Conversation 1 Meeting Giulia Cenci

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CONVERSATION 1

MEETING GIULIA CENCI


THE BLANK CONVERSATIONS, A COMBINED PROJECT THAT INCLUDES ARTISTS’ RESIDENCIES, PUBLICATIONS AND PHOTOGRAPHY TO CREATE A NEW MODE TO COMMUNICATE CONTEMPORARY ART IN AN EASIEST AND MOST SPONTANEOUS WAY. Printed in May 2014 Texts by Stefano Raimondi e Claudia Santeroni Photography Maria Zanchi e Marta Bassanelli Graphic Design Elisabetta Brignoli Press Office Letizia Ferrari Print Lubrina Editore A project by The Blank, Bergamo Contemporary Art

Thanks to Marta Bassanelli, Ornella Bramani, Elisabetta Brignoli, Paolo Faccini, Letizia Ferrari, Gabriele Ferro, Loris Ferro, Oscar Giaconia, Daniele Maffeis, Alessia Maggiano, Simone Menegoi, Anna Nüsperli, Matteo Piccoli, Polly, Eleonora Quadri, Stefano Raimondi, Olga Vanoncini, Maria Zanchi.


April 1-4, 2014

MEETING GIULIA CENCI CURATED BY CLAUDIA SANTERONI


PIÙ O MENO CONVERSATION Un’introduzione informale di Stefano Raimondi

Se tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, tra la parola e il testo c’è di mezzo Conversation, che più o meno tutti sappiamo essere “una chiacchierata informale che coinvolge due persone o un piccolo gruppo di persone”. Informale come i progetti che The Blank realizza con gli artisti, e di cui questa serie di conversazioni fa parte, informale come l’Informale che negli Anni Sessanta era in polemica con tutto e tutti, dalla forma alla conoscenza razionale che ne derivava. Più o meno irrazionale quindi; d’altronde qualcosa alla ragione deve sfuggire nel passaggio tra la chiacchierata, ossia la parola, e il testo, ossia questo piccolo libro che condensa i quattro giorni passati a Bergamo da Giulia Cenci, nell’informale tenuta a calzoni optical bianchi e neri, nell’ irrazionale residenza anni Sessanta di The Blank, ma anche in giro per la città, tra piscine e salotti belli, dove, non fosse altro per gli specchi, i punti di vista si inclinano, le conversation si fanno più nobili, e dalle parole nasce più o meno il testo.

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MORE OR LESS CONVERSATION An informal introduction by Stefano Raimondi

If it’s easier said than done, between the word and the text there is Conversation, that more or less all know to be “an informal chat that involves two people or a small group of people” . Informal, such as projects that The Blank undertook with the artists, and which is part of this series of conversations, informal like the Informal Art than in the Sixties was in polemical against everything and everyone, from the shape to rational knowledge that it entailed. More or less irrational; indeed something to reason must escape in the transition between chat, that is the word, and the text, that this little book that condenses the past four days in Bergamo by Giulia Cenci, in the informal optical trousers white and black, in the irrational sixties residence of the Blank, but also around the city, including swimming pools and beautiful lounges, where, if it were not for the mirrors, point of views tilt, the conversation became more noble, and from the words the text is born.

Ah, this shot is by Maria Zanchi and not by Alain Resnais, and is made in Bergamo and not at Marienbad and dialogues are by Claudia Santeroni and not by Alain Robbe-Grillet

