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BES E INCLUSIVITÀ Metodi e strumenti per una didattica individualizzata e personalizzata Autori: Il Filo di Arianna - Eugenio Lampacrescia - Laura Porfiri Per info: www.fdarianna.it Mail: info@fdarianna.it Tel.: 071/7823228 393/9053333 338/8432994
Centro multidisciplinare per la prevenzione, diagnosi e trattamento clinico, riabilitativo ed educativo. Ente accreditato dalla Regione Marche per la Diagnosi e Certificazione dei DSA. Ente accreditato dal MIUR per la Formazione del Personale Scolastico. AREA CLINICA: Neuropsichiatria Infantile - Otorinolariongoiatria - Logopedia Neuropsicologia dei DSA - Psicologia e Psicoterapia - Sessuologia e Criminologia. AREA PEDAGOGICA: Pedagogia e Pedagogia Speciale - Didattica Speciale e Metodo di Studio Grafologia e Rieducazione della scrittura - Counseling integrato. FORMAZIONE E CONSULENZA: Sportello di consulenza BES e DSA per Edizioni ELI - La Spiga - Attività di screening preventivi nelle scuole - Corso di Perfezionamento in DSA Master triennale in Gestalt Counseling Integrato. Redazione: Diego Mecenero Progetto grafico e impaginazione: Antonio Lepore Art director: Marco Mercatali Responsabile di produzione: Francesco Capitano © 2015 La Spiga Edizioni Via Soperga, 2 - 20124 Milano tel. 02 2157240 info@elilaspigaedizioni.it www.elilaspigaedizioni.it ELI Via Brecce - 60025 Loreto tel. 071 750701 info@elilaspigaedizioni.it www.elilaspigaedizioni.it Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione totale o parziale così come la sua trasmissione sotto qualsiasi forma o con qualunque mezzo senza previa autorizzazione scritta da parte dell’editore. L’editore è a disposizione degli aventi diritto tutelati dalla Legge per eventuali e comunque non volute omissioni o imprecisioni nell’indicazione delle fonti bibliografiche o fotografiche. Stampato presso Grafiche Flaminia - Trevi (PG) 15.83.187.0 ISBN 978-88-468-3412-6
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INDICE Introduzione 5 1. Scuola Aperta: la didattica inclusiva 7 1.1 La didattica Inclusiva: significati e importanza 7 1.2 La diversità è una risorsa e caratteristica essenziale della condizione umana 9 1.3 L’inclusione tra didattica individualizzata e personalizzata 10 1.4 Le risorse per l’inclusione 13 2. 2.1 2.2 2.3
Carta d’identità dei BES 15 I Bisogni Educativi Speciali 15 Le macro aree di inclusione dei BES 16 Perché parliamo di BES 18
3. 3.1 3.2 3.3 3.4
Come approcciarsi ai BES 20 Che cos’è il PDP 20 Chi sono gli attori 21 Come utilizzarlo 24 Contenuti e livelli di apprendimento da inserire nel PDP 24
4. Tra Didattica e Creatività: alla scoperta degli strumenti compensativi e dispensativi 27 4.1 Che cosa sono gli strumenti compensativi e dispensativi 27 4.2 Tabella di sintesi misure dispensative e strumenti compensativi 30 5. Viaggio tra Curricolo e PAI 32 5.1 Che cos’è il Curricolo 32 5.2 Che cos’è il PAI 35 6. 6.1 6.2 6.3 6.4 6.5
Una RETE che cattura il disagio 38 Scuola, famiglia ed esperti: gli attori della rete 38 Il ruolo della scuola 39 Il ruolo della famiglia 41 Il ruolo degli studenti 41 Il ruolo degli specialisti 42
7. Due condizioni frequenti di Bisogni Educativi Speciali: DSA e ADHD 7.1 DSA: cosa sono, come riconoscerli, come approcciarli. 7.1.1 Che cosa sono i DSA? 7.1.2 Come riconoscerli? 7.1.3 Come approcciarli? 7.1.4 Gli strumenti compensativi 7.1.5 Le misure dispensative
44 44 44 50 46 48 56
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7.2 ADHD: cosa sono, come riconoscerli, come approcciarli 7.2.1 Che cosa sono gli ADHD? 7.2.2 Come riconoscerli? 7.2.3 Come approcciarli? 7.2.4 A scuola cosa si può fare dal punto di vista educativo?
