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Anno XXXVI - N. 1 - Settembre/Ottobre 2017 - Imprimé à Taxe Réduite

LA RIVISTA CONTINUA IN RETE (vedi pag. 2)

Icone contemporanee

Il mondo di Laura Pausini

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www.elimagazines.com


Cari lettori di Oggitalia, bentornati tra le nostre pagine! In questo numero vi racconteremo la storia di Cinecittà, la “Hollywood italiana” che ha appena compiuto ottant’anni. La versione italiana dello spettacolo Notre Dame de Paris quest’anno festeggia invece i suoi quindici anni e, per l’occasione, ha coinvolto gli attori-protagonisti che l’hanno fatta tanto amare dal pubblico. Conosceremo poi l’affascinante figura di Bruno Munari, artista, designer e ideatore di una didattica pensata proprio per i più giovani. Vi daremo qualche anticipazione sull’ultimo romanzo di Silvia Avallone, Da dove la vita è perfetta, un intreccio ben costruito di storie e personaggi. Infine, in un’intervista, troverete le attese, qualche timore e i progetti di due giovani italiane, Laura Pausini e Federica Pellegrini. Buona lettura! Silvia

Settembre/Ottobre 2017 Direttore responsabile Lamberto Pigini Redazione Paola Accattoli Grazia Ancillani Cristina Ciarrocca

Responsabile editoriale Daniele Garbuglia Per la vostra corrispondenza: “Oggitalia” ELI P.O. box 6 - 62019 Recanati (MC) Italia www.elimagazines.com

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Sommario Icone contemporanee

Inchiesta

Spettacolo

Arte & Design

Sport

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Il mondo di Laura Pausini

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Cinecittà compie 80 anni

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Notre Dame de Paris, quindici anni di show

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Bruno Munari: arte, design e didattica

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di Silvia Fumarola da www.repubblica.it L’ex ragazzina timida e sognatrice ha cambiato pelle. Oggi è la donna dei record (70 milioni di dischi venduti in 60 paesi, premi, concerti, tv), sicura di sé: «L’errore è stato mio che non mi mettevo mai al primo posto»

di Edoardo Frittoli da www.panorama.it Voluta dal partito fascista per lo sviluppo del cinema autarchico, Cinecittà esploderà nel dopoguerra con i kolossal e i grandi maestri italiani. Qui nacquero cult come Ben Hur, Quo Vadis, Guerra e Pace, Vacanze romane. Ecco la storia della Hollywood italiana

di Ferruccio Gattuso da www.ilgiornale.it Sulle musiche di Riccardo Cocciante e con il libretto di Luc Plamondon, lo spettacolo è da molti anni un titolo ricorrente sui palcoscenici europei e mondiali. Torna nel nostro Paese per festeggiare i quindici anni della versione italiana

Fino a novembre Palazzo Pretorio, a Padova, ospita la mostra “Bruno Munari: aria | terra” per offrire al pubblico un percorso originale sull’opera del maestro milanese. Ripercorriamo la sua carriera artistica, ricchissima e non facilmente inquadrabile da zebrart.it

Federica Pellegrini rilancia: «Voglio Tokyo 2020, non lascio i conti in sospeso»

La campionessa veneta allontana definitivamente l’ipotesi del ritiro dopo la delusione di Rio e appare più determinata che mai: «Ha prevalso l’amore per questo sport, voglio darmi un’altra chance». E sul doping: «C’è e la sua pesante ombra aleggia anche sul nuoto, ma non in Italia» da www.repubblica.it

Letteratura

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Silvia Avallone, il nuovo romanzo

Giochi e attività

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Attività divertenti e stimolanti sugli articoli di “Oggitalia”

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di Lorenzo Mondo da www.lastampa.it In Da dove la vita è perfetta, Silvia Avallone intreccia storie di padri, madri, figli che insegue e padroneggia. Un affresco italiano con personaggi che sfidano ambizioni e contraddizioni


Icone contemporanee L’ex ragazzina timida e sognatrice ha cambiato pelle. Oggi è la donna dei record (70 milioni di dischi venduti in 60 paesi, premi, concerti, tv), sicura di sé: «L’errore è stato mio che non mi mettevo mai al primo posto»

