Into the fog. Un parco al m-Argine del Po

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INTO THE FOG Un parco al m-Argine del Po

ATELIER DI SOSTENIBILITA’ AMBIENTALE Prof. Benno Albrecht, Prof. Massimiliano Scarpa, Prof.ssa Claudia Tessarolo Corso di Laurea Magistrale in Architettura e culture del progetto, aa. 2017/18 Stud.sse: Giorgia Gentile 286240, Elisa Montagna 286983, Francesca Pasquali 286113

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SOMMARIO STORICO - ATTUALE - NETTO 7 novembre 2017

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NUOVI SISTEMI ABITATIVI E NUOVA SEDE CANOTTIERI 5 dicembre 2017

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M-ARGINE 12 dicembre 2017

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M-ARGINE: IL PO IN MINIATURA 18 dicembre 2017

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IL PARCO DELLA NEBBIA 8 gennaio 2018

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IL PARCO DELLA NEBBIA 22-26 gennaio 2018

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TAVOLE FINALI 12 febbraio 2018

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BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

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ATELIER DI SOSTENIBILITA’ AMBIENTALE Prof. Benno Albrecht, Prof. Massimiliano Scarpa, Prof.ssa Claudia Tessarolo Corso di laurea magistrale in Architettura e culture del progetto, aa. 2017/18 Stud.sse: Giorgia Gentile, Elisa Montagna 286983, Francesca Pasquali

STORICO - ATTUALE - NETTO 7 novembre 2017

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IL PAESAGGIO DEL FIUME PO Il Po nasce nel gruppo del Monviso (a Piano del Re, 2022 m), e attraversa tutta la Pianura Padana dalle Alpi Occidentali all’Adriatico: nel suo percorso segue un andamento molto vario, avvicinandosi sensibilmente, nella prima parte, al rilievo appenninico (che tocca in corrispondenza della stretta di Stradella). Data la configurazione del bacino, dalla forma a U aperto verso il mare a E e chiuso sugli altri lati da sistemi montuosi, con una doppia pendenza combinata verso l’Adriatico e l’asse seguito dal fiume, gli affluenti appaiono essenzialmente obliquati verso E, con una maggiore inclinazione (da NO a SE) di quelli alpini rispetto a quelli appenninici (da SO a NE). Ciò è dovuto alle differenti pendenze dei versanti settentrionale e meridionale, e soprattutto al carattere torrentizio dei fiumi appenninici, che apportano abbondante materiale alluvionale, rispetto agli affluenti di provenienza alpina, i quali sono più ricchi di acqua, ma hanno un minore apporto detritico. La divisione asimmetrica del bacino e la presenza dei grandi laghi subalpini a N del collettore padano, con un’evidente funzione di decantazione e di raccoglimento, contribuiscono a dare al Po un regime peculiare, che appare come la risultante dei diversi regimi dei suoi affluenti: quello continentale (massimo estivo e minimo invernale) del settore alpino e prealpino, e quello sublitoraneo (massimi in primavera e autunno, minimi in estate e inverno) che è tipico della restante parte del bacino, pur con le notevoli varianti appenninica (massimo principale autunnale e minimo principale estivo) e piemontese (massimo principale primaverile e minimo principale invernale). La diversità di regime degli affluenti determina per il Po un regime composito, detto appunto padano, con due massimi, in primavera e in autunno, e due minimi, in inverno e in estate. In condizioni meteorologiche normali, la portata media alla foce, pari a 1560 m3/s, è quindi il risultato di un’alternanza di piene e di magre, che possono raggiungere rispettivamente massimi superiori ai 12 000 m3/s e minimi di 230 m3/s. Le piene rovinose, che nei secoli scorsi e con particolare intensità nella seconda metà del XX sec. hanno rotto in più punti gli argini, allagando e devastando notevoli estensioni di terre abitate e accuratamente coltivate, si verificano solo in condizioni particolari, e sono legate soprattutto all’alimentazione pluviale. Esse si hanno specialmente quando le piogge cadono contemporaneamente su tutto il bacino con una certa intensità e durata, o anche progressivamente da monte a valle (cosicché a valle le varie piene vengono a sommarsi); in tali circostanze, esse sono

favorite anche dalla poca permeabilità o addirittura dall’impermeabilità dei terreni che formano i settori montani del bacino, e dalla saturazione della spessa coltre alluvionale, che nei primi periodi delle piogge è fortemente assorbente. Le esondazioni colpiscono tutti i territori rivieraschi del P. e dei suoi affluenti, da monte a valle, anche se in modo più cospicuo e con ricorrenze più vicine si osservano nel basso corso, e in particolare nell’area terminale. Tra gli eventi catastrofici sono da ricordare quelli del 589, del 1438 e quello che nel novembre 1951 colpì l’Oltrepò Pavese e soprattutto il Polesine, provocando un centinaio di vittime. Nel complesso il deflusso del Po è piuttosto lento e il trasporto è limitato sul fondo alle sabbie da medie a finissime e in sospensione al silt e all’argilla. La piana alluvionale è caratterizzata dalla presenza di meandri ben sviluppati dopo la confluenza del Ticino, di isole (confluenza con l’Adda), di aree con acque stagnanti e paludose e dal letto pensile del Po che si sviluppa negli ultimi 300 km. La pendenza media del corso del Po tra Torino e la foce è di circa lo 0,34%. L’attuale delta del Po può essere considerato un delta cuspidato caratterizzato da un sistema distributivo di sei maggiori rami che si dipartono dal corso principale; da N a S si chiamano: Po di Levante, Po di Maistra, Po della Pila, Po delle Tolle, Po di Gnocca e Po di Goro. Il Po della Pila è il ramo più attivo del delta, che scarica da solo circa il 51% della portata totale del Po, mentre il Po di Maistra è il ramo che ha il più basso trasporto sia liquido, sia solido. Il delta del Po ha subito diverse vicissitudini a seguito dell’azione dell’uomo fin dalla fine del Medioevo. Prima del XI° sec. i maggiori cambiamenti vennero eseguiti per impedire lo sviluppo del delta verso Venezia, costringendo così il fiume a sfociare verso la costa emiliana. Sempre nello stesso periodo furono eseguite diverse opere di arginatura dei rami deltizi ai fini di impedire gli allagamenti dovuti alle piene. È comunque nel 20° sec. che l’uomo esercita la sua maggiore pressione sul delta, sia attraverso le opere di bonifica e l’urbanizzazione di vaste aree, sia attraverso l’estrazione dal sottosuolo di acque metanifere e il prelievo di inerti dagli alvei del Po e dei suoi affluenti. Questi ultimi due processi sono di fondamentale importanza e hanno determinato un progressivo arretramento del delta; quest’ultimo infatti si è accresciuto, progradando verso il mare, dal 1811 fino agli anni 1940; dal dopoguerra agli anni 1960 il delta ha iniziato ad arretrare a seguito soprattutto della subsidenza dell’area, innescata dall’estrazione dal sottosuolo di acque metanifere. A partire dagli anni ‘60 la subsidenza è andata attenuandosi, mentre ha

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acquistato sempre più importanza il prelievo di materiali dall’alveo del Po e dei suoi affluenti; questo ha contribuito all’abbassamento del letto del Po da una parte e all’erosione e all’arretramento dell’apparato deltizio dall’altra, a causa del diminuito apporto solido alla costa. Unico fiume italiano largamente navigabile, il Po è stato piuttosto trascurato dalle politiche dei trasporti attuate dopo l’unità d’Italia. Con i tronchi inferiori di alcuni dei suoi affluenti di sinistra, con il sistema dei ‘navigli’ lombardi e con i canali che lo collegano con alcuni fiumi veneti, il Po forma una rete idroviaria di circa 700 km. Già a Chivasso, non lontano da Torino, è percorribile da piccoli natanti; a valle della confluenza con il Ticino la navigazione è possibile per navi fino a 1300 t di stazza. Nel tratto terminale, Pontelagoscuro-Porto Garibaldi, dal quale si dirama il canale (Canal Bianco) di collegamento con l’idrovia litoranea veneta, l’intenso traffico fluviale è stato un potente fattore di attrazione e localizzazione di industrie (metallurgiche, petrolchimiche, alimentari). Numerosi sono i progetti di ampliamento e di razionalizzazione della navigazione padana: il più notevole, in parte realizzato, è quello dell’idrovia Milano-Cremona, che dovrebbe permettere a grossi natanti di raggiungere da Cremona (il cui porto-canale è stato adeguatamente sistemato) il cuore dell’area metropolitana milanese. Attualmente è in funzione solo il tratto di canale che arriva a Pizzighettone (13,5 km). Il bacino del Po interessa sette regioni (Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana) e la Provincia Autonoma di Trento; vi sono compresi 3210 comuni e vi risiede il 27% della popolazione nazionale. All’interno del bacino sono ubicate le aree metropolitane milanese e torinese e molte altre città che, nel Piemonte orientale, in Lombardia e in qualche area emiliana, formano una sorta di continuum urbanizzato. L’area è di grande rilevanza economica e copre circa il 40% del PIL nazionale, in virtù della presenza di grandi industrie, di una quota considerevole di piccole e medie imprese, nonché di attività agricole e zootecniche. Esaminando nel dettaglio il quadro economico, risulta che nel bacino del Po si forma il 37% dell’industria nazionale, il 55% della zootecnia e il 35% della produzione agricola. Al forte sviluppo della struttura produttiva si accompagna un elevato livello di infrastrutturazione del territorio (strade, ferrovie, linee elettriche, acquedotti, fognature ecc.), marcatamente superiore alla media nazionale. Il settore agricolo, caratterizzato da un impiego molto intenso di fertilizzanti e fitofarmaci, è molto sviluppato. Prevalgono le colture di cereali (43%), cui seguono

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quelle foraggere (27%) e quelle industriali (10%); minore peso hanno la viticoltura, la frutticoltura e le colture ortive. Le attività zootecniche concernono prevalentemente l’allevamento di bovini e suini. L’elevata concentrazione di attività industriali e agro-zootecniche, combinata con la forte densità demografica e, in molte aree, con una concentrazione insediativa marcatamente superiore alla media nazionale, ha determinato un’accentuata pressione antropica sul territorio, che è diventato pertanto estremamente vulnerabile al degrado ambientale, soprattutto per quanto riguarda la scarsa qualità dell’aria nelle agglomerazioni urbane, il dissesto idrogeologico del territorio e l’inquinamento delle acque interne e costiere (molto sensibili ai processi eutrofici).

