvo parlante che impersonifica l’intellettuale marxista (e che finirà mangiato dai due). La crisi della borghesia e in particolare il disfacimento della famiglia borghese (→PERCORSO TEMATICO_CINEMA OL Il cinema e la famiglia borghese), la sua impossibilità di istituire rapporti autentici, sono centrali in Teorema (1968) tratto da un testo narrativo, e in Porcile, ricavato dall’omonimo testo teatrale, che potrebbero essere definiti allegorie della modernità. La fuga nella dimensione del mito La polemica crescente di Pasolini nei confronti della società borghese-capitalista, in cui si è perduta la dimensione del sacro, lo induce come regista a un allontanamento dal presente verso una dimensione arcaica precedente la storia: la traduzione dell’Orestea (1960)
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è alla base dei film incentrati sul mito classico: da Edipo re (1967) a Medea (1970), quest’ultimo con la straordinaria interpretazione del grande soprano Maria Callas. Dalla Trilogia della vita a Salò Alla pessimistica visione del mondo contemporaneo, Pasolini reagisce con l’immersione nel mondo della letteratura nella Trilogia della vita, ispirata al genere medievale della novella (→V1aPERCORSO TEMATICO_CINEMAOL Pasolini e il Decameron): Il Decameron (1971), I racconti di Canterbury (1972) e Il fiore delle Mille e una notte (1974). Attraverso la rivisitazione delle celebri raccolte novellistiche Pasolini va alla ricerca della dimensione felice dell’eros, di un’innocente istintualità. Ma si rivelerà presto un approdo precario e temporaneo (e Pasolini scriverà nel giugno 1975 una amara Abiura dalla “Trilogia della vita”). Nel 1975 Pasolini realizza il suo ultimo, disperato, film: Salò o le 120 giornate di Sodoma, tratto dal romanzo settecentesco del marchese de Sade (→V2a_700C8OL), ma ambientato al tempo della Repubblica di Salò. Si tratta di un’allegoria del potere, in cui il sesso si associa a una fredda violenza, diventando metafora della sistematica nullificazione dell’essere umano propria della società moderna. Il film sarà presentato a Parigi poche settimane dopo la tragica morte dello scrittore.
ON LINE SCHEDA
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Un’ambigua fortuna: il “caso Pasolini”
2 Una produzione multiforme
La prima fase: oltre il neorealismo Accattone e Mamma Roma Dopo alcune esperienze come sceneggiatore, Pasolini affronta la sua prima esperienza registica con Accattone (1961) e, a brevissima distanza, Mamma Roma (1962), ambientati nello stesso contesto sottoproletario e borgataro a cui fanno riferimento i romanzi Ragazzi di vita e Una vita violenta, con cui sono in evidente rapporto di continuità. Dello stesso universo umano fa parte anche il personaggio di Stracci nella Ricotta (1963). La lezione del neorealismo cinematografico certamente si avverte, ma nei film di Pasolini si manifesta una visione più complessa e più “colta”, evidenziata già dalla scelta di accompagnare la tragica vicenda del borgataro Accattone con le note della Passione secondo Matteo di Bach. La tecnica registica di Pasolini non è meramente descrittivo-mimetica: tende infatti a ridurre all’essenziale l’inquadratura, enfatizzando i primi piani frontali, anche per la suggestione di modelli pittorici come Giotto, Masaccio, Mantegna. Il Vangelo secondo Matteo Del 1964 è Il Vangelo secondo Matteo, dedicato a papa Giovanni XXIII, morto l’anno prima. Pasolini sceglie di attenersi fedelmente, senza quasi una vera e propria sceneggiatura, al Vangelo di Matteo, il più arcaico dei Vangeli. La volontà di Pasolini di evitare il rischio dell’agiografia si traduce in una nuda testimonianza, di andamento quasi cronachistico. Nel film, ambientato nel Sud Italia (Basilicata e Calabria), la figura di Cristo, impersonato da un giovane studente spagnolo, è vista nel suo volto terreno più che trascendente, di “arrabbiato” rivoluzionario, sovvertitore di convenzioni e costumi
