LA LETTERATURA DELLE ORIGINI
Il contesto storico-culturale del XIII secolo
La poesia religiosa del Duecento
La scuola siciliana
I poeti siculo-toscani
Sentieri dell’immaginario
LA LETTERATURA DELLE ORIGINI
La formazione del volgare
La letteratura epico-cavalleresca
La lirica religiosa
La lirica in volgare: scuola siciliana e poeti siculo-toscani
Comico, prosa di viaggio e novella
Coordinamento redazionale: Marco Mauri
Redazione: Marina Virgili per Studio Roveda Marelli, Milano; Manuela Capitani
Art direction: Enrica Bologni
Progetto grafico: Studio Mizar, Bergamo
Impaginazione: Daniela Mariani
Illustrazione di copertina: Alida Massari
Contenuti digitali
Progettazione: Giovanna Moraglia
Realizzazione: bSmart Labs
Referenze iconografiche Shutterstock, Archivio Principato
ISBN 978-88-416-5172-8
Sentieri dell’immaginario Poesia Teatro + La letteratura delle origini
ISBN 978-88-6706-543-1
Sentieri dell’immaginario Poesia Teatro + La letteratura delle origini eBook+
Prima edizione: febbraio 2023
Printed in Italy
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2.
3. La lingua volgare e i primi testi
5. Le parole della fede
6. “Ragionar d’amore”
Dalle origini al Trecento
Sguardo sulla storia: il Medioevo
Un lunghissimo periodo storico Con il termine Medioevo si intende un periodo storico di oltre mille anni, che si apre con la caduta dell’Impero romano d’Occidente (476 d.C.), che pone fine all’epoca antica, e si conclude con la “scoperta” dell’America (1492), che inaugura l’era moderna.
Il Medioevo si divide in due grandi fasi storiche: Alto Medioevo (V-X secolo) e Basso Medioevo (XI-XIV secolo). È in questo secondo periodo che nascono le letterature europee, compresa quella italiana.
Il passaggio dal mondo antico a quello medievale Il passaggio dal mondo antico a quello medievale è un processo molto lento, durante il quale alcuni aspetti della civiltà romana scompaiono, primo fra tutti lo stesso Impero che con le sue istituzioni manteneva unito e amministrava un territorio vastissimo. Al potere imperiale nell’Europa occidentale si sostituiscono nuove realtà politiche: i Regni romano-barbarici, territori corrispondenti grosso modo alle ex province romane e sottomessi al dominio dei diversi popoli germanici, i “barbari” che fin dal III secolo avevano tentato ripetutamente di oltrepassare i confini imperiali.
Dai rapporti che si vengono a creare tra i Latini e le popolazioni germaniche derivano forme e gradi diversi di integrazione; laddove questa si realizza con successo, si pongono le premesse per la costruzione di strutture statali solide e durature, in particolare nel Regno dei Franchi in Gallia, dei Visigoti nella Penisola iberica, degli Angli e dei Sassoni in Britannia. In Italia si afferma il dominio ostrogoto, ma nel VI secolo viene cancellato dall’invasione dei Bizantini e poi dei Longobardi.
l’Occidente il processo di decadenza iniziato almeno due secoli prima e che, insieme alle invasioni barbariche, aveva portato al crollo dell’Impero romano. Le frequenti epidemie e la dilagante povertà determinano una grave crisi demografica. Inoltre, a causa dell’instabilità politica, nessuno cura più la manutenzione di strade, ponti e canali, le vie di comunicazione sono seriamente insicure, gli scambi commerciali decadono rapidamente. Le città si spopolano, si spegne ogni forma di vita sociale e culturale, la campagna prende il sopravvento. L’economia, esclusivamente agricola, si riduce a forme di sussistenza.
Il ruolo primario della Chiesa Nei primi secoli del Medioevo, i rappresentanti della Chiesa svolgono un ruolo determinante. I vescovi, e in particolare il papa di Roma, rivestono la funzione di guida in campo sia spirituale sia civile, rivelandosi di fatto i più autorevoli rappresentanti delle popolazioni latine nel rapporto con i Germani e operando a favore di una pacifica convivenza. Nei centri urbani, totalmente abbandonati a se stessi, essi si fanno carico dell’assistenza dei bisognosi, si occupano di amministrare la giustizia e in molti casi si assumono anche la responsabilità della difesa militare dagli attacchi esterni. Alle abbazie e ai monasteri, che iniziano a svilupparsi nel VI secolo, sull’esempio di san Benedetto da Norcia, ricorrono in cerca di aiuto le popolazioni indifese delle campagne. Nei monasteri si conserva ciò che resta del patrimonio librario dell’antichità che i monaci copiano a mano su codici. La Chiesa dunque svolge anche un ruolo di mediazione tra la cultura classica, la cultura giudaico-cristiana e quella dei nuovi popoli che si sono insediati in Europa.
1122
1158-1183
La società feudale Tra l’VIII e il IX secolo il re dei Franchi Carlo Magno (742-814) crea il Sacro romano impero, con lo scopo di ricostruire l’unità e la grandezza dell’Impero romano, proponendosi come difensore della cristianità di fronte all’espansione degli Arabi e alle popolazioni ancora pagane. Riunisce Francia, Germania, Italia, che verso la metà del IX secolo tornano però a separarsi; nel corso del tempo la parte germanica sarà sede dell’Impero.
Ai guerrieri che lo sostengono Carlo Magno concede dei territori (feudi) in cambio della loro fedeltà, ma nel tempo i feudatari diventano sempre più autonomi dall’imperatore: i feudi maggiori diventano ereditari e assomigliano sempre più a regni, con vere e proprie corti, ottenendo il diritto di amministrare in proprio la giustizia, riscuotere imposte, armare un proprio esercito. In seguito, questi diritti sono concessi anche ai feudatari minori.
La società feudale, che in alcune zone perdura ben oltre l’anno Mille, prevede al suo interno una struttura statica e rigidamente gerarchica.
Rinascita economica e trasformazioni sociali Intorno al Mille in Italia e nel resto dell’Europa un profondo cambiamento investe innanzitutto l’agricoltura: l’impiego di nuove tecniche permette di coltivare anche terreni meno fertili e aumentare la produzione agricola. Dopo secoli di crisi demografica, la popolazione torna a crescere, nelle città riprendono le attività produttive, gli scambi commerciali, l’uso della moneta. Mentre il potere dell’aristocrazia feudale inizia a indebolirsi, la borghesia mercantile diventa il motore della rinascita economica.
Una realtà specificamente italiana In Italia il processo di trasformazione economica e sociale è particolarmente evidente nel Centro e nel Nord, dove fiorisce la civiltà comunale; invece nell’Italia meridionale si affermano strutture socio-economiche feudali. I Comuni si reggono su ordinamenti e organismi di tipo repubblicano e ricercano l’autonomia dal governo imperiale, che alla fine, dopo aspre lotte, è costretto ad accettarla.
La crisi della Chiesa Mentre in Francia e in Inghilterra si affermano le grandi monarchie nazionali, l’Impero e il papato attraversano una crisi profonda. Tra il 1096 e il 1270 si susseguono varie crociate in Terrasanta, con cui la Chiesa mobilita la cristianità contro i musulmani, ma il ruolo morale-religioso della Chiesa è compromesso agli occhi del popolo cristiano dalla lotta contro l’Impero per affermare la propria supremazia. Alla Chiesa ufficiale si oppongono movimenti che esprimono l’esigenza di un ritorno agli ideali evangelici, come francescani e domenicani e varie sette considerate eretiche. All’inizio del Trecento per la Chiesa inizia un periodo di decadenza: la sede del papato si trasferisce da Roma ad Avignone, in Provenza, dove rimarrà per quasi settant’anni (1309-1377).
La crisi del Trecento La società è caratterizzata da una grave crisi economica. L’ascesa della borghesia mercantile è minata da alcuni fallimenti bancari e dalle guerre che rallentano il traffico commerciale e la produzione di merci. Carestie ed epidemie si susseguono fino alla “peste nera” del 1348, che riduce quasi di un terzo la popolazione europea.
