Albert Einstein
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Di prossima pubblicazione:
• Le abilità regolative attentive, motorie, riflessive, emotive, alimentari
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E. Lampacrescia • L. Porfiri | Osservare & comprendere
La gioia nell’osservare e nel comprendere è il dono più bello della natura.
Eugenio Lampacrescia • Laura Porfiri
Osservare & comprendere Bisogni educativi speciali nell’Infanzia
• Le abilità regolative attentive, motorie, riflessive, emotive, alimentari
Eugenio Lampacrescia • Laura Porfiri
Osservare & comprendere Bisogni Educativi Speciali alla Scuola dell’Infanzia - Le abilità regolative
Attentive, motorie, riflessive, emotive, alimentari
Osservare & comprendere di: Eugenio Lampacrescia e Laura Porfiri Coordinamento redazionale: Maria Letizia Maggini Responsabile di produzione: Francesco Capitano Progetto grafico e impaginazione: Curvilinee Foto: Shutterstock - Archivio ELI © 2018 ELI s.r.l. B.P. 6 – 62019 Recanati – Italia Tel. +39 071750701 Fax +39 977851 info@elionline.com www.elionline.com ISBN 978-88-536-2600-4 Tutti i diritti riservati. È assolutamente vietata la riproduzione totale o parziale di questa pubblicazione, così come la sua trasmissione sotto qualsiasi forma o con qualunque mezzo, senza l’autorizzazione della casa editrice ELI. Stampa Tecnostampa – Pigini Group Printing Division Loreto – Trevi 18.83.375.0
Indice Introduzione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 I bisogni educativi alla Scuola dell’Infanzia. . . . . . . . . . . 5 Osservare e comprendere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 La regolazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 La regolazione attentiva. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25 Griglie di osservazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39 La regolazione motoria. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 Griglie di osservazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51 La regolazione della riflessività . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53 Griglie di osservazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 64 La regolazione emotiva. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66 Griglie di osservazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83 La regolazione alimentare. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85 Griglie di osservazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95
Introduzione I bisogni educativi --
alla Scuola dell’Infanzia
La normativa relativa ai BES, nella comune pratica, è stata rivolta ai Bisogni Educativi Speciali emergenti nella scuola dell’obbligo. Non si fa, cioè, esplicito riferimento alla Scuola dell’Infanzia, anche se è impossibile che in questa fascia di età non emergano situazioni --da monitorare attraverso l’osservazione --da approfondire sul versante clinico e trattare a livello riabilitativo --sulle quali intervenire a scuola attraverso una didattica individualizzata, per raggiungere gli obiettivi di tutta la classe, aggirando le difficoltà e con una didattica personalizzata per potenziare i talenti, che sempre esistono, anche nelle situazioni più complesse. A guardar bene, la stessa normativa confermerebbe questa impostazione quando afferma che: “Ogni alunno, in continuità o per determinati periodi, può manifestare Bisogni Educativi Speciali: o per motivi fisici, biologici, fisiologici o anche per motivi psicologici, sociali, rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano adeguata e personalizzata risposta”. (Direttiva ministeriale del 27 dicembre 2012) 5
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Nonostante ciò, la pratica relativa ai bisogni educativi speciali rimane applicata nell’orizzonte della scuola dell’obbligo, quando invece tali bisogni interessano, senza dubbio, anche gli alunni più piccoli e quelli oltre i 16 anni. Sorge così una prima riflessione. Se i BES, e tutto quello che essi comportano dal punto di vista osservativo e rilevativo, di programmazione didattica, di lavoro di rete tra famiglia, scuola, professionisti di area clinica ed educativa territoriale, rimangono un semplice obbligo burocratico, sarà solo la fascia 6-16 anni ad esserne coinvolta. Se, al contrario, si coglie questa normativa come un’opportunità di buone pratiche scolastiche, pedagogiche e sociali, viene da sé che ogni soggetto in età scolare, dall’infanzia all’università, entri di diritto in questa prospettiva di attenzione e cura alla persona con la finalità dell’inclusione piuttosto che di certa escludente meritocrazia.
