Theriaké anno I n. 8

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Theriaké MENSILE DELL’ASSOCIAZIONE GIOVANI FARMACISTI DI AGRIGENTO

Anno I n. 8 Agosto 2018


Sommario

Rubriche

4 Fitoterapia&Nutrizione

Sangue di drago Mitologia, arte e chimica di una resina conosciuta dall’antichità

8 Fitoterapia&Nutrizione

Le proprietà e i beneficî del mirtillo

10 Delle Arti

L’iconofobia contemporanea e le sue implicazioni

16 Apotheca&Storia

La medicina nell’antica Roma

20 Fitoterapia&Nutrizione

Pino mugo, un’inesauribile fonte di olî essenziali

Responsabile della redazione e del progetto grafico: Ignazio Nocera Redazione: Valeria Ciotta, Elisa Drago, Christian Intorre, Francesco Maratta, Federica Matutino, Giorgia Matutino, Silvia Nocera, Giusi Sanci. Contatti: theriake@email.it In copertina: Rodolfo Papa, Disumano. Olio su tela, 100 x 70 cm., 1997. Collezione privata. Questo numero è stato chiuso in redazione il 22 – 8 – 2018

Collaboratori: Stefania Bruno, Paola Brusa, Laura Camoni, Corrado De Vito, Roberto Di Gesù, Gaetano Di Lascio, Claudio Distefano, Vita Di Stefano, Carla Gentile, Aurelio Giardina, Pinella Laudani, Maurizio La Guardia, Erika Mallarini, Rodolfo Papa, Annalisa Pitino. In questo numero: Lorenzo Camarda, Valeria Ciotta, Vita Di Stefano, Ignazio Nocera, Rodolfo Papa, Giusi Sanci.

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Fitoterapia&Nutrizione

SANGUE DI DRAGO

Mitologia, arte e chimica di una resina conosciuta dall’antichità

Lorenzo Camarda*, Vita Di Stefano**, Ignazio Nocera*** Con il nome “sangue di drago” viene indicata la resina prodotta da Dracaena draco L., una pianta monocotiledone a portamento arboreo tipica dell’Africa Occidentale diffusa nelle Isole Canarie, nell’Arcipelago di Madeira e Capo Verde. Questa pianta appartiene alla famiglia delle Liliaceae e all’ordine Liliiflorae (Figura 1). Nei luoghi d’origine o in condizioni ambientali favorevoli può superare i 20 m di altezza. Il caule, di colore grigio scuro, si divide dicotomicamente in rami che terminano con rosette di foglie Figura 1. Dracaena draco. Esemplare presente in Sicilia. Teatro Politeama, Palermo. sessili, coriacee, lanceolate, lunghe fino a 1 m, di colore verde glauco, disposte a bruciato questo sangue vicino ad una finestra aperta in formare una chioma a foggia d’ombrello. I fiori (Figura camera da letto, per sette notti a mezzanotte, il proprio 2), riuniti in pannocchie ascellari, sono piccoli, biancouomo avrebbe fatto ritorno a casa [3]. verdastri e con perigonio campanulato. I frutti (Figura 2) Troviamo l’albero del drago rappresentato in molte opere sono delle bacche di 1 - 1,5 