La visione del mondo
Figure, luoghi e centri della produzione culturale
Il nostro percorso
1. I cardini della visione medievale
2. La visione simbolico-religiosa
3. La concezione del tempo e dello spazio
4. I valori e i modelli di comportamento: chierici e cavalieri
5. I valori della società urbana e mercantile
Leggiamo i testi
T1 Anonimo Il Fisiologo
T2 Tommaso da Celano (?) Dies irae
T3 Bonvesin De La Riva L’orgoglio di un cittadino
1. I cardini della visione medievale
Medioevo = “Età intermedia, età di mezzo” Il termine Medioevo significa letteralmente “età intermedia, età di mezzo” ed è stato utilizzato nel XV secolo dagli umanisti che si consideravano eredi della cultura classica e della sua grandezza. Il periodo intermedio, o Medioevo, era per loro solo una specie di intervallo tra la grande età classica e la nuova età umanistica, un periodo “buio”, di decadenza, barbarie e violenza nei rapporti sociali, di irrazionalità, oscurantismo e regressione culturale. In realtà ciò può in parte essere vero per i primi secoli e soltanto per la parte occidentale dell’ex Impero romano, in particolare per l’Italia, sconvolta a più riprese dalle invasioni barbariche e colpita da una gravissima crisi economica, demografica, culturale. Ma è certo errato parlare di “secoli bui” dopo il Mille. In Francia, nei castelli dell’aristocrazia feudale, si sviluppa una civiltà raffinata; in Italia, nell’ambito della dinamica vita dei Comuni, a partire dal XIII secolo, nasce una ricca produzione letteraria che ha il suo epicentro in Toscana. Nel XIV secolo verranno composti tre capolavori della cultura occidentale: La Divina Commedia di Dante, il Canzoniere di Petrarca, il Decameron di Boccaccio.
Il principio gerarchico Nella mentalità dell’Alto Medioevo è radicata la convinzione che ogni uomo occupi una posizione fissa nella scala sociale. Questa visione riflette la struttura feudale della società. Si pensa che l’ordine sociale sia voluto da Dio e sia specchio dell’ordine celeste, a sua
volta strutturato, nell’immaginario medievale, in modo gerarchico; aspirare a cambiare la propria posizione sociale per elevarla è considerato dalla mentalità medievale quasi un peccato. Nella prima metà del secolo XI Adalberone, vescovo di Laon, espone la teoria di una società in cui tutti vivono insieme ma sono gerarchicamente ordinati in tre categorie:
oratores: coloro che pregano - uomini di Chiesa
i tre ordini della società
bellatores: coloro che combattono - soldati
laboratores: coloro che lavorano - contadini
Le due istituzioni “guida” dell’umanità: Impero e Papato Emanazione diretta dell’“ordine” voluto da Dio nell’universo e nel mondo sono i due massimi poteri della società medievale: l’Impero e il Papato, preposti da Dio stesso, con diversi compiti, a governare su tutta l’umanità. Proprio perché considerata di derivazione divina, la loro autorità (per lo meno sul piano teorico) è vista come indiscutibile
Ma data la rilevanza del principio gerarchico, stabilire a quale delle due istituzioni spetti il primato sull’altra sarà motivo di aspre lotte. Il contrasto tra le due istituzioni universalistiche attraversa la storia medievale e si riflette anche nella letteratura: in particolare il tema riveste grande importanza nella Commedia di Dante.
Il rispetto dell’autorità Nella società medievale è radicata l’idea che si debba sempre rispettare l’autorità. In ambito politico-sociale si deve obbedire al
re, all’imperatore, al papa e alla gerarchia ecclesiastica. In ambito culturale e spirituale si venera l’autorità della Bibbia, dei padri della Chiesa, dei grandi autori dell’antichità.
Nuove tendenze nel Basso Medioevo Solo tra il Duecento e il Trecento, all’interno della più generale evoluzione delle strutture sociali, del costume e del pensiero che caratterizza il consolidarsi della civiltà comunale, si fa strada la possibilità della ribellione sociale, della discussione e della contestazione ideologica. Inoltre nei Comuni dell’Italia centro-settentrionale si creano le condizioni per una maggiore mobilità sociale e per l’affermazione della classe borghese: di conseguenza entra definitivamente in crisi l’immagine statica dei tre ordini feudali e si fa strada una visione più articolata e dinamica della società e delle categorie sociali.
2. La visione simbolico-religiosa
La fede cristiana come parametro assoluto di giudizio Nel Medioevo la fede cristiana non è, come per noi oggi, una scelta soggettiva di vita, ma è la visione dominante del mondo. Essa determina il modo di concepire la vita, la storia, il mondo stesso della natura: è insomma una “mentalità”.
Si tratta di una visione chiusa ai valori culturali e religiosi degli “altri”, per nulla disposta a dialogare con chi considera “diverso”. Nel cristianesimo medievale una rigida frontiera divide i cristiani sia dai pagani, sia dagli appartenenti ad altra fede, in particolare quella musulmana: i seguaci di Maometto sono infatti assimilati ai pagani, sono identificati come “infedeli” e considerati i nemici per definizione dei cristiani.
La realtà come universo di simboli Proprio per la forte influenza della fede cristiana sul pensiero medievale, la vita terrena è considerata solo un transitorio passaggio verso la vera vita, quella ultraterrena. La natura stessa è considerata non di per sé, ma in quanto specchio della grandezza e potenza di Dio; da qui l’idea che la realtà vera non sia quella che appare ed è percepita attraverso i sensi, ma quella soprannaturale.
Nella natura si nasconde un universo di simboli che vanno decifrati per scoprirvi un significato religioso e cristiano: secondo la suggestiva definizione di Ugo di San Vittore, la natura è un «libro scritto dal dito di Dio», in cui leggere la presenza divina. Sono in grado di farlo soprattutto i chierici, i rappresentanti della Chiesa.
Parola chiave simbolo/simbolismo
Il termine simbolo deriva dal greco sýmbolon, che indicava un segno di riconoscimento «rappresentato dalle due metà di un oggetto diviso tra due persone» (Le Goff): nella sua prima etimologia il termine rimanda perciò a un’unità che deve ricomporsi. Nel Medioevo realtà sensibile e realtà ultraterrena appaiono così intimamente legate da rappresentare appunto quasi due facce di una stessa medaglia,
o meglio: in ogni fenomeno, evento, figura della realtà umana o naturale, si rispecchia, anche se in modo enigmatico, la dimensione del soprannaturale. Attraverso molteplici segni simbolici la realtà sensibile rimanda sempre a quella soprannaturale e solo dal rapporto con quest’ultima riceve il suo pieno significato, di cui il simbolo è in un certo senso il “tramite”.
mentalità
Modo particolare di concepire, intendere, sentire, giudicare le cose, ritenuto proprio di un individuo, di un gruppo sociale, o addirittura di un intero popolo.
frontiera
Linea o zona di confine, dotata di opportuni sistemi difensivi. In senso figurato, linea che separa nettamente ambienti o concezioni culturali differenti.
Una mentalità pre-scientifica Le pietre, le piante, gli animali non sono quindi visti e studiati secondo un’ottica naturalistica, scientifica, ma sono catalogati attraverso una visione simbolica che ne individua presunte qualità positive o negative. Particolarmente importanti nel Medioevo sono i bestiari, un genere sviluppatosi a partire dal XII secolo, nel quale le qualità di animali sia reali sia leggendari o fantastici vengono considerati simbolo di vizi e virtù. Già nella mitologia classica trovavano posto animali favolosi come l’araba fenice, le sirene o gli unicorni.
Ai bestiari si ispirarono anche le arti figurative: sui portali e sui capitelli delle chiese romaniche e gotiche sono raffigurate figure zoomorfe, spesso fantastiche e mostruose, come draghi, e grifoni, portatori di un significato simbolico e di che intende trasmettere un insegnamento morale.
Il simbolismo dei numeri e dei nomi Nella visione medievale hanno significato simbolico anche i nomi e i numeri: il 3 in particolare (con i suoi multipli) viene associato alla santa Trinità ed è il numero perfetto per definizione. Nella Commedia, vera sintesi del sapere medievale, ricorrono costantemente il 3 e il 10: le parti del poema, composto in terzine, sono tre, ognuna, a parte il proemio, divisa in 33 canti. Ciascuno dei tre regni dell’aldilà è composto da dieci zone, ma più in generale la simbologia numerica ricorre in tutta l’opera. Quanto ai nomi, si credeva che si riferissero a qualità intrinseche delle cose o delle persone; si inventavano etimologie spesso del tutto fantasiose per ricondurre a tutti i costi un nome a un preciso significato: per esempio il termine homo, “uomo”, viene ricondotto a humus, “terra”. Non a caso Dante attribuisce alla donna salvifica della Vita nuova il nome di Beatrice, che significa “colei che rende beati.
