Marwan Sabbagh Beau MacMillan
La dieta anti-Alzheimer Ricette per la salute del cervello Marwan Sabbagh • Beau MacMillan Edizione italiana a cura di Fabio Piccini
Per questa patologia non esistono cure efficaci. La ricerca oggi è focalizzata sulla prevenzione e in particolare sullo studio di una appropriata terapia dietetica, che ha fin qui dimostrato di essere la migliore strategia preventiva.
specializzato in demenza, è direttore del Banner Sun Health Research Institute, uno dei più rinomati istituti di ricerca sull’Alzheimer. Ricercatore in neurologia presso la University of Arizona College of Medicine di Phoenix, è autore del volume The Alzheimer’s Answer e ha curato il volume Palliative Care for Advanced Alzheimer’s and Dementia.
Beau MacMillan Chef presso il ristorante
In questo libro - unico nel suo genere nel panorama editoriale italiano - un neurologo e uno chef suggeriscono un vero e proprio ricettario per la prevenzione dell’Alzheimer a tavola, facendo ricorso alle informazioni validate dalla ricerca scientifica più recente.
Sanctuary di Camelback Mountain, è stato copresentatore dello show Worst Cooks in America su Food Network, ha partecipato a The Next Iron Chef, The Best Thing I Ever Ate e Chopped All-Stars.
Il libro propone 100 ricette facili e alla portata di tutti, utili per preparare bevande, colazioni, spuntini e antipasti, zuppe, insalate e sandwich, piatti principali, verdure, cereali e legumi, condimenti e salse.
Fabio Piccini Medico e psicoanalista membro ordinario dell’International Association for Analytical Psychology (IAAP), ha dedicato la maggior parte della sua carriera allo studio e al trattamento della patologia del comportamento alimentare. Ricercatore in Scienza della nutrizione presso la Facoltà di Medicina dell’Università Politecnica delle Marche, è autore di numerosi articoli e testi tra cui: Anoressia, Bulimia, Binge Eating Disorders (Centro Scientifico), Pane Al Pane E Vino Al Vino (Franco Angeli), La Dieta Più Antica Del Mondo (Baldini Castoldi e Dalai).
Le ricette proposte, deliziose, salutari e di facile esecuzione, non solo fanno bene al cervello, ma aiutano anche a proteggere il cuore e a preservare la linea, proponendo uno stile alimentare dalle forti influenze mediterranee e asiatiche, in grado di soddisfare anche i palati più raffinati.
www.edizioniplan.it
Euro 28,00
La dieta anti-Alzheimer Ricette per la salute del cervello
Marwan Sabbagh Neurologo e geriatra
La dieta anti-Alzheimer
L
a malattia di Alzheimer rappresenta nei paesi occidentali la principale causa di deterioramento cognitivo. Negli ultimi cinquant’anni, la sua diffusione è andata costantemente aumentando e, agli attuali tassi di crescita, si calcola che entro il 2047 possa addirittura quadruplicarsi.
Marwan Sabbagh • Beau MacMillan
La dieta anti-Alzheimer Ricette per la salute del cervello
Marwan Sabbagh - Beau MacMillan Edizione italiana a cura di Fabio Piccini
©2014 Academia Universa Press – Edizioni Plan – Milano, Italy www.edizioniplan.it info@edizioniplan.it Titolo originale: The Alzheimer’s Prevention Cookbook. Recipes to Boost Brain Health ©2012 The Crown Publishing Group, divisione di Random House LLC Edizione italiana a cura di Fabio Piccini Foto: Caren Alpert, Leo Gong, Shutterstock
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi. È vietata la riproduzione, anche parziale, o a uso interno didattico, con qualsiasi mezzo, non autorizzata. Prima edizione: maggio 2014 Nell’eventualità che illustrazioni di competenza altrui siano riprodotte in questo volume, l’editore è a disposizione degli aventi diritto che non si sono potuti reperire. L’editore porrà inoltre rimedio, in caso di cortese segnalazione, a eventuali non voluti errori e/o omissioni nei riferimenti relativi. Nel rispetto della normativa vigente sulla trasparenza nella pubblicità, le immagini escludono ogni e qualsiasi possibile intenzione o effetto promozionale verso i lettori. ISBN 978-88-8871-963-4 Stampa presso Grafiche Flaminia – Trevi (PG) – Maggio 2014 – 14.83.281.0
Indice Alzheimer: un’epidemia prevenibile di Fabio Piccini
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Prevenire l’Alzheimer con l’alimentazione
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La malattia di Alzheimer: che cosa dice la scienza
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1 •
Che cos’è la malattia di Alzheimer?