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TRATTO DA

di Silvia Fumarola

Il mondo di Laura Pausini

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A un certo punto Laura Pausini si ferma: «Lo sa perché sbagliavo? Perché non mettevo mai me stessa come primo argomento. Invece in certi casi non solo è necessario, ma è anche giusto. Per crescere ho imparato a dire “io”». La ragazza dei record (70 milioni di dischi venduti, premi, concerti, tv) che dal lontano Festival di Sanremo 1993 (quello vinto grazie al fuggitivo Marco mai più tornato) non si è mai fermata, supera se stessa. A dieci anni dalla vittoria del Grammy con Resta in ascolto, quest’anno è stata nominata di nuovo nella categoria Best latin pop album con Similares, versione spagnola di Simili. Pausini è una star mondiale formato famiglia, fiera delle radici, Solarolo (Faenza): romagnola di rara simpatia». Che cosa pensa del festival di Sanremo? «Sanremo è fantasticoooooo! Io al festival devo tutto. Il Grammy, invece, ha un valore particolare perché veniva da un anno molto duro dal punto di vista personale, era il primo disco da sola dopo aver lasciato il mio gruppo. Mi avevano detto che sarei fallita*, è stata una rivincita. Da lì ho preso coscienza di me, sono diventata la Laura che fa troppe cose e hanno cominciato a chiamarmi Wonder woman. Ho posato vestita da Wonder, per scherzo».

Si sente una super eroina? «Ma no. Però faccio tante cose, a volte non so neanche io come. Ho sofferto per mancanza di autostima, capita a tante donne. Pensi com’è la vita, l’8 febbraio 2006 ho vinto il Grammy, l’8 febbraio del 2013 è nata mia figlia Paola, è un giorno magico. Il suo arrivo mi ha tolto l’inquietudine, da quando c’è lei me ne sbatto un po’ delle cose che mi facevano soffrire. Di carattere sono una perfezionista, oggi mi assolvo: se qualcosa va male l’ho sbagliata e pazienza». Alle donne si richiede la perfezione, anche a lei non perdonano niente? «Non siamo mai perdonate, eventualmente accettate. Sono le donne che giudicano e fanno le critiche più feroci. Ma sono fortunata, la maggior parte delle persone che mi aiuta sono donne, e mi fido». Raffaella Carrà diceva che è fondamentale avere le donne dalla propria parte. «Raffaella è sempre stata un mito, è della mia zona. Quando è nata Paola sono venuta a Roma per presentargliela: la quinta parola pronunciata da mia figlia dopo mamma, papà, pappa è stata Carrà. Raffa la sento vicina, perché siamo romagnole. L’empatia la ritrovo nelle persone del mio paese, è sentirsi a casa con chiunque, essere accoglienti».

Deve tanto alla famiglia? «Tutto. Papà, mamma, mia sorella Silvia: sono stata circondata dall’amore». Però ha cantato spesso amori strazianti*. «Non ho avuto molti fidanzamenti felici. Se ascolta Simili, fino a Inedito tutte le canzoni sono dichiarazioni d’amore. Quando cantavo Non ho mai smesso non posso nascondere di non aver pensato a Paolo (Carta, il suo compagno, ndr). Ora che comincio a pensare ai brani del nuovo album, le canzoni malinconiche sono quelle che mi piacciono di più. Però Simili che ho scritto con Niccolò Agliardi è un inno all’amore. I simili si trovano». Prima tante l’avranno ispirata, ma se una diventa “la Pausini”, chi guarda? «Cerco di non assomigliare a niente, di non farmi influenzare. C’è tanta bruttezza in giro, e tanta bellezza. Io voglio essere totalmente autentica».

Glossario fallita: non sarei riuscita ad avere successo strazianti: molto tristi

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Inchiesta

Voluta dal partito fascista per lo sviluppo del cinema autarchico, Cinecittà esploderà nel dopoguerra con i kolossal e i grandi maestri italiani. Qui nacquero cult come Ben Hur, Quo Vadis, Guerra e Pace, Vacanze romane. Ecco la storia della Hollywood italiana

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TRATTO DA

di Edoardo Frittoli

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Compresa nel quadrilatero disegnato dall’abbraccio tra la via Tuscolana e via di Torre Spaccata, la “Hollywood del Tevere” veniva inaugurata in pompa magna da Mussolini il 28 aprile del 1937. Quel lotto di terreno allora in piena campagna realizzava uno dei pilastri

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Cinecittà

compie 80 anni

della propaganda di regime, la fabbrica del consenso* attraverso il controllo della cinematografia e dell’informazione audiovisiva. A Cinecittà avrebbe dovuto concentrarsi pressoché la totalità della produzione cinetelevisiva italiana. Nel 1935 un incendio aveva distrutto gli studi della Cines al quartiere Appio Claudio, dove si produceva già circa il 50% dei film italiani. Così Luigi Freddi, nominato l’anno precedente a capo della Direzione Generale della Cinematografia, contattò il finanziere romano Roncoroni che mise a disposizione fondi per la nascita dei grandi teatri di posa a disposizione della produzione cinematografica di regime e delle redazioni dei cinegiornali Luce (L’Unione