cm, carnose, tondeggianti, d’arte, tra queste La fuga in Egitto (Figura 5), incisione su verdi quando immature, arancioni a maturità [1][2]. La rame di Martin Schongauer, databile tra il 1469 e il 1474, crescita della pianta è lenta ed occorre una decade perché può essere considerata la più antica. Nell’opera, l’artista raggiunga l’altezza di 1 m. Poiché non presenta anelli tedesco raffigura con grande accuratezza il tronco inciso annuali, l’età può essere stimata dal quale cola la resina. Sembra solo in base al numero di che questo albero sia stato suddivisioni dei rami. Il più ritratto per la propria antico esemplare vivente si importanza simbolica; essendo ritiene sia millenario e si trova a il drago simbolo del diavolo. E Icod de los Vinos, nella zona poiché la fama del “sangue di nord-orientale di Tenerife drago” deriva da un drago (Figura 3). ucciso, Dracaena draco è Il termine Dracaena deriva dal insieme l’allegoria del trionfo greco δράκαινα, femmina di sul demonio e della passione drago, e draco invece è il del Cristo presagita dalla ferita termine latino che significa sul tronco dell’albero [3]. Altri drago; infatti, albero del drago è artisti come Albrecht Dürer il nome comune con il quale (Figura 6) e Hieronymus Bosch vengono sovente chiamati gli Figura 2. Infiorescenza ed infruttescenza di Dracaena (Figura 7) rappresentarono esemplari di questa specie. La draco. questa pianta attribuendovi il resina, di colore rosso scuro, medesimo valore simbolico e prodotta dal tronco della pianta, fuoriesce dal fusto per evocare scenarî esotici. rapprendendosi sulla corteccia in piccole gocce che Gli antichi Guanches [3], popolo nativo di Orotava induriscono all’aria acquistando una consistenza vetrosa nell’Isola di Tenerife, consideravano gli autoctoni alberi (Figura 4). del drago loro protettori, e li veneravano credendo che La forma di alcuni di questi giganteschi alberi avessero un’anima; inoltre si servivano della resina per “sanguinanti” dal tronco ha dato origine nel corso dei l’imbalsamazione dei defunti, e furono probabilmente i secoli a numerose leggende. Una di queste, riportata da *Già docente associato di chimica analitica, William A. Emboden, in Bizarre Plants, Magical, Università degli Studi di Palermo. Monstrous, Mythical, vuole che il primo albero del drago sia nato nel luogo in cui fu sepolto il mostro marino Pau **PhD Dipartimento di Scienze e Tecnologie Tangalu, e che dal tronco dell’albero fuoriuscissero gocce Biologiche Chimiche e Farmaceutiche, del sangue del mostro. Se una sposa o un’amante Università degli Studi di Palermo. abbandonata, continua ancora la leggenda, avesse ***Farmacista

