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Olga di carta, il viaggio straordinario
La porta della baita era socchiusa. La bambina di carta si avvicinò con cautela. Era stata felice di scorgere il piccolo tetto rosso dalla cima della collina, perché se c’era un tetto era legittimo pensare che ci fosse anche una casa; e lei era molto stanca. Aveva camminato tutto il giorno e sentiva il bisogno di riposare e, magari, anche di scambiare due parole con qualcuno. – Ehilà? – chiamò. Qualcosa all’interno della casa rotolò per terra, e si udì un leggero tramestio. – Perdonatemi se vengo a disturbare a quest’ora – gridò Olga agitando una mano davanti allo spiraglio della porta per attirare l’attenzione – Sto cercando un riparo per la notte. Nessuno rispose. “Sta diventando buio, ora accenderanno il lume” pensò la bambina scossa da un brivido. Attese qualche istante e, poiché non succedeva niente, decise di salire i tre gradini e dare un’occhiata all’interno. Avrebbe potuto scivolare dentro senza difficoltà: la fessura più sottile era sufficiente per lei, che era di carta e passava sotto le porte come le buste lasciate dal postino. Però quella casetta, col tetto rosso e una sola finestra, non era la sua casa. Perciò si accostò e sbirciò dallo spiraglio: la stanza era fresca e dall’oscurità emergevano lugubri ombre grigie. Olga intuì una grossa scrivania, una dispensa, una cesta di legna, un letto. Si sporse per vedere meglio, ma un nuovo tramestio la fece sobbalzare. Questa volta il rumore era più forte e invece di allontanarsi, si avvicinava. La bambina fece un salto indietro, inciampò nella propria borsa, ruzzolò dai gradini e finì con il sedere nell’erba. A quel punto la porta si aprì e…
– E…? – fece il Bruco con gli occhi spalancati. – E una donnola fuggì fuori, seguita da un’altra che stringeva qualcosa tra i denti. Entrambe passarono accanto alla bambina di carta e si dileguarono.
– Tu l’hai conosciuta? – Chi? – La Olga di carta. Di persona? Voglio dire, l’hai toccata, le hai stretto la mano? – Le ho stretto la mano. – E com’era? – Sottile. – Certo, era di carta. E hai visto la casetta di legno? – Io no ma lei sì, poiché, difatti, entrò.
Spinse la porta, chiamò ancora una volta, per essere sicura che non ci fosse nessuno, e s’inoltrò nella piccola stanza. Nella dispensa c’erano piatti, bicchieri e tazzine che non vedevano il sapone da un po’. E le scatole di cibo mandavano un odore pungente. Olga si avvicinò alla scrivania e la trovò ingombra di strani strumenti, che lei avrebbe usato volentieri per tirare delle belle righe dritte. Accanto alla scrivania c’era una cesta, ma non erano ceppi quelli che Olga aveva creduto di vedere da fuori, bensì rotoli di carta. Notò, toccandoli, che l’impasto di cui erano fatti era diverso dal suo: più spesso e più ruvido. Olga sbadigliò. Era davvero molto stanca. Cercò con lo sguardo un posto dove potersi addormentare e vide il letto: era sfatto e pieno di briciole di biscotti. Quindi Olga tornò a guardare i rotoli di carta: li mosse delicatamente, per accertarsi che ci fosse abbastanza spazio e, senza pensarci oltre, si arrotolò su se stessa, balzò nella cesta e si addormentò.
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