22
2 •
Alimenti o integratori?
34
3 •
Vitamine del complesso B e cervello
42
4 •
Antiossidanti e prevenzione dei danni cellulari
48
5 •
L’infiammazione, ovvero come spegnere il fuoco che brucia il cervello
64
6 •
I grassi non sono tutti uguali
78
7 • L a
dieta mediterranea: una protezione completa contro l’Alzheimer
Ricette per la salute del cervello
92 99
La nuova dieta mediterranea che nessuno conosce di Fabio Piccini
100
Abitudini alimentari per proteggere la salute
104
8 •
Bevande
109
9 •
Prima colazione
125
10 •
Spuntini e antipasti
137
11 •
Zuppe
12 •
Insalate e sandwich
13 •
Piatti principali
185
14 •
Verdure, cereali e legumi
2 07
15 •
Condimenti e salse
229
153
165
Risorse utili per famiglie e pazienti
24 4
Ringraziamenti
24 6
Note e riferimenti bibliografici
24 8
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Alzheimer: un’epidemia prevenibile di Fabio Piccini
Le cause dell’Alzheimer
L
a malattia di Alzheimer è attualmente la principale causa di deterioramento cognitivo tra gli abitanti dei paesi occidentali, dove è responsabile di oltre il 75% dei casi di demenza diagnosticati. La sua prevalenza nella popolazione adulta è andata costantemente aumentando nel corso degli ultimi cinquant’anni e, se manterrà gli attuali tassi di crescita, ci si aspetta che entro il 2047 si sarà quadruplicata. Per capire meglio gli estremi del problema, basti pensare che circa il 50% degli individui con un’età superiore agli 85 anni - che attualmente costituiscono il segmento di popolazione maggiormente in crescita - soffre di Alzheimer. L’Alzheimer è una malattia le cui cause sono riconducibili a molti fattori diversi. Nelle forme ad esordio precoce sono stati identificati tre diversi geni che pare predispongano gli individui che ne sono portatori a sviluppare la malattia nella sua forma maggiormente aggressiva. Fortunatamente questa predisposizione interessa meno del 5% dei casi diagnosticati, nel restante 95% paiono entrare in gioco altri fattori tra i quali, oltre all’età e al sesso femminile, vi sono il fatto di soffrire di iper-insulinemia (la cosiddetta sindrome metabolica), sovrappeso e diabete di tipo 2 (fattori, questi ultimi, in gran parte dipendenti dallo stile di vita). L’Alzheimer è una patologia devastante dal punto di vista fisico, ma estende i suoi effetti anche all’ambito sociale, in quanto è capace di alterare gravemente il benessere dei pazienti e dei loro familiari, costringendoli spesso ad internare i loro cari in strutture protette (ormai sempre più sature), i cui disagi e i cui costi finiscono per rendere la situazione familiare ancora più pesante della malattia in se stessa. Nonostante questo, dell’Alzheimer si parla poco e mal volentieri e viene spesso sottodiagnosticato dagli stessi medici di famiglia. Se chiediamo all’uomo comune quali siano le cause dell’Alzheimer, molto probabilmente ci risponderà che si tratta di una malattia genetica o di un disturbo della vecchiaia senza saper dire molto di più. Né saprà spiegare come mai determinate popolazioni siano più colpite di altre. Né saprà perché negli ultimi decenni la prevalenza della malattia sia andata crescendo in maniera esponenziale.
