L'isola del tesoro

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L’isola del tesoro

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www.leggermente.info Questo volume sprovvisto del talloncino a fianco è da considerarsi campione gratuito fuori commercio.

€ 8,80

L’ISOLA DEL TESORO

• Un viaggio avventuroso narrato da uno straordinario protagonista. Stevenson lascia ad ognuno di noi il compito di immaginare come sarà la sua vita e in che modo farà tesoro di quanto sperimentato, scoperto, appreso. • Incontro immaginario con l’autore. • Attività didattiche ispirate alla metodologia Invalsi • Espansioni online.

Robert L. Stevenson

Jim Hawkins è un ragazzo inglese la cui tranquilla e ordinaria esistenza viene improvvisamente sconvolta da una serie di avvenimenti successivi all’arrivo del misterioso capitano Billy Bones alla locanda Ammiraglio Benbow, che il padre gestisce. La morte di Bones e il ritrovamento della mappa di un’isola del tesoro, a lui appartenuta, mettono in moto l’intera vicenda, ambientata in un imprecisato anno del XVIII secolo.

I GRANDI CLASSICI

LeggerMENTE è la nuova collana di narrativa per la scuola secondaria. Il suo obiettivo principale è offrire ai ragazzi libri classici o inediti, storie di attualità o di fantasia, per riscoprire pagina dopo pagina il piacere della lettura.

I GRANDI CLASSICI

Robert L. Stevenson

l’ISOLA DEL TESORO a cura di Maria Catia Sampaolesi


A cura di Maria Catia Sampaolesi


Robert Louis Stevenson L’isola del tesoro Riduzione e adattamento a cura di Maria Catia Sampaolesi Responsabile editoriale: Beatrice Loreti Art director: Marco Mercatali Responsabile di produzione: Francesco Capitano Redazione: Carla Quattrini Progetto grafico: Airone Comunicazione – Sergio Elisei Impaginazione: Airone Comunicazione – Marcello Muzi Illustrazioni: Barbara Petris Copertina: Adami Design © 2015 ELI – La Spiga Edizioni Via Brecce – Loreto tel. 071 750 701 info@elilaspigaedizioni.it www.elilaspigaedizioni.it Stampato in Italia presso Tecnostampa – Recanati 15.83.006.0 ISBN 978-88-468-3375-4 Le fotocopie non autorizzate sono illegali. Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione totale o parziale così come la sua trasmissione sotto qualsiasi forma o con qualunque mezzo senza previa autorizzazione scritta da parte dell’editore.


Nota introduttiva Jim Hawkins è un ragazzo inglese la cui tranquilla e ordinaria esistenza viene improvvisamente sconvolta da una serie di avvenimenti successivi all’arrivo alla locanda Ammiraglio Benbow, che il padre gestisce, del misterioso capitano Billy Bones. La morte di quest’ultimo e il ritrovamento della mappa di un’Isola del Tesoro, a lui appartenuta, mettono in moto l’intera vicenda, ambientata in un imprecisato anno del XVIII secolo. Il ragazzo, straordinario narratore-protagonista del romanzo, si trova coinvolto in un viaggio avventuroso, condiviso con un equipaggio di adulti: galantuomini, rispettabili marinai e pirati privi di scrupoli, tra i quali l’enigmatico e poliedrico Long John Silver. Attraverso azioni mozzafiato, eventi fortuiti, colpi di scena, in cui Jim ricopre sempre un ruolo attivo e di primo piano, il ragazzo cresce, matura, impara a conoscere l’umanità e a discernere il bene dal male. Stevenson non ci dà informazioni sul futuro del nostro protagonista, lascia ad ognuno di noi il compito di immaginare come sarà la sua vita e in che modo farà tesoro di quanto sperimentato, scoperto, appreso.

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Indice Nota introduttiva.................................................................. 3 PARTE PRIMA - IL VECCHIO FILIBUSTIERE 1. Il vecchio lupo di mare all’Ammiraglio Benbow........ 7 2. Cane Nero appare e scompare.................................... 14 3. Il marchio nero............................................................... 21 4. La cassa da marinaio..................................................... 29 5. La fine del cieco.............................................................. 35 6. Le carte del capitano..................................................... 41 PARTE SECONDA - IL CUOCO DI BORDO 7. Vado a Bristol.................................................................. 48 8. All’insegna del Cannocchiale........................................ 54 9. Polvere e armi.................................................................. 59 10. Il viaggio........................................................................... 65 11. Ciò che udii nel barile delle mele................................ 71 12. Consiglio di guerra......................................................... 77 PARTE TERZA - LA MIA AVVENTURA A TERRA 13. Come cominciò la mia avventura................................ 83 14. Il primo colpo.................................................................. 88 15. L’uomo dell’isola.............................................................. 93 PARTE QUARTA - IL FORTINO 16. Il dottore continua il racconto: come la nave fu abbandonata....................................... 100 17. Continua il racconto del dottore: l’ultimo viaggio della barchetta.................................... 105 4


18. Continua il racconto del dottore: fine della prima giornata di combattimento............. 109 19. Il racconto è ripreso da Jim Hawkins: la guarnigione del fortino.............................................. 114 20. L’ambasciata di Silver..................................................... 119 21. L’attacco............................................................................ 124 PARTE QUINTA - LA MIA AVVENTURA IN MARE 22. Come cominciò la mia avventura in mare................. 131 23. Cala la marea................................................................... 136 24. Il viaggio della piroga..................................................... 140 25. Ammaino il Jolly Roger................................................. 145 26. Israel Hands..................................................................... 150 27. “Pezzi da otto”................................................................. 157 PARTE SESTA - IL CAPITANO SILVER 28. Nel campo nemico......................................................... 161 29. Di nuovo il marchio nero.............................................. 168 30. Sulla parola...................................................................... 173 31. La caccia al tesoro: l’indicazione di Flint................... 179 32. La caccia al tesoro: la voce tra gli alberi..................... 185 33. La caduta di un capo...................................................... 190 34. E ultimo............................................................................ 196 Dossier Incontro immaginario con l’autore............................. 201 Intervista all’illustratrice............................................... 204 Percorsi di lettura.................................................................. 205 5


A F.L.O. gentiluomo americano, in cambio di molte ore piacevoli e con i più cari auguri, questo racconto ideato in armonia con il suo gusto classico, dedica l’affezionato amico l’Autore All’acquirente esitante Se storie marine con toni appropriati, tempeste, avventure, caldi e geli, bastimenti, isole e abbandoni, piraterie e tesori sepolti; se queste vecchie storie raccontate come si faceva una volta potranno piacere, come a me, anche alla gioventù più saggia di oggi: allora incominciamo! Ma se no, se il passato non piace più al giovane, se ha dimenticato gli antichi amori Kingston o Ballantyne il valoroso o Cooper, del bosco e del maroso: così sia! E rassegnato che io possa dividere con i miei pirati la fossa dove quelli e i loro sogni sono sprofondati!


1. Il vecchio lupo di mare all’Ammiraglio Benbow Poiché sono stato incaricato dal cavalier Trelawney, dal dottor Livesey e dal resto della compagnia di scrivere la storia della nostra avventura all’Isola del Tesoro, senza tralasciare alcun particolare, eccetto la posizione dell’isola, perché una parte del tesoro ancora vi è nascosta, io prendo la penna nell’anno di grazia 17... e ritorno al tempo in cui mio padre gestiva la locanda dell’Ammiraglio Benbow e il vecchio uomo di mare dal viso abbronzato e sfregiato da un colpo di sciabola prese alloggio presso di noi. Lo ricordo come fosse ieri quando entrò nella locanda con quel suo passo strascicato, seguito dalla carriola che portava la sua cassa. Alto, robusto, abbronzato, con un codino incatramato1 che gli ricadeva sopra il suo sudicio abito blu: le mani ruvide e ricoperte di cicatrici con le unghie rotte e nere; attraverso la guancia il taglio di un colpo di sciabola d’un bianco livido. Scrutò in giro fischiettando fra sé e poi intonò, con quella sua stridula voce, l’antica canzone di mare che doveva più tardi così spesso cantare: Quindici uomini sulla cassa del morto Yò-hò-hò e una bottiglia di rum! Poi con il bastone picchiò contro la porta e come mio padre apparve ordinò bruscamente un bicchiere di rum. Appena gli fu portato, lo bevve lentamente assaporandolo da buon intenditore e intanto esaminava intorno a sé gli scogli 1

Codino incatramato: i marinai e i pirati vengono rappresentati con i capelli legati in un codino irrigidito dalla salsedine o dal catrame.

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Parte Prima - Il Vecchio Filibustiere

e la nostra insegna. – Questo è un luogo adatto – disse – e ottimamente situato. Molta gente, amico mio? Mio padre rispose di no; ve ne era poca, per sua sfortuna. – Bene. È il posto che fa per me. Ehi tu – gridò all’uomo della carriola – vieni e aiuta a portar su la mia cassa. Resterò qui un po’ – continuò. – Sono un uomo alla buona; rum, prosciutto, uova: altro non mi serve e quel promontorio lassù per osservare le navi che passano. Il mio nome? Capitano potete chiamarmi. Ah, capisco ciò che vi preoccupa... Prendete! – E gettò sul bancone tre o quattro monete d’oro. – Mi avvertirete quando sarà finito – aggiunse con uno sguardo fiero da comandante. In verità, nonostante i suoi abiti scadenti e il suo rozzo parlare, egli non aveva l’aria d’un marinaio: sembrava piuttosto un secondo2 o un armatore3 abituato ad essere ubbidito o a picchiare. L’uomo della carriola ci riferì che era sceso dalla diligenza la mattina prima davanti al Royal George, che aveva chiesto informazioni sulle locande lungo la costa e, udito parlare bene della nostra, l’aveva scelta in virtù del suo isolamento. Egli era assai taciturno. Passava la sua giornata gironzolando intorno alla baia o per le colline provvisto d’un cannocchiale di ottone; la sera rimaneva in un angolo della sala accanto al fuoco a bere dei ponce4 al rum molto forti. A chi gli rivolgeva la parola evitava di rispondere: dava un rapido sguardo e sbuffava dalle narici, sicché tutti imparammo a lasciarlo in pace. Ogni giorno, quando rientrava dalla sua pas Secondo: in marina il secondo è l’ufficiale che viene dopo il capitano o il comandante e che, in sua assenza o in caso di necessità, ne fa le veci. 3 Armatore: chi allestisce navi per conto proprio o di altre persone. 4 Ponce: o punch, bevanda preparata con acqua calda, rum (o altro liquore), zucchero e scorza di limone. 2

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1. Il vecchio lupo di mare all’Ammiraglio Benbow

seggiata, chiedeva sempre se qualche marinaio si fosse visto lungo la strada. Inizialmente pensavamo che la mancanza di gente simile a lui lo spingesse a tali domande, poi capimmo che, al contrario, ciò che gli premeva era evitare incontri. Quando un marinaio sostava all’Ammiraglio Benbow, egli scrutava il nuovo arrivato attraverso la tenda della porta prima di decidersi a passare nella sala e finché quello non se ne andava stava muto come un pesce. Questo comportamento non aveva nulla di misterioso per me poiché ero venuto a conoscenza delle preoccupazioni del capitano. Un giorno, infatti, mi aveva preso in disparte e mi aveva promesso una moneta d’argento di quattro penny ogni mese a patto che io facessi buona guardia e l’avvisassi se fosse comparso un “marinaio con una gamba sola”. Spesso accadeva che quando il primo del mese gli chiedevo il mio compenso, mi rispondesse con quel suo pauroso soffiare attraverso le narici e con un’occhiata torva che mi atterriva, ma prima che la settimana finisse egli ci ripensava e mi consegnava i miei quattro penny ripetendomi l’ordine di stare attento al marinaio con una gamba sola. È inutile dire come questo personaggio fosse diventato l’incubo dei miei sogni. Nelle notti di tempesta io me lo vedevo apparire davanti: ora aveva la gamba amputata fino al ginocchio, ora fino all’anca; ora non era più uomo ma un essere mostruoso con una gamba sola al centro del corpo. Così, con tali abominevoli immaginazioni, pagavo abbastanza caro il premio dei miei quattro penny mensili. Tuttavia, malgrado il terrore che il marinaio dalla gamba sola m’incuteva, io ero colui che aveva meno paura del capitano tra tutti coloro che l’avvicinavano. Certe sere egli beveva assai più ponce al rum di quanto potesse sopportare; allora si tratteneva lì a cantare le sue vecchie scellerate canzoni di mare, senza curarsi di nessuno; 9


Parte Prima - Il Vecchio Filibustiere

altre volte offriva da bere in giro e costringeva gli avventori5 ad ascoltare le sue storie o ad accompagnare in coro i suoi ritornelli. Quante volte ho udito la casa rimbombare di “Yò-hò hò e una bottiglia di rum” mentre i vicini impauriti l’accompagnavano cercando ognuno di superare l’altro per evitare osservazioni! In questi eccessi egli era l’uomo più insolente e prepotente del mondo: ora imponeva il silenzio battendo con il palmo della mano sul tavolo, ora si lasciava prendere dall’ira per una domanda che gli era rivolta o perché nessuno gliene poneva, il che per lui significava che la compagnia non s’interessava al racconto. E non tollerava che si lasciasse la locanda prima che egli, ubriaco fradicio, non se ne fosse andato a letto barcollando. Ciò che soprattutto spaventava chi lo ascoltava erano i suoi racconti: terribili storie d’impiccagioni, di prigionieri bendati costretti a tuffarsi in mare, di burrasche di mare, delle Isole delle Tartarughe6, di gesta e luoghi selvaggi nelle terre spagnole d’America7. A sentire i suoi racconti, sembrava che fosse vissuto fra la peggiore razza cui Dio aveva concesso di solcare i mari; il suo linguaggio brutale impressionava i nostri semplici paesani quasi come i delitti che egli descriveva. Mio padre non faceva altro che dire che quell’uomo sarebbe stato la rovina della locanda poiché ben presto la gente si sarebbe stancata di venir lì per essere tiranneggiata e spedita a letto battendo i denti; io credo invece che la sua presenza ci giovasse. Sul momento gli avventori erano spaventati, ma poi provavano un certo gusto a ripensarci e quasi amavano ciò che dava una scossa Avventori: clienti della locanda. Isole delle Tartarughe: presumibilmente isole coralline del Golfo del Messico. 7 Terre spagnole d’America: terre dell’America latina colonizzate dagli spagnoli. 5 6

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1. Il vecchio lupo di mare all’Ammiraglio Benbow

alla sonnacchiosa vita del paese. C’erano persino alcuni tra i giovani che mostravano per lui ammirazione definendolo “un vero lupo di mare”, sostenendo che gli uomini come lui rendevano l’Inghilterra formidabile sui mari. Veramente in qualche modo egli lavorava alla nostra rovina perché passarono settimane e settimane e poi mesi e mesi senza che egli mostrasse di volersene andare; intanto il suo denaro era finito e mio padre non aveva il coraggio di insistere per averne dell’altro. Se vi alludeva, il capitano soffiava attraverso il naso talmente forte che pareva ruggisse e con un’occhiataccia cacciava via dalla sala il mio povero padre. Quest’ultimo si torceva le mani e credo che la preoccupazione e il terrore nei quali viveva affrettassero notevolmente la sua prematura fine. Per tutto il tempo in cui rimase con noi il capitano non cambiò il suo vestiario, a parte qualche calzino comprato da un merciaio ambulante. Essendosi afflosciata una falda del suo cappello a tricorno8, egli lo lasciava penzolare giù. Rivedo quell’abito ch’egli stesso rappezzava9 nella sua camera e che già prima della fine era un insieme di toppe. Mai scrisse né ricevette una lettera; mai parlava con nessuno ad eccezione dei vicini e con questi per lo più quand’era ubriaco di rum. Nessuno di noi aveva mai visto aperta la grande cassa da marinaio. Una volta soltanto trovò chi gli tenesse testa e fu quando il mio povero padre era già minato10 dal male che doveva condurlo alla tomba. Una sera il dottor Livesey giunse nella locanda a vedere il malato; si fece servire un boccone da mia Tricorno: cappello, tipico del Settecento, con ala rialzata e piegata a formare tre punte. 9 Rappezzava: rattoppava, mettendo una pezza. 10 Minato: compromesso, distrutto. 8

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Parte Prima - Il Vecchio Filibustiere

madre, poi se ne andò a fumare la pipa nella sala in attesa che il suo cavallo arrivasse dal villaggio giacché al vecchio Benbow non avevamo la stalla. Io lo seguii all’interno e ricordo ancora lo stridente contrasto tra il lindo dottore, con la sua parrucca candida come neve11, i suoi neri e scintillanti occhi e le sue compite maniere, e i rustici avventori ma soprattutto il sudicio e torvo pirata seduto nell’angolo, ormai ubriaco. D’improvviso il capitano intonò la sua eterna canzone: “Quindici uomini sulla cassa del morto Yò-hò-hò e una bottiglia di rum! Satana e il bere hanno fatto il resto Yò-hò-hò e una bottiglia di rum!” Da tempo ormai noi non prestavamo più attenzione al ritornello; solo agli orecchi del dottor Livesey quella sera risultava nuovo ed io mi accorsi dell’impressione tutt’altro che gradevole ch’egli ne ricevette, dato che alzò gli occhi e guardò per un momento con aria seccata prima di decidersi a continuare col vecchio giardiniere Taylor il suo discorso su una nuova terapia per i reumatismi. Intanto il capitano si stava animando al suono della sua musica, batté sul tavolo con il palmo un gran colpo che noi tutti sapevamo significare: “Silenzio!”. Nessuna voce fu più udita ad eccezione di quella del dottor Livesey che continuò a parlare come prima, tirando tra una frase e l’altra una boccata di fumo. Il capitano lo fulminò per un istante, batté un nuovo colpo con il palmo, gli lanciò un’altra occhiataccia e, accompagnando la frase con una triviale12 bestemmia, gridò: Con la sua parrucca candida come neve: le parrucche per gli uomini vennero introdotte nel mondo anglosassone nella seconda metà del XVII secolo; esse erano usate da nobili e borghesi e il loro colore bianco era dovuto all’impiego della cipria. 12 Triviale: estremamente volgare. 11

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1. Il vecchio lupo di mare all’Ammiraglio Benbow

– Silenzio laggiù a prua! – È a me che il signore intende parlare? – disse il dottore; e non appena la canaglia gli ebbe con un’altra bestemmia risposto di sì, il dottore replicò: – Io non ho che una cosa da dirvi ed è che se voi continuerete a tracannare13 rum, il mondo sarà presto liberato da una schifosa carogna. Lo scoppio d’ira del vecchio fu tremendo. Scattò in piedi, estrasse e aprì un coltello a serramanico14 e stava per inchiodare al muro il dottore. Questi non si mosse. Parlandogli con un tono alto di voce, in modo da essere udito da tutti, ma perfettamente tranquillo, disse: – Se non rimettete immediatamente in tasca quel coltello, vi giuro sul mio onore che alle prossime assise15 vi farò impiccare. Seguì tra i due una battaglia di sguardi: presto il capitano cedette, ripose l’arma e riprese il suo posto lamentandosi come un cane bastonato. – E ora signore – continuò il dottore – potete star sicuro che vi terrò d’occhio giorno e notte. Io non sono soltanto dottore, sono anche magistrato e se mi giungerà una lamentela sul vostro conto, fosse magari per una villania come quella di stasera, provvederò a farvi mandar via di qui. Siete avvisato. Poco dopo il dottor Livesey partì; per quella sera e per molte altre successive il capitano rimase tranquillo.

Tracannare: bere in modo ingordo. Coltello a serramanico: coltello in cui la lama può rientrare nel manico che fa da custodia. 15 Assise: assemblee per giudicare i colpevoli di reati. 13 14

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2. Cane Nero appare e scompare Poco tempo dopo si verificò il primo di quei misteriosi eventi che dovevano finalmente sbarazzarci del capitano anche se non delle conseguenze della sua presenza. Era un rigidissimo inverno con lunghe, aspre gelate e violente bufere e fin dall’inizio apparve chiaro che il mio povero padre difficilmente avrebbe visto la primavera. Di giorno in giorno peggiorava e mia madre ed io, con sulle spalle il peso della locanda, eravamo troppo occupati per prestare attenzione al nostro sgradito ospite. Era un mattino di gennaio, assai di buon’ora, con un freddo pungente e tutta la baia biancheggiava di brina. Il capitano si era alzato più presto del solito ed era sceso in spiaggia col suo coltellaccio dondolante sotto le larghe falde del suo abito blu, il cannocchiale sotto il braccio e il cappello buttato indietro. Rivedo ancora il suo alito fluttuare dietro di lui come fumo mentre egli si allontanava rapidamente. Mia madre era in quel momento di sopra col babbo; io stavo apparecchiando la tavola per la colazione del capitano, quando la porta della sala si aprì ed uno sconosciuto entrò. Era pallido come la cera; gli mancavano due dita alla mano sinistra e, nonostante portasse un coltellaccio, non pareva troppo aggressivo. Io stavo sempre in guardia quando vedevo gente di mare, con una sola gamba o con due, e quella apparizione mi turbò. Egli non aveva l’aria di marinaio, ma portava con sé l’odore del mare. Gli chiesi che cosa volesse e mi rispose ordinando del rum, ma mentre andavo a prenderlo sedette a un tavolo e mi richiamò. Io mi fermai col tovagliolo in mano. – Vieni qui ragazzo – disse lui. – Qui, più vicino. – Io mi avvicinai di un passo.

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2. Cane Nero appare e scompare

– È questo qui il tavolo del mio amico Bill? – chiese con aria furtiva. Risposi che non conoscevo il suo compagno Bill e quel tavolo era per una persona che alloggiava presso di noi e che noi chiamavamo il Capitano. – Perfettamente – fece lui, – il mio compagno Bill può anche farsi chiamare Capitano se così gli piace. Ha un taglio su una guancia e maniere molto gentili, specie quando ha bevuto. E adesso sentiamo: il mio amico Bill è in casa? Risposi che era uscito per una passeggiata. – Da che parte ragazzo mio? Gli indicai la rupe1 aggiungendo che il capitano sarebbe presto ritornato; dopo che ebbi risposto a varie altre domande mi disse: – Ah, questo farà bene al mio amico Bill, come un buon bicchiere. L’espressione del suo viso pronunciando tali parole era tutt’altro che rassicurante. Egli rimase lì vicino alla porta sorvegliando l’angolo della rupe come il gatto che aspetta il topo. Ad un certo punto io scappai sulla strada, ma subito mi richiamò e, siccome avevo indugiato2 ad ubbidire, il suo pallido volto prese un’espressione feroce e con una bestemmia che mi fece scattare mi comandò di rientrare. Appena fui lì, tornò alle maniere di prima tra lusinghiere e beffarde3, mi diede una pacca sulla spalla, mi disse ch’ero un bravo ragazzo e che mi aveva preso in simpatia. – Ho un figliolo – disse – che ti assomiglia come una goccia d’acqua ed è il mio orgoglio. L’importante per i ragazzi è la disciplina, piccolo mio, la disciplina. Se tu avessi Rupe: roccia che scende a picco. Indugiato: esitato, tardato. 3 Lusinghiere e beffarde: che vogliono catturare la simpatia, ma al tempo stesso manifestano la volontà di deridere. 1 2

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Parte Prima - Il Vecchio Filibustiere

navigato con Bill non ti saresti fatto chiamare due volte, no davvero. Non era questo il sistema di Bill né di chi navigava con lui. Ma ecco il mio compagno Bill che arriva, con il suo cannocchiale sotto il braccio. Dio lo benedica, è lui senza dubbio. Rientriamo, piccolo mio, e mettiamoci dietro la porta: gli faremo una sorpresa. Così dicendo lo sconosciuto mi sospinse nella sala, dietro di sé, nell’angolo, in modo che la porta aperta nascondesse entrambi. Io ero inquieto e impressionato e, come si può immaginare, la mia paura era accresciuta dal fatto che lo stesso sconosciuto tremava a sua volta. Egli liberò l’impugnatura del coltellaccio, provò ad estrarre la lama dal fodero e durante tutta l’attesa seguitò a deglutire4 come se avesse un groppo in gola. Finalmente il capitano entrò sbattendo la porta dietro le spalle e, senza guardare né a destra né a sinistra, attraversò la sala dirigendosi al tavolo apparecchiato per la sua colazione. – Bill – fece lo sconosciuto con una voce che si sforzava di essere ferma e spavalda. Il capitano si girò sui tacchi e ci guardò: il suo viso impallidì fino alla punta del naso, egli aveva l’aria d’uno che aveva visto un fantasma o il diavolo o qualcosa di peggio; io confesso che provai un senso di pietà a vederlo d’improvviso così invecchiato. – Vieni qui, Bill, vieni qui. Tu mi riconosci, non è vero? Il tuo vecchio compagno di bordo lo riconosci bene! Il capitano emise un gemito: – Cane Nero – disse. – E chi altri vorresti che fossi? – replicò lo straniero sensibilmente rassicurato. – Cane Nero in persona venuto a salutare il suo vecchio compagno Bill alla locanda dell’Ammiraglio Benbow. Ah Bill, quante ne abbiamo passate noi due 4

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Deglutire: inghiottire.


2. Cane Nero appare e scompare

dopo che io ho perso questi due artigli – soggiunse alzando la mano mutilata. – Bene – disse il capitano. – Mi hai scovato; eccomi e dunque parla. Che vuoi? – Sei proprio tu – replicò Cane Nero. – Non c’è sbaglio, Bill. Io voglio farmi servire un bicchiere di rum da questo caro ragazzo che ho preso in simpatia; ci metteremo a sedere, se così ti piace, e parleremo schietto5 come si conviene a vecchi compagni di bordo. Quando io rientrai col rum, essi stavano già seduti ai lati opposti del tavolo apparecchiato per il Capitano: Cane Nero vicino alla porta, di sbieco, così da tenere d’occhio il suo vecchio compagno di bordo e l’uscita. Mi ordinò di andarmene e di lasciare la porta spalancata. – I buchi delle serrature non sono di mio gusto, ragazzo mio! – aggiunse. Io li lasciai soli e mi ritirai dietro il bancone. Di lì, pur facendo del mio meglio per ascoltare, per un po’ non sentii che un sommesso parlottare, ma alla fine le voci si alzarono e potei cogliere una o due parole, per lo più bestemmie, del capitano. – No, no, no, no; basta! – gridò una prima volta. E poi: – Se ci sarà la forca, sarà per tutti! D’un tratto udii una tremenda esplosione di bestemmie mescolata con altri rumori: tavolo e sedie che si rovesciavano, un tintinnìo di lame e infine un urlo di dolore, dopo di che vidi Cane Nero fuggire a precipizio e il capitano corrergli dietro, entrambi col coltellaccio in mano ed il primo che versava sangue dalla spalla sinistra. Arrivato alla porta, il capitano vibrò al fuggitivo un ultimo tremendo colpo che gli Schietto: in modo sincero.

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Parte Prima - Il Vecchio Filibustiere

avrebbe certamente spaccato la schiena se l’arma non fosse stata intercettata dall’insegna dell’Ammiraglio Benbow, incidendo nell’orlo inferiore una tacca6 che ancora oggi è visibile. Quel colpo fu l’ultimo dello scontro. Non appena fu in strada, Cane Nero, nonostante la ferita, fuggì a gambe levate e in mezzo minuto scomparve dietro il limite della collina. Il capitano dal canto suo restò lì accanto all’insegna come inebetito7. Si passò più volte la mano sugli occhi e infine si decise a rientrare. – Jim, del rum! – E mentre così diceva barcollava un poco e con una mano si appoggiava al muro. – Siete ferito? – gridai. – Del rum! – ripeté. – Devo andarmene di qui. Del rum! Del rum! Io corsi a prenderne, ma ero talmente sconvolto che ruppi un bicchiere e rovinai il rubinetto; mentre ero così impacciato sentii un tonfo nella sala; corsi e trovai il capitano disteso lungo per terra. Nello stesso tempo mia madre, allarmata dalle grida e dallo strepito, correva giù per aiutarmi. Insieme gli sollevammo il capo. Egli respirava affannosamente; i suoi occhi erano chiusi, il viso terreo. – Mio Dio, mio Dio! – gridò mia madre. – Che disgrazia per la nostra casa! E il tuo povero padre malato! Intanto non sapevamo che fare per soccorrere il capitano, convinti com’eravamo che nello scontro con lo sconosciuto avesse ricevuto un colpo mortale. Presi il rum e cercai di fargliene entrare un po’ in gola, ma i suoi denti erano serrati e le mascelle rigide come ferro. Fu un sollievo per noi quando la porta si aprì e il dottor Livesey entrò per la solita visita a mio padre. Tacca: incisione ottenuta con due tagli vicini e convergenti. Inebetito: stordito, stupito.

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2. Cane Nero appare e scompare

– Oh dottore – gridammo – che c’è da fare? Dov’è ferito? – Ferito? Storie! – disse il dottore. – Non è più ferito di me o di voi. Ha avuto un colpo come gli avevo predetto. Su, signora Hawkins, salite da vostro marito e se possibile non raccontategli nulla. Quanto a me devo fare del mio meglio per salvare la vita di questo miserabile e Jim mi porterà un catino. Quando io tornai col catino, il dottore aveva già rimboccato la manica del capitano e denudato il suo grosso e muscoloso braccio. Esso era cosparso di tatuaggi. “Ecco la fortuna”, “Vento in poppa”, “Billy Bones se ne infischia” si leggeva molto chiaramente sull’avambraccio; sopra, vicino alla spalla, si vedeva lo schizzo di una forca8 con un uomo appeso, realizzato, a mio parere, con grande bravura. – Profetico! – esclamò il dottore toccando con la punta del dito il tatuaggio. – E ora signor Billy Bones, se questo è il vostro nome, vediamo un po’ il colore del vostro sangue. Jim, hai paura del sangue? – No signore – risposi io. – Bene. Allora tieni il catino! – E ciò dicendo tirò fuori il bisturi e aprì una vena. Bisognò cavarne parecchio prima che il capitano aprisse gli occhi e volgesse intorno il suo sguardo annebbiato. Prima riconobbe il dottore, aggrottando le sopracciglia; poi posò gli occhi su di me e parve confortato. D’improvviso però cambiò colore e tentò di alzarsi gridando: – Dov’è Cane Nero? – Non c’è nessun Cane Nero qui – disse il dottore – all’infuori di quello che vi frulla per il capo. Avete continuato a bere rum e vi ha preso un colpo precisamente come vi avevo 8

Forca: palco per l’impiccagione.

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Parte Prima - Il Vecchio Filibustiere

predetto ed io, a malincuore, vi ho appena tirato fuori dalla fossa dove stavate già con un piede. E adesso signor Bones... – Non è questo il mio nome – interruppe il capitano. – Non importa – ribatté il dottore. – È il nome d’un filibustiere di mia conoscenza ed io vi chiamo così per far presto. Ecco cosa desidero dirvi: un bicchiere di rum non vi ucciderà: ma se voi ne berrete uno, un altro e poi un altro, scommetto la mia parrucca che, se non vi deciderete a smettere, mo-ri-re-te e ve ne andrete diritto al Creatore. Su, fate uno sforzo. Vi aiuterò a mettervi a letto per questa volta. Con non poca fatica riuscimmo a trasportarlo al piano di sopra e lo adagiammo sul letto. Il suo capo piombò sul guanciale come se egli dovesse svenire. – Dunque – aggiunse il dottore – ricordatevi bene, ve lo dico per non avere un peso sulla coscienza: rum per voi significa morte. Detto ciò, prendendomi per un braccio, andò a visitare mio padre. – Non è nulla – mi disse appena fuori dell’uscio. – Gli ho cavato sangue abbastanza perché possa stare tranquillo per un po’. Il meglio per lui e per voi sarebbe che rimanesse una settimana dov’è. Ma se lo coglie un altro colpo, è finita.

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3. I l marchio nero

Verso mezzogiorno andai dal capitano con qualche bibita rinfrescante e medicine. Egli si trovava ancora nelle stesse condizioni in cui l’avevamo lasciato, solo un po’ più sollevato e appariva insieme debole ed eccitato. – Jim – disse – tu sei l’unico qui che valga qualcosa e sai come sono sempre stato buono con te. Non c’è stato mese che non t’abbia dato i tuoi quattro penny. Jim, tu mi devi dare un bicchiere di rum; è vero che me lo darai, mio piccolo amico? – Il dottore... – cominciai. Egli mi interruppe con una voce flebile ma appassionata. – I dottori sono una massa di idioti e quel dottore che vuoi che sappia di gente di mare? Io sono stato in paesi roventi, i miei compagni cadevano come mosche per la febbre gialla1, i terremoti facevano ondeggiare la terra come il mare: ebbene che può sapere il dottore di paesi simili? Io vivevo di rum, capisci? Bevanda e cibo: per me il rum era tutto. Se tu ora non mi darai il mio rum, io non sarò più che una povera vecchia carcassa2 rigettata sugli scogli e il mio sangue ricadrà su di te, Jim, e su quell’idiota del dottore – qui intervallò il discorso con una buona dose di bestemmie. In tono lamentoso continuò: – Guarda, Jim, come tremano le mie dita. Non riesco a tenerle ferme. Non ho bevuto una goccia di rum in questa maledetta giornata. Quel dottore è uno sciocco, ti dico. Se non berrò un po’ di rum, Jim, avrò le allucinazioni: ne ho già avute alcune. Ho visto il vecchio Flint là, nell’angolo dietro di te, come fosse dipinto; e se mi verranno le allucinazioni, morirò di paura. Febbre gialla: epatite infettiva acuta causata da un virus trasmesso dalla puntura di particolari zanzare. 2 Carcassa: corpo umano malridotto. 1

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Parte Prima - Il Vecchio Filibustiere

Lo stesso tuo dottore ha detto che un bicchiere non mi farà male. Ti darò una ghinea3 d’oro, Jim, se mi porterai un bicchierino. La sua eccitazione andava aumentando; ciò mi preoccupava per mio padre che quel giorno era molto grave e aveva bisogno di quiete. – Non voglio un centesimo del vostro denaro – dissi io – se non quanto dovete a mio padre. Vi darò un bicchiere, ma niente di più. Quando glielo portai, l’afferrò avidamente e lo vuotò tutto d’un fiato. – Ah! Ah! – esclamò. – Ora va un po’ meglio. Ma sentiamo, piccolo mio, quanto tempo ha detto il dottore che dovrei rimanere in questa vecchia cuccia? – Non meno d’una settimana – risposi. – Per mille fulmini! – gridò. – Una settimana! È impossibile. Tra una settimana essi mi avranno già bollato con il marchio nero. I balordi stanno cercando di darmi la caccia in questo dannato momento; incapaci di custodire quello che avevano acciuffato, vorrebbero ora arraffare la roba altrui. E questo sarebbe un comportamento da marinai? Ma io ho l’anima del risparmiatore: non ho mai sciupato né perso il mio buon denaro e li metterò di nuovo nel sacco. Non mi fanno mica paura. Mi farò di nuovo beffe di loro. Mentre così parlava si era alzato dal letto con grande fatica e, appoggiandosi alla mia spalla e stringendomi fino quasi a farmi gridare, muoveva le gambe come fossero un peso morto. La violenza delle sue parole contrastava con la debolezza della sua voce. Provò a sedersi sulla sponda4 del letto e restò immobile. Ghinea: moneta inglese del valore di 21 scellini, coniata fino agli inizi del 1800. 4 Sponda: bordo laterale, lato estremo. 3

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3. Il marchio nero

– Quel dottore mi ha finito – mormorò. – Mi ronzano le orecchie. Rimettimi giù. Prima che io potessi aiutarlo era già ricaduto al suo posto dove rimase per un momento in silenzio. – Jim – disse infine – hai visto quel marinaio? – Cane Nero? – Sì, Cane Nero. Lui è un cattivo soggetto, ma quelli che l’hanno mandato sono peggio ancora. Ebbene, se io non riesco ad andarmene via ed essi mi lanciano il marchio nero, bada che ciò che a loro preme è la mia vecchia cassa; allora tu monti a cavallo – sai montare a cavallo no? – ebbene tu monti a cavallo e vai da quella vecchia ciabatta di dottore e gli dici di radunare tutti quanti – i giudici e il resto – e lui pescherà all’Ammiraglio Benbow l’intera ciurmaglia del vecchio Flint, uomini, ragazzi e compagnia. Io ero il secondo di bordo del vecchio Flint e sono il solo che conosce il posto. Mi ha confidato il segreto a Savannah5, mentre stava per morire, come potrei farlo io adesso. Ma tu non devi denunciarli a meno che non mi lancino il marchio nero o a meno che tu non riveda Cane Nero oppure il marinaio con una gamba sola, Jim, lui soprattutto. – Ma, Capitano, cos’è il marchio nero? – È un avvertimento, figliolo. Te lo spiegherò se arriveranno a quel punto. Ma tu ora devi fare buona guardia e poi divideremo in due, parola d’onore. Divagò ancora un poco mentre la sua voce diventava sempre più debole, ma appena io gli ebbi somministrato la sua medicina che prese docile come un ragazzo osservando che “se c’era un uomo di mare che mai avesse avuto bisogno di droghe quello era proprio lui”, cadde in un sonno pesante 5

Savannah: città degli Stati Uniti, nello stato della Georgia, fondata nel 1733.

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Parte Prima - Il Vecchio Filibustiere

nel quale lo lasciai. Che cosa avrei fatto se le cose fossero andate diversamente, non lo so. Probabilmente avrei raccontato tutto al dottore poiché ero assillato dal dubbio che il Capitano dovesse pentirsi delle sue confidenze e liberarsi di me. Ma il mio povero padre morì improvvisamente quella sera e ciò mise in ombra ogni altra preoccupazione. Il nostro dolore, le visite dei vicini, i preparativi del funerale e inoltre le incombenze6 della locanda mi tennero talmente occupato che non ebbi tempo di ripensare al capitano e tanto meno alle mie paure. Il mattino seguente egli scese al piano di sotto e consumò i suoi pasti mangiando poco, ma bevendo più rum del solito poiché si servì egli stesso al bancone guardando torvo e sbuffando attraverso il naso senza che nessuno osasse contrariarlo. La sera prima del funerale era più ubriaco che mai ed era disgustoso sentire quella voce, nella casa a lutto, cantare ancora una volta la vecchia canzone di mare. Ma, per quanto debole, egli incuteva in tutti noi una paura mortale e il dottore, chiamato improvvisamente presso un malato distante molte miglia, era rimasto, dopo la disgrazia, lontano dalla nostra casa. Ho detto che il capitano era debole: effettivamente pareva sempre più indebolirsi anziché riacquistare le forze. Egli si trascinava su e giù per le scale; andava e veniva dalla sala al bancone, talvolta metteva il naso fuori dell’uscio per odorare il mare, camminava appoggiandosi al muro e respirando faticosamente, come chi sale una montagna. Con me direttamente non parlò più ed io penso che avesse dimenticato le sue confidenze, ma il suo umore s’era fatto più instabile e, tenuto conto della sua debolezza fisica, più Incombenze: incarichi di una certa importanza.

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3. Il marchio nero

violento che mai. Quando era ubriaco aveva preso l’inquietante abitudine di sfoderare il suo coltellaccio e tenerlo sul tavolo a portata di mano. Ciò nonostante, si curava meno della gente: sembrava chiuso nei suoi pensieri e piuttosto assente. Una volta, per esempio, con nostra grande sorpresa intonò una specie di canzone d’amore che egli doveva aver imparato da giovane, prima di mettersi a navigare. Così andarono le cose finché il giorno dopo il funerale, verso le tre di un pomeriggio freddo e nebbioso, mentre mi trovavo sulla soglia della locanda pieno di tristezza pensando a mio padre, scorsi sulla strada un individuo che lentamente si avvicinava. Doveva essere cieco poiché picchiava davanti a sé con un bastone e portava una mascherina verde che gli copriva occhi e naso. Incurvato dall’età o dagli stenti, indossava un ampio, vecchio e cencioso soprabito da marinaio con un cappuccio che lo faceva apparire deforme. Non avevo mai visto in vita mia una figura più sinistra7. Un po’ prima della locanda si fermò e, dando alla sua voce un bizzarro tono di cantilena e rivolgendosi al vuoto dinanzi a sé, disse: – C’è qualche anima buona che voglia dire a un povero cieco, che ha perduto la sua vista difendendo il proprio caro paese nativo, l’Inghilterra – e Dio benedica Re Giorgio8! – in quale parte di questa regione egli attualmente si trova? – Voi siete all’Ammiraglio Benbow, mio brav’uomo – risposi. – Sento una voce – riprese – una giovane voce. Vorresti darmi una mano, mio caro ragazzo, e farmi entrare? Gli porsi la mano e la creatura senz’occhi, dalle parole

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Sinistra: minacciosa. Re Giorgio: si tratta di re Giorgio II, sovrano di Gran Bretagna dal 1727 al 1760.

