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Capitolo 2 Partenza
from Moby Dick - sample
Capitolo 2 Partenza
Verso Nantucket
La mattina dopo pagai l’oste. Pagai io, ma con i soldi di Quiqueg: fu lui a insistere, dicendo che a un selvaggio il locandiere avrebbe fatto pagare di più. Dall’idea che mi ero fatto di quell’oste, non era affatto impossibile. Ma io credo che Quiqueg volesse farmi Parole al microscoPio un regalo senza dirlo. selvaggio:
Andammo al porto, da dove par- derivato da selva, cioè foresta, indica tiva il postale per Nantucket. Spingevamo a turno una carriola su cui avevamo messo le nostre cose. La gente ci guardava con tanto d’occhi: erano abituati a vedere tipi strani come tutto ciò che si contrappone alla civiltà. All’epoca di Melville, erano considerati selvaggi la maggior parte dei popoli non europei, tra cui i polinesiani come Quiqueg. Oggi l’uso di questo termine sarebbe scorretto e addirittuQuiqueg, e forse anche di più, ma che ra offensivo. un bianco con l’aria da intellettuale e un ramponiere con l’aria da cannibale dei Mari del Sud se ne andassero in giro come due amici, questo non riuscivano a comprenderlo.
Quiqueg mi raccontò una buffa storia a proposito della sua carriola. Al termine del suo primo viaggio, gli armatori della nave gliene prestarono una per portare il suo pesante baule alla pensione dove avrebbe alloggiato. Per non sembrare ignorante, anche se in realtà non aveva mai visto un arnese del genere, Quiqueg infilò il baule nella carriola, lo fissò per bene e poi si caricò la carriola sulle spalle.
armatori: imprenditori che investono il denaro necessario per costruire o acquistare la nave e per armarla, cioè fornirla di tutte le attrezzature e gli uomini necessari per il viaggio.
“Be’”, dissi, “Quiqueg, avrei detto che eri più furbo. Non rideva la gente?”
Allora mi raccontò un’altra storia. Pare che gli abitanti dell’isola di Rokovoko, alle loro feste nuziali, spremano l’acqua fragrante delle giovani noci di cocco in una grande zucca dipinta simile a una bacinella. Ora, un grosso bastimento approdò una volta a Rokovoko e il suo capitano – un signore sotto tutti gli aspetti solennissimo e correttissimo – venne invitato alle nozze della sorella di Quiqueg. Quando tutti gli ospiti furono riuniti, questo capitano entrò e, essendo stato assegnato al posto d’onore, si mise di fronte alla bacinella, tra il Gran Sacerdote e Sua Maestà il Re. Il Gran Sacerdote apre il banchetto tuffando le sue dita consacrate e consacranti nella bacinella, prima che la bevanda benedetta vada in giro. E il capitano, vedendosi posto vicino al sacerdote e credendo di avere senz’altro la precedenza su di un semplice re di un’isola, procede freddamente a lavarsi le mani nella bacinella, prendendola, immagino, per un grande lavandino.
“Credi che la mia gente non ridesse?” chiese Quiqueg.
Saliti a bordo del postale, io e Quiqueg ci mettemmo a prua, per goderci la brezza; ma c’era un gruppo di tangheri che continuava a darci fastidio. A un tratto Quiqueg si voltò di scatto e ne afferrò uno più imprudente degli altri, che si era avvicinato pensando di tirargli per scherzo il ciuffo di capelli. Lo sollevò come un fuscello, stringendolo in un abbraccio che gli mozzò il respiro e gli fece strabuzzare gli occhi, poi lo lasciò cadere sul ponte. Quello stupido, appena riuscì a rimettersi in piedi, corse a chiamare il capitano, accusando Quiqueg di averlo quasi ucciso. Il capitano arrivò deciso a rimettere al suo posto quel cannibale pericoloso e violento, e stava forse per arrestarlo quando una fune si spezzò e la boma dell’albero maestro, oscillando senza più controllo, spazzò il ponte, colpì al ventre il tanghero che Quiqueg aveva appena maltrattato e lo scagliò fuori bordo.
fragrante: profumata. boma: la trave orizzontale, girevole, a cui è attaccata la parte inferiore della vela.