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primi a trarre profitto dal commercio di essa. In Europa, il “sangue di drago”, fu introdotto in seguito all’espansione dell’Islam, entrando a far parte delle Farmacopee di molti paesi [4]. Nel Ricettario fiorentino del 1498, a proposito del “sangue di drago”, si legge: «gomma di un albero che nasce nelle isole Canarie», e si specifica che andava usata quella di colore rosso acceso, trasparente e frangibile chiamata «sangue di drago in lacrime». L’introduzione della resina nell’uso medico trovava giustificazione nella “teoria della segnatura”, secondo la quale Dio diede alle parti che compongono le piante e le erbe una caratteristica forma che rivela all’uomo l’uso che questi può farne per ottenere beneficio. Dunque la resina dal colore così simile a quello del sangue venne lungamente adoperata per fermare le emorragie [3]. Inoltre, alcuni conoscitori della mitologia classica Figura 3. Dracaena draco. Esemplare millenario di Icod de los Vinos, riconobbero nell’albero del drago Ladone, il Tenerife. serpente dalle cento teste che Era pose a guardia prodotta dalla Dracaena cinnabari di Socotra, ad esempio, del giardino delle Esperidi. Secondo una versione del fu la prima ad essere studiata, e verosimilmente era mito, Eracle uccise Ladone e ritornò da re Euristeo conosciuta già dagli antichi Egizi i quali, in alcune portando in dono le mele d’oro prese dal giardino, e sulla iscrizioni su dei monumenti, insieme ad altre resine, ne terra in cui fu versato il sangue di Ladone spuntarono gli menzionano una le cui caratteristiche ed applicazioni alberi del drago [5]. Questo, insieme ad altri racconti, ed concordano con quelle descritte per il “sangue di drago” alle presunte illimitate virtù medicinali, contribuì a da scrittori arabi del Medioevo; Plinio il Vecchio ci tenere alto il prezzo del “sangue di drago” in Europa, e a informa che questa resina era conosciuta anche dai Greci far nascere intorno ad esso un florido mercato [3]. [8][9]. La Dracaena schizantha Le applicazioni mediche della dell’Africa Orientale e resina nel tempo sono state dell’Arabia del Sud, produce il molteplici, è stata impiegata “sangue di drago arabo” [3]. Il come astringente, lattice della Pergularia africana, decongestionante polmonare, autoctona dell’Africa tropicale, nelle forti sudorazioni, e nelle è conosciuto anch’esso come diarree [5][7]. Come “sangue di drago”, ma servì febbrifugo; linimento per le soprattutto per adulterare le ulcere della bocca, dell’esofago, resine ottenute dalle specie di dello stomaco e dell’intestino; Dracaena [3]. Pterocarpus antivirale nelle infezioni draco, specie della famiglia dell’apparato respiratorio e delle Fabaceae dell’India dello stomaco, e nei disordini Occidentale, produce una della pelle come l’eczema [5]. resina conosciuta in quella zona Come collutorio per curare stomatiti da scorbuto, Figura 4. “Sangue di drago”, resina di Dracaena draco come padauk. Anche molte specie del genere Daemonorops, costituente di unguenti per il rappresa sulla corteccia. della famiglia delle Palmaceae, trattamento delle ferite e, come presenti nel Sud-Est asiatico, producono la resina che è già detto, quale agente per bloccare la fuoriuscita di chiamata jerang in Indonesia, e draconis resina a Sumatra. sangue [5][6][9]. Presso le popolazioni indigene delle La resina ottenuta da Daemonorops è stata usata come Canarie, dove è endemica Dracaena draco, la resina era mordente per acquaforte, nello sviluppo fotografico, e utilizzata per sanare le ferite e le piaghe della pelle e ancor prima per la composizione di vernici utilizzate dai della bocca, e per curare la lebbra [7][8]. Il suo uso è oggi liutai italiani fino al XVIII secolo [3]. Un recente lavoro limitato alla colorazione di stoffe, di ceramiche, per la riporta l’uso di una polvere rossa che è venduta in preparazione di lacche e vernici, e per la fotoincisione su Virginia e fumata come sostanza d’abuso (spesso in zinco [6][9]. associazione con la marijuana). Un’indagine sui Nella seconda metà del XIX secolo la resina veniva costituenti chimici isolati da questa polvere rossa ha prescritta in Germania come costituente della Pulvis consentito di stabilire che si tratta di “sangue di drago” arsenicalis Cosmi, in Ungheria nell’Emplastrum ad prodotto proprio da Daemonorops draco [10]. ruptura, in Belgio nell’Alumen draconisatum e in Olanda Oggi in commercio la resina prodotta da Daemonorops nell’Emplastrum resinosum rubrum. E rientrava inoltre draco è la più comune e viene usata come lacca per nella preparazione dell’Emplastrum Opodeldoc, nelle lucidare strumenti musicali, ai quali conferisce il tipico Pilulae adstringentes e nelle Pilulae Helveticae. Ancora colore. oggi viene riportata nel Deutschen Arzneibuch con il Sebbene una prima indagine chimica sia stata compiuta nome di resina draconis. Attualmente comunque, all’inizio del secolo XVIII [11], soltanto a partire dalla l’applicazione in medicina è poco indicata [7]. prima metà del secolo XX lo studio dei componenti Numerose altre piante, oltre alla Dracaena draco, sono chimici della resina è stato approfondito. Nel 1943 è stato utilizzate come fonte di “sangue di drago”. La resina