Chi può essere considerato portatore di un -Bisogno Educativo Speciale (BES)? 1. Alunni con diagnosi clinica e certificazione In questo ambito rientrano: --studenti portatori di handicap (legge 104/92). Le indicazioni di questa legge si rivolgono alla persona disabile. Nella norma (art. 3, comma 1) si precisa che “È persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione”. Si precisa, inoltre, che la legge (comma 4) “si applica anche agli stranieri e agli apolidi, residenti, domiciliati o aventi stabile dimora nel territorio nazionale”. Troviamo queste situazioni già alla Scuola dell’Infanzia. --alunni con disturbo specifico di apprendimento (legge 170/10). In questo caso ci si riferisce ai disturbi di tipo 6
- I bisogni educativi alla Scuola dell’Infanzia procedurale e cioè alla mancata automatizzazione dei processi di lettura, scrittura ortografica e grafica, e dei processi numerici e di calcolo. A tal riguardo, sappiamo che molti indicatori di rischio per DSA sono rilevabili già dalla Scuola dell’Infanzia e quindi, a tutti gli effetti, la prevenzione di tali Bisogni Educativi Speciali può iniziare a pieno titolo ben prima della scuola primaria.
2. Alunni non certificabili, ma con diagnosi clinica In questo ambito rientrano una serie ampia di difficoltà, talvolta predittive di successivi disturbi, come nel caso di quelli del linguaggio ove vi sia una componente fonologica che, in indagini diacroniche, si rileva essere stata presente in circa l’80% dei soggetti con DSA. Oltre ai disturbi del linguaggio, in questa
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introduzione -
macro-area rientrano i Disturbi della regolazione attentiva, motoria e della riflessività (ADHD), Disturbi della coordinazione Motoria (DCM) e i soggetti con funzionamento mentale ai limiti (borderline cognitivi), tutti quadri rilevabili, in qualche misura, anche in bambini prima dei 6 anni.
3. Alunni con bisogni rilevabili a livello pedagogico, ma non clinico Questa area richiede una particolare attenzione da parte degli insegnanti in quanto non è necessario che lo studente abbia una problematica clinica (disabilità o disturbo) o un problema stabile. Ci si riferisce, cioè, a quanto emerge chiaramente a scuola, anche in modo temporaneo, dove viene giocato un ruolo primario dagli insegnanti nell’individuazione e nell’azione pedagogico-didattica e dove non è necessario l’intervento degli specialisti dell’area medica, psicologica e riabilitativa. In altre parole, sono gli alunni che presentano disagi di varia natura. Ad esempio, assenze ripetute, svantaggio socio-economico, difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua. Nella Direttiva Ministeriale sui BES del 27 dicembre 2012 si legge: «L’area dello svantaggio scolastico è molto più ampia di quella riferibile esplicitamente alla presenza di deficit. (…) Nel variegato panorama delle nostre scuole la complessità delle classi diviene sempre più evidente.” Gli alunni di questa terza area, che
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- I bisogni educativi alla Scuola dell’Infanzia potremmo chiamare non clinica, secondo alcune stime variano tra il 3 e il 13%. Anche questi bisogni hanno necessità di una attenzione speciale e sono la frontiera più urgente per l’inclusione e il successo scolastico, in quanto possono sfuggire o non sono oggetto di cura non avendo una certificazione di disabilità, né di DSA, né una diagnosi clinica. Anche questi alunni rientrano tra i Bisogni Educativi Speciali e sono rintracciabili già alla Scuola dell’Infanzia.
La sigla BES è una diagnosi? --
BES non rappresenta una diagnosi che spetta, in senso stretto, alle figure cliniche (medici, psicologi, figure riabilitative) anche se questi professionisti potranno essere coinvolti, ma è un’azione pedagogica che parte dalla scuola e che coinvolge tutti i soggetti che ruotano, a vario titolo, attorno al soggetto con Bisogno Educativo Speciale. Gli alunni di questa terza area, fino a qualche anno fa, non erano ufficialmente presi in considerazione, di conseguenza non avevano un piano didattico individualizzato e personalizzato (PDP), con valutazioni, obiettivi da raggiungere, strumenti compensativi e misure dispensative pensate ad hoc. Pure se la normativa non prevede la compilazione di un PDP alla Scuola dell’Infanzia, nulla vieta che possa essere realizzato già a questa età, in quanto si configura come una buona pratica scolastica per l’inclusione.
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introduzione -
Perché la Scuola dell’Infanzia può svolgere un -ruolo centrale nella rilevazione dei Bisogni Educativi Speciali? Quello che un insegnante può osservare nella fascia di età 3-6 anni è fondamentale, da una parte per permettere una diagnosi precoce e relativo trattamento delle disabilità e dei disturbi che non fossero ancora stati rilevati, dall’altra perché l’osservazione diviene un indicatore altamente predittivo per futuri disturbi, come nel caso dei Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA). Particolarmente importanti sono l’osservazione e la rilevazione di quelle che si manifestano come atipie di sviluppo in ambito comunicativo e linguistico, numerico e di pre-calcolo, regolativo (attenzione, attività motoria, riflessività, emotività, alimentazione), motorio, visuo-percettivo e grafo-motorio. Tali elementi predittivi sono aspetti da conoscere e ai quali prestare particolare attenzione e che approfondiremo in questa collana.
