PERCHÉ TROVIATE RICCARDO IN ESSE SANGALLI ROMPERE L’ATTIMO QUANTO VI OCCORRE Sara Campini . Luca Maestroni . Marta Pessoni Giulia Spreafico . Silvia Valenti . Andrea Villanis
12 | 20 GENNAIO 2013 Spazio Polaresco via del Polaresco 15 - 24129 Bergamo
Perché troviate in esse quanto vi occorre, una dichiarazione un poco altisonante in effetti. Uno slogan da quasi-propaganda, tanto presuntuoso da risultare poco credibile. Persino il registro pubblicitario percorre territori meno ambiziosi. Ma cosa ci possiamo aspettare se sono Sara Campini, Luca Maestroni, Marta Pessoni, Giulia Spreafico, Silvia Valenti e Andrea Villanis - segnatamente giovani artiste e un giovane artista - a prometterci la soddisfazione di quanto ci occorre? Se è l’arte ad avanzare questa promessa, in che termini siamo portati ad esercitare un legittimo sospetto? Questa mostra nasce programmaticamente attorno, dentro e fuori ad una scatola. Le condizioni di esistenza di una scatola che mi pare abbia senso analizzare per comprendere i lavori in mostra sono cinque: uno, la distinzione tra interno ed esterno; due, la condizione di essere all’interno della scatola; tre, la con-
dizione di essere all’esterno della scatola e sbirciare l’interno della scatola; quattro, il découpage della superficie della scatola; cinque, ogni tanto fare la polvere. Uno. Una scatola è innanzitutto una delimitazione dello spazio, una barriera che delimita interno ed esterno. La scelta di una scatola manifesta l’esigenza di definire un confine, un limite che – kantianamente - definisca il principio di conoscibilità di ciò che vi è contenuto. La prima esperienza di distinzione tra interno ed esterno la viviamo - letteralmente – sulla nostra pelle, differenziando tra ciò che è dentro e ciò che è fuori di noi: la prima boxlike experience è fare esperienza del proprio sé. La creazione del mondo inizia quindi da una separazione: da una parte gli oceani, dall’altra le terre emerse. La condizione successiva è decidere quale spazio abitare. Due. La condizione di essere all’interno della scatola. Essere
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all’interno della scatola è ignorare l’esistenza di uno spazio esterno, fare esperienza di un autismo autereferenziale completo: il mondo si esaurisce nel bozzolo che mi contiene. Una completa resa al mondo esterno o un invito transitorio a regredire alla condizione originaria del proprio sè [Muta, Giulia Spreafico]. Ma dentro al bozzolo non troviamo solo calma e silenzio. La scatola a volte è affollata, molto affollata. Metti ad esempio quattro persone in un cubo di poco più di un metro, le pelli devono fare i conti con quelle degli altri, strusciano. Lottano o forse si corteggiano. Stiamo guardano dentro ad una persona abitata da più personalità o dentro ad una casa abitata da più persone? Forse la risposta è irrilevante: l’inscatolamento è un fenomeno ricorsivo, data una scatola A è sempre possibile pensare una scatola B più grande, in grado di contenere la scatola A; e via di seguito con C > B [Ri-guarda, Silvia Valenti e Andrea Villanis].
Tre. In ogni caso – esclusi i suddetti fenomeni ricorsivi - se siamo dentro alla nostra scatola, siamo fuori dalle altre. Raramente abbiamo accesso diretto alle nudità degli interni altrui. Più spesso dobbiamo fare i conti con la selezione all’ingresso. Entrare nella scatola di qualcun’altro è un’impresa ambiziosa: a volte è l’impeto della passione, a volte è una dichiarazione di guerra. Più spesso ci tocca – o ci conviene - accontentarci di sbirciare dal di fuori quello che si muove oltre la soglia [Non plus ultra, Sara Campini]. Quattro. Praticato o negato che sia, Il contatto sociale e i rituali conseguenti, sono i protagonisti malcelati sotto il pretesto della scatola. Darsi al découpage vuol dire dedicarsi alla decorazione della propria interfaccia relazionale, nel senso più letterale del termine significa occuparsi di make-up. L’artificiosa grazia lenta di una geisha che esegue il proprio rituale di vestizione,
è l’estenuazione più raffinata del processo di costruzione sociale del sé. Ma se il travestitismo maschile si impadronisce di questa pratica non può che confonderne le acque. La superficie della scatola non è più un confine su cui poter fare affidamento, tra interno ed esterno c’è un’incomprensione che traspare in un trucco maldestro. La scatola dice biscotti ma dentro ci sono bottoni, di solito è una delusione, altre una piacevole sorpresa [Geisha, Luca Maestroni]. Cinque. La scatola è un dispositivo potente per relazionarci al mondo. Possiamo usarlo per chiuderci quello che ci pare, quello che accumuliamo vivendo, convinti che sia il modo migliore per ricordare. Ma la polvere smentisce le nostre buone intenzioni. La polvere che si accumula su pile di scatole è il segno della nostra scarsa predisposizione alla memoria. Ricordarsi ogni tanto di fare la polvere, oppure portare tutto in discarica [Inscatola-
menti di tempo perduto, Marta Pessoni]. C’è una vena intima e silenziosa che attraversa tutti i lavori in mostra. Interventi minimi, trattenuti sul crinale del poco o nulla. I fatti smentiscono la presunzione iniziale: quello che ci trovate è affar vostro, in fondo dipende da quello che cercate. Alla fine dei conti il titolo non prometteva nulla che non potesse mantenere. Daniele Maffeis
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IDOLO IN NAUFRAGIO Sara Campini. Videoinstallazione, 6’27’’, 2010.