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Alzheimer: un’epidemia prevenibile
In realtà, se consideriamo che tutto il mondo occidentale pare affetto da una epidemia ingravescente di obesità, di insulino-resistenza1 e diabete di tipo 2 - che abbiamo visto essere concause della malattia - è logico aspettarsi che negli anni a venire, visto il progressivo aumento dell’età media della popolazione, l’incidenza della malattia di Alzheimer sia destinata ad aumentare proporzionalmente. Del resto, anche solo cinquant’anni or sono, era considerata rara. Oggi invece, quasi chiunque ha un familiare - o conosce qualcuno - che soffre di questa sindrome e, se consideriamo che non stiamo parlando di una malattia infettiva, ma di una condizione neurodegenerativa legata a cattive abitudini di vita, questo significa che ci deve essere qualcosa di terribilmente sbagliato nel nostro modo di vivere. Di solito problematiche quali l’obesità, l’intolleranza glicemica, l’iperinsulinemia e il diabete di tipo 2 vengono trattate come entità separate e curate sequenzialmente, dimenticando che in realtà si tratta di patologie strettamente collegate tra loro e che si manifestano in maniera simultanea nell’ambito di una condizione che è la sindrome metabolica (anche detta insulino-resistenza). Capire tutto questo ha un’importanza fondamentale nella prevenzione di una malattia come l’Alzheimer. Si è visto infatti - in numerosi studi epidemiologici - che il fatto di essere sovrappeso ed insulino-resistenti a un’età di 50-60 anni aumenta di molto il rischio di soffrire di Alzheimer in vecchiaia. E tutto ciò non è affatto strano se si pensa che la lesione anatomo-patologica di base responsabile dei danni di questa malattia consiste nell’accumulo nel sistema nervoso centrale di una proteina amiloide glicosilata (capiremo più avanti nel testo di cosa si tratta) da cui originano una serie di placche e di grovigli di fibrille. Queste lesioni inducono successivamente una reazione infiammatoria che finisce per diventare autoaggressiva e che distrugge progressivamente le cellule del cervello portando infine a morte il paziente (non dimentichiamo che l’Alzheimer si situa tra le prime dieci cause di morte per gli abitanti del mondo occidentale). Ma da dove nascono la sindrome metabolica e il diabete? E perché negli ultimi decenni queste patologie si sono diffuse in modo esponenziale tra gli abitanti del mondo occidentale? Vengono chiamate “malattie del progresso”, ma che cosa significa esattamente questa definizione? 1 Con il termine insulino-resistenza (che è sinonimo di sindrome metabolica o sindrome X) si intende la bassa sensibilità delle cellule all’azione dell’insulina, il che può portare negli anni a sviluppare un diabete mellito di tipo 2. La causa più comune di questa patologia risiede in un’alimentazione troppo ricca di carboidrati raffinati e in una scarsa attività fisica. L’attuale prevalenza della sindrome tra gli adulti italiani è del 27%. Il che significa che un italiano su tre non ha le risorse metaboliche sufficienti ad assumere la quantità e il tipo di carboidrati comunemente raccomandati nelle linee guida nutrizionali.
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La dieta anti-Alzheimer
Potremmo anche chiederci: come mai noi occidentali sembriamo ammalarci (e morire) di malattie che in altre parti del mondo sono pressoché sconosciute? Se andiamo a vedere la classifica delle principali cause di morte nel nostro settore del mondo scopriamo che sei su dieci dipendono da patologie che sarebbero assolutamente prevenibili mediante semplici modifiche dello stile di vita. Scopriamo inoltre che queste patologie (stiamo parlando di ictus, infarto, cancro, diabete, insufficienza renale, Alzheimer) sono più o meno tutte correlate tra loro anche per quanto riguarda le cause predisponenti, i fattori scatenanti e di mantenimento. E tra queste troviamo naturalmente anche l’Alzheimer. Al momento attuale, possiamo dire con ragionevole certezza che l’Alzheimer è una malattia che ha stretti legami con una alterazione del metabolismo dei grassi e degli zuccheri e con alcune problematiche cardiovascolari, pertanto tutti gli sforzi fatti per trattare e/o prevenire queste patologie influiranno positivamente anche su una diminuzione globale del rischio di contrarre l’Alzheimer. Sappiamo inoltre che buona parte dei danni attribuibili a questa malattia possono essere prevenuti o attenuati controllando i livelli di ossidazione e di infiammazione cellulare e dunque che ogni strategia mirante a ridurre queste condizioni non potrà che ripercuotersi positivamente sui suoi sintomi o sulla probabilità di esserne colpiti.