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“… c’è stato un periodo in cui sognavo pianeti che mi arrivavano addosso. Ancora oggi, se vedo la Luna troppo rossa, inizio ad angosciarmi. Credo dipenda dal fatto che sono di campagna: sono cresciuta in un posto dove tutte le notti fai i conti con il cielo. Camminando per strada non mi chiedo cosa sia un lampione, ma quando guardo il cielo mi interrogo su cosa siano le stelle” Di recente, un mio amico curatore mi ha raccontato essergli stato domandato: “Ma cosa è, un curatore?” Sul momento, ho sorriso dell’aneddoto, ma la questione ha poi iniziato a preoccuparmi. Dal dizionario, apprendiamo che curatore è colui che: “ha il compito di curare l’esecuzione o realizzazione di un’impresa, di un’iniziativa; chi cura l’edizione o la riedizione di un’opera. Nel diritto, chi ha l’incarico di assistere qualcuno, ovvero custodire, sorvegliare o amministrare qualche cosa”. Se io dovessi scegliere la mia definizione di curatore, o meglio, cosa significa per me pensarmi come una curatrice, opterei per una versione più simile a quella suggerita dal nostro diritto. Per me, significa prendermi cura di qualcosa, come anche di qualcuno. Non posso lavorare con artisti dei quali non apprezzo la compagnia, anche in situazioni che apparentemente esulano dal contesto più strettamente professionale. Ho amato stare insieme a Giulia mentre passeggiavamo per le vie di Città Alta, soprattutto quando si è emozionata alla vista di una pozzanghera, allo stesso modo in cui amo Notturno2. Mi entusiasma che nel suo ricordo della caduta delle Twin Towers sia presente il panorama della finestra della sua casa, che faceva da sfondo alla visione del televisore, così come adoro sentirle raccontare come la poesia di Eugenio Montale e la lettura di Marc Augè l’abbiano influenzata. 06


I registri delle relazioni umane si sovrappongono, impedendo a chi è coinvolto da qualcosa o qualcuno di incasellare le proprie emozioni, come si trattasse di uno schedario, ma favorendo una con-fusione. E poi, perché mai qualcuno si dovrebbe curare di qualcun altro? Per amore, è l’unica risposta che mi viene da dare. Amore nei confronti d’una persona, certo, ma anche d’una situazione, che ha causato sensazioni tanto belle, che si desidera condividerle. Ecco perché faccio la curatrice: per dare l’opportunità agli altri di innamorarsi. In inglese mi piace di più: “fall in love with a situation”. Perchè si cade, innamorati. Un incidente di percorso, un incantevole imprevisto, da cui ti rialzerai diverso da prima. Se è vero che gli artisti non sono esseri inavvicinabili o per forza personaggi eccentrici, è altrettanto vero che sono creature straordinarie. Hanno, ai miei occhi, la capacità di vivere un po’ al di qua, un po’ al di là dello specchio, in una perenne sospensione che permette loro di cogliere gli aspetti più sottili delle nostre esistenze, rendendole meravigliose attraverso la loro sensibilità. È una facoltà che, fondamentalmente, possiedono tutti, soprattutto quando si è piccoli, ma solo casi eccezionali la conservano col trascorrere del tempo. Giulia Cenci and Claudia Santeroni Photo by Maria Zanchi


Ed è così che una boa diventa una luna caduta, il muro di un magazzino un paesaggio, l’ombra d’una finestra acquista plasticità, una lampada genera un’eclissi. È la dimensione magica di PianoB/7morsetti: può accadere, o forse no, ma l’incanto risiede nella sospensione del dubbio. Un momento in potenza fuori dal tempo, in cui è radicata l’attitudine degli artisti di vedere al di là di quanto ci attornia, senza per questo alterarlo. Il lavoro di Giulia Cenci ha a che fare, fra l’altro, con lo spazio, la luce e il silenzio. Un lavoro preciso e pulito, che in qualche modo contrasta, equilibrandosi, con la grande carica vitale della sua autrice. Quando era piccola Giulia andava a messa con i suoi genitori, ed è stato in quei momenti che, fra le prime volte, ha subito la fascinazione sia per l’immagine di ciò che non si è mai visto sia per la riflessione su quanto non possiamo conoscere. In tutta la ricerca aleggia attenzione per ciò che è destinato a scomparire, quello che si sta per perdere, malinconia per la connotazione temporale. “l’arte ha questo modo di stupire attraverso piccoli giochi, raffinatezze che mai ti potresti aspettare da cose che appaiono innocue, così silenziose” Forse è per questo che i suoi lavori appaiono appartenere ad una dimensione altra, in cui il tempo scorre diversamente o dove è addirittura sospeso, come in un incantesimo, in cui la luce diventa un vestito per la realtà, che ce la restituisce uguale, ma diversa da come l’abbiamo sempre vista. Uno dei primi lavori che produce in Accademia sono dei disegni fatti con matite colorate, ripetuti migliaia di volte sul foglio e si-