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Una palpebra si apre e in un’iride convessa si riflette l’immagine. Una solida barca di creta bianca circonfusa di un alone nero giace sul fondo di un’ampolla di vetro. Il punto di vista è fisso, immobile. Niente distrae la nostra attenzione. Piccole bolle d’aria si sollevano dal fondo del recipiente. La barca è immersa nel cristallino liquido insapore, l’acqua. Acqua che s’insinua nei minuscoli interstizi dell’argilla, che impermeabile, resiste tenacemente all’aggressione. Progressivamente piccoli granuli di terra si staccano dalla massa modellata e cadono lentamente, sciogliendosi in polverulenta nebbia. È l’azione disgregatrice dell’elemento fluido, potenza discreta ma efficace che, in silenzio, aggredisce il materiale così coinvolto. Pesante e solida, la barca non galleggia, ma affonda come un relitto dimenticato nella sua completa solitudine. Infranta definitivamente, della forma originaria non rimane nulla, se non il ricordo di come era prima che
l’acqua la danneggiasse. Ricostruirla nuovamente non sarebbe possibile, poiché alcuna parte si è mantenuta integra. Forse una perfetta copia o una differente barca è concepibile, costituita dal medesimo materiale disciolto, della stessa essenza dunque, ma diversa nella storia. Distruzione non radicale allora, ma cambiamento costante e incessante di cui l’acqua è portavoce. Elemento vitale, accoglie nel suo ambiente e allo stesso tempo muta lo stato delle cose. Non si tratta di una distruzione definitiva; è piuttosto una parte di percorso che termina, nella cui fine, è l’inizio. Idolo, come certezza e dato di fatto. Naufragio, come disgregazione di tale certezza. Ma niente è perduto: è soltanto mutato.
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IPNOGRAMMA Giulia Spreafico. Videoproiezione, 5’18’’, 2012.
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Il disegno è una forma mentale, un tentativo di rappresentare, schematizzare e raffigurare cose e processi che altrimenti rimarrebbero oscuri. E cosa c’è di più confuso, di più incomprensibile per la mente umana del sonno? Il passaggio dalla veglia al sonno richiede l’abbandono di ogni certezza, di ogni controllo sui propri pensieri. La mente attraversa varie fasi, il succedersi delle quali dà vita agli Ipnogrammi, segni per l’appunto, che raffigurano l’attività inconscia della mente. Il movimento degli occhi oscilla da lento a quasi assente, per poi riattivarsi in modo frenetico nella fase dei sogni, la fase REM. Il video cerca di tracciare una struttura del sonno fino ad arrivare al sogno più intimo e febbrile. La materia impalpabile diviene visibile in una boccia di vetro: cresce e dà forma a castelli di albume.
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TELEPOLVERIZZAZIONE Marta Pessoni. Stampa digitale, 2012.
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Su uno dei simboli della modernità, il televisore, appare nella polvere depositatasi sullo schermo un quadro di Baschenis. La polvere, che nei suoi quadri trova spazio sugli strumenti, simbolo della vanitas, della caducità della vita umana, dell’inconsistenza di ogni cosa terrena, sul televisore riesprime i medesimi concetti rifacendosi all’idea del mezzo televisivo che per eccellenza mostra l’inconsistenza delle cose e soprattutto delle immagini terrene che esso normalmente veicola. Inoltre di per sé la polvere è esposta al mutamento inesorabile e solo attraverso il congelamento, per Baschenis con un dipinto, per me con la fotografia si può comprendere questa caducità.
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NARRAZIONI VARIE ED EVENTUALI Marta Pessoni. Fogli di carta, filo cucito, 2012.