14. Pier Paolo Pasolini
Sintesi con
mappe PER STUDIARE
AUDIOLETTURA
La concezione della vita e della letteratura
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Pier Paolo Pasolini (1922-1975) ha una visione laica della vita, che non esclude però un senso intimamente religioso di essa, testimoniato dall’attrazione per il Vangelo e dalla presenza centrale nel suo immaginario poetico della Crocefissione. Non a caso la sua opera cinematografica più poetica è Il Vangelo secondo Matteo. L’opera di Pasolini è caratterizzata da una marcata impronta ideologica, che si richiama al marxismo, a cui lo scrittore rimase sempre fedele, mentre difficili furono talvolta i suoi rapporti con il Pci e con la critica di sinistra, a causa delle sue posizioni sempre provocatorie, non allineate alle direttive del partito. Pasolini ripropone il ruolo impegnato dell’intellettuale, considera la letteratura, ma anche la saggistica e il cinema, come veicolo di idee, testimonianza etico-civile. Pasolini mitizza una società pre-industriale nella quale il popolo (incarnato in particolare nel sottoproletariato romano delle borgate) è depositario di vitalità, di autenticità. Condanna invece aspramente la società industrializzata e consumistica che si andava delineando nei primi anni Sessanta, in cui la televisione aveva un ruolo negativo nell’uniformare i comportamenti, spegnendo le diverse tradizioni locali, anche linguistiche (i dialetti). Negli ultimi anni di vita, negli articoli giornalistici confluiti in Scritti corsari e Lettere luterane (postume), Pasolini denuncia con coraggio le trame oscure che stavano producendo nel paese sanguinosi attentati, assumendo il ruolo di scomoda e profetica voce critica.
visione laica
ideologia marxista
ma
ma
senso religioso
non allineato al PCI
Pier Paolo Pasolini ritratto dal fotografo Dino Pedriali
(ottobre1975).
La produzione
La produzione di Pasolini è molto vasta e interessa vari ambiti: la poesia, la narrativa, la saggistica, il teatro e il cinema. Nel complesso della sua vasta produzione poetica Pasolini si oppone sia alla linea ermetica sia alla neoavanguardia a favore di una poesia nutrita di motivi autobiografici e civili. Pasolini esordisce appena ventenne con la raccolta Poesie a Casarsa in dialetto friulano (la lingua materna). Le poesie dialettali sono poi tutte raccolte in La meglio gioventù (1954). Segue L’usignolo della Chiesa cattolica (poesie scritte prima del ’50, ma pubblicate solo nel 1958), in cui Pasolini costruisce un primo ritratto di sé come uomo e intellettuale segnato da una costitutiva dimensione conflittuale. La raccolta poetica più importante è rappresentata dagli 11 poemetti che costituiscono Le ceneri di Gramsci (1957). I testi più rilevanti sono Il pianto della scavatrice e Le ceneri di Gramsci, che dà il titolo alla raccolta, in cui Pasolini esprime 648
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intellettuale impegnato in molteplici campi culturali narrativa � poesia � saggistica teatro � cinema � giornalismo � intervenire contro l’omologazione della cultura e della lingua � critica al neocapitalismo e al consumismo testimone critico del suo tempo
CLASSICI
La meglio gioventù L’usignolo della Chiesa cattolica
motivi religiosi e legati alla civiltà contadina
Le ceneri di Gramsci
poesia di impegno civile
La religione del mio tempo Poesia in forma di rosa Transumanar e organizzar
contrapposizione al proprio tempo, vuoto di valori
Ragazzi di vita
mondo popolare visto come realtà istintiva e vitale
Una vita violenta
messa in discussione del mito “populista”
Petrolio
progetto sperimentale incompiuto e postumo
Pasolini drammaturgo e regista-sceneggiatore
Il teatro Nel 1966 Pasolini scrive sei drammi: Calderón, Affabulazione, Pilade, Porcile, Orgia, Bestia da stile, che intendono fondare un nuovo teatro. Ma complessivamente il tentativo non si può considerare riuscito.