UN PAESAGGIO RESILIENTE I contesti urbani lungo il Po nel corso degli anni hanno subito grossi cambiamenti e hanno avuto la capacità di adattarsi e di reagire. Nonostante le continue esondazioni del fiume, l’uomo ha saputo costruire argini naturali proteggendosi dalla forza dell’acqua. Il paesaggio naturale, maestoso e unico in Italia, regna sovrano. Per questo motivo utilizzare la resilienza che ha caratterizzato questi contesti puà essere uno dei principali strumento progettuale. Oggi sappiamo che il paesaggio è fortemente sfruttato in superficie, nel sottosuolo e nell’aria. Gli interventi di protezione e di utilizzo delle risorse hanno infatti in parte compromesso l’ecosistema del fiume, specie nell’inquinamento delle sue acque. Per tutelare il Po, i suoi paesaggi sono iscritti nella rete natura duemila, come l’isola Boschina vicino Ostiglia, e numerosi contesti urbani si affacciano al di sopra di argini spesso causa delle esondazioni nei periodi di piena. E’ un’unità fatta di differenze con precari rifugi nel grande spazio agricolo, episodi boschivi per l’industria edilizia e lunghi metanodotti in convivenza con tracce di un patrimonio in lento degrado. La strategia progettuale potenziare l’espansione ai margini del Po, attivando politiche di trasporto fluviale, nuovi spazi dell’abitare densi e ordinati e un infrastruttura di raccolta acque che utilizzi anche la nebbia. “Perché la città non si può regolare secondo la volontà dell’uomo ma adattare secondo i tratti tipici. (cit. LB Alberti)” In una parola resilienza. LA PRIMA FASE DI MASTERPLAN Ogni territorio è diverso: talvolta alcuni caratteri si possono ripetere o paragonare. Altri rimangono propri di ogni singolo luogo. Il Po da sempre

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è elemento di vita e sostentamento economico di numerosi abitanti che si sono insediati sulle sue sponde,

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sponde, fin dai tempi romani, mitigando le insidie e ricavando risorse. Il grande fiume come un’infrastruttura, vede l’evoluzione degli insediamenti che si pongono a stretto contatto, protetti dagli argini, che spesso non bastano a contrastare la forza del fiume. Ostiglia e Revere, due centri di medie dimensioni, poste una di fronte all’altra sulle sponde del fiume Po, vedono la propria storia relazionata con lo stesso. Numerosi gli edifici dismessi punteggiano le aree insediative: 17 000 mq dismessi a Revere, nell’ex fabbrica della Bormioli; la stazione di Ostiglia e il tracciato ferroviario in disuso; edifici lungo le infrastrutture. Elementi diversi in un unico insieme al fiume, che rafforzano il tema dell’adattabilità tra natura e uomo. I sistemi lineari naturali, filari d’alberi e canali che ora sono scomparsi, riconducono il visitatore ai luoghi di ripristino, catturando lo sguardo ripercorrendo le tracce storiche. I due collegamenti infrastrutturali, il ponte della Statale 12 e quello d’acciaio dell’importante linea ferroviaria che collega Ostiglia a Bologna e Modena, sono elementi d’unione cardine nella vita dei cittadini. La strada, molto trafficata durante le ore di punta, viene percepita come luogo non sicuro per l’attraversamento. Un tempo si utilizzavano ponti di barche che dipendevano strettamente dal flusso d’acqua del Fiume. Ora sono dismessi, giustificazione rintracciabile nelle secche dei periodi estivi che portano le chiglie ad incagliarsi sul fondo sabbioso. Il dislivello del ponte rispetto alla strada diventa troppo elevato, e di conseguenza si ha impossibilità d’utilizzo. Lungo gli argini si snodano numerosi percorsi ciclabili, percorsi dai cittadini, (tra la nebbia o sotto il sole cocente,) elementi di richiamo turistico sostenibile ma privi di alcuni servizi necessari. I collegamenti di servizio pubblico tra i diversi comuni lungo il Po sono molteplici, ma spesso gli orari di trasporto sono concentrati in determinati momenti del giorno, costringendo chi deve spostarsi in mattinata per esempio, ad utilizzare il mezzo proprio. Il paesaggio lungo il fiume sembrerebbe ancora incontaminato, poco cementificato, quasi selvaggio o aulico. In realtà le numerose opere di bonifica, canalizzazioni e successive chiusure, grandi industrie sulle rive, agricoltura intensiva, hanno prodotto e producono danni irreversibili al delicato ecosistema fluviale. Gli eventi estremi durante i mesi dell’anno, dalle settimane di estrema siccità ed umidità, agli eventi piovosi a cui ormai siamo abituati in autunno e primavera, arrecano pericoli per la biodiversità. Che fine faranno gli aironi rossi e i gabbiani reali? E degli operai impegnati nell’acquacoltura che ne sarà? Queste domande dovremmo porcele come progettisti, architetti, paesaggisti. Servono interventi massic-

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ci, che non siano solo milioni di euro stanziati ogni anno per la sicurezza del grande fiume. Gli ecosistemi sono a rischio, le ricadute sulla salute umana sono in agguato: bisogna capire quali siano le azioni nel breve e nel lungo termine. La proposta di rivitalizzazione delle golene del Fiume Po e del territorio poco lontano dalle sponde, vede nella possibilità di riaprire corsi d’acqua artificiali e naturali una possibile soluzione per ricreare l’ambiente fluviale umido e ricco di vita che cambia drasticamente ogni anno che passa. Le zone di filtro tra gli argini e il corso d’acqua diventano luogo di ripopolamento faunistico e la flora ri-trova un ambiente favorevole. L’uomo può fare parte di questo habitat naturale senza per questo antropizzarlo. Torri in legno, riciclabili e impermanenti, permettono una fruizione e un approccio in punta dei piedi, monito per un turismo ragionevole e più attento ai problemi che affliggono questo ecosistema, ma non solo. L’uomo, con la costruzione del paesaggio urbano, che spesso travalica i confini dell’orizzonte, estendendosi oltre lo sguardo, utilizza le risorse in modo spregiudicato. Ne sono un esempio le due enormi centrali termoelettriche a Sermide e Ostiglia, che utilizzano gas naturale senza nessun approvvigionamento di tipo rinnovabile. L’impatto paesaggistico delle centrali e l’inquinamento che esce dalle ciminiere è elevatissimo. Si propone la progettazione di impianti di cogenerazione da integrare alle centrali esistenti, che possano utilizzare le biomasse di cui il territorio è ricco per produrre energia termica ed elettrica. La Pianura Padana e il sistema golenale del Po forniscono la materia utile alle centrali, localizzate anche in altri paesi limitrofi. Non a caso l’uomo ha sempre cercato di urbanizzare in luoghi ricchi di risorse naturali. Il fiume Po, con i suoi rischi e pericoli, da sempre porta eventi catastrofici: abbiamo notizie di un’esondazione catastrofica nel 1339 con l’acqua che ruppe gli argini e gelò i campi coltivati, con danni ingenti. Il tempo di ritorno di esondazioni che arrivano al limite dell’area golenale è di massimo 50 anni, un periodo molto breve rispetto all’età del fiume. Gli argini talvolta non bastano: oltre a questi ci sono abitazioni e strade che diventano inagibili. Ma anche di periodi di secca, dove il grande fiume diventa un tesoro a cielo aperto, dove emergono relitti di barche, carri armati e non solo, dove la sabbia appare come quella del deserto e l’attraversamento sembrerebbe possibile a piedi. Quando la portata del fiume diminuisce anche a 400 m3/s e la richiesta irrigua è di 1500, i problemi sono paragonabili agli eventi di distruzione. Una soluzione possibile a questi fenomeni opposti tra loro, è quella di dare più spazio di vita

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all’acqua del fiume. L’area golenale è il primo luogo di sfogo. Gli interventi di prelievo di sabbia tramite la riapertura di un braccio del fiume, la creazione di vasche di laminazione in cui l’acqua confluisce nei momenti di piena e viene immagazzinata per quelli di secca, ricrea un paesaggio per la ripopolazione faunistica e, soprattutto, è una possibile soluzione a questi interventi diametralmente opposti che sempre più affliggono l’ecosistema del Po. Gli elementi di progetto insiti nelle tracce territoriali, divengono cosi filtri di protezione agli eventi stagionali. Numerosi interventi paesaggistici, ma non solo, sono stati attuati in sistemi territoriali molto simili a quelli del grande fiume. Progetti che si adattano alla resilienza del fiume, cercandone la fruizione anche in caso di esondazioni, senza per questo deturpare l’ecosistema con elementi di collegamento deboli che si integrano perfettamente al paesaggio fluviale. Un sistema di piccole dighe che catturano l’acqua in caso di piena e la lasciano confluire all’interno del parco, permette un maggiore controllo della portata del fiume. Gli interventi di modellazione del terreno proposti vedono oltre all’apertura di canali, il rinforzo degli argini, l’inserimento di piante fitodepurative nei bacini a purificare l’acqua inquinata del fiume, la fruizione degli stessi e vanno a collocarsi all’interno delle aree golenali dell’intero bacino nella zona pianeggiante del corso. La possibilità di progettare in luoghi sempre più deboli e minacciati, con la realizzazione di interventi puntuali che vanno dal trattamento dei temi urbani a quelli più strettamente paesaggistici, mira ad aiutare la resilienza del paesaggio tipico del Po, cercando di integrare interventi “deboli” che non vadano a deturparne ulteriormente le caratteristiche del luogo. “Lo spazio della città è in qualche modo percepito come un insieme, deve essere percorribile in un tempo breve e costituito di elementi ravvicinati. Questo spazio deve apparire durevole nel tempo e vincolante per i successivi interventi.” ESONDAZIONI E PERIODI DI SECCA La spiaggia bianca sembra pettinata. Gli aironi si alzano lenti poi vanno a pranzare nell’acqua bassa. “Con questo caldo - racconta Gianni, pescatore solitario - è difficile tirare su qualcosa. I pesci stanno sul fondo delle buche, alla ricerca del fresco”. Una distesa di sabbia lunga più di un chilometro e larga 700 metri. Al mare non le trovi più, spiagge così. Un solo pescatore, una ragazza e un ragazzo che prendono un sole che spacca poi si rifugiano sotto l’ombrellone blu. Unica colonna sonora: le cicale. Manca solo l’acqua, in questo paradiso. Il Po, il grande fiume, è soltanto una striscia azzurra stretta fra

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la sabbia e l’argine sinistro. Scendendo verso il mare, a poche decine di chilometri, potresti attraversarlo a piedi. A Valle Gaiba di Rovigo e all’Isola Bianca nel ferrarese ci sono soltanto 60 centimetri d’acqua. E la misura è stata presa nel “canale”, nella parte più profonda, dove dovrebbero passare le barche grosse e le navi. Il Po fa paura con le piene, quando supera o rompe gli argini e allaga i paesi. Ma semina angoscia anche quando è “magro” come in questa estate troppo calda. Senza la sua acqua, le campagne bruciano. Non crescono il mais e l’erba per i bovini, si seccano i vigneti... “In giorni come questi - dice Giuliano Landini di Boretto, capitano della Stradivari, nave che porta turisti sul fiume - comprendi il valore profondo dell’acqua e del fiume. La mia nave è bloccata nel porto di Viadana, ma questo non è il problema più importante. Sabato dovevo andare alla festa del Redentore a Venezia ma ho dovuto lasciare la mia nave in porto. Io ci rimetto soldi ma i contadini rischiano il raccolto di un anno. Se i consorzi di bonifica mettessero in azione tutti gli impianti con le idrovore, il Po sarebbe asciugato in pochi giorni. Tutti assieme avrebbero infatti una capacità di prelievo di 1.500 metri cubi al secondo, ed il fiume in questi giorni ha una portata di circa 400 metri cubi”. Oggi ci sarà una riunione della Cabina di regia dell’autorità di bacino, per chiedere aiuto ai consorzi che comandano nei bacini montani e nei laghi, soprattutto il lago Maggiore e quello di Como. “Chiederemo - racconta Domenico Turazza, direttore della bonifica Emilia centrale - che facciano scendere più acqua nel nostro fiume. Certo, anche loro hanno problemi, perché l’acqua serve per l’energia elettrica e per mantenere un minimo vitale gli affluenti. Nel 2003, quando ci fu la grande secca, dovette intervenire il governo, attraverso la Protezione civile, per obbligare bacini e laghi a rilasciare flussi maggiori. Adesso i rapporti sono migliori, forse basterà la richiesta ben motivata. Siamo al limite. Le nostre idrovore, a Boretto - portano l’acqua nelle terre del Parmigiano reggiano - rischiano di bruciare, tanto è lo sforzo per risucchiare l’acqua dal Po sempre più basso”. Il fiume con acqua troppo scarsa è anche un pericolo. “La richiesta di acqua ai laghi - spiega l’ingegner Ivano Galvani, dirigente dell’Aipo, agenzia interregionale per il fiume Po - va fatta anche per evitare la risalita del cuneo salino. Se il fiume è debole, il mare entra e risale per decine di chilometri. L’acqua salata entra nelle falde e nelle campagne. Il livello sotto il quale il Po non può scendere è stato fissato a 350 metri cubi al secondo a Pontelagoscuro, dove inizia il tratto finale”.