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Figura 5. Martin Schongauer. La Fuga in Egitto (1469-1474), incisione su rame, 255×169 mm. Rijksmuseum Amsterdam. A sinistra si nota un esemplare di D. draco.

isolato un primo pigmento, la dracorodina [12], e successivamente, nel 1950, da un altro gruppo di ricercatori, un secondo pigmento, la dracorubina [13]. In relazione alla stretta analogia strutturale dei due pigmenti sembra chiaro che i due gruppi di ricerca, indipendentemente, avevano lavorato sulla stessa resina e cioè su quella proveniente dal Sud-Est asiatico prodotta

Figura 6. Albrecht Dürer. Fuga in Egitto, xilografia, 291×208 mm, Museo Nazionale di Belle Arti della Repubblica di Moldavia. Sullo sfondo si osservano degli esemplari di D. draco.

da Daemonorops draco. La dracorodina è stata anche sintetizzata [14]. Studi più recenti su questa resina, basati su più moderni e sofisticati metodi di separazione, hanno permesso di stabilire le strutture di una serie di nuovi composti contenuti in essa. Sono stati così isolati [15] la nordracorodina e la

Figura 7. Hieronymus Bosch, Trittico delle delizie (1480-1490), olio su tavola, 220×195 cm (tavola centrale), 220×97 cm (tavole laterali). Museo Nacional del Prado, Madrid. Nell’anta interna sinistra denominata Il Paradiso Terrestre si nota un esemplare di D. draco.

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nordracorubina, analoghi strutturali della dracorodina e della dracorubina privi del gruppo metilico in posizione 6 e i flavani [15] (Figura 8), che possono essere considerati come i precursori dell’intera serie di composti flavanoidici contenuti nella resina. Insieme a questi sono stati isolati altri composti a struttura flavanoidica: la prodeossiantocianidina, e la benzodiossiepina. Sono stati isolati anche trimeri flavanoidici [16] a struttura più complessa (Figura 8). Infine dalla stessa resina sono state isolate diverse sostanze di natura terpenoidica, fra cui acidi diterpenici [17], alcuni triterpeni quali il 22-idrossiopanone, il dipterocarpolo, l’acido dammarenolico, l’acido e l’aldeide oleanonica, già noti come composti naturali, e, inoltre, lo pterocarpolo (Figura 8), un raro sesquiterpene già isolato da Pterocarpus santalinus e Pterocarpus macrocarpus. L’analisi della resina di Dracaena draco proveniente da alcuni esemplari presenti nell’Orto Botanico di Palermo ha permesso di identificare cinque composti che presentano un sistema flavanico, alcuni già noti in letteratura [11], e cinque compatibili con una struttura omoisoflavanica [18][19][20] (Figura 9 e Figura 10).

Dracorubina R = CH

Dracorodina R = CH

Nordracorubina R = H

Nordracorodina R = H

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Trimeri flavonoidici

Benzodiossiepina

Prodeossiantocianidina

Pterocarpolo

Figura 8. Composti identificati nella resina di Daemonorops draco.

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Figura 9. Composti a struttura flavanica identificati nella resina di Dracaena draco.

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Figura 10. Composti a struttura omoisoflavanica identificati nella resina di Dracaena draco.

Bibliografia: 1.

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5. 6. 7. 8. 9.

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LE PROPRIETÀ E I BENEFICÎ DEL MIRTILLO