Cinematografica Educativa, sigla non a caso molto simile alla parola “duce”). Su progetto dell’urbanista Gino Peressutti, in poco più di un anno nacque un colosso da 73 edifici, di cui ben 14 erano sale posa all’avanguardia. Freddi aveva


trovato ispirazione per il progetto di Cinecittà durante un viaggio negli Stati Uniti, per un ente che avrebbe bandito* l’importazione americana sostituendola con la produzione autarchica. Dal 1937 al 1940 i lungometraggi realizzati nei teatri di Cinecittà crebbero gradualmente fino a toccare nel 1942 il picco dei 52 film all’anno. A minare* la stabilità economica del centro di produzione, al quale era stata integrata

sottodimensionato non permise il rientro dei costi di produzione. Il crollo del fascismo significò la fine del sogno di Cinecittà. Negli anni della guerra, oltre alle bombe, fioccarono* i licenziamenti delle maestranze. L’avanzata alleata e la nascita della Rsi decisero il trasferimento al Lido di Venezia di quanto rimaneva del cinema di regime, mentre gli studios romani venivano adibiti dagli anglo-americani entrati nella capitale a campo di raccolta per i rifugiati di guerra. Fu solo nel 1947 che Cinecittà poté tornare in vita dopo i lavori di ripristino. Le produzioni rimanevano limitate per la crisi postbellica e fu soltanto a partire dal nuovo decennio che il centro di produzione poté vedere una svolta: furono gli americani a ridare linfa a

americane durò un decennio. Dai teatri di posa della Tuscolana nacquero cult come Ben Hur, Quo Vadis, Guerra e Pace. Audrey Hepburn e Gregory Peck mostravano al mondo i tesori della città eterna in Vacanze romane (1953) Dalla collaborazione di Cinecittà con Francia e Spagna nascerà la grande stagione del cinema italiano, che porterà il maestro Fellini a considerare gli studi come una seconda casa condivisa con registi come De Sica, Rossellini, Visconti. Erano gli anni dei paparazzi e della dolce vita. La vita finanziaria di Cinecittà non fu però dolce come quella di Anita Ekberg. Il dissesto economico fu accentuato dall’uscita progressiva delle produzioni americane, terminate alla fine degli anni ‘60. Negli anni della crisi Cinecittà non smise di sfornare produzioni italiane di altissima qualità, tra cui Novecento di Bernardo Bertolucci, C’era una Volta in America di Sergio Leone, Amarcord, E la nave va di Fellini per giungere alla fine degli anni ‘80 con la produzione de L’ultimo imperatore di Bertolucci. La temporanea vendita di parte dei lotti espropriati giunti a scadenza permise a Cinecittà di tirare il fiato per qualche tempo, fino a una nuova crisi che sarà in parte risolta con il supporto delle nuove produzioni televisive italiane.

la sede del Centro Sperimentale di Cinematografia, furono la guerra e la ristrettezza del mercato ormai limitato alle potenze dell’Asse dominate tuttavia dalla superiorità dell’industria cinematografica del Terzo Reich. Inoltre un mercato interno fortemente

Cinecittà con l’inaugurazione della grande stagione dei kolossal. Anche il cinema italiano dei maestri del neorealismo contribuì a far nascere il mito della Hollywood sul Tevere, con capolavori come Il viale della speranza di Dino Risi. La stagione delle grandi produzioni

Glossario bandito: vietato consenso: approvazione fioccarono: furono molto numerosi minare: danneggiare

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Spettacolo

Notre Dame de Paris, quindici anni di show

Sulle musiche di Riccardo Cocciante e con il libretto di Luc Plamondon, lo spettacolo è da molti anni un titolo ricorrente sui palcoscenici europei e mondiali. Torna nel nostro Paese per festeggiare i quindici anni della versione italiana

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TRATTO DA

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di Ferruccio Gattuso Un’opera moderna e non un musical, un dramma ispirato a un grande classico della letteratura, uno spettacolo dall’impianto faraonico che chiede molto ai realizzatori, ma anche al pubblico che ne segue la storia. Notre Dame de Paris sulle musiche di Riccardo Cocciante e con il libretto di Luc Plamondon è da molti anni un titolo ricorrente sui palcoscenici europei e mondiali, dall’Inghilterra alla Svizzera, dalla Russia alla Cina al Giappone, fino a Corea e Canada e in decine di altri Paesi. Nel nostro Paese torna per festeggiare i quindici anni della versione italiana (esordì il 14 marzo 2002, al Gran Teatro di Roma) cui ha lavorato Pasquale Panella, firma legata alla storia del cantautorato