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stematicamente cancellati, fino a saturare la carta. Tutti disegni di volti di persone scomparse, o di architetture non più esistenti. Ricorda un viaggio a New York, che fece quando era così piccola da non avere il permesso per entrare in alcuni locali. Spende il suo soggiorno fra musei e gallerie, vede per la prima volta Vermeer e conosce l’opera di Gordon Matta-Clark. “… al viaggio, ha seguito un periodo di riflessione in cui ho capito che per me è importante incastrare la mia osservazione della realtà all’interno della realtà stessa” Nasce PianoB/7 morsetti, a seguito di un workshop organizzato a Foligno. A ogni partecipante è richiesto di realizzare un lavoro, e lo sguardo di Giulia si rivolge a una casa abbandonata a seguito del terremoto. La famiglia era scappata dall’abitazione, e lo spazio era rimasto immobile, come ad aspettare il ritorno dei suoi inquilini. Bicchieri sopra il tavolo, mazzi di chiavi sopra il frigorifero: lo spazio era costellato di segnali d’assenza e d’attesa. Per suggellare questa condizione d’equilibrio precario, l’artista sceglie di le-

PianoB/7morsetti, 2011 house within which an earthquake occurred, nylon cordstraps, seven inox claps. Art Park of Cancelli, Foligno


See you (Background), 2013 windows, brickwork, plaster variable size. Installation view at Augusta Gallery, Suomenlinna, Helsinki, Finland


gare i mobili con delle cinghie, le stesse che vengono utilizzate per bloccare le case terremotate quando sono pericolanti. “… uno degli aspetti più rilevanti è stato il contatto con le persone del posto. Avevano conservato varie rabbie, tristezze, diverse attitudini al ricordo. La cosa bella dell’arrivare in un luogo senza aver fatto parte della sua storia, è che ti devi basare sui racconti altrui … quasi sempre fantastici” See you (background) è il lavoro creato alla Augusta Gallery, che ha la sua sede a Suomenlinna, fortezza marina al largo di Helsinki. Benché voluta dal governo per proteggere il Paese contro l’espansionismo russo, durante la Guerra di Finlandia la fortezza si arrese all’esercito nemico senza opporre resistenza. Giulia riflette su come l’isola sia stata “mimetizzata”: le colline viste da una determinata prospettiva si rivelano dei bunker. La realizzazione dell’intero progetto dell’isola-bunker, avanguardistico all’epoca della sua creazione, si trasformò in un colossale fallimento. Ed è così che See you (background) oscura la vista delle finestre della galleria, dalle quali non si sarebbe comunque potuto vedere il mare, perché coperto dalle finte colline. L’immaginario collettivo dimentica facilmente il sottofondo storico del lavoro, per ancorarsi al presente: ogni inverno la neve cade così alta da occludere completamente la visuale, trasportando gli spazi all’interno di dimensioni ovattate, simili a quelle prodotte dal lavoro. Fra tutti i lavori di cui abbiamo parlato, Notturno2 mi è rimasto particolarmente nel cuore. Giulia partecipa a “Corso Aperto” della Fondazione Ratti nel 2011, quando l’artista invitata è Liliana Moro. È lei a chiedere ai partecipanti di creare un’opera che dialoghi con lo spazio che ospita la Fondazione, la città di Como. 11