Capitolo 2
I marinai rimasero atterriti. Tentare di bloccare la boma sembrava una pazzia. I presenti si gettarono a terra, rimanendo immobili per sfuggire alla trave, che continuava a oscillare come il pendolo di un gigantesco orologio. Quiqueg invece strisciò sotto la boma, afferrò una fune, ne assicurò un capo alla murata e fece con l’altro un cappio, lanciandolo sulla boma e riuscendo a fermarla. Il capitano mise la nave in panne e i marinai si prepararono a calare una scialuppa per riportare a bordo il naufrago. Ma l’uomo era scomparso. Quiqueg allora prese la rincorsa e si tuffò, si allontanò dalla nave fino a raggiungere il punto dov’era caduto quell’uomo e sparì a sua volta sott’acqua. Un minuto più tardi tornò a galla, nuotando con un braccio solo e reggendo con l’altro un corpo esanime. La scialuppa li raggiunse subito. Il tanghero, che era svenuto per il colpo ricevuto dalla boma, ricevette i primi soccorsi. I marinai compatti proclamarono Quiqueg un nobile cuore e il capitano gli fece le sue scuse. Ma lui alzò le spalle e chiese solo un po’ d’acqua per togliersi di dosso la salsedine.
Da quel momento, se per caso mi fosse rimasto qualche dubbio, decisi che non mi sarei mai separato da Quiqueg, e mantenni la parola fino alla fine della sua vita.
Il capitano Peleg
Arrivammo a Nantucket che era ormai sera e andammo nella locanda che ci era stata consigliata dall’oste di New Bedford e che apparteneva a suo cugino. Cenammo, e prima di addormentarci decidemmo cosa fare il giorno dopo. Quiqueg disse che aveva parlato con Jogio (scoprii che era il nome del suo idolo di legno) e che toccava a me scegliere la nave su cui imbarcarci. Gliel’aveva ripetuto tre volte, disse, e con tono sempre più deciso, addirittura severo. Io non condividevo tutta quella fiducia nel pupazzo, anzi contavo sull’esperienza di Quiqueg per scegliere la nave migliore. Ma dovetti rassegnarmi e partire da solo, lasciando Quiqueg nella locanda. Nel porto c’erano ormeggiate tre baleniere che stavano ar-
ruolando l’equipaggio: l’“Argine del Diavolo”, il “Bocconcino” e il
“Pequod”. Non salii nemmeno sulle prime due, ma appena fui a bordo del “Pequod” mi dissi che era proprio la nave che ci voleva per noi. Dovetti girare un po’, ma alla fine trovai uno che sembrava dotato di qualche autorità.
“È col capitano del ‘Pequod’ che parlo?” dissi avvicinandomi.
“Supposto che sia il capitano del ‘Pequod’, di cos’è che hai bisogno?” mi chiese.
“Pensavo d’imbarcarmi”.
“Pensavi, eh? Vedo che non sei di Nantucket: mai stato in una lancia sfondata?”
“No, signore, mai”.
“Non sai niente della caccia, scommetto, eh?”
“Niente, signore, ma imparerò presto. Ho già fatto parecchie traversate nel servizio mercantile e credo...”
“Al diavolo il servizio mercantile. Non parlare con me di questa roba. Com’è che vuoi darti alla caccia? Mi sembri un po’ sospetto, eh? Non sei stato pirata, tu? Non hai derubato l’ultimo capitano? Non hai in mente di assassinare gli Parole al microscoPio ufficiali quando sarai in mare?” Achab: Io protestai la mia innocenza. il nome del capitano del “Pequod” è “Ma che cos’è che ti induce alla tratto dalla Bibbia: Achab era un re caccia? Bisogna che io lo sappia, d’Israele, vissuto nel IX secolo a.C., che abbandonò la fede in Yahweh per convertirsi al dio fenicio Baal. Morì in battaglia e il suo sangue fu leccato dai cani, come aveva preannunciato il profeta Elia, suo acerrimo nemico. prima di pensare a imbarcarti”. “Ebbene, signore, voglio vedere com’è questa caccia”. “Vuoi vedere cos’è la caccia, eh? Hai mai dato un’occhiata al capitano Achab, tu?”