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Dove il Po riceve l’Oglio un cartello avverte che il “il ponte di barche è chiuso”. È stato costruito nel 1922 ed è l’ultimo ponte fatto con queste barche di cemento che fino all’ultimo dopoguerra, legate a decine le une alle altre, formavano tanti ponti sul Po. L’Oglio però ha perso quasi tutta l’acqua e le barche ora appoggiano direttamente sul fondo. Troppo alto il dislivello con la strada. Per questo il ponte è stato staccato. Arrivano ancora turisti, a vedere questa reliquia. Si consolano con una visita al piccolo santuario della Madonna dei Correggioli, “da secoli miracolosa “ e un tempo con tanti fedeli che “le offerte venivano raccolte con i badili e riposte nei sacchi”. Almeno un miracolo l’ha fatto: il ponte c’è ancora. Spiaggia grandissima e bella anche a Guastalla, in riva sinistra. A destra, il Peace in Po, bar ristorante discoteca con appese decine di immagini ormai antiche di storioni di due quintali e recenti con pesci siluro quasi dello stesso peso. “A dire il vero - racconta Guido Chiericati, da una vita guida del locale a me la secca spaventa meno della piena. Vede i segni messi sul muro? Il Po ogni tanto arriva e ci allaga fino al secondo piano. Anche a novembre è arrivato al primo soffitto. La secca fa vedere la faccia bella del fiume, con le spiagge, i boschi... C’è gente che abita a pochi chilometri e non conosce nulla del fiume. Si pesca anche bene, se l’acqua non è molta. Sembra incredibile ma con questo caldo i cefali saltano direttamente nella barca. Ci sono risorse che gli italiani non conoscono più. Invece arrivano i tedeschi che vendono carissima una settimana in camping nel bosco con pesca al siluro. Arrivano anche i ladri, ed i più specializzati sono quelli dell’Est con elettrostorditori o palamiti - sfilza di ami lunga centinaia di metri - per catturare carpe e siluri da rivendere nel loro Paese”. Un tempo, chi non aveva da mangiare andava in Po e si portava a casa la cena. Ora ci sono le pizzerie e trattorie con storione di allevamento. Con la secca, stanno già arrivando i cercatori di fortuna. “Hanno trovato di tutto - dice Guido Chiericati - durante le secche del 2003 e del 2006. Pirodraghe, vecchie barche, anche un carro armato arrugginito. Io ho trovato un’ancora di due metri e mezzo. Sotto un arginello, c’era un tronco di acero rosso che secondo gli esperti risale al Medioevo “. Quando arriva la secca, si va dai più anziani a cercare informazioni. Per anni, in un luogo segreto della riva mantovana, si è cercata una cassaforte. Un ragazzo di allora - la guerra stava finendo - vide camion di tedeschi in fuga. Da uno dei camion che era riuscito a arrivare all’altro argine cadde una grande cassa di ferro. Furono trovati camion e carri armati, ma non la cassaforte. Al tramonto cala la luce ma

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non il termometro. Tre o quattro persone in bici arrivano al “Porto turistico fluviale regionale” di Boretto. “Vedi che disastro?”. Una scala scende dal piazzale verso il “Pontile Giudecca” dipinto di verde. Il pontile è però appoggiato sulla sabbia. Per arrivare all’acqua ci sono altri cento metri. “L’attracco è stato costruito in riva destra - dice Giuliano Landini, famiglia sul Po da tre generazioni - perché l’acqua anche con la secca arrivava fino a qui. Ma solo perché fino agli ‘90 c’erano i ladri di sabbia, per fortuna scomparsi. E la sabbia ha ripreso il proprio spazio”. C’è un barcone in secca, accanto al pontile. Altre barche sono appoggiate sul fianco. Sembrano immagini del lago d’Aral.

NUOVI SISTEMI ABITATIVI SULLA STRADA DEL PROGETTO VENTO

Nell’evoluzione del progetto d’architettura lungo il corso del Po tra Ostiglia, Revere, San Benedetto Po, Sermide e gli altri centri affacciati sulle sue sponde, a favore dell’operato si è rivelato il progetto VENTO. Seicentosettantanove (679) chilometri di percorso da percorrere in bicia collegare Venezia a Torino passando per l’ampia valle disegnata dal re dei fiumi italiani, il Po. Progettata da un team di architetti, pianificatori ed esperti di urbanistica del Politecnico di Milano, la VENTO non è una semplice pista ciclabile, ma una vera e propria risorsa per il territorio. Un bene a servizio di tutti, lontano dalla visione museale e conservativa, dalla “valorizzazione” di un’opera, e legato invece ad un utilizzo concreto, quotidiano e pratico da parte dei moltissimi cicloturisti che scorrazzano per l’Europa così come da chi quei territori li vive ogni giorno. Un lungo percorso da est a ovest senza mai dover staccare la matita dalla mappa a causa di strade, autostrade o ostacoli di sorta da superare. Un’idea per far si che un viaggio in bici lungo i morbidi paesaggi del Nord Italia non sia più da considerarsi un’impresa rischiosa e irrealizzabile. Il paesaggio italiano è un vero e proprio lasciapassare che ci rende famosi in tutto il mondo, un sinonimo di qualità, il bene culturale e turistico più prezioso che abbiamo. La VENTO sarebbe un filo rosso da seguire per apprezzare tutti quegli elementi del territorio che concorrono a rendere l’Italia una delle mete più desiderate dai turisti: città d’arte come Venezia, Ferrara, Mantova, grandi centri come Torino e Milano, così come tutte le cittadine, i paesi, le frazioni, le fattorie, i parchi, le aree protette, gli argini… Dal Monferrato al delta del Po, dai canali di Venezia ai navigli di Milano, passando per i piccoli gioielli di storia e architettura che costellano il paesaggio della Pianura padana; i borghi tipici, i piccoli comuni dove si respira l’Italia più vera, il

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tutto come sempre accompagnato da una serie infinita di prodotti di eccellenza, dall’enogastronomia all’artigianato. Il 40% del percorso complessivo si troverebbe poi all’interno di numerose aree protette, per un totale di 264 chilometri da percorrere in mezzo a una natura rigogliosa. VENTO è inoltre al centro di una grande rete capillare di trasporto pubblico: la pista è stata infatti disegnata in modo tale che in meno di 6 chilometri di pedalata, sia possibile raggiungere oltre 115 stazioni ferroviarie. In questo modo sarà ancor più facile dividere il viaggio in più tappe a seconda della propria disponibilità di tempo, e raggiungere le principali città italiane ed europee. Allo stesso tempo, è possibile caricare i propri bolidi a due ruote sulle imbarcazioni che navigano sul Po, nei numerosi attracchi sparsi lungo il fiume. La pista è anche collegata ad altre importanti ciclovie italiane, come la Torino-Nizza, la ciclovia che dal Brennero conduce a Verona e le numerose piste che costeggiano i grandi fiumi (Ticino, Adda, Mincio, Secchia…). VENTO non vuole nascere quindi come una grande opera isolata dal resto: nel sito ufficiale del progetto si legge infatti che la pista è il tracciato apripista di una visione di ciclabilità che ancora non c’è nella cultura italiana e che non ha prodotto gli effetti di sviluppo e di cultura che avrebbe potuto e che vuole assicurare al Paese, innescando tante altre iniziative di ciclabilità e un nuovo modo di progettare, pianificare, generare sviluppo. Il cicloturismo – non è una novità – alimenta notevolmente le economie locali e genera posti di lavoro: basti pensare ai paesi dell’Europa continentale, dove questa tipologia di turismo virtuoso è ben più radicata rispetto al Bel Paese, e solo in Germania porta a circa 3,9 miliardi di euro di indotto l’anno. Secondo gli studi condotti dal team di VENTO, 6.500 attività tra bar e ristoranti, 900 strutture ricettive e 30.500 aziende agricole che operano nei paraggi del tracciato beneficerebbero della pista, portando circa 100 milioni di euro e mezzo milione di passaggi all’anno e creando fino a 2.000 nuovi posti di lavoro. Un vero e proprio piano di sviluppo “eco-economico” per i diversi territori che gravitano intorno al Grande Fiume, una risorsa tangibile per aumentare un indotto turistico che troppo spesso mal si esprime in Italia. VENTO è in realtà già pedalabile in sicurezza per una lunghezza totale di circa 100 chilometri sparsi tu tutto il suo percorso. Altri 284 chilometri (il 42% del totale) sarebbero invece convertibili a ciclabile con “semplici ma decisivi cambi di alcune regole d’uso di argini, strade vicinali, sentieri e strade raramente utilizzate“ con una spesa di poco superiore a 1 milione di euro.

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Ulteriori 148 chilometri diverrebbero ciclabili con 18 milioni di euro di spesa (portando la pista all’80% del suo totale sviluppo), mentre per gli ultimi 145 chilometri di tratti non pedalabili, servirebbero 61 milioni. È necessario ribadirlo: la spesa potrebbe sembrare molto alta, ma se si considera una suddivisione in più enti e soprattutto il potenziale ricavo ad infrastruttura terminata, lo scenario diviene molto più interessante e il gioco potrebbe veramente valere la candela. Alla luce di questo articolo, il nuovo progetto per il centro storico di Ostiglia, ma non solo, trova una base solida su cui poggiare che permette la replica dell’intervento all’interno delle aree golenali del grande fiume, simili sotto molti aspetti, positivi e negativi. I nuovi sistemi sono fruibili sia dal turismo per quanto riguarda le residenze temporanee che dagli albitanti stabili, riferendosi alla nuova sede canottieri di Ostiglia, molto frequentata ma in attuale stato di lieve degrado e con spazi d’utilizzo molto ridotti. Numerosi interventi di simile portata sono stati studiati e rintracciati; attualmente esistono piccole case sugli alberi proprio all’interno dell’area golenale del Po che richiamano anche la fauna. Per l’approviggionamento dell’acqua si è pensato ad un sistema innovativo di reti che possa raccogliere in piccole cisterne l’acqua della nebbia che caratterizza questi luoghi con successiva depurazione, sia tramite piante che sistemi tecnologici a raggi ultra-violetti. I sistemi sono quindi puntuali e sopraelevati, nel rispetto dell’ambiente naturale e con la possibilità di utilizzo anche durante i fenomeni di piena del fiume.