Suggestionata dalle letture del periodo e dalla riflessione su cosa significhi “fallimento”, sottotesto di tutta la sua ricerca, impressionata dal pittoresco contesto che la circonda, la mente di Giulia idea Notturno2, opera in cui convergono ansia per il destino dell’Universo e una profonda osservazione dell’artificialità. La città che si riflette nel lago, dove tutto accade due volte, è la location ideale in cui ambientare la caduta della Luna, oscurata dalla luce artificiale e dalla luce del suo stesso riflesso. Introducendosi furtivamente nel paesaggio, la boa-luna viene collocata strategicamente al convergere di due montagne e si rivela con il calare del Sole, ingannando tutto il giorno lo sguardo perché “elemento marino” tipico della visione ordinaria. Concependo lo stesso spazio come scultura preesistente, per un periodo Giulia sceglie di non creare sculture autonome, ma protesi, allegati di quanto già è dato. Ed è così che a Casa Bianca prende vita Fino quasi la fine, sorta di bassorilievo animatosi dall’ombra della finestra. Fino quasi la fine, 2012 projection of light from the window at 4.15 pm, wood, glass, handle, latches. Casabianca, Bologna


L’attenzione allo spazio e la volontà di inserire il proprio sguardo al suo interno, senza alterarlo, ma intervenendo silenziosamente, si riflette in Halfground, opera creata per il project space della galleria SpazioA. Giulia racconta d’aver chiesto esplicitamente che il luogo non venisse restaurato prima del suo intervento, perché affascinata dalla geologia dello spazio di questo ex-magazzino, in cui erano state stipate centinaia di opere, delle quali erano visibili le impronte, oltre a fori e striature del muro. Attraverso una luce radente che accarezza la superficie, l’artista ne ha rilevato la storia, restituendo all’occhio i segni del tempo che vi si sono depositati. Mi piace pensare all’arte contemporanea come un paradosso della nostra epoca. In un tempo in cui non si ha tempo per nulla o, quando se ne ha, se ne ha poco e rigorosamente scandito, l’arte contemporanea fa eccezione, richiedendone. Non tempo per essere compresa, ovvero contenuta in uno pseudo-significato univoco, sequestrata in una definizione, ma tempo per coinvolgerci, abbracciarci. Ecco perché lo spazio delle fiere poco si confà a questa dimensione morbida. Anche Giulia Cenci ha riflettuto su questo, quando ha creato If you want me again look for me under your boot-sole, realizzato per animare lo stand della sua galleria ad Artissima. Auto, gioielli, mobili: esposizione dopo esposizione affollano lo spazio della fiera, destinato a essere transitato senza essere vissuto, dimenticato in fretta così quanto è breve il tempo in cui viene abitato. Uno spazio organizzato per ospitare una successione di eventi non memorabili. Concepisce un pavimento d’argilla fresca -materiale in potenza, passibile di deformazioni che ne modellano la storia- e permette agli spettatori di calpestarlo, utilizzandolo ma al contempo di-

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If you want me again look for me under your boot-soles, 2013 exhibition view at Artissima, 2013 Present Future

struggendolo e segnandolo. Così facendo, permette il determinarsi della memoria di un luogo progettato per non averla. Un lavoro legato alla “forma dell’arte”: una forma che si potenzia divenendo informe, travalicando i suoi limiti. L’ultimo lavoro di cui desidero parlare, è Grigio Bagnato, realizzato a Interno4. Opera liquida, che è presente in tutto lo spazio che la ospita, contemporaneamente senza esserci. Tutta la casa è appoggiata su uno degli oggetti più fragili che contiene, i bicchieri di vetro. Sollevata dal trasparente. L’intera struttura è resa precaria, assente da se stessa perché inservibile, come stregata, un po’ come quando noi ci incantiamo, persi dietro a un nostro pensiero, che ci trasporta lontano da dove sembriamo essere. Giulia Cenci ha 24 anni, e il suo lavoro è in trasformazione. Oggi sta lavorando su oggetti di uso quotidiano, pensati come delle sculture, alterati da tutte le mani che li hanno toccati. Rimugina costantemente su quale sia il suo segno, cosa sarebbe il suo lavoro senza lo spazio architettonico, se è ancora convinta delle opere che ha fatto, riflette se dedicarsi a dimensioni più piccole. Questo continuo ripensare, ritornare su quanto è stato fatto, è incredi-

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bilmente bello. Lo struggimento dell’artista che si interroga sul proprio operato si riverbera in quesiti universali che riguardano ognuno di noi. Anche io mi chiedo sempre se ho agito bene, se mi sono sbagliata, se ho preso un abbaglio, se quello che ho visto è un miraggio o davvero ci può essere qualcosa di tanto stupefacente. Ho cristallizzato il tempo delle nostre conversazioni in un racconto che non si potrà più cancellare, per condividere un momento della mia storia che ho pensato potesse essere importante per altri. Quando lo permetti, la conoscenza di cose e persone ti attraversa, trasformando il tuo modo di vedere il mondo. Cosa è il fantasma di un bicchiere?