57 57 59 60 62
8. Colpo d’occhio: Protocolli e Modelli 67 Modello di un PAI. 67 Modello di un PDP 74 Conclusioni 93 Bibliografia 94
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INTRODUZIONE La necessità di una scuola sempre più capace di includere e di integrare i soggetti che manifestano Bisogni Educativi Speciali, è una nuova sfida pedagogica colma di potenzialità e di possibilità umane e operative da mettere in atto e sperimentare che la scuola, nel suo insieme, e gli insegnanti, nello specifico, certamente possiedono. Risorse capaci di dare risposte concrete che possono essere al contempo rigorose e creative, attraverso lo studio e la formazione costante e insieme l’integrazione, altro grande bisogno epistemologico e pratico, tra diverse discipline e professioni, per evitare che il fare sia improvvisato, solitario e routinario. Non si può negare, d’altra parte, che questa nuova responsabilità spaventi, com’è naturale che sia, e attivi fantasmi, cioè paure, resistenze e indisponibilità, cioè paure e resistenze, cioè indisponibilità. Solo da qui, però, si può partire, dalle cose in atto e da quelle in potenza che sono entrambe reali. Da ciò che la scuola già fa, ed è tanto, e da quello che potrebbe ancora fare, che è pure tanto. D’altra parte la Pedagogia, in senso generale, è una scienza concreta, una teoria per la prassi, e tradirebbe la sua finalità pratica se rimanesse solo su un versante filosofico-speculativo o passasse all’azione senza riflessione o occupando territori non propri e che non le competono, come quelli clinici. In altre parole, è necessario che la Pedagogia sia se stessa, si occupi, in pratica, del complesso e variegato mondo del prendersi cura e della crescita delle persone, che si realizza attraverso l’educazione, la formazione, l’istruzione e per l’irrinunciabile tramite di relazioni interpersonali significative, cioè calde, morbide, accoglienti e nutrienti. E la scuola, in questo senso, è uno degli ambienti propri del pensare, del progettare, programmare e del fare pedagogico. Ritornando alla necessità che anche il sapere sia inclusivo e non esclusivo ed escludente, questo libro tenta di dar voce, in modo molto
accessibile, alle conoscenze psicologiche e neuropsicologiche che ci informano sul funzionamento dei processi e dalle quali dovrebbero derivare le pratiche riabilitative e educative, compresa la didattica; alla sensibilità umanistico-antropologica che dà un respiro etico al fare; al riferimento giuridico che è il tentativo normativo di fissare e regolare dei bisogni dai quali derivano dei diritti e dei doveri. Tali norme vanno lette come espressione di una sensibilità ed anche come veicolo per implementarla. Insomma, dal punto di vista disciplinare, e a caduta da quello professionale, è fondamentale che ogni specifico sapere abbia un suo preciso oggetto di studio, un metodo e un’autonomia, ma è altrettanto necessario che il confine tra le discipline sia permeabile, così come tra le professioni, per raggiungere quella transdisciplinarietà che è molto di più della multisciplinarietà e dell’interdisciplinarietà, dove i vari saperi sono spesso solamente vicini, contigui, giustapposti. È la transdisciplinarietà, che vive del rispetto e dell’autonomia dei saperi, e delle professioni, e insieme della loro integrazione, che permette di ritornare a una conoscenza e a una pratica dalla quale essa stessa parte e a essa ritorna, che sia unitaria e sostanzialmente attenta all’uomo e ai suoi bisogni e desideri più intimi e profondi. Il libro parla di inclusività a scuola in questa prospettiva di un sapere integrato e non escludente. Lo stesso tentativo concreto che siano un pedagogista e una psicologa a scrivere queste pagine vuole essere la sperimentazione che due discipline, per loro natura molto prossime (e due diversi professionisti), possono farlo fecondamente evitando isolamento, conflittualità, difesa rigida dei propri spazi, invasioni di campo, piuttosto rendere possibile una connessione. Non è facile lavorare insieme, in ogni campo, ma è assolutamente necessario per crescere e far crescere.