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Parte Prima - Il Vecchio Filibustiere

mielate9, l’agguantò di scatto come una morsa10. Ne fui talmente impaurito che cercai di divincolarmi11, ma il cieco mi strinse a sé con uno strattone. – E ora, ragazzo mio, conducimi dal capitano. – Signore – obiettai – vi giuro sulla mia parola che non oso. – Oh – ghignò12 lui. – È così? Conducimi subito dentro o ti rompo il braccio. – Difatti, mentre parlava, me lo torse così forte che mi sfuggì un grido. – Signore – spiegai – lo dico per voi. Il capitano non è del solito umore. Ha sempre il coltellaccio sguainato. Un altro signore … – Andiamo – incalzò lui. – Su! – Io non avevo mai sentito una voce così crudele, fredda e odiosa, sicché mi affrettai a ubbidire varcando la soglia e dirigendomi al posto dove, abbrutito dal rum, sedeva il vecchio infermo filibustiere. Il cieco si attaccava a me, stringendomi nel suo pugno di ferro, e mi opprimeva col suo peso fin quasi a schiacciarmi. – Conducimi subito da lui e quando gli sarò davanti grida forte: “Ecco un amico per voi, Bill!” Se non ubbidirai, ti farò questo io! – e accompagnò la minaccia con un tale strattone che io credetti di svenire. Messo alle strette e terrorizzato, dimenticai la mia paura del capitano e, aperta la porta della sala, dissi con voce tremante la frase impostami. Il povero capitano alzò gli occhi, in un attimo l’effetto del rum svanì ed egli rimase lì, sobrio, con gli occhi sbarrati a fissarci. Più che terrore, si leggeva sul suo viso un malessere mortale. Fece per alzarsi, ma credo che non avesse più forza per farlo. Mielate: dolci. Morsa: attrezzo fissato al tavolo da lavoro che blocca il pezzo da lavorare. 11 Divincolarmi: dimenarmi. 12 Ghignò: rise con cattiveria. 9

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Il vecchio lupo di mare all’Ammiraglio Benbow

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Parte Prima - Il Vecchio Filibustiere

– Bill, resta dove ti trovi – disse il mendicante. – Non ci vedo, ma se un dito si muove lo sento. Gli affari sono affari. Porgi la tua mano sinistra. E tu, piccolo, prendi quella mano per il polso e avvicinala alla mia destra. Gli obbedimmo entrambi e io vidi il cieco far scivolare qualcosa dal cavo della mano, con cui teneva il bastone, nel palmo del Capitano che subito si richiuse. – Ecco fatto – disse il cieco. E subito si allontanò da me e con incredibile sveltezza uscì dalla sala e saltò nella strada; io, rimasto lì immobile, potei nel silenzio udire il picchiettio del suo bastone che si allontanava. Ci volle un po’ di tempo prima che io e il capitano ci riprendessimo dalla sorpresa; alla fine lasciai libero il suo polso ed egli ritirò la sua mano dando un’acuta sbirciata al palmo. – Alle dieci! – gridò. – Sei ore di tempo. Gliela facciamo ancora! – e scattò in piedi. Ma subito barcollò, si portò una mano alla gola, rimase in bilico un attimo e con uno strano rantolo13 stramazzò lungo disteso con la faccia sul pavimento. Io mi precipitai verso di lui chiamando mia madre, ma ogni sollecitudine era vana. Fulminato da un colpo apoplettico14 il capitano era morto. Strano a dirsi, io non l’avevo mai amato, nonostante negli ultimi tempi mi ispirasse una certa pietà, ma quando lo vidi morto ai miei piedi scoppiai a piangere. Era la seconda morte cui assistevo e il dolore della prima era ancora vivo nel mio cuore.

Rantolo: respiro ansimante proprio di chi sta per morire. Colpo apoplettico: emorragia cerebrale.

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4. La cassa da marinaio

Io raccontai a mia madre tutto ciò che sapevo, come forse avrei dovuto fare molto prima, e subito ci rendemmo conto di trovarci in una situazione pericolosa. Parte del denaro del Capitano, se pur ve n’era, spettava indubbiamente a noi; ma era poco probabile che i compagni del Capitano, soprattutto Cane Nero e il cieco mendicante, fossero disposti a rinunciare al loro bottino per saldare i debiti del morto. Ora se io fossi montato a cavallo correndo, come il Capitano voleva, dal dottor Livesey, avrei lasciato mia madre sola e indifesa; non era dunque il caso di farlo. D’altra parte noi non ci sentivamo di restare più a lungo nella nostra casa. Ogni piccolo rumore ci faceva trasalire, ci sembrava di sentire passi che si avvicinavano. Ed io fra il cadavere del Capitano che giaceva sul pavimento della sala e il pensiero di quell’abominevole cieco nei dintorni, pronto a riapparire, vivevo momenti di terrore. Tuttavia qualche cosa bisognava decidere e ci venne in mente di uscire insieme e di cercare aiuto nel vicino villaggio. A testa scoperta, così come eravamo, ci slanciammo fuori nella crescente oscurità della sera e nella gelida nebbia. Il villaggio era a poche centinaia di passi da noi, nascosto alla vista sull’altro versante della baia, in direzione opposta – e ciò mi confortava assai – a quella dove il cieco era apparso e dove presumibilmente si era allontanato. Il tragitto non richiese più di qualche minuto, sebbene varie volte ci fermassimo tendendo l’orecchio, ma non si udiva nessun rumore insolito. Quando entrammo nel villaggio era l’ora in cui si accendevano le candele nelle case ed io mai dimenticherò il grande sollievo che provai nel vedere a porte e finestre quei bagliori. Ma fu questo l’unico aiuto che laggiù ci aspettava,

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Parte Prima - Il Vecchio Filibustiere

perché nessuno degli abitanti acconsentì a ritornare con noi all’Ammiraglio Benbow. Più raccontavamo dei nostri guai e più loro, donne, uomini e ragazzi, si aggrappavano alle porte delle loro case per proteggersi. Il nome del capitano Flint, a me sconosciuto, era abbastanza popolare in mezzo a loro e destava terrore. Uomini che avevano lavorato la terra di là dall’Ammiraglio Benbow, raccontavano di aver incontrato lungo la strada stranieri dall’aspetto di contrabbandieri e di essersi allontanati; uno almeno aveva visto un piccolo battello all’ancora in quella che noi chiamavamo la Tana di Kitt; perciò bastava che uno fosse in relazione col Capitano per spaventarli a morte. In conclusione, se trovammo alcuni disposti a correre a cavallo dal dottor Livesey, il quale abitava in tutt’altra direzione, nessuno volle aiutarci a difendere la locanda. Se la viltà è – come dicono – contagiosa, la discussione rende più arditi: così, dopo che ognuno ebbe detta la sua, parlò mia madre e affermò che non intendeva rinunciare al denaro che apparteneva al suo povero orfano. – Se nessuno di voi osa – esclamò – Jim ed io oseremo. Rifaremo la strada dell’andata e tante grazie a voi, conigli che non siete altro. Dovesse costarci la vita, noi apriremo quella cassa. Volete prestarmi, signora Crossley, quella borsa? Mi servirà per riportare indietro il denaro che ci spetta. Naturalmente io dichiarai che avrei accompagnato mia madre e tutti quanti ad alte grida condannarono la nostra temerarietà1, ma neanche allora ci fu qualcuno disposto a venire con noi. Tutto il loro aiuto si limitò a prestarci una pistola carica in caso di aggressione e a prometterci di farci trovare cavalli sellati nell’eventualità che al ritorno fossimo Temerarietà: audacia.

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4. La cassa da marinaio

inseguiti; un ragazzo sarebbe corso al galoppo dal dottore in cerca di soccorso armato. Il mio cuore batteva forte quando noi due nella notte gelata uscimmo incontro alla pericolosa avventura. Svelti e silenziosi scivolammo lungo le siepi finché, con grande sollievo, la porta dell’Ammiraglio Benbow si richiuse alle nostre spalle. Tirai subito il chiavistello e per un attimo restammo soli e ansimanti nel buio, vicino al cadavere del Capitano. Poi mia madre prese una candela nel bancone e, tenendoci per mano, c’inoltrammo nella sala. Egli era lì come l’avevamo lasciato, con la schiena sul pavimento, gli occhi sbarrati e un braccio proteso. – Tira giù le persiane, Jim – bisbigliò mia madre. – Potrebbero arrivare e spiarci dal di fuori. Ed ora – aggiunse appena io ubbidii – dobbiamo trovargli la chiave che ha addosso e io non so chi di noi due lo vorrà toccare! – e così dicendo ebbe una specie di singhiozzo. Io mi buttai in ginocchio. Sul pavimento, vicino alla sua mano, c’era un piccolo disco di carta annerita da un lato. Nessun dubbio che fosse “il marchio nero”; lo raccolsi e trovai scritto sull’altro lato con scrittura ferma e chiara questo breve messaggio: “Tempo fino alle dieci di stasera.” – Mamma – dissi io – aveva tempo fino alle dieci – e proprio mentre pronunciavo queste parole il nostro vecchio orologio cominciò a battere le ore. Quegli improvvisi colpi ci fecero sobbalzare, ma portavano una buona notizia: non erano che le sei. – Su, Jim – riprese lei – quella chiave. Frugai le sue tasche una dopo l’altra: alcuni spiccioli, un ditale, un po’ di refe2, due grossi aghi, un rotolo di tabacco 2

Refe: filato ritorto.

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Parte Prima - Il Vecchio Filibustiere

morsicato da una parte, il suo coltello dal manico ricurvo, una bussola tascabile e un acciarino3; nient’altro saltò fuori e io cominciavo a disperare. – Forse è al suo collo – suggerì mia madre. Superando una forte ripugnanza, lacerai la camicia attorno al collo e lì, attaccata a un pezzo di spago incatramato, che tagliai col suo stesso coltello, trovammo la chiave. Incoraggiati da questo successo, balzammo al piano di sopra nella piccola stanza dove per tante notti egli aveva dormito e dove la sua cassa era rimasta dal giorno del suo arrivo. Era all’apparenza una delle solite casse da marinaio con sul coperchio impressa a fuoco l’iniziale “B” e gli spigoli ammaccati dal lungo e grossolano uso. – Dammi la chiave – disse mia madre e, nonostante la serratura fosse dura, l’aprì in un batter d’occhio ed alzò il coperchio. Un forte odore di tabacco e di catrame si sprigionò dall’interno, ma nulla si vide in superficie all’infuori di un abito di ottima qualità, ben spazzolato e piegato, che secondo mia madre non era mai stato indossato. Al di sotto regnava la confusione: un quadrante4, un vaso di latta, alcuni rotoli di tabacco, due paia di pistole, un lingotto d’argento, un vecchio orologio spagnolo e parecchie altre cianfrusaglie di scarso valore, quasi tutte di provenienza straniera; un paio di bussole montate in ottone e cinque o sei strane conchiglie delle Indie Occidentali. Nulla fin qui di qualche valore eccetto l’argento e quei gingilli, e nulla che potesse rispondere alle nostre aspettative. Sotto c’era un vecchio impermeabile da marinaio sbiancato dalla salsedine in chissà quante taverne di porti di mare e un sacchetto di tela che, mosso, tintinnò d’oro. 3 4

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Acciarino: dispositivo per accendere qualcosa. Quadrante: strumento di osservazione astronomica.


4. La cassa da marinaio

– Mostrerò a quelle canaglie che sono una donna onesta – disse mia madre. – Prenderò ciò che mi spetta e non un centesimo di più. Tienimi la borsa della signora Crossley – e incominciò a far passare dal sacchetto del marinaio alla borsa che io le tendevo l’importo del debito del capitano: lunga e complicata faccenda perché le monete erano di molti paesi e valute: dobloni5 e luigi6 d’oro, ghinee e pezzi da otto7 e non so quali altre, tutte quante mescolate alla rinfusa. E purtroppo le ghinee, le sole con le quali mia madre poteva fare il conto, erano le meno numerose. Mentre eravamo a circa metà dell’operazione, posai una mano sul braccio di mia madre poiché un rumore mi aveva fatto saltare il cuore in gola: il picchiettìo del bastone del cieco sulla strada indurita dal gelo, che si avvicinava mentre noi, immobili, trattenevamo il respiro. Poi un colpo secco fu sferrato contro la porta, si sentì girare la maniglia e stridere il catenaccio8, mentre il miserabile tentava di forzarlo, dopo di che seguì un lungo silenzio sia dentro che fuori. Alla fine il picchiettìo ricominciò e con indescrivibile nostra gioia, adagio adagio, si attenuò e poi si spense in lontananza. – Mamma, prendiamo tutto quanto e andiamo via – dissi io sicuro com’ero del fatto che la porta chiusa a chiave potesse creare dei sospetti e tirarci addosso l’intero nido di vespe. Ma, per quanto spaventata, mia madre non era intenzionata ad accontentarsi di un centesimo di meno di quello che le spettava. – Manca ancora parecchio alle sette – diceva lei; sapeva Dobloni: monete d’oro spagnole, del valore di due scudi, coniate a partire dal 1500. Luigi: monete d’oro francesi fatte coniare da Luigi XIII nel 1640. 7 Pezzi da otto: monete spagnole d’argento del valore pari a 8 reali, comunemente diffuse nel 1600 nelle colonie spagnole. Vennero anche chiamate dollari spagnoli o, gergalmente, peso. 8 Catenaccio: sbarra di ferro che scorre negli anelli infissi nei battenti della porta. 5

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Parte Prima - Il Vecchio Filibustiere

quanto le era dovuto e intendeva averlo. Stava discutendo con me quando un leggero fischio risuonò dalla collina. Fu sufficiente per entrambi. – Porto via ciò che ho preso – fece lei balzando in piedi. – Ed io questo per far quadrare il conto – aggiunsi afferrando il plico di tela cerata. Senza perdere tempo, lasciando la candela accanto alla cassa vuota, scendemmo a tentoni la scala, aprimmo la porta e ci demmo alla fuga. La nebbia andava velocemente dileguandosi, ma ancora un tenue velo di bruma9 copriva i primi passi della nostra fuga. Assai prima che arrivassimo a metà strada dal villaggio, entrammo nel chiarore della luna. Già sentivamo il rumore di passi che si avvicinavano di corsa e, volgendoci indietro a guardare in quella direzione, vedemmo una luce oscillante di qua e di là che rapidamente si avvicinava, segno evidente che uno di quelli che venivano portava una lanterna. – Figlio mio – disse mia madre – prendi il denaro e corri. Io mi sento venir meno. Vidi la fine certa per tutti e due. Con tutto il cuore maledissi la viltà dei nostri vicini e biasimai10 l’onestà e l’avidità di mia madre, la sua audacia di prima e la sua debolezza di ora! Per fortuna avevamo raggiunto il ponticello; la sostenni barcollante fino alla riva dell’argine dove ella sospirò e mi si accasciò sulle spalle. Io non so dove trovassi la forza di trascinarla fino all’argine un po’ sotto l’arco, ma non oltre poiché esso era troppo basso e io non potevo fare altro se non strisciarvi sotto. Così rimanemmo, con mia madre quasi interamente esposta alla vista ed entrambi a portata di voce dalla locanda. 9

Bruma: foschia, nebbia. Biasimai: criticai.

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5. La fine del cieco La curiosità era in me più forte della paura per cui non riuscii a restare lì e strisciai verso l’argine da dove, nascosto dietro un cespuglio di ginestre1, potevo spiare la strada davanti alla nostra porta. Raggiunto quel posto, vidi i nostri nemici – erano sette o otto – arrivare correndo in modo disordinato e preceduti dall’uomo con la lanterna. Tre di loro procedevano insieme, dandosi la mano e, nonostante la nebbia, riconobbi quello in mezzo: il cieco. La sua voce mi confermò che non mi ero sbagliato. – Giù la porta – urlò. – Sì! Sì! – risposero in coro due o tre e si scagliarono contro l’Ammiraglio Benbow seguiti dal portatore della lanterna. Poi li vidi fermarsi e li udii parlottare a bassa voce come fossero sorpresi di trovare la porta aperta. La pausa però durò poco poiché il cieco riprese a dare ordini. La sua voce risuonava più forte e più aspra come se egli bruciasse d’impazienza e di rabbia. – Dentro! Dentro! Dentro! – urlava maledicendoli perché indugiavano. Quattro o cinque subito ubbidirono, due rimasero sulla strada col terribile mendicante. Un silenzio, un grido di sorpresa e infine una voce urlò dall’interno: – Bill è morto! Il cieco bestemmiava contro la loro lentezza. – Uno di voi lo frughi – gridò – poltroni scansafatiche e gli altri su a cercare la cassa. Sentii il rumore dei loro passi su per le scale della locanda e poi un’esclamazione di sorpresa. La finestra della 1

Ginestre: arbusti delle leguminose con fiori gialli odorosi a grappoli.

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Parte Prima - Il Vecchio Filibustiere

stanza del capitano fu spalancata con un colpo violento e tintinnare di vetri infranti. Un uomo si affacciò e si rivolse al mendicante cieco che stava sotto, in strada, gridando: – Pew, ci hanno preceduti. Qualcuno ha rovistato nella cassa! – C’è? – ruggì Pew. – Il denaro c’è. Il cieco maledisse il denaro. – La carta di Flint, voglio dire. – Non la troviamo in nessun posto – replicò l’uomo. – Ehi voi di sotto, non c’è addosso a Bill? – gridò il cieco. A questo punto un altro della brigata, quello probabilmente che era rimasto a frugare il corpo del capitano, si affacciò sulla soglia della locanda. – Bill è già stato frugato – disse. – Non c’è nulla. – È la gente dell’albergo, è quel ragazzo. Ah, gli avessi cavati gli occhi! – imprecò il cieco. – Erano lì poco fa: avevano chiuso a chiave la porta quando io tentavo d’entrare. Su, ragazzi, cercate qui intorno e trovateli! – Non c’è dubbio, hanno lasciato la loro candela qui – disse il compagno dalla finestra. – Cercate intorno e trovateli. Buttate all’aria la casa! – ripeté Pew picchiando in terra col bastone. Nella nostra vecchia locanda successe un quarantotto2: passi pesanti che pestavano su e giù, mobili rovesciati, porte sfondate a calci finché gli uomini di nuovo scesero dichiarando che in nessun luogo ci si poteva scovare. Proprio in quel momento lo stesso fischio che già aveva allarmato mia madre e me mentre stavamo contando il denaro del capitano, risuonò nitido, di nuovo, nella notte, ma ora ripetuto Quarantotto: subbuglio, baccano.

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5. La fine del cieco

due volte. Io avevo prima pensato che fosse un segnale del cieco per lanciare la sua banda all’assalto; ora invece capii che era un suono proveniente dall’alto della collina che avvertiva i filibustieri di un pericolo imminente. – Di nuovo Dirk – disse uno. – Due volte! Conviene sloggiare3, amici. – Tagliate pure la corda, vigliacchi! – gridò Pew. – Dirk non è mai stato altro che uno stupido codardo: non badategli! Devono essere da queste parti; non possono essere lontani. Muovetevi, cercateli, figli di cani! Maledizione! Avessi la mia vista! Questa sfuriata parve produrre un certo effetto. Due di essi cominciarono a cercare qua e là tra le cianfrusaglie, a malincuore, però, credo io, e preoccupati del rischio che correvano, mentre gli altri rimasero sulla strada indecisi. – Avete sotto mano un mucchio d’oro, idioti che siete, ed eccovi lì impalati! Sareste ricchi come tanti se lo trovaste; voi sapete che c’è e ve ne state con le mani in mano. Nessuno di voi ha osato affrontare Bill; solo io gli ho tenuto testa: un cieco! E perderò la mia fortuna per causa vostra. Sarò costretto a continuare a mendicare un sorso di rum, mentre potrei viaggiare in carrozza! Se aveste un briciolo di coraggio, li avreste acciuffati. – Al diavolo, Pew! – borbottò uno. – Abbiamo i dobloni e ci bastano. – Probabilmente l’hanno nascosta quella cosa – disse un altro. – Prendi le sterline, Pew, e smettila di sbraitare. Sbraitare era il termine giusto visto che Pew era talmente imbestialito che, sopraffatto dalla collera, si mise a colpire a caso con il suo bastone a destra e a sinistra, raggiungendo 3

Sloggiare: andarsene.

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Parte Prima - Il Vecchio Filibustiere

più di uno dei presenti. Essi a loro volta lanciarono maledizioni contro lo sciagurato cieco tentando invano di strappargli il bastone di mano. Questa rissa fu la nostra salvezza poiché, mentre essa era ancora in corso, un altro rumore giunse ai nostri orecchi dalla cima della collina: uno scalpitare di cavalli spinti al galoppo. Nello stesso istante il lampo e la detonazione d’un colpo di pistola partirono dal lato della siepe. Era chiaramente l’estremo segnale del pericolo: difatti i filibustieri se la squagliarono correndo chi verso il mare chi su per la collina e così via, così che in mezzo minuto scomparvero tutti, eccezion fatta per Pew. Io non so perché l’avessero piantato: se per effetto della paura o per vendicarsi delle parole offensive e delle percosse; fatto sta che egli restò solo e andava su e giù colpendo col bastone il terreno e chiamando a gran voce i compagni. Infine, sbagliando direzione, prese a correre verso il villaggio e mi oltrepassò gridando: – Johnny, Cane nero, Dirk – e altri nomi – non abbandonate il vostro vecchio Pew, compagni! In quel momento il rumore della cavalcata raggiunse l’altura e quattro o cinque cavalieri apparvero al chiarore della luna e si lanciarono al galoppo giù per il pendio. Pew si accorse allora del proprio errore; si voltò gridando e corse diritto in direzione del fosso dove ruzzolò. In un batter d’occhio si rialzò e, inferocito com’era, prese un altro slancio che lo portò sotto il primo dei cavalli che arrivavano. Il cavaliere provò a evitarlo senza riuscirvi. Pew cadde con un urlo che risuonò nella notte e quattro zoccoli lo calpestarono oltrepassandolo. Egli cadde su un fianco, poi si abbatté bocconi e non si mosse più. Io scattai in piedi e diedi una voce ai cavalieri. Essi s’arrestarono inorriditi e subito li riconobbi. Uno di loro che stava in coda era il ragazzo mandato dal villaggio in cerca del dottor Livesey; gli altri erano ufficiali della dogana 38


5. La fine del cieco

che egli aveva incontrato per strada e che aveva avuto l’accortezza di portare con sé. Qualche voce circa il bastimento della Tana di Kitt era giunta all’orecchio dell’ispettore Dance, spingendolo quella stessa notte dalle nostre parti e fu questa circostanza a salvare mia madre e me dalla morte. Pew era morto stecchito. Quanto a mia madre, appena trasportata al villaggio, un po’ d’acqua fredda e dei sali bastarono a farla tornare in sé; si era ripresa subito dallo spavento, ma rimpiangeva il resto del denaro che non era riuscita a prendere. Nel frattempo l’ispettore galoppava di gran carriera verso la Tana di Kitt mentre i suoi uomini smontavano da cavallo e si calavano a tentoni giù per la riva, conducendo e talvolta sostenendo i loro cavalli, spinti dal timore d’una imboscata, cosicché impiegarono del tempo ad arrivare alla Tana di Kitt e trovarono che il bastimento aveva già levato l’ancora pur non essendosi allontanato molto da terra. L’ispettore chiamò. Una voce rispose da bordo avvertendolo di ripararsi dal chiaro di luna se non voleva buscarsi un po’ di piombo e in quel medesimo istante il fischio d’una pallottola gli sfiorò il braccio. Poco dopo il bastimento doppiò la punta del promontorio e sparì. Il signor Dance rimase lì come un pesce fuor d’acqua e non poté fare altro che spedire un uomo a B... per informare il guardiacoste4: – Il che – disse lui – non servirà proprio a nulla. L’hanno fatta franca ed è un affare finito. Almeno sono contento d’aver pestato i calli a Mastro Pew – aggiunse dopo aver udito il mio racconto. Io ritornai con lui all’Ammiraglio Benbow. Non si può immaginare in quale stato di confusione trovai la nostra povera locanda. Persino l’orologio era stato buttato a terra e fracassato da quei filibustieri nella loro disperata caccia di Guardiacoste: colui che sorveglia la costa.

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Parte Prima - Il Vecchio Filibustiere

me e di mia madre; sebbene nulla fosse stato portato via ad eccezione della borsa del capitano e di un di po’ di moneta dal cassetto del bancone, mi bastò un colpo d’occhio per convincermi ch’eravamo rovinati. Il signor Dance poi non riusciva a spiegarsi quello spettacolo. – Hanno preso il denaro, mi dici. Ma allora, Hawkins, che diavolo cercavano ancora? Dell’altro denaro forse? – No, signore, non credo – risposi. – In realtà credo di aver io in tasca ciò che essi cercavano e per dirvi la verità desidererei metterlo al sicuro. – Giusto, ragazzo mio – disse lui. – Puoi consegnarlo a me, se vuoi. – Io pensavo che forse il dottor Livesey... – cominciai a dire. – Benissimo – interruppe lui con fervore – benissimo: un gentiluomo e un magistrato. E adesso che ci penso, mi converrebbe correre fin là per fare il mio rapporto a lui o al cavaliere. Mastro Pew è morto dopo tutto: non che mi dispiaccia, ma è morto, capisci, e la gente potrebbe dare la colpa ad un ufficiale della dogana5 di Sua Maestà. Ebbene, se vuoi ti porto con me. Lo ringraziai cordialmente e ce ne ritornammo a piedi al villaggio dove i cavalli ci aspettavano. Informai mia madre della mia intenzione ed ecco che tutti salirono in sella. – Dogger – disse il signor Dance – tu che hai un buon cavallo, prenditi in groppa questo ragazzo. Non appena io fui montato tenendomi al cinturone di Dogger, l’ispettore diede il segnale e la compagnia si lanciò a gran trotto sulla strada che conduceva alla casa del dottor Livesey. Dogana: ufficio fiscale che ha il compito di riscuotere le tasse cui sono sottoposte le merci che entrano o escono da uno stato.

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6. Le carte del capitano Cavalcammo velocemente per l’intero tragitto finché ci arrestammo davanti alla porta del dottor Livesey. La facciata della casa era completamente buia. Il signor Dance mi ordinò di saltare a terra e bussare e Dogger mi porse la staffa1 per discendere. Subito la porta si aprì e la cameriera alla mia domanda se il dottore fosse in casa rispose che era rientrato nel pomeriggio, ma poi era di nuovo uscito per salire al castello, pranzarci e passare la serata col cavaliere. – Allora andiamo là, ragazzi – disse il signor Dance. Dal momento che il tragitto era breve, non salii a cavallo, ma corsi dietro a Dogger tenendomi alla correggia2 della sua staffa fino al cancello e poi su per il lungo viale in fondo al quale si ergeva la bianca mole del castello. Là il signor Dance smontò, mi prese con sé e fummo introdotti in casa da un servo che ci accompagnò attraverso un corridoio fino ad una spaziosa biblioteca, con scaffali sormontati da busti, dove trovammo il cavaliere e il dottor Livesey che, con la pipa in mano, stavano seduti ai lati di un allegro fuoco. Io non avevo mai visto il cavaliere così da vicino. Era un uomo alto più di sei piedi, robusto, dalla faccia aperta e fiera che i lunghi viaggi di mare avevano arrossata e solcata di rughe; le sue sopracciglia nerissime si muovevano di continuo e ciò gli dava un’aria non cattiva, ma piuttosto risentita e altera. – Venga signor Dance – egli disse con un fare affabile e dignitoso. – Buonasera Dance – disse il dottore con un cenno del capo. – E buonasera a te amico Jim. Qual buon vento vi porta qui? Staffa: arnese di ferro pendente dalla sella nel quale si mette il piede per salire o scendere da cavallo. 2 Correggia: striscia di cuoio. 1

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Parte Prima - Il Vecchio Filibustiere

Diritto in piedi e rigido, l’ispettore cominciò a raccontare l’accaduto speditamente ed era curioso vedere come gli ascoltatori pendessero dalle sue labbra e di quando in quando si scambiassero occhiate dimenticando di fumare per la meraviglia. Quando sentirono che mia madre era ritornata alla locanda, il dottor Livesey si diede una pacca sulla coscia e il cavaliere gridò “Brava” con un gesto che gli fece spezzare contro il camino la sua pipa. Molto prima che il racconto fosse terminato, il signor Trelawney (era questo il nome del cavaliere), era scattato in piedi e andava misurando a lunghi passi la sala, mentre il dottore si era tolta, forse per ascoltare meglio, la parrucca incipriata mettendo in mostra la testa dai capelli neri rasati. – Signor Dance – disse il cavaliere appena l’ispettore ebbe finito – lei è una degnissima persona. Quanto all’aver schiacciato quello scellerato, io lo considero un atto meritorio, come schiacciare uno scarafaggio. Questo ragazzo poi è un coraggioso, a quanto so. Hawkins, vuoi suonare quel campanello? Il signor Dance gradirà un bicchiere di birra. – Dunque Jim – disse il dottore – tu hai ciò che loro cercavano, no? – Eccolo qui – risposi io porgendo il pacchetto di tela cerata. Il dottore l’esaminò girandolo e rigirandolo nelle sue mani come se le dita gli pizzicassero dalla voglia di aprirlo, ma poi lo mise tranquillamente in tasca. – Cavaliere – disse – quando Dance avrà bevuta la birra gli toccherà naturalmente tornare al servizio di Sua Maestà; io penso di trattenere qui Jim Hawkins: egli dormirà a casa mia e nel frattempo, col vostro permesso, non si potrebbe fargli avere un po’ di pasticcio freddo e dargli la cena? – Come volete, Livesey – disse il cavaliere. – Hawkins si è guadagnato assai più di un pasticcio freddo. – E così mi fu 42


6. Le carte del capitano

servito un eccellente pasticcio di piccione ed io cenai di gusto perché avevo una fame da lupo; intanto il signor Dance, dopo aver ricevuto molti complimenti, era stato congedato. – E ora cavaliere... – disse il dottore. – E ora Livesey... – disse contemporaneamente il cavaliere. – Uno alla volta! Uno alla volta! – rise il dottore. – Credo che avrete sentito parlare di questo Flint, suppongo. – Di Flint! – esclamò il cavaliere. – Se ho inteso parlare di Flint, mi dite! Era il più sanguinario dei pirati che avesse mai solcato i mari. Barbablù3 al paragone era un novellino4. Gli spagnoli ne avevano una tale paura che, vi assicuro, signore, io qualche volta ero fiero che fosse inglese. Coi miei occhi ho veduto le sue vele al largo di Trinidad5 e quel vigliacco di figlio di ubriaconi col quale navigavo se la svignò e si rifugiò nel Porto di Spagna. – Io pure ho sentito parlare di lui in Inghilterra – riprese il dottore. – Ma l’importante è sapere: aveva o no del denaro? – Del denaro? – esclamò il cavaliere. – Non avete dunque sentito il racconto? E che cosa cercavano quei furfanti se non denaro? Per cosa rischierebbero la loro maledetta pellaccia se non per il denaro? – Questo lo sapremo presto – replicò il dottore. – Ma voi vi infervorate così tanto che io non riesco ad aprire bocca. Ciò che vorrei sapere è questo: supponendo che io abbia qui nella mia tasca l’indizio che conduce dove Flint ha sepolto il suo tesoro, credete che esso sia consistente? – Consistente? Così consistente che, se noi possediamo Barbablù: protagonista di una fiaba di Charles Perrault, uomo ricco e crudele che uccide le sue mogli e poi finge che siano scomparse. 4 Novellino: inesperto. 5 Trinidad: isola delle Antille scoperta da Colombo nel suo terzo viaggio e da lui così chiamata in omaggio alla Santissima Trinità. 3

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Parte Prima - Il Vecchio Filibustiere

l’indizio di cui mi parlate, io armo un bastimento nel porto di Bristol6, prendo con me Hawkins e voi e trovo il tesoro, dovessi impiegare un anno a cercarlo! – Benissimo! E allora, se a Jim non dispiace, apriremo il pacchetto – disse il dottore. E lo posò sul tavolo. Il pacchetto era cucito e il dottore per aprirlo fu costretto a prendere nella sua borsa le forbici chirurgiche. Esso conteneva un taccuino ed una carta sigillata. – Prima di tutto vediamo il taccuino – disse il dottore. Mentre l’apriva, io e il cavaliere ci sporgevamo al di sopra delle sue spalle per guardare. Sulla prima pagina apparivano soltanto degli scarabocchi come quelli che si possono tracciare per ozio o per esercizio. Uno di essi riportava il testo del tatuaggio “Billy Bones se ne infischia”. Poi c’era: “Mr. W. Bones, secondo”, “Non più rum”, “Se l’è presa al largo di Palm Key7” e altri vocaboli isolati, per lo più incomprensibili. Io non potei fare a meno di domandarmi chi “se l’era presa” e “che cosa”. Una coltellata nella schiena, forse. – Poco si ricava da qui – disse il dottor Livesey continuando a sfogliare. Le ulteriori dieci o dodici pagine erano riempite da una serie di curiose annotazioni. C’era una data a capo della riga e all’altro capo una somma di denaro come nei normali libri di conti; in mezzo, invece, un certo numero di crocette. Alla data del 12 giugno 1745, per esempio, corrispondeva una somma di settanta sterline dovuta a qualcuno e al posto della causale si vedevano sei crocette. In alcuni punti era stato aggiunto il nome della località, ad esempio “Al largo di Bristol: città dell’Inghilterra che conobbe nel XVII secolo, grazie alle colonie britanniche nell’America del Nord, una grande crescita urbanistica e una rapida espansione dei commerci, tra cui quello degli schiavi. 7 Palm Key: isola sulla costa occidentale della Florida. 6

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6. Le carte del capitano

Caracas8” oppure una semplice indicazione di latitudine e longitudine come 62° 17’ 20”, 19° 2’ 40”. Le registrazioni abbracciavano un periodo di circa vent’anni e i totali crescevano di pagina in pagina; alla fine, dopo cinque o sei tentativi di addizione sbagliati, vi era il totale generale, con l’aggiunta delle parole: “Bones: la sua parte”. – Non ci capisco niente – disse il dottor Livesey. – È chiaro come la luce del sole – ribatté il cavaliere. – Questo è il libro di conti di quel furfante. Le crocette rappresentano le navi affondate o le città saccheggiate. Le somme indicano la parte toccata al miserabile e, dove egli temeva un equivoco, aggiungeva qualcosa di più preciso, come “Al largo di Caracas”. Qui forse si tratta di qualche sfortunato bastimento assalito al largo di quella costa. Dio assista l’anima dei poveretti che erano a bordo, sepolti in mare. – Giusto! – osservò il dottore. – Ecco che cosa significa aver navigato. Si vede che le somme aumentano mano a mano che egli sale di grado. Non c’era nient’altro nel taccuino, salvo le posizioni di alcune località registrate negli ultimi fogli. – Uomo previdente! – esclamò il dottore. – E tale da non lasciarsi facilmente imbrogliare. – E ora – riprese il cavaliere – passiamo all’altro. La carta era stata sigillata in diversi punti usando come sigillo un ditale, lo stesso forse che io avevo trovato nella tasca del capitano. Il dottore tolse con molta precauzione i sigilli e ne uscì 8

Caracas: oggi capitale del Venezuela, città fondata nel 1567 ed inizialmente denominata Santiago de León de Caracas, termine quest’ultimo derivante dal nome della popolazione indigena che abitava la zona.

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Parte Prima - Il Vecchio Filibustiere

la pianta di un’isola con i dati della latitudine e longitudine, i fondali, i nomi di monti, baie e stretti ed ogni altra indicazione necessaria per condurre una nave ad un sicuro ancoraggio sulla costa. L’isola misurava circa nove miglia in lunghezza e cinque in larghezza; era simile, nella forma, a un grosso drago rampante, aveva due porti ben riparati e al centro una collina denominata “Il Cannocchiale”. Vi erano alcune aggiunte di date posteriori; erano soprattutto visibili tre croci tracciate con inchiostro rosso: due nella parte nord dell’isola, una a sud-ovest; inoltre, accanto a quest’ultima, con lo stesso inchiostro rosso, con scrittura minuta e chiara, ben diversa da quella tremante del Capitano, erano scritte le parole: “Qui il grosso del tesoro”. Sul rovescio del foglio la stessa mano aveva segnato le seguenti e ulteriori indicazioni: “Grande albero, contrafforte del Cannocchiale, direzione Nord-Nord-Est, quarta a Nord. Isola dello Scheletro Est-Sud-Est, quarta ad Est. Dieci piedi. Il lingotto d’argento è nel nascondiglio nord; lo si può trovare in direzione della collinetta ad est, dieci braccia a sud della sovrastante rupe nera. Le armi possono essere facilmente trovate nella collina di sabbia all’estremità Nord del capo della baia nord, direzione Est e una quarta a Nord”. J.F. Questo era tutto, ma pur nella sua brevità e per quanto a me incomprensibile, il documento colmò di gioia il cavaliere e il dottore. – Livesey – esclamò il cavaliere – voi lascerete immediatamente la vostra misera clientela. Io domani partirò per 46


6. Le carte del capitano

Bristol. Tempo tre settimane… due settimane… dieci giorni… forse avrò a mia disposizione la migliore nave e il più esperto equipaggio d’Inghilterra! Hawkins ci accompagnerà come mozzo9. Voi, Livesey, sarete il medico di bordo; io l’ammiraglio. Prenderemo con noi Redruth, Joyce e Hunter. Avremo venti favorevoli, una rapida traversata e troveremo il luogo senza la minima difficoltà, denaro a palate da rotolarcisi dentro e sperperare fino alla fine dei nostri giorni. – Trewlaney – disse il dottore – io verrò con voi e vi garantisco che Jim farà altrettanto e si farà onore. C’e solo una persona che mi preoccupa … – E chi è costui? – esclamò il cavaliere. – Ditemi il nome di questo poco di buono. – Voi – rispose il dottore – perché non siete capace di stare zitto. Non siamo i soli a conoscere questa carta. Quei signori che stanotte hanno assalito la locanda, come pure quelli della combriccola rimasti a bordo del bastimento ed altri ancora, io credo, non molto lontani di qui, sono determinati a tutto pur di entrare in possesso di quel denaro. Nessuno di noi deve restare solo finché non saremo imbarcati. Jim ed io non ci allontaneremo l’uno dall’altro; voi, andando a Bristol, vi farete accompagnare da Joyce e da Hunter e nessuno di noi dovrà lasciarsi sfuggire una parola a proposito della nostra scoperta. – Livesey – replicò il cavaliere – voi avete sempre ragione. Io sarò muto come una tomba.

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Mozzo: ragazzo dai 7 ai 15 anni arruolato un tempo a bordo delle navi.

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7. Vado a Bristol Per predisporre il nostro viaggio ci volle più tempo di quanto il cavaliere non immaginasse e nessuno dei progetti iniziali, neppure quello del dottor Livesey di tenermi presso di sé, poté essere attuato. Il dottore aveva dovuto recarsi a Londra in cerca di un medico che prendesse il suo posto; il cavaliere era occupato a Bristol ed io ero rimasto al castello sotto la sorveglianza del vecchio guardacaccia Redruthil. Ero quasi prigioniero, ma pieno di sogni di mare, di strane isole ed avventure. Per ore e ore ripensavo a quella carta di cui ricordavo con precisione i particolari. Seduto accanto al fuoco nella stanza del guardacaccia fantasticavo su quell’isola, ne esploravo ogni angolo, mi arrampicavo mille volte sul monte denominato il Cannocchiale e dalla cima mi godevo i più vari e stupendi panorami. Talvolta l’isola si popolava di selvaggi coi quali combattevamo; altre volte di belve che ci inseguivano, ma in nessuna di queste fantasie vidi mai cose tanto straordinarie e tragiche come quelle che sarebbero accadute nella realtà. Passarono alcune settimane finché un bel giorno arrivò una lettera indirizzata al dottor Livesey con questa avvertenza: “Da aprirsi, in caso di sua assenza, da Tom Redruth o dal giovane Hawkins”. Apertala, trovammo, o meglio trovai poiché il guardacaccia sapeva leggere solo lo stampato, le importanti notizie che seguono: Locanda della Vecchia Ancora, Bristol 1 marzo 17...

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7. Vado a Bristol

“Caro Livesey, non sapendo se siete al castello o ancora a Londra, invio la presente in duplice copia ad entrambi gli indirizzi. Il bastimento è stato acquistato ed equipaggiato ed ora è pronto a salpare. Non potreste immaginare una goletta1 più agevole: un bambino sarebbe capace di guidarla. La sua portata è di duecento tonnellate, il suo nome è Hispaniola. L’ho ottenuta grazie al mio vecchio amico Blandly che si è prodigato2 nel mio interesse e altrettanto ha fatto ogni altra persona a Bristol non appena saputo qual è la nostra meta: il tesoro”. – Redruth – dissi interrompendo la lettura – questo non piacerà al dottor Livesey. Il cavaliere ha finito per parlare. – E chi più di lui ne aveva il diritto? – brontolò il guardacaccia. – Il cavaliere non deve aspettare il permesso del dottor Livesey per parlare. Udite queste parole, rinunciai a qualsiasi commento e continuai a leggere senza interruzione: “Fu lo stesso Blandly a trovare l’Hispaniola e con incredibile astuzia è riuscito ad ottenerla per una miseria. Qui a Bristol vi sono persone prevenute verso Blandly. A sentir loro egli sarebbe capace di tutto pur di far denaro; dicono che l’Hispaniola gli apparteneva e che me l’avrebbe venduta a un prezzo esorbitante: sono evidentissime calunnie. Nessuno peraltro osa negare le qualità del bastimento. Fin qui nessun intoppo. C’è da dire, però, che gli operai sono stati d’una lentezza esasperante, ma col tempo tutto si è sistemato. Era l’equipaggio che mi dava pensiero. Goletta: imbarcazione a vela a due alberi, con l’albero maestro di uguale altezza o più basso del trinchetto. 2 Prodigato: impegnato a fondo. 1

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Parte Seconda - Il Cuoco Di Bordo

Volevo una ventina di uomini nell’eventualità d’incontrare indigeni o pirati o quei dannati francesi, e m’era costato una fatica del diavolo trovarne non più d’una mezza dozzina, quando uno straordinario colpo di fortuna mi ha fatto incontrare la persona che faceva per me. Ero sul molo e per puro caso attaccai discorso con lui. Seppi che era un vecchio marinaio, che aveva un’osteria e conosceva tutta quanta la gente di mare di Bristol, che a terra si era rovinato la salute e che cercava un buon posto di cuoco di bordo per ritornare sul mare. Quel mattino se n’era venuto zoppicando fin lì – diceva – per prendere una boccata d’aria salmastra. Rimasi profondamente commosso – anche voi lo sareste stato – e per compassione lo ingaggiai3 lì per lì come cuoco di bordo. Si chiama Long John Silver e gli manca una gamba; questo particolare conta per me come una referenza4 perché ha perduto la gamba servendo la Patria sotto gli ordini dell’immortale Hawke5. E, ciò nonostante, non gli passano un centesimo di pensione. In che razza di tempi viviamo, Livesey! Ebbene, io credevo di aver trovato solo un cuoco ed invece, grazie a lui, sono riuscito in pochi giorni a mettere insieme un equipaggio dei più spregiudicati vecchi lupi di mare che si potesse immaginare; non sono belli da vedere, ma sembrano di tempra6 indomabile. Vi assicuro che potremmo affrontare una fregata7. Long John si è sbarazzato di due dei sei o sette che io Ingaggiai: assunsi con un contratto. Referenza: una serie di informazioni sulle capacità e attitudini professionali di una persona, in questo caso Silver. 5 Immortale Hawke: Edward Hawke (1705-1781), ammiraglio britannico che condusse vittoriosamente varie battaglie navali, contro le flotte spagnola e francese, tra le quali quelle dell’Orecchio di Jenkins e di Portobelo. 6 Tempra: insieme delle doti fisiche, intellettuali e morali di una persona. 7 Fregata: nave a tre alberi a vele quadre, con due batterie sovrapposte di cannoni. 3 4

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7. Vado a Bristol

avevo già ingaggiati. Mi ha convinto che non erano adatti a un’impresa di tale portata. Io sto magnificamente di corpo e di spirito, ma non sarò soddistatto finché non saremo salpati. Al largo! Al diavolo il tesoro! È lo splendore di questo mare che mi ha fatto girar la testa! Dunque, Livesey, venite al più presto se avete stima di me. Mandate il giovane Hawkins a salutare sua madre accompagnato da Redruth, poi volate a Bristol. John Trelawney Post Scriptum. Non vi ho detto che Blandly, il quale – tra l’altro – ci manderà dietro una nave qualora entro agosto non fossimo di ritorno, mi ha trovato uno straordinario capitano, un uomo duro (il che mi dispiace), ma sotto ogni altro aspetto una perla. Long John Silver ha scovato un espertissimo nostromo8 di nome Arrow. Abbiamo pure un secondo che suona il fischietto, Livesey, così sembrerà di stare sopra una nave da guerra a bordo della nostra grande Hispaniola. Dimenticavo pure di dirvi che Silver è persona seria: so da fonte sicura che ha un conto in banca. Egli lascerà l’osteria nelle mani della moglie e, siccome lei è una donna di colore, due impenitenti scapoli come noi possono pensare che non è soltanto la salute ma anche la moglie a spingerlo a girare il mondo”. J.T. P.P.S. “Hawkins può rimanere ventiquattr’ore presso sua madre”. È facile immaginare l’agitazione in cui mi mise questa lettera. Ero quasi fuori di me dalla gioia e guardavo con di8

Nostromo: il più esperto dei sottufficiali di una nave.