Simbolismo nell’arte Il simbolismo interessa anche l’arte: la struttura architettonica della chiesa corrisponde a precisi significati simbolici di carattere religioso; le figure che la ornano sono spesso personificazioni delle virtù o dei vizi e costituiscono una sorta di “libro” per educare i fedeli attraverso l’immagine.
La letteratura medievale a sua volta si serve costantemente dell’allegoria (vedi Parola-chiave, p. 38) per veicolare i suoi contenuti, a cominciare dall’esempio più celebre: il viaggio oltremondano di Dante nella Commedia simboleggia l’itinerario dell’anima verso Dio e l’opera intera del grande poeta fiorentino è densa di immagini allegoriche, come la lince, il leone, la lupa che Dante immagina di incontrare dopo lo smarrimento nella selva oscura e che rappresentano tre gravi peccati: lussuria, superbia, avidità.
Miniatura che raffigura Dio come architetto dell’universo (sec.XIII).
allegoria
Dal greco allon “altro” + agoreuo “parlo, dico”, quindi significa un discorso, un’immagine o un’espressione che ha un significato diverso da quello letterale, che allude a un’altra verità.
3. La concezione del tempo e dello spazio
Il tempo della Chiesa Nella concezione medievale il corso della storia è tutto già scritto nella mente di Dio, per cui i singoli eventi sono come tasselli collegati tra di loro attraverso un disegno provvidenziale Rispetto all’antichità, nell’Alto Medioevo la misurazione del tempo viene “cristianizzata”: le scansioni temporali corrispondono ai momenti fondamentali della preghiera: le laudi (le 15), i vespri (le 18), la compieta (le 21 circa). L’inizio dell’anno è fatto coincidere con la redenzione cristiana (inizialmente la Pasqua, in un secondo tempo, la Natività e in seguito il primo gennaio, la circoncisione di Gesù). Per secoli è esclusivamente la Chiesa a controllare e gestire la scansione del tempo: le ore del giorno sono infatti segnate dalle campane della chiesa.
Il tempo dei mercanti Nel corso del XIII secolo, con la ripresa della vita cittadina e dei traffici commerciali, i mercanti non vivono più nel tempo lento dell’agricoltura e della Chiesa: le molteplici attività della società urbana rendono necessaria la misurazione precisa. Già alla fine del XIII secolo appaiono così i primi orologi meccanici capaci di misurare l’ora in modo moderno, facendone come la 24ma parte della giornata (come oggi). Inoltre sono le torri comunali e non più le campane della chiesa a scandire la partizione del tempo, ormai un tempo “laico”, potenzialmente alternativo a quello della Chiesa. Una geografia favolosa cristianocentrica Sulle carte medievali figurano anche luoghi del tutto immaginari , come la favolosa Isola dei beati, che sarebbe stata raggiunta dal mo naco irlandese san Brandano. Ancora nel Cinquecento, quando le scoperte geografiche svelano sempre più la reale fi sionomia della Terra, figura sulle carte “il paese del prete Gianni”, un personaggio leggendario che regnava su una regione favolosa, un vero e proprio paese delle meraviglie, collocato nelle lontane Indie. Insieme all’Asia e all’Oriente, le Indie sono i luoghi prediletti dalla geografia fantastica medievale: qui si crede che vivano mostri e creature strane. Fin verso la fine dell’età medievale, cioè fino al XV secolo, le conoscenze geografiche sono scarsissime e l’immagine del mon do conosciuto è alquanto approssimativa. Le carte geografiche medievali non rappresen tano realisticamente dei luoghi ma sono piuttosto delle figurazioni simbolico-religiose: ad esempio in tutte le mappe Gerusalemme, la città santa, è collocata al centro del mondo sulla base di un passo della Bibbia in cui si dice che Dio ha posto Gerusalemme «in mezzo alle nazioni». La visione dominante si potrebbe quindi definire cristianocentrica, perché è fondata sull’esaltazione della cristianità rispetto al resto del mondo.
Mappa del mondo del XIII secolo (particolare): Gerusalemme è al centro, circolare e perfetta.
L’immagine dell’universo Nel Medioevo (e fino al Cinquecento) la visione dell’universo era fondata sul modello aristotelico-tolemaico, frutto del pensiero del filosofo greco Aristotele (384-322 a.C.), poi completato dall’astronomo Tolomeo. Secondo tale concezione (geocentrica) la Terra sta immobile, al centro dell’universo e attorno a essa ruotano, con movimento perfettamente circolare e uniforme, le sfere celesti e i pianeti, tra cui la luna e il sole. Mentre il mondo sublunare è caratterizzato dall’imperfezione e dalla corruttibilità, il mondo celeste è perfetto e incorruttibile. La Scolastica, ovvero la cultura medievale insegnata nelle università, soprattutto attraverso il pensiero di Tommaso d’Aquino e Alberto Magno, arricchisce tale concezione, integrandola nella più generale visione religiosa del mondo: l’universo è, come la società, è un organismo gerarchicamente ordinato dalla provvidenza, in cui il movimento delle sfere celesti è armonicamente ordinato da Dio, attraverso le intelligenze angeliche che presiedono ai vari cieli. È la concezione presente anche nella Divina Commedia
SCHEDA per approfondire
Il monastero
Il monastero è uno dei luoghi simbolo della civiltà dell’Alto Medioevo. Soprattutto dal VI al IX secolo i monasteri conoscono una diffusione capillare ed esercitano un ruolo fondamentale nella cultura europea.
La struttura-tipo del monastero Il monastero, il luogo dove i monaci risiedevano stabilmente, sorgeva per lo più in luoghi isolati e spesso arroccati. Il centro del monastero era il chiostro, attorno al quale si trovavano i luoghi deputati alla vita e alla spiritualità monastica: la chiesa, la sala di riunione, il refettorio, lo scriptorium e il dormitorio. Non mancavano poi locali destinati a ospitare i pellegrini e chiunque avesse bisogno di rifugio in caso di necessità (in tempi di guerre e di carestie era un centro di accoglienza soprattutto per i più poveri e indifesi).
I maggiori monasteri erano realtà perfettamente autosufficienti: da qui la presenza di stalle, porcili, pollai, mulini, forni e frantoi. C’erano inoltre officine e laboratori, dove grazie ai monaci si mantennero vive le tecniche artigianali dell’antichità.
Lo scriptorium Lo scriptorium era un locale abbastanza ampio dove si svolgeva il lavoro collettivo della trascrizione dei codici da parte dei monaci. Attraverso l’iconografia del tempo possiamo ricostruire l’attività del monaco e immaginarlo mentre scrive su un leggìo inclinato di legno.
Gli “strumenti del mestiere” basilari dell’amanuense (chi trascriveva a mano i testi antichi) erano una penna d’oca, un raschietto per cancellare, inchiostri di diversi colori, un coltello per temperare.
Un monaco amanuense scrive su un rotolo. Davanti a lui, sull’armadietto, gli strumenti del copista.
4. I valori e i modelli di comportamento: chierici e cavalieri
Il modello clericale La mentalità medievale è condizionata per secoli dalla visione della Chiesa che gestisce la cultura e ha un ruolo chiave nella società. L’influenza del soprannaturale nelle cose del mondo comporta la svalutazione o addirittura il disprezzo per la dimensione terrena. Nel trattato De contemptu mundi, uno dei testi che ebbero maggiore fortuna nel Medioevo, Lotario da Segni, il futuro papa Innocenzo III (1198-1216), descrive l’uomo come una creatura misera e spregevole, destinata inesorabilmente al peccato. L’uomo medievale ha il terrore del giudizio implacabile di Dio. Nel celebre inno Dies irae (T2) l’autore (sicuramente un chierico) rappresenta con evidenza drammatica il giorno del giudizio universale, il “giorno dell’ira” di un Dio immaginato come terribile giustiziere. Per conquistare la salvezza nella vita eterna erano diffusi riti penitenziali collettivi, come i pellegrinaggi, che conducevano masse di fedeli a Roma, a Gerusalemme (in “Terrasanta”) o a Santiago di Compostela, nella speranza di cancellare i propri peccati.
Il disprezzo del corpo e la repressione della sessualità La civiltà greco-latina aveva valorizzato il corpo, nella scultura ne aveva rappresentato l’armoniosa bellezza e aveva esaltato il piacere dei sensi.