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Le recenti normative sui soggetti con bisogni educativi speciali, ci riferiamo soprattutto al Decreto Ministeriale del 27 dicembre 2012 e alla Circolare Ministeriale n. 8 del 6 marzo 2013, hanno creato non poco scompiglio nella scuola Italiana e tra gli insegnanti, ma sono emerse curiosità, domande e non mancano riscontri positivi. Certamente l’attenzione ai Bisogni Educativi Speciali va vista come un’occasione stra-ordinaria che dovrà via via divenire ordinaria, affinché la scuola, e con essa tutta la cultura che veicola, compia ulteriori passi in avanti nella direzione di una maggiore equità, partecipazione e occasione di crescita per tutti, sia scolastica che, a caduta, nella polis. Siamo, infatti, convinti che una scuola che esclude e boccia fallisce nel suo compito educativo e rimanda le persone nel mondo e nella società con una ferita che a fatica si rimargina, perché purtroppo prodotta intimamente e che non di rado viene replicata negli altri contesti sociali. Questa pubblicazione vuole accompagnare il lettore nella risorsa che rappresenta una cultura dell’inclusività. Innanzitutto con una riflessione più generale, poi indicando le buone prassi scolastiche e le dinamiche di rete che possono cre-
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are le condizioni di una forma mentis in senso più ampio e di un patto educativo condiviso. In tal modo il riconoscimento e l’accoglienza che da sole riducono i conflitti, la valorizzazione e il rispetto delle differenze, l’accettazione incondizionata, l’ascolto e la comprensione dell’altro in qualsiasi condizione si trovi, possono divenire il terreno fertile attraverso il quale il seme dell’inclusione potrà produrre cambiamenti reali e non solo retorici e di facciata. Sta certamente alle persone sensibili e di buona volontà stare vicini e accompagnare in questo percorso, non solo i ragazzi, ma anche i colleghi più resistenti, diffidenti e persino che remano in altra direzione, quelli disillusi, senza più sogni e attese. Le armi sono le medesime: ascolto, comprensione, accettazione incondizionata, attesa, in definitiva, anche in questo caso, inclusione. Per rendere di facile lettura e utilizzo il libro, abbiamo pensato di renderlo abbastanza schematico ed anche con schede finali fotocopiabili; inoltre di non mettere le note bibliografiche a piè pagina, rimandando a un’ampia bibliografia finale, sia per gli aspetti più teorici-riflessivi che pratici-operativi.
LA didattica inclusiva 1 Scuola aperta: la didattica inclusiva 1.1 L a didattica inclusiva: significati e importanza «Cara signora, lei di me non ricorderà neppure il nome. Ne ha bocciati tanti. Io invece ho ripensato spesso a lei, ai suoi colleghi, a quell’istituzione che chiamate scuola, ai ragazzi che “respingete”. Ci respingete nei campi e nelle fabbriche e ci dimenticate». Inizia così “Lettera a una professoressa” di Don Lorenzo Milani, ideatore e animatore della scuola di Barbiana. Un’esperienza paradigmatica di inclusione che ha inizio nel 1956 in un paesino di Montagna del Mugello, circa cinquanta anni fa, con sei ragazzi che avevano concluso la scuola elementare, probabilmente senza ulteriori prospettive scolastiche. Là era tutto scarno e poverissimo: le lezioni si svolgevano in canonica, con un unico libro di testo letto a turno dai ragazzi e la successiva spiegazione del sacerdote. Nella scuola di Barbiana, molte cose erano differenti rispetto alla scuola ufficiale di allora. Anzitutto l’organizzazione oraria, con la sperimentazione di una sorta di “tempo pieno”. “I miei eroici piccoli montanari che sopportano senza un lamento e senza pretese dodici ore quotidiane feriali e festive di insopportabile scuola e ci vengono felici non sono affatto degli eroi. Ma piuttosto dei piccoli svogliati scansafatiche che hanno valutato (e ben a ragione) che quattordici o anche sedici ore