Scritti corsari
una scelta degli articoli pubblicati, a partire dal 1973, sul «Corriere della Sera»: attacchi alla società borghese e capitalista e al consumismo generalizzato
Lettere luterane
scritti (pubblicati postumi) di polemica veemente e risentito moralismo
La vocazione cinematografica
Con Accattone (1961) e Mamma Roma (1962), ricollegabili per il contesto e i temi ai due romanzi “popolari”, Pasolini inizia l’attività cinematografica, che nel tempo diventa primaria e grazie alla quale ottiene un notevole successo di pubblico e di critica. A una prima fase appartiene anche Il Vangelo secondo Matteo (1964), film discusso sulla vita e la figura di Gesù. © Casa Editrice G. Principato SpA
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una visione amaramente disillusa in rapporto alla crisi degli ideali della Resistenza e, più in generale, alla crisi della sinistra. Le raccolte successive sono La religione del mio tempo (1961), Poesia in forma di rosa (1964) e Trasumanar e organizzar (1971). In esse Pasolini esibisce un dissenso sempre maggiore rispetto a un tempo vuoto di valori, a una società in cui si sente sempre più isolato. Ragazzi di vita Il primo importante romanzo di Pasolini, Ragazzi di vita (1955), è pubblicato alla fine della stagione neorealista. Sembra infatti richiamarsi alla poetica neorealista la scelta dell’autore di rappresentare il sottoproletariato romano delle borgate attraverso le avventure di un gruppo di ragazzi, impegnati nella lotta quotidiana per la sopravvivenza. A differenza del neorealismo, manca però in Ragazzi di vita un intento di denuncia e una prospettiva politica progressista, manca un personaggio esemplare. Il popolo pasoliniano è mitizzato in quanto energia primitiva fuori dalla storia, è privo di una coscienza di classe. Radicale, ben oltre il neorealismo, è la scelta linguistica, in particolare nei dialoghi: viene riprodotto il parlato popolare romanesco, ricostruito con precisione filologica dall’autore. Una vita violenta Pubblicato nel 1959, Una vita violenta presenta una struttura più tradizionale, a cominciare dalla presenza di un vero e proprio intreccio narrativo e di un protagonista. Il romanzo ne segue nel tempo la vita e il cammino di maturazione anche ideologica, che lo porta fuori dall’universo borgataro, fino alla morte in seguito a un gesto di coraggiosa solidarietà. Petrolio Negli ultimi anni di vita Pasolini lavora a un ampio romanzo lasciato incompiuto per la sua morte improvvisa e violenta (1975). Sarà pubblicato solo nel 1992. Ambientato a Roma, ma non più nel mondo popolare, costituisce un ambizioso tentativo di romanzo polimorfo, che assomma linguaggi diversi e vari modelli narrativi sullo sfondo degli anni della strategia della tensione.
14. Pier Paolo Pasolini Seguono film incentrati sulla crisi dell’ideologia marxista (Uccellacci e uccellini) e sulla dissoluzione della borghesia (Teorema, Porcile). In Edipo re e Medea Pasolini rivisita alla luce di una prospettiva ideologica moderna il mito greco. La Trilogia della vita (Il Decameron, 1971, I racconti di Canterbury, 1972, Il fiore delle Mille e una notte, 1974) segna un momento di felice creatività, legato alla regressione al mondo della novellistica antica, alla ricerca dell’innocenza e di una sessualità giocosa. L’ultima opera cinematografica, Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975), ispirata all’opera del marchese De Sade e ambientata al tempo della Repubblica di Salò, appare dominata da un cupo pessimismo. Il sesso diventa qui esercizio perverso di potere, immagine metaforica di una società in dissoluzione.