Nell’Alto Medioevo invece subentra la condanna della sessualità (persino nell’ambito del matrimonio) e la svalutazione del corpo, «abominevole veste dell’anima», secondo la definizione di papa Gregorio Magno (540-604 ca). La rigida contrapposizione fra corpo e spirito, unita alla identificazione tra sessualità e lussuria (uno dei peccati capitali condannati dalla Chiesa), porta alla misoginia, ovvero al disprezzo per la donna, che caratterizza la cultura dei chierici nell’Alto Medioevo, e che rimane a lungo radicata nella mentalità e nel costume.
Il modello cavalleresco-cortese Anche la classe feudale dei cavalieri elabora una propria concezione del mondo e propri modelli di comportamento, che in parte rimangono autonomi, in parte si sovrappongono a quelli della cultura clericale, in parte coesistono con essi. Modelli che non solo influenzarono profondamente la società e la cultura medievale, ma arrivarono a estendere l’influenza ben oltre tale età, almeno fino al Rinascimento.
Le virtù basilari del cavaliere Essendo legato all’esercizio delle armi, tale modello prevede inizialmente soprattutto l’esaltazione della forza fisica e del coraggio, qualità assolutamente necessarie a chi deve combattere. Al contempo, riflettendo i rapporti feudali, il modello cavalleresco implica l’esaltazione della lealtà e il culto dell’onore. Al di là di ogni trasformazione storico-politico-sociale, questi valori rimarranno una costante del comportamento cavalleresco.
Il cavaliere cristiano Tra il X e l’XI secolo, durante la cosiddetta “anarchia feudale”, la Chiesa cerca di contrastare la violenza dei cavalieri dirottandola verso nobili obiettivi (come quello di aiutare i più deboli), ma soprattutto impegnandoli a difendere la causa della fede cristiana contro gli infedeli:
una trasformazione questa, strettamente collegata alla controffensiva cristiana nei confronti dell’islam. Il prototipo del cavaliere al servizio della fede cristiana è Roland (Orlando), protagonista della Chanson de Roland (vedi p. 43).
Il cavaliere cortese e i valori della liberalità e della cortesia
Con la diffusione nei castelli feudali di modi di vita più lussuosi e raffinati, si verifica un’ulteriore trasformazione dei modelli di comportamento collegati alla figura del cavaliere: all’immagine del cavaliere perfetto si associa il possesso della “gentilezza”, della “cortesia”, un insieme di valori grazie ai quali il cavaliere testimonia la sua superiorità rispetto agli altri esseri umani. Anche la “liberalità” si associa al modello comportamentale del cavaliere: un ideale che spinge a donare generosamente a chi ha bisogno, ma che comporta anche la tendenza allo sperpero, alla dissipazione.
Parola chiave cortesia
Tra il XII e il XIII secolo in Francia viene elaborato l’ideale della “cortesia” che influenza la letteratura del tempo (poesia trobadorica e romanzo cavalleresco): un insieme di valori etico-intellettuali e di modelli di comportamento ispirati alla raffinatezza, alla gentilezza dei costumi, alla liberalità e al culto idealizzante della donna.
La “villania” Alla “cortesia” si contrappone la “villanìa”, che denota la bassezza morale , la grettezza, ma anche la rozzezza . È significativo che le qualità negative per eccellenza prendano nome dal “villano”, cioè il contadino: nella società medievale rimane costante nei secoli il disprezzo per la
SCHEDA per approfondire
Il castello
L’epicentro del feudo Il castello, epicentro del feudo, è lo spazio sociale e culturale che caratterizza in particolare i secoli IX-XII. È la dimora, situata nelle campagne, di un grande feudatario e della sua corte, nella quale vive un’aristocrazia di cavalieri che ricava dalla proprietà terriera i mezzi economici per potersi dedicare esclusivamente all’attività militare. I castelli sono sempre circondati da mura con alte torri, dalla cui sommità può essere costantemente controllato a vista il territorio circostante.
Le corti feudali di Francia A partire dall’XI secolo, i centri più importanti per la produzione letteraria sono le corti feudali di Francia: in esse i singoli feudatari gareggiano non più soltanto nell’esercizio della forza fisica e delle armi, ma anche nelle scelte di una vita elegante e raffinata. La superiorità di un signore e della sua corte si manifesta visibilmente nei sontuosi arredi del castello, nella magnificenza con cui sono organizzate le feste e i tornei cavallereschi.
Il centro della vita del castello è il grande salone con le pareti coperte da arazzi preziosi, dove hanno luogo innanzitutto i banchetti, ma dove si tengono anche le performances di giocolieri e giullari, e vengono recitate composizioni letterarie di vario genere: dalle poesie amorose dei trovatori, accompagnate dalla musica, ai romanzi cavallereschi letti di fronte al pubblico ristretto della corte.
Le donne: una presenza fondamentale nel castello Nel castello è preminente il ruolo della donna: spesso dotate di buona cultura, le dame del castello sono il vero centro
della vita della corte, dato che le spedizioni militari tenevano assai spesso il signore lontano dal castello. Nelle corti feudali di Francia è proprio la forte presenza femminile che stimola e ispira una produzione lirica e narrativa incentrata sul tema dell’amore cortese
In parte diverso da quello qui tratteggiato sarà il modello della corte signorile che si sviluppa in Italia già ai primi del Trecento, poiché nasce all’interno della società urbana e come evoluzione delle strutture comunali.
categoria sociale dei contadini, che alimenta una specifica tipologia testuale, la “satira del villano”, nella quale vengono crudelmente ridicolizzate la povertà e l’ignoranza dei contadini.
Il mito dell’amore cortese Fondamentale componente del modello cortese-cavalleresco è inoltre l’esaltazione dell’amore. Mentre la cultura clericale è fondata sul disprezzo del corpo, sulla misoginia, sull’ossessione del peccato, l’ideale cortese fa dell’amore addirittura il centro dell’esistenza e la sintesi di un processo di affinamento, di elevazione. Si tratta di una concezione del tutto nuova, che alimenta una ricca produzione letteraria, romanzesca e lirica. Un ruolo fondamentale nella codificazione dell’amore cortese, è occupato da trattato De amore, scritto sulla fine del XII secolo da Andrea Cappellano (vedi SCHEDA per approfondire, p. 86), un misterioso personaggio che visse presso varie corti in Francia e nell’Inghilterra normanna. Il De amore fissa le regole di comportamento in campo amoroso e teorizza una concezione dell’amore laica e svincolata dai principi religiosi, dove la donna è vista come un essere irraggiungibile nella sua perfezione.
5. I valori della società urbana e mercantile
L’emergere della figura del mercante Nel Basso Medioevo la figura sociale emergente è quella del mercante: il XIII e XIV secolo vedono un forte incremento dell’attività commerciale e, soprattutto nell’Italia settentrionale e nei Comuni della Toscana, i più grandi mercanti arrivano a detenere il potere politico, gareggiando con le antiche famiglie nobiliari in uno stile di vita sfarzoso.
Una mentalità alternativa La mentalità, i valori, i modelli di comportamento della borghesia mercantile si contrappongono sia alla rigida visione clericale sia a quella aristocratico-cavalleresca. La visione della Chiesa tende infatti a svalutare l’intraprendenza, a condannare il progresso economico e a giudicare come peccato ogni attività che produca guadagno. L’etica cavalleresca, dal canto suo, considera un segno distintivo della nobiltà spendere
SCHEDA per approfondire
La città
La città, luogo dell’apertura e degli scambi Dopo il Mille la città torna a ridiventare centro della vita sociale, economica e culturale. Questo processo non comporta automaticamente la scomparsa del mondo del monastero e della civiltà feudale; per lo più intorno alla città continuano a esistere un paesaggio e un mondo ancora feudali, con castelli e monasteri. La città si differenzia dal castello e dal monastero, nei quali domina un unico modello culturale “forte”, perché è una realtà dinamica e tendenzialmente aperta. Grazie ai traffici mercantili, è presente nella città la dimensione dello scambio culturale, il confronto con altre mentalità, costumi, conoscenze.
oltre misura un patrimonio ereditato dagli avi. L’etica del mercante è fondata invece proprio sulla saggia amministrazione dei capitali e sul loro incremento: è un’“etica dell’accumulazione”, che esalta chi con le sue sole forze sa costruirsi e mantenere un patrimonio. D’altra parte la classe mercantile è affascinata dagli ideali cavallereschi e aspira anch’essa a nobilitarsi: i valori della “cortesia” e della “gentilezza” vengono così assimilati anche dal mondo borghese-mercantile.