nel bosco a badare le pecore sono peggio che dodici ore a Barbiana a prendere pedate e voci da me. Ecco il grande segreto pedagogico di Barbiana”. Poi i contenuti intrisi di sapore fortemente politico, parola oggi depauperata e confusa, di cui si ha paura e diffidenza ma via maestra per far crescere coscienze critiche e cittadini capaci di abitare responsabilmente la polis nel proprio tempo. “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne insieme è la politica, sortirne da soli è l’avarizia”. Infine i metodi che potremmo definire attivi e partecipativi, non staccati dal reale del quotidiano ed anche forse la prima esperienza di apprendimento cooperativo dove, piuttosto che l’esasperazione dell’individualismo e della meritocrazia, si lavorava insieme affinché tutti potessero raggiungere i medesimi obiettivi. A tal proposito, rimane significativo l’utilizzo della lettura e della scrittura collettiva. In sintesi, non solo una scuola dei contenuti, ma che si poneva l’obiettivo della complessiva maturazione personale e civile degli studenti non confondendo, quindi, la crescita dell’individuo con la sola quantità di informazioni apprese. Quell’I CARE scritto e appeso alla porta della canonica, che significa “mi importa, mi interessa, ho a cuore” in contrasto con il “me ne frego”, è un’ottima sintesi pedagogica di quell’esperienza efficace di inclusione e che contribuirà a cambiare la sensibilità e il panorama della scuola Italiana. Una scuola che ha a cuore tutti, che non esclude, perché quando lo fa dichiara e mette in atto il suo fallimento educativo e tradisce la Costituzione. “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione
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1 inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso” (art. 34 della Costituzione Italiana). Una scuola, almeno quella dell’obbligo, che non può bocciare, ma che deve riuscire a mettere in atto tutte le risorse che possiede per garantire l’istruzione di base e guardare, per ognuno, al successo scolastico. Se l’attenzione dei padri costituenti era, in quel tempo, l’offrire medesime possibilità di istruzione anche alle classi più povere, nello scenario attuale lo spirito non cambia, anche se si sono modificate le povertà e si è ampliata in questi anni l’attenzione e la sensibilità, almeno nello spirito delle leggi. Una visione non ingenua ci dice, però, che esistono ancora resistenze tra alcuni insegnanti ed anche tra i genitori, uno scarto tra l’anima dei legislatori e la prassi scolastica, ed è opportuno non dare nulla per totalmente acquisito e scontato. Se vi è stata la necessità di scrivere una normativa sui BES, questo sta certamente a significare da una parte la volontà e la lungimiranza di costruire una scuola sempre più attenta ai diversificati bisogni dei ragazzi e che non escluda nessuno, ma indica anche che la strada per una scuola di tutti e per ciascuno è ancora un ideale da raggiungere e a cui guardare per orientarsi nel delicato e complesso compito educativo e didattico. Oggi, come vedremo, queste nuove povertà si chiamano disabilità e deficit, problematiche riguardanti l’immigrazione, svantaggio socio-economico, linguistico, sociale, disturbo dell’apprendimento e del rendimento scolastico, borderline cognitivo, difficoltà emotive e relazionali...
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E le parole di Don Milani risuonano ancora forti alle coscienze e a chi, in senso lato, si occupa di educazione: “Se si perde loro (i ragazzi più difficili) la scuola non è più scuola. È un ospedale che cura i sani e respinge i malati”. Infine, quando si educa, non si può non metterci l’anima, il cuore, le emozioni profonde, la passione per quello che si fa e per l’altro che ci è stato affidato, cioè quelle qualità di base che permettono di costruire con gli studenti relazioni calde, morbide, sicure, capaci di riconoscimento e di rispecchiamento. Bisogna ricordare che metodi, libri operativi, schede, strumenti da applicare sono solo mezzi e non fini. Il primo vero metodo didattico è la qualità del rapporto tra docente e studente e nessuna tecnica funziona appieno fuori da una relazione interpersonale significativa. In altre parole, non è possibile abitare la scuola da algidi contabili, né quando si progetta e poi si programma, né quando si insegna e infine si valuta. “Ho voluto più bene a voi ragazzi che a Dio, ma ho speranza che Lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo conto”. Solo in questo modo l’attività dell’insegnare (dal latino, in-signum), lungi dal limitarsi alla sola trasmissione del sapere fine a se stessa, consiste nel “segnare”, nel “lasciare un segno” che si imprime nel profondo della persona e che va ben oltre lo studio. Esperienza che, a guardar bene, ognuno di noi può rintracciare e recuperare nella sua pregressa storia di studente. E se questo è valido per tutti gli alunni, immaginiamoci quanto ciò possa essere importante per un bambino, un ragazzo con bisogni educativi speciali che rischia, invece, di essere segnato, spesso marchiato e stigmatizzato dai suoi problemi.