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di casa nostra, dallo stesso Cocciante a Lucio Battisti. Dalle pagine di Victor Hugo al palcoscenico, Notre Dame de Paris ha costituito una rilettura capace «di cambiare il modo di pensare e realizzare un certo tipo di spettacolo» dice il compositore. Non il musical «lustrini e paillettes», bensì qualcosa di simile all’opera lirica: una creazione cui seguirono, negli anni successivi, analoghi tentativi, alcuni riusciti altri meno, come la Tosca di Lucio Dalla e il Romeo e Giulietta di Gérard Presgurvic. Per tutto quest’anno Notre Dame de Paris è stato in cartellone, festeggiando e continuando un successo fatto di tre milioni e mezzo di spettatori per oltre mille repliche* in tutta Italia. La storia è quella risaputa - e in fondo mutuata* da una fiaba più antica, La Bella e la Bestia - dell’infelice e mostruoso gobbo Quasimodo, nascosto

tra le guglie della splendida cattedrale di Parigi, del suo amore impossibile e taciuto per la bella zingara Esmeralda, dell’ossessione per costei da parte del perfido* e potente Frollo e di come il Gobbo si sacrificherà per la donna il cui sguardo innamorato va a ben altri. Nei ruoli dei principali protagonisti, per festeggiare il quindicesimo tutto italiano dell’opera, tornano nel cast Lola Ponce, Giò Di Tonno e Vittorio Matteucci. Insieme a loro, un cast rinnovato tra gli attori e trenta performer, con la regia di Gilles Maheu, la ricca scenografia di Christian Rätz, i costumi di Fred Sathal e le coreografie di Martino Müller. A proposito del suo ennesimo ritorno al ruolo, Lola Ponce afferma: «Sono felicissima di tornare a essere Esmeralda. Interpretarla è come ripensare a tutta la mia carriera artistica. Dalla prima volta che ho vestito i panni della zingara di Notre Dame molte cose sono cambiate: sono

diventata madre, ho sperimentato una nuova forma di amore. Penso che queste esperienze possano dare al mio ruolo nuove sfumature: Esmeralda è ancora più passionale e legata all’idea di libertà». Sul ritorno nei panni del Gobbo in Notre Dame de Paris Giò Di Tonno ammette: «Il mio sì non è stato immediato. Avevo lasciato il ruolo per una certa stanchezza e temevo che quella sensazione si ripetesse. In fondo, avevamo fatto centinaia di repliche. Poi però il contatto con gli altri membri del cast ha portato immediatamente all’antica alchimia*. E tutto è andato liscio».

Glossario alchimia: sintonia mutuata: tratta perfido: molto cattivo repliche: ripetizioni dello spettacolo

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Arte & Design lavoro fosse di stimolo al “fare”, in modo che il fruitore, opportunamente guidato, potesse penetrare le regole tecniche e creative, acquisendo nuove competenze di presupposto* alla conquista della capacità di reinventare. Musei e mostre dovrebbero pertanto prevedere «dimostrazioni visive di tecniche d’arte» (Da cosa nasce cosa, 1981), ossia esemplificazioni di attività che consentano ai visitatori di testare nel concreto i procedimenti da cui sono scaturite* le opere esposte. È proprio quel che accade a Palazzo Pretorio, che alle stanze “contemplative” alterna stanze in cui ai visitatori è offerta l’opportunità di sperimentare varie attività. In una mostra su Munari le stanze del fare non vanno intese come un’appendice didattica, bensì come parte integrante dell’opera, in quanto le attività sono opere vere e proprie progettate dall’artista.

