semplici
quotidiani
reminescenze alimentari
anonimi
semplicità sospesa per un attimo ritrovato che non ha nome
Un rituale che ci accomuna tutti, un atto necessario e attorno al quale nascono, crescono e si formano tutte le culture. Tradizioni e momenti di ritrovo di famiglia oppure piccoli e brevi momenti in mezzo ad una vita frenetica, questo è il mangiare, il sedersi un attimo oppure per ore, ritrovare le energie, ricaricarsi, pensare e ritrovare se stessi. Nella vita di oggi, sempre più veloce e piena di impegni è però difficile assaporare questo momento in tranquillità, magari in un’atmosfera rilassante e silenziosa, approfittare di quel poco tempo per concentrarci su quello che stiamo mangiando, sul rituale che sempre è stato e riflettere tutto ciò nella nostra stessa vita. Molto spesso non prepariamo nemmeno più ciò che poi mangiamo, non abbiamo tempo, né voglia, e così perdiamo qualcosa e l’esperienza stessa di questo momento ci scivola accanto, negata, un po’ come la vita stessa, nella velocità e nella frenesia ci scivola via, senza nemmeno rendercene conto.
abstract
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Oggetti, cose, strumenti. Tre oggetti essenziali che rispecchiano l’atto di mangiare nella sua preparazione e nella sua consumazione, ma che riflettono uno modo di vedere e di vivere lento e pieno in ogni attimo. Legno e marmo, materiali caldi e naturali, fatti e nati dalla terra, dove la trasformazione umana è minima ed essenziale. Oggetti intimi e quotidiani che scompaiono dalle nostre menti quando non ci servono, ma che sono sempre presenti in modo discreto. Oggetti materiali pronti a smaterializzarsi, fatti di forme semplici e modeste, ma che trasmettono in modo impercettibile sensazioni tattili che ci avvolgono e ci proteggono. Oggetti che tocchiamo e che respirano, e che non hanno designer, progettisti, ideatori.
Prendiamo il sentiero paludoso per arrivare alle nuvole Matsuo Basho (1644 – 1694)
Leggerezza, essenzialità e quasi banalità. Forme che rispecchiano la natura e nulla di più. Il tempo si dilata e richiede tutto il suo spazio.
bacchette giapponesi
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Lo strumento si fa portavoce stesso di un modo di mangiare lento che richiede concentrazione sull’attimo stesso.
Il tempo è sospeso, richiede concentrazione e attenzione. Una calma pervade il momento e tutto si ferma. Ogni boccone è piccolo come un bocciolo, delicato come la natura.
Il gusto prende forma lentamente e il pasto risulta leggero come una nuvola. L’uomo è sospeso in questo attimo trascendentale.
bacchette giapponesi
Designer sconosciuto, artigiano ancestrale. Le bacchette sono il simbolo della semplicità e della leggerezza, di quegli oggetti ben fatti che non necessitano altro che la loro esatta forma.
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Alleato imprescindibile delle bacchette è la ciotola, forma complementare, il cerchio e così essenziale, senza la quale l’esperienza risulterebbe sgraziata e un po’ a metà.
Fiori di ciliegio: sparsi si posano sull’acqua della risaia Morikawa Kyoroku (1656 -1715)
cucchiaio
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Dalla forma femminile, il cucchiaio è sempre stato la posata, la sola presente per tanto tempo in Europa e con la quale si faceva praticamente di tutto. Di tutte le forme e di tutte le grandezze, il cucchiaio è di per sè versatile e arriva laddove la mano umana non basta, liquidi con temperature elevate, grandi quantità. Nessuno sa chi l’ha fatto per primo e chissà, forse i primi erano in osso e è proprio da lì che è
Di tanti materiali possibili, la sua particolarità è poter raccogliere. Dai granellini di sale, ai cubetti di verdure, a liquidi da assaporare in piccole o in più grandi quantità. Nel tempo, il cucchiaio è diventato un riferimento per le piccole misurazioni di tutti i giorni. Aiuta nelle piccole quantità ed è amico fedele fin dalla nostra infanzia.
Le sue forme sono semplici, è una linea continua e tonda che possiamo percorrere con le dita, per cercare le increspature del tempo. Nella sua semplicità scorre l’eleganza di un fiume che scorre ma che è sempre immobile.
cucchiaio
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Di legno, per il thè, il caffè e le minestre. I suoi bordi si consumano con il tempo, diventano più lucidi, e più marcate sono le sue venature. Con noi cambia e così come la nostra saggezza si amplia così la sua cavità diventa poco a poco più profonda.
Il mio pasto dell’intera giornata: un po’ d’acqua Taneda Santoka (1882 -1940)
mortaio
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Inizialmente, con una pietra facevamo tutto. Il mortaio sembra un’evoluzione di questo concetto, una preparazione minuziosa delle spezie, dei semi, della natura attorno a noi. Oggi troviamo tutto già pronto e non abbiamo molto tempo per dedicarci a questo lavoro, ma il mortaio incarna la lenta preparazione dello spirito e del corpo a ricevere il nutrimento, che risulta in questo modo più profondo e più importante. Il mortaio ci invita alla stessa cura di noi stessi.
Il trasforma materia, il primo che opera, spesso nascosto. Molto spesso di marmo, perchè deve resistere a quella forza manuale di lavorazione, ma anche di legno, altrettanto poetico e misterioso. Il suo peso inganna la poesia delle sue forme, un grande calice che, perchè no, può essere usato anche per mangiare, e la combinazione di forme complementari diventate iconiche.
Quanto leggero può diventare quel qualcosa che viene trasformato dal mortaio? Piccola polvere sulle nostre dita, piccoli granelli che emanano un profumo, che lasciano un po’ di colore, quello che può rimanere ancora per tempo nel mortaio. Che continua a profumare ancora a lungo.
mortaio
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Il pestello del mortaio è esso stesso frutto del tempo che passa, cilindrico e liscio, risponde perfettamente alle nostre mani e ne è un buon prolungamento.
Disconnettiti, e assapora questo istante di pace
ending
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Nell’essenziale delle cose e degli eventi che ci circondano possiamo trovare la serenità
Respira questo momento
19 Corso di portfolio I Design - II anno AA 2016/2017 Giampiero Apruzzese Joy Li Wei Elisa Manzato
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Avvolgiti in una morbida bolla temporale, e rimani sospeso