1 1.2 L a diversità è una risorsa e caratteristica essenziale della condizione umana C’è poco da fare per chi vorrebbe il mondo in generale e la scuola meno differenziate possibili e più rispondenti a caratteristiche di standard. La diversità è una caratteristica essenziale della condizione umana: già questo dà il senso della complessità, della competenza e dell’alto profilo umano che si richiede a chi decide di fare l’insegnante. Probabilmente non tutti ne hanno la vocazione e le risorse. Sono quelli che, in genere, più facilmente rischiano il corto circuito perché mettono l’accento sull’impossibilità di poter fare questa professione dentro la miriade di cose alle quali dover porre attenzione e realizzare, in più con uno scarso riconoscimento sociale ed anche economico del proprio lavoro. Ci sono certamente anche in queste posizioni delle verità. Oggi fare scuola è certamente più difficile, soprattutto quando si chiede, come sta accadendo, che risponda alla categoria della complessità piuttosto che della linearità, che sia inclusiva per tutti e orientata al successo. Non mancano, nonostante le normative, sostanziali resistenze e posizioni diverse: quelle, ad esempio, di chi vorrebbe, già a livello dell’obbligo, una scuola selettiva, selezionante, competitiva, a misura di uno standard medio-alto. Distanze culturali e di sensibilità talvolta abissali, ma con le quali dobbiamo fare i conti e dialogare. Dietro una scuola che è passata, via via, da un modello di esclusione, a uno di segregazione, poi di integrazione e infine di inclusione, sono di certo aumentate le responsabilità dell’insegnante: differenziazione della didattica, necessità di formazione permanente e sviluppo di competenze non solo disciplinari,
carichi di lavoro, capacità di operare in team, integrazione con le risorse del territorio, solo per fare alcuni esempi. In traslucido, però, vi sono anche aspetti ontologici e gnoseologici di sapore filosofico e culturale, cioè l’idea di uomo e di cittadino che si ha e cosa intendiamo per conoscenza, problematiche ampie e che non possiamo affrontare in questa sede, ma che rimangono il vero terreno di fondo delle differenze di vedute anche relative alla scuola e ai suoi compiti. La diversità, anche quando si tratta di un handicap, è una risorsa per ognuno perché ci permette il contatto con la complessità che è la condizione più cogente della realtà. Il termine diversabilità sintetizza bene questa prospettiva anche nei casi dove vaga il fantasma educativo della “buona forma” e cioè il tentativo della normalizzazione a tutti i costi dell’altro. Nella diversità possiamo rispecchiarci per trovare insieme similitudini e differenze e costruire, via via, la nostra identità. Nella diversità osserviamo modi personali di stare al mondo, di risolvere problemi, impariamo il valore dell’originalità. Si nasce da una relazione e si incomincia a differenziarsi presto, proprio quando l’IO riconosce un TU diverso da sé. E a proposito di questo, Martin Buber ci ricorda come è possibile dire IO solo quando è presente un TU diverso da noi e che ci rispecchia. A guardar bene, non basta neanche la diade (quindi il dialogo) perche è necessario anche il tertium, cioè l’ESSOEGLI che diviene l’elemento di confronto per l’IO-TU. Con una suggestione, verrebbe da dire che il “trialogare” è più completo del dialogare. Infine abbiamo bisogno del plurale, cioè del NOI che ci ricorda la necessità di appartenere e con esso il VOI che è la differenziazione dell’appartenenza. Ed anche al plurale l’ESSI/ LORO che è l’elemento di confronto. Questo ci informa, che anche rimanendo sul piano di questa semplice “grammatica”, si cresce nella
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1 vita attraverso relazioni che sono connotate tutte dal contatto con la diversità o dalla similitudine che non è mai perfetta uguaglianza con l’altro. Si diviene, poi, creatori di altra diversità quando, ad esempio, si decide di mettere al mondo un figlio o si sperimentano la paternità e la maternità in senso più ampio e non solo biologico. L’educazione, almeno nel senso etimologico della parola, dovrebbe procedere nel “trarre fuori” quelle che l’altro è ed ha, affinché cresca e venga potenziato quell’essere“se stesso” che non diviene mai una monade, ma un essere unico e irripetibile, proprio in virtù di questo contatto e relazione con altri esseri. Non sempre l’educazione, purtroppo, va in questa direzione. A casa, come a scuola, il rischio dell’isolamento, dell’esclusione, ma anche dell’omologazione, del compiacimento, dell’introiezione passiva, sono sempre a portata di mano, con il rischio di poter compiere un errore pedagogico sostanziale, cioè che l’altro non divenga ciò che è. Spesso per liberarsi da questi interventi intrusivi e poco rispettosi dell’altro, ci vogliono anni di lavoro su di sé ed anche molta capacità di nuove assimilazioni e adattamenti, faticosi da innestare su un copione di vita che ci ha segnato. Tutto questo per dire che è persino eticamente discutibile voler annullare le differenze, ma è necessario includere le specifiche caratteristiche di ognuno in un disegno collettivo e condiviso in modo da sperimentare che esse, erroneamente da taluni ritenute limite ed anche difetto, possono produrre un arricchimento per tutti. Le caratteristiche di ogni individuo, quindi, sono il valore e le risorse di quella persona, ma necessarie anche alla crescita degli altri. Individuale e collettivo si saldano, così, in maniera inscindibile e armonica. Questa sfida educativa coinvolge appieno la scuola.