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Parte Seconda - Il Cuoco Di Bordo

sprezzo il vecchio Tom Redruth che non sapeva fare altro che brontolare e lamentarsi. L’indomani mattina noi due a piedi ci recammo all’Ammiraglio Benbow dove trovai mia madre in buona salute e di ottimo umore. Il cavaliere aveva fatto riparare ogni cosa, ridipingere l’insegna e le stanze destinate al pubblico; aveva anche fatto aggiungere qualche mobile tra cui una bella sedia a braccioli, dietro il bancone, destinata a mia madre. Le aveva trovato anche un ragazzo apprendista che l’aiutasse durante la mia assenza. Guardando quel ragazzo per la prima volta mi resi conto della mia situazione. Fino a quel momento avevo soltanto pensato alle avventure che mi attendevano e non alla casa che stavo per lasciare. Ora, vedendo quell’estraneo che avrebbe preso il mio posto accanto a mia madre, ebbi la mia prima crisi di pianto. Temo di aver reso a quel ragazzo la vita impossibile perché, dato che non era pratico dei lavori, lo rimproverai e umiliai più volte, di proposito. La notte passò e il giorno dopo, di pomeriggio, Redruth ed io ci rimettemmo in cammino. Dissi addio a mia madre, alla baia dov’ero vissuto fin dalla lontana infanzia, al caro vecchio Ammiraglio Benbow, forse non più così caro dopo che era stato ridipinto. Uno dei miei ultimi pensieri fu per il Capitano che tante volte avevo visto camminare sulla spiaggia con il cappello a tricorno, la guancia sfregiata e il vecchio cannocchiale di ottone. Un minuto dopo avevamo girato l’angolo e la mia casa era scomparsa. La diligenza ci raccolse verso sera al Royal George, sulla brughiera9. Io mi trovai incastrato fra Redruth ed un corpulento10 signore e, nonostante gli scossoni dovuti all’andatura veloce e la pungente aria notturna, cominciai a sonnecchia9

Brughiera: terreno alluvionale incolto, ricoperto di cespugli e arbusti. Corpulento: grande e robusto.

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7. Vado a Bristol

re e poi dormii come un sasso per colline e per valli e di posta in posta; quando infine un pugno nelle costole mi fece svegliare, aprii gli occhi e mi accorsi che stavamo davanti a un grande fabbricato in una via di città ed era giorno fatto. – Dove siamo? – chiesi. – A Bristol – rispose Tom. – Scendi giù. Il signor Trelawney aveva preso alloggio in una locanda vicina al porto per poter sorvegliare i lavori della goletta. La strada di accesso costeggiava le banchine dove si trovavano bastimenti di ogni forma e paese. Su alcuni i marinai lavoravano cantando, su altri erano sospesi a funi che sembravano sottili come fili di ragnatela. Sebbene io fossi vissuto lungo la spiaggia, avevo l’impressione di accostarmi al mare per la prima volta. L’odore del catrame e della salsedine mi sembrava una novità. Vedevo straordinarie polene11 che avevano solcato i più lontani oceani e vecchi marinai dalla goffa andatura con anelli alle orecchie, baffi arricciati, codini incatramati e ne ero felice come se avessi assistito a una processione di re o cardinali. Anche io ora avrei navigato sopra una goletta, con un nostromo che avrebbe suonato il fischietto e marinai dal codino incatramato che avrebbero cantato, diretto verso un’isola sconosciuta alla ricerca di tesori nascosti! Mentre mi cullavo in questo sogno giungemmo davanti a un grande albergo ed incontrammo il cavaliere Trelawney vestito come un ufficiale di marina e col volto sorridente. – Oh – esclamò – eccovi qui! E il dottore è arrivato ieri sera da Londra. Bene! L’equipaggio è al completo! – Signore – dissi io – quando salpiamo? – Quando salpiamo? – rispose. – Domani! Domani! 11

Polene: immagini scolpite per ornamento sulle prue delle navi.

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8. All’insegna del Cannocchiale Dopo aver fatto colazione, il cavaliere mi consegnò un biglietto indirizzato a John Silver e mi disse che facendo attenzione avrei facilmente trovato la sua piccola osteria, denominata Il cannocchiale, che aveva per l’appunto un grande cannocchiale d’ottone per insegna. M’incamminai, felice di poter vedere altri bastimenti e marinai e, facendomi largo tra una folla di gente, carri e balle di merce, arrivai all’osteria. Era un chiaro, piccolo, luogo allegro, dall’insegna ridipinta di fresco, dalle finestre ornate di linde tende rosse e dal pavimento accuratamente coperto di sabbia. Posto fra due strade aveva una porta aperta su ciascun lato il che dava abbastanza luce alla bassa e larga sala, malgrado le nuvole di fumo di tabacco che l’ingombravano. Gli avventori erano in gran parte gente di mare e parlavano così forte che io mi fermai sull’uscio quasi timoroso di entrare. Mentre esitavo, un uomo uscì da una stanza laterale e alla prima occhiata mi convinsi che era lui Long John. Aveva la gamba sinistra tagliata all’altezza dell’anca e sotto l’ascella sinistra portava una stampella1 che gli permetteva di saltellare come un uccello. Era alto e robusto, con una faccia larga come un prosciutto, insignificante ma illuminata da un sorriso intelligente. Fischiettava e si aggirava tra le tavole distribuendo battute scherzose o pacche sulle spalle dei suoi clienti preferiti. A dire il vero già dal primo accenno a Long John Silver contenuto nella lettera del cavalier Trelawney, mi era venu Stampella: lungo bastone con all’estremità superiore un appoggio per sostenere l’ascella di chi non può reggersi sulle proprie gambe.

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8. All’insegna del Cannocchiale

to il sospetto che si trattasse del marinaio dalla gamba sola per cui ero stato all’erta2 al vecchio Ammiraglio Benbow. Ma una sola occhiata all’uomo che mi stava davanti mi era bastata. Avendo visto Cane Nero e Pew, credevo ormai di sapere come fosse fatto, tutt’altra cosa da quel lindo e sorridente padrone di osteria. Presi subito coraggio, entrai e mi diressi verso di lui che, appoggiato alla sua stampella, stava parlando con un cliente. – Il signor Silver? – chiesi porgendo il biglietto. – Sì, ragazzo mio – rispose – è proprio questo il mio nome. E tu chi sei? – Ma vista la lettera del cavaliere mi parve avesse come un sobbalzo. – Oh – disse poi ad alta voce tendendomi la mano – capisco. Tu sei il nuovo mozzo; lieto di conoscerti. – E strinse la mia mano con la sua larga e solida presa. In quel momento uno degli avventori in fondo alla sala si alzò di scatto dirigendosi verso l’uscita e in un batter d’occhio fu sulla strada. La sua fretta aveva attirato la mia attenzione e subito riconobbi in lui l’uomo dal viso cereo e privo di due dita che per primo era apparso all’Ammiraglio Benbow. – Oh – gridai – fermatelo! È Cane Nero! – Non m’importa di sapere chi sia – esclamò Silver. – Non ha pagato il conto. Harry, corri e acchiappalo. – Uno di quelli che stavano vicino alla porta corse a inseguirlo. – Fosse pure l’ammiraglio Hawke pagherà il suo conto – strillò Silver e lasciando andare la mia mano: – Chi hai detto che è? Nero cosa? – Cane Nero – dissi io. – Il cavaliere Trelawney non vi ha parlato dei pirati? È uno di loro! – Ah sì? Nella mia osteria! Ben, corri a dare una mano ad 2

All’erta: vigilante, attento.

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Parte Seconda - Il Cuoco Di Bordo

Harry. Una di quelle canaglie era lui? Morgan, eri tu che stavi bevendo con lui? Vieni qua. – L’uomo denominato Morgan, un vecchio marinaio dai capelli grigi e dalla pelle color mogano3, si fece avanti umilmente masticando il suo tabacco. – Sicché, Morgan – domandò Long John in tono severo – tu questo Cane Nero non l’avevi visto mai prima d’ora, no? – No, signore – rispose Morgan con un inchino. – Neppure di nome lo conoscevi, no? – No, signore. – Per mille diavoli, Tom Morgan, tanto meglio per te! – esclamò l’oste. – Se avessi avuto a che fare con un individuo simile non avresti mai più messo piede nella mia osteria, puoi stare sicuro. E di che cosa ti stava parlando? Sputa il rospo! – Stavamo parlando di lavori di carenaggio4 – rispose Morgan. – Un argomento interessante, non c’è che dire. Ritorna pure al tuo posto, bestione. – E mentre Morgan s’allontanava, Silver aggiunse sottovoce in tono confidenziale: – È un uomo onesto Tom Morgan, ma è stupido. E adesso – continuò ad alta voce – vediamo... Cane Nero... Il nome mi è nuovo... però... ma sì che l’ho già visto il furfante. Veniva qui di solito con un mendicante cieco. – Era lui, statene certo – dissi io. – Io ho conosciuto anche il cieco. Si chiamava Pew. – È così – gridò Silver molto eccitato. – Pew! Era questo il suo nome, senza dubbio. Ah, che tipo poco raccomandabile! Se noi acciuffiamo questo Cane Nero, il cavaliere Trelawney sarà contento. Ben corre veloce, dovrebbe prenderlo, per tutti i diavoli! Mogano: marrone rossiccio, come il legno omonimo. Lavori di carenaggio: lavori di ripulitura o di riparazione della carena, la parte inferiore dello scafo di una nave che rimane immersa nell’acqua.

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8. All’insegna del Cannocchiale

Mentre pronunciava queste parole arrancava5 su e giù per l’osteria appoggiato alla sua stampella battendo con il palmo sui tavolini e ostentando6 un’agitazione tale che avrebbe persuaso un giudice istruttore o un poliziotto. La presenza di Cane Nero al Cannocchiale aveva risvegliato i miei sospetti; osservavo il cuoco attentamente, ma egli era troppo scaltro per me e quando quei due rientrarono trafelati7 confessando di aver perso le sue tracce e di essere stati scambiati per ladri e maltrattati, io avrei potuto giurare sull’innocenza di Long John Silver. – Vedi, Hawkins – diceva lui – questo è un guaio per un uomo come me! Il capitano Trelawney che cosa penserà? Che tengo in casa mia questo maledetto cane olandese e gli do da bere il mio rum! Tu arrivi e mi spieghi ogni cosa ed ecco che io gli do modo di svignarsela sotto i miei occhi! Ma tu, Hawkins, mi giustificherai presso il capitano. Sei un ragazzo sveglio, me ne sono accorto appena sei entrato. Ebbene, dimmi tu, che cosa avrei potuto fare io con questa stampella? Quando ero un marinaio di prima classe lo avrei inseguito e agguantato8, ma ora... D’un tratto s’interruppe e rimase lì a bocca aperta, come se si ricordasse di qualche cosa. – Il conto! – esplose. – Tre bicchieri di rum! Ma guarda che imbecille, mi sono dimenticato del conto! – Si lasciò cadere sopra una panca e rise fino a farsi venire le lacrime agli occhi. Io lo imitai e le nostre risate, a scroscio, risuonavano nell’osteria. – Ah, che vecchia foca sono! – disse infine asciugandosi le guance. – Io pure meriterei il posto di mozzo. Ora però 7 8 5 6

Arrancava: camminava zoppicando e a fatica. Ostentando: mostrando intenzionalmente. Trafelati: ansanti e stanchi. Agguantato: afferrato con forza.

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mi metto il mio tricorno e corro con te dal capitano Trelawney a riferirgli la storia. È una faccenda seria, che non ci fa onore. Non siamo stati furbi, né tu né io. Quella del conto, poi, è stata bella! – E ricominciò a ridere di gusto. Durante la nostra breve passeggiata lungo la banchina mi diede molte spiegazioni riguardo ai vari bastimenti che oltrepassavamo: attrezzatura, portata, nazionalità, operazioni che si stavano eseguendo, aggiungendo piccoli aneddoti di vita di mare o ripetendomi qualche espressione nautica per farmela imparare bene; così io cominciai a credere che in lui avrei trovato uno dei migliori compagni di bordo che mi potessero capitare. Giunti all’albergo trovammo il cavaliere e il dottor Livesey che stavano terminando di bere un boccale di birra con pane abbrustolito, prima di salire a bordo della goletta per una visita d’ispezione. Long John raccontò la storia dal principio alla fine con molto brio e scrupolosa esattezza interpellandomi di tanto in tanto. I due gentiluomini si rammaricarono del fatto che Cane Nero fosse riuscito a scappare, ma tutti quanti convenimmo che non c’era niente da fare; Long John, dopo aver ricevuto i loro complimenti, prese la sua stampella e se ne andò. – Tutti a bordo oggi alle quattro – gli gridò dietro il cavaliere. – Va bene, va bene – confermò il cuoco. – Cavaliere – disse il dottore – io non ho in generale eccessiva fiducia nelle vostre scoperte, ma tengo a dirvi che questo John Silver mi piace. – È un asso nella manica – dichiarò il cavaliere. – E ora – aggiunse il dottore – Jim può venire a bordo con noi, non è vero? – Certamente – disse il cavaliere. – Prendi il tuo cappello, Hawkins, e andiamo a visitare il bastimento. 58


9. Polvere e armi Poiché l’Hispaniola era ormeggiata1 alquanto al largo ci toccò passare sotto la prua2 e la poppa3 di molte altre navi i cui cavi ora sfioravano la nostra chiglia4 ora pendevano sulla nostra testa. Alla fine accostammo e mettemmo piede a bordo accolti e salutati dal secondo Arrow, un vecchio marinaio guercio, abbronzato, che portava anelli agli orecchi. Lui e il cavaliere pareva se la intendessero; io notai però, immediatamente, che le cose non andavano altrettanto bene fra il signor Trelawney e il capitano. Quest’ultimo era un uomo scontroso, che sembrava scontento di tutto ciò che lo circondava e non tardò a dircene la ragione. Infatti un marinaio ci raggiunse in cabina comunicandoci che il capitano Smollett chiedeva di poter parlare con il cavaliere. Quest’ultimo lo fece entrare. Il capitano, che stava alle spalle del suo messaggero, entrò immediatamente e chiuse l’uscio dietro di sé. – Ebbene, capitano Smollett, cos’avete da dirmi? – chiese il cavaliere. – Tutto è in ordine, spero, e possiamo prendere il mare? – Signore – rispose il capitano – è meglio parlare chiaro a costo di dire cose sgradevoli. Non mi piace questa spedizione, non mi piace l’equipaggio e non mi piace il mio secondo. Non ho altro da aggiungere. – Forse non vi piace la nave? – interrogò il cavaliere molto irritato. 3 4 1 2

Ormeggiata: fermata in un porto con ancora o catena o cime. Prua: parte anteriore della nave a forma di cuneo per aprirsi un varco nell’acqua. Poppa: parte posteriore della nave. Chiglia: trave che va da poppa a prua nella parte sommersa della nave destinata al galleggiamento (scafo).

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– Questo non posso dirlo, non avendo ancora messo alla prova il bastimento – replicò il capitano. – A vederla sembrerebbe una buona imbarcazione. – E magari, signore, non vi piacerà neanche il suo armatore? – Un momento! Un momento! – intervenne il dottor Livesey. – Lasciamo stare questioni che creano solo malintesi. Voi, capitano, avete detto che non vi piace questa spedizione. Perché? – Io sono stato ingaggiato in base al sistema degli ordini suggellati5 per portare questa nave dove codesto signore mi ordinerà. Ma ora scopro che quelli che si trovano in bassa prua ne sanno più di me e questo non mi pare corretto – rispose il capitano. – No che non è bello – disse il dottor Livesey. – Poi – continuò il capitano – vengo a sapere che andiamo alla ricerca di un tesoro dal mio stesso equipaggio. Per conto mio non amo viaggi simili, tanto meno poi quando sono segreti e il segreto, mi perdoni signor Trelawney, è stato svelato anche al pappagallo. – Il pappagallo di Silver? – chiese il cavaliere. – È un modo di dire – spiegò il capitano. – È stato divulgato, intendo dire. Io ritengo che nessuno di voi signori si renda conto di che cosa l’aspetta: si tratta di vita o di morte. – Questo è chiaro e direi anche abbastanza giusto – osservò il dottor Livesey. – Stiamo correndo un rischio, ma non siamo così ignoranti come voi credete. Poi dite che non vi piace l’equipaggio. Non sono forse buoni marinai? – Non mi piacciono, signor mio – ribadì il capitano. – E permettete, la scelta dei miei marinai la si sarebbe dovuta riservare a me. – Forse sì – replicò il dottore – ma se vi è stata mancan Ordini suggellati: ordini segreti, che non dovevano essere conosciuti fino a che la nave non fosse giunta a destinazione.

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9. Polvere e armi

za, è stata fatta senza intenzione. Non vi piace neanche il signor Arrow? – Dà troppa confidenza all’equipaggio; un buon ufficiale, invece, dovrebbe starsene da sé, non mettersi a bere con i semplici marinai. – Volete dire che si ubriaca? – esclamò il cavaliere. – No, signore, ma usa troppa familiarità. – E ora, per concludere, capitano? – interpellò il dottore. – Che cosa desiderate? – Lor signori sono proprio decisi a partire? – Decisissimi – rispose il cavaliere. – Bene – riprese il capitano. – Allora concedetemi poche altre parole. Si stanno caricando polvere e armi a prua. Perché non collocarle sotto la cabina dove c’è spazio? Voi, cavaliere, avete portato con voi quattro dipendenti e mi si dice che dovrebbero dormire a prua. Perché non dar loro le cuccette vicino alla cabina? – C’è altro ancora? – chiese il cavalier Trelawney. – Ancora una cosa – disse il capitano. – Ripeterò ciò che ho sentito io stesso, che voi possedete la carta di un’isola, che ci sono sopra delle croci indicanti dove si trova il tesoro e che la posizione dell’isola è... – e qui riferì latitudine e longitudine esatte. – Non ne ho parlato ad anima viva! – gridò il cavaliere. – Eppure l’equipaggio lo sa – ribatté il capitano. – O siete stato voi, Livesey, oppure Hawkins – affermò il cavaliere. – Poco importa chi sia stato – replicò il dottore. Ed io m’accorsi che sia lui sia il capitano davano poco peso alle proteste del signor Trelawney. A dire il vero neppure io gliene davo, visto che il cavaliere era un chiacchierone; in questo caso, però, penso che avesse ragione e che nessuno avesse parlato della posizione dell’isola. 61


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– Ebbene, signori miei – continuò il capitano – io non so chi di voi custodisca questa carta, ma pongo come punto essenziale che essa sia tenuta segreta anche a me e al signor Arrow, senza di che mi vedrei costretto a dimettermi. – Capisco – osservò il dottore. – Secondo voi dovremmo preoccuparci della situazione trasformando la poppa della nave in una fortezza, presidiandola e munendola di tutte le armi e polveri che sono a bordo. In altri termini voi temete un ammutinamento6. – Signore – disse il capitano Smollett – io sono responsabile della sicurezza della nave e della vita di quanti sono a bordo. Ho la sensazione che le cose non vadano del tutto bene e la prego di prendere alcuni provvedimenti o di lasciarmi rinunciare al mandato. Questo è tutto. – Non desidero sentire altro – gridò il cavaliere. – Se non fosse per il dottor Livesey vi avrei mandato al diavolo. Farò ciò che desiderate, ma ho di voi un pessimo concetto. – Come volete, signore – disse il capitano. – Vedrete che so fare il mio dovere. E con queste parole si congedò. – Trelawney – osservò il dottore – contrariamente a tutte le mie idee, io penso che voi siate riuscito a tirare a bordo due persone oneste: quell’uomo e John Silver. – Silver sì – esclamò il cavaliere – ma quanto a quell’insopportabile ciarlatano7, trovo la sua condotta indegna di un uomo, di un marinaio e più ancora di un inglese. – Bene – concluse il dottore – vedremo. Quando salimmo sul ponte, gli uomini avevano già cominciato a trasportare armi e polveri cantilenando in modo ritmato. La nuova sistemazione era di mio gusto: sei cabine Ammutinamento: ribellione agli ordini dei superiori di almeno un terzo dei membri di un equipaggio. 7 Ciarlatano: chi vanta abilità che non possiede. 6

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9. Polvere e armi

erano state preparate a poppa e comunicavano col castello di prua attraverso uno stretto passaggio a babordo8. In un primo momento si era stabilito che fossero occupate da: il capitano, Arrow, Hunter, Joyce, il dottore e il cavaliere. Ora invece due erano state destinate a me e a Redruth; Arrow e il capitano avrebbero dormito sul ponte, nel boccaporto9, allargato così da somigliare ad un casseretto10. Era basso di soffitto, ma c’era spazio per appendervi due amache e lo stesso Arrow sembrava soddisfatto di tale soluzione. Anche lui forse dubitava dell’equipaggio, ma questa è una semplice ipotesi poiché, come si vedrà più avanti, non beneficiammo a lungo dei suoi pareri. Lavoravamo con impegno per cambiare di posto a munizioni e cuccette quando uno o due ritardatari accompagnati da Long John giunsero in una scialuppa. Il cuoco scavalcò la murata con l’agilità di una scimmia e chiese che cosa stavamo facendo. – Stiamo cambiando posto alle polveri – rispose uno di loro. – Per mille diavoli, se facciamo questo perderemo la marea del mattino – gridò Long John. – Ordini miei – tagliò corto il capitano. – Potete andare sotto, amico mio. L’equipaggio avrà bisogno di cenare. – Sta bene, signore, sta bene – rispose il cuoco e sparì in direzione della cucina. – Ecco un brav’uomo, capitano – disse il dottore. – Così sembrerebbe – replicò il capitano Smollett. – Adagio con quella roba, ragazzi, adagio – proseguì rivol Babordo: lato sinistro della nave, guardando verso prua. Boccaporto: apertura munita di portello sul ponte della nave, che immette nei locali sottostanti e nella stiva. 10 Casseretto: sovrastruttura di poppa destinata ad alloggi per il personale di bordo. 8 9

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to agli uomini che maneggiavano la polvere. Subito dopo, accortosi di me che stavo osservando il cannone collocato a metà della nave, gridò: – O tu, mozzo, via di lì. Corri dal cuoco a fare qualche lavoro. Poi, mentre io mi allontanavo, sentii che diceva forte al dottore: – Non voglio dei privilegiati a bordo. – Inutile dire che condividevo in pieno il modo di vedere del cavaliere e detestavo con tutto me stesso il capitano.

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10. Il viaggio Tutta quella notte ci fu un grande trambusto a bordo per stivare1 a dovere ogni cosa e perché arrivavano canotti pieni di amici del cavaliere, tra cui il signor Blandly, che venivano per augurare buon viaggio e felice ritorno. Non avevo mai avuto all’Ammiraglio Benbow una notte dove faticassi la metà di quella ed ero ridotto ad un cencio quando, poco prima dell’alba, il nostromo soffiò nel suo fischietto e l’equipaggio s’affrettò alle barre dell’argano2. Ma anche se fossi stato più stanco non avrei abbandonato il ponte perché ogni cosa mi era nuova: i rapidi comandi, il suono acuto del fischietto, le ombre degli uomini che si affrettavano ai loro posti nella debole luce dei fanali di bordo. – Su, Barbecue3 – gridò uno – attacca un ritornello. – Quello di una volta – gridò un altro. – Sì compagni, sì – rispose Long John che stava lì vicino con la sua stampella sotto l’ascella e subito intonò la canzone a me ben nota. “Quindici uomini sulla cassa del morto...” E l’intero equipaggio continuò in coro: “Yo-ho-ho e una bottiglia di rum!” Al terzo ho! spinsero con forza le barre dell’argano. In quel momento io improvvisamente tornai con la mente al vecchio Ammiraglio Benbow e mi sembrò di distinguere nel coro la voce di Bill Bones. Ma presto l’ancora fu levata e prima che fossi sceso giù a schiacciare un sonnellino già l’Hispaniola navigava verso l’Isola del Tesoro. Stivare: sistemare le merci nella parte della nave destinata a magazzino. Barre dell’argano: robuste aste di legno che sostengono l’argano, cioè l’apparecchio di sollevamento dell’ancora. 3 Barbecue: soprannome attribuito a Long John Silver dai marinai. 1 2

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Non è mia intenzione raccontare i particolari del viaggio, che fu assai fortunato; voglio invece soffermarmi su alcune cose che accaddero e che meritano d’essere conosciute. Anzitutto il signor Arrow risultò peggiore di quanto il capitano temesse: dopo alcuni giorni di navigazione incominciò a comparire in coperta4 ubriaco. Più volte fu messo agli arresti. A volte cadeva e si feriva, altre rimaneva tutto il giorno disteso nella sua cuccetta; altre ancora, smaltita la sbornia, faceva per un giorno o due il suo dovere. Non si riusciva a capire dove prendesse da bere, nonostante la nostra sorveglianza. Se glielo chiedevamo, si limitava a ridere quando era ubriaco, giurava solennemente di aver assaggiato solo acqua quando era in sé. Non soltanto era un cattivo ufficiale e di pessimo esempio per i marinai, ma continuando di questo passo rischiava di morire; cosicchè nessuno a bordo fu troppo sorpreso o addolorato quando una notte buia, con il mare grosso, egli scomparve e non fu più visto. – È finito in mare! – gridò il capitano. – Eccoci liberati dalla fatica di arrestarlo. – Ma intanto eravamo privi di un ufficiale e bisognò naturalmente promuovere uno dell’equipaggio. Job Anderson, il nostromo, era il più adatto. Costui, pur conservando il suo vecchio titolo, assunse le funzioni di secondo. Il signor Trelawney aveva navigato e la sua esperienza era di aiuto perché con il bel tempo stava spesso di guardia. E il timoniere, Israel Hands, era un vecchio marinaio esperto ed astuto del quale, in caso di necessità, ci si poteva fidare. Egli era l’amico del cuore di Long John Silver e, poiché mi capita di nominarlo, parlerò di lui, il nostro cuoco di bordo, Barbecue come lo chiamavano i marinai. 4

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Coperta: ponte che chiude e copre la parte superiore della nave.


10. Il viaggio

A bordo, per avere le mani libere il più possibile, egli portava la sua stampella sospesa a una cinghia che gli girava intorno al collo ed era curioso vederlo puntare contro una paratia5 il piede della stampella e appoggiato lì, assecondando le ondulazioni della nave, continuare a cucinare tranquillo come se fosse a terra. Era anche più curioso vederlo attraversare il ponte nel pieno di una burrasca: erano state tese delle funi per aiutarlo nei posti più larghi ed egli si spostava da un punto all’altro ora servendosi della stampella ora trascinandosela dietro per la cinghia con l’agilità di un uomo sano. Ciò nonostante i marinai che prima avevano navigato con lui, vedendolo così ridotto, lo compiangevano. – Barbecue non è un uomo comune – mi diceva il timoniere. – Da ragazzo ha studiato ed è in grado di parlare come un libro stampato. Un leone è nulla al paragone suo! Io l’ho visto scontrarsi contro quattro e fracassare le loro teste insieme; eppure era disarmato! Tutto l’equipaggio lo rispettava e gli obbediva. Egli aveva piccole attenzioni nei confronti di ciascuno; con me era gentile, contento di vedermi nella cucina che teneva pulita come uno specchio, con i piatti luccicanti appesi al muro e in un angolo dentro una gabbia il suo pappagallo. – Vieni qua, Hawkins – diceva – a fare una chiacchierata con me. Siedi e ascolta le novità. Ecco qui il capitano Flint (chiamo così il mio pappagallo in memoria del famoso filibustiere) che predice buona fortuna al nostro viaggio. Non è vero capitano? Il pappagallo gridava a perdifiato: – Pezzi da otto! Pezzi da otto! – finché John non gettava il fazzoletto sopra la gabbia. 5

Paratia: elemento strutturale che divide in vari ambienti lo scafo.

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– Vedi quest’uccello – egli diceva – può avere duecento anni (la maggior parte dei pappagalli vive anche di più) e ne ha viste di tutti i colori. Ha navigato con England6, il pirata. È stato in Madagascar7, in Malabar8, in Suriname9, a Providence10 e a Portobelo11. Ha visto ripescare le navi naufragate della Plata12 ed è là che ha imparato a dire “Pezzi da otto”. Ciò non deve meravigliarti: ce n’erano trecentocinquantamila! Inoltre si è trovato all’abbordaggio13 del Viceré delle Indie al largo di Goa14. E a vederlo lo diresti un bambino! – Attenti! Pronti a virare! – strillò il pappagallo. – Ah, è un furbacchione – diceva il cuoco porgendogli dello zucchero dalla tasca mentre l’uccello beccava le briciole e snocciolava bestemmie inaudite. – Così è, ragazzo mio – seguitava John. – Questo mio povero pappagallo è molto saggio, ma vomita bestemmie in continuazione. – E si toccava il ciuffo sulla fronte con un’aria così solenne che lo si sarebbe creduto il migliore uomo del mondo. England: Edward England (1685 circa - 1721), uno dei più famosi pirati inglesi attivo nella costa africana e nell’Oceano Indiano. 7 Madagascar: isola situata nell’Oceano Indiano, al largo della costa orientale dell’Africa. 8 Malabar: regione situata lungo la costa sud-occidentale della penisola indiana. 9 Suriname: oggi territorio dell’America meridionale, esplorato a partire dal 1500 da inglesi, francesi e spagnoli, colonizzato dagli inglesi e poi dagli olandesi. 10 Providence: New Providence, isola delle Bahamas, punto d’appoggio ideale, agli inizi del 1700, per i bastimenti dei pirati a caccia delle navi spagnole, cariche di metalli preziosi, di ritorno nella madre patria. 11 Portobelo: città portuale in Panamà, nell’America centrale, conquistata dagli inglesi durante la guerra anglo-spagnola (1739-1742), detta anche guerra dell’orecchio di Jenkins, un conflitto di tipo coloniale. 12 Plata: estuario formato dai fiumi Paranà e Uruguay nella costa meridionale del Sud America. 13 Abbordaggio: avvicinamento al bordo di un’altra nave per impadronirsene con la forza. 14 Goa: città sulla costa occidentale dell’India. 6

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10. Il viaggio

Intanto il cavaliere e il capitano Smollett continuavano a mantenere le distanze. Il cavaliere non nascondeva il suo disprezzo per il capitano e quest’ultimo gli parlava solo se interpellato e lo faceva in modo secco e breve. Egli ammetteva, a denti stretti15, di essersi sbagliato riguardo all’equipaggio: tutti i marinai infatti si erano comportati degnamente. Quanto al bastimento, lo amava alla follia. – Si tiene stretto al vento più di quanto un uomo faccia con sua moglie, signore. Però – soggiungeva – non siamo ancora ritornati a casa e questo viaggio non mi piace. Il cavaliere gli voltava le spalle e andava su e giù per il ponte col mento in aria. – Se quest’uomo non la smette – mormorava tra i denti – è la volta che esplodo. Fummo colti dal cattivo tempo, il che diede modo all’Hispaniola di mostrare le sue qualità. Tutti a bordo si mostravano soddisfatti e non poteva essere altrimenti perché il minimo pretesto era buono per distribuire doppia razione; si serviva il dolce anche nei giorni feriali, se il cavaliere veniva a sapere che ricorreva il compleanno di qualcuno; oltre a ciò c’era in coperta un barile di mele aperto, a disposizione di chi ne avesse voglia. – Sono sistemi che non portano nulla di buono – diceva il capitano al dottor Livesey. – Questa è la mia convinzione. E invece dal barile di mele ci venne un gran bene, come sentirete tra poco, poiché senza di quello noi saremmo tutti morti per tradimento. Ecco come avvenne il fatto. Eravamo entrati nella zona degli alisei16 per prendere il vento dell’isola che dovevamo raggiungere (non mi è concesso dare ulteriori informazioni) e correvamo verso di A denti stretti: controvoglia. Alisei: venti regolari e costanti che spirano dai Tropici all’Equatore.

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essa. Era all’incirca l’ultimo giorno del nostro viaggio di andata ed entro l’indomani mattina avremmo dovuto avvistare l’Isola del Tesoro. L’Hispaniola procedeva regolarmente ed eravamo tutti di ottimo umore. Era appena tramontato il sole ed io, terminato il mio lavoro, mentre tutti erano occupati nelle loro mansioni, entrai con tutto il corpo nel barile e trovai che v’erano rimaste poche mele; stando lì dentro al buio, cullato dal rullìo della nave e dal mormorìo dell’acqua, mi sarei presto addormentato se qualcuno dalla corporatura pesante non fosse venuto a sedersi rumorosamente lì accanto. Il barile tremò mentre egli vi si appoggiò con le spalle. Io stavo per saltare fuori quando costui incominciò a parlare: era la voce di Silver; mi bastò udire dieci parole e per tutto l’oro del mondo non sarei più uscito. Rimasi lì tutto tremante in ascolto, in preda alla curiosità e allo spavento, poiché da quelle poche parole avevo capito che la vita di tutti gli uomini onesti a bordo dipendeva solo da me.

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11. Ciò che udii nel barile delle mele – No, non io – diceva Silver – era Flint il capitano; io ero timoniere a causa della mia gamba di legno. Io persi la mia gamba nella stessa bordata1 dove il vecchio Pew lasciò la vista. Era un dottore in chirurgia quello che mi amputò la gamba; aveva compiuto studi regolari all’Università, ma fu impiccato come un cane e seccò al sole con gli altri a Corso Castle2. Erano uomini di Roberts3 quelli là e tutta la loro disgrazia derivò dall’aver cambiato i nomi delle loro navi. Ora quando un bastimento è battezzato con un nome, questo non si deve toccare, dico io. Così fu con la Cassandra4 che ci riportò a casa sani e salvi dal Malabar, dopo che England ebbe catturato il Viceré delle Indie; così fu col vecchio Walrus, la nave di Flint che io vidi rossa di sangue e carica d’oro tanto da affondare. – Ah – gridò ammirata un’altra voce, quella del più giovane marinaio a bordo. – Flint era la perla della banda! – Anche Davis5 era un vero uomo – riprese Silver. – Non ho mai navigato con lui: prima con England, poi con Flint e ora qui per conto mio, per modo di dire. Ho messo da parte novecento sterline al tempo di England e duemila con Flint. Tutto è in banca, al sicuro. Guadagnare non è importante, ciò che conta è risparmiare. Che fine hanno fatto tutti gli uomini di England ora? Chi lo sa? E quelli di Flint? Eh, la maggior parte sono qui a bordo contenti di spartirsi la torta mentre fino a ieri andavano mendicando. Il vecchio Pew, Bordata: sparo simultaneo dei cannoni di una nave. Corso Castle: forse Cape Coast, città del Ghana sul Golfo di Guinea. 3 Roberts: John Roberts (1682-1722, Bartholomew lo pseudonimo) fu un pirata gallese tra i più famosi. 4 Cassandra: nave commerciale inglese abbordata dai pirati di England. 5 Davis: Howell Davis (1690-1719), famoso pirata gallese. 1 2

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persa la vista, scialacquò milleduecento sterline in un anno. Dov’è ora? Morto e sepolto. Ma nei suoi due ultimi anni il poveraccio ha sofferto la fame. Mendicava, rubava, sgozzava e nonostante ciò moriva di fame. – Allora non serviva a niente – osservò il giovane. – Non serviva a niente per gli imbecilli, stanne certo – gridò Silver. – Tu sei giovane, ma sei in gamba, me ne sono accorto subito e voglio parlarti come si parla a un uomo. Potete immaginare cosa provai sentendo quell’abominevole briccone rivolgersi a un altro con le stesse parole lusinghiere che aveva usato con me. Se avessi potuto, l’avrei ucciso attraverso il barile. Intanto lui proseguiva ignaro di essere ascoltato. – Succede a tutti i cavalieri di ventura. Essi vivono duramente e rischiano la forca, però mangiano e bevono come pascià6 e quando una spedizione è finita gli entrano in tasca centinaia di sterline. Il guaio è che molti di loro la sperperano in rum e divertimenti e tornano in mare con la sola camicia. Ma questo non è il mio sistema: io metto tutto da parte, un po’ qui un po’ là, per non destare sospetti. Ho cinquant’anni, ricordalo; finita questa spedizione mi metto a fare il signore sul serio. Mi dirai che era ora. Sì, ma intanto io ho vissuto comodamente; non mi sono fatto mai mancare ciò che mi piaceva, ho dormito sul soffice e ho mangiato bene, eccetto che in mare. E come ho cominciato? Da prua come te. – Va bene – replicò il giovane – ma tutto il denaro che avevate da parte ora è perduto, no? Dopo questa spedizione non oserete mica farvi più vedere a Bristol. – Perché, dove diavolo immagini che sia? – chiese Silver ironico. Pascià: persona immersa nel lusso.

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11. Ciò che udii nel barile delle mele

– A Bristol, nelle banche o in altri posti – rispose il compagno. – C’era – disse il cuoco – fino a quando abbiamo salpato, ma a quest’ora è tutto nelle mani della mia vecchia. Il “Cannocchiale” è venduto e la mia vecchia è partita per venirmi incontro. Ti direi dove perché di te mi fido, ma non voglio suscitare gelosie tra i compagni. – E voi vi fidate della vostra signora? – chiese l’altro. – I cavalieri di ventura – rispose il cuoco – generalmente si fidano poco gli uni degli altri e fanno bene. Io però ho un altro metodo: quando un compagno mi fa un torto, non rimarrà al mondo insieme al vecchio John. C’era chi aveva paura di Pew e chi di Flint, ma lo stesso Flint aveva paura di me. E la ciurma7 di Flint era la più terribile che avesse mai solcato i mari; lo stesso diavolo ne avrebbe avuto paura. Ebbene, ti dico, io non sono un ciarlatano e tu stesso hai visto come so stare in compagnia; ma quando ero timoniere io, non si potevano chiamare “agnellini” i vecchi filibustieri di Flint. Ah, tu puoi sentirti sicuro sul bastimento del vecchio John. – Be’, devo dirvi – replicò il giovane – che fino a un momento fa l’affare non mi garbava, ma ora che vi ho sentito parlare sono con voi. – Sei un ragazzo coraggioso e sveglio – rispose Silver stringendogli così forte la mano che il barile tremò. – Non ho mai visto una persona più adatta di te per diventare un cavaliere di ventura. Io cominciavo a capire il senso delle loro parole. “Cavaliere di ventura” significava semplicemente un comune pirata e la scena cui avevo assistito rappresentava la corruzione di uno degli ultimi marinai onesti rimasti a bordo. 7

Ciurma: basso equipaggio di una nave.

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Parte Seconda - Il Cuoco Di Bordo

Intanto Silver lanciò un piccolo fischio ed un terzo uomo arrivò e si sedette vicino agli altri due. – Dick è dei nostri – disse Silver. – Oh lo sapevo che Dick sarebbe stato dei nostri – ribatté la voce del timoniere Israel Hands. – Non è uno sciocco Dick. – E masticò la sua cicca e la sputò. – Ma senti un po’, Barbecue, quanto tempo resteremo qui a gingillarci come su una chiatta8? Ne ho abbastanza del capitano Smollet! Voglio andare in quella cabina, voglio i loro cetrioli, i loro vini e il resto! – Israel – disse Silver – hai poco giudizio, ma sei capace d’ascoltare, penso. Ecco ciò che ti dico: dormirai a prua, lavorerai duramente, parlerai piano e non ti ubriacherai finché io non darò il segnale. Sono stato chiaro? – E ho forse detto il contrario io? – borbottò il timoniere. – Io chiedo soltanto: quando? – Quando? Per mille diavoli! – scattò Silver. – Più tardi che mi sarà possibile, ecco quando. Abbiamo qui un marinaio di prim’ordine, il capitano Smollett che ci conduce. Ci sono il cavaliere e il dottore che hanno in mano una mappa che io, né tu, sappiamo dove sia. Allora io voglio che il cavaliere e il dottore trovino il bottino e ci aiutino ad imbarcarlo, dopo di che vedremo. Se io fossi sicuro di tutti voi, subdoli figli di olandesi, farei il colpo quando il capitano Smollett ci avesse riportato indietro fino a metà strada. – A me pare che siamo tutti bravi marinai – osservò il giovane Dick. – Tutti marinai di bassa lega – replicò Silver. – Possiamo seguire una rotta, ma chi è capace di darcela? Potessi fare a modo mio, aspetterei che il capitano Smollett ci riportasse almeno fino negli alisei, allora non faremmo errori di calcoli Chiatta: grossa barca a fondo piatto usata su brevi distanze.