Fino a novembre Palazzo Pretorio, a Padova, ospita la mostra “Bruno Munari: aria | terra” per offrire al pubblico un percorso originale sull’opera del maestro milanese. Ripercorriamo la sua carriera artistica, ricchissima e non facilmente inquadrabile

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TRATTO DA

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Fino al 5 novembre 2017 Palazzo Pretorio ospita la mostra “Bruno Munari: aria | terra” curata da Guido Bartorelli, per offrire al pubblico un percorso originale sull’opera del maestro milanese. Munari si è sempre preoccupato che il suo

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Bruno Munari: arte, design e didattica Munari mette in questione l’opera d’arte chiusa (unica, irripetibile, intangibile…) e sperimenta invece, con straordinario anticipo, quell’opera come processo che tanta parte avrà nelle tendenze successive. Processo, fluidità, relazione, interattività, sinergia con il fruitore* sono i concetti chiave che la mostra a Palazzo Pretorio focalizza in quanto fondanti l’arte di Munari. “Bruno Munari: aria | terra” intende così apportare un contributo significativo all’acquisizione storico-critica dell’eredità munariana, riconoscendola come manifestazione apri pista di valori e obiettivi che animano tuttora la ricerca intorno alla ridefinizione del concetto di arte.


Personaggio non facilmente inquadrabile in una sola professione o in uno specifico movimento artistico, Bruno Munari fu un artista, un designer, uno scrittore e il geniale inventore di un metodo, quello che porta il suo nome come marchio registrato, di laboratori didattici per bambini. Ma allora ripercorriamo brevemente la sua carriera artistica, con particolare attenzione agli inizi. Bruno Munari nasce nel 1907 e vivrà i sui primi diciotto anni nella campagna milanese, ambiente che offrirà innumerevoli spunti per le sue riflessioni didattiche e per stimolare la sua naturale curiosità. Si trasferisce appena maggiorenne in città, a Milano, dove prende parte al secondo futurismo milanese, partecipando anche alla Biennale di Venezia, alla Quadriennale di Roma e poi a quella di Parigi negli anni ‘30. È proprio dalle fila del futurismo che la sua carriera prende avvio ed è dai principi futuristi che parte, per subire poi una rivoluzione estetica, la gran parte delle sue opere ma anche delle sue metodologie. Munari fondò nel 1948 insieme ad A. Soldati e G. Dorfles il MAC, il Movimento per l’Arte Concreta, e dagli anni ‘50 in avanti si dedicò alla ricerca sull’arte cinetica, sperimentando tra le altre la tecnica della luce polarizzata e la xerografia.

Tutta la sua ricerca artistica è basata sulla sperimentazione di materiali diversi e sulla diversa concezione che il pubblico è invitato ad avere nei confronti dell’arte proposta. Inizia già dal 1930 a realizzare queste strane opere, primo tentativo di scultura che si espande e modifica l’ambiente. È dalla riflessione sul ruolo dell’arte nella società e su come il pubblico recepisce l’opera che si basa l’interesse di Munari per la didattica dell’arte, che si concretizzerà in opere scritte e laboratori didattici. L’obiettivo era quello di formare una futura classe di uomini con la mente elastica e pronta ad aprirsi alla creatività, al contrario di ciò che favorivano i metodi classici di insegnamento delle discipline artistiche, basati unicamente sull’osservazione e sulla partecipazione limitata dei bambini. È del 1977 il Laboratorio presso la Pinacoteca di Brera. Il pubblico scelto al quale dedicare il laboratorio era quello dei bambini e la motivazione è nelle

parole dello stesso Munari: «Siccome è quasi impossibile modificare il pensiero di un adulto, noi dovremo occuparci dei bambini». Le attività proposte a Brera avevano come obbiettivo quello di far conoscere ai bambini le principali tecniche artistiche, ma attraverso una metodologia che prevedeva l’azionegioco. Le esperienze didattiche di Munari continueranno con il secondo laboratorio progettato nel 1979 per il Museo Internazionale delle Ceramiche a Faenza dove, per volere dello stesso direttore Gian Carlo Bojan, si intendeva favorire un maggior avvicinamento pratico dei bambini all’arte e in particolare a quella conservata nel museo. Bruno Munari morì nel 1998 e da allora, per volere dello stesso ideatore, numerosi studiosi in varie discipline (pedagogisti, storici dell’arte, psicologi) si sono interessati al metodo che è diventato a oggi un marchio registrato, proprietà dell’Associazione Bruno Munari che porta avanti gli studi e le ricerche metodologiche e didattiche seguendo i principi dell’ideatore.