Gli intellettuali nella società comunale Nella vivace realtà dei Comuni italiani gli intellettuali provengono non più soltanto dalla Chiesa, ma anche dalla nobiltà, e soprattutto dal mondo delle professioni: sono giudici, notai, maestri di retorica, impegnati nella vita politica, come Brunetto Latini, il “maestro” di Dante. Non mancano i mercanti, come Giovanni Villani (12801348), autore di una cronaca (Nuova cronica) di Firenze, che ne testimonia lo straordinario sviluppo, e anche la complessa dinamica della lotta tra le fazioni. Verso la condizione cortigiana Verso la fine del Trecento il modello politico comunale entra in crisi e iniziano ad affermarsi le signorie, in cui il governo della città è affidato a un unico prestigioso personaggio o alla famiglia più potente. Anche la fisionomia dell’intellettuale di conseguenza tende a trasformarsi: in varie zone d’Italia comincia a delinearsi quella figura di intellettuale “cortigiano” che dominerà per quasi tutta l’età moderna e di cui è un primo esempio Francesco Petrarca. Un intellettuale che, vivendo alle dipendenze di un signore, può dedicarsi esclusivamente all’attività letteraria, che tende a diventare così una vera e propria professione.
Modelli e valori sociali
modello clericale
• condanna la ricerca di guadagno
• svaluta l’intraprendenza
modello cortese-cavalleresco
• è prodigo nello spendere
• ha fra i suoi valori “gentilezza” e “cortesia”
Il cuore della città comunale è la piazza, su cui si affacciano gli edifici in cui si gestisce la politica e dove si svolge il mercato, simbolo della vita aperta della città; vi si contrattano e scambiano merci ogni giorno, vi si svolgono periodicamente fiere, a cui partecipano mercanti di altre città; dal mercato si diramano le vie con le botteghe artigiane.
Ritratti della città medievale Della variegata realtà economica e sociale della città in Italia ci forniscono un ritratto in un’ottica elogiativa Bonvesin de la Riva (T3), che tesse le lodi di Milano, e Giovanni Villani, fiorentino (1280-1348), che esalta lo sviluppo di Firenze in ogni campo. Al contrario Dante in più passi della Commedia si mostra polemico verso la società fiorentina del suo tempo ed evoca nostalgicamente l’immagine della Firenze dei tempi passati, in cui la brama della ricchezza non aveva ancora offuscato i valori morali e religiosi.
modello urbano-mercantile
• amministra con oculatezza e ha spirito di intraprendenza
Anonimo Il Fisiologo
Il tema
Il testo è tratto dal Fisiologo, un’opera composta in greco probabilmente tra il II e il III secolo, che descrive le qualità di animali (in questo caso l’elefante) soprattutto, ma anche piante e pietre, dandone un’interpretazione simbolica di tipo morale-religioso. Da quest’opera, tradotta in latino (e in diverse altre lingue come l’arabo), derivarono essenzialmente i “bestiari” medievali, testi in cui si associavano simbolicamente vari animali e piante favolosi, con virtù e vizi.
Esiste nei monti un animale detto elefante. In questo animale non c’è brama di congiungimento carnale: quando vuol generare dei figli, si reca in Oriente, vicino al paradiso. Ivi si trova un albero detto mandragora1: vi vanno dunque la femmina e il maschio, e la femmina coglie per prima il frutto dell’albero, e ne porge anche al maschio e lo alletta2, finché anche questi ne prenda, e dopo aver mangiato, il maschio si avvicina alla femmina e si congiunge con essa, ed essa subito concepisce nel ventre. Quando giunge l’epoca in cui deve partorire, se ne va in uno stagno d’acqua e vi entra finché l’acqua non le giunga fino alle mammelle, e poi in tal modo partorisce il suo figlio sull’acqua, e quest’ultimo sale sulle sue ginocchia e le succhia il seno. Mentre partorisce, l’elefante la protegge dal serpente, poiché il serpente è nemico dell’elefante, e quando l’elefante lo trova, lo calpesta e lo uccide.
L’elefante e la sua femmina sono dunque immagini di Adamo ed Eva: quando erano nelle delizie del paradiso prima della trasgressione, non conoscevano l’unione carnale e non pensavano all’accoppiamento. Ma quando la donna ha mangiato il frutto dell’albero, cioè della spirituale mandragora, e ne ha dato anche all’uomo, allora Adamo ha conosciuto la donna, e ha generato Caino sopra le acque malefiche, come ha detto Davide: «Salvami, o Dio, perché le acque sono penetrate fino all’anima mia»3 .
(Il Fisiologo, a c. di F. Zambon, Adelphi, Milano 1982)
siache; si credeva inoltre che aiutasse a generare dei figli. Tale convinzione derivava dall’aspetto della radice, che sembra riprodurre la forma umana.
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Terzine di ottonari rimati (la rima può essere sostituita da assonanza).
Attribuito a Tommaso da Celano
Dies irae
Il tema
Il testo, attribuito con non pochi dubbi a Tommaso da Celano, biografo di Francesco d’Assisi, è divenuto celebre perché inserito a lungo nei riti funebri cristiani. Nella prima parte, qui riprodotta, è evocato, con toni fortemente drammatici, il giorno terribile in cui Dio assumerà il ruolo di giudice implacabile dell’umanità. Nella seconda parte (a partire dal v. 19, non antologizzata) emerge la voce supplice di un uomo, simbolo dell’intera umanità, che chiede a Dio misericordia. Domina tutto il testo una visione cupamente pessimistica, che istituisce un’abissale distanza tra l’uomo, rappresentato nella sua piccolezza e miseria, e un Dio concepito come tremendo giustiziere.
Dies irae, dies illa solvet saeculum in favilla, teste David cum Sibylla.
Quantus tremor est futurus, 5 quando iudex est venturus, cuncta stricte discussurus!
Tuba, mirum spargens sonum per sepulcra regionum coget omnes ante thronum.
10 Mors stupebit et natura, cum resurget creatura, iudicanti responsura.
Liber scriptus proferetur, in quo totum continetur, 15 unde mundus iudicetur.
Iudex ergo cum sedebit, quidquid latet apparebit, nil inultum remanebit.
1. Giorno d’ira, quel giorno: il primo verso richiama un passo di un profeta biblico, Sofonia (1, 15), in cui si annuncia il giorno del giudizio («Giorno d’ira quel giorno, giorno di angoscia e di afflizione»).
2. Davide e la Sibilla: il re David, autore dei Salmi e in particolare del De profundis, legato al suffragio dei defunti, rappresenta la tradizione biblica; la Sibilla è una profetessa pagana, ma nel Medioevo le si attribuivano anche profezie cristiane, come il preannuncio della venuta di Cristo e della fine del mondo. Secondo l’autore dell’inno, le
Traduzione
Giorno d’ira, quel giorno1; dissolverà il secolo in faville, lo attestan Davide e la Sibilla2
Quanto grande sarà il terrore allorché verrà il Giudice a discutere ogni cosa duramente!
Una tromba, spargendo un suono meraviglioso tra i sepolcri delle nazioni, sospingerà tutti innanzi al trono.3
Sbigottiranno la Morte e la Natura quando risorgerà la creatura4 per rispondere a Chi giudica.
Un libro scritto sarà portato innanzi, dove tutto si trova segnato, di che5 il mondo deve essere giudicato.
Allorché dunque il giudice si sarà assiso,6 tutto ciò che è nascosto verrà all’aperto, non resterà nulla d’impunito7 .
due tradizioni profetiche concordano nell’annunciare l’irrevocabilità della fine del mondo, che si dissolverà tra le fiamme.
3. innanzi al trono: davanti a Dio in trono.
4. Risegna la creatura: risorgeranno i morti.
5. Di che: dipende da tutto al v. precedente (= “tutto ciò per cui…”).
6. assiso: seduto,
7. Quanto grande… nulla d’impunito: le immagini dei vv. 4-18 evocano in modo drammatico il testo dell’Apocalisse (20, 11-13) dove è così descritto
l’ultimo giudizio: «Vidi poi un grande trono bianco e Colui che sedeva su di esso. Dalla sua presenza erano scomparsi la terra e il cielo senza lasciar traccia di sé. Poi vidi i morti, grandi e piccoli, ritti davanti al trono. Furono aperti libri e fu aperto anche un altro libro, quello della vita. I morti vennero giudicati in base a ciò che era scritto in quei libri, ciascuno secondo le sue opere. Il mare restituì i morti che esso custodiva e la morte e gli inferi resero i morti da loro custoditi e ciascuno venne giudicato secondo le sue opere ».