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11. Ciò che udii nel barile delle mele

né dovremmo razionare l’acqua. Ma so di che pasta siete fatti, perciò li farò fuori non appena il bottino sarà a bordo. Ma voi non siete contenti finché non vi ubriacate. Maledizione! Mi viene la nausea a navigare con gente simile! – Calma! Calma! – protestò Israel. – E chi ti ha contraddetto? – Sai quanti grandi bastimenti ho visto abbordare io? E quanti diavoli di ragazzi seccare al sole sul Palco della Forca – gridò Silver – e sempre per la smania di fare in fretta? Mi ascoltate? Se voi seguiste semplicemente la vostra rotta, stretti al vento, potreste passeggiare in carrozza. Ma voi no! Domani avrete la vostra razione di rum e andrete a farvi impiccare. – Parli come un predicatore, John; però ci sono stati altri capaci di manovrare la nave meglio di te – ribatté Israel. – Loro però stavano allo scherzo, non erano superbi e intrattabili come te. – Ah sì? – riprese Silver. – E dove sono ora costoro? Pew finì mendicante. Flint lo stesso e morì a causa del rum a Savannah. – Ma – interruppe Dick – quando avremo quei signori nelle nostre mani, che ne faremo? – Ecco un uomo che ha senso pratico! – gridò il cuoco ammirato. – Ebbene, che pensereste voi? Abbandonarli sull’isola? Sarebbe il metodo di England. O tagliarli a pezzi come carne di maiale? Così avrebbero fatto Flint e Billy Bones. – Billy era uomo da far questo – disse Israel. – Ora è morto anche lui. – Hai ragione – appoggiò Silver. – Io sono un gentiluomo, ma stavolta la cosa è seria. Il dovere è dovere, amici miei. Io sono per la morte. Quando sarò al Parlamento e viaggerò in carrozza, non vorrei che qualcuno di questi signori della cabina si facesse vivo! 75


Parte Seconda - Il Cuoco Di Bordo

– John – gridò il timoniere – tu sei un uomo! – Aspetta a dirlo quando avrai visto. Io voglio per me Trelawney: con queste mani staccherò la sua testa di vitello... Dick! – aggiunse poi interrompendosi. – Alzati e prendimi una mela per inumidirmi la gola. Potete immaginare il mio terrore. Sarei balzato fuori e scappato via se ne avessi trovato la forza, ma cuore e muscoli mi abbandonarono. Sentii Dick muoversi, ma la voce di Hands lo trattenne: – Lascia stare, John, quella roba; beviamo piuttosto un sorso di rum. – Dick – acconsentì Silver – io mi fido di te. C’è un misurino sul barilotto. Eccoti la chiave: riempi un boccale e portalo su. In questo modo, pensavo tra me, Arrow doveva essersi procurato il liquore che l’aveva ucciso. Mentre Dick era via, Israel sussurrò qualcosa all’orecchio del cuoco e capii un’importante frase: – Nessun altro di loro sarà con noi. – Dunque erano rimasti dei marinai fedeli a bordo. Ritornato Dick, essi bevvero uno dopo l’altro passandosi il boccale e brindando “alla fortuna”, “al vecchio Flint” e “al bottino”. In quel momento un chiarore entrò nel barile e alzando gli occhi io vidi che la luna si era levata. Nello stesso istante la voce della vedetta9 gridò: – Terra!

Vedetta: marinaio collocato in un punto elevato della nave per osservare e riferire ogni elemento importante per la navigazione.

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12. Consiglio di guerra Sentii un rapido scalpiccio: marinai usciti a precipizio dalla cabina e dal castello di prua. Sgusciato fuori del barile mi diressi verso poppa, sul ponte, dove raggiunsi Hunter ed il dottor Livesey. L’intero equipaggio era già lì radunato. Guardando a sud-est, si scorgevano due basse montagne distanti circa un paio di miglia e dietro una di esse una terza più alta la cui cima era ancora avvolta dalla nebbia. Tutte e tre sembravano scoscese e di forma conica. Io vidi tutto ciò come in sogno poiché ancora non mi ero ripreso dal tremendo spavento di poco prima. Sentii poi la voce del capitano Smollett che dava ordini. L’Hispaniola fu orientata in modo da seguire una rotta che l’avrebbe portata a costeggiare l’isola da est. – E adesso, ragazzi – disse il capitano quando le vele furono ammainate – c’e qualcuno tra voi che abbia mai visto questa terra? – Io, signore – rispose Silver. – Vi feci rifornimento d’acqua con un bastimento mercantile su cui ero cuoco. – L’ancoraggio è a sud, suppongo, dietro un isolotto? – chiese il capitano. – Sissignore: è chiamata Isola dello Scheletro. Un tempo era un rifugio di pirati e un marinaio che era a bordo con noi conosceva i nomi di tutte le località. Quella punta a nord la chiamavano l’Albero di Trinchetto. Ci sono tre montagne allineate da nord a sud, signore: Trinchetto, Maestra, Mezzana. La Maestra, la più grande, quella con la nuvola sopra, la chiamavano il Cannocchiale perché ci mettevano una vedetta quando le navi stavano all’ancoraggio in riparazione. – Ho qui una carta – disse il capitano Smollett. – Controllate se è questa la località.

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Parte Seconda - Il Cuoco Di Bordo

Gli occhi di John lampeggiarono nel prendere in mano la carta, ma io guardandola compresi quale delusione l’aspettava: non era la carta che noi avevamo trovato nel baule di Billy Bones, bensì una copia contenente tutti i particolari, nomi, altezza dei fondali, ad eccezione solo delle crocette rosse e delle postille1. Nonostante la sua acuta delusione, Silver ebbe la forza di mascherarla. – Sì, signore, il posto è senza dubbio questo ed è ben disegnato. Ecco qui: “Ancoraggio del Capitano Kidd”: così appunto lo chiamava il mio compagno di bordo. Non esiste posto migliore per accostare e carenare2, signore. – Grazie – disse il capitano Smollett. – Vi chiederò più tardi per darci una mano. Potete andare. Io ero stupito della disinvoltura con cui John aveva rivelato la sua conoscenza dell’isola e non senza timore lo vidi avvicinarmisi. Lui non sapeva che io dal fondo del barile delle mele avevo origliato3 la sua conversazione, ma da quel momento un tale orrore si era impadronito di me per la sua crudeltà e doppiezza4 che a fatica riuscii a trattenere un brivido quando egli mi posò la mano sul braccio. – Ah – disse – questa isola è un posto delizioso per un ragazzo che voglia scendere a terra. Ti bagnerai, ti arrampicherai sugli alberi, darai la caccia alle capre e t’inerpicherai su quelle cime. Vedi? Io stesso mi sento ringiovanire e quasi dimentico la mia gamba di legno. Quando avrai voglia di fare una piccola escursione avverti il vecchio John: egli ti preparerà uno spuntino da portare con te. – E battendomi Postille: brevi annotazioni a margine. Carenare: scoprire la carena, la parte inferiore dello scafo, per pulirla ed effettuare lavori di riparazione. 3 Origliato: ascoltato di nascosto, spiato. 4 Doppiezza: falsità. 1 2

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12. Consiglio di guerra

sulla spalla col fare più amichevole si staccò da me zoppicando e si calò a bassa prua. Il capitano Smollett, il cavaliere e il dottor Livesey stavano conversando tra loro sul cassero di poppa e, per quanto ansioso io fossi di raccontar loro la mia storia, non osavo interromperli. Mentre stavo cercando un pretesto, il dottor Livesey mi chiamò a sé. Aveva lasciato la sua pipa di sotto e voleva mandarmi a prenderla; appena gli fui vicino abbastanza da potergli parlare senza che altri udissero sbottai: – Dottore, conducete il capitano e il cavaliere in cabina e poi trovate un pretesto per mandarmi a chiamare. Ho delle notizie terribili. Il dottore trasalì, ma si dominò subito. – Grazie, Jim, era ciò che volevo sapere – disse ad alta voce come se io avessi risposto ad una sua domanda. Dopo di che si voltò e raggiunse gli altri due. Essi confabularono5 insieme un poco e, sebbene nessuno di loro trasalisse o alzasse la voce, era chiaro che il dottor Livesey aveva loro riferito le mie parole poiché subito dopo sentii il capitano dare a Job Anderson l’ordine di radunare tutti i marinai sul ponte. – Ragazzi – incominciò il capitano Smollett. – Questa terra che abbiamo avvistato è la meta del nostro viaggio. Il signor Trelawney mi ha fatto ora qualche domanda e, poiché io ho potuto confermargli che tutti a bordo hanno compiuto il proprio dovere al meglio, ebbene lui, io e il dottore scenderemo in cabina a bere alla vostra salute e a voi sarà servito un ponce che berrete alla nostra salute. Penso che è nobile e gentile da parte sua. Se voi siete d’accordo con me, mandate un evviva a questo gentiluomo. 5

Confabularono: conversarono a bassa voce.

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Parte Seconda - Il Cuoco Di Bordo

L’evviva seguì come c’era da aspettarsi e risuonò così caloroso che stentavo a credere che quegli stessi uomini stessero complottando contro di noi. – Ancora un evviva al capitano Smollett! – gridò Long John quando il primo si fu placato. E anche questo salì unanime. Quindi i signori scesero di sotto e quasi subito fui chiamato in cabina. Li trovai tutti e tre seduti intorno al tavolo con davanti una bottiglia di vino di Spagna e uva passa. Il dottore fumava tenendo la sua parrucca sulle ginocchia come faceva sempre quando era agitato. – E dunque Hawkins – proruppe il cavaliere – tu hai qualcosa da dire. Parla. Io ubbidii e in breve riferii tutti i particolari della conversazione di Silver. Nessuno m’interruppe o si mosse: mi ascoltarono dall’inizio alla fine senza staccarmi gli occhi di dosso. – Jim – disse il dottore – siedi. Mi fecero posto alla loro tavola, mi servirono del vino, mi riempirono le mani d’uva passa e con un inchino bevvero alla mia salute rallegrandosi per la mia fortuna e il mio coraggio. – E ora, capitano – disse il cavaliere – riconosco che voi avevate ragione e io torto. Sono stato un asino, confesso, e mi pongo ai vostri ordini. – Non più asino di me – ribatté il capitano. – Io non ho mai sentito parlare di un equipaggio che sul punto di ammutinarsi non ne lasciasse trapelare qualche indizio dando modo di avvertire il pericolo e provvedere. Ma quest’equipaggio mi batte. – Capitano – osservò il dottore – ciò se permettete si deve a Silver. Quello è un uomo straordinario. – Starebbe bene appeso all’estremità d’un pennone6, si Pennone: robusta asta di legno o ferro che sostiene le vele quadre di un’imbarcazione.

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Il vecchio lupo di mare all’Ammiraglio Benbow

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Parte Seconda - Il Cuoco Di Bordo

gnore – rispose il capitano. – Ma queste sono chiacchiere che non portano a niente. Io vedo tre o quattro punti e con il permesso del signor Trelawney li enumererò. Punto primo: dobbiamo proseguire poiché tornare indietro non è possibile. Se io dessi l’ordine di virare di bordo essi immediatamente si ribellerebbero. Punto secondo: abbiamo ancora tempo, almeno fino a che il tesoro non sarà trovato. Terzo punto: c’è qualche marinaio fedele. Ora, signore, siccome prima o poi bisognerà intervenire, io propongo di cogliere l’occasione un bel giorno mentre loro meno se l’aspettano. Possiamo contare sui vostri servitori, signor Trelawney? – Come su me stesso – dichiarò il cavaliere. – Tre – calcolò il capitano – e con noi, contando Hawkins, facciamo sette. E quanti saranno i marinai onesti? – Molto probabilmente gli uomini scelti da Trelawney, prima d’imbattersi in Silver – disse il dottore. – No – chiarì il cavaliere – Hands era uno dei miei. – E io che mi sarei fidato di lui – mormorò il capitano. – E pensare che sono tutti inglesi! – esclamò il cavaliere. – Verrebbe voglia di far saltare la nave. – Ebbene, signori – riprese il capitano – dobbiamo mantenere la calma e stare all’erta, finché non sapremo su chi far conto. – Jim qui può esserci d’aiuto più di chiunque altro – disse il dottore. – È un buon osservatore e i marinai si fidano di lui. – Hawkins, io ripongo in te un’immensa fiducia – aggiunse il cavaliere. Io invece disperavo e mi sentivo impotente, tuttavia fu per mezzo mio che arrivò la salvezza. Nel frattempo sapevamo di poter contare solo su sette dei ventisei che eravamo; di questi sette uno era un ragazzo cosicché eravamo sei adulti da una parte contro diciannove dall’altra. 82


13. Come cominciò la mia avventura L’aspetto dell’isola quando io salii sul ponte l’indomani mattina era completamente mutato. Avevamo fatto un bel tratto di cammino durante la notte ed eravamo ora col mare in bonaccia1 a circa mezzo miglio a sud-est della costa orientale. Boschi grigiastri rivestivano gran parte della sua superficie; in basso si osservavano strisce di sabbia gialla e alberi di alto fusto della famiglia dei pini; la colorazione generale era monotona e triste. I monti si innalzavano su questa vegetazione con le loro vette di nuda roccia. Il Cannocchiale, il più alto dell’isola, presentava il più strano profilo, con la cima improvvisamente mozzata come un piedistallo su cui collocare una statua. L’Hispaniola rullava sul mare ingrossato. Mi tenevo attaccato ai paterazzi2 e ogni cosa mi girava vertiginosamente intorno; non sopportavo, senza aver la nausea, il rimanere lì sballottato come una bottiglia, a digiuno. Forse anche l’aspetto malinconico dell’isola acuiva il mio malessere; sentivo il cuore oppresso e fin dalla prima occhiata odiai l’Isola del Tesoro. Ci aspettava una mattinata di fastidioso lavoro poiché non c’era vento, bisognava mettere in mare le scialuppe e tirare il bastimento a rimorchio per tre o quattro miglia per raggiungere il porto dietro l’Isola dello Scheletro. Io presi posto in una scialuppa dove non avevo nulla da fare. Il caldo era soffocante e gli uomini affaticati brontolavano rabbiosamente. Anderson, che era al comando della mia scialuppa, anziché richiamare l’equipaggiò all’ordine, brontolava peggio degli altri. 1 2

Bonaccia: stato del mare, calmo e senza vento. Paterazzi: cavi che trattengono l’albero verso poppa.

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Parte Terza - La mia avventura a terra

– Ma – disse infine con una bestemmia – non andrà sempre così. Queste parole mi sembrarono un pessimo segno perché fino a quel giorno gli uomini avevano compiuto il loro lavoro con impegno; la semplice vista dell’isola, però, era bastata ad allentare i vincoli della disciplina. Durante tutto il tragitto Long John rimase vicino al timoniere e pilotò la nave, dato che conosceva lo stretto come il palmo della sua mano. Gettammo l’ancora proprio nel punto indicato sulla carta; il tuffo prodotto sollevò nugoli di uccelli che gridando volteggiarono sopra i boschi, ma in meno di un minuto tutto ridiventò silenzioso. La rada3 era completamente riparata dalla costa e circondata da alberi che discendevano fino al mare; le rive erano piatte e le cime dei monti disposte a cerchio formavano una specie di anfiteatro4. Due paludosi ruscelletti si scaricavano in quello che chiamerei stagno e la vegetazione su quella parte della costa ostentava una specie di malvagia lucentezza. Da bordo non potevamo scorgere né il fortino né la palizzata, completamente affondati nel verde; se non fosse stato per la carta spiegata sotto i nostri occhi avremmo potuto credere di essere i primi uomini ad ancorare lì, da quando l’isola era emersa dalle acque. Non c’era un filo di vento, non si sentiva alcun rumore tranne il rimbombo della risacca5 lungo la spiaggia e contro le scogliere. Un caratteristico odore di foglie e tronchi d’albero marci stagnava sul luogo dell’ancoraggio. Io vidi il dottore annusare più volte come se avesse sotto il naso un uovo guasto. Rada: piccolo golfo naturale. Anfiteatro: edificio a pianta ovale o circolare con più ordini concentrici di gradinate e un’arena al centro. 5 Risacca: moto di ritorno disordinato e impetuoso dell’onda, respinta da un ostacolo. 3 4

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13. Come cominciò la mia avventura

– Non so nulla del tesoro – disse – ma scommetterei che qui c’è la malaria6. Se la condotta degli uomini era stata inquietante nella scialuppa, diventò addirittura minacciosa non appena ritornati a bordo. Si raggruppavano sul ponte a mormorare tra loro, accoglievano il più semplice comando con aria minacciosa e lo eseguivano di mala voglia. L’ammutinamento incombeva su di noi; anche Long John avvertiva il pericolo e si dava da fare prodigandosi in consigli di calma, dispensando sorrisi a tutti. Appena sentiva un comando, obbediva e quando non c’era altro da fare intonava una canzone dietro l’altra come per mascherare il malcontento dei compagni. L’evidente ansia di Long John ci metteva in allarme e decidemmo di tenere consiglio in cabina. – Signore – disse il capitano rivolgendosi al cavaliere – se io impartisco un altro ordine l’equipaggio si ribellerà. Mettiamo che mi si risponda male. Se provo a ribattere, eccoci ai ferri corti; se non replico, Silver capirà che c’è sotto qualche cosa e la partita è perduta. Per ora non abbiamo che un uomo su cui poter contare. – E sarebbe? – domandò il cavaliere. – Silver, signore, – rispose il capitano – egli desidera più di noi appianare le cose. Forniamogli l’occasione per farlo. Concediamo agli uomini il permesso di scendere a terra un pomeriggio. Se andranno tutti, la nave sarà nostra. Se nessuno si muoverà, noi ci chiuderemo in cabina e che Dio ci protegga. Se solo alcuni andranno, Silver li riporterà a bordo docili come agnelli. Così fu deciso. Vennero distribuite pistole cariche a tutti gli uomini fidati; Hunter, Joyce e Redruth furono messi 6

Malaria: malattia parassitaria trasmessa da una zanzara del tipo anofele, caratterizzata da ricorrenti attacchi di febbre molto alta.

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Parte Terza - La mia avventura a terra

al corrente della situazione, dopo di che il capitano salì sul ponte e si rivolse all’equipaggio. – Ragazzi – disse – la giornata è stata calda e siamo tutti stanchi e non di buon umore. Un giro a terra non farà male a nessuno; le scialuppe stanno ancora in acqua: potete prenderle e chi ne ha voglia può rimanere a terra tutto il pomeriggio. Farò tirare un colpo di cannone mezz’ora prima del calar del sole. Quegli sciocchi pensarono certamente che avrebbero messo le mani sul tesoro appena sbarcati perché in un attimo il loro malumore si dissipò e mandarono un evviva che sollevò in aria un altro stormo di uccelli. Il capitano era un uomo troppo intelligente per rimanere in mezzo a loro. Egli si dileguò subito lasciando a Silver il compito di organizzare la spedizione. Se si fosse trattenuto sul ponte, non avrebbe potuto più fingere di non rendersi conto della situazione. Era chiaro come il sole che Silver era il vero capitano e che disponeva di un equipaggio in rivolta. In breve la spedizione fu allestita. Sei marinai rimanevano a bordo e gli altri tredici, compreso Silver, cominciarono a calarsi nelle scialuppe. Fu allora che mi balenò in mente la prima di quelle folli idee che avrebbero contribuito a salvarci la vita. Poiché restavano a bordo sei uomini, era chiaro che i nostri non potevano pensare a impadronirsi della nave; ma poiché le forze delle due parti si bilanciavano, era altrettanto chiaro che per il momento la cabina non aveva bisogno del mio aiuto. D’improvviso mi venne in mente di scendere a terra: con la lestezza di un gatto scivolai lungo la fiancata e mi acquattai a prua della scaluppa più vicina che quasi subito partì. Nessuno si accorse di me tranne il rematore di prua che mi disse: – Sei tu Jim? Abbassa la testa. Silver dall’altra scialuppa si voltò a guardare e gridò per sapere se ero io; da quel momento cominciai a pentirmi di 86


13. Come cominciò la mia avventura

ciò che avevo fatto. Gli equipaggi gareggiarono in velocità per guadagnare la riva, ma la scialuppa che mi portava, avendo un vantaggio iniziale ed essendo insieme più leggera e meglio guidata, sorpassò la sua concorrente. La prua andò ad urtare contro il groviglio degli alberi della riva ed io, afferrato un ramo, mi lanciai fuori piombando nel più vicino cespuglio, quando Silver e gli altri erano ancora più indietro. – Jim! Jim! – udii Silver gridare alle mie spalle. Ma io non diedi retta: saltando, strisciando, spezzando rami per aprirmi un varco, corsi diritto davanti a me finché le forze non mi abbandonarono.

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14. Il primo colpo Ero talmente contento di averla fatta a Long John che cominciai a divertirmi osservando con interesse lo strano luogo dove mi trovavo. Avevo attraversato una zona paludosa ricca di salici1, giunchi2 e curiosi alberi esotici ed ero giunto in una radura ondulata e sabbiosa cosparsa di rari pini e di alberi contorti simili alle querce ma dalla foglia grigio argentea come i salici. All’altra estremità si ergeva una delle montagne con due bizzarri picchi scoscesi che splendevano al sole. Provavo ora per la prima volta la gioia dell’esploratore. L’isola era disabitata, i miei compagni di bordo li avevo lasciati indietro e davanti a me vi erano solo bestie e uccelli. Giravo tra gli alberi, tra piante a me sconosciute; qua e là scorsi dei serpenti e uno tirò fuori la testa da una fenditura della roccia e sibilò verso di me senza che io sospettassi di avere davanti il famoso serpente a sonagli3. Entrai poi nel folto di quella sorta di querce che crescevano basse nella sabbia come rovi, coi rami intrecciati e il fogliame fitto e compatto. Il bosco si estendeva dalla cima di un monticello sabbioso e scendeva giù fino al margine della vasta palude piena di canne, da cui si alzavano vapori che rendevano tremolante il profilo del Cannocchiale. Improvvisamente cominciò tra i giunchi una specie di tramestio: un’anatra selvatica, poi un’altra, infine un enorme nugolo d’uccelli schiamazzanti spiccò il volo. Immaginai Salici: grandi alberi delle Salicacee, comuni lungo i corsi d’acqua. Giunchi: piante erbacee della Giuncacee, che crescono nei luoghi acquitrinosi. 3 Serpente a sonagli: (o crotalo) serpente velenoso con l’estremità della coda munita di un sonaglio, formato da anelli cornei. 1 2

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14. Il primo colpo

che alcuni dei miei compagni di bordo stessero avvicinandosi lungo i margini della palude. Non mi sbagliavo poiché presto udii una voce tenue e lontana che a poco a poco diventò più forte e vicina. Ciò mi mise in grande agitazione: strisciai sotto il fogliame d’una quercia e là mi acquattai a origliare, muto come un pesce. Le voci erano due: una senza dubbio apparteneva a Silver. Dal tono sembrava che discutessero animatamente e quasi litigassero, ma non riuscivo a capire le parole. Decisi di avvicinarmi il più possibile protetto dal fogliame. Strisciando gattoni mi diressi verso di loro e alla fine, alzando la testa, attraverso un buco tra le foglie potei scorgere in una piccola radura verde vicino alla palude e circondata dagli alberi Long John Silver che discuteva con un altro marinaio dell’equipaggio. Silver aveva gettato il suo cappello sull’erba e il suo largo viso, lucido per il calore, era volto verso quello del compagno in atto di esortarlo. – Amico mio – diceva – è perché ti stimo come l’oro che sono qui a metterti in guardia. Tutto è deciso, non si può tornare indietro; è per salvarti che ti parlo e se uno di questi cani lo sapesse che accadrebbe di me, Tom? – Silver – replicò l’altro col volto in fiamme e la voce roca e tremante. – Silver, tu sei un uomo d’età e sei onesto, almeno sei ritenuto tale; hai anche del denaro e sei bravo, se non sbaglio. E vorresti farmi credere che ti lasci comandare da quella massa di furfanti? Oh no! Com’è vero Dio, preferirei perdere questa mano piuttosto che sottrarmi al mio dovere... Qui fu interrotto da un improvviso rumore. Avevo trovato uno dei marinai onesti ed ecco che nel medesimo istante venivo a scoprirne un altro. Lontano nella palude si udì un grido di collera, poi un altro e infine un urlo orribile e prolungato. A quel grido Tom era balzato come un cavallo sotto 89


Parte Terza - La mia avventura a terra

lo sprone4, ma Silver non mosse ciglio: rimase là dov’era, appoggiato alla sua stampella, sorvegliando il compagno come un serpente pronto a scattare. – John – esclamò il marinaio tendendo la mano. – Giù le mani! – intimò Silver saltando indietro con la disinvolta rapidità di un esperto ginnasta. – Terrò giù le mani John Silver – disse l’altro. – Se hai paura di me vuol dire che hai la coscienza sporca. Ma in nome del Cielo, che accade? – Che accade? – replicò Silver sorridendo ma più in guardia che mai. – Che accade? Oh io credo che si tratti di Alan... A queste parole il povero Tom avanzò eroicamente: – Alan! – gridò. – Che la sua anima riposi in pace. Era un vero marinaio. Quanto a te, John Silver, per molto tempo sei stato mio compagno, ma ora non lo sei più. Se io morirò come un cane, lo farò compiendo il mio dovere. Tu hai fatto uccidere Alan, non è vero? Ebbene, uccidi anche me se ne hai il coraggio. Io ti sfido. Detto ciò quel bravo ragazzo voltò le spalle al cuoco e s’incamminò verso la spiaggia. Ma non doveva andare lontano: con un urlo John tese un ramo di un albero, si tolse la stampella dall’ascella e la scagliò in aria come una lancia. Essa colpì Tom con la punta proprio in mezzo alla schiena, con tale violenza che il poveretto, alzate le braccia ed emesso un gemito, cadde. Era ferito, dal rumore credo che avesse la schiena spezzata. Silver non gli lasciò tempo di riprendersi: agile come una scimmia, pur senza una gamba e la stampella, gli fu addosso e per ben due volte affondò il suo coltello in quel corpo indifeso. Dal mio nascondiglio lo sentii ansimare forte mentre colpiva. Sprone: sperone, piccolo oggetto di metallo a forma di U applicato al tacco del cavaliere per pungolare l’animale.

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14. Il primo colpo

Io non so veramente cosa sia svenire, ma so che per qualche istante ciò che mi circondava scomparve dalla mia vista. Quando ripresi conoscenza lo scellerato si era rimesso la stampella sotto l’ascella e il cappello in testa. Davanti a lui giaceva Tom, immobile sull’erba; Silver non si curava minimamente di lui, preoccupandosi di pulire con un ciuffo d’erba il suo coltello sporco di sangue. Ogni altra cosa era immutata: il sole continuava a risplendere sulla palude maleodorante e sulle cime delle montagne ed io facevo fatica a convincermi che un assassinio fosse stato così barbaramente commesso un momento prima sotto i miei occhi. Ora John mise la mano nella tasca e preso un fischietto se lo portò alle labbra tirandone fuori alcuni suoni che si propagarono nell’aria. Quel segnale risvegliò subito i miei timori: altri sarebbero arrivati, forse sarei stato scoperto. Due dei marinai onesti erano già stati tolti di mezzo; dopo Tom e Alan sarebbe toccato a me? Subito cominciai a districarmi5 e a strisciare indietro più velocemente e silenziosamente che potevo verso il punto in cui il bosco si diradava. Intanto sentivo i saluti scambiati fra il vecchio filibustiere e i suoi compagni e queste voci mi davano le ali. Appena fuori del bosco mi misi a correre come mai avevo fatto in vita mia, badando poco alla direzione della mia fuga pur di allontanarmi dagli assassini. Più correvo più la paura cresceva in me. Mi sentivo perduto. Come avrei osato al colpo del cannone raggiungere le scialuppe tra quei demoni ancora caldi del loro delitto? Il primo che mi avesse visto non mi avrebbe tirato il collo come a un beccaccino6? La mia stessa assenza non sarebbe stata la prova della mia 5 6

Districarmi: tirarmi fuori da qualcosa di intricato, aggrovigliato. Beccaccino: uccello commestibile migratore dei Caradriformi, più piccolo della beccaccia.

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Parte Terza - La mia avventura a terra

paura e della conoscenza della sorte che mi aspettava? Tutto è perduto, pensavo. Addio Hispaniola, addio cavaliere, addio dottore, addio capitano! Non mi rimaneva che morire di fame o per mano degli ammutinati. Intanto continuavo a correre e, senza accorgermene, ero giunto ai piedi della piccola montagna dalle due cime in una zona dell’isola dove le querce sempreverdi crescevano meno fitte e somigliavano agli alberi di una foresta. In mezzo ad esse si ergevano alcuni pini isolati alti da cinquanta a settanta piedi e l’aria circolava più pura che laggiù nei pressi della palude. Ma qui un nuovo allarme mi fece fermare col cuore in gola.

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15. L’uomo dell’isola Dal fianco della montagna che qui era ripida e scoscesa si staccò una massa di ghiaia che precipitò rimbalzando tra gli alberi. Istintivamente volsi lo sguardo in quella direzione e vidi un’ombra balzare dietro il tronco d’un pino. Cosa fosse: scimmia, orso o uomo non avrei saputo dire. Sembrava scura e pelosa. La paura mi fece fermare; ero bloccato da entrambi i lati: dietro di me gli assassini, davanti quel misterioso essere. Non esitai a preferire il noto all’ignoto: Silver stesso mi sembrava meno terribile di quella creatura dei boschi, così ritornai sui miei passi verso le scialuppe. L’ombra riapparve e pareva volermi tagliare la strada. Io ero stanco, ma anche se fossi stato fresco come appena alzato, non avrei potuto gareggiare in velocità con un tale avversario che schizzava da un albero all’altro simile a un daino, muovendosi su due gambe. Di sicuro era un uomo; ormai ne ero certo. Mi tornò in mente ciò che avevo sentito dire sui cannibali e per poco non gridai aiuto. Ma il fatto stesso che si trattasse di un uomo, seppur selvaggio, mi rassicurava, mentre la paura di Silver si ravvivava. Perciò mi fermai e stavo escogitando un piano di fuga quando mi ricordai di avere con me una pistola. Questo pensiero mi rese più coraggioso e mi diressi verso l’uomo dell’isola. Egli si era nascosto dietro il tronco di un albero ma, avendomi visto avanzare nella sua direzione, apparve, fece un passo verso di me, poi indietreggiò, si spinse di nuovo avanti e infine con mio grande stupore si buttò in ginocchio e tese le mani giunte in atteggiamento di supplica. Mi fermai e gli chiesi: – Chi siete? – Ben Gunn – rispose con una voce roca simile ad una

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Parte Terza - La mia avventura a terra

serratura arrugginita – sono il povero Ben Gunn e per tre anni non ho parlato a un cristiano. Mi accorsi allora che egli era un bianco come me. La sua pelle era bruciata dal sole e le labbra annerite, due begli occhi azzurri scintillavano in quella faccia scura. Era vestito con brandelli di vecchie vele e di stoffe da marinaio tenute insieme dalle più varie legature come bottoni di ottone, rametti di giunco, cordicelle incatramate. Intorno alla vita portava una vecchia cintura di cuoio con una fibbia di ottone. – Tre anni! – esclamai. – Naufragato? – No, ragazzo mio, abbandonato. Avevo già sentito parlare di quell’orribile punizione in uso tra i pirati per cui il colpevole viene lasciato su un’isola deserta con un po’ di polvere e di piombo. – Abbandonato tre anni fa – riprese – e da allora mi sono cibato di carne di capra, di bacche e di frutti di mare. Un uomo, in qualunque luogo si trovi, può bastare a se stesso, ma avrei voglia di un cibo da cristiano. Non avresti per caso un pezzo di formaggio? No? Ah quante notti ho sognato del formaggio abbrustolito, poi mi svegliavo e mi ritrovavo qui. – Se mai potrò ritornare a bordo – gli dissi – avrete formaggio a volontà. Durante tutto questo tempo egli aveva continuato a tastare la stoffa della mia giacca, ad accarezzare le mie mani, a guardare i miei stivali, a manifestare una gioia infantile nel trovarsi in presenza di un essere umano. Udendo però le mie ultime parole, drizzò la testa mostrando un sospettoso stupore. – Se mai puoi ritornare a bordo, dici? E chi te lo impedirebbe? – Oh, non voi, lo so bene – risposi. – No davvero – scattò. – Ma dimmi, ragazzo mio, come ti chiami? – Jim. 94


15. L’uomo dell’isola

– Jim, Jim – ripeteva con evidente compiacimento. – Ebbene, Jim, devi sapere che ho vissuto una vita talmente brutta che arrossiresti a sentirla raccontare. Eppure sono stato un ragazzo gentile ed educato, in grado di recitare il catechismo parola per parola, ciò grazie a mia madre, una donna molto pia. Poi ho cominciato con il gioco delle monetine sulle lapidi benedette e sono andato ben oltre! Mia madre mi aveva predetto tutto quanto, la mia santa donna. Ma è stata la Provvidenza che mi ha portato qui. Ho riflettuto a fondo su tutto ciò in quest’isola solitaria e sono ritornato alla fede. Non berrò più tanto rum come prima, solo un goccetto di buon augurio alla prima occasione che avrò. Mi sono ripromesso di essere buono e poi Jim... – diede un’occhiata in giro e abbassando il tono bisbigliò: – Sono ricco io. Pensai che il lungo isolamento lo avesse fatto diventare pazzo; egli dovette leggermi in viso quel pensiero perché ripetè con ardore: – Ricco, ti dico ricco! Ah Jim, benedirai la tua stella per essere stato il primo ad incontrarmi. A queste parole un’ombra improvvisa gli calò sul viso. Strinse la mia mano come in una tenaglia e alzò un indice minaccioso: – Jim, dimmi la verità: non è la nave di Flint quella? A questo punto io ebbi una felice ispirazione. Cominciai a ritenere di aver trovato un alleato e subito risposi: – No, non è la nave di Flint. Egli è morto, ma ci sono alcuni suoi marinai a bordo ed è una sciagura per noi altri. – Per caso un uomo... con una gamba sola? – ansimò. – Silver? – chiesi io. – Sì, Silver – disse – così si chiamava. – È il nostro cuoco e anche il caporione della banda. Egli continuava a tenermi per il polso e udendo ciò me lo torse. – Se è Long John che ti manda, per me è la fine. Ma lo capite in che guaio vi siete cacciati? 95


Parte Terza - La mia avventura a terra

Io presi la decisione che avevo in mente e gli raccontai la storia del nostro viaggio e la situazione in cui ci trovavamo. Egli mi ascoltò con grande interesse e alla fine mi batté un colpetto sul capo. – Sei un bravo ragazzo, Jim, ma tutti voi siete in una brutta situazione. Ebbene, mettetevi nelle mani di Ben Gunn: sono l’uomo che fa al caso vostro. Ma, dimmi, credi che il tuo cavaliere si mostrerebbe generoso con me se lo aiutassi? Gli risposi che il cavaliere era il più generoso degli uomini. – Bene! Ma intendiamoci – riprese Ben Gunn – io non vorrei che mi ricompensasse dandomi una livrea1 e mettendomi a fare il portinaio, Jim. Pensi che sarebbe disposto a darmi un migliaio di sterline del tesoro che sarà suo? – Sono sicuro di sì. Da quel che so, tutti i marinai avrebbero avuto la loro parte. – E anche il viaggio di ritorno a casa? – aggiunse con aria furba. – Oh! Il cavaliere è un gentiluomo. E del resto, se ci liberiamo degli altri, avremo pur bisogno di qualcuno che ci aiuti a manovrare la nave. – Già – disse lui. – Potrei essere utile. Ora – continuò – voglio raccontarti come stanno le cose. Io ero imbarcato con Flint quando sotterrò il tesoro: lui con altri sei forti marinai. Essi rimasero a terra circa una settimana e noi a bordo del vecchio Walrus. Un bel giorno vedemmo il segnale ed ecco Flint ritornare tutto solo, in una piccola scialuppa, pallido come un morto, con la testa avvolta in una fasciatura blu. Gli altri sei erano tutti morti e sotterrati. Come avesse fatto, lui da solo contro sei, nessuno a bordo se lo seppe spiegare. 1

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Livrea: uniforme portata dai dipendenti delle grandi case signorili.


15. L’uomo dell’isola

Billy Bones era il suo primo ufficiale, Long John il timoniere. Gli chiesero dov’era nascosto il tesoro. – Oh – disse lui – potete andare a terra se così vi piace e rimanerci, ma il bastimento deve salpare subito, per tutti i fulmini! – Tre anni dopo ero su un’altra nave quando avvistammo quest’isola. – Ragazzi – dissi – lì c’è il tesoro di Flint. Vogliamo scendere a cercarlo? Al capitano la cosa non piacque, ma i miei compagni furono tutti d’accordo e sbarcammo. Per dodici giorni cercarono, sempre più arrabbiati con me, finché un bel mattino tornarono tutti a bordo. – Quanto a te, Benjamin Gunn, eccoti un moschetto2 – mi dissero – una vanga e una pala. Puoi rimanere qui e trovarlo da solo il tesoro di Flint. – E così, Jim, tre anni sono rimasto qui e in tutto questo tempo senza un boccone di cibo da cristiano. Ora tu riporta queste precise parole al Cavaliere: – Ben Gunn non era un semplice marinaio. Tre anni è rimasto solo in quest’isola: a volte ha detto una preghiera, a volte ha pensato alla sua vecchia madre, sperando che fosse ancora viva, ma la maggior parte del suo tempo l’ha spesa in un’altra faccenda. Egli è un uomo onesto e ripone molta più fiducia in un gentiluomo di nascita che in questi avventurieri, essendo stato lui stesso uno di questi. – Bene – dissi io. – Non ho capito un accidenti di quel che avete detto. Ma ciò non conta dal momento che non so come tornare a bordo. – Ah – fece lui – questo è un guaio, ma c’è la mia barca che ho fabbricato con le mie mani. La tengo al riparo sotto la roccia bianca. Potremo servircene a notte inoltrata. Uh! – esclamò a un tratto. – Che succede? 2

Moschetto: arma da fuoco portatile.

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Parte Terza - La mia avventura a terra

In quel momento, ad un’ora o due lontano dal tramonto, tutti gli echi dell’isola si svegliarono rispondendo al tuono di un colpo di cannone. – Hanno incominciato la battaglia – gridai. – Seguitemi. Dimenticando tutti i miei terrori, mi buttai a correre verso l’ancoraggio, mentre Ben Gunn trotterellava agile e leggero al mio fianco. – A sinistra! A sinistra! – ansimava lui. – Tieniti a sinistra, compagno Jim! Sotto gli alberi! È lì che ho ucciso la mia prima capra. Esse non osano più scendere fin lì: sono accampate sulle montagne per paura di Ben Gunn. Ah! Quello è il cimitero. Vedi i tumuli3? Vengo qui a pregare ogni tanto, quando penso che sia domenica. Non è proprio una cappella, ma è un luogo solenne, anche se senza cappellano, bibbia e bandiera. In questo modo continuava a parlare mentre correvamo, senza aspettare né ricevere risposta. Il colpo di cannone fu seguito, dopo una lunga pausa, da una scarica di moschetti. Un’altra pausa e poi, a meno di un quarto di miglio davanti a me, io potei scorgere la bandiera britannica che sventolava sopra le cime degli alberi.

Tumuli: monticelli di terra elevati sopra le tombe.

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Il vecchio lupo di mare all’Ammiraglio Benbow

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16. Il dottore continua il racconto: come la nave fu abbandonata Era circa l’una e mezzo quando le due scialuppe dell’Hispaniola si diressero verso terra. Il capitano, il cavaliere ed io stavamo in cabina discutendo della situazione. Ci fosse stato un po’ di vento saremmo piombati sugli ammutinati rimasti con noi a bordo, avremmo salpato e preso il largo. Ma il vento mancava e, come se non bastasse, Hunter arrivò con la notizia che Jim Hawkins era entrato in una scialuppa ed andato a terra con gli altri. Nessuno di noi dubitò di Jim Hawkins, ma iniziammo a preoccuparci per la sua vita. Corremmo sul ponte. Il tanfo nauseabondo che c’era nell’aria, di febbre e dissenteria1, mi rivoltava lo stomaco. I sei furfanti erano seduti sul castello di prua, borbottando, dietro una vela. Vicino alla terra potevamo scorgere le due scialuppe ancorate con un uomo a sedere in ciascuna. L’attesa era snervante perciò decidemmo che Hunter ed io saremmo scesi a terra con la barchetta in cerca di notizie. Le scialuppe avevano accostato a destra; Hunter ed io, invece, puntammo diritto verso il fortino segnato sulla carta. I due uomini a guardia delle scialuppe rimasero stupiti alla nostra vista ma, avendo ricevuto istruzioni precise, rimasero tranquillamente dov’erano. Ben presto perdemmo di vista le due imbarcazioni e toccammo terra. Saltai fuori dalla barchetta con un fazzolettone di seta sotto il cappello per proteggermi dal caldo ed un paio di pistole cariche; mi incamminai e dopo meno di cen Dissenteria: malattia infettiva a carico dell’apparato digerente, causata dall’ingestione di alimenti infetti o di acqua contenente microrganismi.