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Non si sa da dove vengano le cicogne della leggenda, né da dove vengano i bambini o le storie che raccontano. La cicogna non fa, ma porta, trasporta, tramanda. All’interno del grande sacco sorretto dal suo becco tutto può essere, tutto può accadere, tutto può essere narrato. In quel sacco possono essere palesate le possibilità di una vita, le sfumature di grigio di un’esistenza. Delle mani reggono ago e fili, pronte a cucire: se fosse questa la vera strada? La cicogna la trasporta in attesa di depositarla e far si che da immagine diventi storia, la storia della vita di qualcuno.
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LA MUTA Giulia Spreafico. Serie di 7 stampe mute su carta, 35x35 cm cad, 2012.
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Senza tempo, senza voce, racchiusa in uno spazio aperto, bianco. Una zona franca dove non ci sono strade da prendere, dove non ci sono decisioni, indicazioni o compromessi da accettare. L’unica presenza è un segno che impressiona il foglio, un segno che parla senza dover dire niente. Un involucro che cambia forma e racchiude un cuore in divenire, in silenzio. Tutto accadrà , non qui, non oggi.
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CAPACITTÀ Silvia Valenti. Progetto fotografico di 27 fotografie 9x14 cm su Moleskine - album giapponese, 2011.
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Dio non è unico, come potrei esserlo io? (F. Pessoa) Ho scoperto nei Cubi uno spazio mentale in cui è possibile catalogare e ordinare pensieri di ogni sorta. Nessuno può vedere al loro interno. Solo io. Una porta per ogni luogo di me. Una casa per ogni Me che mi abita. Tutti i me che mi abitano.
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TRAS’ VIR’ Andrea Villanis. Stampe fotografiche su dibond, 75x41.8 cm, 2011.
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Un invito alla relazione tra “ciò che si vede dal di fuori” e la visuale che ti offre il “dentro”.
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NON PLUS ULTRA Sara Campini. Videoproiezione, 2’27’’, 2010.
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Una sottile linea di luce orizzontale è l’unica cosa che si vede in questo video. La nostra attenzione è concentrata su quel singolo spiraglio, accenno di un mondo che però possiamo solo immaginare dato il poco spazio che ci viene dato per sbirciarlo. Qualcosa al di là del limite visivo che ci viene posto si muove, vive, lo capiamo perché lo spiraglio di luce si oscura in alcune parti e in altre rimane immutato. È il presagio di una presenza umana che però non viene mai palesato, proprio come il mondo di cui fa parte, ci vengono dati pochi dettagli. Dall’altra parte un’altra presenza spia ciò che succede di là. Tenta di capire cosa può esserci. Non plus ultra come impossibilità di andare oltre, di superare quell’ostacolo che pregiudica il contatto con chi c’è al di là della porta. Ognuno nella propria solitudine può solo spiare attraverso quel flebile spiraglio. Ma niente di più.
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RI-GUARDA Silvia Valenti e Andrea Villanis. Videoproiezione, 4’22’’, 2010.
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Il lavoro parte da una ricerca sullo “sguardo”. Il video viaggia su due ordini di livello: da un lato abbiamo l’azione di quattro performers nudi all’interno di un cubo; il secondo è l’azione di un quinto performer, la cui azione è al di fuori di ciò che allo spettatore è concesso guardare che lo influenza in modo totale. Tu puoi guardare solo attraverso il quinto performer. “Io guardo. Io sono come guardo. Io sono dove guardo. Io sono quello che guardo. Passo e resto come l’universo”.
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INSCATOLAMENTI DI TEMPO PERDUTO Marta Pessoni. Scatole di varie misure, stampe fotografiche, 2012.
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L’impronta creata da un oggetto sul fondo di una scatola impolverata produce lo stesso effetto che la madeleine ha prodotto su Proust. Un’impronta si erge a rivelatrice di ricordi, l’assenza dell’oggetto porta a colmarne il vuoto con le proprie immagini, con il proprio vissuto. Queste immagini nascono da una malinconica ricerca di sè attraverso quegli oggetti rivelatori, che mostrandosi solo come impronte, permettono di colmare il vuoto creato dalla loro assenza con il ricordo legato alla loro presenza. Il fondo della scatola però non contiene la polvere, bensì ne contiene l’impronta fotografica. Questo livello aggiunto ci distanzia dal ricordo proprio come accade nella mente che ci permette di attingere ai suoi archivi solo passando tra vari strati.
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GEISHA Luca Maestroni. Performance, 20’, 2012.