“Chi è il capitano Achab, signore?”
“Già, già, me l’aspettavo. Il capitano Achab è il capitano di questa nave”.
Pequod: la nave deve il suo nome a una tribù di nativi americani, i Pequot.
Capitolo 2
“Allora ho sbagliato. Pensavo di parlare col capitano in persona”.
“Parli col capitano Peleg. Spetta a me di badare che il ‘Pequod’ sia ben armato per il viaggio e fornito di tutto ciò che gli occorre, compreso l’equipaggio. Ma, come dicevo, se vuoi sapere cos’è la caccia, come vai raccontando, da’ un’occhiata al capitano Achab, giovanotto, e vedrai che non ha più una gamba”.
“Volete dire, signore, che gli è stata portata via da una balena?”
“Portata via da una balena? Giovanotto, gli è stata divorata, masticata, schiacciata... Ah!”
Io mi spaventai un poco a tanta energia; forse ero anche un po’ commosso dal sincero dolore della sua esclamazione finale, ma alla caccia delle balene ci dovevo andare e ci sarei andato. E il “Pequod” era una nave buona – pensavo, la migliore di tutte – e questo riferii a Peleg. Vedendomi così risoluto, lui si dichiarò da parte sua disposto a imbarcarmi.
Firmai le carte, impegnandomi per un viaggio di tre anni, e stabilii la spettanza: l’equipaggio delle baleniere infatti non riceveva un salario, ma una percentuale sul guadagno della nave.
“Capitano Peleg”, dissi a questo punto, “ho con me un amico che vuole imbarcarsi anche lui. Posso portarlo?”
“È mai stato a caccia di balene, almeno lui?”
“Oh, sì” risposi, “ha ammazzato più balene di chiunque altro, credo”.
“Va bene, portalo, allora, e gli daremo un’occhiata”.
Nuovi misteri
Mentre mi allontanavo, fui colto da un dubbio. È vero che il capitano, di solito, lascia che siano gli armatori della nave a occuparsi della preparazione del viaggio. Ma quello che avevo saputo di questo Achab mi aveva fatto venire voglia di conoscerlo: in fondo stavo per affidarmi completamente a lui...
armato: attrezzato. spettanza: compenso, stipendio.
Tornai indietro e chiesi al capitano Peleg dove potevo trovare il capitano Achab.
“E perché vorresti vedere il capitano Achab? Non siamo d’accordo su tutto?”
“Sì, ma mi piacerebbe vederlo”.
“Non è possibile, per ora. Ma non temere, il capitano Achab è un brav’uomo – un po’ strano, molto silenzioso, insomma un tipo particolare, sì, come l’antico re di cui porta il nome”.
“Un re piuttosto malvagio, se ricordo bene”, dissi io. “Quando è stato ucciso, il suo sangue l’hanno leccato i cani. Non è così?”
“Avvicinati, ragazzo mio”, disse il capitano Peleg, “e ascoltami bene: non dire mai questo a bordo del ‘Pequod’. Mai, capisci? Il capitano Achab non se l’è scelto lui, il nome. E se qualcuno pensa che quel nome contenga una profezia... be’, io ti ho già detto che è un brav’uomo – magari non nel senso comune dell’espressione, ma un brav’uomo: sposato, con un bambino piccolo... E lascia che ti dica anche questo: è meglio navigare con un bravo capitano, anche se sorride poco, che con uno cattivo che ride troppo”.
Mentre mi allontanavo, ero pieno di pensieri: ciò che mi era stato rivelato sul capitano Achab mi riempiva di una specie di incerta e selvaggia pena al suo riguardo. E in qualche modo allora sentivo per lui simpatia e dolore, per quella perdita crudele di una gamba. E pure provavo di lui uno strano timor sacro, che non riesco a descrivere. Comunque, a poco a poco i miei pensieri si mossero in altre direzioni, cosicché per il momento il fosco Achab mi uscì dalla mente.