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16. Il dottore continua il racconto: come la nave fu abbandonata

to yarde2 arrivai al fortino. Ecco in che cosa consisteva: sulla sommità di una collina, dove sgorgava una sorgente d’acqua limpida, era stata costruita con dei tronchi d’albero una robusta capanna, con feritoie ai lati, capace di contenere una quarantina di uomini. Tutt’intorno avevano disboscato un ampio spazio e il sistema difensivo era completato da uno steccato alto sei piedi, troppo solido per essere abbattuto in breve tempo e troppo esposto per poter coprire gli assalitori. Questi ultimi rimanevano così allo scoperto e sotto il tiro degli uomini all’interno del fortino i quali da lì, facendo buona guardia ed avendo a disposizione una scorta di viveri, avrebbero potuto tener testa anche ad un reggimento. Ciò che mi attrasse fu la sorgente, infatti nella cabina dell’Hispaniola custodivamo armi e munizioni in abbondanza, viveri e vini squisiti, ma non acqua. Stavo pensando a ciò quando il grido d’un uomo in fin di vita risuonò sull’isola. Non sono un novellino in fatto di morte violenta: ho servito Sua Altezza Reale il Duca di Cumberland3 e sono stato io stesso ferito a Fontenoy4; ciò nonostante il mio cuore si mise a battere all’impazzata. “Jim Hawkins è spacciato!” fu il mio primo pensiero. Decisi subito di ritornare indietro: arrivai sulla spiaggia, saltai nella barchetta e, grazie all’abilità di rematore di Hunter, raggiungemmo in breve tempo la goletta e salimmo a bordo. Trovai i miei compagni profondamente scossi: il ca Yarde: la yarda è l’unità di misura di lunghezza utilizzata nei paesi anglosassoni, corrispondente a a 0,9144 metri. 3 Duca di Cumberland: Guglielmo, duca di Cumberland (1721-1765), figlio di re Giorgio II d’Inghilterra, comandante in capo in varie battaglie della prima metà del 1700 contro i francesi, nel corso della Guerra di successione austriaca. 4 Fontenoy: villaggio belga, teatro della battaglia omonima combattuta l’11 maggio 1745 tra l’esercito del Duca di Cumberland e quello del francese Maurizio di Sassonia, nel corso della Guerra di successione austriaca. 2

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Parte Quarta - Il Fortino

valiere era seduto, pallido come un cencio, forse pensando al guaio in cui ci aveva cacciati; uno dei sei uomini di prua, dopo aver sentito il grido, non aveva l’aria di stare molto meglio. Il capitano Smollett, puntando l’indice verso di lui, disse: – Poco è mancato che quell’uomo non svenisse, dottore, dopo aver sentito il grido. Tra poco sarà dei nostri. Io esposi il mio piano al capitano e d’accordo ne stabilimmo i particolari. Collocammo il vecchio Redruth nel passaggio tra la cabina e il castello di prua con tre o quattro moschetti carichi e un materasso per ripararsi. Hunter portò la barchetta sotto la finestra di poppa e Joyce ed io ci affrettammo a caricarla di cassette di polvere, moschetti, sacchi di gallette5, barili di lardo, una botticella di acquavite6 e la mia preziosa cassetta di medicazione. Frattanto il cavaliere e il capitano erano rimasti sul ponte; quest’ultimo chiamò il timoniere, che era il marinaio di grado più elevato a bordo, e disse: – Signor Hands, siamo in due con un paio di pistole ciascuno. Se uno di voi fa il più piccolo segnale, è un uomo morto. Essi furono colti di sorpresa e dopo una breve consultazione si precipitarono nel boccaporto di prua, pensando di poterci prendere alle spalle, ma quando videro Redruth che sbarrava loro il passo nel corridoio, ritornarono indietro e una testa fece capolino sul ponte. – Giù, cane! – intimò il capitano. La testa sparì e per un po’ non sentimmo altro di quei sei vigliacchi. Intanto, gettando dentro la roba a caso, avevamo caricato la barchetta al massimo. Joyce ed io ci calammo dalla finestra di poppa e, Gallette: tipi di biscotti realizzati con farina, acqua e talvolta sale, semplici e durevoli, per questo usati durante i lunghi viaggi in mare. 6 Acquavite: prodotto alcolico derivato dalla distillazione di un liquido zuccherino fermentabile, in genere di origine vegetale. 5

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16. Il dottore continua il racconto: come la nave fu abbandonata

remando a gran forza, di nuovo ci dirigemmo a terra. Questo secondo viaggio più del precedente suscitò l’attenzione dei due marinai nelle scialuppe: uno di essi infatti saltò a terra e scomparve. Ebbi una mezza idea di distruggere le loro scialuppe, ma Silver e gli altri potevano essere lì vicino e non volli rischiare. Presto toccammo terra nello stesso punto di prima e ci accingemmo ad approvvigionare il fortino. Facemmo il primo viaggio ben carichi e lanciammo le nostre provviste al di là dello steccato. Poi lasciammo Joyce di sorveglianza con una mezza dozzina di moschetti, mentre Hunter ed io ritornavamo alla barchetta per un altro carico. Continuammo così senza sosta finché l’intero carico non fu sistemato: allora i due servitori presero posto nel fortino ed io, remando a tutta forza, tornai verso l’Hispaniola. Il cavaliere, ripresosi dallo scoraggiamento, mi aspettava alla finestra di poppa e riprendemmo a caricare la barchetta di lardo, polvere e gallette, tenendo con noi un solo moschetto e un coltellaccio a testa; gettammo invece in mare il resto delle armi e delle munizioni. In quel momento la marea cominciava a calare e la goletta dondolava intorno alla sua ancora. Si sentivano, affievolite dalla lontananza, delle voci di richiamo fra le due scialuppe e perciò affrettammo la nostra partenza. Redruth abbandonò il suo posto nel corridoio, saltò nella barchetta che noi conducemmo a poppa per far salire il capitano Smollett. – Marinai – gridò questi – mi sentite? Dal castello di prua non giunse nessuna risposta. – È a te, Abraham Gray, che parlo. Ancora nessuna risposta. – Gray – riprese il capitano alzando un poco la voce – io sto per abbandonare il bastimento e ti ordino di seguire il 103


Parte Quarta - Il Fortino

tuo capitano. So che sei un brav’uomo e penso che nessuno degli altri sia malvagio come vorrebbe sembrare. Ho l’orologio in mano: ti do trenta secondi per raggiungermi. Seguì una pausa. – Su, amico mio, vieni – continuò il capitano – ogni secondo che passa mette in pericolo me e i signori qui presenti... Si sentì un tafferuglio, un rumore di rissa, Abraham Gray scattò fuori con il segno di una coltellata sulla guancia e raggiunse di corsa il capitano. – Sono con voi, signore – ansimò. Subito dopo lui e il capitano si calarono nella barchetta e prendemmo il largo. Eravamo fuori della nave, ma non ancora a terra nel nostro fortino.

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17. Continua il racconto del dottore: l’ultimo viaggio della barchetta Il quinto viaggio fu molto diverso dagli altri. Innanzitutto il guscio di noce che ci portava era sovraccarico: cinque uomini adulti, tre dei quali – Trelawney, Redruth e il capitano – alti più di sei piedi, costituivano un peso superiore alla sua portata. Erano poi da aggiungere la polvere, il lardo ed i sacchi di gallette. Iniziammo ad imbarcare acqua e dopo un centinaio di metri i calzoni e le falde del mio abito erano completamente inzuppati. Il capitano ci fece sistemare il carico e riuscimmo ad equilibrare meglio la barchetta. Altro problema era costituito dalla corrente che ci deviava dalla nostra rotta e ci spingeva lontano dal punto di approdo, dietro il promontorio, e in direzione delle due scialuppe con gli uomini a bordo. – Non riesco a mantenere la prua in direzione del fortino, signore – dissi al capitano. Io ero al timone mentre lui e Redruth, entrambi in forze, remavano. – La marea ci trascina via. Non potreste remare un po’ più forte? – La barchetta si riempirebbe d’acqua – disse lui. – Dovete tener duro, signore, finché non avremo ripreso la rotta giusta. Io provai e verificai che la marea continuava a spingerci ad ovest finché non misi la prua in pieno est, ad angolo retto rispetto alla direzione che dovevamo seguire. – In questo modo non approderemo mai – osservai. – Se è questa l’unica rotta che possiamo tenere, dobbiamo mantenerla – replicò il capitano. – Vedete, signore, se ci lasciamo mettere sottovento rispetto al punto di approdo, è difficile dire dove toccheremo terra, oltre al rischio di essere attaccati dagli uomini delle scialuppe; sulla rotta che

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Parte Quarta - Il Fortino

noi seguiamo la corrente dovrà diminuire e allora potremo spostarci lungo la costa. – La corrente è già diminuita, signore – disse il marinaio Gray che era a prua. – Potete allentare un po’. – Grazie, ragazzo mio – risposi come se niente fra di noi fosse accaduto, poiché ormai lo consideravamo uno dei nostri. D’improvviso il capitano gridò: – Il cannone! – Ci ho pensato – dissi io credendo che egli alludesse a un bombardamento del forte. – Ma non saranno in grado di sbarcare il cannone e, anche se ci riuscissero, non potrebbero trasportarlo attraverso i boschi. – Guardate indietro, a poppa, dottore – replicò il capitano. Noi avevamo completamente dimenticato il cannone e con orrore vedemmo i cinque banditi intenti a togliergli il fodero di grossa tela cerata che durante la navigazione lo ricopriva. Mi venne anche in mente che avevamo lasciato a bordo palle e polvere da cannone. – Israel era il cannoniere di Flint – disse Gray con voce roca. Sfidando ogni pericolo ci dirigemmo verso il punto di approdo allontanandoci dalla zona in cui la corrente era più forte. La rotta che stavo seguendo però offriva all’Hispaniola il fianco invece della prua della nostra barchetta, quindi un bersaglio largo quanto una porta di granaio. Riuscii a vedere e ad udire quel bandito di Israel Hands gettare sul ponte una palla. – Chi di voi due è il miglior tiratore? – chiese il capitano. – Il signor Trelawney, senza dubbio – risposi io. – Signor Trelawney, volete avere la cortesia di togliermi di mezzo uno di quegli uomini? Hands possibilmente? – disse il capitano. Mentre noi eravamo attenti a mantenere l’equilibrio della 106


17. Continua il racconto del dottore

barchetta, Trelawney spianò il fucile e lo puntò contro Hands che stava vicino alla bocca del cannone. La fortuna non ci fu amica perché il bandito si chinò nel preciso istante in cui il cavaliere faceva fuoco. La palla gli fischiò sopra la testa e a cadere fu un altro dei quattro. Al grido del colpito fecero eco i suoi compagni di bordo e una moltitudine di voci dalla spiaggia: erano i pirati che sbucavano dai boschi e correvano a prendere posto nelle imbarcazioni. – Ecco le scialuppe che arrivano – dissi io. – Allora via! – gridò il capitano. – Non importa se imbarchiamo acqua. Se non riusciamo ad approdare è finita. – Una sola delle scialuppe è equipaggiata, signore – aggiunsi. – Gli uomini a bordo dell’altra faranno di sicuro il giro della spiaggia per tagliarci la strada. – I marinai non valgono niente a terra! – replicò il capitano. – Non mi preoccupano loro, ma il cannone. Neanche una domestica di mia moglie mancherebbe il bersaglio! Avvertiteci, cavaliere, appena vedete che stanno per far fuoco! Frattanto eravamo ormai vicini alla spiaggia: ancora trenta o quaranta colpi di remo e l’avremmo raggiunta. La scialuppa non costituiva più un pericolo: il piccolo promontorio l’aveva già nascosta ai nostri occhi. L’unica minaccia rimaneva il cannone. – Se io osassi – disse il capitano – mi fermerei e farei fuori un altro uomo. Ma era evidente che dall’Hispaniola, dove il compagno ferito non era stato degnato di uno sguardo e stava trascinandosi via da lì, erano pronti a lanciare il colpo di cannone. – Pronti! – gridò il cavaliere. – Via! – comandò il capitano. E lui e Redruth remarono con una tale forza che la poppa andò interamente sommersa. Il colpo scoppiò nello stesso istante e fu udito da Jim, che non aveva invece percepito la fucilata del cavaliere. 107


Parte Quarta - Il Fortino

Dove passò la palla nessuno di noi seppe con precisione, forse sopra le nostre teste e lo spostamento d’aria contribuì al nostro disastro: la barchetta affondò da poppa piano piano. Nessuna vittima tra noi che potemmo raggiungere a guado la riva, ma tutte le nostre provviste e tre dei cinque fucili andarono a fondo con l’imbarcazione. La nostra preoccupazione aumentò all’udire voci che attraverso i boschi si avvicinavano sempre più. Temevamo non solo di essere tagliati fuori dal fortino, ma anche che Hunter e Joyce fossero attaccati da quella mezza dozzina di uomini e non riuscissero a resistere. Hunter era un uomo risoluto, ma Joyce, l’amabile e garbato domestico abile nell’arte di spazzolare abiti, non sembrava adatto a fare il guerriero. Presi da simili pensieri raggiungemmo la riva lasciando alle nostre spalle l’infelice barchetta e una buona metà delle nostre polveri e provviste.

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18. Continua il racconto del dottore: fine della prima giornata di combattimento

A tutta velocità attraversammo la zona boscosa che ci separava dal fortino sentendo a ogni passo le grida dei pirati farsi più vicine. Mi resi conto che avremmo avuto a breve un serio scontro e controllai l’innesco1 del mio moschetto. – Capitano – dissi – Trelawney è un ottimo tiratore. Dategli il vostro fucile: il suo è inservibile. Scambiarono i fucili e Trelawney, muto e impassibile com’era stato fin dall’inizio del trambusto, si accertò che l’arma fosse in ordine. In quel momento io, resomi conto che Gray era disarmato, gli porsi il mio coltellaccio. Egli agitò nell’aria la lama facendola sibilare e noi ne fummo rincuorati perché ogni suo gesto mostrava coraggio e forza. Quaranta passi più in là giungemmo al limite del bosco e vedemmo davanti a noi la palizzata. Varcammo il recinto e quasi nello stesso istante sette rivoltosi con Job Anderson alla testa apparvero gridando all’angolo di sud-ovest. Si fermarono come sconcertati e, prima che si riavessero dalla sorpresa, il cavaliere, io, Hunter e Joyce dall’interno del fortino iniziammo a far fuoco. Uno dei banditi cadde e gli altri si lanciarono a capofitto nella macchia. Dopo aver ricaricato andammo verso l’esterno della palizzata e verificammo che il nemico colpito era morto. Stavamo rallegrandoci del nostro successo quando si udì un colpo di pistola, una palla mi fischiò vicino all’orecchio e Tom Redruth si abbatté al suolo.

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Innesco: congegno che provoca lo scoppio della carica di un proiettile.

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Parte Quarta - Il Fortino

Il cavaliere ed io rispondemmo al colpo senza sapere dove mirare. Ricaricammo un’altra volta e poi ci occupammo del povero Tom. Il capitano e Gray erano già curvi su di lui ed io con un’occhiata m’accorsi che non c’era più nulla da fare. I ribelli sembravano al momento essersi dispersi, per cui avemmo il tempo di sollevare il corpo del vecchio guardacaccia, issarlo al disopra dello steccato e portarlo gemente e sanguinante all’interno del fortino. Il vecchio Tom non aveva mai pronunciato una parola di sorpresa, di lamento, di paura o anche solo di rassegnazione dall’inizio dei nostri guai fino al momento in cui l’avevamo deposto lì dove doveva morire. Si era appostato dietro il materasso come un valoroso troiano, aveva eseguito ogni comando silenziosamente, bene e con assoluta devozione; era di vent’anni il più anziano dei nostri ed ecco toccava morire a lui, vecchio e fedele servitore. Il cavaliere cadde in ginocchio accanto a lui e gli baciò la mano piangendo come un fanciullo. – Me ne vado dottore? – chiese il moribondo. – Tom, amico mio – risposi – tu ritorni al Creatore. – Avrei desiderato far assaggiare qualche confetto del mio fucile a quelli là... – Tom – proruppe il cavaliere – dimmi che mi perdoni. – Vi pare che sarebbe rispettoso da parte mia? Comunque così sia. Amen! Dopo un breve silenzio chiese che qualcuno gli leggesse una preghiera: – È l’usanza, signore – aggiunse come per scusarsi. E poco dopo spirò. Intanto il capitano aveva tirato fuori dal petto e dalle tasche diverse cose: la bandiera britannica, una bibbia, un rotolo di corda robusta, penna e calamaio, il libro di bordo e qualche libbra di tabacco. Trovato poi nel recinto un lun110


18. Continua il racconto del dottore: fine della prima giornata

go abete abbattuto e spoglio, l’aveva drizzato con l’aiuto di Hunter e, salito sul tetto, aveva spiegato e issato la bandiera. Dopo di che rientrò nel fortino e passò in rassegna le provviste; continuò a tenere d’occhio Tom e quando questi spirò distese sul suo cadavere un’altra bandiera. – Non vi abbattete, signore – disse al cavaliere stringendogli la mano. – Egli è morto compiendo il proprio dovere verso il capitano e verso l’armatore. Poi mi tirò in disparte. – Dottor Livesey – mi chiese – fra quante settimane prevedete che arriverà l’altra nave? Gli risposi che non si trattava di settimane ma di mesi; Blandly avrebbe mandato a cercarci solo se non fossimo tornati alla fine d’agosto. – Ebbene – riprese il capitano grattandosi la testa – mi pare di capire che siamo messi piuttosto male. – Cioè? – domandai. – È un guaio aver perduto il secondo carico, ecco cosa intendevo dire – replicò il capitano. – Le munizioni possono bastare, ma i viveri sono scarsi, tanto che, dottor Livesey, è quasi un bene ritrovarci con una bocca di meno. – E accennò al corpo che giaceva sotto la bandiera. In quel momento con un sibilo una palla passò al disopra del tetto del fortino e andò a cadere lontano da noi, nel bosco. – Oh! – esclamò il capitano. – Sparate pure! Ne avete già poca di polvere, ragazzi miei! Il secondo colpo mostrò una mira migliore e il proiettile cadde all’interno della palizzata senza provocare nessun altro danno. – Capitano – fece il cavaliere – il fortino è fuori della visuale della nave. Probabilmente mirano alla bandiera. Non sarebbe meglio abbassarla? – Ammainare la mia bandiera? – gridò il capitano – 111


Parte Quarta - Il Fortino

No, signore, mai! – E tutti fummo d’accordo con lui perché avremmo mostrato al nemico che non temevamo le sue cannonate. Per tutta la serata continuarono a bombardare, ma le palle o non arrivavano a noi o ci oltrepassavano. Non c’era pericolo di rimbalzi e, nonostante un proiettile fosse penetrato dal tetto nella casa andando a conficcarsi nel pavimento, presto ci abituammo a quel gioco violento come se fosse una partita di cricket2. – C’è una cosa buona in tutto questo – osservò il capitano – il bosco davanti a noi è sgombro, la marea si sta ritirando; le nostre provviste dovrebbero trovarsi all’asciutto. C’è qualcuno che si offre volontario per andare a prendere il lardo? Gray e Hunter si fecero avanti per primi. Armati fino ai denti si lanciarono fuori dalla palizzata, ma invano, perché gli ammutinati si stavano già impadronendo delle provviste e le trasportavano a guado in una delle scialuppe lì vicino che alcuni colpi di remo mantenevano ferma contro la corrente. Silver, installato a poppa, era al comando e ognuno di loro era munito di un moschetto proveniente da qualche deposito segreto. Il capitano intanto seduto davanti al libro di bordo annotava: “Alessandro Smollett, capitano; Davide Livesey, medico di bordo; Abraham Gray, secondo carpentiere3; John Trelawney, armatore; John Hunter e Riccardo Joyce, servi dell’armatore (i soli dell’intero equipaggio rimasti fedeli), avendo viveri per dieci giorni a mezza razione Cricket: gioco di origine inglese praticato all’aria aperta da due squadre, ciascuna di undici giocatori, che si alternano all’attacco e devono colpire la porta avversaria, difesa da un battitore fornito di mazza. 3 Carpentiere: marinaio addetto alla costruzione o manutenzione di strutture portanti in ferro e in legno. 2

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18. Continua il racconto del dottore: fine della prima giornata

sbarcarono oggi e issarono la bandiera britannica sul fortino dell’Isola del Tesoro. Tomaso Redruth, servo dell’armatore, guardacaccia, ucciso dai ribelli; James Hawkins, mozzo...” Proprio in quel momento, mentre io mi stavo chiedendo che cosa poteva essere accaduto al ragazzo, si sentì una voce dalla parte di terra. – Qualcuno ci chiama – disse Hunter che era di guardia. – Dottore! Cavaliere! Capitano! Hunter, siete voi? – gridò la voce. Io corsi alla porta e vidi Jim Hawkins, sano e salvo, che scavalcava la palizzata.

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19. Il racconto è ripreso da Jim Hawkins: la guarnigione del fortino

Non appena vide la bandiera, Ben Gunn si fermò, mi trattenne per un braccio e sedette. – Guarda, sono i tuoi compagni – disse – non c’è dubbio. – È più probabile che siano gli ammutinati – feci io. – Cosa? In un posto come questo dove approdano solo i pirati, Silver avrebbe issato la bandiera nera. Sono i tuoi compagni, ti dico. C’è stata battaglia e credo che i tuoi se la siano cavata e ora si trovino nel fortino fatto costruire anni fa da Flint. Ah, aveva un gran cervello Flint! A parte il rum, non c’è mai stato un altro del suo stampo; nessuno gli faceva paura, a parte Silver. – Bene – dissi io – se è così mi devo affrettare per raggiungere i miei. – Io non verrò con te – affermò Ben – finché non avrò visto quel tuo gentiluomo e ottenuto la sua parola d’onore. E non dimenticare le mie parole: “Grandissima, grandissima fiducia”. E quando ci sarà bisogno di Ben Gunn, tu sai dove trovarlo, Jim. Esattamente dove lo hai trovato oggi. E chi verrà, tenga in mano qualcosa di bianco e venga da solo. E tu dirai: “Ben Gunn ha le sue buone ragioni”. – Bene – dissi io. – Credo di aver capito. Voi avete una proposta da fare e desiderate vedere il cavaliere o il dottore e vi si troverà dove io vi ho incontrato. È tutto? – E quando? – aggiunse. – Ebbene, facciamo da mezzogiorno alle sei all’incirca. – Va bene – dissi. – Ora posso andare? – Non dimenticarti – aggiunse ansiosamente. – “Gran-

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19. Il racconto è ripreso da Jim Hawkins: la guarnigione del fortino

dissima fiducia” e “le sue buone ragioni”. Puoi andare, Jim, e se per caso vedessi Silver, tu non tradirai Ben Gunn, è così? Nemmeno con la tortura, vero? A questo punto fu interrotto da una forte detonazione: una palla di cannone arrivò squarciando gli alberi e andando ad affondare nella sabbia a meno di cinquanta metri da noi. Fuggimmo ciascuno per la propria direzione. Per un’ora buona colpi frequenti scossero l’isola e le palle si schiantarono contro il bosco mentre io correvo da un nascondiglio all’altro. Verso la fine del bombardamento cominciai a riprendere coraggio e, dopo un lungo giro verso est, strisciando fra gli alberi, scesi verso la riva. Il sole era appena tramontato: la brezza marina si alzava, la marea si era ritirata scoprendo larghi tratti di sabbia; l’aria fredda mi pungeva attraverso la giubba. L’Hispaniola era sempre ancorata allo stesso posto, ma in cima all’albero maestro sventolava il Jolly Roger1, la bandiera nera dei pirati. Mentre stavo guardando, un’altra palla tagliò l’aria sibilando. Era la fine del bombardamento. Rimasi qualche tempo a osservare il trambusto che seguì all’attacco. Sulla spiaggia vicino alla palizzata alcuni stavano demolendo qualcosa a colpi d’ascia: era la nostra piccola barchetta, come venni a sapere in seguito. Più in là, vicino all’imboccatura del fiume, un gran fuoco bruciava in mezzo agli alberi e mostrava una delle scialuppe che faceva la spola tra quel punto e la nave. Gli uomini, remando, schiamazzavano allegri, forse per il rum bevuto. Mi parve il momento opportuno per dirigermi verso il fortino. Alzatomi in piedi, vidi un po’ più in là sorgere tra i cespugli bassi, molto alta nel cielo e di un candore incon1

Jolly Roger: bandiera dei pirati europei e americani con due tibie incrociate sovrastate da un teschio bianco, su fondo nero.

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Parte Quarta - Il Fortino

sueto, una rupe isolata e pensai che fosse quella di cui Ben Gunn mi aveva parlato dicendo che, se avessi avuto bisogno di una barca, avrei saputo dove cercarla. Camminando rasente la boscaglia, raggiunsi la parte posteriore della palizzata e fui presto accolto calorosamente dai fedeli compagni. Raccontai immediatamente la mia storia dopo di che cominciai a guardarmi intorno. Il fortino era fatto di tronchi di pino. Il pavimento superava qua e là di un piede o un piede e mezzo il livello della sabbia. C’era un portico all’ingresso dove la piccola sorgente scaturiva gettandosi dentro una vasca formata da una caldaia di ferro di nave, privata del suo fondo e interrata nella sabbia. Poco rimaneva oltre alla struttura della casa; solo in un angolo si vedeva una lastra di pietra usata come focolare ed un vecchio e arrugginito recipiente di ferro per contenere il fuoco. I pendii della collinetta e tutto l’interno della palizzata erano stati liberati dagli alberi per costruire il fortino; dopo l’abbattimento delle piante quasi tutto il terreno era stato asportato dalle acque o seppellito sotto la sabbia; soltanto dove il piccolo ruscello scorreva, si notava il verde del muschio, di alcune felci e cespugli. Addossato alla palizzata, troppo vicino per potersi difendere, dicevano, si estendeva un bosco lussureggiante formato di pini e querce sempreverdi. La fresca brezza serale fischiava attraverso le fessure della rozza costruzione e copriva il pavimento di sabbia fine, sabbia che entrava nei nostri occhi, tra i nostri denti, nelle nostre minestre. Il nostro camino era un buco quadrato nel tetto: solo una parte del fumo usciva di lì, il resto turbinava per la casa facendoci tossire e lacrimare. Come se non bastasse, Gray, il nuovo venuto, aveva la 116


19. Il racconto è ripreso da Jim Hawkins: la guarnigione del fortino

testa fasciata per una ferita riportata svicolandosi dagli ammutinati e il povero vecchio Tom, ancora non sepolto, giaceva lungo il muro rigido sotto la bandiera. La malinconia avrebbe preso il sopravvento se fossimo rimasti oziosi, ma il capitano Smollett ci mise subito al lavoro. Ci divise infatti in due squadre: da una parte il dottore, Gray ed io; dall’altra il cavaliere, Hunter e Joyce. Due furono mandati a fare legna nel bosco, altri due messi a scavare la fossa per Redruth; il dottore fu nominato cuoco; io fui messo di guardia alla porta e il capitano andava dall’uno all’altro incoraggiandoci e dando una mano ove occorresse. Ogni tanto il dottore veniva alla porta a respirare un po’ d’aria e a riposare i suoi occhi irritati dal fumo e ogni volta aveva una parola per me. – Questo Smollett – mi disse una volta – vale più di me. Un’altra volta rimase in silenzio per un po’, poi mi chiese: – Questo Ben Gunn che tipo è? – Non saprei, signore – risposi. – Non sono sicuro che sia sano di mente. – Ebbene, Jim – riprese il dottore – un uomo rimasto tre anni a rosicchiarsi le unghie sopra un’isola deserta non potrà essere sano di mente come noi. Sarebbe contrario alla natura. Mi dicevi che sospirava un pezzo di formaggio, no? – Sì, signore, formaggio – risposi. – Ebbene, Jim, vedi i vantaggi dell’essere ghiotto? Nella mia tabacchiera (tu non mi hai mai visto prendere tabacco, no?) tengo un pezzo di formaggio parmigiano: un formaggio molto nutriente fabbricato in Italia. Sarà per Ben Gunn. Prima di cenare seppellimmo il vecchio Tom nella sabbia e restammo raccolti intorno a lui per alcuni istanti a capo scoperto. Era stata raccolta una discreta quantità di legna, ma non sufficiente secondo il capitano, per cui l’indomani mattina bisognava rimettersi al lavoro con più impegno. 117


Parte Quarta - Il Fortino

Dopo aver mangiato il nostro lardo e bevuto ciascuno un buon bicchiere di ponce all’acquavite, i tre capi si riunirono in un angolo ad esaminare la situazione. Sembrava non sapessero che pesci prendere essendo le provviste così scarse che la fame ci avrebbe costretti ad arrenderci prima che arrivassero i soccorsi. L’unica soluzione, conclusero, era quella di uccidere altri pirati fino a costringerli ad ammainare la loro bandiera o a scappare con l’Hispaniola. Da diciannove erano già ridotti a quindici; altri due erano feriti ed uno, il marinaio colpito vicino al cannone, in gravi condizioni o morto. Se si presentava l’occasione dovevamo sparare, stando bene attenti a non farci colpire. Avevamo inoltre due potenti alleati: il rum e il clima. Quanto al primo, nonostante la distanza, li sentivamo strepitare e cantare fino a notte tarda; quanto al secondo, il dottore scommetteva la sua parrucca che accampati com’erano nella palude e privi di medicine, entro una settimana metà di loro si sarebbe ammalata. – Sicché – aggiunse – se non ci uccidono prima, non gli sembrerà vero di potersela filare con l’Hispaniola. È pur sempre una nave e potranno riprendere il loro mestiere. – Sarà il primo bastimento che perdo – disse il capitano. Io ero stanco morto, come si può immaginare, e quando mi coricai dormii come un ghiro. Gli altri erano in piedi da un pezzo, avevano già fatto colazione e aumentato di un’altra buona metà il mucchio della legna quando fui svegliato da un trambusto e suono di voci. – Bandiera bianca! – sentii dire e poi, subito dopo, con un grido di sorpresa: – Silver in persona! Allora balzai in piedi e stropicciandomi gli occhi corsi ad una feritoia.

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20. L’ambasciata di Silver

In verità c’erano due uomini fuori dello steccato: uno sventolava un panno bianco e l’altro era Silver in persona. Nonostante il cielo fosse chiaro e pulito e le cime degli alberi si colorassero di rosa nel sole, i due stavano in un punto ancora in ombra ed apparivano immersi fino al ginocchio in un denso e biancastro vapore che era salito durante la notte dalla palude. – Restate dentro – avvertì il capitano. – Dieci contro uno che questo è un tranello. Poi si rivolse al filibustiere: – Chi va là? Fermo o sparo. – Bandiera bianca – gridò Silver. Il capitano era sotto il portico, attento a non esporsi ad un colpo sparato a tradimento, e rivolto a noi ordinò: – La squadra del dottore vada a fare la guardia. Dottor Livesey, mettetevi al lato nord; Jim ad est, Gray ad ovest. L’altra squadra a caricare i moschetti. Svegli, ragazzi, e attenti. Poi si rivolse di nuovo ai ribelli. – E voi cosa volete con la vostra bandiera bianca? L’altro uomo rispose: – È il capitano Silver, signore, che viene a trattare. – Il capitano Silver? E chi è? – gridò il capitano. E tra sé e sé lo sentimmo aggiungere: – Capitano! Perbacco, che promozione! Long John intervenne: – Sono io, signore. Questi poveri ragazzi hanno scelto me per capitano dopo la vostra diserzione – e accentuò la parola “diserzione”. – Noi siamo pronti ad arrenderci purché ci si intenda sulle condizioni. Vi chiedo, capitano Smollett, sulla vostra parola, di lasciarmi uscire sano e salvo da questo recinto e di concedermi un minuto per portarmi fuori tiro prima che sia sparato un colpo di fucile.

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Parte Quarta - Il Fortino

– Amico – disse il capitano Smollett – non ho affatto intenzione di parlare con voi. Se avete qualcosa da dirmi, potete entrare. Se tradimento ci sarà, verrà da parte vostra. – La vostra parola mi basta, capitano – esclamò Long John allegramente. – So riconoscere un galantuomo, statene certo. Vedemmo l’uomo con la bandiera bianca tentare di trattenere Silver, a motivo della risposta sprezzante del capitano. Silver gli rise sonoramente in faccia, gli dette una pacca sulla spalla come se l’ipotesi di un pericolo fosse stata assurda. Poi si avvicinò alla palizzata, gettò al di sopra di essa la sua stampella e con grande vigore e abilità scavalcò il recinto e si lasciò cadere illeso dall’altra parte. Confesso che m’interessava così tanto ciò che stava accadendo che lasciai la feritoia dove dovevo stare di guardia per sgusciare dietro al capitano, il quale stava ora seduto sulla soglia con i gomiti sulle ginocchia, la testa nelle mani e gli occhi fissi nell’acqua che gorgogliava fischiettando un motivo. Silver scalò con fatica la collinetta e giunse davanti al capitano che salutò con gentilezza. Indossava un’enorme giacca blu carica di bottoni d’ottone, che gli arrivava fino alle ginocchia, e un cappello riccamente gallonato1 gli scendeva sulla nuca. – Eccovi qui – disse il capitano alzando il capo. – Ma fareste meglio a sedere. – Non vorreste lasciarmi entrare, capitano? – si lamentò Long John. – È una mattinata troppo fredda per sedere fuori sulla sabbia. – Eh Silver – obiettò il capitano. – Se vi fosse piaciuto di Gallonato: ornato di distintivi di grado.

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20. L’ambasciata di Silver

rimanere onesto, ora vi trovereste a sedere nella vostra cucina. Colpa vostra. O siete il cuoco della mia goletta o siete il capitano Silver, un volgare ribelle e pirata e in questo caso potete andare al diavolo! – Bene bene – replicò il cuoco sedendo sulla sabbia come gli era stato ordinato – mi darete poi una mano per rialzarmi, ecco tutto. Ma che posticino delizioso avete trovato! Ah, ecco Jim, buongiorno a te! Dottore, i miei rispetti. Ebbene, eccovi tutti riuniti insieme come una famiglia felice, per così dire. – Se avete qualcosa da dire, amico mio, è meglio che vi sbrighiate – disse il capitano. – Giusto, capitano Smollett – replicò Silver. – Ebbene sentite: ci avete giocato un bel tiro l’altra notte. Parecchi di voi sono abili a tirare i colpi e non negherò che ne siamo rimasti impressionati, per questo sono qui a trattare. Ma badate bene, capitano: non si ripeterà un’altra volta! Faremo buona guardia e berremo meno rum. Voi forse pensate che eravamo tutti quanti ubriachi fradici, ma vi assicuro che io non avevo bevuto un goccio, soltanto ero stanco morto; se mi fossi risvegliato un secondo prima, vi avrei colto sul fatto. – E allora? – fece il capitano Smollett impassibile. – Dunque, ecco qua – disse Silver. – Noi vogliamo questo tesoro e l’avremo: questo ci preme. Voi volete avere salva la vita: ecco ciò che preme a voi. Avete una carta non è vero? – Potrebbe essere – rispose il capitano. – Oh voi l’avete, lo so bene – ribatté Long John. – A noi occorre la vostra carta. Personalmente non vi ho mai voluto far del male... – Ciò mi è indifferente, amico mio – interruppe il capitano. – Noi conosciamo perfettamente le vostre intenzioni, ma non ce ne importa, perché ormai non potete far nulla. E guardandolo tranquillamente prese a riempire la sua pipa. 121


Parte Quarta - Il Fortino

– Se Abe Gray... – insinuò Silver. – Basta! – gridò il signor Smollett. – Gray non mi ha detto nulla, né io gli ho chiesto nulla; anzi, vorrei vedere voi, lui e l’intera isola saltare in aria. Ecco come stanno le cose! Questa sfuriata sembrò calmare Silver, che si ricompose e disse: – Io non pretendo di giudicare quello che per un gentiluomo è il comportamento corretto da marinaio e, poiché vedo che state per fumare la pipa, lo farò anch’io. Riempì la sua pipa e l’accese; i due uomini rimasero per un po’ a fumare in silenzio: ora si guardavano in faccia, ora pressavano il tabacco, ora si piegavano a sputare. Per noi era come assistere ad una scena di teatro. – E ora – riprese Silver – ecco qua. Voi ci date la carta per procurarci il tesoro e smettete di sparare su dei poveri marinai e noi vi lasciamo liberi di scegliere: o venite a bordo con noi, dopo che avremo caricato il tesoro, nel qual caso io m’impegno sulla mia parola di sbarcarvi sani e salvi da qualche parte; oppure, se ciò non vi garba, dato che parecchi dei miei uomini sono violenti e conservano vecchi rancori per i torti subiti, potete restare qui. Noi divideremo con voi le provviste ed io m’impegno ad avvertire la prima nave che incontro e a mandarla qui a prendervi. Meglio di così non vi può andare. Ed io spero – e qui alzò la voce – che tutti i vostri compagni qui dentro rifletteranno sulle mie parole perché ciò che è detto per uno è detto per tutti. Il capitano Smollett, alzatosi, scosse la cenere dalla pipa battendola contro il palmo della mano e domandò: – È tutto qui? – L’ultima mia parola, per tutti i fulmini! – rispose Silver. – Rifiutatela e da me non avrete altro che pallottole di moschetto. – Benissimo – disse il capitano. – E ora sentite me. Se voi verrete qui, uno per uno, disarmati, io m’impegno a metter122


20. L’ambasciata di Silver

vi tutti quanti ai ferri2 e a trasportarvi in Inghilterra dove avrete un regolare processo. Se rifiutate, sappiate che io mi chiamo Alessandro Smollett, che ho issato la bandiera del mio re e vi spedirò tutti all’inferno. Voi non troverete il tesoro. Voi non riuscirete a manovrare l’Hispaniola: non c’è tra voi un uomo capace a farlo. Voi non siete in grado di batterci: Gray qui si è liberato di cinque di voi. La vostra barca fa acqua, Silver, siete sottovento e ve ne accorgerete. Io rimango qui. Sono le ultime parole buone che vi rivolgo perché vi giuro, in nome del Cielo, che la prossima volta che v’incontrerò vi metterò una pallottola nella schiena. Ora liberateci della vostra presenza e in fretta. La faccia di Silver era impressionante: gli occhi gli schizzavano fuori dalla rabbia. Scosse la pipa ancora accesa e gridò: – Datemi una mano per rialzarmi! – Io no! – replicò il capitano. – Chi mi dà una mano per rialzarmi? – ruggì. Nessuno di noi si mosse. Vomitando le più terribili imprecazioni si trascinò sulla sabbia finché riuscì ad attaccarsi alla parete del portico e ad alzarsi sulla stampella. Allora sputò nella sorgente. – Ecco – gridò. – Entro un’ora vi riscalderò come un ponce nel vostro fortino. Ridete, corpo di Satanasso3. Tra un’ora riderete all’inferno. Quelli che moriranno saranno i più fortunati. E con un’orribile bestemmia si allontanò zoppicando e affondando nella sabbia; con l’aiuto dell’uomo con la bandiera bianca riuscì, dopo quattro o cinque tentativi falliti, a scavalcare la palizzata e scomparve tra gli alberi.

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Mettervi tutti quanti ai ferri: imprigionare, mettere in catene. Satanasso: nome popolaresco di Satana.

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21. L’attacco

Non appena Silver fu scomparso, il capitano, che aveva attentamente sorvegliato i suoi movimenti, si volse verso l’interno e non trovò nessuno al proprio posto, eccetto Gray. Fu la prima volta che lo vedemmo in collera. – Ai vostri posti – ruggì. Poi, mentre tutti gli ubbidivamo disse: – Gray, io vi citerò nel giornale di bordo perché vi siete comportato da vero marinaio. Signor Trelawney, mi meraviglio di voi! E voi, dottore, credevo che un tempo aveste portato l’uniforme reale! Se è così che avete servito a Fontenoy, avreste fatto meglio a restarvene a casa. La squadra del dottore era ritornata alle feritoie, gli altri stavano caricando i moschetti di riserva. Il capitano ci guardò un momento in silenzio, poi riprese: – Ragazzi miei, ho sparato di proposito a salve1 contro Silver. Entro un’ora, come ha detto, ci attaccheranno; noi siamo in minor numero, però combatteremo stando al coperto e con disciplina. Li batteremo, se lo volete. Dopo di questo fece l’ispezione e constatò che tutto era in ordine. Sui due lati più corti del fortino, a est e a ovest, c’erano soltanto due feritoie; sul lato sud, dove si trovava il portico, altre due; sul lato nord cinque. Disponevamo di una ventina di moschetti; la legna da bruciare era ammassata in quattro cataste, come dei tavoli, ognuna nel mezzo di ciascun lato con sopra munizioni e quattro moschetti carichi a portata di mano dei difensori. Nel centro erano allineati i coltellacci. – Spegnete il fuoco – ordinò il capitano. – Il freddo è passato e non dobbiamo avere il fumo negli occhi. A salve: senza proiettili.