Una proposta innovativa Da tutte queste considerazioni muove il ragionamento dei due autori di questo libro, un neurologo ed uno chef, i quali vogliono insegnare al lettore che “noi siamo quello che mangiamo” e di conseguenza che “prevenire è meglio che curare”. È noto infatti che il modo migliore per prevenire insulino-resistenza, obesità e diabete di tipo 2 consiste nel modificare le proprie abitudini alimentari e il proprio stile di vita. Lo stesso è vero quando si desidera diminuire i livelli di infiammazione o di ossidazione cellulare. Tutte cose che - se realizzate - aiutano a proteggere il cervello dal rischio di sviluppare l’Alzheimer. L’aspetto interessante di questo libro è scoprire che è possibile aumentare i livelli alimentari di antiossidanti e di antinfiammatori senza per questo sacrificare il gusto del cibo. Questo è importante perché non stiamo parlando di una dieta dimagrante da seguire per qualche mese, ma di una vera e propria modifica permanente del proprio stile alimentare che non potrebbe essere mantenuta a lungo qualora non venisse considerata più che soddisfacente (a differenza della maggior parte delle cosiddette “diete”). Un piacevole 6
Alzheimer: un’epidemia prevenibile
effetto collaterale di questo tipo di alimentazione è che, essendo più ricca di nutrienti che non di calorie, porta con sé anche un utile effetto dimagrante e, essendo molto ricca di prodotti freschi, in particolare verdure e frutta, aiuta a ridurre la quantità totale di sostanze coloranti, conservanti e di altri additivi nocivi che vengono spesso aggiunti ai cibi di origine industriale (e che rientrano tra i fattori predisponenti allo sviluppo di molte “malattie del progresso”). La cosa strana, a mio modo di vedere, non è tanto che gli autori abbiano deciso di scrivere un libro del genere, quanto piuttosto che nessuno avesse pensato di farlo prima. Se facciamo una rapida ricerca sulle principali librerie online italiane, scopriamo che esistono molti libri sull’Alzheimer, ma pochissimi tra questi sono dedicati alla prevenzione e nessuno tratta dettagliatamente di alimentazione. Questo è perlomeno strano in un paese come l’Italia dove i libri (e le trasmissioni televisive) dedicano davvero tantissimo spazio a tali argomenti e dove, nonostante esistano decine di trasmissioni televisive dedicate alla cucina, non ce n’è nemmeno una dedicata alla cucina salutare (o “preventiva” di certe malattie). Anzi, guardando la maggior parte di questi programmi, si ha l’impressione opposta, ovvero che le ricette proposte non siano affatto protettive della salute, ma casomai il contrario. È un vero peccato, perché questo tipo di trasmissioni è molto seguito e potrebbe essere una facile occasione per divulgare un po’ di nozioni utili a quel 27% di italiani, che attualmente - stando alle statistiche dell’Osservatorio Italiano di Cardiologia - soffre di sindrome metabolica ed è pertanto a rischio di sviluppare, con il passare degli anni, patologie cardiovascolari, diabete di tipo 2 e Alzheimer. Si provi ad immaginare che impatto avrebbe sulle abitudini alimentari degli italiani (e sulla prevenzione di queste patologie) una sola stagione di “Master Chef ” dedicata esclusivamente a questo argomento, con gli chef che insegnano ai telespettatori come modificare le loro ricette preferite in favore di una cucina appetitosa ma ricca di antiossidanti e antinfiammatori, povera di grassi saturi di origine animale e di zuccheri (e carboidrati raffinati) e con poco sale aggiunto. Tutte cose ben note, ma che verrebbero in questo modo memorizzate dai telespettatori in maniera assolutamente pratica ed efficace. Perché nessuno abbia ancora pensato ad un format del genere rimane un mistero. Questo ci riporta all’importanza di disporre finalmente di un libro che finora mancava nel panorama editoriale italiano e che è destinato a diventare un nuovo standard di riferimento nell’ambito della prevenzione della malattia di Alzheimer, come del resto è già accaduto nel mercato statunitense. Le ricette proposte dagli autori fanno ampio ricorso a frutta, verdura e spezie (tutti alimenti facilmente reperibili nei mercati italiani molto più che nella maggior parte di quelli statunitensi) pertanto questo tipo di cucina sarà molto gradita anche ai vegetariani, cui insegnerà sicuramente nuovi trucchi per rendere ancora più salutari le loro abitudini (nella mia esperienza ho incontrato molti vegetariani in sovrappeso o obesi). Vi è spazio naturalmente anche per piatti a base di carne, o di pesce sia di mare e sia di fiume (il cui consumo viene ampiamente caldeggiato). E vi sono naturalmente anche ricette per la colazione e la preparazione di dolci e dessert. Insomma tutto il necessario per un menù completo in grado di soddisfare i palati più diversi e raffinati.