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1.3 L’inclusione tra didattica individualizzata e personalizzata Includere, dal latino in-claudere, significa chiudere dentro, comprendere, inserire, ed è l’opposto di escludere, ex-claudere, che significa chiudere fuori, non ammettere a partecipare, privare. L’inclusione è tanto più necessaria per tutti gli alunni che richiedono una speciale attenzione perché manifestano bisogni individuali particolari. Qualcuno obbietta che ogni studente manifesta bisogni individuali e, a guardar bene, ciò corrisponde a verità. L’essenza di una progettazione educativa e didattica efficace richiama alla necessità, per tutti, di un’individualizzazione e una personalizzazione e dovrebbe essere l’ordinario dell’insegnamento, non lo straordinario. L’osservazione dello studente rappresenta un momento irrinunciabile per progettare la didattica. Seppur la prospettiva metrico-misurativa è entrata prepotentemente anche a scuola, va ricordato che l’osservazione di orientamento pedagogico e non psicometrico, rimane fondamentale per l’insegnante e può essere definita come la capacità di descrivere in modo funzionale i processi in chiave fenomenologica, cioè un lasciar vedere ciò che si manifesta così come esso appare. L’osservazione è un’attività trasversale e costante alla didattica e dovrebbe porsi l’obiettivo di cogliere i punti di fragilità insieme a quelli di forza dello studente. Da ciò potrà derivare: n L’individualizzazione, aspetto che mira ad assicurare a tutti gli studenti la possibilità di raggiungere le competenze fondamentali del curricolo mettendo in atto strategie di diversificazione dei percorsi di insegnamento. L’individualizzazione della didattica vuole far sì che certi obiettivi siano raggiunti da tutti.
1 Tra i vari modelli operativi in didattica, il mastery learning, è quello maggiormente organizzato per l’individualizzazione della didattica. In sintesi, esso prevede quattro fasi di applicazione: 4 un primo livello di tipo istruttivo dove il docente espone e spiega i contenuti dell’unità didattica, propone esercizi e assegna compiti di studio, anche diversificati negli accessi a seconda delle difficoltà degli alunni, delle eventuali segnalazioni e certificazioni cliniche. In quest’ultimo caso, la presenza dell’insegnante di sostegno è particolarmente utile in chiave mediativa. 4 una valutazione intermedia, successiva allo svolgimento dell’unità didattica, che serve per verificare l’apprendimento, individuare le lacune più diffuse e gli alunni in difficoltà. 4 un’attività di recupero che concede ulteriore tempo per l’apprendimento ed anche diversificando l’approccio, gli obiettivi che in taluni casi possono essere ridotti e i metodi didattici con lo scopo di colmare le lacune e aiutare gli studenti in maggiore difficoltà. 4 una valutazione finale dove si verifica l’efficacia dell’attività di recupero e si realizza un bilancio generale del profitto individuale e di gruppo. Come si evince, l’individualizzazione qui intesa è differente dall’idea di un intervento individuale sul soggetto in un rapporto uno a uno. Rappresenta una tensione certamente ideale alla quale riferirsi che guarda sempre nella direzione dell’integrazione tra collettivo e individuale, che abbiamo visto essere una condizione dell’inclusione e non si configura come un precettorato. In questo senso e con questa modalità va inteso e valorizzato anche l’importante contribuito dell’insegnante di sostegno
nel caso di classi con presenza di soggetti portatori di handicap, che è risorsa per tutta la classe e opera ordinariamente in essa. Le attività individualizzate possono essere realizzate nelle fasi di lavoro in classe o in piccolo gruppo o in momenti a esse dedicati, secondo tutte le forme di flessibilità del lavoro scolastico consentite dalla normativa vigente. In sintesi, l’intervento individualizzato può essere realizzato a livello dell’intero gruppo-classe o con piccoli sottogruppi della medesima classe o con gruppi omogenei tra classi diverse e va ridotto al minimo il precettorato individuale. Va ricordato, inoltre, che l’intervento