Valeria Ciotta* Il mirtillo (Vaccinium myrtillus L.) è una pianta appartenente alla famiglia delle Ericaceae, cresce nella zona submontana e montana, in Italia è frequente nelle Alpi e si rinviene nell'Appennino fino all'Abruzzo; si trova nei boschi e nelle brughiere. Grazie alle sue proprietà antiossidanti, antinfiammatorie e vasodilatator ie aiuta nella cura dei disturbi del sistema cardiocircolatorio. La droga è costituita da diverse parti della pianta. Se si impiegano i frutti (bacche), le foglie o le parti meristematiche, avremo più attività terapeutiche. Questo perché ogni droga agirà secondo principi attivi diversi, che costituiranno il suo specifico fitocomplesso. Le bacche del mirtillo nero contengono molti acidi organici (malico, citrico ecc.), zuccheri, tannini, pectina, le vitamine A, C e, in quantità minore, la vitamina B, e i glucosidi antocianici (mirtillina) i quali, oltre a dare al frutto il suo caratteristico colore, riducono la permeabilità dei capillari e rafforzano la struttura del tessuto connettivo, che sostiene i vasi sanguigni, migliorandone l’elasticità e il tono. I glucosidi antocianici conferiscono al fitocomplesso la proprietà capillaroprotettrice, rendendolo particolarmente adatto al trattamento dei disturbi circolatori, specie di origine venosa e in tutti i casi di fragilità capillare, soprattutto a carico della retina. Queste sostanze sono capaci di inibire l'attività di alcuni enzimi che distruggono il collagene e i tessuti elastici dei capillari e dei vasi del sistema circolatorio periferico, provocando fragilità e la loro eccessiva permeabilità; inoltre favoriscono e aumentano la velocità di rigenerazione della porpora retinica degli occhi, la rodopsina, che è il pigmento della retina, essenziale per la visione in condizioni di scarsa luminosità, acuendo la vista specialmente la sera, quando c’è poca luce. I grandi pregi nutritivi del mirtillo derivano anche dalla ricca presenza di vitamina A e C (in maggior quantità), ma anche di vitamine B1, B2, PP che conferiscono alle bacche un’azione antiossidante, e di sali minerali essenziali per il nostro organismo (calcio, fosforo, ferro, Mirtillina sodio e potassio). Questi principi, nutritivi coadiuvati dagli antocianosidi, inibiscono validamente la formazione dei radicali liberi, responsabili dell'ossidazione delle particelle di colesterolo LDL, indotta dal rame, che è la causa fondamentale della formazione delle placche aterosclerotiche nelle pareti dei vasi sanguigni. Tale attività è massima dopo circa 60 minuti e rimane su livelli significativi per circa 6 ore. Le antocianine del mirtillo hanno anche un effetto antisettico utile nel trattamento della diarrea, delle coliche dolorose addominali e delle cistiti. Recentemente

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si è scoperto che inibiscono l'adesione dei colibacilli alla parete dell'intestino e della vescica, fornendo così una spiegazione al loro uso nelle infezioni urinarie e intestinali, provocate dall'alterazione della flora batterica. Le foglie del mirtillo meritano una menzione speciale; contengono tannino, glucosidi, flavonoidi e glucochina, sostanza che abbassa il contenuto di glucosio nel sangue: possiedono cioè gli effetti astringenti e antidiarroici dei frutti, ma sono anche ipoglicemizzanti; si consigliano quindi ai chi soffre di diabete, in quanto consentono di ridurre le dosi di farmaci per via orale o quelle di insulina. Le proprietà del frutto si esprimono se questo viene mangiato spesso e in grandi quantità, tuttavia anche solo una manciata contribuisce al nostro benessere. Se però si vuole agire su qualche problema specifico il più

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delle volte è consigliato assumere un estratto secco titolato che assicuri un quantitativo di principi attivi molto più alto. Sconsigliato solo a chi ha calcoli renali o è predisposto ad averli. Presso la tradizione nordica il mirtillo era considerato una pianta in grado di proteggere dalla malasorte. In Scandinavia i suoi rami venivano utilizzati nella cerimonia del "Piccolo Yule" (il 13 dicembre), un rito associato alla stella del solstizio d'inverno, conosciuta nella tradizione nordica come "portatrice di torcia". Ecco una ricetta semplice che può essere fatta in casa: 1 cucchiaio di succo madre (spremitura delle bacche senza aggiunta di acqua e zuccheri) in mezzo bicchiere d’acqua, al mattino a digiuno, per problemi legati alla microcircolazione. Le modalità d’uso possono essere diverse: • Estratto secco titolato: 60-120 mg è il dosaggio giornaliero da assumere lontano dai pasti. • Decotto di mirtillo: 70 grammi di bacche fatte bollire in 1 litro d’acqua per almeno 5 minuti. • Tintura madre: 40 gocce 2volte al giorno in un bicchiere d’acqua per stimolare le funzioni gastriche, e come antisettico • Succo di mirtillo: un cucchiaio al mattino a stomaco vuoto per contrastare i problemi della microcircolazione. • Macerato glicerinato giovani getti: 40-50 gocce in due somministrazioni giornaliere, lontano dai pasti, come antinfiammatorio e regolatore della motilità intestinale.