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La dieta anti-Alzheimer
Come prevenire diabete e insulino-resistenza Non manca quasi nulla (vi sono pure le raccomandazioni per un utilizzo appropriato del vino), ma a mio parere un argomento necessiterebbe di un ulteriore approfondimento, o meglio un’abitudine che potrebbe essere utilmente integrata con lo stile alimentare suggerito dagli autori ma che purtroppo il libro non affronta, forse temendo un “conflitto di interessi” con la sua finalità, che è quella di essere un “libro di cucina”. Mi spiego meglio. Per funzionare a dovere, il corpo umano necessita di un approvvigionamento costante di energia che è necessaria per alimentare tutte le reazioni biochimiche indispensabili alle funzioni metaboliche delle cellule di cui esso è composto. La “moneta energetica” per eccellenza del corpo umano, l’unica cioè da cui le cellule traggono l’energia che serve a far funzionare ogni reazione, è il glucosio. Perché il corpo possa funzionare a dovere è pertanto necessario che venga mantenuto ad ogni costo un flusso stabile di glucosio nel sangue (la cosiddetta glicemia). Per ottenere questo risultato esistono fondamentalmente due modi: il primo è introdurre glucosio mediante gli alimenti, mentre il secondo consiste nel produrre il glucosio che serve utilizzando scorte energetiche precedentemente accumulate2. Nel primo caso diremo che il metabolismo si trova in uno stato insulino-dipendente in quanto l’insulina è l’ormone responsabile dell’assorbimento del glucosio a partire dalla digestione degli alimenti. Nel secondo caso diremo che il metabolismo è in uno stato glucagone/ GH-dipendente in quanto glucagone e ormone della crescita (GH sta per Growth Hormone) sono i due ormoni responsabili della produzione di glucosio a partire dalle scorte di glicogeno muscolare e di grasso. La prima evenienza si verifica quando ci alimentiamo ad intervalli regolari, la seconda quando lasciamo a digiuno il corpo per un po’ (come avviene durante il sonno). Possiamo dire pertanto che il corpo - dal punto di vista metabolico - si trova di solito o in uno stato di nutrizione o in uno stato di digiuno. Se il digiuno non si protrae per più di otto-dodici ore, i livelli di glucosio vengono mantenuti stabili grazie alla glicogenolisi3. Dalle dodici alle ventidue ore di digiuno subentra invece la gluconeogenesi (questo è stato dimostrato con raffinati studi di spettrofotometria a risonanza magnetica)4. Questo significa che se non si assumono alimenti per più di dodici ore il corpo inizia a distruggere le proprie scorte di grasso onde mantenere stabili i livelli glicemici (cominciate a capire dove voglio arrivare?). Quando invece si mangia in continuazione e in eccesso, come purtroppo accade alla maggior parte degli abitanti dei paesi occidentali (e a circa il 40% degli italiani), l’organismo viene riempito continua2 I depositi di energia di scorta cui l’organismo può attingere consistono nel glicogeno (uno zucchero complesso che è accumulato nei muscoli e nel fegato) e nel grasso. Quando si rende necessario disporre di glucosio è possibile ottenere glucosio dal glicogeno mediante un processo chiamato glicogenolisi, oppure produrlo a partire dai trigliceridi (ottenuti dal grasso per lipolisi) mediante un processo chiamato gluconeogenesi. In caso di estrema necessità è possibile utilizzare la gluconeogenesi anche a partire da aminoacidi ottenuti dalle proteine muscolari mediante un processo chiamato proteolisi. 3 L’unico glicogeno che può essere utilizzato a questo scopo è quello contenuto nel fegato in quanto i muscoli non dispongono dell’enzima necessario a produrre glucosio destinato ad essere immesso nel sangue, ma sono in grado di usare il glicogeno accumulato soltanto per le loro specifiche necessità metaboliche. Questo spiega perché ben presto l’organismo è costretto a ricorrere ad un altro meccanismo per procurarsi il glucosio che gli serve. 4 Rothman DL, Magnusson I, Katz LD et al. “Quantitation of hepatic glycogenolysis and gluconeogenesis in fasting humans with 13C NMR”. Science 1991; 254: 573-6