Glossario di presupposto: necessarie fruitore: chi vedrà le opere d’arte scaturite: nate

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Sport

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TRATTO DA

]

Federica Pellegrini non lascia, ma raddoppia. L’olimpionica azzurra aveva già fatto capire le sue intenzioni con un post pubblicato su Instagram («Qui... c’è ancora qualcosa da fare»), alla ripresa degli allenamenti al centro federale di Verona. La conferma che l’ipotesi del ritiro è da considerare definitivamente tramontata arriva adesso da una lunga intervista: «Dopo la grande delusione di Londra 2012 ci credevo e ci credevo tanto. A Rio eravamo arrivati pronti, perché quest’anno è stato bello come pochi fino a quei 20 centesimi che mi hanno fatto perdere la medaglia - ha spiegato la campionessa veneta -. Se avevo pensato davvero di lasciare? A caldo, onestamente, ero molto delusa ma nel nuoto ogni volta che entriamo in acqua sappiamo che si vince e si perde di centesimi. Ero stufa di dover fare i conti con i centesimi dopo anni di duri allenamenti e sacrifici. Poi l’amore che ho per questo sport mi ha spinto a fare un’altra scelta. Ho deciso di darmi un’ulteriore chance. Il mio prossimo obiettivo saranno i mondiali di Budapest e poi c’è Tokyo 2020. Se riuscirò a qualificarmi sarà la mia quinta Olimpiade e a 32 anni, per il nuoto, è un’età abbastanza avanzata. Ho deciso di crederci e ci credo fortemente, da questo arriva la scelta di andare avanti». GIUDIZI SUI SOCIAL FANNO MALE Federica Pellegrini è molto attiva sui social e spesso deve fare i conti con

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Federica Pellegrini

rilancia: «Voglio Tokyo 2020, non lascio i conti in sospeso» La campionessa veneta allontana definitivamente l’ipotesi del ritiro dopo la delusione di Rio e appare più determinata che mai: «Ha prevalso l’amore per questo sport, voglio darmi un’altra chance». E sul doping: «C’è e la sua pesante ombra aleggia anche sul nuoto, ma non in Italia»


Magnini, suo collega e compagno: «È molto importante per me averlo al fianco in ogni allenamento, è stimolante. Sa dirmi le cose giuste e capisce cosa io possa provare. In allenamento, poi, Filippo è un osso duro. Cosa mi ha detto dopo la gara? Eravamo tutti sconvolti*. Io, lui, il mio allenatore, la psicologa e il fisioterapista. Mi sono venuti incontro subito e devo dire, se possibile, che forse erano più dispiaciuti di me».

critiche e giudizi: «Il rapporto con i social è un grosso problema della società in genere. La gente si scherma dietro una tastiera. Non c’è più il coraggio di dire le cose in faccia. Mi arrivano addosso giudizi e mi fanno male. Mi piacerebbe

un giorno radunare tutte queste persone in una stanza e mettermi a disposizione, per far capire loro che quello che dicono e scrivono sui social non è la mia vita. Vorrei, però, vederli di persona». La nuotatrice azzurra parla anche di Filippo

SPERO DI CHIUDERE COME VORREI IO - Pellegrini prova a lasciarsi alle spalle la delusione di Rio, determinata a guardare avanti verso nuovi obiettivi: «Non c’è stato niente di sbagliato durante l’anno: gli allenamenti, le gare, tutto era andato bene, addirittura avevo migliorato i miei personali. Certo, sapevo di dovermela giocare poiché i 200 stile libero stanno diventando una gara sempre più veloce e io sempre più vecchia. Ti confronti con giovani che sono in costante crescita e tu devi limare il massimo, il centesimo. Poi arrivi lì, fai tutto quello che è giusto, ma non prendi la medaglia. La rabbia è stata tanta, ma voglio rimettermi a nuotare e fare tutti i sacrifici che ho fatto l’anno scorso per poi provarci di nuovo. Ho bisogno di un’altra gara, anche se vincere sarà sempre più difficile. Se avessi smesso adesso, avrei lasciato qualcosa in sospeso e a me non piace lasciare le cose in sospeso. Devo chiudere questo ciclo e spero di farlo come vorrei io». OMBRA DOPING C’È, MA NON IN ITALIA - Se un giorno la Pellegrini avesse una figlia decisa a fare nuoto come la mamma, l’azzurra le direbbe «assolutamente di sì. Nella mia vita ho sempre e solo nuotato, per cui non so paragonarlo ad altri sport, ma conosco molto bene il mio e posso dire che è uno sport sano. A livello internazionale, purtroppo, è sempre più intaccato* dall’ombra del doping. L’ombra aleggia* anche durante le gare. Vedi fisici cambiare di tre mesi in tre mesi e, soprattutto per una donna, questo è impossibile. Però consiglierei a mia figlia di farlo perché in Italia tutto questo ancora non esiste».