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21. L'attacco

Il recipiente di ferro usato come focolare fu portato fuori dal signor Trelawney e le braci spente nella sabbia. – Hawkins, prendi la colazione che non hai ancora fatto e ritorna al tuo posto a mangiarla – continuò il capitano Smollett. – Hunter, distribuisci a tutti un bicchiere di acquavite. E mentre questi eseguiva l’ordine, il capitano completò il suo piano di difesa. – Dottore – riprese – voi vi occuperete della porta. Tenetevi in dentro e tirate dal portico. Hunter, voi occuperete il lato est. Joyce, amico mio, voi starete ad ovest. Signor Trelawney, voi siete il miglior tiratore e con Gray terrete questo lungo tratto a nord con cinque feritoie: è il nostro punto debole. Se riuscissero a raggiungerlo e a sparare attraverso le nostre aperture, saremmo nei guai. Hawkins, né tu né io siamo dei tiratori validi: rimarremo vicino agli altri per ricaricare e dare una mano. Come il capitano aveva detto il freddo era passato e il sole cominciò a battere con forza sopra la radura asciugando in un attimo i vapori. La sabbia diventò bruciante e la resina dei tronchi d’albero del fortino si sciolse. Giacche e vestiti furono gettati via, i colli delle camicie rivoltati e le maniche rimboccate fino alle spalle; così aspettammo, ciascuno al suo posto, estenuati dal caldo e dall’ansia. Passò un’ora. – Possano morire impiccati! – borbottò il capitano. – È come la bonaccia all’equatore! Proprio in quel momento venne il primo segnale dell’attacco. Joyce puntò il suo moschetto e sparò. Altre detonazioni risposero dal di fuori, a ripetizione, colpo dietro colpo in fila da ogni lato del recinto. Parecchie pallottole colpirono il fortino, ma nessuna penetrò all’interno; non appena il fumo si fu dileguato, tutto ritornò immobile e deserto come prima. 125


Parte Quarta - Il Fortino

– Avete colpito il vostro uomo? – chiese il capitano. – Non credo, signore – rispose Joyce. – Carica il suo fucile, Hawkins. In quanti saranno stati dal vostro lato, dottore? – Posso dirvelo con precisione. Sono stati tirati tre colpi: due vicinissimi, il terzo più a ovest. – Tre – ripeté il capitano. – E quanti dalla vostra parte, signor Trelawney? La risposta non fu facile perché da nord ne erano arrivati molti: sette secondo il cavaliere, otto o nove secondo Gray. Da est e da ovest era stato tirato un solo colpo. Era dunque chiaro che l’attacco veniva da nord e che sui rimanenti tre lati avremmo subito solamente azioni di disturbo. Il capitano Smollett non cambiò le sue disposizioni: se gli ammutinati fossero riusciti a superare la palizzata, pensava, si sarebbero impadroniti di ogni feritoia indifesa e ci avrebbero uccisi. Non avemmo troppo tempo per riflettere: improvvisamente un nugolo di pirati, gridando urrà, si precipitò fuori della boscaglia, da nord, correndo verso la palizzata. Nello stesso istante da oltre gli alberi fu riaperto il fuoco e una pallottola fischiò attraverso l’ingresso mandando in pezzi il moschetto del dottore. Gli assalitori balzarono in cima allo steccato come un branco di scimmie. Il cavaliere e il dottore spararono continui colpi; tre uomini caddero: uno dentro il recinto, due fuori, ma uno di questi era evidentemente più atterrito che ferito perché in un attimo si alzò in piedi e scomparve tra gli alberi. Due erano stati uccisi, uno era fuggito, quattro avevano messo piede dentro le nostre difese e intanto vicino agli alberi sette od otto, provvisti ognuno di parecchi moschetti, continuavano a far fuoco contro il nostro fortino, inutilmente. I quattro che erano entrati puntarono diritti verso la costruzione correndo e gridando; i 126


Il vecchio lupo di mare all’Ammiraglio Benbow

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Parte Quarta - Il Fortino

compagni nascosti tra gli alberi, urlando, li incoraggiavano. Furono sparati diversi colpi, ma tanta era la furia dei tiratori che nessuno colse nel segno. In un attimo i quattro pirati avevano scalato la collinetta ed eccoli sopra di noi. La testa di Job Anderson, il nostromo, apparve nella feritoia centrale. – Carica, tutti insieme! – ruggì con una voce di tuono. Nello stesso momento un altro pirata afferrò il moschetto di Hunter per la canna, glielo strappò di mano attraverso la feritoia e con un colpo tremendo gettò il povero ragazzo svenuto a terra. Un terzo, girando incolume intorno alla casa, balzò nell’entrata e si lanciò con un coltellaccio sul dottore. La nostra posizione si era completamente rovesciata: poco prima tiravamo, stando al riparo, sul nemico allo scoperto, ora invece eravamo noi gli esposti e incapaci di restituire un colpo. Il fortino era pieno di fumo e a questo dovemmo la nostra salvezza. Grida confuse, colpi di pistola e un disperato lamento riempivano i miei orecchi! – Fuori, ragazzi fuori! Combattiamo all’aperto! Prendete i coltellacci! – comandò il capitano. Io presi un coltellaccio dal mucchio e qualcuno, afferrandone un altro nello stesso momento, mi fece una sbucciatura alle dita che sentii appena. Mi slanciai fuori della porta in pieno sole. Proprio davanti a me il dottore stava inseguendo il suo assalitore giù per il pendio e nel momento in cui i miei occhi si posarono su di lui, egli raggiunse lo sciagurato e lo colpì buttandolo a terra e con un largo taglio attraverso il viso. – Intorno alla casa, ragazzi, intorno alla casa! – gridava il capitano. Gli obbedii meccanicamente e corsi all’angolo della casa dove mi trovai di fronte ad Anderson. Con un ruggito egli alzò sopra la testa la lama che scintillò al sole. Non ebbi 128


21. L'attacco

il tempo di spaventarmi perché, mentre il colpo stava per essere diretto contro di me, mi spostai spiccando un salto; persi l’equilibrio e rotolai giù per il pendio. Quando mi rimisi in piedi la situazione era identica a quella di poco prima: un ribelle, con in testa un berretto rosso e il suo coltellaccio tra i denti, aveva scavalcato con una gamba la palizzata, un altro stava per affacciarsi al di sopra dei pali. La vittoria era nostra: Gray aveva abbattuto con una coltellata il grosso nostromo senza lasciargli tempo di reagire; un altro era stato freddato a una feritoia mentre faceva fuoco dentro la casa e ora agonizzava con in mano la pistola ancora fumante. Un terzo era stato messo fuori combattimento dal dottore. Dei quattro che erano riusciti a scavalcare la palizzata, solo uno rimaneva incolume e, abbandonato il suo coltellaccio, si arrampicava, terrorizzato, sulla palizzata per uscirne. Degli assalitori non rimanevano che i cinque caduti: quattro dentro e uno fuori dal recinto. Il dottor Gray ed io corremmo al riparo: i superstiti avrebbero presto raggiunto il luogo dove avevano lasciato i loro moschetti e lo scontro avrebbe potuto ricominciare da un momento all’altro. L’interno del fortino si era liberato un po’ dal fumo e noi in un batter d’occhio ci rendemmo conto di qual era stato il prezzo della nostra vittoria. Hunter giaceva svenuto davanti alla sua feritoia; Joyce vicino a lui, colpito alla testa, immobile per sempre; al centro il cavaliere sorreggeva il capitano: l’uno non meno pallido dell’altro. – Il capitano è ferito – disse il signor Trelawney. – Sono fuggiti? – chiese il signor Smollett. – Tutti quelli che hanno potuto – rispose il dottore – ma cinque di loro non correranno più. 129


Parte Quarta - Il Fortino

– Cinque! – esclamò il capitano – Ebbene abbiamo migliorato la situazione. Cinque da una parte e tre dall’altra, rimaniamo quattro contro nove. C’è meno disparità. Alla partenza eravamo sette contro diciannove o quanto meno lo pensavamo. (Gli ammutinati rimasero presto soltanto otto poiché l’uomo colpito dal signor Trelawney a bordo della goletta morì della sua ferita la sera stessa: ma ciò naturalmente si seppe solo in seguito).

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22. Come cominciò la mia avventura in mare I ribelli non ritornarono, né spararono un solo colpo dal bosco e noi potemmo con tranquillità accudire i feriti e preparare il pranzo. Nonostante il pericolo io e il cavaliere cucinammo all’aperto e anche lì ci raggiungevano i gemiti dei feriti; era uno strazio sentirli. Degli otto uomini caduti nell’azione tre soltanto respiravano ancora: il pirata, colpito davanti alla feritoia, Hunter e il capitano Smollett. I primi due erano a un passo dalla morte, infatti il filibustiere morì sotto il bisturi del dottore e Hunter, malgrado le cure, non riprese più conoscenza. Egli languì tutto il giorno, respirando pesantemente, come aveva fatto a casa nostra il vecchio pirata dopo il colpo apoplettico; aveva le costole e il cranio fratturati e così durante la notte seguente, senza una parola, se ne andò al Creatore. Quanto al capitano, le sue ferite erano gravi ma non pericolose. Nessun organo era stato leso irrimediabilmente. La pallottola di Anderson gli aveva spezzato una scapola e sfiorato il polmone; la seconda gli aveva soltanto lacerato e spostato qualche muscolo del polpaccio. Egli sarebbe guarito – affermava il dottore – ma per alcune settimane avrebbe dovuto evitare di camminare, di muovere il braccio e, possibilmente, di parlare. La mia sbucciatura sulle nocche era come un morso di pulce. Il dottor Livesey la fasciò e mi diede una tiratina d’orecchi. Dopo pranzo il cavaliere e il dottore si consultarono per un po’ al capezzale1 del capitano e, poco dopo mezzogiorno, il dottore prese il cappello e le pistole, si infilò un 1

Capezzale: letto del malato.

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Parte Quinta - La Mia Avventura In Mare

coltellaccio nel cinturone, mise la carta in tasca e con un moschetto in spalla scavalcò la palizzata dal lato nord e s’inoltrò spedito nel bosco. Gray ed io ci eravamo seduti all’estremità del fortino per non ascoltare i discorsi dei nostri superiori. Il suo stupore di fronte all’avvenimento fu tale che si tolse la pipa di bocca e non pensò più a rimettervela. – Diavolo! – proruppe. – Il dottor Livesey è impazzito? – Non credo – risposi. – È l’ultimo di noi a correre questo rischio. – Ebbene, amico mio, se non è pazzo lui lo sono io. – Io suppongo – replicai – che il dottore abbia una sua idea. Se non sbaglio, va in cerca di Ben Gunn. Avevo indovinato, come si seppe poi; intanto, poiché nella casa si moriva dal caldo e la sabbia fiammeggiava sotto il sole di mezzogiorno, cominciò a balenarmi in mente un’idea non troppo sensata. Cominciai a invidiare il dottore che camminava nella fresca ombra degli alberi godendosi i canti degli uccelli e il profumo dei pini e a provare disgusto per il luogo in cui ero costretto a stare. Per tutto il tempo che impiegai a ripulire il fortino e a lavare le stoviglie del pranzo, il disgusto e il desiderio di evadere crebbero sempre più, finché, trovandomi vicino ad un sacco di gallette, me ne riempii le tasche facendo il primo passo verso la fuga. Ero uno sconsiderato, se vogliamo, e stavo per compiere un’azione temeraria, ma volevo farlo con alcune precauzioni. Le gallette mi avrebbero impedito di morire di fame almeno fino al giorno dopo; presi inoltre un paio di pistole e, visto che possedevo già una fiaschetta di polvere e pallottole, mi ritenni sufficientemente armato. Il piano che avevo in mente era il seguente: partire dalla lingua di sabbia che separava a est l’ancoraggio dal mare aperto e arrivare fino alla Roccia Bianca che avevo osservato 132


22. Come cominciò la mia avventura in mare

la sera prima, accertandomi se fosse lì o no che Ben Gunn teneva nascosta la barca. Essendo sicuro che non mi avrebbero permesso di lasciare il recinto, dovevo andarmene di nascosto. Era un comportamento riprovevole, ma io ero solo un ragazzo e avevo ormai preso la mia decisione. Le circostanze mi offrirono un’occasione d’oro: il cavaliere e Gray erano occupati a cambiare le fasciature del capitano, la costa appariva libera e io scavalcai rapidamente lo steccato tuffandomi nel folto degli alberi e, prima ancora che la mia assenza fosse notata, ero già lontano dai miei compagni. Questa fu la mia seconda follia, peggiore della prima, dato che lasciavo a guardia del fortino due soli uomini validi, ma essa, come la prima, contribuì alla salvezza di tutti. Puntai verso la costa di levante dell’isola perché avevo deciso di percorrere la lingua di sabbia dal lato del mare per evitare il rischio di farmi scoprire dall’ancoraggio. Nonostante il pomeriggio fosse già inoltrato, l’aria era ancora rovente. Continuando il cammino sentivo lontano, davanti a me, insieme al fragore della risacca, un fruscio di frasche, un agitarsi di rami, segno che la brezza marina si era alzata più forte del solito. Presto mi ritrovai sul margine del bosco e vidi il mare stendersi azzurro e luminoso fino all’orizzonte e la risacca infrangersi e spumeggiare lungo la spiaggia. Avanzai lungo la risacca con grande piacere, poi, quando mi sembrò di essermi spinto abbastanza a sud, cominciai a strisciare, riparato da alcuni folti cespugli, fin sulla punta della lingua di terra. Dietro di me c’era il mare aperto, di fronte l’ancoraggio dove l’Hispaniola si trovava con la sua bandiera nera appesa all’albero maestro. Di fianco era accostata una delle scialuppe, con Silver a poppa e due uomini, uno dei quali aveva in testa un berretto rosso: era lo stesso farabutto che qualche ora prima avevo visto a cavalcioni della palizzata. Sembrava che parlassero e ridessero, ma a 133


Parte Quinta - La Mia Avventura In Mare

quella distanza non riuscivo ad afferrare una sola parola. Ad un tratto si udì uno schiamazzo infernale che mi spaventò, ma subito riconobbi la voce di “capitano Flint” e mi sembrò di scorgere il pappagallo dalle penne sgargianti posato sul polso del suo padrone. Poco dopo la scialuppa si staccò dirigendosi a riva e l’uomo dal berretto rosso e il suo compagno scesero in cabina. Nel frattempo il sole era tramontato dietro il Cannocchiale e, con l’addensarsi della nebbia, cominciava a scendere l’oscurità. Se volevo rintracciare la barca quella sera stessa, dovevo far presto. Mi ci volle un po’ per arrivare, spesso strisciando attraverso il bosco, alla Roccia Bianca. Proprio sotto di essa c’era una cavità erbosa nascosta dalle rocce e da una lussureggiante vegetazione; nel mezzo della buca c’era una piccola tenda di pelle di capra simile a quelle che gli zingari si portano dietro in Inghilterra. Saltai nella buca, alzai l’orlo della tenda e trovai la barca di Ben Gunn: una rozza carcassa di legno robusto sulla quale era stata stesa una coperta di pelle di capra col pelo verso l’interno. Era piccola anche per me. C’era un sedile in basso, una sorta di puntapiedi a prua e una doppia pagaia per spingerla. Era la più primitiva e peggiore piroga che si potesse costruire, ma possedeva il grande vantaggio di essere leggera e portatile. Avevo trovato l’imbarcazione e la mia avventura poteva terminare lì, ma mi saltò in mente un’altra idea di cui mi innamorai subito: si trattava di sgusciare fuori protetto dall’oscurità della notte, tagliare l’ormeggio dell’Hispaniola e lasciarla andare alla deriva. Ero sicuro che i ribelli avevano l’intenzione di levare l’ancora al più presto; sarebbe stato un bel colpo impedirglielo e, poiché avevo constatato che lasciavano i guardiani della nave privi di scialuppa, il mio progetto mi sembrava privo di rischi. 134


22. Come cominciò la mia avventura in mare

Mi misi a sedere per attendere che fosse buio e mangiai di gusto le mie gallette. La nebbia aveva ormai invaso tutto il cielo e ben presto l’Isola del Tesoro fu avvolta da un’oscurità assoluta. Quando mi caricai sulle spalle la piroga e presi a tentoni la strada, vi erano solo due punti visibili: il grande fuoco acceso sulla riva intorno al quale i pirati stavano gozzovigliando e il punto in cui la goletta era ancorata. Il riflusso l’aveva fatta ruotare, ora mi presentava la prua; le sole luci a bordo erano quelle della cabina. La marea già da qualche tempo era calata e mi toccò attraversare un lungo banco di sabbia pantanosa affondandovi più volte fin sopra le caviglie prima di raggiungere il mare. Mi addentrai un po’ e con un po’ di forza e abilità deposi sulla superficie, a chiglia in giù, la mia piroga.

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23. Cala la marea

La piroga, com’ebbi modo di constatare prima di abbandonarla, era un’imbarcazione molto sicura per una persona della mia statura e peso, leggera e adatta a tenere il mare, ma capricciosa e sbilenca e perciò difficile da governare. In qualunque modo la si manovrasse, andava sempre alla deriva e tendeva a girare intorno. Lo stesso Ben Gunn aveva ammesso che era “difficile da guidare finché non la si conosceva a fondo”. Per questo motivo avanzavo di traverso e, se non fosse stato per la marea che mi sospingeva avanti, sono sicurissimo che non avrei mai abbordato la nave. Ad un certo punto l’Hispaniola mi si parò dinanzi come una macchia più nera delle tenebre, poi alberi e scafo presero forma e subito dopo mi trovai vicino alla gomena1 e l’afferrai. Essa era tesa come la corda di un arco, tanto la nave tirava sull’ancora. Un colpo del mio coltellaccio e la goletta se ne sarebbe andata mormorando con la marea. Mi ricordai però, in tempo, che il taglio di una gomena tesa è pericoloso come un cavallo che scalcia, per cui io e la piroga rischiavamo di essere sbalzati in aria. Questa riflessione mi trattenne e avrei dovuto abbandonare il mio proposito se il caso non mi avesse favorito in modo speciale. Mentre infatti stavo così riflettendo, una folata investì l’Hispaniola e la sospinse contro corrente; la gomena si allentò nel mio pugno, così tirai fuori il coltellaccio, l’aprii coi denti e tagliai un cavo dopo l’altro finché non me ne rimasero che due o tre a trattenere il bastimento. Dopo di che rimasi tranquillo aspettando di tagliare gli ultimi non

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Gomena: grossa fune di canapa formata da corde intrecciate, usata per ormeggiare o rimorchiare.


23. Cala la marea

appena un soffio di vento avesse allentato la loro tensione. Durante tutto questo tempo avevo udito un vociare animato provenire dalla cabina, ma non vi avevo badato perché la mia mente era occupata da altri pensieri. Ora però che non avevo più niente da fare cominciai a prestarvi maggiore attenzione. Riconobbi due voci: quella del timoniere Israel Hands e l’altra, senza dubbio, apparteneva al marinaio dal berretto rosso. Tutti e due erano ubriachi fradici e continuavano a bere perché ad un certo punto uno di essi con un’imprecazione aprì la finestra di poppa e lanciò fuori qualcosa che intuii dovesse essere una bottiglia vuota. Non erano solamente brilli, ma anche infuriati. Le bestemmie piovevano come chicchi di grandine e di tanto in tanto culminavano in una tale esplosione che sembrava dovesse farli arrivare alle mani. Ogni tanto, però, la lite si placava e il tono delle voci si abbassava finché non sopraggiungeva un’altra crisi che a sua volta veniva superata senza conseguenze. A terra io potevo vedere il bagliore del grande fuoco dell’accampamento che bruciava tra gli alberi della riva. Qualcuno cantava una vecchia e triste canzone che avevo sentito più d’una volta durante il viaggio e di cui ricordavo queste parole: Uno solo della ciurma si riuscì a salvare dei settantacinque usciti in mare. Pensai che fosse un ritornello appropriato a una brigata che la mattina aveva subito perdite tanto crudeli. In verità, però, questi scellerati erano insensibili quanto il mare su cui navigavano. Finalmente la brezza arrivò; la goletta si spostò nell’oscurità e mi venne più vicina; sentii la gomena che si allentava e con un rude sforzo tagliai gli ultimi cavi. La brezza ebbe una 137


Parte Quinta - La Mia Avventura In Mare

debole azione sulla mia piroga ed io fui quasi subito proiettato contro la prua dell’Hispaniola. Nello stesso istante la goletta cominciò a girarsi piano seguendo la corrente. Mentre cercavo di allontanare la piroga dalla goletta, le mie mani si scontrarono con una funicella che penzolava fuori bordo dal parapetto di poppa. Istintivamente l’afferrai e, sentendola salda, decisi di gettare un’occhiata dalla finestra della cabina. Tirai a me la corda e quando fui abbastanza vicino, mi alzai quasi in piedi sulla piroga e potei scoprire il soffitto e una parte dell’interno della cabina. Intanto la goletta e la piroga scivolavano velocemente sull’acqua: difatti eravamo già arrivati all’altezza del falò dell’accampamento. Quando riuscii a gettare l’occhio al di sopra del davanzale della finestra capii perché i due marinai non avessero dato l’allarme: Hands e il suo compagno, con le facce scarlatte di furore, erano stretti in una lotta mortale ognuno con la mano sulla gola dell’altro. Mi lasciai cadere sul sedile, appena in tempo perché ero quasi fuori bordo. Intorno al fuoco dell’accampamento, intanto, la banda aveva intonato il coro che così spesso io avevo udito: Quindici uomini sulla cassa del morto Yò hò-hò e una bottiglia di rum! La bottiglia e il demonio hanno fatto il resto. Yò hò-hò e una bottiglia di rum! Stavo pensando all’effetto che in quel preciso momento rum e diavolo compivano nella cabina dell’Hispaniola quando fui sorpreso da un improvviso sbandamento della piroga. Nel medesimo istante essa girò bruscamente e sembrò cambiare rotta, aumentando la velocità. La stessa Hispaniola, che a distanza di pochi metri mi trascinava nella sua scia, 138


23. Cala la marea

pareva esitare sulla direzione da prendere finché mi accertai che anch’essa virava verso sud. Gettai un’occhiata obliqua al disopra delle mie spalle e il mio cuore sussultò. Là proprio dietro a me c’era il bagliore del fuoco dell’accampamento. La corrente aveva deviato ad angolo retto trascinando con sé la goletta e la minuscola piroga e, accelerando e gorgogliando, ci spingeva attravesro lo stretto verso il mare aperto. D’improvviso la nave davanti a me virò violentemente girando forse di una ventina di gradi. Quasi nello stesso momento due urli si susseguirono a bordo, sentii uno scalpiccio di passi su per la scala del corridoio e compresi che i due ubriaconi avevano interrotto la loro lite essendosi resi conto dell’imminente disastro. Mi coricai supino nel fondo della piroga e devotamente raccomandai la mia anima al Creatore. Ero sicuro che all’uscita dallo stretto saremmo andati a sbattere contro i furiosi frangenti di qualche scogliera e i miei affanni avrebbero trovato una fine immediata. Credo di essere rimasto disteso per ore continuamente sballottato qua e là dai marosi e inondato dai loro spruzzi, sempre aspettando la morte. A poco a poco la stanchezza mi vinse; un torpore, uno stato di incoscienza s’impadronirono della mia mente, finché il sonno mi colse ed io, giacendo nella mia piroga sballottata dalle onde, sognai la mia casa e il vecchio Ammiraglio Benbow.

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24. Il viaggio della piroga Era giorno fatto quando mi svegliai e mi trovai sbalzato all’estremità sud-ovest dell’Isola del Tesoro. Il sole era già alto, ma nascosto alla mia vista dalla grande mole del Cannocchiale. Il capo Issa la Bolina e il monte dell’Albero di Mezzana erano di fronte a me. Ero appena un quarto di miglio al largo e il mio primo pensiero fu di remare verso la costa e approdare. Questo progetto fu presto abbandonato perché la forza della risacca contro gli scogli mi fece temere di sfracellarmi contro la riva selvaggia o di logorarmi nel vano tentativo di scalare le rocce a strapiombo. Inoltre apparvero dei mostri viscidi che a branchi di due o tre dozzine strisciavano sulla piatta superficie dei macigni o si lasciavano cadere in mare con grande strepito. Seppi in seguito che erano degli innocui leoni marini1, ma il loro aspetto aggiunto alla difficoltà della spiaggia e alla furia della risacca fu più che sufficiente a farmi desistere dall’approdare. In verità avrei preferito morire di fame in mare piuttosto che affrontare simili pericoli. Frattanto mi si offriva, o per lo meno così mi sembrò, una soluzione migliore: raggiungere il Capo dei Boschi che presentava un approdo più agevole e che, come indicava la carta, si trovava a nord del Capo Issa la Bolina; avrei sfruttato la corrente che, ricordavo di aver sentito da Silver, andava verso nord lungo tutta la costa occidentale dell’Isola del Tesoro. Il moto ondoso del mare era grande e liscio, un vento piacevole e costante soffiava da sud e in quelle condizioni la mia piccola e leggera imbarcazione navigava con facilità e sicu Leoni marini: otarie, mammiferi con due pinne, simili alle foche.

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24. Il viaggio della piroga

rezza. Decisi di abbandonare la mia posizione (ero ancora coricato sul fondo della piroga), mi misi a sedere e cominciai a remare. Mi ero appena mosso che l’imbarcazione interruppe di colpo la sua andatura danzante e precipitò lungo una rapida china d’acqua, dandomi le vertigini, andando a sbattere contro l’onda successiva e sollevando un getto di spruzzi. Inzuppato e atterrito mi lasciai immediatamente ricadere nella posizione precedente, al che la piroga riprese a navigare con la delicatezza di prima. Era chiaro che non bisognava contrariarla; ma di questo passo, se non ero in grado di dirigere la rotta, come potevo sperare di approdare? Mi prese una tremenda paura e tuttavia non persi la testa. Innanzitutto, muovendomi con grande cautela, col mio berretto da marinaio estrassi l’acqua dalla piroga; poi presi a studiare come faceva a scivolare così dolcemente tra le onde. Mi accorsi che la piroga abbandonata a se stessa s’infilava nei punti più bassi dell’onda evitando i ripidi pendii e le più alte creste. “Ebbene – dissi a me stesso – mi conviene rimanere dove sono e non turbare l’equilibrio della piroga, ma è anche chiaro che posso appoggiare il remo sul bordo e ogni tanto, nei punti piani, dare un colpo o due verso terra.” Detto fatto. Mi appoggiai sui gomiti e stando in quella scomodissima posizione davo a intervalli qualche debole colpo di remo per orientare la prua verso la costa. Era molto faticoso, tuttavia guadagnavo terreno e, avvicinandomi al Capo dei Boschi, constatai che avevo fatto qualche centinaio di metri ad est. Ero molto vicino a terra e sicuramente sarei approdato al promontorio successivo. Era ora perché la sete cominciava a torturarmi a causa delle vampe del sole e degli spruzzi d’acqua marina che mi cadevano addosso e si seccavano incrostando le mie labbra di sale. La corrente però mi trascinò oltre il promontorio e quando mi si aprì alla vista la nuova distesa di mare avvistai 141


Parte Quinta - La Mia Avventura In Mare

qualcosa che cambiò il percorso dei miei pensieri: davanti a me, a distanza di neppure un miglio, scorsi l’Hispaniola. Ebbi naturalmente la certezza che sarei stato catturato, ma la mancanza d’acqua mi procurava una sofferenza tale che non sapevo se essere contento o afflitto di fronte a quella prospettiva. Ogni altro pensiero fu però cancellato dallo stupore: l’Hispaniola, che sembrava in un primo momento far rotta verso nord-ovest, per ritornare all’ancoraggio, ora si spostava sempre più ad ovest nella mia direzione, quasi per darmi la caccia, ora veniva respinta indietro dal vento e restava inerte con le vele che sbattevano. “Che idioti! – dissi tra me. – Devono essere ancora ubriachi fradici”. E immaginai come il capitano Smollett li avrebbe messi in riga. Nel frattempo la goletta navigava velocemente un minuto o due e poi rimaneva di nuovo in panne2. Questo si ripeté varie volte e mi persuasi che nessuno la governava. Ma allora dov’erano gli uomini? O erano ubriachi fradici oppure l’avevano abbandonata, pensavo; se fossi riuscito a salire avrei potuto restituire la nave al capitano. La corrente spingeva piroga e goletta verso sud, ma la navigazione di quest’ultima era così incoerente che sicuramente non guadagnava nulla, anzi perdeva. Se avessi osato alzarmi e remare, l’avrei sicuramente raggiunta. L’idea mi tentava e il pensiero della cassa d’acqua accanto al cassero di prua raddoppiava il mio coraggio. Mi alzai, fui colpito da un’altra nube di spruzzi, ma stavolta tenni duro e mi misi con forza e cautela a remare dietro l’Hispaniola abbandonata. Ad un certo punto imbarcai così tanta acqua che dovetti fermarmi e vuotare la piroga, ma a poco a poco imparai la In panne: ferma.

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24. Il viaggio della piroga

manovra e guidai l’imbarcazione tra le onde senz’altro fastidio che di tanto in tanto un colpo a prua e uno schizzo di schiuma sulla faccia. Ora guadagnavo rapidamente sulla goletta; potevo vedere il luccicare dell’ottone sulla barra del timone, quando essa si piegava da un lato; tuttavia non vi era anima viva sul ponte. Indubbiamente l’Hispaniola era stata abbandonata o gli uomini giacevano ubriachi sottocoperta dove io avrei potuto rinchiuderli e fare della nave ciò che volevo. Da qualche momento essa si stava comportando nel peggior modo possibile: teneva la prua quasi a sud continuando a zigzagare e si allontanava da me aggiungendo alla velocità della corrente quella della sua deriva. Ma finalmente la fortuna mi aiutò: per alcuni secondi la brezza cadde fino a diventare un soffio e l’Hispaniola piano piano girò sul proprio asse presentandomi la poppa con la finestra della cabina spalancata e sul tavolo la lampada ancora accesa in pieno giorno. Salvo la corrente, la nave era immobile. Durante gli ultimi istanti ero di nuovo rimasto indietro; ma ora, moltiplicando i miei sforzi, guadagnavo terreno; non distavo dalla goletta più di cento metri quando tornò il vento e l’Hispaniola si allontanò inclinata sul fianco sfiorando l’acqua come una rondine. La mia prima reazione fu di disperazione, ma poi di gioia. La goletta virò fino a mostrarmi il fianco e ad avvicinarsi sempre di più a me. Mi sembrava smisuratamente alta guardata dal basso della mia piroga. Ebbi appena il tempo per pensare e mettermi in salvo. Ero sulla cima di un’onda quando la goletta arrivò con impeto sulla successiva. Il bompresso3 era sulla mia testa. Scattai in piedi e saltai respingendo con un calcio la piroga sott’acqua. 3

Bompresso: asta quasi orizzontale sistemata sulla prua per allungare la base del piano velico.

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Parte Quinta - La Mia Avventura In Mare

Con una mano afferrai l’asta del fiocco4 mentre il mio piede si collocava fra lo straglio5 e il braccio; stavo così aggrappato e tutto ansimante, quando un sordo colpo m’avvertì che la goletta aveva investito e distrutto la piroga e che mi trovavo senza via di scampo prigioniero dell’Hispaniola.

Fiocco: vela triangolare fissata allo strallo di prua. Straglio: (o strallo) cavo metallico che sostiene l’albero verso prua e nel quale sono fissati i fiocchi.

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25. Ammaino il Jolly Roger Mi ero appena installato sul bompresso che il fiocco volante sbattè gonfio di vento contro l’alta murata col rumore di una schioppettata. Poco mancò che lo scossone non mi gettasse in mare. Senza perdere tempo strisciai lungo il bompresso e piombai testa in avanti sul ponte. Ero sotto vento al cassero di prua e la vela maestra mi nascondeva una parte della coperta di poppa. Non si vedeva anima viva. Il tavolato non più scopato dopo la rivolta portava l’impronta di molte pedate e una bottiglia vuota rotta al collo rotolava di qua e di là tra gli ombrinali1. Ad un tratto la nave prese il vento in pieno e il suo movimento rese visibile la coperta di poppa. I due marinai erano là: Berretto Rosso supino, rigido come un palo, le braccia spalancate come quelle d’un crocifisso, le labbra semichiuse che scoprivano i denti; Israel Hands appoggiato al parapetto, il mento sul petto, le palme delle mani aperte davanti a sé e il viso, sotto l’abbronzatura, bianco come una candela di sego2. Per qualche tempo la nave continuò a sobbalzare e ad andare di traverso come un cavallo imbizzarrito; di tanto in tanto una nube di spruzzi superava il parapetto quando la prua sbatteva violentemente contro un’onda e mi sembrava che la grande e ben attrezzata goletta navigasse peggio della rustica e sbilenca piroga finita ormai in fondo al mare. A ogni sobbalzo della goletta Berretto Rosso scivolava da una parte all’altra senza cambiare né l’atteggiamento né la rigida smorfia che gli scopriva i denti. Pure Hands ad ogni 1 2

Ombrinali: fori praticati nelle murate per lo scarico delle acque dalla coperta. Sego: grasso di animale usato per fabbricare candele.

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Parte Quinta - La Mia Avventura In Mare

sobbalzo si ripegava su se stesso come un sacco vuoto; i suoi piedi scivolavano sempre più lontani e il corpo s’inclinava verso poppa cosicché a poco a poco potei vedere di lui solo un orecchio e la punta di un baffo. In quell’istante mi accorsi di macchie di sangue annerito sul ponte intorno a loro, il che mi fece pensare che nel furore dell’ubriachezza si fossero reciprocamente massacrati. Stavo così osservando e riflettendo quando, in un momento di calma in cui il bastimento non si muoveva, Israel Hands si rivoltò su se stesso e con un debole gemito riprese la posizione nella quale lo avevo trovato prima. Quel gemito mi andò dritto al cuore, ma il ricordo del discorso che avevo sentito dal barile di mele fece svanire la compassione. Avanzai verso poppa fino all’albero maestro. – Felice di trovarvi a bordo signor Hands – dissi ironicamente. Egli girò a fatica i suoi occhi, ma era troppo malridotto per esprimere sorpresa. Riuscì a pronunciare una sola parola: – Acquavite. Io pensai che non c’era tempo da perdere, scappai a poppa e per la scala del cassero discesi nella cabina. C’era un disordine difficilmente immaginabile. Tutti i cassetti chiusi a chiave erano stati fatti saltare per cercare la carta. Il pavimento era incrostato di fango: lì i banditi s’erano sdraiati per bere o discutere dopo essersi impantanati nello stagno che circondava il loro campo. Le paratie, tutte dipinte di bianco-argento e decorate di dorature tutt’intorno, avevano impronte di mani sporche. Dozzine di bottiglie vuote tintinnavano urtandosi negli angoli al rullìo della nave. Uno dei libri di medicina del dottore era aperto sulla tavola con metà delle pagine strappate, forse per accendere la pipa. In mezzo a tutto ciò la lampada diffondeva ancora una luce fumosa e tetra. 146


25. Ammaino il Jolly Roger

Passai nella cantina. Le botti erano scomparse e la maggior parte delle bottiglie erano state bevute e buttate via. Dall’inizio dell’ammutinamento sicuramente nessuno dei filibustieri aveva smesso di bere e di ubriacarsi. Frugando qua e là trovai una bottiglia con un po’ d’acquavite per Hands; per me afferrai alcune gallette, un po’ di frutta conservata, un grosso grappolo d’uva passa e un pezzo di formaggio. Con questi viveri risalii in coperta, deposi la mia provvista dietro la testa del timone e, tenendomi a debita distanza dal timoniere, raggiunsi a prua la cassa d’acqua dove feci una gran bevuta che spense la mia sete; allora, solamente allora, porsi ad Hands l’acquavite. Ne bevve circa un quarto di litro prima di decidersi a staccare la bottiglia dalla bocca. – Ah – disse – mi ci voleva proprio, per mille diavoli! Io, seduto nel mio angoletto, avevo già cominciato a mangiare. – Ferito grave? – gli chiesi. Egli grugnì o piuttosto latrò: – Se quel dottore fosse a bordo mi rimetterebbe in piedi, ma non ho fortuna, vedi, ed è questo che mi secca. Quanto a quella canaglia, è bell’e morto – aggiunse indicando l’uomo dal berretto rosso. – Era un pessimo marinaio, del resto. Ma da dove sei saltato fuori tu? – Sono venuto a bordo per prendere possesso di questa nave, signor Hands, e siete pregato di considerarmi come vostro capitano fino a nuovo ordine. Mi guardò stizzito, ma non parlò. Sulle guance gli era tornato un po’ di colore sebbene apparisse ancora stremato e continuasse a scivolare per gli scossoni della nave. – A proposito – ripresi – non posso battere questa bandiera, signor Hands, e l’ammainerò. Meglio nessuna che questa. E corsi alla bandiera, l’ammainai e la scagliai in mare. 147


Parte Quinta - La Mia Avventura In Mare

– Dio salvi il Re! – esclamai agitando il mio berretto. – È finita per il capitano Silver! Egli mi osservava con uno sguardo furbo e furtivo, senza levare il mento dal petto. – Suppongo, capitano Hawkins, – disse infine – che tu avrai voglia di approdare ora. Vogliamo parlarne? – Ma sì, con tutto il cuore, signor Hands. Dite pure! – E ripresi a mangiare di buon appetito. – Io e quest’uomo – cominciò accennando debolmente verso il cadavere – O’Brien si chiamava, un attaccabrighe irlandese, avevamo intenzione di ricondurre il bastimento all’ancoraggio. Ebbene adesso lui è morto e non vedo altri che siano capaci di manovrare questo bastimento. Se non ti do qualche consiglio non te la caverai, questo è certo. Ora ascoltami: tu mi darai da bere e da mangiare e una vecchia sciarpa per fasciarmi la ferita e io ti dirò come manovrare la nave. Mi sembra che così siamo pari, no? – Vi dirò una cosa – dissi io – ed è che io non intendo ritornare all’ancoraggio del capitano Kidd. Voglio andare nella Baia Nord e arenarmi là tranquillamente. – Me l’aspettavo – gridò lui. – E dunque tu vedi che non sono poi un idiota dopo tutto. Capisco qualcosa anch’io, sai? Ho tentato il mio colpo, ho perduto e sei tu adesso che hai il sopravvento su di me. La Baia Nord? E sia. Non ho possibilità di scelta io. Vorrei piuttosto aiutarti ad arrivare alla Riva delle Forche, questo sì per Satanasso! La proposta mi parve sensata e concludemmo il patto. Tre minuti dopo l’Hispaniola filava spedita col vento in poppa lungo la costa dell’Isola del Tesoro con buona speranza di doppiare, prima di mezzogiorno, la punta nord e di entrare nella baia prima dell’alta marea, per poter far arenare la nave senza pericolo e aspettare che la bassa marea ci permettesse di sbarcare. 148


25. Ammaino il Jolly Roger

Legai allora la barra del timone e scesi sotto coperta per prendere nel mio baule uno dei fazzoletti di seta che mi aveva regalato mia madre. Con esso e con il mio aiuto Hands poté fasciare la larga ferita sanguinante provocatagli dalla coltellata sulla coscia; dopo che ebbe mangiato e bevuto ancora uno o due sorsi di acquavite cominciò a risollevarsi, a parlare più forte e chiaro e sembrò un altro uomo. La brezza ci favoriva magnificamente e procedevamo davanti ad essa con la leggerezza di un uccello. Presto oltrepassammo i luoghi montuosi e volammo lungo una zona piatta e sabbiosa punteggiata di pini nani; superata anche quella, doppiammo il promontorio della collina rocciosa che chiudeva l’isola a nord. Io ero molto fiero del mio nuovo posto di comando e soddisfatto del tempo chiaro e luminoso. Avevo acqua in abbondanza, buone cose da mangiare e i rimorsi di coscienza per aver abbandonato il fortino erano acquietati dalla grande conquista che ero riuscito a fare. Non avrei potuto desiderare di meglio se non ci fossero stati gli occhi del timoniere che mi seguivano beffardi per tutto il ponte e lo strano sorriso che affiorava sulle sue labbra. Era un sorriso fatto di sofferenza e debolezza insieme, un sorriso di vecchio, ma c’era pure una punta di scherno, un’ombra di tradimento nella sua espressione, mentre egli astutamente mi spiava seguendo il mio lavoro.

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26. Israel Hands Il vento soffiava ora verso ponente, come desideravamo, così potemmo avanzare molto più agevolmente dalla punta nord-est dell’isola alla bocca della Baia Nord. Non avendo però la possibilità di ancorarci prima che la marea fosse salita, ci rimaneva ancora del tempo. Il timoniere mi disse in quale modo mettere il bastimento in panne; vi riuscii dopo parecchi tentativi e in silenzio ci sedemmo per consumare un altro pasto. – Capitano – disse lui con lo stesso inquietante sorriso – qui c’è il mio vecchio compagno O’Brien. Suppongo che vorrai gettarlo in mare; non lo trovo decorativo, ti pare? – Io non mi sento forte abbastanza – risposi – e poi non mi piace questo genere di faccende. Per me può restare dov’è. – È una nave che porta disgrazia questa Hispaniola, Jim – continuò lui ammiccando. – Un mucchio di uomini sono stati uccisi su questo bastimento da quando tu ed io ci imbarcammo a Bristol. Mai ho visto una sfortuna così nera. Io non sono istruito, mentre tu sai leggere e scrivere; dimmi, credi che un uomo morto sia morto per davvero o che possa tornare a vivere di nuovo? – Voi potete uccidere il corpo, signor Hands – risposi io – ma non lo spirito, dovreste saperlo. O’ Brien è in un altro mondo e forse ora ci sta guardando. – Ah – disse lui – questo è spiacevole: vuol dire che ammazzare la gente non è che una perdita di tempo. Comunque sia gli spiriti non contano molto, a quanto ho visto. E ora, Jim, mi faresti una vera cortesia se volessi scendere giù in cabina a prendermi una bottiglia di vino; quest’acquavite è troppo forte per la mia testa.