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L’azione teatrale, ovvero rituale, che chiude l’inaugurazione, si presenta in un quadrato di luce, contorno netto e impalpabile. Al suo interno un uomo, accompagnato da una voce registrata, pian piano si trasforma, vestendo i panni di una geisha. La voce parla del significato dell’azione dell’inscatolare/imballare. Le parole sono quelle di Tadeusz Kantor: il Manifesto degli imballaggi. La scatola con un “interno” vivente, umano, è già un puro atto rituale liberato da ogni simbologia: un atto puro, fatto con ostentazione. L’azione stessa dell’impacchettare/inscatolare nasconde in sé un bisogno molto umano: il forte desiderio di conservare, isolare, durare e, insieme, suggerisce un forte gusto per ciò che non si conosce e che appare misterioso. Quando si vuole trasmettere qualcosa di importante, di essenziale, che è proprio nostro; quando si desidera preservare, fissare, sfuggire al tempo, fare in modo che qualcosa duri; quando si desidera
occultare, difendere contro l’ingerenza, l’ignoranza, la volgarità la propria trasformazione, ecco che compare un rituale di inscatolamento. In fondo cosa sono il teatro e l’arte, se non delle grandi scatole che ordinano il nostro sguardo sul reale?
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Sara Campini Nata a Alzano Lombardo il 30 agosto 1989, ha conseguito il Diploma presso il Liceo Artistico Statale di Bergamo nel 2009 e frequenta attualmente il corso di Pittura presso l’Accademia Carrara di Belle Arti di Bergamo. Ha partecipato a diverse mostre collettive, tra le quali Settimanale #6, Viamoronisedici, Bergamo 2012, Fuori dalla Gabbia di Faraday, Viafarini, Milano, 2012 e In somniis video, Almenno San Bartolomeo, 2012.
Luca Maestroni Nato a Bergamo il 19 marzo 1990, ha conseguito il diploma di Liceo Artistico a Bergamo. Frequenta attualmente il corso di Pittura presso l’Accademia Carrara di Belle Arti di Bergamo. Ha partecipato ad alcune mostre collettive tra le quali: Fuori dalla Gabbia di Faraday, Viafarini, Milano, 2012; Settimanale #6, Viamoronisedici, Bergamo, 2012; Museum, Accademia Carrara, Bergamo, 2012; Sul limite,Traffic Gallery, Bergamo, 2010.
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Marta Pessoni Nata a Bergamo il 21 dicembre 1990, ha conseguito il Diploma presso il Liceo Artistico Statale di Bergamo nel 2009 e frequenta il corso di Pittura presso l’Accademia Carrara di Belle Arti di Bergamo. Ha partecipato ad alcune mostre collettive tra le quali: Fuori dalla Gabbia di Faraday, Viafarini, Milano, 2012; Settimanale #6, Viamoronisedici, Bergamo, 2012; Museum, Accademia Carrara, Bergamo, 2012; Sul limite,Traffic Gallery, Bergamo, 2010 .
Giulia Spreafico Nata a Lecco il 29 gennaio 1990, ha conseguito nel 2009 il Diploma di Liceo Linguistico G. Bertacchi di Lecco nel 2009 e frequenta attualmente il corso di Pittura presso l’Accademia Carrara di Belle Arti di Bergamo. Ha partecipato ad alcune mostre collettive tra le quali: Fuori dalla Gabbia di Faraday, Viafarini, Milano, 2012; Settimanale #6, Viamoronisedici, Bergamo, 2012; Museum, Accademia Carrara, Bergamo, 2012; Settima edizione di ArteImpresa, Accademia Carrara di Belle Arti Bergamo 2011.
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Silvia Valenti Nata a Bergamo il 14 dicembre 1973 e frequenta attualmente il corso di Pittura presso l’Accademia Carrara di Belle Arti di Bergamo. Vincitrice del primo premio, sezione video, al concorso Acqua: confini invisibili, Bergamo, 2010. Ha partecipato alla settima edizione di ArteImpresa, Accademia Carrara di Belle Arti, Bergamo 2011.
Andrea Villanis Nata a Napoli il 17 giugno 1985, ha conseguito la laurea magistrale in Filologia moderna presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore (2012). Frequenta attualmente i corsi di Pittura e Fotografia presso l’Accademia Carrara di Belle Arti di Bergamo. Ha scritto presso la rivista specializzata di fotografia FOTOgraphia (MI) a cura di Maurizio Rebuzzini. Ha lavorato come pedagoga e attrice teatrale presso il Teatro dei Sassi di Matera e il Laboratorio365 di Gubbio. Ha partecipato agli spettacoli A-Mor ( Teatro dei Sassi - 2004), La villa di Cotrone (Teatro dei Sassi- 2007 ) e Famiglia (laboratorio365 - 2009).
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