Glossario aleggia: si muove intaccato: rovinato sconvolti: molto turbati

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Letteratura

In Da dove la vita è perfetta, Silvia Avallone intreccia storie di padri, madri, figli che i nsegue e padroneggia. Un affresco italiano con personaggi che sfi dano ambizioni e contraddizioni

Silvia Avallone,

il nuovo romanzo

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TRATTO DA

di Lorenzo Mondo

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Da dove la vita è perfetta, il denso, articolato, ultimo romanzo di Silvia Avallone, affida al tema della maternità la sua dinamica narrativa e la sua possibile carica simbolica. Adele ha diciassette anni quando rimane incinta e viene abbandonata da Manuel, pressoché suo coetaneo. Ha amato alla follia quel ragazzo, che si è dato a loschi* traffici e ha imboccato la strada dell’autodistruzione. Ora rifiuta di vederlo, si concentra tra sgomento e meraviglia sulla creatura che porta in grembo, sulle segrete corrispondenze con l’essere che, per quanto avvinto* alla sua carne, sembra provenire o dare inizio a un altro mondo. Va segnalato che Adele vive a Bologna, non nel centro della città, graffito di storia e cultura, ma in un quartiere-villaggio di orrendi casermoni, abitati da un’umanità povera e reietta*.

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Dove i padri sono assenti o in galera, le madri precocemente sfiorite, disfatte dalla fatica. Lei immagina di chiamarla Bianca, la sua figlioletta, un nome pulito, luminoso: anche se, per mantenere fede all’augurio, si sentirà costretta con strazio a non riconoscerla, a lasciare che un’altra famiglia le garantisca una vita migliore. La seconda faccia della medaglia è rappresentata da Dora, un’insegnante di letteratura che è afflitta da una gamba artificiale e si sente doppiamente incompleta per la mancanza di un figlio. E smania e spasima insieme al marito perché dopo una lunga, dolorosa trafila le venga concessa un’adozione. Sono due gangli* vitali in cui sembrano raggrumarsi, in forma elementare, l’infelicità e la gioia, la disperazione e la fiducia nel futuro. Da queste due vicende si diramano e intrecciano altre storie, altri personaggi, che l’autrice insegue e padroneggia con un’aderenza dove la crudezza non si nega

una superiore pietas. La figura più complessa e originale del romanzo è quella di Zeno. Abita anche lui nel villaggio, assiste una madre inabile, ma è riuscito a emanciparsi con lo studio e l’approdo all’università. Per questo “tradimento” viene escluso dai coetanei, pur conservando il riottoso affetto di Manuel, il quasi fratello che si è perduto. Gli accade talora di prendere il treno: «Se ne andava da solo a Ferrara, a sdraiarsi sotto le mura del Castello Estense, o a Ravenna a godere la Basilica di Sant’Apollinare in Classe. Oppure raggiungere il centro della città, semplicemente, e si chiudeva in una biblioteca vecchia di centinaia di anni». Gli capita, è vero, di spiare dalla finestra di casa, a imitazione di Leopardi, i movimenti della famiglia di Adele, e soprattutto lei, di cui indovina e apprende le traversie* e l’infelice destino. Si dibatte in un sentimento misto di esclusione e privilegio. Vagheggiando Adele, si impone di rispettare, in quanto inetto alla vita concreta, «il rigoroso ruolo che si era dato: quello del narratore esterno. Che al


massimo simpatizza, ma non giudica e non interviene». Ma la corazza della letteratura sembra incrinarsi davanti alla sofferenza: di tanta gente disagiata, della madre, di Manuel, di Adele con la quale riesce infine a parlare, a confidarsi, a stringere un rapporto affettuoso che vorrebbe duraturo e liberatorio. Da lettore appassionato di Dostoevskij si avvede intanto di essersi imbattuto realmente nei suoi protagonisti: di avere soccorso in veste di Alesa il parricida Mitja interpretato da Manuel. E nell’amore compassionevole e frustrato per Adele si presta a incarnare inconsapevolmente il principe Mirskj dell’Idiota, un libro che afferma di non avere mai letto. Comprendiamo che egli prende infine coscienza di una possibile conciliazione tra letteratura e vita. La scoperta della realtà, il suo rispecchiamento nella parola scritta non escludono un comportamento partecipe e solidale. Forse Zeno potrà accingersi*, senza complessi di colpa, a realizzare il sogno a lungo accarezzato di scrivere un romanzo.

Glossario accingersi: cominciare avvinto: legato gangli: nodi di tessuto nervoso loschi: poco chiari reietta: emarginata traversie: disavventure

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Giochi e attività Il mondo di Laura Pausini

Rileggi l’intervista alla cantante e correggi le frasi che ti sembrano false. 1. Laura Pausini ha vinto il Grammy quest’anno.