Bonvesin da la Riva
L’orgoglio di un cittadino
Il tema
Bonvesin da la Riva (ca 1240-1315), insegnante, autore di opere didattiche (in latino e in volgare su svariati argomenti), dedica alla città natale (la Riva è presumibilmente quella di Porta Ticinese, a Milano) un trattato in latino, nel quale introduce informazioni dettagliate sullo sviluppo economico e demografico della città lombarda, sulle sue vivaci attività commerciali e sulle categorie sociali presenti in essa verso la fine del Duecento (il trattato è del 1288). Ispira le parole di Bonvesin l’evidente orgoglio di un cittadino milanese per la grandezza e lo splendore della sua città e per l’operosità dei suoi concittadini.
Entro la città1, quattro volte all’anno, si tengono mercati generali, e cioè: il giorno della ordinazione del beato Ambrogio2; la festa del beato Lorenzo; l’Assunzione della beata Madre di Dio e la festa del beato Bartolomeo. A tutti questi mercati mirabilmente affluiscono, in numero quasi incalcolabile, venditori e compratori delle varie merci. Inoltre, in due giorni di ciascuna settimana, cioè il venerdì e il sabato, in diverse parti della città si tiene un mercato comune. Anzi, ciò che conta di più, anche ogni giorno quasi tutti i beni necessari agli uomini vengono esposti in abbondanza non solo in luoghi determinati, ma nelle piazze, e messi in vendita con gridi di richiamo. Anche nei borghi e nelle ville del nostro contado3 si tengono molte fiere, che si ripetono tutti gli anni in giorni fissi. In molte di tali località si tengono fiere settimanali, e a tutte concorrono in gran numero mercanti e compratori. Da quanto s’è detto sopra risulta evidente che nella nostra città chi ha sufficiente denaro vive ottimamente, sapendo di avere a portata di mano tutto quanto può dare piacere all’uomo.
Risulta anche altrettanto evidente che qui, a meno che non sia una nullità, qualsiasi uomo, purché sia sano, può ottenere guadagni e dignità secondo il proprio stato. E a questo punto si noti che qui, come abbondano i beni temporali, così prospera feconda anche la popolazione. Vedendo infatti nei giorni di festa folle di uomini dignitosi, sia nobili sia popolani, che si divagano4; e anche i crocchi5 chiassosi di fanciulli che corrono senza posa di qua e di là, e i gruppi dignitosi e le dignitose schiere di matrone6 e di vergini, le quali, con una dignità che si direbbe di figlie di re, vanno e vengono oppure stanno sulle porte delle case: chi potrebbe dire di avere trovato mai, al di qua o al di là del mare, uno spettacolo di folla così meraviglioso?
(Bonvesin da la Riva, Le meraviglie di Milano [De magnalibus Mediolani], trad. di G. Pontiggia, Bompiani, Milano 1974)
3. contado: i dintorni della città.
COMPRENDERE E ANALIZZARE
Attività T1
1. Quali sono le informazioni più fantasiose fornite nel testo sull’elefante? Sottolineale sul testo.
2. La vicenda della coppia di elefanti corrisponde a quella di Adamo ed Eva, salvo che per un particolare. Individualo.
a. L’albero e il frutto colto dalla femmina.
b. Il rapporto con il serpente.
c. La nascita del figlio.
3. Osserva l’immagine e scrivi una breve didascalia facendo riferimento al testo letto.
Attività T2
4. Qual è il tema principale dell’inno?
a. La resurrezione dei morti.
b. La lode di dio.
a. Il giudizio universale.
d. Una rappresentazione dell’inferno.
5. Completa correttamente la seguente frase: Davide e la Sibilla sono due figure che fanno riferimento a diverse componenti culturali e religiose: il primo è autore di un libro della ; la seconda è una della tradizione
6. Nel testo prevale l’immagine di Dio=giudice o Dio=padre? Motiva la tua risposta.
Attività T3
7. Qual è il significato nel contesto delle seguenti espressioni (righe 15-16)?
1. abbondano i beni
a. Ci sono merci in abbondanza per tutti.
b. Le merci sono in sovrabbondanza, avanzano.
c. Le merci vengono lasciate in abbandono.
2. beni temporali
a. Beni materiali. b. Beni che variano secondo le stagioni. c. Beni deperibili.
3. prospera feconda
a. Vive bene, con agio. b. Si accresce. c. Si assommano i due significati.
8. Nella descrizione di Milano, Bonvesin da la Riva nota come tutta la società milanese partecipi di questo benessere. Sottolinea le parti del testo che lo confermano.
9. In quali aspetti si manifesta l’importanza della religione per la società medioevale?
VERIFICARE LE CONOSCENZE
Verifica a risposta chiusa
10. Il simbolismo in età medievale:
a. riguarda lo stretto rapporto fra realtà sensibile e realtà ultraterrena.
b. identifica la realtà sensibile soltanto con ciò che può essere percepito dai sensi.
c. non distingue tra reale e fantastico.
d. non risente dell’influenza della fede cristiana, bensì è frutto di un’interpretazione laica.
Modelli del sapere 2
Il nostro percorso
1. Il confronto tra cultura cristiana e cultura pagana
2. Culto della tradizione ed enciclopedismo
3. L’istruzione nel Medioevo
4. Libri, lettori, lettura
Leggiamo i testi
T1 Sant’Agostino I cristiani devono appropriarsi del sapere ingiustamente posseduto dai pagani
1. Il confronto tra cultura cristiana e cultura pagana
La cultura cristiana di fronte a quella pagana Agli albori della civiltà medievale la cultura cristiana dovette confrontarsi con la cultura pagana e il rapporto che ne derivò fu inizialmente difficile. I primi intellettuali cristiani erano consapevoli del grande valore del patrimonio culturale ereditato dalla civiltà antica; d’altra parte gli autori antichi erano pagani e in quanto tali avrebbero dovuto essere rifiutati.
La posizione di Agostino Agostino (354-430), grande filosofo (Confessioni, opera autobiografica di riflessioni sulla propria interiorità, sul tempo e la memoria) e teologo (De civitate Dei, sulla concezione cristiana e provvidenzialistica della storia), riconosce la radicale diversità della cultura pagana rispetto a quella cristiana, ma considera utile e doveroso appropriarsi di alcuni valori e del sapere retorico ereditato dai grandi autori dell’antichità, purché vengano riportati al loro vero significato, che è sempre comunque conforme alle verità cristiane (anche se i pagani non ne erano consapevoli, vedi T1).
La cultura pagana inglobata nell’universo etico-culturale cristiano Il Medioevo seguirà proprio la strada indicata da Agostino, integrando nella cultura e nella visione cristiano-medievale i testi dell’antichità sganciati però dal loro contesto originario.
Al testo antico viene spesso sovrapposta l’interpretazione allegorico-cristiana: la lettera del testo viene considerata quasi come una veste che nasconde verità e valori che vanno portati alla luce attraverso una lettura di secondo
grado, più profonda – la lettura allegorica appunto – che attribuisce al testo ciò che è considerato il suo vero significato, che è morale-religioso.
Inoltre, si verifica la tendenza a estrapolare dai testi antichi singole citazioni, passi scelti, che vengono poi liberamente assemblati e utilizzati dagli scrittori cristiani, prescindendo del tutto dal contesto originario.
2. Culto della tradizione ed enciclopedismo
Un’ottica tradizionalista, contraria al progresso intellettuale Anche in ambito culturale, come in quello sociale, domina nel Medioevo un rigido ossequio alle gerarchie e alle autorità, a cominciare naturalmente dalla venerazione dovuta al libro per eccellenza, cioè la Bibbia. Il Medioevo eredita dalla civiltà latina il concetto e il termine di auctoritas (da cui autorità) e vi associa quello di auctores, come vengono chiamati i principali scrittori cristiani (detti anche “padri della Chiesa”), che hanno interpretato, “autorevolmente”, le Sacre Scritture. Il Medioevo inserisce presto tra gli autori anche le figure della cultura antica considerate più importanti in ambito poetico-retorico e filosofico-morale: Orazio, Ovidio, Lucano, Cicerone e Seneca.