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26. Israel Hands

Non credetti affatto che il timoniere preferisse il vino all’acquavite, capii che voleva solo allontanarmi dal ponte, ma non riuscivo ad immaginare a quale scopo. I suoi occhi evitavano di incontrare i miei, non smetteva di sorridere e anche un bambino si sarebbe accorto che stava tramando qualcosa. Io comunque non esitai a rispondere perché ero consapevole della mia superiorità su di lui e convinto che con un essere così stupido avrei potuto facilmente nascondere i miei sospetti fino alla fine. – Del vino? – dissi. – Bianco o rosso? – Be’, per me è la stessa cosa, purché sia forte e abbondante. – Benissimo – risposi. – Vi prenderò del porto, signor Hands, ma mi ci vorrà tempo per trovarlo. Dopo di che mi infilai giù per la scaletta con tutto il fracasso possibile; mi tolsi le scarpe, percorsi silenziosamente il corridoio e, salito per la scala di prua, misi fuori la testa da quel boccaporto. Sapevo che non si sarebbe aspettato di vedermi lì, tuttavia presi ogni precauzione possibile ed in verità i miei peggiori sospetti risultarono fondati. Egli si era sollevato sulle mani e sulle ginocchia e sebbene la gamba gli facesse un gran male mentre si muoveva – lo sentii soffocare un gemito – riuscì ad attraversare abbastanza rapidamente il ponte e a raggiungere gli ombrinali di babordo; qui estrasse da un rotolo di cordame un corto pugnale sporco di sangue fino all’impugnatura, ne provò la punta sulla mano e poi, dopo averlo nascosto in fretta sotto la giubba, raggiunse precipitosamente il posto di prima. Avevo visto abbastanza. Israel poteva muoversi, ora era armato ed era chiaro che la vittima designata sarei stato io. Che cosa avrebbe fatto poi? Si sarebbe sforzato di attraversare l’isola trascinandosi dalla Baia Nord al campo della palude o avrebbe sparato un colpo di cannone sperando di far 151


Parte Quinta - La Mia Avventura In Mare

accorrere i compagni in suo aiuto? Sentivo però di potermi fidare di lui riguardo a un punto di comune interesse: la sorte della goletta. Tutti e due intendevamo portarla ad arenarsi al sicuro, in un luogo riparato, così da poterla condurre fuori di là, a tempo debito e con poco disagio; finché ciò non fosse avvenuto, la mia vita sarebbe stata sicuramente risparmiata. Mentre stavo così rimuginando, non restai inoperoso; ritornai nella cabina, mi rimisi le scarpe e arraffai a caso una bottiglia di vino; con questa in mano risalii in coperta. Hands giaceva come l’avevo lasciato tutto raggomitolato e con le palpebre abbassate come non riuscisse a sopportare la luce. Quando mi avvicinai alzò lo sguardo, ruppe il collo della bottiglia con disinvoltura e tracannò un lungo sorso brindando alla nostra buona sorte. Poi tirò fuori un rotolo di tabacco e mi pregò di tagliargli una cicca. – Tagliami un pezzetto di questo – disse – visto che non ho il coltello e se anche l’avessi mi mancherebbe la forza. Credo che sarà forse l’ultimo, ragazzo, perché me ne sto andando alla dimora eterna, non c’è dubbio! – Va bene, vi taglierò un po’ di tabacco; ma se fossi in voi e mi sentissi così male io direi le mie preghiere da buon cristiano. – O perché? – fece lui. – Perché? – gridai. – Voi avete mancato alla parola data, siete vissuto nel peccato, nella menzogna e nel sangue; c’è qui un uomo che avete ucciso e voi mi domandate il perché? Parlavo con una certa foga pensando al pugnale insanguinato che egli teneva nascosto nella sua tasca per uccidermi. Egli, dal canto suo, bevve un’altra lunga sorsata di vino e con tono solenne riprese: – Durante trent’anni ho navigato i mari e ho visto il buono e il cattivo, il bel tempo e la burrasca, le provviste esaurirsi, i coltelli alla mano e cos’altro non ho visto? Ebbene 152


26. Israel Hands

io ti dico che mai ho visto venir fuori il bene dalla bontà. Io sono per chi colpisce per primo… e ora ascoltami – aggiunse cambiando tono – basta con queste sciocchezze. La marea è sufficientemente alta adesso. Devi eseguire i miei ordini, capitano Hawkins, e tutto sarà finito. Ci rimanevano un paio di miglia da fare, ma la navigazione era delicata poiché l’imboccatura di questo ancoraggio nord era non solo stretta e bassa, ma orientata da est a ovest così che per entrare bisognava governare la goletta con molta cautela. Io ero, credo, un buon subalterno e Hands un ottimo pilota perché riuscimmo con precisione e sicurezza a superare l’imboccatura. La terra ci circondò da ogni parte. Le rive della Baia Nord erano boscose quanto quelle dell’ancoraggio sud, ma lo spazio era più lungo e stretto e somigliava all’estuario di un fiume, come in realtà era. Proprio davanti a noi scorgemmo la carcassa di un bastimento naufragato, in completo sfacelo. Era un triste spettacolo, ma dimostrava la tranquillità dell’ancoraggio. – E ora – disse Hands – guarda, è proprio il posto ideale per arenarsi. Un fondo di sabbia fina e liscia senza una ruga; alberi tutt’intorno e fiori che sbocciano. – Ma una volta arenati – domandai – come faremo a rimettere la nave a galla? – Ebbene – rispose lui – ascolta. Con la bassa marea tu porti un cavo a terra, lo fai girare intorno al tronco di uno di quei grossi pini; riporti il cavo a bordo, lo leghi all’argano e aspetti l’alta marea. Quando essa arriva, tutto l’equipaggio si mette a tirare il cavo e il bastimento esce fuori dolcemente come una piuma. E ora, ragazzo mio, attenzione … – e mi lanciò i suoi comandi che eseguii senza fiatare riuscendo a portare l’Hispaniola verso la piatta riva boscosa. L’eccitazione delle ultime manovre aveva molto allenta153


Parte Quinta - La Mia Avventura In Mare

to la mia vigilanza sul timoniere; quando mi guardai attorno Hands era lì vicino a me con il pugnale nella sua destra. Quando i nostri occhi si incontrarono, gettammo entrambi un grido: il mio era di terrore, il suo un ruggito di rabbia come quello del toro che assale. Egli mi si lanciò contro ed io con un balzo mi spostai di lato verso prua. Così facendo mollai la barra del timone che colpì Hands in pieno petto e lo lasciò per un momento intontito. Prima che potesse riaversi io corsi fuori dall’angolo in cui mi aveva stretto; di fronte all’albero maestro mi fermai, tirai fuori dalla tasca una pistola e tirai il grilletto. Il cane1 scattò, ma non ci furono né lampo né detonazione: l’umidità marina aveva rovinato la polvere. Maledissi la mia trascuratezza che mi rendeva un tenero agnello che fugge dinanzi al macellaio. Sorprendente era la sveltezza con cui Hands, nonostante fosse ferito, si muoveva con i capelli grigi spioventi sugli occhi e il viso rosso per la collera e il furore. Non ebbi tempo di provare l’altra pistola, convinto com’ero che sarebbe stato inutile. Una cosa avevo ben chiara: non dovevo limitarmi a indietreggiare, altrimenti egli mi avrebbe stretto contro la prua così come un attimo prima aveva fatto contro la poppa. Appoggiai quindi il palmo delle mani sull’albero maestro che era di dimensioni notevoli e aspettai con i nervi tesi. Vedendo che io mi preparavo a spostarmi, si fermò anche lui e passammo alcuni istanti a fare lui delle finte e io le mosse corrispondenti. In questo modo avevo spesso giocato a casa tra le rocce della baia della Montagna nera, ma certo non con un simile batticuore. Tuttavia mi sentivo capace di vincere la partita contro un marinaio anziano e ferito a una coscia. Cane: parte del meccanismo di un’arma da fuoco che, scattando, provoca l’accensione della carica di lancio.

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26. Israel Hands

Le cose stavano a questo punto quando all’improvviso l’Hispaniola urtò contro il fondo, barcollò, solcò con la chiglia la sabbia e poi sbandò sulla sinistra in modo tale che il ponte fece un angolo di quarantacinque gradi e dai fori degli ombrinali fuoriuscì una mezza tonnellata d’acqua che allagò la zona tra il ponte e il parapetto. Tutti e due andammo a gambe levate mentre il morto dal berretto rosso con le sue braccia stese in croce venne rigido a sbattere dietro di noi. Eravamo così vicini che la mia testa urtò sul piede del timoniere facendo scricchiolare i miei denti. Malgrado il colpo fui io il primo a rialzarmi, anche perché Hands era rimasto ostacolato dal corpo dell’ucciso. Rapido come il lampo saltai, mi arrampicai sulle sartie2 di mezzana e ripresi fiato solo quando mi trovai seduto sulle barre. La mia prontezza mi aveva salvato: il pugnale si conficcò poco al disotto di me mentre io scappavo su e Israel Hands rimase lì a bocca aperta, sorpreso e deluso. Ora che avevo un attimo di tempo cambiai l’innesco alla mia pistola e appena una fu in ordine mi affrettai per maggior sicurezza a ricaricare l’altra. La mia nuova occupazione sorprese Hands ed egli cominciò a capire che la sorte gli era avversa; dopo un’evidente esitazione si issò pesantemente fra le sartie e col pugnale tra i denti incominciò con penosa lentezza a salire. Gli costò tempo e lamenti tirarsi dietro la gamba ferita ma, prima che egli giungesse a un terzo della distanza che ci separava, io avevo tranquillamente finito i miei preparativi. Allora con una pistola in ciascuna mano mi rivolsi a lui. – Un passo ancora, mastro Hands, e vi faccio saltare le cervella! 2

Sartie: attrezzature che sostengono lateralmente l’albero della nave.

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Parte Quinta - La Mia Avventura In Mare

Si fermò; dalle contrazioni del suo viso capii che stava riflettendo e il processo era così lento e laborioso che scoppiai a ridere. Dopo aver inghiottito una o due volte la saliva parlò, con la stessa espressione perplessa, togliendo il pugnale dalla bocca. – Jim – disse – vedo che siamo in un brutto guaio entrambi e ci conviene fare la pace. Io ti avrei preso se non fosse stato per quello sbandamento, ma non ho fortuna e vedo che mi tocca arrendermi; ed è dura, per un vecchio timoniere come me di fronte ad un novellino come te, Jim. Io bevevo le sue parole sorridendo, superbo come un gallo in cima a un muro, quando in un attimo la sua mano destra si portò indietro all’altezza della spalla. Qualche cosa sibilò come una freccia attraverso l’aria; io sentii un urto, poi un dolore lancinante e infine mi trovai inchiodato all’albero per una spalla. In seguito al dolore atroce e alla sorpresa del momento – non posso dire se di mia volontà, ma sono comunque certo che non mirai – tutt’e due le mie pistole spararono e mi sfuggirono di mano. Anche il timoniere, con un grido soffocato, lasciò andare le sartie e piombò in mare a capofitto.

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27. “Pezzi da otto”

Il corpo di Hands tornò a galla una volta in una chiazza di spuma e sangue, poi affondò per sempre. Tornata calma l’acqua, lo vidi giacere raggomitolato sulla nitida sabbia lucente nell’ombra dei fianchi della nave. Uno o due pesci guizzavano lungo il suo corpo. A volte nel tremolìo dell’acqua sembrava muoversi un po’ quasi tentasse di risalire, ma colpito da un paio di proiettili e per giunta annegato, egli era morto davvero ed era diventato carne per i pesci in quel preciso luogo dove egli aveva pensato di uccidermi. Cominciai a sentirmi venir meno per la stanchezza e la paura. Sangue caldo mi scorreva sul petto e per la schiena. Il pugnale bruciava come un ferro rovente nel punto in cui mi aveva inchiodato la spalla all’albero, tuttavia quello che mi preoccupava era il timore di piombare giù dal pennone in quelle quiete acque verdi accanto al cadavere del timoniere. Mi aggrappai con tutte e due le mani fino a che le unghie mi fecero male e chiusi gli occhi per nascondere la vista del pericolo. A poco a poco recuperai la calma, il polso rallentò i suoi battiti e fui di nuovo lucido. Il mio primo pensiero fu di togliere il pugnale, ma rinunciai subito al tentativo dopo un violento tremito. Esso fu provvidenziale, perché la lama mi tratteneva appena per un lembo di pelle e quel sussulto la lacerò. Il sangue scorse a fiotti, ma io, rimasto attaccato all’albero con la giubba e la camicia, con un energico strappo le staccai, poi raggiunsi il ponte attraverso le sartie di tribordo1. Scesi sotto e fasciai come meglio potei la mia ferita. Essa mi faceva molto male e sanguinava abbondantemente, ma non era né profonda 1

Tribordo: lato destro della nave guardando verso prua.

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Parte Quinta - La Mia Avventura In Mare

né pericolosa, né m’infastidiva quando muovevo il braccio. Mi guardai attorno e poiché la nave adesso era nelle mie mani pensai al modo di liberarla del morto O’ Brien. Ci riuscii facilmente, data la postura che il corpo aveva assunto e, poiché le tragiche avventure alle quali ero abituato mi avevano reso quasi insensibile al terrore dei morti, lo presi per la cintola come un sacco di crusca e con una spinta lo gettai fuoribordo. Egli piombò in mare con un tonfo sonoro, perdendo il berretto rosso che rimase a galla; quando le acque si ricomposero, vidi lui e Israel coricati l’uno vicino all’altro. O’ Brien giaceva con il suo cranio calvo vicino alle ginocchia dell’uomo che l’aveva ucciso e i pesci guizzavano sopra entrambi. Ero ormai solo sul bastimento. La marea cominciava a scendere, la brezza della sera si era levata e cominciava a far freddo. Mi arrampicai a prua e guardai giù: l’acqua sembrava poco profonda e, tenendomi con tutte e due le mani alla gomena, mi lasciai scivolare fuori bordo. L’acqua mi arrivava appena alla cintola; la sabbia era solida e ondulata ed io felice raggiunsi la riva. Ero finalmente fuori dal mare e avevo la goletta libera dai filibustieri e pronta a imbarcare i nostri uomini e a prendere il largo. Non desideravo altro che rientrare nello steccato e vantarmi delle mie prodezze. Avrei ricevuto forse dei rimproveri per la mia audacia, ma l’aver ripreso l’Hispaniola sarebbe stata una valida giustificazione. Inebriato da tali pensieri mi avviai per ritornare al fortino dai miei compagni. Ricordandomi che il più orientale dei fiumi che sboccavano nell’ancoraggio del capitano Kidd discendeva dalla montagna con le due cime poste alla mia sinistra, mi diressi da quella parte per poterlo attraversare finché l’acqua era bassa. Guadato il fiumicello, arrivai vicino al luogo dove avevo incontrato Ben Gunn e mi inoltrai con maggior cautela tenendo gli occhi ben spalancati. 158


27. “Pezzi da otto”

Quando arrivai nella valle che divideva i due picchi, scorsi laggiù contro il cielo un vacillante bagliore e pensai che Ben Gunn stesse cuocendo la cena davanti a un fuoco scoppiettante; mi sembrava però un’imprudenza poiché anche Silver, accampato sulla riva paludosa, avrebbe potuto vedere quella luce. La notte diventava sempre più scura e, procedendo lungo il terreno ondulato, continuamente inciampavo nei cespugli e ruzzolavo nelle buche di sabbia. D’improvviso un lieve chiarore si diffuse intorno a me: la luna si stava alzando e illuminava la cima del Cannocchiale. Con quest’aiuto compii in fretta il resto del mio cammino; a volte camminando, altre correndo, mi avvicinavo impazientemente alla palizzata. Finalmente arrivai al limite della radura. L’estremità ovest era già immersa nel plenilunio; il resto e lo stesso fortino rimanevano immersi in una nera oscurità solcata da lunghe strisce di luce argentata. Dall’altro lato della casa un enorme fuoco aveva bruciato e le sue braci spargevano attorno un riverbero rosso che contrastava col pallore della luna. Non un’anima che si muovesse, non un suono tranne il sussurro della brezza. Mi fermai molto sorpreso e anche un po’ spaventato. Noi non usavamo accendere grandi fuochi, obbedendo agli ordini del capitano, così cominciai a pensare che le cose in mia assenza avessero preso una brutta piega. Furtivamente feci il giro dall’estremità est tenendomi vicino all’ombra e, trovato il punto propizio dove il buio era più fitto, scavalcai la palizzata. Quindi per maggior sicurezza mi buttai a terra carponi e strisciai senza far rumore verso l’angolo della casa. Avvicinandomi mi entrò in cuore un improvviso sollievo udendo il russare concorde e fragoroso dei miei amici nel loro placido sonno. Una cosa era certa: essi facevano una pessima guardia. Ci fossero stati Silver e i suoi ora al mio 159


Parte Quinta - La Mia Avventura In Mare

posto, nessuno di loro avrebbe visto l’alba. Ecco cosa significava, pensavo, avere il capitano ferito e di nuovo aspramente mi rimproveravo di averli abbandonati con una così scarsa guardia. Giunto alla porta mi alzai in piedi. Dentro era buio pesto e non riuscivo a distinguere nulla. Quanto ai rumori, udivo il continuo russare dei dormienti e di tanto in tanto uno svolazzare e beccare che non riuscivo a spiegarmi. Con le braccia tese in avanti mi inoltrai. Mi sarei coricato al mio posto e mi sarei goduto le loro facce sorprese quando mi avrebbero scoperto l’indomani mattina. Il mio piede urtò in qualcosa di molle: le gambe di un dormiente, che si voltò borbottando, ma senza svegliarsi. D’improvviso una voce stridula proruppe nelle tenebre: “Pezzi da otto! Pezzi da otto! Pezzi da otto! Pezzi da otto! Pezzi da otto!” e così via senza pausa né cambiamento. Il pappagallo verde di Silver, capitano Flint! Era lui che avevo sentito picchiare col becco su un pezzo di corteccia; era lui che vigilando meglio di qualsiasi essere umano annunciava il mio arrivo col suo monotono ritornello. Mi mancò il tempo di riprendermi. Gli uomini si svegliarono, saltarono in piedi e con una violenta imprecazione la voce di Silver tuonò: – Chi va là? Mi volsi per scappare, urtai violentemente contro qualcuno, indietreggiai e caddi nelle braccia di un altro che mi cinse tenendomi ben saldo. – Porta una torcia, Dick – comandò Silver non appena la mia cattura fu assicurata. E uno degli uomini lasciò la casa per rientrare subito dopo con un tizzone acceso.

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28. Nel campo nemico Il bagliore rossastro della torcia illuminando l’interno del fortino confermò i miei peggiori sospetti, che i pirati cioè avevano preso possesso della casa e delle provviste: il barile dell’acquavite, la carne salata, le gallette; nessuna traccia però vi era dei prigionieri. Supposi che fossero stati tutti uccisi e provai il rimorso di non essermi trovato lì a morire con loro. I filibustieri erano in tutto sei: cinque stavano in piedi ancora rossi e gonfi di vino, uno si era sollevato su un gomito e appariva mortalmente pallido, con la testa fasciata di bende insanguinate. Sicuramente era colui che durante l’attacco del fortino era stato colpito da una pallottola ed era scappato nel bosco. Il pappagallo si lisciava le piume appollaiato sulla spalla di Long John. Quest’ultimo mi parve alquanto più pallido e rigido del solito. Indossava ancora lo stesso bell’abito di panno con il quale aveva compiuto la sua missione, ma era sporco di fango e lacerato dagli spini dei rovi. – To’ – disse – ecco qua Jim Hawkins, venuto a farci una visita di cortesia! Ciò detto sedette sul barile dell’acquavite e si mise a riempire la pipa. E dopo che l’ebbe accesa: – Signori miei, andate pure: non è il caso di rimanere in piedi per il signor Hawkins; egli vi scuserà, state tranquilli. E così Jim – e pressava il tabacco – eccoti qui: una bella sorpresa per il povero vecchio John. M’ero accorto che eri un ragazzo sveglio, ma non pensavo che arrivassi a tanto. Io tacevo. Mi avevano messo con le spalle al muro; cercavo di mostrarmi coraggioso, ma avevo nel cuore la più cupa disperazione. Silver tirò una o due boccate di fumo e continuò: – E ora, Jim, dal momento che ti trovi qui voglio dirti come la penso. Tu mi sei sempre piaciuto perché sei un ragazzo di

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Parte Sesta - Il Capitano Silver

spirito, il ritratto di me quando ero giovane e forte. Ho sempre desiderato che ti unissi a noi per avere la tua parte ed ecco che sei venuto. Il capitano Smollett è un ottimo uomo di mare, ma quanto a disciplina è inflessibile. – Il dovere è dovere – dice lui e ha ragione. Farai bene a stargli alla larga. Anche il dottore ce l’ha a morte con te: ti ha definito “ingrato furfante”. Insomma, la conclusione è che non puoi ritornare dai tuoi perché di te non ne vogliono più sapere e, a meno che tu non formi da solo un terzo equipaggio, ti conviene unirti al capitano Silver. Fin qui tutto bene. I miei amici erano vivi e, sebbene io credessi che quelli della cabina ce l’avessero con me, le parole del pirata mi diedero più sollievo che angoscia. – Quanto al fatto che sei nelle nostre mani – continuò Silver – io preferisco ragionare piuttosto che minacciare. Se ti va, ti unirai a noi; se non ti va, sei libero di dire di no. Attraverso le parole pronunciate avevo avvertito la minaccia di morte che mi pendeva sul capo; le mie guance scottavano e il mio cuore batteva all’impazzata. – Devo dunque rispondere? – chiesi con un filo di voce. – Nessuno ti fa fretta, ragazzo mio. Il tempo, come vedi, scorre piacevolmente in tua compagnia. – Ebbene – dissi io prendendo un po’ di coraggio – se devo scegliere, dichiaro che ho diritto di sapere come stanno le cose, perché voi siete qui e dove si trovano i miei amici. – Come stanno le cose? – intervenne uno dei filibustieri con un sordo grugnito. – Fortunato chi lo sa! – Sarebbe meglio che tenessi chiusa la bocca fino a quando non sarai interrogato – gridò Silver al compagno. E rivolgendosi a me con il tono gentile di prima rispose: – Ieri mattina durante il turno di guardia si presenta il dottor Livesey con la bandiera bianca dicendo: “Capitano Silver, siete stato tradito. Il bastimento non c’è più”. Può darsi che nella notte avessimo 162


28. Nel campo nemico

bevuto, cantando, un bicchiere di troppo; di certo nessuno di noi aveva messo il naso fuori. Guardammo e, corpo di mille bombe, la vecchia goletta non c’era più. Restammo tutti sbalorditi. “Ebbene – dice il dottore – vogliamo trattare?” Trattammo lui ed io e il risultato eccolo qui: provviste, acquavite, fortino, legna da ardere che voi foste previdenti a tagliare e accatastare. Quanto a loro se ne sono andati e non so dove si trovino. Tirò un’altra boccata di fumo e proseguì: – E sai quali sono state le ultime parole che ha pronunciato? “Quanti siete – dico io – ad andarvene?” “Quattro – dice lui – uno dei quali ferito. Quanto al ragazzo ignoro dove sia, che vada al diavolo, non me ne importa affatto. Ne siamo stufi”. – È tutto qui? – domandai. – Sì, non c’è altro da sapere, figliolo – ribatté Silver. – E ora devo scegliere? – Ora devi scegliere, sicuro. – Ebbene – dissi io – io non sono così stupido da non sapere che cosa mi aspetta. Ne ho visti troppi morire da quando vi ho incontrato. Ci sono però un paio di cose che voglio dirvi – continuai con grande eccitazione – e la prima è questa: voi siete messi male perché avete perduto la nave, il tesoro, i compagni; la vostra impresa è naufragata e ne sono io la causa. Ero nascosto nel barile delle mele la sera che avvistammo l’isola e sentii voi, John, parlare con voi, Dick Johnson e Hands, che ora giace in fondo al mare, e immediatamente riferii tutto ciò che avevate detto. Quanto alla goletta, sono stato io a tagliare il cavo, a uccidere gli uomini che erano a bordo, a portarla dove nessuno di voi potrà ritrovarla. Sono io che ho manovrato i fili dell’intera faccenda e voi non mi fate paura più di una mosca. Uccidetemi, se volete, o risparmiatemi. Se mi risparmiate, quando comparirete in tribunale con l’accusa di pirateria, vi difenderò con 163


Parte Sesta - Il Capitano Silver

tutte le mie forze. Tocca a voi scegliere: o uccidermi senza trarne il minimo vantaggio o risparmiarmi assicurandovi un testimone che vi salverà dal patibolo. E ora, mastro Silver, se le cose andassero male, fatemi la cortesia di far conoscere al dottore in che modo mi sono comportato. – Me lo ricorderò – disse Silver. – Aggiungerò io un’altra cosa – gridò il marinaio dal viso color mogano, detto Morgan, che avevo visto nella taverna di Silver sulla banchina di Bristol – è stato lui a riconoscere Cane Nero. – E sentite me – intervenne il mastro cuoco – è stato questo ragazzo a sottrarre la carta a Billy Bones. Dal principio alla fine ci siamo trovati Jim Hawkins tra i piedi! – E allora ecco quello che si merita – proferì Morgan con una bestemmia. E si alzò in piedi agitando il coltello con slancio. – Altolà! – gridò Silver. – Chi sei tu Tom Morgan, il capitano? Prova a metterti contro di me e farai una brutta fine. Non c’è mai stato nessuno che mi abbia guardato fisso negli occhi e abbia poi avuto un giorno felice, Tom Morgan, te l’assicuro. Morgan tacque, ma tra gli altri sorse un mormorìo. – Tom ha ragione – disse una voce. – Io sono stato seccato abbastanza da un capitano – aggiunse un altro. – M’impicchino se mi lascio mettere sotto da voi, John Silver. – C’è qualcuno di voi, miei signori, che vuole vedersela fuori con me? – urlò Silver. – Ebbene, eccomi pronto. Chi ha fegato prenda un coltellaccio e vedrò il colore delle sue budella, nonostante la mia stampella, prima che questa pipa si spenga. Nessuno si mosse, nessuno rispose. – Ecco di che pasta siete fatti – aggiunse riportando la pipa alla bocca. – Voi rifiutate di battervi come dovrebbero dei gentiluomini. Allora obbedirete al vostro capitano, state164


Il vecchio lupo di mare all’Ammiraglio Benbow

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Parte Sesta - Il Capitano Silver

ne certi. Io voglio bene a questo ragazzo, vale più lui di due di voi vigliacchi. Ed ecco cosa vi dico: provate soltanto a mettergli le mani addosso... Seguì un lungo silenzio. Io stavo diritto con le spalle al muro e con il cuore che continuava a battere all’impazzata, ma rischiarato da un barlume di speranza. Silver si appoggiò contro il muro con le braccia incrociate, la pipa all’angolo della bocca, immobile come fosse in chiesa, ma attento a spiare i suoi irrequieti compagni. Questi si erano raccolti all’altra estremità del fortino, bisbigliavano tra loro e di tanto in tanto volgevano gli occhi su Silver. – Sembra che abbiate molte cose da dire – osservò Silver sputando lontano. – Fate sentire anche a me oppure statevene zitti. – Scusatemi capitano – replicò uno degli uomini – voi prendete un po’ troppo alla leggera alcune delle nostre regole. Questo equipaggio è scontento, rivendica i suoi diritti e intende tenere consiglio per discutere della cosa insieme. E con un saluto marinaresco quest’uomo di trentacinque anni, alto, malaticcio, dagli occhi giallastri, si diresse verso la porta e scomparve. I restanti uno dopo l’altro seguirono il suo esempio, facendo ciascuno il proprio saluto, passando, e accompagnandolo con qualche scusa. – Secondo le regole – disse uno. – Consiglio di prua – disse Morgan. E così uscirono tutti lasciando Silver e me soli alla luce della torcia. Il cuoco si tolse la pipa di bocca. – Ora ascolta, Jim Hawkins – disse con voce ferma ma appena percettibile. – Tu sei a un passo dalla morte o peggio ancora dalla tortura. Essi stanno per liberarsi di me. Ma io ti assicuro che qualunque cosa accada sarò dalla tua parte. Ho visto di che stoffa sei e mi sono detto: “Sostieni Hawkins, John, e Hawkins sosterrà te. Tu sei l’ultima sua carta e, corpo di mille bombe, 166


28. Nel campo nemico

John è la tua. Tu salvi il tuo testimone e lui salverà la tua testa”. Cominciavo a capire. – Intendete dire che tutto è perduto? – Ma sì, sì! Partita la nave, partirà la mia testa: una cosa tira l’altra. Quando guardai la baia, Jim Hawkins, e non vidi più la goletta, mi diedi per vinto. Quanto a quella combriccola e al loro consiglio, credi a me, non sono che degli idioti e dei vigliacchi. Io ti salverò, se mi riesce, da loro, ma tu, Jim, salverai Long John dalla forca. Io ero sgomento: proprio lui, il vecchio pirata, il capobanda, mi faceva una richiesta così disperata! – Quello che potrò lo farò – dissi. – Affare fatto! – gridò Long John. – Tu parli da coraggioso e io non sono ancora perduto. Zoppicò fino alla torcia conficcata nel mucchio della legna e riaccese la pipa. – Ascoltami bene, Jim – riprese tornando – Io sono dalla parte del cavaliere, ormai. So che hai portato l’Hispaniola in salvo e non mi importa dove. Come tu abbia fatto lo ignoro; immagino che Hands e O’Brien siano rincitrulliti, in verità non ho mai nutrito eccessiva fiducia in nessuno dei due. Spillò dalla botticella un po’ d’acquavite. – Vuoi assaggiare, amico? E avuto il mio rifiuto disse: – Bene, ne prenderò un sorso io, Jim. Ho bisogno di tirarmi su perché c’è del torbido in giro. E a proposito di torbido, Jim, mi sai dire perché mai il dottore mi ha dato la carta? Il mio viso espresse un così autentico stupore che egli ritenne inutile pormi altre domande. – Comunque sia me l’ha data. E c’è sotto qualcosa, Jim, di cattivo o di buono. E inghiottì un altro sorso d’acquavite scuotendo la grossa testa bionda con l’aria di chi prevede il peggio. 167


29. Di nuovo il marchio nero Il consiglio dei pirati durava già da qualche tempo quando uno di loro rientrò nella casa e, ripetendo il saluto di prima, chiese in prestito la torcia. Silver acconsentì e quello si ritirò lasciandoci al buio. – C’è aria di burrasca, Jim – disse Silver con un tono amichevole. Mi avvicinai alla feritoia più vicina e guardai. Le braci del grande fuoco si erano consumate ed emanavano una luce molto fioca, per questo avevano chiesto la torcia. Essi stavano radunati sul pendio, a metà strada dalla palizzata; uno reggeva la torcia, un altro era in ginocchio in mezzo a loro con un coltello in pugno, mentre gli altri curvi osservavano i suoi movimenti. Riuscii anche a scorgere un libro tenuto in mano insieme al coltello e questo mi stupì. Di lì a poco l’uomo inginocchiato si rialzò e l’intera banda si diresse verso la casa. – Vengono – dissi e ripresi il posto di prima perché non volevo che mi sorprendessero a spiarli. – Bene, lasciali venire, piccolo mio, lasciali venire – fece Silver allegramente – io ho ancora una carta da giocare. La porta si aprì e i cinque uomini, raggruppati sulla soglia, spinsero avanti uno di loro, che avanzò esitando e tendendo davanti a sé la mano destra chiusa. – Avanti, ragazzo, avanti – gridò Silver. – Non ti voglio mica mangiare. Dammi pure, conosco le regole e non farò del male ad un ambasciatore. Incoraggiato da queste parole, il filibustiere si affrettò e, dopo aver passato qualcosa a Silver da mano a mano, si ritirò velocemente nel gruppo dei compagni. Il cuoco guardò ciò che gli era stato consegnato. – Il marchio nero! Me lo sentivo. Dove avete pescato

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29. Di nuovo il marchio nero

questo pezzo di carta? Oh! Guarda! Da una bibbia l’avete strappato. Non vi porterà fortuna! – Ecco! – proruppe Morgan. – Che vi dicevo io? Non ne verrà niente di buono, ve l’avevo detto. – Be’, l’avete fatta grossa – riprese Silver. – Prevedo che sarete tutti impiccati. Ma chi è quel rammollito che aveva una bibbia? – È Dick – disse una voce. – Dick? Allora può andare a pregare per l’anima sua. A questo punto l’uomo dagli occhi giallastri lo interruppe. – Piantala, John Silver, con queste chiacchiere. L’equipaggio ti ha decretato il marchio nero con voto unanime; volta la carta, secondo le regole, e leggi ciò che c’è scritto. Poi potrai parlare. – Grazie, George – replicò il cuoco. – Tu sei sempre sveglio e le regole le conosci a memoria. Ebbene, che cosa c’è scritto? Ah! “Destituito”! È la tua scrittura, George? Eh, stai diventando una figura di primo piano in questo equipaggio. Potresti essere capitano, domani, e non mi stupirei affatto. Porgimi ancora quella torcia per cortesia, vuoi? La mia pipa non tira. – Basta – scattò George. – Finisci di prenderti gioco di noi. Lo sappiamo che sei un buffone, ma ormai non rappresenti più nulla. – Mi pareva d’averti sentito dire che conosci le regole – ribatté Silver sprezzante. – Se tu non le conosci, le conosco io e rimarrò qui perché sono ancora il vostro capitano fino a che voi non avrete presentato i vostri reclami ed io non vi avrò risposto. Nel frattempo il vostro marchio nero non vale una galletta. Dopo ciò vedremo. – Oh – replicò George – noi siamo tutti d’accordo. Primo, ci hai messo in un mare di guai con questa spedizione. Secondo, hai lasciato uscire il nemico da questa trappola, 169


Parte Sesta - Il Capitano Silver

per che cosa? Per nulla. Perché tenevano così tanto ad andarsene? Terzo, non ci hai permesso di saltare loro addosso mentre si ritiravano. E, quarto, c’è questo ragazzo qui. – È tutto? – domandò Silver pacatamente. – Mi pare che basti – rispose George. – Noi saremo impiccati e seccheremo al sole a causa tua. – Ebbene, io risponderò su questi quattro punti. Vi ho messo nei guai con questa spedizione? Vediamo un po’: voi tutti sapete che cosa volevo e che se tutto fosse stato fatto a modo mio noi saremmo stati questa notte a bordo dell’Hispaniola, tutti quanti vivi a rimpinzarci di torta di prugne e col tesoro in fondo alla stiva! Ebbene, chi si è messo di mezzo? Chi mi ha destinato il marchio nero il giorno stesso che siamo sbarcati? Ebbene, sono stati Anderson, Hands e tu George Merry! Tu, l’ultimo a bordo, hai l’insolenza di presentarti come capitano al posto mio, tu che ci hai fatti naufragare tutti quanti! Per tutti i diavoli! Silver fece una pausa ed io mi accorsi dal volto di George e dei suoi compagni che quelle parole avevano colto nel segno. – Questo per il numero uno – proclamò l’accusato asciugandosi il sudore della fronte poiché aveva parlato con una tale veemenza da far tremare la casa. – E se volete che vi risponda riguardo al quarto punto: questo ragazzo non è forse un ostaggio? E noi vogliamo privarcene? Ah no, signori miei: potrebbe essere la nostra ultima speranza. E il numero tre? Ah sì c’è tanto da dire sul numero tre. Non conta niente per voi il fatto di avere un vero dottore che viene a visitare ogni giorno te, John, con la tua testa rotta, o te George Merry che solo sei ore fa avevi addosso i brividi della febbre e che ancora adesso hai gli occhi color della buccia di limone? E non pensate che può arrivare una nave d’appoggio? Verrà e vedremo allora chi sarà contento di avere un ostaggio al 170


29. Di nuovo il marchio nero

momento buono. E quanto al numero due, sono sceso a patti perché mi avete supplicato di farlo tanto eravate abbattuti e sareste morti di fame se non l’avessi fatto, ma questa è una cosa da nulla; guardate, l’importante è questo! E gettò in terra qualcosa che io subito riconobbi per quella carta ingiallita con le tre croci rosse che avevo trovata avvolta nella tela cerata in fondo al baule del capitano. Perché il dottore l’avesse consegnata a Silver non riuscivo a immaginarlo. Ma se l’apparizione della carta era inspiegabile per me, era incredibile per i rivoltosi. Vi saltarono sopra, se la passarono di mano in mano quasi strappandosela l’un l’altro. – Sì – disse uno – è proprio quella di Flint. J. F. con una riga sotto e uno scarabocchio a forma di nodo: così ha sempre firmato. – Splendido – disse George. – Ma come faremo a portare via il tesoro senza la nave? Silver balzò in piedi di scatto e appoggiandosi con una mano al muro gridò: – Ancora un’impertinenza, George, e te la dovrai vedere con me. Come faremo? E che ne so io? Piuttosto tu me lo dovresti dire, tu e gli altri che avete perduto la mia goletta con la vostra intromissione, andate all’inferno! Voi perdete la nave, io trovo il tesoro. Chi vale di più? E ora sono io a dare le dimissioni! Eleggete chi vi pare a vostro capitano; io ne ho fin sopra i capelli. – Silver! – esclamarono in coro. – Barbecue per sempre! Viva Barbecue! Barbecue nostro capitano! – È questo che volete? – gongolò il cuoco. – George, amico mio, io credo che ti conviene aspettare un altro turno e buon per te che non sono vendicativo. E ora che ne facciamo di questo marchio nero? Non vale più niente, vero? Dick ha compromesso la sua sorte e rovinato la bibbia e questo è tutto. – Ma gioverà ancora baciare il libro, no? – mormorò Dick 171


Parte Sesta - Il Capitano Silver

preoccupato per la maledizione che s’era tirata addosso. – Una bibbia con una pagina di meno? – rispose Silver beffardo. – No. Quella non vale più d’un libro di canzoni. – È così? – esclamò Dick allegro. – Allora credo che mi convenga conservarla ancora. – Prendi, Jim, ecco una curiosità per te – disse Silver porgendomi il pezzetto di carta. Era un dischetto grande all’incirca come una moneta. Un lato che corrispondeva all’ultima pagina del libro era bianco; l’altro recava alcuni versetti dell’Apocalisse e le parole che mi colpirono furono: “Fuori sono i malvagi e gli assassini”. Il lato stampato era stato annerito con della cenere che già cominciava a venir via macchiandomi le dita; sul lato bianco era stata scritta la parola: “Destituito”. Così finì la notte avventurosa. Ci coricammo per dormire e Silver si vendicò mettendo George Merry di sentinella e minacciandolo di morte se non avesse fatto buona guardia. Passò del tempo prima che potessi chiudere gli occhi perché avevo molti pensieri: l’uomo da me ucciso nel pomeriggio, il pericolo che correvo e soprattutto lo straodinario gioco in cui era impegnato Silver che con una mano teneva insieme gli ammutinati e con l’altra cercava di salvare la sua miserabile esistenza. Egli dormiva tranquillo e russava sonoramente. Il mio cuore era in pena per lui pensando agli oscuri pericoli che lo circondavano ed alla vergognosa forca che lo attendeva.

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30. Sulla parola

Fummo svegliati tutti, anche la sentinella che si era appoggiata allo stipite della porta, da una voce chiara e cordiale che ci chiamava dal margine del bosco. – Ehi del fortino! – gridava. – C’è qui il dottore. Era lui infatti. Nonostante fossi contento di riascoltare quella voce, mi vergognavo a guardare in faccia il nuovo venuto ricordando come mi ero comportato. Egli doveva essersi alzato quando era ancora buio perché ora solamente cominciava a fare giorno. – Buon giorno a voi! – gridò Silver completamente sveglio e di buonumore – Svelto e mattiniero davvero. Su, George, fai entrare il dottore. Anche i vostri pazienti stanno tutti bene e sono allegri. Così blaterava in piedi sulla cima del monticello con la stampella sotto l’ascella e una mano sulla parete del fortino. – E abbiamo anche una sorpresa per voi – continuò. – Un piccolo forestiero, un nuovo inquilino sano come un pesce; ha dormito come un sasso vicino a John tutta la notte. Il dottor Livesey aveva scavalcato lo steccato e si trovava vicino al cuoco. Udii la sua voce alterata che domandava: – Si tratta di Jim? – Proprio lui – rispose Silver. Il dottore si arrestò di colpo e rimase alcuni istanti senza parole. – Bene bene – disse infine – prima il dovere e poi il piacere. Vediamo questi vostri pazienti. Entrò nel fortino e, rivoltomi un furtivo cenno del capo, iniziò a visitare i malati, senza mostrare alcuna paura: passava infatti conversando dall’uno all’altro come facesse un’ordinaria visita professionale presso una pacifica famiglia inglese. I suoi modi influivano sugli uomini che si comportavano con lui come se nulla fosse accaduto ed

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Parte Sesta - Il Capitano Silver

egli fosse ancora il medico di bordo e loro fedeli marinai. – Voi state meglio, amico mio – disse al pirata con la testa fasciata. – La vostra testa dev’essere dura come il ferro. E voi George, come va? Il vostro colore è buono, ma il vostro fegato, mio caro, è sottosopra. L’avete presa la medicina? Dite voi, ragazzi, l’ha presa la medicina? – Sì, signore, l’ha presa – rispose Morgan. – Perché vedete, dato che mi ritrovo a essere medico di ribelli – continuò il dottor Livesey col suo tono più allegro – per me è una questione d’onore non sottrarre un uomo a Re Giorgio (Dio lo benedica) e alla forca. I furfanti si scambiarono un’occhiata, ma incassarono la battuta in silenzio. – Dick non si sente bene, signore – disse uno. – No? Venite qui Dick e fatemi vedere la vostra lingua. Mi stupirei che si sentisse bene con questa lingua. Ci risiamo con la febbre. – Ecco – interloquì Morgan – cosa succede a rovinare la bibbia. – Ecco cosa si guadagna a essere degli asini matricolati – ribatté il dottore – e a non saper distinguere l’aria buona dal veleno, la terra asciutta da un pantano pestilenziale. Sono convinto che ce ne vorrà per estirpare la malaria dai vostri organismi. Accamparsi in una palude! Mi meraviglio di voi, Silver. Mi sembrate sprovvisto delle più elementari nozioni d’igiene. Dopo che li ebbe medicati tutti aggiunse: – Ebbene, per oggi è fatta. E ora vorrei, se non vi dispiace, avere un colloquio con quel ragazzo. – E accennò a me con la testa con aria indifferente. George Merry, che stava sulla soglia sputando e bofonchiando per non so quale amara medicina ingoiata, alla prima parola del dottore reagì con un violento “No!” e un’im174


30. Sulla parola

precazione. Silver colpì il barile con il palmo aperto della mano. – Silenzio! – ruggì. E si guardò intorno con un’occhiata da leone. – Dottore – continuò poi col suo tono abituale – pensavo proprio a questo sapendo quanto siete affezionato a questo ragazzo. Noi vi siamo grati per la vostra gentilezza, abbiamo fiducia in voi e trangugiamo le vostre medicine come fossero ponce. Credo di aver trovato una soluzione soddisfacente per tutti. Hawkins, da giovane gentiluomo quale sei, vuoi darmi la tua parola d’onore che non taglierai la corda? Io m’affrettai a promettere. – Allora, dottore – riprese Silver – vi chiedo di uscire dallo steccato; io porterò il ragazzo laggiù nell’interno, di fronte a voi, e attraverso la palizzata potrete parlare. Buon giorno a voi, signore, e i nostri omaggi al cavaliere e al capitano Smollett. Non appena il dottore ebbe lasciato la casa esplose il malcontento dei pirati: Silver fu accusato di fare il doppio gioco, di cercare di ottenere per sé una pace separata, di sacrificare gli interessi dei suoi complici. Anche a me il tradimento pareva evidente e mi chiedevo come egli sarebbe riuscito a placare la loro collera. Ma Silver valeva da solo due volte tutti gli altri e la vittoria della sera prima lo aveva enormemente innalzato ai loro occhi. Si scagliò contro tutti trattandoli da perfetti imbecilli, affermò che era necessario che io parlassi col dottore e, agitando loro la carta sotto il naso, domandò se volevano rompere i patti il giorno stesso in cui si sarebbero messi alla ricerca del tesoro. – No, per tutti i fulmini! – gridò. – Saremo noi a rompere i patti al momento opportuno e fino ad allora io abbindolerò il dottore, dovessi anche lucidargli gli stivali con l’acquavite. Dopo di che ordinò di accendere il fuoco e s’incammi175


Parte Sesta - Il Capitano Silver

nò trionfante appoggiato alla sua stampella, con una mano sulla mia spalla, lasciandoli confusi e ridotti al silenzio dalla sua loquacità, più che convinti dalle sue ragioni. – Adagio, piccolo, adagio – mi sussurrava. – Ci salterebbero addosso in un attimo se ci vedessero affrettarci. Con studiata lentezza ci dirigemmo dunque verso il punto dove il dottore, dall’altro lato della palizzata, aspettava; giunti a portata di voce, Silver si fermò e disse: – Tenete conto anche di questo, dottore; il ragazzo vi dirà come gli ho salvato la vita e come sono stato destituito proprio per questo! Vi prego di tener presente che non è più soltanto in gioco la mia vita, ma anche quella di questo ragazzo; parlatemi sinceramente, dottore, e datemi, per misericordia, un briciolo di speranza per tirare avanti. Subito dopo aver voltato le spalle ai suoi compagni e al fortino, Silver aveva cambiato aspetto: le sue guance sembravano infossate, la voce gli tremava, appariva molto abbattuto. – John, non avrete mica paura? – chiese il dottor Livesey. – Dottore, io non sono un vile, se lo fossi non parlerei in questo modo. Ma confesso francamente che l’idea della forca mi dà i brividi. Voi siete un vero uomo, il migliore che io abbia mai incontrato. E voi non dimenticherete ciò che ho fatto di buono, così come non dimenticherete il male, lo so. Ora io mi allontano, come vedete, per lasciarvi solo con Jim. Anche di questo terrete conto, perché non è una concessione da poco! Così dicendo si tirò indietro tanto da non poterci ascoltare, sedette sopra un ceppo d’albero e si mise a fischiettare voltandosi di tanto in tanto in modo da poter sorvegliare sia me e il dottore sia i suoi compagni che erano impegnati a riaccendere il fuoco e a portare fuori dalla casa carne di maiale e gallette per la colazione. 176