V

F

2. La sua carriera è iniziata a Sanremo nel 1993. 3. La cantante ha due figlie, Paola e Raffa. 4. Raffaella Carrà è una parente di Laura. 5. La cantante tiene molto alla sua famiglia. 6. Da quando è diventata mamma, Laura non

canta più canzoni strazianti.

Notre Dame de Paris, quindici anni di show

Rileggi l’articolo sullo spettacolo e scegli l’opzione corretta per completare le frasi. 1.

Notre Dame de Paris sulle musiche di ...................................... e con il libretto di Luc Plamondon è da molti anni un titolo ricorrente sui palcoscenici europei e mondiali. a. Bruno Munari. b. Riccardo Cocciante.

2.

Lola Ponce afferma: «Sono felicissima di tornare a essere Esmeralda. Interpretarla è come ...................................... tutta la mia carriera artistica». a. ripensare a. b. cambiare.

La storia è tratta da una fiaba più antica, ...................................... a. Cenerentola. b. La Bella e la Bestia. 3.

4.

Nei panni del Gobbo, Giò Di Tonno ammette: «Il mio sì non è stato immediato. Avevo lasciato il ruolo per una certa ...................................... e temevo che quella sensazione si ripetesse. a. delusione. b. stanchezza.

Soluzioni

Soluzioni Il mondo di Laura Pausini. 1. F; 2. V; 3. F; 4. F; 5. V; 6. F. Notre Dame de Paris, quindici anni di show. 1. b; 2. a; 3. b; 4. b.

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Autunno tra le Alpi: 5 cose da fare a Bormio Tra colori, sapori e relax, ecco cinque imperdibili esperienze per vivere una pausa di vero benessere alpino

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TRATTO DA

di Valentina Bonfanti

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A Bormio la fine dell’estate non rappresenta l’inizio di una stagione grigia e triste. Al contrario l’autunno, con il suo trionfo di colori, è uno dei periodi più belli dell’anno. La sorprendente bellezza dei paesaggi e la calma e la quiete che si respirano nella “Magnifica Terra” a partire dalla metà di settembre sono perfetti per una vacanza di natura e relax. Consigliamo cinque attività diverse dal solito per vivere un autunno fuori dal comune. Coccolarsi alle terme Conosciute sin dall’antichità, le calde acque termali di Bormio sono realmente benefiche per corpo e spirito. Una sauna o un bagno turco aiuteranno tutti gli interessati a distendere i muscoli in attesa del lungo inverno e a liberare la mente dai pensieri, per una vacanza rigenerante e salutare.

Sport all’aria aperta Prendersi qualche giorno da dedicare al proprio benessere fisico è cosa buona e giusta. Per esempio, muoversi con lentezza sui sentieri di montagna baciati dal sole dorato dell’autunno sarà un’esperienza memorabile. Ma non solo: godersi una passeggiata alla ricerca degli ultimi funghi e respirare a pieni polmoni l’aria pura della montagna sarà un toccasana* per la salute. Vivere le emozioni del Parco Nazionale dello Stelvio Approfittare delle temperature ancora miti di settembre e ottobre per ritemprare* corpo e spirito, in un contesto ambientale davvero unico e incontaminato, sarà un’esperienza suggestiva. Per completare la magia di una giornata nel Parco Nazionale, approfittare del silenzio dei boschi rossi e gialli per sentire il bramito* del cervo è senza dubbio un’emozione unica.

sciatt alla torta ai mirtilli. Tutti i prodotti regionali sono pronti ad accogliere gli amanti dell’enogastronomia e i vari rifugi del territorio offriranno deliziosi banchetti a tutti i trekkers.

Assaggiare i vini di Valtellina e mangiar bene Per i più golosi: cosa c’è di meglio di un bicchiere di vino rosso e di un bel piatto di pizzoccheri, magari davanti al camino di un agriturismo? Dal formaggio locale alla bresaola, dagli

Conoscere un paese ricco di storia e cultura Infine, per chi ama la storia, è possibile vivere entusiasmanti passeggiate tra le torri e gli antichi palazzi del paese. Via Roma e i numerosi musei sapranno entusiasmare anche i più appassionati.

1. Immagina di essere a Bormio per una vacanza di qualche giorno con un amico.

Che cosa scegliereste di fare e perché? Racconta.

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Glossario bramito: grido del cervo ritemprare: rafforzare toccasana: rimedio molto buono

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