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- Osservare & comprendere
Osservare & comprendere --
Senza osservare non si va lontano. Il rischio è quello di non sapere progettare, cioè porsi degli obiettivi didattici e pedagogici in senso più ampio, scegliere le strategie operative per rispondere ai bisogni e alle risorse emerse, organizzare in modo rigoroso e sequenziale il lavoro, verificare il raggiungimento degli obiettivi in itinere e alla fine del percorso. Dal progetto si passa poi alla programmazione che è la realizzazione pratica del progetto. Un programma senza progetto rischia di muoversi in modo irriflessivo, talvolta facendo attività senza sapere a cosa servono o se sono utili a raggiungere un obiettivo. E, a caduta, senza osservazione non può esserci progetto. Ecco perché osservare bene è un passaggio irrinunciabile per chi fa didattica e, più in generale, per chi educa. Una seconda necessaria sottolineatura è capire quale è il compito specifico dell’osservazione pedagogica.
Osservazione pedagogica e osservazione clinica. -Quali sono le differenze? L’osservazione pedagogica che spetta all’insegnante e alle figure educative e quella clinica che invece è di pertinenza delle professioni sanitarie, sono due dimensioni fondamentali per conoscere il bambino. Spesso possono condividere alcune caratteristiche, ma si rivolgono a due momenti diversi del percorso di individuazione di un bisogno. Di norma la prima deve sempre precedere la seconda, anche se non è suo compito giungere ad una diagnosi, dimensione che spetta al secondo tipo di osservazione.
Quali sono le caratteristiche dell’osservazione -pedagogica?
Fenomenologico: Phainòmenon significa, ciò che emerge, ciò che appare, quindi un mostrarsi, un venire alla luce.
Ribadiamo che il momento osservativo è un passaggio fondamentale perché nessuna azione educativa può prescindere da essa. Osservare un fenomeno generale o particolare non è semplicemente guardarlo per dedurne sensazioni soggettive e conclusioni, ma è guardarlo attenuando i “rumori” per descriverlo così come appare al fine di poterlo possedere pienamente. Questa osservazione è quella che potremmo definire fenomenologica. Ne deriva che ciò che è rispettosamente fenomenologico non può che essere anche descrittivo. Descrivere significa essere fedeli a ciò che si osserva, cioè a quello che si vede, ascolta, tocca con mano, esperisce e al suo sviluppo.
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introduzione -
Significa prestare attenzione al PROCESSO, quindi è centrata soprattutto sul --COME --COSA --DOVE --QUANDO un fenomeno appare, si manifesta e procede.
Che differenza c’è tra guardare ed osservare? --
Il guardare è una azione spontanea, non intenzionale, ordinaria, non selettiva, soggettiva. Osservare, invece, è procedere verso un fine che ci si pone, richiede intenzionalità e produce descrizione e conoscenza del fenomeno che si osserva. Per questo bisogna mettere in campo un buon livello di oggettività (che non è disgiunta dalla soggettività di chi osserva), intesa come fedeltà e completezza di ciò che appare in aree di interesse (o anche curiosità) per comprendere un fenomeno nel modo più rigoroso. Ne deriva che l’osservatore deve avere un profilo il più possibile schermato da “rumori”, cioè da interferenze.
Quali sono i rumori prevalenti che -interferiscono su una osservazione così intesa, specie con un bambino? Una modalità che interferisce nell’osservazione, così come la andiamo intendendo, è l’atteggiamento del VALUTARE quanto stiamo osservando. È necessario, invece, sgombrare il campo da pregiudizi ed anche dalla tendenza ad esprimere un giudizio soggettivo con una critica negativa o positiva. La valutazione è un atteggiamento presente in ognuno di noi e, nei docenti, è connaturato all’interno della professione in quanto è una delle azioni richieste nel processo di insegnamento. Questo atteggiamento può, però, complicare ed interferire molto nei processi osservativi. Nell’osservazione fenomenologica la ricerca del perché, quindi la preoccupazione dell’INTERPRETAZIONE dei dati, può divenire un ulteriore elemento disturbante, soprattutto quella che è guidata da nostre conoscenze pregresse, supposizioni ed anche personali aspettative che rischiamo di proiettare sul soggetto che stiamo osservando. È anche manifestata con la volontà di andare oltre quanto si osserva fenomenologicamente ricercando le cause e, in una curvatura specifica, procedere ad una diagnosi clinica, aspetto che ribadiamo non essere compito dell’insegnante né più in generale di un lavoro educativo.
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