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M-ARGINE 12 dicembre 2017

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I BOSCHI DEL PO Se nei secoli scorsi i boschi a vegetazione mista erano parte del paesaggio del grande fiume, con l’industrializzazione si è iniziato ad utilizzare il terreno golenale per piantare specie utili all’industria stessa. I pioppi, disposti a sesto d’impianto regolare, scandiscono i paesaggi odierni. Questa pratica, che ha scelto la tale specie per la velocità di crescita e l’ottima resa termica per le centrali di biomasse e la produzione di carta e compensati, ha compromesso la biodiversità della flora ma anche della fauna. Numerose iniziative e interventi si pongono come obiettivo il ripristino delle condizioni storiche: il progetto vuole per questo motivo implementare la varietas arborea ed arbustiva, mantenendo tuttavia parte dei pioppeti che sono elementi tipici della pianura Padana nell’immaginario comune. A questo proposito si riporta un articolo pubblicato sul sito della gazzetta di Mantova. Via i filari di pioppi. Sul Po tornano i boschi La Provincia trascina la Regione dal giudice e lancia la riforestazione. Il piano interessa 720 ettari di terreno demaniale in golena e sulle isole di Francesco Romani Nuove foreste sul Po. La Provincia vara il bando per cercare il gestore che pianterà e poi curerà la crescità di 37 nuovi boschi che copriranno oltre settecento ettari di terreni golenali sulle sponde del grande fiume, tra Suzzara e Felonica. Un’operazione fortemente voluta dall’Amministrazione provinciale per “restituire” all’ambiente fluviale una piccola parte del manto verde sottratto dalle coltivazioni industriali nel corso dei decenni. Al punto che Mantova è oggi la provincia lombarda meno forestata, dove l’indice di boscosità, la parte più nobile e duratura dell’ambiente vegetale, è solo dello 0.67%. Partito nel 2009, il progetto ha subito una forte battuta d’arresto quando la Provincia ha scoperto che una parte dei terreni sui quali si era già pronti ad intervenire con i piani di forestazione pubblica, era stata data in concessione dalla Regione a privati. Una doccia fredda che ha bloccato l’iter e che per la prima volta ha fatto scontrare in un’aula giudiziaria Provincia e Regione. Alla fine il giudice ha dato ragione a Mantova. Nel marzo scorso la Regione, in ottemperanza alla sentenza del Tar, ha concesso alla Provincia 720 ettari di aree demaniali sui quali ora può legittimamente partire il bando di riqualificazione ambientale che scade il 14 settembre. Ma cosa si farà in queste aree? Il progetto prevede di ampliare alcune aree naturali e ricostruirne delle nuove lungo l’asta del fiume in modo da costituire dei corridoi nei quali

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M-ARGINE: IL PO IN MINIATURA 18 dicembre 2017

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la vegetazione e quindi anche l’habitat ritorni ad uno stato vicino all’originario quando la pianura padana era interamente ricoperta da boschi con il grande fiume a costituirne la vena principale. Non si tratterà però di “archeologia ecologica”. Il piano parte dai più avanzati studi ecologici e prevede di creare mix di alberature originarie della zona, ad altezze diverse e mescolate fra di loro. Contrastando la regolarità dell’impianto dei pioppeti industriali, si ricreeranno ambienti complessi, e quindi più stabili. Tant’è che la concessione di coltivazione sarà decennale, rinnovabile. I nuovi boschi contribuiranno sicuramente al miglioramento ecologico, aumentando la ricchezza delle speci presenti e la biodiversità di ambienti oggi spesso degradati a coltivazioni industriali. L’habitat più favorevole aiuterà la protezione e la riproduzione della fauna selvatica e degli uccelli, tutelati dalle convenzioni europee. Le radici delle piante aiuteranno la fitodepurazione, innescando processi di purificazione dell’acqua e di assorbimento della CO2 in atmosfera. Infine l’inserire fascie di bosco in una pianura caratterizzata dall’agricoltura intensiva, contribuirà a migliorare la bellezza visiva del fiume nonché la fruizione didattica e turistico ricreativa. Boschi, quindi per migliorare l’ambiente, imparare, svagarsi. Gli interventi non partiranno su tutta l’asta del fiume, ma sulla superficie sinora concessa dalla Regione, ovvero circa 720 ettari che si trovano nei dieci comuni di Suzzara, Borgoforte, Dosolo, Motteggiana, San Benedetto Po, Bagnolo San Vito, Serravalle a Po, Ostiglia, Carbonara Po e Felonica. Riassumendo l’articolo possiamo ricavare tutti gli aspetti positivi derivanti dal ripopolamento della flora golenale. In particolare ricordiamo: il contributo al miglioramento ecologico; l’aumento della ricchezza delle specie presenti; l’aumento biodiversità diminuita dalla piantagione di pioppi ad uso industriale; una maggiore protezione e la riproduzione della fauna selvatica e degli uccelli; un maggiore aiuto delle radici per la fitodepurazione e di assorbimento della CO2 in atmosfera; un nuovo luogo di fruizione e svago. Le azioni da compiersi sono invece riassumibili così: nuovo mix di alberature originarie della zona, ad altezze diverse ed eterogenee; contrasto della regolarità dell’impianto dei pioppeti industriali, a ricreare ambienti complessi e più stabili, senza cancellare completamente la presenza.

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IL PARCO DELLA NEBBIA 8 gennaio 2018

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LA NEBBIA COME ELEMENTO PROGETTUALE Fra tutti i fenomeni meteorologici la nebbia è senza ombra di dubbio uno fra i più affascinanti e misteriosi. In sostanza rappresenta un oscuramento degli strati più bassi dell’atmosfera, prossimi al suolo, causato dalla rapida condensazione del vapore acqueo. I fattori essenziali che favoriscono la formazione della nebbia sono diversi: una umidità relativa molto elevata (80%–100%) un sensibile raffreddamento dello strato d’aria prossimo al suolo; la presenza di numerosi nuclei di condensazione. A differenza di quanto si possa pensare la nebbia è un fenomeno molto instabile, e difficile da prevedere con grande precisione. Difatti, bastano piccole variazioni di temperatura affinchè essa si formi o si dissipi rapidamente. La nebbia è costituita da piccolissime goccioline d’acqua ed è favorita da venti deboli, intorno forza 2-3, mentre la sua formazione sovente è fortemente ostacolata da venti forti, anche se regnano tutte le condizioni ideali per la sua formazione. A secondo della sua origine la nebbia può essere suddivisa in varie tipologie, a secondo delle dinamiche che ne favoriscono la sua formazione. Nebbia da irraggiamento: si forma generalmente dopo il tramonto, dopo che il suolo ha ceduto calore allo spazio tramite irraggiamento, raffreddandosi, assorbe calore dall’aria più a contatto con la superficie (generando inversione termica). La temperatura degli strati d’aria prossimi al terreno si abbassa sino a raggiungere la temperatura di rugiada permettendo la condensazione di goccioline di acqua liquida. La nebbia da irraggiamento è tipica delle notti con cielo sereno (effetto serra da parte delle nubi limitato) e vento poco intenso. Nebbia da avvezione: si forma quando l’aria umida passa per avvezione, movimento orizzontale dei flussi d’aria sopra il terreno freddo e viene così raffreddata. Questo fenomeno è frequente sul mare quando l’aria tropicale incontra ad alte latitudini acqua più fredda. È anche comune il caso in cui un fronte tiepido passi sopra un’area abbondantemente innevata. È comune quando c’è molta differenza tra le temperature diurne e notturne, si dissolve non appena il sole, al mattino, comincia a scaldare l’aria. Nebbia da umidificazione: è la forma più localizzata ed è creata dall’aria fredda che passa sull’acqua molto più calda. Il vapore acqueo entra velocemente nell’atmosfera tramite evaporazione e la condensazione ha luogo quando il vapore acqueo raggiunge la saturazione. La nebbia da umidificazione è frequente nelle regioni polari, e intorno ai laghi più grandi e più profondi nel tardo autunno e all’inizio dell’inverno, spesso causa nebbia ghiacciata o talvolta brina.

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IL PARCO DELLA NEBBIA 22-26 gennaio 2018

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Prima fascia da destra: albero della nebbia, acero campestre, salice bianco, quercia. Seconda fascia: frassino, roverella, pioppo nero, olmo. Terza fascia: carpino nero, farnia, pioppo bianco, cereali (coltivati nei momenti di riposo del terreno dalla potatura dei pioppi per i fini energetici di produzione termica nelle centrali a biomassa). Quarta fascia: ontano, typha, pioppo tremulo.

Nebbia frontale (o nebbia da precipitazione): si forma quando una precipitazione cade nell’aria secca dietro alla nube, le goccioline liquide evaporano in vapore acqueo. Il vapore acqueo si raffredda e al punto di rugiada condensa e forma la pioggia. Nebbia congelantesi: si verifica quando le goccioline di nebbia si trovano allo stato liquido (condizione detta di sopraffusione) nonostante la temperatura dell’aria sia inferiore a 0 °C; quando vengono a contatto con una superficie, formano depositi di ghiaccio chiamati galaverna, calabrosa o ghiaccio chiaro. Ciò è frequente sulla cima di quelle montagne che sono esposte a un debole vento. È quindi equivalente alla pioggia congelantesi, che provoca il gelicidio. Nebbia ghiacciata (o nebbia velata): è quel tipo di nebbia dove le goccioline si sono congelate a mezz’aria in minuscoli cristalli di ghiaccio. Generalmente ciò richiede temperature ben al di sotto del punto di congelamento (solitamente inferiori a −30 °C, nonostante si possa avere sopraffusione fino a −40 °C) e quindi questo tipo di nebbia è comune solo nell’area e nei dintorni delle regioni artiche e antartiche. Una precipitazione di aghi di ghiaccio simile alla nebbia ghiacciata, ma che si verifica con cielo sereno e non provoca diminuzione di visibilità, si chiama polvere di diamanti. Come tutti sanno, la Pianura Padana è per eccelenza la terra dove la nebbia nasce. Il Po, la prevalenza di aree agricole, la mancanza di vento e il sistema per lo più pianeggiante sono tutti fattori che permettono la formazione di questo evento atmosferico. Essendo l’area di progetto ai margini del grande fiume, risente della nebbia, talvolta anche nei mesi più caldi. La realizzazione di numerosi dislivelli per la protezione dai fenomeni di piena, permette un controllo della nebbia. La vegetazione mista in base alle quote del parco, le porzioni a quota minore, l’accumulo o meno dell’acqua permette la formazione della nebbia in modi diversi, a quote diverse e con intensità diverse. Se prendiamo in considerazione la stagione autunnale: al mattino avremo un tipo di nebbia a quota molto bassa, mentre nel pomeriggio dopo le ore più calde questa tenderà a uniformarsi con il paesaggio, dove la vegetazione è rada prevarrà, dove gli alberi saranno molti resterà alla quota delle chiome. Se, percorrendo il parco, mi trovassi su un dislivello molto alto avrei una percezione diversa della nebbia e la visibilità sarà maggiore di quella che potrei avere a pelo dell’acqua accumulata nei giorni di pioggia. Una macchina della nebbia, che non sempre potrebbe funzionare, ma in grado comunque di intervenire nelle emozioni del fruitore che può riscoprirla come elemento di prestigio e non di disturbo.