30. Sulla parola

– E così Jim – mi disse tristemente il dottore – eccoti qui. Si raccoglie quel che si è seminato, figlio mio. Dio mi è testimone che non ho il coraggio di rimproverarti, ma desidero dirti questo: quando il capitano Smollett stava bene non avresti osato allontanarti; quando s’ammalò e non era in grado d’impedirtelo... ah, è stata una vigliaccheria bella e buona! Confesso che a quel punto cominciai a piangere. – Dottore – dissi – risparmiatemi. Mi sono rimproverato abbastanza da solo: la mia vita è ormai perduta e io sarei già morto se Silver non mi avesse difeso. Credetemi, dottore, sono pronto a morire, ma ciò che temo è la tortura. Se arriveranno a torturarmi... – Jim – mi interruppe il dottore con un tono di voce completamente mutato. – Questo non deve accadere. Salta la palizzata e fuggiamo. – Dottore – dissi – ho dato la mia parola. – Lo so, lo so. Mi addosserò tutto io: la vergogna, il disonore, ma non posso lasciarti qui. Salta e fuggiamo come gazzelle. – No – replicai. – Non lo fareste voi, né il cavaliere, né il capitano e neanche io lo farò. Silver si è fidato di me, io gli ho dato la mia parola e ritornerò con lui. Ma dottore, fatemi finire. Se mi tortureranno potrebbe sfuggirmi una parola a proposito del posto dov’è l’Hispaniola, perché sono stato io a prenderla con un po’ di fortuna e di coraggio insieme; ora si trova nella Baia Nord, sulla spiaggia sud, quasi al livello dell’alta marea. Quando la marea è a metà dovrebbe trovarsi a secco. – L’Hispaniola! – esclamò il dottore. Io in breve gli raccontai le mie avventure che lui ascoltò in silenzio. – C’è una specie di fatalità in tutto questo – osservò quando ebbi finito. – A ogni passo sei tu che ci salvi la vita; 177


Parte Sesta - Il Capitano Silver

potresti supporre che ti lasciassi morire? Sarebbe una ben misera ricompensa, figlio mio. Tu hai scoperto il tradimento, tu hai trovato Ben Gunn: la cosa migliore che tu hai fatto o potrai mai fare dovessi campare cent’anni. A proposito di Ben Gunn! Silver – chiamò – Silver! Desidero darvi un consiglio. – E aggiunse, quando il cuoco si fu avvicinato: – Non affrettatevi troppo per quel tesoro. – Signore, cercherò di fare così, ma non posso salvare la mia vita e quella del ragazzo se non mettendomi a cercare il tesoro, credetemi. – Ebbene Silver, quando è così, vi dirò ancora una cosa: attento alle baruffe quando lo troverete. – Signore, dove volete arrivare? Perché avete abbandonato il fortino, perché mi avete dato quella carta? Ho eseguito i vostri ordini ad occhi chiusi senza ricevere una parola di speranza. Questo è troppo. Se non volete spiegarmi chiaramente le vostre intenzioni, ditemelo e io lascerò il timone. – No – fece il dottore pensieroso. – Non ho il diritto di dire di più: il segreto non è mio, capite Silver; altrimenti ve lo avrei svelato. Voglio darvi però un po’ di speranza: se usciremo vivi da questa trappola per lupi farò tutto quanto posso per salvarvi, eccetto che testimoniare il falso. Il volto di Silver era raggiante. – Non potevate parlare meglio, nemmeno se foste stato mia madre. – Ebbene, questa è la mia prima concessione – riprese il dottore. – La seconda è un consiglio: tenetevi sempre accanto il ragazzo e se vi serve aiuto chiamate. Io vado a cercare aiuto e ciò vi proverà che non parlo a vanvera. Arrivederci Jim. Il dottor Livesey mi strinse la mano attraverso la palizzata e, rivolto a Silver un cenno di saluto, s’inoltrò spedito nel bosco. 178


31. La caccia al tesoro: l’indicazione di Flint

– Jim – disse Silver quando fummo soli – se io ho salvato la vita a te, tu l’hai salvata a me e questo non lo dimenticherò. Ho visto con la coda dell’occhio che il dottore ti incitava a scappare e che tu dicevi di no. Jim, questo è un punto a tuo favore. E ora dobbiamo metterci alla caccia del tesoro e per giunta con ordini segreti, il che non mi va. Ma noi due dobbiamo tenerci stretti come fossimo cuciti insieme per salvare le nostre vite a dispetto del destino. In quel momento un uomo ci chiamò perché la colazione era pronta e subito andammo a sederci intorno al fuoco con davanti gallette e carne fritta. Avevano acceso un fuoco capace di arrostire un bue, avevano cucinato tre volte più di quanto potessimo mangiare e uno di loro, con una risata da scemo, gettava gli avanzi nel falò che così alimentato tornava a fiammeggiare. Non ho mai visto in vita mia uomini più incuranti dell’indomani. “Vivere alla giornata” è l’unica espressione adatta a descrivere il loro modo di agire, tanto per lo spreco delle provviste quanto per le sentinelle addormentate e, sebbene fossero abbastanza coraggiosi da affrontare uno scontro breve, io vedevo chiaramente la loro assoluta incapacità a sostenere un’impresa prolungata. Lo stesso Silver, che mangiava col “capitano Flint” sulla spalla, non aveva una parola di rimprovero per la loro sconsideratezza, il che mi stupiva perché non si era mai dimostrato tanto avveduto come poco prima. – Sì compagni – diceva lui – è una vera fortuna avere Barbecue che pensa per voi con questa sua testa qui. Io ho ottenuto ciò che volevo. Certo, essi hanno la nave; dove sia non lo so, ma una volta trovato il tesoro ci metteremo a cer179


Parte Sesta - Il Capitano Silver

carla e la scoveremo. E allora, amici miei, dato che abbiamo le scialuppe, avremo il sopravvento. Così andava discorrendo con la bocca piena di carne appena tolta dal fuoco dando a loro e a se stesso speranza e fiducia. – Quanto all’ostaggio – continuò – suppongo che quella sia stata l’ultima conversazione con coloro cui vuole così bene. Ho ottenuto la mia parte di informazioni, grazie a lui, e gliene sono grato, ma ormai è cosa finita. Lo legherò a una fune, mentre andremo alla caccia del tesoro, perché dovremo custodirlo come fosse oro per ogni evenienza. Una volta in possesso della nave e del tesoro, quando navigheremo come allegri compagni, oh, allora parleremo col signor Hawkins e gli daremo ciò che gli spetta! Non c’era da stupirsi che ora gli uomini fossero di buonumore; io invece ero molto abbattuto. Se il progetto che aveva finito d’abbozzare fosse diventato attuabile, Silver, già due volte traditore, non avrebbe esitato ad adottarlo. Egli teneva ancora il piede in due staffe e non c’è dubbio che avrebbe preferito la libertà e la ricchezza con i pirati piuttosto che sfuggire semplicemente all’impiccagione, che era il massimo che poteva ottenere da noi. Inoltre, se anche avesse mantenuto la parola data al dottor Livesey, quale pericolo avremmo dovuto affrontare! Che momento drammatico quando i sospetti dei suoi compagni avessero trovato conferma ed io e lui ci fossimo trovati a dover difendere la nostra vita, lui uno zoppo ed io un ragazzo, contro cinque robusti e agili marinai! Si aggiunga a ciò il mistero che circondava il comportamento dei miei amici: l’abbandono del fortino, la cessione della carta e l’ultimo avvertimento dato a Silver: “Attento alle baruffe quando l’avrete trovato”; perciò non vi sarà difficile immaginare quanto io gustassi poco la mia colazione e con che agitazione seguissi i miei carcerieri alla ricerca del tesoro. 180


31. La caccia al tesoro: l’indicazione di Flint

Dovevamo apparire buffi a chi ci avesse visto con i nostri abiti da marinai sporchi, tutti, tranne me, armati fino ai denti. Silver portava due fucili a tracolla, l’uno davanti e l’altro dietro, oltre al grosso coltellaccio alla cintura e a una pistola in ciascuna tasca del suo abito. A completare lo spettacolo il capitano Flint stava appollaiato sulla sua spalla, gracchiando strambe espressioni marinaresche. Legato alla vita da una corda, io seguivo docilmente il cuoco che teneva uno dei capi ora nella mano libera ora tra i suoi forti denti; gli andavo dietro come un orso addomesticato. Gli altri erano caricati in vario modo: alcuni portavano picconi e pale che avevano sbarcato dall’Hispaniola; altri carne, gallette e acquavite per il pasto di mezzogiorno. Tutte queste provviste provenivano dalla nostra riserva; se Silver non avesse concluso un patto col dottore, la perdita della nave avrebbe ridotto lui e i suoi compagni a sopravvivere con l’acqua e i prodotti della loro caccia. L’acqua non sarebbe stata di loro gusto; non sarebbero stati abili a cacciare, in quanto marinai; avrebbero anche avuto poca polvere a disposizione. Così equipaggiati e marciando in fila indiana raggiungemmo la riva dove le due scialuppe ci attendevano. Anche esse portavano traccia dell’ubriaca follia dei pirati: una aveva un sedile rotto e tutte e due erano sporche di fango e mezze piene d’acqua. Dovevamo portarle con noi per maggior sicurezza e così, divisi in due gruppi, ci imbarcammo e attraversammo la baia. Mentre remavamo nacque una discussione a proposito della carta. La croce rossa era troppo grande per costituire un preciso punto di riferimento e quanto scritto risultava alquanto ambiguo. Come il lettore forse ricorderà la nota diceva: “Grande albero contrafforte del Cannocchiale, direzione Nord-Nord181


Parte Sesta - Il Capitano Silver

Est, quarta a Nord. Isola dello Scheletro Est-Sud-Est, quarta a Est. Dieci piedi”. Un grande albero era dunque il dato principale. Ora davanti a noi la baia era chiusa da un altopiano alto due o trecento piedi che verso nord si congiungeva con le pendici meridionali del Cannocchiale e verso sud si rialzava nell’aspra e scoscesa altura denominata la Montagna dell’Albero di Mezzana. L’altopiano era folto di pini di diversa altezza, ma solo stando sul posto e consultando la bussola si sarebbe potuto stabilire quale di questi fosse il grande albero del capitano Flint. Tuttavia, prima ancora che le scialuppe fossero a metà strada, ognuno aveva scelto il suo albero preferito. Solo Long John scrollava le spalle e invitava a stare tranquilli fino a che non si fosse lassù. Remavamo adagio per ordine di Silver in modo che gli uomini non si stancassero subito e dopo una lunga traversata sbarcammo alla foce del secondo fiume, quello che precipitava lungo un burrone boscoso del Cannocchiale. Di lì piegando a sinistra cominciammo a salire il pendio che portava all’altopiano. All’inizio il terreno melmoso e il groviglio delle erbe palustri ostacolarono i nostri passi, ma poi la montagna diventò più ripida e rocciosa e il bosco cresceva più rado. Era uno dei posti più incantevoli dell’isola. Ginestre dal profumo penetrante e arbusti fioriti avevano preso il posto dell’erba. Le verdi macchie degli alberi di noce moscata si alternavano ai rossi fusti dei pini; il miscuglio dei loro aromi impregnava l’aria che era fresca e frizzante. La compagnia si sparpagliò a ventaglio. Silver ed io eravamo in coda: io ero impacciato dalla corda, lui si trascinava ansimando sulla ghiaia sdrucciolevole; ogni tanto mi toccava dargli una mano per evitare che ruzzolasse giù per il pendio. 182


31. La caccia al tesoro: l’indicazione di Flint

Avevamo percorso circa mezzo miglio e stavamo per toccare il ciglio dell’altopiano quando dall’uomo più a sinistra si levò un urlo di orrore seguito da grida che fecero accorrere i compagni. – Non può aver trovato il tesoro – osservò il vecchio Morgan affrettandosi dietro a noi – perché esso è in cima. In realtà si trattava di qualcosa di ben diverso: ai piedi di un grosso pino e mezzo nascosto in un verde cespuglio giaceva uno scheletro umano con alcuni brandelli di vestito. A quella vista a tutti si gelò il sangue nelle vene. – Era un marinaio – dichiarò George Merry che, più coraggioso di tutti, si era chinato là sopra per esaminare da vicino i resti degli indumenti. – Già già – disse Silver – è probabile, ma in che strano modo sono disposte queste ossa! Non è naturale. Infatti l’uomo giaceva in una posizione perfettamente rettilinea, i piedi orientati in un senso, le mani tese sopra la testa, come quelle di un tuffatore, disposte nella direzione opposta. – Mi è venuta un’idea – annunciò Silver. – Rileviamo dove sono orientate queste ossa! Così fu fatto. Il corpo era orientato in direzione dell’isolotto e la bussola dava precisamente Est-Sud-Est, quarto Est. – Ne ero certo – gridò il cuoco. – Questa è un’indicazione per trovare il tesoro, per tutti i fulmini, uno scherzo di Flint, non c’è dubbio. Egli era solo qui con sei uomini. Li ha uccisi tutti uno dopo l’altro e questo l’ha trascinato fin qui e orientato con la bussola! Dallo scheletro si capisce che era un uomo grande e aveva i capelli biondi. Sì, doveva essere Allardyce. Ti ricordi di Allardyce, Tom Morgan? – Ma sì che me ne ricordo – rispose Tom – mi doveva del denaro e portò a terra con sé il mio coltello. 183


Parte Sesta - Il Capitano Silver

– A proposito di coltello – fece un altro – perché non cerchiamo quello del morto qui intorno? Flint non era uomo da vuotare le tasche d’un marinaio e gli uccelli non dovrebbero averselo mangiato. – Questo è vero per tutti i diavoli! – esclamò Silver. – Nulla, proprio nulla è rimasto qui – fece Merry continuando a frugare tra le ossa. – Non un centesimo, né una tabacchiera. Questo non mi sembra naturale. – No, perbacco – rincalzò Silver – per niente naturale. Per mille diavoli, amici miei, se Flint fosse in vita, questo posto scotterebbe per voi e per me. Erano sei come siamo noi e non sono rimaste altro che ossa. – L’ho visto morto io con questi occhi, Flint – disse Morgan. – Billy mi portò dentro. Egli era là steso con le monete sugli occhi. – Morto e sotterrato – fece l’individuo dalla testa fasciata – ma se ci sono spiriti che ritornano, Flint dovrebbe essere tra quelli, perché ha fatto una brutta fine. – Oh sì che l’ha fatta – aggiunse un altro. – Un momento delirava, un altro momento s’infuriava per avere il rum oppure cantava: “Quindici uomini sopra la cassa del morto...” Era la sua unica canzone, compagni, e vi dico la verità, io non l’ho mai più potuta sentire da allora. – Via, finiscila con la tua storia. È morto e non ritorna; o quanto meno non va in giro di giorno, state tranquilli – interruppe Silver. – Andiamo avanti a cercare i dobloni. Riprendemmo il cammino e i pirati smisero di correre ciascuno per proprio conto gridando per il bosco; procedevano invece stretti l’uno all’altro e parlando sottovoce. Il terrore del filibustiere morto incombeva su di loro.

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32. La caccia al tesoro: la voce tra gli alberi

Per liberarsi da quel turbamento e per far riposare Silver e i malati, l’intera compagnia si mise a sedere non appena giunta sulla cima del pendio. Essendo l’altopiano lievemente inclinato verso occidente, dal punto dove sostammo potevamo osservare il Capo delle Foreste orlato dalla risacca, dietro la baia con l’Isola dello Scheletro e ad est un grande spazio di mare aperto. Sopra di noi si ergeva il Cannocchiale punteggiato di pini e di oscuri burroni. Si sentiva solo il rumore della lontana risacca e il ronzìo d’innumerevoli insetti nel bosco. Non un essere umano, non una vela in mare: l’immensità del panorama accresceva il senso di solitudine. Silver sedette e fece alcune rilevazioni con la bussola. – Ci sono tre “grandi alberi” – disse poi – sulla linea dell’Isolotto dello Scheletro. “Contrafforte del Cannocchiale” indica, se non sbaglio, quella punta più bassa laggiù. Ormai trovare il tesoro è un gioco da ragazzi, ma io vorrei mangiare qualcosa prima. – Io non ho fame – borbottò Morgan. – È il pensiero di Flint, credo, che me l’ha fatta passare. – Oh, se è per questo, puoi ringraziare la tua stella che sia morto – disse Silver. – Era brutto come il diavolo – gridò un terzo con un brivido. – Ah, quella faccia paonazza! – Così l’aveva ridotto il rum – aggiunse Merry. Dopo aver scoperto lo scheletro, i pirati avevano finito col parlare sempre più sottovoce fin quasi a bisbigliare. Tutto a un tratto dal folto degli alberi di fronte a noi si sentì una voce sottile, acuta e tremula intonare l’aria e le parole ben note: “Quindici uomini sulla cassa del morto Yò-hò-hò e una bottiglia di rum!” 185


Parte Sesta - Il Capitano Silver

Io non ho mai visto uomini più spaventati dei nostri filibustieri: i loro visi sbiancarono, alcuni balzarono in piedi, altri si aggrapparono ai loro vicini, Morgan si gettò a terra. – È Flint per...! – gridò Merry. La canzone cessò di colpo come se una mano avesse tappato la bocca di chi cantava. – Suvvia! – disse Silver sforzandosi di tirar fuori le parole dalle labbbra divenute livide. – Andiamo avanti, qui qualcuno in carne ed ossa si sta prendendo gioco di noi, credetemi. Mentre così parlava, riprendeva coraggio e un po’ di colorito. Gli altri stavano un po’ riavendosi quando la stessa voce ruppe di nuovo il silenzio. Questa volta era un debole e lamentoso richiamo, reso più fievole dagli echi della gola del Cannocchiale. – Darby Mac Graw! – gemeva la voce. – Darby Mac Graw! Darby Mac Graw! – e poi fattasi più acuta e con una bestemmia che tralascio: – Portami il rum, Darby! I filibustieri rimasero inchiodati al suolo dallo spavento. – È proprio lui – balbettò uno. – Andiamo via! – Sì, furono queste le sue ultime parole – gemette Morgan. Dick aveva tirato fuori la bibbia e pregava con fervore. Egli aveva ricevuto una buona educazione prima di darsi al mare e di imbattersi in cattive compagnie. Silver teneva ancora duro. Sentivo che batteva i denti, ma non si arrendeva. – Compagni – gridò – io sono qui per prendere il bottino e non mi lascerò mettere nel sacco né da un uomo né dal diavolo. Non ho mai avuto paura di Flint da vivo e per mille diavoli saprò affrontarlo da morto. A meno di un quarto di miglio da qui ci sono settecentomila sterline. Quando mai un cavaliere di ventura ha voltato le spalle a tanta grazia di Dio per timore di un vecchio marinaio ubriacone e per di più morto? – Smettila John – disse Merry. – Non metterti contro gli spiriti. 186


32. La caccia al tesoro: la voce tra gli alberi

Gli altri erano troppo spaventati per parlare. Sarebbero scappati ciascuno per conto proprio, ma la paura li teneva insieme e uniti a John per trarre sostegno dal suo coraggio. – Uno spirito? Sia pure – disse Silver – ma c’è qualcosa di poco chiaro. Voi avete sentito un’eco. Che bisogno avrebbe uno spirito di un’eco? Questo non è certo naturale. – È proprio così – approvò George Merry. – Tu hai la testa sul collo, John, non c’è dubbio. E ripensandoci, sì, la voce somigliava a quella di Flint, ma sembrava la voce di qualcun altro... la voce di... – Di Ben Gunn, per mille diavoli! – ruggì Silver. – Sì – esclamò Morgan mettendosi in ginocchio. – Era proprio Ben Gunn! – Questo non fa una grande differenza, non vi pare? – intervenne Dick. – Ben Gunn non è più vivo di Flint. – E che c’importa di Ben Gunn? – gridò Merry. – Morto o vivo, non c’importa niente di lui. I pirati ripresero colore e si misero di nuovo a chiacchierare ponendosi di tanto in tanto in ascolto; non sentendo più niente ripresero in spalla i loro arnesi e proseguirono il cammino preceduti da Merry che portava la bussola di Silver per mantenersi nella direzione dell’Isola dello Scheletro. Nessuno si preoccupava di Ben Gunn, solo Dick con la sua bibbia aperta, camminando, lanciava intorno occhiate tremanti, mentre Silver si burlava di lui. – Te l’avevo detto che avevi rovinato la bibbia. Se non è più buona per giurarci sopra, che vuoi che se ne faccia uno spirito? Dick non si riprendeva dallo spavento e, guardandolo bene, mi accorsi che si reggeva appena in piedi: a causa del caldo, della stanchezza e dello spavento la febbre prevista dal dottor Livesey saliva rapidamente. Ci avvicinavamo intanto sempre più alle falde del Can187


Parte Sesta - Il Capitano Silver

nocchiale scoprendo, dall’altra parte, quella baia occidentale che avevo attraversato con la piroga. Raggiunto il primo dei grandi alberi e rilevata la posizione, si vide che non era quello buono. Stesso risultato col secondo. Il terzo, dal fusto rosso voluminoso, si ergeva per quasi duecento piedi al disopra di una macchia di sottobosco. Non era la sua altezza che impressionava i miei compagni quanto il sapere che settecentomila sterline in oro stavano sotterrate in qualche punto della sua vasta ombra. Il pensiero del denaro mano a mano che essi si avvicinavano spazzava via le paure di poco prima. I loro occhi fiammeggiavano, i loro piedi correvano più svelti e leggeri, le anime erano stregate da quella ricchezza che li attendeva e prometteva loro una vita di piacere e di gozzoviglie. Silver arrancava grugnendo sulla sua stampella, le narici dilatate; bestemmiava come un turco quando le mosche gli si posavano sul viso lucido di sudore, dava furiosi strattoni alla corda che mi legava a lui e posava su di me sguardi omicidi. Era chiaro che la vicinanza dell’oro gli aveva fatto dimenticare la promessa fatta al dottore e il suo avvertimento. Di certo egli sperava d’impadronirsi del tesoro, di ritrovare l’Hispaniola e di imbarcarsi di notte dopo aver ucciso ogni persona onesta rimasta sull’isola, filando via carico di crimini e di ricchezze. Preso da tali timori facevo fatica a tenere dietro al rapido passo dei cercatori del tesoro. Spesso inciampavo ed era allora che Silver tirava bruscamente la corda e mi fulminava col suo sguardo. Dick, che formava con noi la retroguardia, nella crescente eccitazione della febbre borbottava fra sé preghiere e bestemmie. Ciò accresceva la mia angoscia assieme alla visione della tragedia che doveva un giorno essersi svolta su quell’altopiano quando il capitano Flint, morto poi a Savannah cantando e reclamando da bere, aveva tru188


32. La caccia al tesoro: la voce tra gli alberi

cidato i suoi sei complici. Questo bosco, ora così tranquillo, doveva aver risuonato di urla quel giorno e pensandoci mi sembrava di sentirle ancora. Giungemmo intanto al margine del boschetto. – Urrà compagni! Su, tutti insieme! – urlò Merry e quelli che erano in testa si misero a correre. Ma non avevano fatto più di dieci metri che li vedemmo arrestarsi di colpo. Si levò un grido profondo. Silver accelerò il passo e in un attimo piombammo là. Una larga buca si apriva davanti a noi, scavata da tempo perché le pareti erano franate e sul fondo era cresciuta l’erba. Lì in fondo stavano un manico di piccone spezzato in due e sparse qua e là tavole di casse da imballaggio. Sopra una di queste io lessi impresso a fuoco Walrus, il nome della nave di Flint. Tutto era chiaro come la luce del sole: il nascondiglio era stato scoperto e saccheggiato, le settecentomila sterline erano sparite!

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33. La caduta di un capo Mai si vide al mondo un simile sconvolgimento: tutti e sei gli uomini sembravano fulminati. Ma Silver superò presto il colpo, mantenne la calma e modificò rapidamente i suoi piani. – Jim – mi disse sottovoce – prendi questa e stai attento. E mi passò una pistola a due colpi. Intanto si muoveva tranquillamente verso nord, spostandosi in modo che la buca rimanesse tra noi due e gli altri cinque. Poi mi guardò scuotendo la testa come per dire “Eccoci in una brutta situazione”, cosa che purtroppo pensavo anch’io. Con grida e bestemmie i pirati, uno dietro l’altro, erano saltati nella buca e scavavano con le mani buttando di lato le tavole. Morgan trovò una moneta d’oro, una doppia ghinea che passò di mano in mano. – Due ghinee! – ruggì Merry mostrandola a Silver. – E queste sarebbero le tue settecentomila sterline? Non eri tu l’uomo con il fiuto per gli affari? – Scavate ragazzi, scavate – disse Silver con sfrontata insolenza – non mi stupirei che trovaste delle patate. – Delle patate! – strillò Merry. – Lo sentite, compagni? Ebbene io vi dico che lui sapeva tutto, glielo si legge in faccia. – Ehi, Merry – esclamò Silver – ambisci di nuovo a diventare capitano? Sei un ragazzo intraprendente, non c’è dubbio. Questa volta però tutti erano dalla parte di Merry. Cominciarono ad uscire dalla buca lanciando occhiate furibonde e ponendosi di fronte a Silver. E così restammo: due da una parte, cinque dall’altra divisi dalla buca senza che nessuno avesse il coraggio di sparare per primo. Silver non si muoveva: ben diritto sulla sua stampella li sorvegliava, più impassibile che mai. Era coraggioso, non c’è che dire.

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Il vecchio lupo di mare all’Ammiraglio Benbow

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Parte Sesta - Il Capitano Silver

Alla fine Merry disse: – Compagni, ecco là i due ormai soli: il vecchio zoppo che ci ha portati qui e messi in questo pasticcio e il novellino a cui voglio strappare il cuore. E adesso compagni... Alzò la voce e il braccio col gesto di chi incita all’attacco quando tre colpi di moschetto lampeggiarono dal bosco. Merry piombò a capofitto nella buca, l’uomo dalla testa bendata stramazzò su di un fianco agonizzante, gli altri tre schizzarono via con quanta forza avevano in corpo. In un batter d’occhio John scaricò i due colpi di una pistola contro Merry che rantolava dicendogli: – George, eccoti sistemato. In quel mentre il dottore, Gray e Ben Gunn con in pugno i loro moschetti fumanti sbucarono dagli alberi di noce moscata e si avvicinarono a noi. – Avanti ragazzi – gridò il dottore. – Di corsa: dobbiamo impedire loro di raggiungere le scialuppe. E partimmo di gran carriera affondando a volte nei cespugli fino al petto. Silver saltando sulla sua stampella cercava di non staccarsi da noi, ma rimase comunque indietro di trenta passi. Era del tutto esausto quando toccammo l’estremità del pendìo. – Dottore – chiamò egli – guardi là. Non c’è fretta. Infatti non c’era fretta. In una zona più aperta dell’altopiano scorgemmo i superstiti che correvano verso il Monte dell’Albero di Mezzana. Noi invece eravamo in vantaggio, tra loro e le scialuppe. Ci sedemmo per riprendere fiato mentre Long John, asciugandosi il sudore, lentamente ci raggiungeva. – Grazie di cuore, dottore – disse – siete arrivato al giusto momento per me e per Hawkins... Sei proprio tu Ben Gunn... – Sì, sono io – rispose il marinaio abbandonato. – Come state voi, mastro Silver? Bene, direte voi! 192


33. La caduta di un capo

– Ben, Ben – mormorò Silver – se penso a ciò che mi hai combinato! Il dottore mandò Gray a prendere uno dei picconi abbandonati dai pirati nella loro fuga e, mentre continuavamo a dirigerci verso le scialuppe, raccontò in poche parole quello che era accaduto. Nei suoi lunghi vagabondaggi per l’isola Ben aveva trovato lo scheletro ed era lui che l’aveva depredato. Aveva trovato anche il tesoro, l’aveva dissotterrato e trasportato sulle spalle in molti faticosi viaggi dai piedi del grande pino fino alla grotta in cui abitava sulla montagna dai due picchi; là tutto quest’oro era rimasto al sicuro fin da due mesi prima dell’arrivo dell’Hispaniola. Il dottore era riuscito a strappargli il segreto il pomeriggio dell’attacco al fortino. Il giorno dopo era andato da Silver, gli aveva lasciato la carta, che non serviva più, le provviste poiché la grotta di Ben Gunn era ben fornita di carne di capra da lui stesso salata, e gli aveva ceduto ogni altra cosa pur di avere la possibilità di abbandonare assieme agli altri il fortino, di ritirarsi sulla montagna dai due picchi per sottrarre il gruppo alla malaria e per sorvegliare il tesoro. Quel mattino, prevedendo quello che sarebbe successo quando i pirati non avrebbero trovato il tesoro, era corso alla grotta, aveva lasciato il capitano sotto la custodia del cavaliere e con Gray e Ben Gunn aveva attraversato l’isola in diagonale per andare ad appostarsi vicino al pino. Ben presto però si era accorto che noi eravamo in vantaggio; per questo aveva mandato avanti Ben Gunn, che era molto veloce, perché facesse del proprio meglio da solo. A costui era venuta l’idea di sfruttare la superstizione dei suoi antichi compagni e vi era riuscito così bene che Gray e il dottore avevano raggiunto il pino prima della comparsa dei cercatori del tesoro. 193


Parte Sesta - Il Capitano Silver

– Ah – fece Silver – è stata una fortuna per me avere qui Hawkins. Voi dottore non avreste mosso un dito se ci fossi stato solo io. – È vero – confermò il dottore allegramente. Intanto avevamo raggiunto le scialuppe. Il dottore ne demolì una con il piccone e salimmo tutti sull’altra dirigendoci, remando, verso la Baia Nord. Presto passammo lo stretto e doppiammo il capo sud-est dell’isola. Superata la montagna dai due picchi, scorgemmo la nera apertura della grotta di Ben Gunn e una sagoma d’uomo in piedi, appoggiato a un moschetto. Era il cavaliere; sventolammo un fazzoletto e gli lanciammo tre urrà ai quali si unì la voce di Silver. Tre miglia più in là, proprio all’imboccatura della Baia Nord, incontrammo l’Hispaniola che l’ultima marea aveva rimesso a galla; se vi fosse stato un vento più forte non l’avremmo mai più rivista o si sarebbe incagliata senza rimedio. Non vi erano danni particolari, a parte la vela maestra ridotta a brandelli. Fu preparata un’altra ancora e fu gettata in acqua a un braccio e mezzo di profondità. Poi riprendemmo la scialuppa dirigendoci alla Baia del Rum, l’approdo più vicino al tesoro di Ben Gunn; mentre Gray ritornava da solo alla nave, con la scialuppa, per passarvi la notte e fare la guardia, noi salimmo alla grotta dove incontrammo il cavaliere. Con me fu gentile e affettuoso e non disse parola sulla mia scappata. Il riverente saluto di Silver gli fece salire un po’ di sangue alla faccia. – John Silver – gli disse – voi siete un furfante e un mostruoso impostore. Mi è stato detto che non devo denunciarvi e lo farò, ma le vittime, signore, peseranno sulla vostra coscienza. – Vi ringrazio, signore – replicò Long John con un nuovo inchino. – Vi proibisco di ringraziarmi – scattò il cavaliere. – Levatevi di lì! 194


33. La caduta di un capo

Entrammo nella grotta. Era un ambiente largo e arioso, con una piccola sorgente e una pozza di acqua limpida. Il suolo era costituito da sabbia. Davanti al fuoco stava coricato il capitano Smollett e in un angolo lontano intravidi grandi mucchi di monete e masse di lingotti d’oro. Era il tesoro di Flint che eravamo venuti a cercare da così lontano e che era costato la vita a diciassette uomini dell’Hispaniola. Nessuno al mondo potrebbe dire quante altre vite fosse costato, quanto sangue e sofferenze, quante belle navi affondate, quanti valorosi marinai costretti a camminare bendati sulla tavola, quanti colpi di cannone, quante offese, menzogne e crudeltà. Ma c’erano ancora tre persone sull’isola: Silver, il vecchio Morgan e Ben Gunn, ognuno dei quali aveva avuto la sua parte in questi delitti così come aveva sperato invano di ricevere la propria parte di ricompensa. – Entra, Jim – mi disse il capitano. – Tu sei un buon ragazzo, ma non credo che noi navigheremo ancora insieme. Sei un po’ troppo viziato. Oh, chi vedo, John Silver? Cosa vi porta qui marinaio? – Ritorno al mio dovere, signore – rispose Silver. – Ah! – fece il capitano e non aggiunse altro. Che cena quella sera circondato da tutti i miei amici e che pasto con carne di capra salata da Ben Gunn, parecchie ghiottonerie e una bottiglia di vino vecchio dell’Hispaniola! Gente più allegra e felice di noi credo che non ci sia mai stata. E Silver era là, seduto in disparte, quasi fuori della luce del focolare, ma mangiava di gusto, pronto a scattare quando c’era bisogno di qualcosa e persino ad unirsi alle nostre risate: appariva lo stesso calmo, garbato e ossequioso marinaio che era stato durante il viaggio d’andata.

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34. E ultimo

L’indomani mattina ci mettemmo al lavoro di buon’ora perché era un’impresa ardua per così pochi uomini trasportare quel grosso mucchio d’oro a bordo dell’Hispaniola facendogli percorrere un miglio via terra fino alla spiaggia e poi tre miglia per mare, con la scialuppa, fino alla nave. Dei tre banditi in fuga non ci davamo pensiero e una sola sentinella veniva appostata sul dorso della montagna. Il lavoro procedette speditamente: Gray e Ben Gunn andavano e venivano con la scialuppa mentre gli altri accatastavano il tesoro sulla spiaggia. Quanto a me, essendo poco adatto a quella fatica, rimasi tutto il giorno occupato nella grotta a riempire di monete i sacchi delle gallette. Era una curiosa collezione simile a quella di Billy Bones per la varietà dei conii, ma talmente ricca e abbondante che mi divertii moltissimo a classificarla. C’erano monete inglesi, francesi, spagnole, portoghesi; giorgi1 e luigi, dobloni e doppie ghinee, moidores2 e zecchini3 con le effigi di tutti i sovrani d’Europa degli ultimi cento anni; bizzarri pezzi orientali con su impresse figure simili a fili di cordicelle o tele di ragno; monete rotonde, quadrate, forate al centro come medaglie da portare al collo: quasi tutte le varietà di moneta del mondo sembravano far parte di quella raccolta, tanto che la schiena mi faceva male a forza di curvarmi e le dita dal gran scegliere. Il trasporto durò a lungo: alla fine di ogni giorno una parte del tesoro era stivata a bordo e un’altra era in attesa per il giorno dopo. Nel frattempo i tre pirati non diedero Giorgi: ghinee del periodo di re Giorgio I. Moidores: monete d’oro portoghesi. 3 Zecchini: ducati d’oro veneziani, coniati nel XVI secolo. 1 2

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34. E ultimo

segno di vita. Solo la terza sera, mentre gironzolavo col dottore sul dorso della montagna, udii un’eco di grida e di canti. – Che Iddio li perdoni – disse il dottore – sono gli ammutinati. – Tutti ubriachi, signore – risuonò la voce di Silver alle nostre spalle. Egli godeva della massima libertà e, malgrado i continui rimproveri, si riteneva di nuovo privilegiato e benvoluto. In verità era stupefacente vedere con che disinvoltura sopportava i rimbrotti e cercava di entrare nelle grazie di tutti. Eppure nessuno lo trattava meglio d’un cane ad eccezione di Ben Gunn, che conservava una tremenda paura nei confronti del suo antico timoniere, e di me che gli ero riconoscente nonostante avessi motivo di pensare di lui peggio di chiunque altro perché l’avevo visto sull’altopiano meditare un nuovo tradimento. E perciò fu con un tono aspro che il dottore gli rispose. – Ubriachi o deliranti – disse. – Avete ragione, signore – replicò Silver – ma ciò fa poca differenza sia per voi sia per me. – So che non siete un uomo pietoso – ribatté il dottore con un ghigno – e perciò immagino che i miei sentimenti vi sorprendano. Ma se io fossi sicuro che delirano, e sono certo che uno di loro ha la febbre, rischierei volentieri la mia vita per portare loro il soccorso della mia professione. – Perdonatemi, signore, ma avreste torto – dichiarò Silver. – Ci rimettereste la vostra preziosa esistenza, statene certo. Quegli uomini laggiù non sarebbero capaci di mantenere la parola e non crederebbero che voi manterreste la vostra. – Giusto – disse il dottore – voi siete quello che mantiene la parola, lo sappiamo. Furono quelle le ultime notizie che avemmo dei tre pirati. Solo una volta sentimmo un colpo di fucile lontano e 197


Parte Sesta - Il Capitano Silver

pensammo che cacciassero. Si tenne consiglio e fu deciso con grande gioia di Ben Gunn e la piena approvazione di Gray di abbandonarli sull’isola. Lasciammo loro, però, una buona scorta di polvere e palle, quasi tutta la carne di capra salata, un po’ di medicinali e alcune altre cose di prima necessità: arnesi, indumenti, una vela di ricambio, un bel po’ di corda e tabacco. Nient’altro ci restava da fare sull’isola e un bel mattino salpammo, dopo aver stivato il tesoro, imbarcato acqua a sufficienza e carne di capra, per fronteggiare qualsiasi eventualità. Uscimmo dalla Baia Nord battendo la stessa bandiera che il capitano aveva issato e per cui aveva combattuto nel fortino. Uscendo dallo stretto dovemmo costeggiare molto da vicino la punta sud e vedemmo là tutti e tre i pirati inginocchiati l’uno accanto all’altro sopra una striscia di sabbia con le braccia tese a supplicare. Piangeva il cuore a tutti, penso, abbandonarli in quelle condizioni, ma non potevamo correre il rischio di un nuovo ammutinamento e non sarebbe stata una grande carità riportarli a casa per consegnarli alla forca. Il dottore diede loro una voce e li informò delle provviste che avevamo lasciate e del luogo in cui le avrebbero trovate. Ma essi continuavano a supplicarci di avere pietà e di non lasciarli morire in un simile luogo. Infine, vedendo che la nave proseguiva nella sua rotta, uno di loro (non so chi) saltò in piedi con un grido rauco, puntò il suo moschetto e una palla passò fischiando sopra la testa di Silver, trapassando la vela maestra. Ci riparammo dietro i parapetti e, quando tornai a guardare, vidi che i filibustieri erano scomparsi e che la striscia di sabbia si era perduta nella lontananza. Così era finita con loro e prima di mezzogiorno anche la più alta cima dell’Isola del Tesoro era sprofondata nel cerchio azzurro dell’orizzonte. 198


34. E ultimo

Trovandoci in pochi uomini dovevamo tutti dare una mano nei lavori di bordo; solo il capitano, disteso su un materasso a poppa, poiché aveva ancora bisogno di riposo, si limitava a trasmettere ordini. Non potendo affrontare il viaggio di ritorno senza un adeguato equipaggio, volgemmo la prua verso il porto più vicino dell’America spagnola e gettammo l’ancora in un magnifico golfo. Qui ci trovammo attorniati da imbarcazioni piene di neri, di indiani del Messico e mulatti che vendevano frutti e legumi. La vista di tante facce ridenti, il sapore dei frutti tropicali e soprattutto le luci della città contrastavano nettamente con il nostro tetro e sanguinoso soggiorno sull’isola. Il dottore e il cavaliere mi presero con loro e scendemmo a terra per passare la serata. Là si incontrarono col capitano di una nave da guerra inglese, attaccarono discorso con lui che li condusse a bordo; le ore volarono via così piacevolmente che quando ci riaccostammo all’Hispaniola già sorgeva l’alba. Ben Gunn era sul ponte, da solo, e appena ci vide ci raccontò che Silver se n’era andato e che egli aveva chiuso un occhio su quella fuga avvenuta poche ore prima sopra un’imbarcaziome; si era comportato così, ci assicurava, per salvare le nostre vite che sarebbero certo state messe in pericolo se “quell’uomo dalla gamba sola” fosse rimasto a bordo. Ciò non era tutto: il cuoco se n’era andato dopo essersi impadronito di un sacco di monete, del valore di forse trecento o quattrocento ghinee, praticando un buco in una paratia. Tutti fummo contenti di esserci liberati di lui a un prezzo così basso. Infine, per farla breve, prendemmo alcuni uomini a bordo e facemmo un buon viaggio di ritorno toccando Bristol proprio mentre il signor Blandly si preparava ad armare la nave di soccorso. Di tutti coloro che si erano imbarcati, solo cinque erano ritornati. 199


Parte Sesta - Il Capitano Silver

Ciascuno di noi ebbe una larga parte del tesoro che impiegò saggiamente o follemente, a seconda della propria natura. Il capitano Smollett ha smesso di navigare, Gray non soltanto ha risparmiato il suo denaro, ma preso dal desiderio di farsi una posizione è divenuto esperto nel suo mestiere e ora è secondo e comproprietario di un bel bastimento; è anche sposato e padre di famiglia. Quanto a Ben Gunn, ha ricevuto mille sterline che ha scialacquato in tre settimane, o meglio in diciannove giorni perché al ventesimo si è fatto vivo con le tasche vuote. Allora gli è stato dato un posto di custode, proprio come aveva temuto stando sull’isola, e vive circondato dalle simpatie dei ragazzi del luogo di cui però è lo zimbello4; canta in chiesa la domenica e i giorni festivi. Di Silver non si è saputo altro: quel formidabile uomo di mare con una gamba sola è finalmente sparito dalla mia vita; io credo che abbia ritrovato la sua vecchia nera e viva contento insieme con lei e il capitano Flint. Così almeno mi piace pensare, perché difficilmente sarà felice all’altro mondo. I lingotti d’argento e le armi stanno ancora, per quel che so, dove Flint li ha sotterrati e per conto mio possono restare lì per un pezzo. Neanche un carro di buoi potrebbe trascinarmi su quell’isola maledetta; i miei incubi peggiori sono quelli nei quali sento i frangenti tuonare lungo la costa o quando sobbalzo all’improvviso sul letto con negli orecchi la stridula voce del Capitano Flint: “Pezzi da otto! Pezzi da otto!”.

Zimbello: oggetto di burle, spasso e risa.

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