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Appunti manoscritti di Dante Alighieri
APPUNTI MANOSCRITTI DI DANTE ALIGHIERI FIORENTINO SULLA VITA DI SÉ MEDESIMO Copiati e ordinati da Piero di messer Giardino, notaio in Ravenna MCCCXXI
30 agosto 1321
Lo confesso: mi sono illuso sino alla fine. Pensavo che dopo tanto doloroso peregrinare la mia esistenza avrebbe potuto concludersi nella città dove nacqui, nella Firenze che ho tanto amato e allo stesso tempo odiato fino ad augurarmi in cuor mio - che Dio mi perdoni! - persino la sua distruzione. Ho combattuto una lunga e dura battaglia con tutte le armi in mio possesso: le idee, la filosofia e la poesia. Per un breve periodo anche con le armi del soldato. Ma non è bastato. I miei nemici hanno avuto la meglio: il loro rancore, la loro rabbia nei miei confronti non hanno avuto rispetto né del mio ingegno né delle mie opere, che pure hanno dato onore e prestigio alla mia patria e, infine, neanche della mia sincera ricerca di una pacificazione. Così, ora, le febbri, che da giorni scuotono un corpo già duramente provato da anni difficili, mi conducono a passi lenti, ma inesorabili, verso una morte in terra amica, ma pur sempre straniera. L’ultima missione, un’ambasceria necessaria per evitare una guerra con Venezia che sarebbe stata fatale a Ravenna, lo è stata per me. Sulla strada del ritorno, le paludi di Comacchio, appena dopo quell’intricata rete di canali malsani che congiunge il Po all’Adriatico, mi hanno regalato una malattia senza scampo. Non potevo sottrarmi alla volontà di Guido
Novello, podestà di Ravenna, il quale, consapevole del valore che un letterato dona alla città che lo accoglie, con tanta generosità mi ha ospitato e regalato la stagione, seppur breve, meno difficile e amara del mio esilio. Qui ho trovato amici, ammiratori, discepoli, quasi tutti medici e notai, desiderosi di conoscere il mio pensiero e i miei scritti. Qui ho potuto riunire, grazie alla disponibilità di una casa, la mia famiglia: i miei figli Pietro, Jacopo, Antonia - di Giovanni non ho più notizie da tempo - e Gemma, mia moglie. Finalmente sono riuscito a riassaporare le gioie, il calore, l’affetto dei miei cari, tutte cose di cui mi ha privato per anni l’ostilità di certi concittadini. A Pietro, inoltre, è stato assegnato il rettorato di due chiese, un incarico i cui introiti hanno finalmente messo fine alle preoccupazioni economiche che hanno accompagnato il mio esilio. A Ravenna, città viva e cristiana, e al suo signore, un uomo che oltre all’autorevolezza del comandante mostra anche la sensibilità del poeta, non posso che essere riconoscente come un viaggiatore del deserto che dopo tanto vagare, prostrato dalla fatica e dalla sete, giunge in un’oasi dove può finalmente immergere il volto arso dal sole nelle fresche acque di una sorgente. Tuttavia, anche l’oasi più lussureggiante e rigogliosa non è mai paragonabile alla bellezza della patria, e la sua acqua non potrà mai dissetare al pari di quella delle fontane fiorentine. Per questo, nonostante il bene che mi circonda, il mio pensiero è rivolto sempre a Firenze, e la nostalgia delle sue strade, chiese, mercati, palazzi pubblici e dell’Arno forte e generoso, non mi ha mai abbandonato. Come non ha mai cessato di seguirmi il pensiero di Beatrice, quella tenera fanciulla, gentile e virtuosa come nessuna mai, che ha accompagnato, dal giorno in cui la vidi per la prima volta quand’ero anch’io fanciullo, i miei sogni di uomo e di poeta. Per questo ho deciso di destinare le ultime energie al racconto della mia vita, per non
dare ai miei nemici la possibilità di falsarla, di riempirla d’infamanti calunnie così come hanno fatto quando sono riusciti ad allontanarmi per sempre dalla mia città. Sarò sincero e severo con me stesso e confesserò anche ciò di cui oggi mi pento. E spero che i lettori di questi appunti autobiografici siano giovani anime non ancora corrotte, limpide e desiderose di conoscere la verità su di me, sui fatti che sconvolsero i miei tempi e la mia città. Metterò questi fogli in mezzo a quelli degli ultimi tredici canti del Paradiso, nasconderò tutto in una piccola finestra coperta da una stuoia di pelle, cosicché, quando questi scritti verranno ritrovati, chi vorrà portare a termine la lettura di tutta la Commedia, dovrà per forza ascoltare anche la voce dell’uomo che sono stato, oltre che quella della mia poesia.