Pasolini regista e sceneggiatore oltre il neorealismo
Accattone; Mamma Roma
Gesù più terreno che trascendente
Il Vangelo secondo Matteo
la crisi ideologica e di valori
Uccellacci uccellini; Teorema
fuga nella letteratura dalla pessimistica visione del mondo
Trilogia della vita
immagine metaforica di un mondo in dissoluzione
Salò o le 120 giornate di Sodoma
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Conoscenze e Competenze Conoscenze
1. Tra i seguenti enunciati relativi alle vicende biografiche e all’attività artistica di Pasolini indica quali sono corretti (C) e quali errati (E); poi correggi a parte quelli errati. C E a. Si laurea in lettere nel 1945 all’università di Roma. □ □ b. Subito dopo la laurea si dedica all’insegnamento. □ □ c. Esce dal Pci nel 1956 in seguito all’invasione sovietica dell’Ungheria. □ □ d. Esordisce nel cinema nel 1961 con il Vangelo secondo Matteo. □ □ e. Fiancheggia il movimento del Sessantotto con articoli sul «Corriere della Sera» □ □ f. Nei primi anni Settanta collabora con il quotidiano del Pci «L’Unità». □ □ g. Morendo, lascia incompiuta la stesura di un nuovo romanzo, Petrolio. □ □ h. È stato uno scrittore molto versatile, che si è misurato con generi diversi. □ □ 2. Tra i seguenti enunciati relativi alla produzione in versi di Pasolini indica quali sono corretti (C) e quali errati (E). C E □ □ a. Si inserisce nella linea della neoavanguardia per il radicale sperimentalismo. b. È affine alla poetica ermetica per la scelta dell’oscurità espressiva. □ □ c. Si attiene alla tradizione nell’uso della metrica e della rima. □ □ d. Affida alla poesia un forte messaggio etico e civile. □ □ e. È vicino ai simbolisti per l’uso evocativo e musicale della parola. □ □ f. Non è ascrivibile ad alcuna “scuola” poetica. □ □ 3. Che cosa rappresenta per Pasolini il sottoproletariato urbano? a. □ Una classe sociale da redimere e inserire nel contesto sociale moderno. b. □ Il depositario della vitalità e dell’autenticità minacciate dal neocapitalismo consumistico. c. □ Una classe sociale la cui vitalità andava positivamente incanalata attraverso la coscienza politica. d. □ Una classe sociale degradata e corrotta da studiare come “caso”. – Esemplifica la tua risposta con riferimenti a opere dell’autore che ritieni particolarmente calzanti. 4. In quale opera Pasolini opta per l’adozione del dialetto? a. □ Le ceneri di Gramsci. b. □ La meglio gioventù. c. □ Una vita violenta. d. □ L’usignolo della chiesa cattolica. – Di quale dialetto si tratta? Quale significato riveste questa scelta linguistica? 650
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CLASSICI 5. Qual è il tema centrale del poemetto che dà il titolo alla raccolta Le ceneri di Gramsci? a. □ Le motivazioni del distacco dal Pci dopo i fatti di Ungheria. b. □ La polemica contro il movimento studentesco del Sessantotto. c. □ La disillusione e la crisi degli ideali della Resistenza nel dopoguerra. d. □ La celebrazione dei martiri delle repressioni del fascismo. 6. Per quale motivo Pasolini si dedica al cinema? a. □ Perché è un’arte popolare capace di dargli notorietà indiscussa. b. □ Perché è un’arte popolare capace di offrire un’alternativa alla sottocultura televisiva. c. □ Per una pura esigenza di sperimentare nuovi linguaggi. d. □ Perché gli dava la possibilità di affrontare tematiche scabrose non ammesse in letteratura. 7. Che cosa rese gradito a Pasolini il trasferimento a Roma? a. □ La possibilità di frequentare gli ambienti intellettuali. b. □ La possibilità di fare cinema. c. □ La presenza di un mondo popolare “vergine” simile a quello del suo Friuli. d. □ La possibilità di fare politica attiva.
Competenze
8. Nella stesura di Ragazzi di vita Pasolini di certo aveva presente il modello verghiano: in un testo argomentativo di max 20 righe indica gli aspetti che a livello di ideologia e di scelte narrative possono accomunare i due autori e quelli che invece li distinguono. 9. Gianfranco Contini considera Pasolini «competente in umiltà». Spiega e commenta la definixione con riferimenti tratti dai testi letti.
11. Individua i principali bersagli polemici della critica pasoliniana contro la civiltà contemporanea e i valori alternativi che emergono dalle sue riflessioni.
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10. Su molte questioni scottanti del dibattito politico-culturale dei suoi anni (movimento del Sessantotto, questione religiosa, aborto, divorzio ecc.), Pasolini assunse posizioni decisamente controcorrente rispetto anche alla sua stessa appartenenza ideologica. In un intervento orale di circa 5 minuti illustra queste posizioni e spiegane le principali motivazioni.