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Grazie all’intervento di messa a dimora di nuove specie arboree, che vanno a differenziare l’attuale monocoltura di pioppi e la prevalenza di utilizzo ciclabile dell’argine esistente si favorisce il ripopolamento e la tutela della biodiversità faunsitica del parco del Po. Dall’alto a destra: moretta tabaccata, albanella minore, occhione, cutrettola, airone cenerino, ciuffolotto, lepre, vanessa, germano reale, faggiano, barbagianni, falco cuculo, falco pescatore, sgarza ciuffetto.

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I VANTAGGI DEL MIX DI ALBERATURE Biodiversità è il termine usato per indicare la varietà delle espressioni di vita sul pianeta Terra; l’assortimento a cui si riferisce la parola non è solo da intendere in termini di specie, vegetali e animali, morfologicamente diverse, ma alle infinite differenziazioni genetiche. La parola “biodiversità” assume un’ampia connotazione, cha va oltre le differenze di forme e colori, in quanto esprime la diversità di interi sistemi viventi che caratterizzano e rendono unici paesaggi e territori. Pochi associano la parola bosco alla pianura; planiziale è appunto il bosco di pianura popolato da grandi latifoglie, arbusti ed erbe, dimora di molteplici comunità animali. Il bosco planiziale vive accanto ai pioppeti coltivati: il pioppo coltivato è un ibrido fra il Pioppo nero europeo nigra) ed un parente euramericano (Populus deltoides); presenta foglie grandi e tipicamente bronzee da emergenti; quella del pioppo è da considerarsi una coltura agraria a tutti gli effetti, in quanto ne presenta tutte le caratteristiche: a livello nazionale coinvolge oltre 40 aziende per una coltivazione complessiva di circa 100 mila ettari. Il 70% della pioppicoltura per la produzione di legno è localizzata nelle pianure dell’Italia settentrionale, in modo particolare nelle aree golenali dei fiumi dove il suolo alluvionale garantisce una buona disponibilità idrica. Nata per soddisfare le esigenze delle industrie delle paste per carte, la pioppicoltura si è indirizzata successivamente alla produzione di tronchi di maggiori dimensioni da destinare alle industrie di compensati e di imballaggi da ortofrutta. Le differenze tra le due tipologie di bosco sono evidenti anche all’occhio più distratto. Schematizzando le differenze tra pioppeto coltivalto e bosco misto noteremo che queste sono molteplici. Nel pioppeto troviamo che: è un monocoltura poiché si utilizzano piante di una sola specie, è assente il sottobosco; è soggetto a trattamenti con antiparassitari contro insetti e funghi e a periodiche lavorazioni del terreno che eliminano completamente lo strato erbaceo sottostante e tutto ciò che vi abita; è assente o quasi di legno morto; il sesto d’impianto è regolare e geometrico in modo innaturale; ogni 8-10 anni circa l’intero pioppeto viene abbattuto per essere rinnovato; il terreno viene ripulito, arato e preparato per un nuovo impianto; la biodiversità e molto ridotta; il paesaggio subisce una forte banalizzazione ed appiattimento. Per quanto riguarda il bosco naturale invece: è presente una ricchezza di specie erbacee, arbustive ed arboree; prevale la presenza di un ricco sottobosco.; la lotta ai parassiti delle piante è biologica naturalmente basata sulla competizione tra specie animali; la presenza

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di legno morto dimora di importanti organismi decompositori; non c’è regolarità artificiale nella disposizione delle piante ad alto fusto, ma una naturale disposizione delle stesse dettata dalla competizione alla ricerca della luce; nel bosco naturale gli alberi vivono adattandosi a fattori biotici ed abiotici dettati dall’ambiente, la longevità delle piante è determinata dalle caratteristiche genetiche delle essenze quando non è preclusa da eventi naturali; la biodiversità è elevata e il paesaggio è vario. La perdita della biodiversità si ha quando una specie o una parte del suo patrimonio genetico o un ambiente naturale scompare per sempre. Le attività umane, dirette o indirette, sono a oggi il massimo fattore di scomparsa di specie viventi sulla Terra. Una più vasta varietà di specie animali e vegetali è sinonimo di una maggiore diversità di specie: la biodiversità assicura la naturale sostenibilità di tutte le forme di vita, un ecosistema in buona salute reagisce meglio alle debolezze e contribuisce a rafforzare il patrimonio culturale e biologico, tramandandolo di generazione in generazione. Non si deve dimenticare che la biodiversità è importante perché è fonte per l’uomo di beni, risorse e servizi: gli specialisti parlano e pongono l’accento sul ruolo dei servizi ecosistemici che sono classificati in servizi di supporto, di fornitura, di regolazione e culturali. Il depauperamento della biodiversità cagiona impatti piuttosto pesanti sull’economia mondiale e sullo stato di salute della società umana, riduce la disponibilità di risorse alimentari, provoca la fame nel mondo, la mortalità infantile, il rischio di epidemie, il dispendio di risorse energetiche e la carenza medicinali. Essendo la biodiversità la varietà degli esseri viventi che popolano la Terra, frutto di lunghi e complessi processi evolutivi e comprende tutte le forme di vita differenti a livello di geni, di specie e di ecosistemi, è necessario difenderla: la diversità degli ecosistemi naturali con il maggiore numero di specie si preservano meglio e garantiscono la tutela della vita sul Pianeta terrestre. Dal bosco planiziale alla siepe di ripa, dall’ albero imponente al minuto fiore di campo, la biodiversità della flora del Parco fluviale del Po, si esprime in mille affascinanti modi; solo con interventi attenti e rispettosi dell’ambiente si può favore questo ecosistema spesso in bilico. Il progetto vuole, nel suo piccolo, essere un monito per la sua difesa. “…Perciò se l’animo si distoglie dalle cose umane e si volge alle piante, agli animali e ai minerali, non è affatto un errore, come a volte si sente dire. Se le fontane si disseccano, si va al fiume. Là non è necessario credere: il prodigio è palese”. Ernst Jünger

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PECHA KUCHA 20x20 12 febbraio 2018

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INTO THE FOG

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2 IL PO E I CENTRI STORICI

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3 CENTRI ABITATI ED ESONDAZIONI

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4 UN INTERVENTO RIPETIBILE

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5 OSTIGLIA E IL PERICOLO ESONDAZIONI

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6 LAYERS DI PROGETTO

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7 I PERCORSI

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8 IL CONTROLLO DELL’ACQUA (e della nebbia)

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9 IL CONTROLLO DELLA NEBBIA

Argine + 10.00 m

Argine + 10.00 m

Canale - 1.50 m

Duna + 6.00 m

Duna + 6.00 m

Argine + 8.00 m

Livello golena + 10.00 m

Argine + 10.00 m

Argine + 10.00 m

Canale - 1.50 m

Duna + 6.00 m

Livello piena + 8.00 m ca.

Livello piena + 5.00 m

Duna + 6.00 m

Argine + 8.00 m

Livello golena + 10.00 m

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10 LE STAGIONI DELLA NEBBIA

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11 FOCUS SUL PROGETTO

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12 TRA LA NEBBIA SULLA NUOVA PISTA

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13 LA NEBBIA SULL’ACQUA DURANTE UN’ESONDAZIONE 74


LE FASI DI CANTIERIZZAZIONE L’area su cui insiste il nuovo progetto di parco della nebbia è di per sè molto grande. La supercie ammonta infatti a 62 ettari circa. Il progetto del parco lungo il fiume Po è composto dalle seguenti aree: - la nuova pista ciclabile integrata alla strada d’argine esistente, riqualificata ed attrezzata con aree di sosta e attrezzature per il fitness concepite per poter essere collocate in spazi aperti; - il percorso ciclabile ex novo che si avvicina al fiume restando in quota per permettere la fruibilità anche durante le piene; - il nuovo argine “parallelo” all’argine maestro esistente con pista ciclabile sulla sommità; - il nuovo sistema di canali che consente una maggiore tutela dell’abitato dalle piene, dando nuovi spazi all’acqua; - i riporti di terreno di nuova realizzazione che ridisegnano di fatto il suolo pianeggiante; - i nuovi spazi boschivi grazie alla messa a dimora di numerose specie arboree, prediligendo il mix tipologico per sostenere la biodiversità e riportare il paesaggio al suo stato storico, quando i pioppeti a scopo industriale ancora non esistevano. La scelta delle specie arboree rispetta i caratteri naturali del luogo, garantendo una rinaturalizzazione. Per la realizzazione complessiva del parco, della durata di almeno quattro anni, si stima l’utilizzo di numerose macchine per le operazioni di scavo e riporto e la necessaria predisposizione di alcune strutture temporanee per i lavoratori impegnati. Supponendo di dividere la grande area in quattro sottoinsiemi, come rappresentato nelle pagine seguenti, si è stilato un elenco dettagliato delle diverse fasi di realizzazione del parco. Il programma lavori è stato strutturato al fine di evitare i pericoli potenziali derivanti dalla sovrapposizione delle varie lavorazioni o di fasi delle stesse. Laddove si ritrovano sovrapposizioni temporali nel cronoprogramma, le lavorazioni sono da intendersi previste in aree differenti, e tale scelta risulta possibile in virtù delle caratteristiche morfologiche e dimensionali dell’intera area. Molto probabilmente, il trasporto di materiale come sedime o elementi vegetali da parte del fiume, costringerà ad una continua pulizia delle zone più basse del parco: per questo motivo la stima dei tempi e dei costi necessari per la realizzazione dell’opera è approssimativa. Il parco sarà soggetto a continui lavori di mantenimento, sia del sistema di dune che del verde, con continue potature e pulizia del sottobosco, oltre che al trasporto di materiale legnoso in centrali a biomassa e aziende di produzione di compensati. Consideriamo la prima porzione del parco, ad ovest rispetto ad Ostiglia.

