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I Sul principio della mia vita
31 agosto 1321
Ieri le febbri non mi hanno dato tregua. A nulla sono valsi gli interventi del mio medico e delle persone care che si stanno prendendo cura di me. Oggi, invece, mi sento meglio: gli occhi non mi bruciano e le mani hanno smesso di tremare. Per questo ho deciso di dare seguito al proposito di narrarvi la mia vita. Non credo che il Signore mi concederà il tempo per dire tutto quello che avrei voluto, ma credo che riuscirò a farvi partecipi dei fatti principali della mia esistenza. Lo farò partendo dal principio, dal racconto dell’infanzia e della giovinezza e di come Firenze si divise tra fazioni in odiosa lotta tra loro.
Molti sono convinti che il nome di una persona, se ben interpretato, possa svelare il destino di chi lo porta. Per quanto mi riguarda la questione si complica, perché sono stato battezzato come Durante, anche se tutti mi hanno poi conosciuto come Dante. Sicché, chi volesse esercitarsi a scorgere dai due nomi ciò che sono stato, quello per cui sono nato, dovrebbe fare una doppia fatica e, probabilmente, non metterebbe d’accordo i due modi di nominarmi. Ma questo poco importa perché credo che talvolta vada interrogato non il nome che ci hanno imposto, ma quello che ci siamo dati per una vita intera. Perciò è in Dante che va ricercato il mio destino. Esso è il participio presente di dare, ed esprime un donare sempre e comunque. Ed io, almeno per ciò che riguarda il pensiero, la poesia e la lingua, credo
di aver donato a piene mani. Del resto, il piacere del dono, dell’offrire - magari con una certa superbia, ma senza alcun interesse se non quello per la gioia ritratta negli occhi di chi riceve - è una caratteristica dei Gemelli, costellazione che mi ha visto nascere nel 1265. Tuttavia, pur se il nome dice della mia sorte e lo zodiaco del mio carattere, è alla mia città che devo ciò che sono. Firenze, come vedrà chi avrà la bontà e la pazienza di leggere questi appunti, non mi ha solo visto nascere, ma ha dato senso e sostanza alla mia esistenza, nel bene e nel tanto male che mi ha recato. E ancora oggi, scorgendo all’orizzonte la mia fine sempre più vicina e sempre più irrimediabilmente lontana dalle rive dell’Arno, è a lei che sento d’essere legato, più che a una madre, più che a qualsiasi altra creatura che pur ho amato riamato.
Sono nato in una casa assai decorosa, di buona fattura, anche se non da gran signore, e che non ha mancato di offrirmi angoli silenziosi dove rifugiarmi indisturbato con i miei pensieri, a scrivere e studiare. Si trovava nella parrocchia di San Martino al Vescovo, nel sesto di San Piero Maggiore, di fronte alla Torre della Castagna. Una zona centrale, quindi, dove abitavano alcune delle famiglie più in vista della città, come i Cerchi, i Donati e i Portinari le quali, pur vivendo nello stesso quartiere, non erano mai in pace tra loro, sempre pronte a far scorrere il sangue pur di primeggiare l’una sull’altra, nella politica come negli affari. Per questo approfittavano di ogni buona occasione per allargare i confini delle proprie residenze, aggiungendo oggi un fondaco, domani un palazzotto oppure innalzando una nuova torre, possibilmente più alta di quelle delle famiglie rivali, da dove sorvegliare i propri interessi o rintuzzare eventuali attacchi. Era una Firenze molto diversa da quella che, almeno così mi è stato riferito, si presenta oggi agli occhi di un viaggiatore che abbia la fortuna di giungervi.
La città in cui vissi fino a trentasei anni era tutta vicoli affollati, botteghe vivaci, piazzuole, alternati da vigne, orti, spazi di vera e propria campagna. Pochi i palazzi sontuosi; modeste, seppur di pregio, erano le chiese tra le quali primeggiava il bel Battistero di San Giovanni, il luogo dello spirito più prezioso della città in cui, tra l’altro, era custodito il Carroccio del Comune ed erano ospitati i trofei delle numerose guerre combattute dai miei concittadini. Ho saputo che ora stanno edificando nuovi e solenni edifici: i domenicani del convento di Santa Maria Novella continuano la costruzione di un’enorme chiesa i cui cantieri erano già stati innalzati quando vivevo ancora in città, così pure stanno facendo i francescani con Santa Croce. Dicono anche che sia terminata la costruzione del Palazzo dei Priori e che il mio amico Giotto di Bondone avrebbe espresso il desiderio di erigere un campanile mai visto prima d’ora per eleganza e bellezza.
L’idea di questi mutamenti si deve al genio del grande architetto Arnolfo di Cambio il quale, dopo la morte, ha lasciato i suoi progetti in eredità ad artisti straordinari. Ma questo incredibile cantiere di bellezza poggia le sue basi su una lotta fratricida di cui, come certamente saprete, sono stato la vittima più illustre.
Nella Firenze della mia giovinezza si incontravano qua e là cumuli di macerie, resti di case abbattute con rabbia, con una