educativo speciale ha come obiettivo ideale, non meno che reale, di condurre il soggetto in difficoltà all’autonomia, al fare progressivamente da solo. Questo aspetto che sembra scontato, è, talvolta, sottovalutato in chi presta l’aiuto con uno stile che produce dipendenza. Anche in questo caso si rileva la necessità che le figure educative siano equilibrate e formate a gestire relazioni efficaci, empatiche e non evitanti, pronte a intervenire quando l’altro lo richiede, non muovendosi con uno stile intrusivo e sostitutivo, aiutando lo studente a raggiungere gli obiettivi via via autonomamente con l’esercizio della libertà e l’attivazione della responsabilità, intesa qui come abilità nel trovare risposte. Possiamo dire che la didattica individualizzata è maggiormente orientata a intervenire sui punti di debolezza dell’alunno e a portarlo a colmare le sue difficoltà, recuperare e potenziare determinate abilità, acquisire specifiche competenze anche, ma non solo, nell’ambito delle strategie compensative e del metodo di studio. Solo per fare un esempio, un bambino dislessico che registra la lezione dell’insegnante per poterla riascoltare a casa, usa un programma OCR per scannerizzare il libro di testo e lo riascolta su un programma di sintesi vocale, poi studia costruendo delle mappe concettuali e
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1 fa la verifica programmata con queste mappe davanti, mette in atto una didattica individualizzata e così può raggiungere i medesimi risultati a livello di competenze degli altri studenti. n La personalizzazione, che calibra l’intervento e le strategie didattiche sulla specificità e unicità a livello personale dei bisogni educativi, quindi volta a favorire l’accrescimento dei punti di forza di ciascun alunno, prestando attenzione alla tipologia di intelligenza, agli stili di apprendimento, alle preferenze, alle risorse e ai talenti. In questo senso la didattica personalizzata promuove non solo le potenzialità, ma permette un successo scolastico per ogni alunno, anche nel caso di handicap o deficit o momentaneo bisogno educativo speciale. È pedagogicamente utile non lasciarsi guidare da numeri e dalla statistica perché, per sviluppare le proprie risorse, non è necessario che il soggetto possieda abilità in misura più alta della media giacché basta che abbia sviluppato qualcosa in modo maggiore rispetto ad altre competenze che sono più deficitarie. Individuare e rimandare allo studente i suoi punti di forza, prenderne consapevolezza e trafficarli, significa permettere a tutti di sperimentare una dimensione di successo, dare voce e far risaltare ciò che funziona per produrre benessere e accrescere l’autoefficacia e l’autostima. In questo senso sviluppare un proprio talento ha sicuramente altrettanto valore educativo e didattico come il garantire l’acquisizione delle competenze di base. Per realizzare una personalizzazione della didattica, almeno quattro condizioni appaiono irrinunciabili: 4 il pluralismo dei percorsi formati vi affinché, attraverso piste differenziate, ma non alternative o compensative (come invece accade per l’individualizzazione), permettano allo studente di
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sviluppare il proprio profilo cognitivo. È necessario anzitutto individuare le intelligenze e i rispettivi stili cognitivi di ogni alunno, così come descritti da Gardner nelle sue intelligenze multiple e costruire una didattica che, per spazio, tempo, materiali e strategie, permetta il loro potenziamento. 4 la possibilità di scelta da parte dell’alunno è l’altra condizione fondamentale. Non sempre la scuola è organizzata e attrezzata per permettere una vera scelta. Basta pensare alla quantità di ore dedicate ad alcune materie rispetto ad altre. Ad esempio, un bambino con un talento musicale, non ha mediamente a scuola le medesime possibilità e opportunità di esperienza e di scelta di un bambino che eccelle in italiano e in matematica. Se tale aspetto richiede all’istituzione scolastica una profonda ristrutturazione in termini di progetto e metodologia, prima ancora che di programma e di metodo, è possibile pensare e offrire altre opportunità nella complessiva offerta formativa della scuola, anche extra orario o raccordarsi sul territorio con le altre agenzie educative dedicate a specifiche abilità nell’ottica della sussidiarietà. 