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14 CONTEGGIO DELLE OPERE

OPERE DI SCAVO

RIMOZIONE ASFALTO

REALIZZAZIONE STRATO DRENANTE

RIQUALIFICAZIONE PISTA CICLABILE

TRASPORTO TERRENO

RINFORZO ARGINE MAESTRO

REALIZZAZIONE NUOVO ARGINE

SPOSTAMENTO DIMORA ALCUNE ALBERATURE

MESSA A DIMORA NUOVE ALBERATURE

FORMAZIONE DUNE

FORMAZIONE SCOLI D’ACQUA

6 236 300 m² 62,4 ha

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FASI DEL CANTIERE 1. Allestimento del cantiere con recinzioni e definizione degli accessi sull’argine maestro esistente, nella parte ovest. In questa fase ci saranno degli operai addetti alle recinzioni, di altezza non inferiore a 2m, lungo l’argine esistente . Tali recinzioni avranno la finalità di delimitare l’intera area di intervento ed impedire l’accesso a persone, mezzi e cose verso e dal cantiere per l’intera durata dei lavori. Sono stati previsti per tale area un ingresso mezzi e un ingresso pedonale. Pertanto alcuni degli arbusti esistenti verranno rimossi per permettere la viabilità e l’accesso pedonale. Verranno utilizzati mezzi manuali e non. In particolare: dumper, attrezzi manuali, carriola, compressore con motore endotermico, decespugliatore a motore, martello demolitore pneumatico. 2. Installazione nel cantiere di presidi igienico-sanitari e assistenziali. I servizi igienico-sanitari e assistenziali sono costituiti da locali ricavati in strutture prefabbricate appositamente approntate, nei quali le maestranze possono usufruire di refettori, servizi igienici, locali per riposare, per lavarsi, per il ricambio dei vestiti. Tali servizi saranno installati al di fuori delle aree di cantiere, in prossimità dell’argine, per evitare di dover smontare il tutto terminata la prima fase e reinstallare successivamente. Si procederà pertanto ad un’attenta e circoscritta individuazione delle aree per apprestamenti di cantiere. Le macchine utilizzate saranno autocarro ed autogru; inoltre ci sarà la necessità di utilizzare attrezzi manuali, avvitatore e trapano elettrici, ponteggio mobile o trabattello, saldatrice elettrica. In questa fase ci saranno almeno tre addetti all’avviamento e alla ricezione del carico, all’installazione e al montaggio in esercizio dei box prefabbricati nel cantiere. 3. Opere preliminari di preparazione del terreno, scavi di sbancamento e movimento terra. Partendo dalla zona in prossimità del fiume e, procedendo dapprima con la realizzazione del secondo argine, si arriva all’area compresa tra i due rilevati d’argine con scavi e sbancamenti. I movimenti terra di modellazione e sagomatura delle aree verranno eseguiti a cielo aperto con l’ausilio di mezzi meccanici e/o a mano; la cubatura estratta dal terreno per la realizzazione dei nuovi canali rinforzati in georete ecosostenivile, verrà riutilizzata in toto per la realizzazione dei nuovi riporti di terra. Vengono utilizzate numerose macchine, almeno 50 tra autocarri, escavatori e pala meccanica. Per il trasporto di terra nell’a-

rea prossima al fiume si presuppone l’utilizzo di chiatte fluviali che trasportano enormi quantità di terra direttamente dalle cave che si trovano lungo il fiume Po, prediligendo quelle più vicine all’area di cantiere. A tale scopo si è consultato il sito di un produttore di questo tipo di imbarcazioni che siano comprensive di gru per la messa a dimora delle tonnellate di terra necessarie (www.flumar.com/it/chiatte). Si opta per l’utilizzo della chiatta denominata “Angelo” che a pieno carico trasporta fino a 300 m3 di terra. Per quanto riguarda i riporti di terra da realizzare nella porzione di area in prossimità dell’argine maestro, si predilige il trasporto su strada con materiale di cava proveniente dalle numerose cave rintracciate sul territorio. I mezzi scelti sono autotreni della ditta Scania che possono trasportare fino a 60 m3 di terra a pieno carico. Al fine di garantire la massima sicurezza ed il minimo disagio verso l’esterno, si provvederà a limitare la fuoriuscita di polveri, detriti, calcinacci. In questa fase saranno necessarie numerose figure specializzati che eseguano i lavori per lo scavo ed il movimento terra, a cielo aperto, a mano e/o con mezzi meccanici. Anche in questa fase sarà necessario l’utilizzo di attrezzi manuali quali carriola, andatoie e passerelle; compressore con motore endotermico, martello demolitore pneumatico. 4. Scavi a sezione ristretta. Scavi a sezione ristretta, eseguiti a cielo aperto, a mano e/o con mezzi meccanici per la realizzazione di canali di scolo dell’acqua, con pendii rinforzati in terra armata dotata di tessuti eco-sostenibili in biostuoia. Le trincee che verranno realizzate avranno profondità poco significative di 1,5 metri. Nella prima fase di cantiere si procederà allo scavo dei canali oltre argine; nella seconda e terza fase quelli compresi tra il nuovo argine e l’argine maestro esistente. Verranno utilizzati escavatori, dumper e mini-escavatori. La terra estratta sarà riutilizzata per le operazioni di riporto. I mezzi manuali da utilizzarsi in questa fase sono i medesimi dei già citati in precedenza. Le dimensioni dell’area consentono lo svolgimento contemporaneo di attività di scavo, di canalizzazione, e di rinterro. Tuttavia, l’operatività di mezzi di diverso genere, la coincidenza delle aree di accesso al cantiere, di stoccaggio temporaneo, e di altre aree di transito, nonché la necessaria sequenzi lità delle lavorazioni in aree prossime tra loro, rende necessario evidenziare tali aspetti significativi della specifica fase lavorativa. Inoltre, a causa della scarsa profondità delle trincee, pur tenendo nella dovuta considerazioni i rischi di seppellimenti e sprofondamenti , caratterizzanti sempre tale specifica lavorazione, si dovrà essenzialmente porre

cura nella segnalazione dei fronti di scavo, per autogrù, attrezzi manuali, carriola, compattatore limitare i rischi di caduta. a piatto vibrante, decespugliatore a motore, motosega, trituratore. Al fine di garantire la massima 5. Realizzazione nuovo argine. Ultimata la pri- sicurezza ed il minimo disagio verso l’esterno, si ma fascia verso il fiume Po, si realizzerà il nuovo provvederà a limitare la fuoriuscita di polveri o argine che sarà ultimato con il proseguo della altro. nuova pista cilabile sulla sommità. Questa sarà pavimentata in cemento drenante di color sab- 8. Smobilizzo del cantiere. Rimozione del cantiere bia; questo materiale ha una buona permeabili- realizzata attraverso lo smontaggio delle postatà, scarsa attitudine al trattenimento del calore e zioni di lavoro fisse (banchi di lavori e di taglio, si presenta con una superficie scabra che lascia betoniera, molazza, ecc.), di tutti gli impianti di l’inerte a vista, unendo in tal modo una durabilità cantiere (elettrico, idrico, ecc.), delle opere provnel tempo e un’immagine con caratteristiche di visionali e di protezione, della recinzione posta naturalità. Nelle zone di riposo e sosta, il manto in opera all’insediamento del cantiere stesso ed superficiale verrà realizzato con colori diversi per il caricamento di tutte le attrezzature, macchine la distinzione da parte del fruitore della posizio- e materiali eventualmente presenti, su autocarri ne sul percorso. Il materiale viene scaricato di- per l’allontanamento verso le aree da realizzarsi rettamente in finitrice dall’autobetoniera, per poi successivamente. essere steso con lo stesso procedimento dell’asfalto. Gli addetti specializzati procederanno alla ALCUNI CALCOLI costruzione della pista ciclabile avvalendosi an- Consideriamo la prima fascia di parco da reache di attrezzi manuali per operazioni di compat- lizzarsi in un tempo T1 che può durare da un tazione di rilevati in genere, eseguite mediante minimo di un anno ad un massimo di due. rullo compressore. Nella parte sottostante, sopra L’asportazione di terra derivante dalle operazioil terreno vegetale, verrà inserito uno strato di ni di scavo dei canali ammonta ad un totale di spessore pari a 25 cm di misto granulometrica- 40 905 m3; questi verranno utilizzati per la realizmente stabilizzato. L’argine maestro esistente ver- zazione dei riporti di terra inerbiti. La cubatura nerà ristabilizzato con terra armata lungo i pendii; cessaria per la realizzazione di questi sarà di circa il manto stradale esistente verrà riformulato ridu- 5 851 000 m3 , comprensivo dei 404 200 m3 di cendo la sezione carrabile per inserire due corsie terra necessaria per la realizzazione del nuovo di pista ciclabile, andata e ritorno, di larghezza argine. Supponendo che durante la Fase 1 (area 1,50 metri ciascuna. Il manto di queste avrà le prossima al fiume) il trasporto di terra avvenga medesime caratteristiche di quello della pista di almeno per il 60% tramite chiatta avremo che 2 nuova realizzazione. 419 257 m3 di materiale vedranno il trasporto fluviale. Se l’imbarcazione scelta può trasportare 6. Posa di “arredo urbano” e attrezzi fitness. Lun- al massimo 300 m3 , saranno necessari 8000 giri go la pista ciclabile si predispongono attrezzi e per ogni singola imbarcazione. I restanti verranaree di sosta, attrezzate con panchine e tavoli, no trasportati su strada con l’utilizzo di almeno per i fruitori della pista ciclabile. Verrà impiegato 30 autotreni, con trasporto di circa 60 m3 di terun autocarro e saranno necessari degli addetti ra l’uno; si stima che ogni mezzo, secondo un specializzati alla posa in opera di tali elementi chilometraggio di distanza media del prelievo di di arredo. materiale, percorra circa 10 000 km in un anno. 7. Sistemazione a verde, consistente nella rimozione delle alberature esistenti (laddove previsto), messa a dimora di alberature e arbusti, preparazione del terreno e semina del tappeto erboso. Sistemazione di area a verde, ottenuta mediante movimenti terra (per la modifica e/o correzione dei profili del terreno), l’abbattimento delle essenze preesistenti (pioppi per la produzione di materia da biomassa), la messa a dimora di nuova alberatura, di nuove essenze arbustive e cespugliose, la dismissione della vegetazione preesistente, la preparazione del terreno per la semina di prato, la semina stessa, la pulizia del “sottobosco”. Operai specializzati utilizzeranno dumper, motozappa, pala meccanica, trattore,

STIMA DI ALCUNI COSTI DI REALIZZAZIONE Dalla consultazione del prezzario della Regione, si sono ricavati alcuni costi di massima degli elementi necessari alla realizzazione del parco. Per quanto riguarda la sistemazione delle parti a verde si considera: - la fornitura di terra vegetale proveniente da cave di prestito per la formazione di aiole, piazzole, ecc. compreso la cavatura, l’indennità` di cava, la selezione e vagliatura, il carico, il trasporto con qualsiasi distanza stradale, lo scarico e tutti gli altri oneri indicati nelle Norme Tecniche, esclusa la sistemazione del materiale, misurata in opera, 19,16 euro/m³; - la seminagione di scarpate e sponde interne

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15 IL CANTIERE NEL TEMPO

4,00 m

2,5 m

4,00 m

2,5 m

8,00 m t.2

t.4

t.0

12,00 m

10,00 m t.3

t.

t.4

t.

t.1

t.2

4,00 m

2,5 m t.0

8,00 m

t.1

t.3

8,00 m t.2

12,00 m

10,00 m t.4

12,00 m

10,00 m t.3

t.

t.4

t.