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Alzheimer: un’epidemia prevenibile
mente di glucosio e questo genera uno stato metabolico dominato dall’insulina, in quanto quest’ultima è l’ormone che serve a far assorbire il glucosio alle cellule. L’insulina però non si limita a questo, ma fa anche in modo che il glucosio in eccesso rispetto alle spese metaboliche correnti non venga buttato via ma accumulato - sotto forma di glicogeno o di grasso - allo scopo di costituire una riserva in caso di digiuno. Il fatto che venga preferita l’una o l’altra di queste due vie metaboliche dipende semplicemente da questioni di priorità e di spazio. Dato che il glicogeno è la miglior riserva di glucosio, l’insulina per prima cosa ordina alle cellule del fegato e del muscolo di accumulare glicogeno. Dopo che i depositi di glicogeno sono stati riempiti, il glucosio che resta finisce a rimpinguare i depositi di grasso i quali, come tutti sappiamo, hanno capienza pressoché illimitata. Quando il nostro metabolismo è dominato dall’insulina, il corpo si trova quindi in modalità di accumulo e si predispone al sovrappeso e all’obesità. Dato che l’insulina porta all’accumulo di grasso bianco, essa genera (in maniera diretta o indiretta) anche stati infiammatori, aumento della pressione arteriosa, stress cardiocircolatorio e anomalie a diversi organi e sistemi, pertanto dopo qualche anno di questo regime il corpo cerca di mettere in atto un meccanismo di compenso allo scopo di limitare i danni. È così che nasce l’insulino-resistenza, un innalzamento della sensibilità dei recettori cellulari dell’insulina che ha lo scopo di proteggere le cellule da questa secrezione eccessiva. Quando le cellule divengono insulino-resistenti non lasciano più entrare al loro interno il glucosio, quest’ultimo resta nel sangue, la glicemia si eleva e si verifica una malattia chiamata diabete. Allo sviluppo del diabete consegue un ulteriore stress ossidativo per le cellule e un ulteriore aumento della risposta infiammatoria, cui fa seguito lo sviluppo di malattie cardiovascolari, della malattia di Alzheimer e di alcune forme cancerose. Ecco perché mangiar troppo e male accorcia la vita. Se vogliamo invertire questo meccanismo senza dover far ricorso a pillole esiste un solo metodo: mangiare meglio e un po’ meno e/o mangiare più raramente. Per quanto detto poc’anzi questi semplici rimedi attuati in successione - o in maniera alternata - sono in grado di invertire quasi completamente il processo dell’insulino-resistenza anche se questo è già in fase avanzata. Il trucco consiste nel provocare uno shift da un metabolismo basato sulla produzione di insulina a uno basato su quella di glucagone e ormone della crescita, che sono i due ormoni che predominano sulla scena metabolica quando il corpo non viene alimentato abbastanza frequentemente da essere in grado di mantenere stabile la glicemia con le sole scorte alimentari. 9
La dieta anti-Alzheimer
Le regole del digiuno intermittente Vi sono però casi in cui questi accorgimenti non sono sufficienti ad ottenere i risultati desiderati a causa dell’eccessiva progressione delle alterazioni patologiche già in atto. La ricerca ha dimostrato che in queste situazioni è necessario ricorrere ad un metodo ancora diverso: il digiuno intermittente, il quale è in grado di ridurre i livelli di insulina in maniera assolutamente superiore rispetto ai precedenti5. Il digiuno intermittente consiste nell’astenersi volontariamente dall’assumere qualsiasi tipo di cibo o di bevanda contenente calorie per un lasso di tempo che va dalle 16 alle 24 ore al massimo. I metodi che si possono usare per ottenere questi risultati sono essenzialmente due: • digiunare per un giorno intero (24 ore); • digiunare per una quantità di tempo variabile dalle 16 alle 20 ore. Entrambi questi metodi possono essere messi in pratica con frequenze diverse nel corso della