4 la consapevolezza delle proprie abi lità è passaggio delicato e complesso. Spesso gli alunni, specie quelli molto giovani, confondono le loro preferenze con le vere attitudini. Questo lavoro di discernimento non è semplice da attuare anche per gli insegnanti, soprattutto se è basato esclusivamente sul profitto scolastico (pur se rimane un’informazione importante), il quale dipende da un variegato e complesso intreccio di aspetti che si riferiscono ai contenuti e alla loro presentazione, quindi anche alla
1 didattica, alle modalità di valutazione, alle dinamiche relazionali con il docente e con gli amici di classe, alle aspettative della famiglia... È, infine, necessario che l’alunno sia sostenuto nel fare una sorta di realistica autovalutazione che non può maturare al di fuori dell’esercizio e dell’esperienza diretta, del provarsi. In questo senso va concesso educativamente uno spazio sereno di esplorazione e di necessaria instabilità e variabilità. 4 la realizzazione di un adeguato setting didattico è la condizione che permette, in buona parte, tale sperimentazione. Lo studente deve poter usufruire di spazi, tempi e supporti didattici adeguati. Non è certo la didattica, l’insegnamento e la sperimentazione che producono il talento. Il talento, cioè, non può essere trasmesso perché è condizione innata che, però, ha bisogno del contatto con il contesto, l’ambiente per essere attivato, consapevolizzato, potenziato e sviluppato. Questo lavoro sulla personalizzazione dell’educazione in generale e della didattica nello specifico, ha un indubbio altro risvolto poiché aiuta via via lo studente a scegliere con maggiore facilità il proprio progetto di vita, soprattutto quello relativo agli studi successivi, quindi alle scuole da scegliere o alle opportunità lavorative. Potremmo dire che la personalizzazione è, quindi, anche la condizione dell’orientamento. In conclusione, integrare didattica individualizzata e personalizzata permette di intervenire sulle difficoltà e insieme di raggiungere il successo per ogni studente (a maggior ragione per quelli che manifestano bisogni educativi speciali) e le condizioni più favorevoli per il raggiungimento degli obiettivi di
apprendimento e per l’inclusione scolastica. La dimensione individualizzata e personalizzata della didattica vanno integrate. Nella prima, gli obiettivi sono comuni per tutti, ma le strategie di apprendimento possono essere diversificate per raggiungere le competenze. Nella seconda l’obiettivo è diverso per ciascuno, affinché ogni studente possa mettere in campo e valorizzare quello che già possiede. In definitiva questi sono anche gli ingredienti di una sana autostima e condizione per un’equilibrata crescita della propria personalità: la consapevolezza dei propri limiti e l’abilità, per quanto possibile, di accettarli e di gestirli e la consapevolezza dei propri talenti, unitamente alla capacità di trafficarli. In questa sinergia educativa e didattica, quindi, è possibile sperare di non rimanere segnati da uno stigma, né di andare verso un delirio ipertrofico dell’ego.
1.4. Le risorse per l’inclusione Proviamo schematicamente a indicare alcune priorità che aiuteranno a produrre una cultura e una pratica per l’inclusione scolastica. A livello generale anche extra scolastico: n Sensibilizzazione culturale al tema dell’inclusione e del valore della diversità da realizzare in modo capillare sul territorio (scuola, famiglia, agenzie educative e sanitarie del territorio). n Attivazioni di alleanze extrascolastiche con le altre agenzie educative e sanitarie verso un comune patto educativo per l’inclusione. n Individuazione di interventi educativi, ma anche sanitari, riabilitativi e terapeutici, con particolare attenzione alla prevenzione del disagio, promozione della salute e del benessere integrale della persona.
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