8

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t.1

t.3

8

t.0

t.2

4,00 m

2,5 m

8

t.1

12,00 m

10,00 m

8

t.0

8,00 m


16 TEMPO T0-T1 IN DETTAGLIO FASE 1

FASE 2

Periodo

1

2

3

4

5

Area

1 376 300 m²

6

7

8

9

10 11 12

Livello fiume Po

Principali lavorazioni

Periodo

1

2

3

4

Area

143 300 m²

5

6

7

8

9

10 11 12

Livello fiume Po

Principali lavorazioni

FORMAZIONE SCOLI D’ACQUA

OPERE DI SCAVO

TRASPORTO TERRA DA CAVE

ASPORTAZIONE TERRENO 17 900 m³

REALIZZAZIONE NUOVO ARGINE 404 200 m³

TRASPORTO DI TERRA DA CAVE

CONSOLIDAMENTO STRATO SUPERFICIALE

FORMAZIONE DUNE 4 050 000 m³

BARRIERE PROVVISORIE IN CASO DI PIENA ANOMALA

REALIZZAZIONE PISTA CICLABILE

LEGNAME PER L’EDILIZIA POTATURA ALBERATURE

4,00 m

MESSA A DIMORA DI 1300 ALBERATURE

CIPPAIA PER BIOMASSA

2,5 m

OPERAZIONI DI SCAVO OLTRE ARGINE

4,00 m

RIAPERTURA E CONSOLIDAMENTO CANALE ESISTENTE

2,5 m

8 535 m³

anni t.

anni t.0

t.1

t.

8

t.1

8

t.0

FASE 3

OBIETTIVI RAGGIUNTI

Periodo

1

2

3

4

Area

520 200 m²

5

6

7

8

9

10 11 12

Periodo

1

2

3

4

Area realizzata

1 520 000 m²

5

6

7

8

9

10 11 12

Livello fiume Po

Principali lavorazioni

Benefici TRASPORTO DI TERRA DA CAVE

OPERE DI SCAVO

MAGGIORE SPAZIO PER L’ACQUA

FORMAZIONE SCOLI D’ACQUA 14 465 m³

ULTERIORE PROTEZIONE DALLE PIENE

CONSOLIDAMENTO ARGINE ESISTENTE

RIQUALIFICAZIONE PISTA CICLABILE

FORMAZIONE DUNE 1 440 300 m³

MAGGIORE RISPETTO DELLA BIODIVERSITA’

4,00 m

POTATURA ALBERATURE

MESSA A DIMORA DI 1500 ALBERATURE

4,00 m

2,5 m

FRUIZIONE DELL’UOMO

2,5 m anni t.

anni t.0

t.1

t.

8

t.1

8

t.0

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Stato di fatto

17 DETTAGLI DEL CANTIERE 80

Scavo

Rinforzo terreno canali e argini


con erbe prative. Sono compresi: la provvista di semi; la semina; la sarchiatura e l’innaffiamento fino all’attecchimento, 0,54 euro/m²; - la messa a dimora di talee di specie arbustive (diametro cm 1-5, lunghezza cm 70-80) ad elevata capacità vegetativa (ad esempio salici) negli interstizi delle difese spondali (4 talee per mq) con infissione nel terreno vegetale per almeno cm 50-60, 2,12 euro/n° - la messa a dimora di piantine di specie arbustive od arboree a radice nuda, 1,04 euro/n°; - il costo biostuoia antierosione completamente biodegradabile formata da cuscinetto di fibre di paglia trattenute da una sottile rete sintetica, 1,07 euro/ m²; - il costo georete, 4,70 euro/ m² - lo scavo di sbancamento eseguito con mezzi meccanici, anche a campioni di qualsiasi lunghezza, in materie di qualsiasi natura e consistenza, asciutte o bagnate, anche in presenza d’acqua, compresa la demolizione di massicciate stradali, 6,97 euro/ m³; - la formazione di rilevato per la costruzione o la modifica di argini, quali rialzi, ringrossi, banche e sotto-banche con terreno scevro da ogni impurità proveniente da cave, fornitura compresa la preparazione del piano di posa, la scorticatura, l’immorsatura, la stesa, la compattazione per strati dello spessore non superiore ai 50 cm e la profilatura dei rilevati stessi, 20,70 euro/m³; - il costo di un operaio specializzato, 30,60 euro/h. I costi totali di realizzazione dell’opera sono molto elevati: si stima che per la realizzazione di ogni singola “fascia” occorrano circa 120 000 000,00 di euro. LA PIOPPICOLTURA La pioppicoltura rappresenta per l’Italia, e per la Lombardia in particolare, la più significativa fonte interna di legname per l’industria pur occupando una superficie minima rispetto a quella delle foreste. Nell’area di progetto sono presenti numerosi pioppi; per la realizzazione del parco saranno rimossi dalla superficie e trasportati verso le centrali a biomassa. La pioppicoltura occupa una posizione rilevante nel sistema legno nazionale e rappresenta la fonte di approvvigionamento più importante per le industrie di prima trasformazione. É principalmente impiegato per la produzione di pannelli compensati, pannelli listellari, imballaggi di vario genere ed altri prodotti di minore importanza economica. La pioppicoltura ha assunto nel tempo sempre più caratteristiche colturali simili a quelle delle colture agrarie tradizionali con le quali entra in rotazione. La coltivazione del pioppo è mirata a massimizzare la produzione di questo assortimento, raggiungibile adottando turni di

coltivazione di 10-11 anni, densità di impianto intorno alle 280 piante ad ettaro e tecniche di potatura idonee a produrre tronchi con almeno i primi 6 metri di fusto privi di rami e difetti. Sono da preferire i terreni profondi (almeno 50 cm, meglio 70-100 cm), permeabili e caratterizzati da buona disponibilità idrica: il livello di falda freatica è considerato ottimale a 100-150 cm di profondità. I terreni ben strutturati e con buona disponibilità di elementi nutritivi consentono di limitare gli stress indotti da molti parassiti primari. Le operazioni colturali da eseguire nella fase di preimpianto comprendono i lavori preparatori principali (aratura e scarificatura o discissura) e i lavori complementari (erpicatura, fresatura ed estirpatura). Per creare le condizioni fisiche favorevoli alla formazione e allo sviluppo dell’apparato radicale delle pioppelle, è necessario intervenire con lavorazioni complementari. L’erpicatura ha lo scopo di sminuzzare le zolle e spianare la superficie e può servire ad interrare eventuali concimi distribuiti dopo l’aratura. Questa lavorazione interessa solitamente uno strato di 10-20 cm di terreno e può essere eseguita subito o poco dopo l’aratura estiva. La messa a dimora delle nuove alberature di pioppi sulla sommità delle “dune” di terra prevede l’utilizzo del pioppo bianco che è impiegato esclusivamente in interventi di recupero ambientale o per la costituzione di impianti a scopo energetico. I pioppi neri verranno utilizzato a scopo ambientale, mentre quelli tremuli per i nuovi filari sulla pista ciclabile e lungo i nuovi canali. Queste tipologie di specie sopporta bene i periodi di siccità e allo stesso tempo resiste ai fenomeni di esondazione frequenti lungo il Po. La scelta della spaziatura dipende dalle caratteristiche della stazione (clima, terreno) e dal clone prescelto e condiziona la durata del turno, che aumenta con l’aumentare delle distanze di impianto. Nel progetto si sceglie un sesto d’impianto a maglia quadrata che permette la messa a dimora di circa 330 alberi, a distanza di 6 m. Le nuove pioppelle devono essere ben sviluppate, lignificate, corrette nella forma, esenti da parassiti, lesioni e difetti. Le pioppelle di due anni (alte tra i 6 e gli 8 m), anche se più costose fino a max 5 euro, sono in genere da preferire poiché dotate di una porzione di fusto di 5-6 m già priva di rami ed in genere più diritta. Questa caratteristica rende più semplici gli interventi di potatura di nei primi anni dell’impianto con un miglioramento della qualità del prodotto finale. Il pioppeto deve essere costituito con pioppelle in completo riposo vegetativo, da metà novembre a tutto marzo. Sono da evitare i

periodi di gelo più intensi quando le operazioni di apertura e una chiusura delle buche possono venire ostacolate. Nei terreni più freschi e ben strutturati, l’interramento delle pioppelle deve avvenire per una profondità pari ad un quinto della loro altezza (indicativamente almeno 70 cm per le pioppelle di un anno e 120 cm per quelle di due anni). Il diametro della buca di norma deve essere intorno a 25-30 cm. Le lavorazioni superficiali, ripetute due o tre volte durante la stagione vegetativa su tutta la superficie del pioppeto, rappresentano la tecnica più diffusa. Nel periodo di riposo del pioppeto, prima della messa a dimora di nuovi alberi, è possibile coltivare orzo, frumento e quant’altro, per garantire un riposo del terreno. Inoltre è possibile anche la consociazione può essere attuata con colture erbacee o arboree. Nel primo caso il pioppo è la coltura principale, nel secondo una specie ad utilizzo temporaneo che consente di ricavare un reddito in tempi brevi (10-12 anni) ed è utile come starter alla coltura legnosa di maggior pregio. È una pratica consigliabile solo nei terreni più fertili, dove si mantengono accettabili gli effetti negativi della competizione per l’approvvigionamento idrico-nutrizionale. La potatura è un’operazione colturale indispensabile per migliorare la qualità e le proprietà tecnologiche del legname. Con questa operazione si diminuisce il numero di nodi presenti nel legno, si aumenta la lunghezza utilizzabile e la cilindricità dei fusti e, conseguentemente, il valore del prodotto. Nel pioppo la potatura consiste principalmente nella soppressione graduale di tutti i rami che si sono sviluppati nella parte basale dei fusti. La pioppicoltura, così come descritta, è da considerare una coltivazione agraria di tipo intensivo in quanto prevede la costituzione di impianti monoclonali e l’applicazione di tecniche colturali mirate al raggiungimento in turni brevi di produzioni legnose abbondanti e di elevata qualità. Gli elevati input energetici necessari al raggiungimento di questo scopo possono determinare impatti ambientali negativi. Per questo motivo si vuole integrare la pioppicoltura ad un bosco misto che rispetti le caratteristiche del paesaggio golenale. Dal punto di vista economico, inoltre, la pioppicoltura è al limite della sostenibilità: i ricavi infatti, stimati dagli 8250 agli 11 050 euro/ha (fonte CRA-PLF unità di ricerca per le produzioni legnose fuori foresta) ed i costi intorno agli 8000 euro/ha, di cui il 23% riferito solo all’impianto delle alberature. Si sono quindi redatti dei calcoli per una dimostrazione scientifica della capacità di alimentare le centrali a biomasse nelle vicinanze dell’area di progetto. Sul sito della provincia di Mantova ne sono state rintracciate numerose. In particolare si conside-