Grigio bagnato, 2013 glasses, furniture. Exhibition view at INTERNO 4, Bologna


“… there was a time when i dreamed planets would fall on me. Even today, if a see a really red moon, I began to get anxious. I think, because I’m from the countryside. I was brought up in a place where every night you reflect on the sky. Walking along the street I don’t ask myself what a streetlight is, but when I look at the sky I ask myself what the stars are” Recently, my curator friend told me that somebody else asked him: “What is a curator?” At that moment, I smiled at the anecdote, but then the questions made me think. According to the dictionary, the curator is one who “has the duty to supervise the execution or implementation of an enterprise, initiative; who takes care of the issue or reissue of a work. By law, who is in charge of assisting someone, looking after, supervising or administering something” If I had to choose my own definition of curator, or better still, how I would see myself as a curator, I would opt for a more similar version than that suggested in our rule. For me, it means taking care of something, or also of someone. I can’t work with artists with whom I don’t get on, also in situations outside of the professional context. I loved spending time with Giulia while we walked through the streets of Città Alta, especially when she was excited to see a puddle, in the same way that I love Notturno2. I was interested to hear her recall the fall of the Twin Towers which was a part of the view from the window of her house as it was the background behind the tv. Like this I love to hear her speak about the poetry of Eugenio Montale and the writing of Marc Augé which have influenced her. The levels of human relationships overlap, preventing those who are involved with something or someone to pigeonhole their 16


emotions, as if they were a file, but helps to create a fusion. And also, why would somebody want to keep somebody else? For the love of it, is the only answer that come to mind. Admiration for a person, of course, and also for a situation, caused wonderful sensation that you want to share. For this reason, I’m a curator: to give the opportunity to the others to fall in love. The English phrase “fall in love with a situation” is better: because you FALL, in love. An accident, something charming and unexpected, that gives you a different mindset. If it is true that artists are not unapproachable or indeed eccentric characters, at the same time is true that they are extraordinary beings. In my opinion they have the capacity to live on both sides of the mirror, in a perpetual suspension that allows them to capture the more subtle aspects of our lives, making them wonderful through their sensitivity. It is a skill that, fundamentally, everybody has, especially when we are children, but only in exceptional cases is possible to conserve it with time. It is, in this way, that a buoy becomes a falling moon, the wall of a warehouse becomes a landscape, the shadow of a window gains plasticity, a lamp creates an eclipse. The magic dimension of PianoB/7morsetti: may happen, or not, but the charm lies in the suspension of disbelief. A potential moment outside of time, from which the artists’ attitude to see beyond what surrounds us, without altering it. The work of Giulia Cenci talks about space, light and silence. A clear and precise work which in some way contrasts and balances with the great vitality of its artist. When she was young Giulia went to mass with her parents, and it was in those moments that, for the first time, she becomes fas17


cinated with images that we can never see and make us reflect about what we can’t know. Throughout the research hovers attention to what is destined to disappear, what you are going to lose, melancholy for the time connotation. “art has this way of surprise through small games, refinements that ever you would expect from things that appear harmless, so silent” Maybe that’s why her works appear to belong to another dimension, where time flows differently, or even where it is suspended, like a spell, in which the light becomes a dress for the reality, which returns it as the same, but different from what we have always seen it. PlanB/7 morsetti arises following a workshop held in Foligno. Each participant is required to realize a job, and Giulia’s eye turns to an abandoned house after the earthquake. The family had run away from home, and the space had remained motionless, as if waiting for the return of his occupants. Glasses on the table, sets of keys on the fridge: the space was dotted with signs of absence and expectaction. To seal this condition of unstable equilibrium, the artist chooses to tie the furniture with straps, the same that are used to block the quake-hit homes when they are unsafe. “... one of the most significant issues was the contact with the locals. They had kept various angers, sadnesses, different attitudes to remember. The nice thing about arriving in a place without having been part of its history, is that you must find out the stories of others ... almost always fantastic “ Of all the work we’ve talked about, I am particularly fond of Notturno2.