settimana. La scelta dell’uno o dell’altro, come pure della frequenza relativa dei digiuni, dipende essenzialmente dagli scopi per cui si decide di intraprendere questo schema nutrizionale, dalle proprie abitudini di vita e dalle abitudini individuali. Questa strategia, indipendentemente dagli altri effetti metabolici del digiuno, sembra in grado di influire positivamente sulla longevità sia del corpo sia del cervello6. Particolarmente affascinante, dato che stiamo parlando di Alzheimer, è il fatto che gli studi più approfonditi sugli effetti del digiuno intermittente siano stati messi in atto proprio da un ricercatore che si interessa specificamente di invecchiamento del cervello e che è attualmente il neuroscienziato più citato dalle riviste di neurologia: il prof. Mark P. Mattson7. A lui sono infatti da attribuire gli studi più autorevoli ed avveniristici che sono stati realizzati in questo ambito scientifico8. Secondo Mattson il digiuno intermittente e la restrizione calorica sono i due metodi più affidabili per garantire la longevità e la salute cognitiva. Ho discusso approfonditamente le diverse strategie di digiuno intermittente nel mio libro La dieta più antica del mondo9 e concordo pienamente con Mattson nel confermare l’assoluta efficacia di questo 5 Halberg N, Henriksen M, Soderhamn N et al. “Effect of intermittent fasting and refeeding on insulin action in healthy men”. Journal of Applied Physiology 2005; 99(6): 2128-46. Ed anche: Klein S, Sakuray Y et al. “Progressive alterations in lipid and glucose metabolism during short-term fasting in young adult men”. American Journal of Physiology Endocrinology and Metabolism 1993; 265(5): 801-6. 6 Kassi E, Papavassiliou AG. “Could glucose be a proaging factor?” Journal of Cellular and Molecular Medicine 2008; 12(4): 1194-8. 7 Si veda questa intervista rilasciata al giornalista Gary Taubes: http://archive.sciencewatch.com/ana/st/alz2/11julSTAlz2Matt/ 8 Martin B, Mattson MP, Maudsley S “Caloric restriction and intermittent fasting. Two potential diets for successful brain aging”. Ageing Res. Rev. 2006 August; 5(3), 332-353. (articolo reperibile al link http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2622429/) 9 Piccini F, La Dieta Più Antica Del Mondo. Baldini Castoldi e Dalai. Milano 2013.
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Alzheimer: un’epidemia prevenibile
metodo associato ad uno stile nutrizionale come quello suggerito in questo testo (ricco di alimenti di origine vegetale, di olio extravergine di oliva e pesce con molte spezie e aromi ricchi di poteri antinfiammatori e antiossidanti), in quanto io stesso - oltre a consigliarlo ai miei pazienti - lo applico personalmente da diversi anni. Le ricette proposte da Sabbagh e MacMillan rappresentano il piano alimentare attualmente più sicuro (e scientificamente validato) per la prevenzione del deterioramento cognitivo e della malattia di Alzheimer e che - se associate ad un qualsiasi protocollo di digiuno intermittente unitamente ad una supplementazione con acidi grassi omega-3 e acido folico - possono addirittura costituire un innovativo protocollo terapeutico per i casi di malattia di Alzheimer in fase iniziale, come dimostrato dai più recenti studi condotti al National Institute on Aging dal gruppo di ricerca diretto da Mark P. Mattson10. E per finire vi ricordo che, dato che i cambiamenti nel cervello iniziano decine di anni prima dell’emergere dei sintomi della malattia, ogni modifica che mettiamo in atto oggi può dare origine a grandi miglioramenti negli anni a venire. Ed è pertanto importante cominciare prima possibile a seguire regole alimentari salutari se si desidera mantenere sani nel tempo il proprio corpo ed il proprio cervello. 10 Mattson MP, “Pathways towards and away from Alzheimer disease”. Nature, 2004 August 5; 430(7000): 6311-639. Reperibile al link: http://www.ncbi. nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3091392/
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