rano le centrali di: Poggio Rusco, in via Marconi, con potenza di 1,7 MWe, a ca. 12 km da Ostiglia; di Felonica, in via Marconi 7, con 5,1 Mwt e 1 MWe di potenza (che richiedono 15 000 ton. di combustibile l’anno), situata a 25 km da Ostiglia; di Quingentole, in località Fienili, con 1 MWe e 2,4 Mwt (con una richiesta di 29 300 ton. di materiale da bruciare all’anno) a 11 km; di San Benedetto Po, in via Mazzaloe, con potenza di 1 MWe, a 22 km di distanza; di Roncoferraro, centrale a legna, di 1 MWe, a 17 km; di Revere in strada comunale delle Salandre, con 2,4 MWt e 1 MWe di potenza, situata a 4 km circa; infine si è considerata una piccola centrale a gestione famigliare a nord di Ostiglia. I calcoli che si sentetizzano sono riferiti alla prima fase di progettazione. Da un impianto per biomassa di pioppo, con cloni specifici, a ciclo biennale, su un terreno fertile e dovutamente irrigato si ottiene una produzione massima di 600 quintali di massa legnosa umida per ettaro, pari ad una produzione di 300 quintali/anno per ettaro di biomassa. E’ importante considerare che queste biomasse, raccolte solo nel periodo invernale per evitare la presenza di fogliame, presentano un contenuto di acqua che può arrivare al 70% contro il 30% di sostanza secca. Quindi i 300 quintali/anno di biomassa umida, considerando l’elevata percentuale di acqua, si riducono a circa 100 quintali/anno di sostanza secca per ettaro. Da un impianto per di pioppeto con ciclo di 10 anni e con un sesto di impianto 6 x 6 metri, si ottengono a fine ciclo 275 piante di pioppo ad alto fusto ed un peso medio di 9 quintali. Nel caso del progetto, gli alberi a dimora sono 1650 avendo a disposizione 6 ettari. Dei 9 quintali, si considerano 2,5 quintali di cippato e ceppa da destinare a biomassa e 3 quintali di trancia e sottotrancia. Il totale ammonta quindi a 5,5 quintali x 1650 pioppi= 9075 quintali, considerando un ciclo di coltivazione di 10 anni, danno 900 quintali di sostanza legnosa umida per ettaro per anno. E’ importante poi rilevare che queste biomasse da pioppeto hanno un’umidità media che varia dal 45 al 50% di acqua. Di conseguenza si può considerare una sostanza secca alla consegna delle ramaglie di circa il 53%: 907,5 quintali/anno x 53% = 481 quintali totali per biomasse. Ogni pioppo ha un potere calorifero di circa 3,3 kWh/kg; moltiplicando la resa totale, togliendo il peso dell’acqua, otteniamo: 3,3 kWh/kg x 48 100 kg = 158 730 kWh. Se 1 MW= 8 760 000 KWh/giorno, sappiamo che il cippato tagliato nel nostro pioppeto soddisferà appena il 20% del fabbisogno di una piccola di 1 MW di potenza. Ecco perchè nelle centrali si bruciano altri materiali naturali come scarti agricoli e letame.(fonte www.federlegnoarredo.it)

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18 IL TRASPORTO DELLA TERRA

1 TRASPORTO TERRA CON AUTOTRENO 2 LAVORAZIONE NELLE AREE DI CANTIERE max 10 km

15 minuti OPERAZIONI DI SCAVO

46 200 m³

1 TRASPORTO TERRA CON CHIATTE 2 STOCCAGGIO MATERIALE 3 TRASPORTO MATERIALE NELLE AREE DI CANTIERE max 30 km 82

TERRA NECESSARIA 6 035 000 m³

80 minuti


19 LA PIOPPICOLTURA PER LA BIOMASSA

1MWe

8-10 ANNI 1500 ALBERI

900 kg PIOPPO

RIPOSO TERRENO

1MWe 3MWt

1MWe 2,4MWt

TRASPORTO STERPAGLIE E PIOPPI

9000 QUINTALI

ENERGIA DA BIOMASSA

5360 QUINTALI

LEGNAME PER L’EDILIZIA

1MWe 2,4MWt

5,1MWt 1 MWe 1,7MWe

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20 LA NEBBIA NEL PIOPPETO: mattina, pomeriggio, sera, notte

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20 QUATTRO LIVELLI DELLA NEBBIA

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TAVOLE FINALI 12 febbraio 2018

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MASTERPLAN

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STRUTTURA PONTE

RIVESTIMENTO PONTE

La struttura portante del ponte viene realizzata in legno lamellare: vengono utilizzate tre travi lamellari principali di luce 9,00 m e con dimensione 0,80 x 0,20 m; le travi secondarie sono disposte ogni 0,80 m e hanno dimensione di 0,12 x 0,44 m. La scelta degli elementi portanti, rivestiti poi in legno di teak, è stata fatta a seguito di un predimensionamento visti i carichi massimi che possono agire sulla struttura (comprensivi di elementi portanti, portati, carichi accidentali come la neve e il peso delle persone in caso di sovraffollamento).

Il ponte-passerella sopra i canali, in legnoviene rivestito con legno di TEAK. Sopporta molto bene escursioni termiche, l’umidità, l’attacco della salsedine, e degli agenti atmosferici, condizioni che mettono al contrario a dura prova qualsiasi altro tipo di legno. Queste caratteristiche lo rendono uno dei legni più durevoli al mondo. Proprio grazie a queste sue caratteristiche di bellezza, durabilità, resistenza, duttilità, e immarcescibilità, il teak risulta un legno eccellente per le applicazioni più diverse.

VEGETAZIONE MURO CONTENIMENTO RIVERDITO Clematis orientalis è un vitigno deciduo o arbusto rampicante delle specie Clematis, originario dell’Asia e dell’Europa centrale. Il nome del genere, Clematis, è una derivazione dell’antica parola greca “clématis”, che significa “arrampicarsi”. Questa è una descrizione della tendenza che le specie Clematis mostrano essere scalatori. Viene scelta questa specie per il richiamo alla nebbia nel suo aspetto.

CASO STUDIO SCELTO Per la configurazione architettonica del muro viene scelto come riferimento il progetto a São Paulo dello studio Triptyque. In questo progetto le pareti sono spesse e ricoperte esternamente da uno strato vegetale che funziona come la pelle della struttura. Questo muro denso è fatto di un cemento organico che ha pori, dove crescono diverse specie di piante, dando alle facciate un aspetto unico.

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COLORAZIONI CEMENTO DRENANTE SUPERFICIE PISTA CILABILE Colorazioni superficie ciclabile in calcestruzzo drenante e fonoassorbente Betonrossi ad elevate prestazioni, appositamente studiato per il settore delle pavimentazioni stradali. Le caratteristiche di lavorabilità del materiale consentono la posa in opera mediante l’utilizzo di finitrice stradale. Drainbeton viene impiegato in configurazione mono-strato (in colorazione naturale), con sotto-struttura in misto di ghiaia granulometricamente stabilizzato. Lo strato in calcestruzzo drenante è costituito da una miscela in conglomerato cementizio contenente inerti, acqua, cemento e additivi, appositamente studiata per applicazioni stradali e compatibile con la sovrapposizione di strati in conglomerato bituminoso. I colori scelti nel progetto sono distinti in base al tipo di percorso e moviemento che il fruitore è invitato a svolgere. In particolare si utilizzano i colori indicati in figura: osservare (1) nei punti di belvedere; andare (2) dove il percorso attraversa un paesaggio omogeneo; fare attenzione (3) nei punti dove il percorso ciclopedonale interseca quello carrabile; verde-grigio (4) riposare, nelle aree prettamente di sosta.

Esempi di realizzazioni di terre armate

1 2

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3 4


SEQUENZA DI POSA GRIGLIE TERRA RINFORZATA

1

SEQUENZA DI POSA GRIGLIE TERRA RINFORZATA

A

2 B

3 C

D

4

F

E

1. Viene preparato il piano di fondazione; asportati eventuali radici, sassi o detriti che possono trovarsi in loco, rullato e compattato. Viene eseguito il tracciamento del rilevato. Posizionati ed allineati i casseri in rete elettrosaldata (A) collegandoli tra loro; 2. Vengono srotolati i rotoli di geogriglia di rinforzo TENAX TT GS (B) e tagliate con un cutter secondo le lunghezze indicate dal progetto, in base alla profondità dell'ancoraggio, dal risvolto in facciata (circa 700 mm) e dal risvolto superiore (circa 1500 mm). Vengono quindi posizionati all'interno dei casseri in rete elettrosaldata le porzioni di geogriglia tagliate adagiandoli sul piano di fondazione in strati orizzontali e perpendicolari al fronte; la geogriglia di rinforzo deve essere ben aderente alla facciata interna del cassero (deve corrispondere alla lunghezza stabilita per il risvolto superiore);

1. Viene preparato il piano di fondazione; asportati eventuali radici, sassi o detriti che possono trovarsi in loco, rullato e compattato. Viene eseguito il tracciamento del rilevato. Posizionati ed allineati i casseri in rete elettrosaldata (A) collegandoli tra loro; 2. Vengono srotolati i rotoli di geogriglia di rinforzo TENAX TT GS (B) e tagliate con un cutter secondo le lunghezze indicate dal progetto, in base alla profondità dell’ancoraggio, dal risvolto in facciata (circa 700 mm) e dal risvolto superiore (circa 1500 mm). Vengono quindi posizionati all’interno dei casseri in rete elettrosaldata le porzioni di geogriglia tagliate adagiandoli sul piano di fondazione in strati orizzontali e perpendicolari al fronte; la geogriglia di rinforzo deve essere ben aderente alla facciata interna del cassero (deve corrispondere alla lunghezza stabilita per il risvolto superiore); 3. Viene posizionata quindi la biostuoia in fibre vegetali (C) internamente al risvolto DETTAGLIO RINFORZATA in facciata della TERRA geogriglia di rinforzo TENAX TT 1GS; vengono poi posizionati Terreno vegetale: spessore 300 mm i tiranti di irrigidimento cassero 2 Geogrigliadel TENAX TT SAMP(D) ogni 450 mm circa; 3 Tirante uncinato (150 mm x 150 mm, d=8 mm) 4 perdere metallico VieneCassero steso ila terreno di riempimento previsto fibre vegetali (E),5inBiostuoia questoincaso argilloso/limoso compatTerreno di riempimento compattato tato6 sulle geogriglie di rinforzo in strati dello spessore di circa 300 mm: in prossimità della facciata viene utilizzato uno strato di terreno vegetale (F) di circa 300 mm. La terra viene costipata mediante vibro-costipatore o piastre vibranti; 4. Le operazioni vengono ripetute lungo tutta l’altezza del canale/argine.

Le geogriglie TENAX TT sono prodotte mediante estrusione e disegno monodirezionale di griglie in polietilene ad alta densità. Questa tecnologia realizza prodotti con importanti proprietà tecniche. Le geogriglie TENAX TT, essendo chimicamente inerti e con una elevata resistenza alla trazione e modulo, sono prodotte specificamente per il rinforzo del terreno. L’interblocco del suolo e l’aggregato all’interno delle aperture delle geogriglie, limita il suolo e limita gli spostamenti del suolo ed aumenta la resistenza allo stress da taglio.

1 2

3

DETTAGLIO TERRA RINFORZATA 1 Terreno vegetale: spessore 300 mm

4

2 Geogriglia TENAX TT SAMP 3 Tirante uncinato (150 mm x 150 mm, d=8 mm)

6 5

2

4 Cassero a perdere metallico 5 Biostuoia in fibre vegetali 6 Terreno di riempimento compattato

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BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA - Torres Ana Maria, Isamu Noguchi: a study of space; Shoji Sadao, New York,Monacelli, 2000;

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