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Notturno2, 2012 white buoy illuminated, anchor, landscape. Lake of Como, Fondazione Antonio Ratti, Como


Giulia joins “Corso Aperto” at Ratti Foundation in 2011, when the visiting artist is Liliana Moro. She asked the participants to create a work that dialogues with the space that houses the Foundation, the city of Como. Influenced by the readings of the period and the reflections on what “failure” means, the subtext of all her research, impressed by the picturesque environment that surrounds her, the mind of Giulia conceives Notturno2, a work in which anxiety for the fate of the universe and a deep observation of artificiality converge. The city that is reflected in the lake, where everything happens twice, it’s the ideal location in which the fall of the Moon is set, obscured by artificial light and by the light of its own reflection. Breaking slyly into the landscape, the buoy-moon is strategically located at the convergence of two mountains and is revealed with the sunset, tricking the eye all day as “marine element” typical of ordinary vision. Conceiving the same space as pre-existing sculpture, for a period Giulia choose not to create autonomous sculptures, but prosthesis, attached to what is already given. And so at Casa Bianca comes to life Fino quasi la fine, a sort of bas-relief animated by the shadow of the window. The last work I would like to mention is Grigio Bagnato, realized at Interno4. Liquid work, which is present in all the space that houses it, and at the same which is not present. The whole house is resting on one of the most fragile objects that it contains, the glasses. Lifted by the transparent. The entire structure is made precarious, absent from herself because useless, as haunted, a bit like when we are enchanted, lost behind our one of our thoughts, which takes us away from where we seem to be. Giulia Cenci is 24 years old, and her work is in transformation. To20


day she is working on everyday objects, designed as sculptures, altered by all the hands that touched them. She constantly broods on what is her sign, what would her work be without architectural space, if she is still convinced of the works she has done, she reflects on whether concentrate on the smaller size. This continual rethinking, returning on what has been done, is incredibly beautiful. The yearning of the artist who is uncertain about her work is reflected in the universal questions that concern us all. I also always wonder if I have done well, if I’m wrong, if I made a mistake, if what I saw was a mirage or indeed something so amazing. I crystallized the time of our conversations in a story that you can no longer cancel, to share a moment of my story that I thought it would be important to others. When you allow it, the knowledge of things and people goes through you, transforming the way you see the world. What is the ghost of a glass? Giulia Cenci Photo by Marta Bassanelli


Giulia Cenci and Claudia Santeroni Photo by Marta Bassanelli


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Giulia Cenci è nata a Cortona (Ar) nel 1988. Si è laureata all’Accademia di Belle Arti di Bologna e sta attualmente frequentando un Master of Fine Art alla St. Joost Academy, Breda. È una delle fondatrici di INTERNO4, Bologna, un progetto che promuove il lavoro di giovani artisti italiani e stranieri. Attualmente vive e lavora a Hertogenbosch, Olanda.

Giulia Cenci was born in Cortona (Ar) in 1988. She graduated at the Academy of Fine Arts in Bologna and she’s currently attending a MFA at St. Joost Academy, Breda. She’s one of the founder of INTERNO 4, Bologna, a project that promotes young italian and international artists. The artist lives and works in Hertogenbosch, Netherland. SOLO EXHIBITIONS 2013 Default. Curated by Antonio Grulli, Gaff, Milano Halfground, NextSpazioA, Galleria SpazioA, Pistoia 2011 Tutto quello che non riesco a dirti. Project curated by Lelio Aiello, Y’art Project, Bologna ISBN 978 88 7766 502 7


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