Il “mito” di Virgilio e l’interpretazione allegorica dei testi virgiliani Tra gli autori più venerati dell’antichità spicca il poeta latino Virgilio . Già nel V secolo d.C. comincia a diffondersi un’interpretazione allegorica di alcuni suoi testi: grazie a tale interpretazione (che ne forza di fatto il reale significato sovrapponendovi la visione cristiana), i testi di Virgilio sono integrati nella
cultura cristiana, diventando fonti di insegnamenti morali e religiosi. L’Eneide è interpretata come allegoria della vita umana e la IV ecloga delle Bucoliche, in cui Virgilio profetizzava la nascita di un misterioso fanciullo che avrebbe riportato sulla Terra una nuova età di pace e di giustizia, è letta nel Medioevo come profezia della nascita di Cristo. Non stupisce allora che nel viaggio della Commedia Dante scelga come guida proprio l’antico poeta latino a cui, con commosse parole, attribuisce il ruolo di suo “maestro” e “autore”, appunto nell’accezione sopra indicata del termine.
Aristotele, «maestro di color che sanno» In campo filosofico per secoli l’autorità per eccellenza, il filosofo per definizione, sarà Aristotele, il «maestro di color che sanno» nella celebre definizione dantesca (Inf. IV), riscoperto grazie alla mediazione araba nel XII-XIII secolo, quando le sue opere vengono tradotte in latino e possono quindi essere conosciute anche da quegli intellettuali che ignoravano la lingua greca (ed erano la maggior parte nel Medioevo). Il commento alle opere di Aristotele è al centro dell’insegnamento nelle università.
La visione enciclopedica del sapere Per secoli, il Medioevo non mette mai in discussione tutto ciò a cui riconosce autorità. Il sapere si configura quindi non come ricerca ma come accumulo di nozioni, senza una selezione critica, raccolte nelle summae, monumentali manuali in cui l’uomo colto medievale poteva ritrovare tutto lo scibile, diviso per grandi categorie. La Divina Commedia stessa non è solo un’opera di altissimo valore letterario, ma costituisce anche una grandiosa sintesi di tutto il sapere del tempo (letterario, filosofico-teologico, scientifico-astronomico).
3. L’istruzione nel Medioevo
Dalle scuole monastiche alle scuole cittadine Le prime scuole sorgono nei monasteri e sono rivolte alla formazione dei monaci. Successivamente nascono scuole cittadine laiche, in funzione dei bisogni formativi della civiltà dei Comuni.
Lo studio delle arti liberali: Trivio e Quadrivio Dopo l’istruzione di base, che consisteva nell’imparare a leggere e a scrivere, la scuola medievale prevedeva lo studio delle arti liberali, che costituiva un apprendimento di livello medio, considerato propedeutico ai gradi più alti del sapere. Il termine liberale (che significa letteralmente “degno di un uomo libero”, non obbligato al lavoro) rimanda a un’idea aristocratica del sapere, ereditata dal mondo classico, concepito come un complesso di discipline privo di finalità pratiche e del tutto separato dal mondo del lavoro e dall’impiego della manualità.
Le arti liberali erano articolate nel Trivio (grammatica, retorica, dialettica) e nel Quadrivio (aritmetica, geometria, astronomia, musica). All’interno delle arti liberali il posto principale fu a lungo occupato dalla grammatica, che di fatto consisteva nello studio della lingua latina: il latino era appreso sempre attraverso i testi dei medesimi autori (i padri della Chiesa e inoltre Seneca, Cicerone, Virgilio, Orazio, Ovidio) che in un certo modo costituivano per il Medioevo quello che oggi chiameremmo “canone” (ovvero dei modelli).
Le arti liberali Trivio
• grammatica
• retorica
• dialettica
Quadrivio
• aritmetica
• geometria
• astronomia
• musica
La lingua impiegata per l’insegnamento non è quella usata comunemente, cioè il volgare, ma il latino; i fondamenti dell’istruzione sono soprattutto precetti morali, i metodi sono nozionistici e mnemonici. Ne deriva un sapere astratto e lontano dalla dinamica e multiforme realtà della vita cittadina.
La formazione dei mercanti Il divario tra bisogni reali e l’astrattezza del sapere scolastico spiega perché i ceti mercantili, dopo qualche anno di istruzione scolastica, preferissero per i loro figli l’apprendimento pratico nelle botteghe degli artigiani e nei fondachi (magazzini dove si depositavano e scambiavano le merci), dove i giovani destinati all’attività artigianale o mercantile imparavano direttamente sul campo, attraverso un lungo apprendistato, i segreti del mestiere.
L’università e la Scolastica” Tra XI e XII secolo assistiamo alla formazione delle università, che imprimeranno un impulso decisivo alla vita culturale europea. In origine il termine “università” indica semplicemente l’insieme, la totalità (è questo il significato del termine latino universitas) dei docenti e degli studenti di una stessa città; in un secondo tempo identifica una vera e propria organizzazione corporativa stabile, integrata nel tessuto sociale della città che la ospita, ma al tempo stesso autonoma e indipendente da ogni forma di potere locale. Tra le prime prestigiose università si possono ricordare quella di Parigi (per la teologia), quella di Bologna (per il diritto), quella di Salerno (per la medicina) e inoltre quelle di Oxford, Montpellier e Coimbra. La tipologia e i metodi del sapere trasmessi per circa tre secoli dalle università vengono globalmente denominati con il termine di “Scolastica”
Una lezione all’università di Bologna (miniatura trecentesca).
L’organizzazione degli studi universitari Ogni università si organizza in facoltà a seconda dell’indirizzo di studi: Parigi, ad esempio, prevede quattro facoltà di cui tre superiori (diritto canonico, medicina e teologia) e una inferiore (la facoltà di arti liberali, a cui accedevano gli studenti più giovani, che aveva valore propedeutico agli studi superiori e quindi carattere non specialistico). Il corso di studi prevede, come oggi lezioni, esami, fino al conseguimento del titolo di studio finale, che consente ai neolaureati di insegnare ovunque. Un sapere “chiuso” fondato sull’autorità del testo e del magister Il sapere trasmesso dalle università rimane comunque un sapere “chiuso”, ancora fondato sul principio di autorità di cui si è parlato: è infatti il corpo dei docenti universitari che decide in modo programmatico gli auctores che devono essere letti e commentati dai magistri (i docenti universitari) e che si arroga il diritto di proibire ufficialmente di leggere alcuni testi. Fulcro dell’insegnamento universitario, condotto in un latino specialistico, è la lectio, cioè la lettura e il commento di un testo autorevole. La cultura universitaria non prevede dibattito, è sempre elargita dall’alto dal magister, interprete ufficiale della verità, agli studenti.
Il trionfo dell’aristotelismo Le basi istituzionali del sapere universitario hanno al centro la filosofia, in particolare, la filosofia aristotelica, la cui influenza finisce per estendersi a tutti i campi del sapere, dalla medicina all’astronomia e alla stessa teologia, soprattutto dopo la poderosa sintesi tra pensiero aristotelico e dottrina cristiana, operata dal domenicano Tommaso d’Aquino (1224-1274). Una conciliazione seguita da aspri conflitti fra le diverse tendenze ideologiche e teologiche presenti nel mondo universitario, soprattutto riguardo al grande nodo problematico del rapporto tra fede e ragione.
L’apporto della cultura araba In seguito all’espansione araba in Europa, la cultura araba si radica in particolare in Spagna e in Sicilia . L’islam viene fortemente attaccato in campo religioso dall’Occidente medievale, che vede nei musulmani i nemici per eccellenza della fede cristiana (i “perfidi” saraceni). Ma la contrapposizione a livello ideologico-religioso non impedisce all’Occidente cristiano l’assimilazione di elementi rilevanti sul piano culturale. L’islam aveva raccolto l’eredità del sapere filosofico-scientifico greco . Vengono tradotte in arabo e commentate le opere di Aristotele, ma anche i testi di medicina di Ippocrate, di matematica di Euclide e di astronomia di Tolomeo. In senso generale si può dire che, mentre la concezione medievale cristiana cercava nella natura i segni della presenza divina e ricorreva a un’interpretazione simbolico-religiosa, nella cultura musulmana era presente un’ottica razionale e sperimentale, necessario presupposto perché si potesse sviluppare un embrione di ricerca scientifica.
Illustrazione di un manoscritto del XIV secolo che rappresenta un dialogo immaginario tra un filosofo antico (Porfirio, IV sec.) e uno arabo (Averroè, XII sec.).