Il giorno dopo tornai sulla nave con il mio amico ramponiere e lo presentai al capitano Peleg. Quiqueg non sapeva scrivere, ma poté firmare il contratto tracciando il suo segno, una croce speciale che portava tatuata su un braccio e che assomigliava più o meno a questo:
Mentre ritornavamo alla locanda, una voce ci richiamò all’improvviso: “Marinai, vi siete imbarcati su quella nave?”
Capitolo 2
A parlare era stato un uomo malvestito, che ci guardava severo e puntava un dito verso il “Pequod”.
“Vi siete imbarcati sulla nave?” ripeté.
“Sì”, risposi, “abbiamo appena firmato”.
“Firmato! E c’era qualcosa sulla vostra anima, in quello che avete firmato?”
“Cosa c’entra la nostra anima?”
“Avete ragione, è la sua anima quella che conta”.
“La sua di chi?”
“Del Vecchio Tuono, naturalmente!”
“Andiamo, Quiqueg, quest’uomo dev’essere scappato da un manicomio. Io non capisco una parola di quello che dice”.
“È così che lo chiamiamo noi vecchi. Parlo del capitano Achab, naturalmente!”
“Cosa ne sapete voi?”
“Cosa ne sapete voi, piuttosto!”
“Non ci hanno detto molto. Solo che è un buon capitano e che ha sofferto molto per l’incidente della gamba, ma si rimetterà”.
“Tutto qui? E di quando rimase tre giorni come morto al largo del Capo Horn non vi hanno detto nulla? E di quel duello con lo spagnolo? E della profezia sull’ultimo viaggio? Niente, eh? Già, già – be’, quel che è fatto è fatto, se avete firmato non c’è altro da aggiungere. Ma dite pure ai vostri compagni che io non mi imbarco, nossignori, questa volta non mi imbarco di sicuro!”
“Sentite, buon uomo, se avete qualcosa d’importante da dirci, ditelo senza fare tante storie. Non siamo né stupidi né paurosi. Ed è troppo facile darsi tante arie come se si fosse in possesso di chissà quale segreto!”
“Vi saluto, marinai. Vi saluto”.
“Diteci almeno come vi chiamate, se volete che portiamo il vostro messaggio ai nostri compagni sulla nave”.
“Elia”, rispose quel matto. “Mi chiamo Elia”.
Elia: è il nome di un famoso profeta biblico.
Nei giorni seguenti, tornammo più volte a bordo del “Pequod” per seguire i preparativi, e spesso chiesi notizie di Achab – come stava, quando sarebbe venuto a bordo. Mi dicevano che migliorava di giorno in giorno e che lo si aspettava da un momento all’altro. Ma queste risposte mi tranquillizzavano solo a metà.
Finalmente ci fu annunciato che la nave era pronta e saremmo salpati l’indomani. All’alba lasciai la locanda con Quiqueg e mi diressi al porto. Ed ecco, proprio mentre la nave cominciava a intravedersi nella nebbia mattutina, la voce di Elia tornò a farsi sentire alle nostre spalle:
“Partite, marinai? Volevo mettervi in guardia ma... non importa, non importa. Freddo, eh? Addio, marinai”.
Lo mandai al diavolo, mentre Quiqueg restava impassibile.
Salimmo a bordo e trovammo la nave ancora deserta, silenziosa, con i boccaporti chiusi, sbarrati dall’interno. Riuscimmo a trovare un portello aperto, scendemmo nel frapponte e alla fioca luce di una lampada vedemmo un uomo solo, che dormiva gettato per terra, con le braccia incrociate sul volto. Quando si svegliò, ci disse che il capitano Achab era salito a bordo durante la notte. Poco dopo cominciarono ad arrivare gli altri marinai e l’ufficiale in seconda, il signor Starbuck, prese il comando.
A mezzogiorno il “Pequod” lasciò il molo di Nantucket, senza che Achab fosse ancora uscito dalla sua cabina. Percorse lentamente l’ampia insenatura del porto e prima di sera superò la punta meridionale dell’isola. Soffiava una brezza fredda e umida, un gabbiano tardivo strideva alto nel cielo. Col cuore pesante gridammo tre volte evviva e ci slanciammo alla cieca nell’Atlantico.
alla cieca: nell’oscurità.