4. Libri, lettori, lettura
Nel Medioevo i libri sono manoscritti Per tutto il Medioevo i libri sono dei manoscritti, sono cioè stesi a mano da singoli copisti detti amanuensi. I primi libri a stampa compariranno solo nel XV secolo. Nell’Alto Medioevo i pochi libri sono prodotti negli scriptoria dei monasteri e i copisti sono esclusivamente monaci. Essi trascrivono i testi sacri, ma anche i testi dell’antichità classica sopravvissuti alla dispersione e distruzione del patrimonio librario dell’Impero romano e li conservano poi nelle biblioteche dei monasteri. Come erano fatti i codici più antichi I libri manoscritti (definiti codici per distinguerli dal libro a rotolo, in uso nell’antichità) erano costituiti da fogli ripiegati e riuniti in fascicoli, poi cuciti e rilegati. Nell’Alto Medioevo come materiale su cui scrivere si usava esclusivamente la pergamena (membrana ricavata dalla pelle di animale) e il libro era massiccio, alto oltre 35-40 cm: è il cosiddetto libro da banco che, data la sua mole, doveva essere appoggiato per poter essere letto. Il testo era steso in “scrittura continua” (ovvero senza la separazione tra le parole) ed era disposto su due colonne, con il commento a lato in caratteri più piccoli e impreziosito da iniziali molto elaborate e da miniature. La trasformazione della produzione di libri nella società urbana Verso il XII secolo lo sviluppo delle scuole cittadine e delle università richiede sempre più manoscritti, per esigenze di studio e insegnamento. Agli scriptoria dei monasteri si affiancano così gli scriptoria universitari, attorno ai quali prolificano le botteghe di cartolai-librai a cui si rivolgono gli studenti per le loro necessità di studio. Nel frattempo i materiali e i modi di lavorazione del libro cambiano: la pergamena è progressivamente sostituita dalla carta, meno costosa e di più facile lavorazione.
Leggere per meditare Nell’Alto Medioevo leggere non è certo una pratica comune: a leggere (e a scrivere) sono quasi esclusivamente i monaci nel chiuso delle loro celle, oppure nei refettori, nelle scuole, in chiesa. La stragrande maggioranza della popolazione è infatti analfabeta. Nelle occasioni della vita comunitaria si leggeva ad alta voce, mentre nella solitudine delle celle i monaci usano una lettura appena mormorata a voce bassa, compiuta con ritmo lento, così da favorire la memorizzazione del testo.
Leggere per sapere Tra l’XI e il XIV secolo con lo sviluppo delle scuole cittadine e delle università si affermano funzioni diverse del libro e della lettura: si legge non più per raggiungere la saggezza ma per conquistare il sapere; la dimensione spirituale passa in secondo piano rispetto all’utilità dello studio. Da qui la necessità di una lettura rapida e selettiva, opposta alla lettura lenta e regolare propria del metodo monastico. Per rendere il testo più facilmente leggibile vengono introdotte varie innovazioni nelle tecniche di scrittura. Il popolo e i contadini: “spettatori-ascoltatori” Per il popolo le uniche possibilità di accedere ai testi letterari e ai temi culturali sono l’immagine o la forma orale: oltre ad ascoltare i sermoni dei predicatori, il popolo segue con passione le performances dei “giullari”, professionisti che allestivano spettacoli di divertimento vagando di borgo in borgo. Anche queste figure svolsero un ruolo importante, come mediatori dei temi della cultura alta per un pubblico popolare: dalle vite dei santi alle affascinanti avventure dei cavalieri.
Pagina di un codice manoscritto dell’Inferno con glosse, ovvero annotazioni esplicative o commenti apposti nel margine del manoscritto (metà sec. XIV).
Sant’Agostino
I cristiani devono appropriarsi del sapere ingiustamente posseduto dai pagani
Il tema
In questo passo sant’Agostino si contrappone ad altri pensatori del primo cristianesimo che respingevano la cultura pagana, sostenendo la necessità per i cristiani di appropriarsi del sapere dei pagani, come se ne fossero i legittimi proprietari. Uno dei metodi con cui è possibile compiere questa assimilazione è la lettura allegorica dei testi pagani.
Non solo non dobbiamo temere1 ciò che hanno detto i filosofi antichi, soprattutto i platonici, quando i loro detti2 sono veri e congeniali alla nostra fede ma dobbiamo rivendicarli3 da loro come da ingiusti possessori. Gli Egizi non solo avevano idoli4 che il popolo di Israele detestava ma anche molte cose preziose, d’oro e d’argento, e stoffe di pregio5 che Israele fuggendo dall’Egitto rivendicò a sé per un uso migliore e ciò fece non per autorità propria ma su comando di Dio6, poiché gli stessi egiziani erano inconsapevoli e non usavano bene ciò che avevano. Così se è vero che le dottrine dei pagani contengono elementi falsi e superstiziosi o inutili che ciascuno di noi, secondo le parole del Cristo, uscendo dalla società pagana, deve odiare ed evitare, è anche vero che le discipline liberali7 sono adattabili all’uso della verità e esistono, sempre fra i pagani, utilissimi precetti morali e persino riferimenti al culto di un unico Dio. Non dimentichiamo le vesti e gli abiti preziosi che raffigurano le istituzioni umane congeniali e buone per la società degli uomini8, delle quali non possiamo fare a meno in questa vita, e che è lecito dunque ricevere e mantenere purché le si converta a un uso cristiano.
(Sant’Agostino, De doctrina cristiana, in Le enciclopedie dell’occidente medievale, Zanichelli, Bologna 1980)
1. temere: come contrario alla fede cristiana.
2. i loro detti: le loro parole.
3. rivendicarli: nel linguaggio del diritto, significa pretendere la restituzione di un possesso illegalmente detenuto da altri.
4. idoli: statue di dei pagani.
5. ma anche... stoffe di pregio: attraverso l’allegoria, sant’Agostino sottolinea il valore prezioso della cultura antica, invitando i cristiani a non respingerla, ma a raccoglierne l’eredità.
6. che Israele... su comando di Dio: nella Bibbia si racconta che quando gli Ebrei lasciarono la schiavitù d’Egitto «gli Israeliti eseguirono l’ordine di Mosè e si fecero dare dagli Egiziani oggetti d’argento e d’oro e vesti» (Esodo 12, 35).
7. discipline liberali: studi degni di un uomo libero, in questo caso, la letteratura e la filosofia.
8. Non dimentichiamo... uomini: sempre attraverso l’allegoria (le vesti e gli abiti preziosi), Agostino sottolinea come l’eredità degli antichi sia fondamentale anche nel campo del diritto e delle istituzioni politiche.
COMPRENDERE
1. Sottolinea nel testo il passo in cui Agostino indica gli elementi della cultura pagana che sono validi per i cristiani.
2. Agostino usa alcune allegorie per indicare gli elementi positivi della cultura pagana. Spiega come vanno interpretate:
1. Gli Egizi non solo avevano idoli che il popolo di Israele detestava ma anche molte cose preziose, d’oro e d’argento, e stoffe di pregio.
2. Le vesti e gli abiti preziosi.
ANALIZZARE
3. Con quale esempio di origine biblica Agostino sostiene la propria tesi?
4. Agostino cita le discipline liberali. Che posto avevano queste discipline negli insegnamenti impartiti all’università?
VERIFICARE LE CONOSCENZE
5. Nel Medioevo con “codice” che cosa si intende?
a. La raccolta di leggi del comune.
b. Il libro manoscritto destinato ai soli ecclesiastici.
c. Il libro manoscritto prodotto per le università.
d. Il libro manoscritto di grandi dimensioni.
6. La visione enciclopedica del sapere nel Medioevo a quale esigenza risponde?
a. Fornire informazioni utili alla ricerca autonoma.
b. Raggiungere un vasto pubblico.
c. Riunire e conservare tutto il sapere tramandato.
d. Organizzare in modo critico le conoscenze.
7. Quale fu il rapporto dell’Occidente cristiano con la cultura araba?
a. La cultura araba fu rifiutata in quanto prodotta dagli “infedeli”.
b. Della cultura araba furono assimilati soprattutto i contenuti filosofico-scientifici.
c. Dalla cultura araba si accolsero le traduzioni delle opere latine.
d. La cultura araba diede un significativo contributo all’elaborazione delle artes dictandi.
Un manoscritto medievale in latino della Fisica di Aristotele.