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Halvorsen B.L., Holte K., Myhrstad M.C., Barikmo I., Hvattum E., Remberg S.M., Wold A.B., Haffner K., Baugerød H., Andersen L.F., Moskaug J.Ø., Jocobs D.R., Blomhoff jr and R. A systematic screening of total antioxidants in dietary plants. J Nutr 132:461-471. 2002. Heinonen M. Antioxidant activity and antimicrobial effect of berry phenolics – a perspective. Mol Nutr Food Res 51:684-691. Review 2007. Hellström J.K., Törrönen R.A., Mattila P.H. Proanthocyanidins in Common Food Products of plant origin. J Agric Food Chem 57:7899- 7906. 2009. Johansson A., Laakso P., Kallio H. Characterization of seed oils of wild, edible Finnish berries. Z. Lebensm Unters-Forsch A. 204:300-307. 1997 Kalt W., McDonald J.E., Ricker R.D., Lu X. Anthocyanin content and profi le within and among blueberry species. Can J Plant Sci 79:617-623. 1999. Kalt W., Howell A., MacKinnon S., Goldman I. Selected bioactivities of Vaccinium berries and other fruit crops in relation to their phenolics contents. J Sci Food Agric 87:2279-2285. 2007. Kivimäki A.S., Ehlers P.I., Siltakari A., Turpeinen A.M., Vapaatalo H., Korpela R. Lingonberry, cranberry and blackcurrant juices affect mRNA expressions of infl ammatory and atherothrombotic markers of SHR in a long-term treatment. J of Functional Foods 4:496-503. 2012. Kolehmainen M., Mykkänen O., Kirjavainen P.V., Leppänen T., Moilanen E., Adrianes M., Laaksonen D.E., Hallikainen M., Puupponen Pimiä R., Pulkkinen L., Mykkänen H., Gylling H., Poutanen K., Törrönen R. Bilberries reduce low-grade infl ammation in individuals with features of metabolic syndrome. Mol Nutr Food Res 56:1501-1510. 2012. Koponen J.M., Happonen A.M., Mattila P.H., Törrönen R.A. Contents of anthocyanins and ellagitannins in selected foods consumed in Finland. J Agric Food Chem 55:1612-1619. 2007.

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Delle Arti

L’ICONOFOBIA CONTEMPORANEA E LE SUE IMPLICAZIONI

Rodolfo Papa Le immagini, correttamente lette ed interpretate, consentono anche di comprendere la storia. Possono aiutare la storiografia, l’ermeneutica e l’iconologia, a ricostruire il senso originario, nella ricomposizione dei lacerti di cui siamo in possesso. Le immagini, dunque, possono anche essere utilizzate come fonti documentarie. Eppure, anche all’interno delle scienze umane, esiste una imperdonabile iconofobia, che per certi versi si è diffusa in molti ambiti culturali. In tal senso, sono certamente utili gli studi proposti da Peter Burke nel suo Testimoni oculari, che denuncia la diffusa prassi di considerare “trasparenti” le fonti figurative, e propone piuttosto di guardare ad esse come a una finestra aperta sul passato [1]. In questa prospettiva, prende in esame diversi livelli di opacità delle immagini [2], le presenze e le assenze dei soggetti, le composizioni e gli intrecci, proponendo una «storia culturale delle immagini» o «antropologia storica delle immagini» [3]. Al di là delle modalità proposte per l’utilizzo delle immagini stesse, è Figura 1. Rodolfo Papa, Adamo ed Eva. Olio su tela, 100 x 100 cm., 1999. Coll. priv. interessante la sottolineatura del loro valore ai fini conoscitivi, che contrasta con una sia della apologetica che della predicazione. diffusa diffidenza verso di esse. Il delectare, docere e movere sono in vario modo L’Occidente, l’Occidente cattolico in modo particolare, ha considerati il fine della pittura, come lo sono per Cicerone studiato bene il rapporto tra immagine e significato, la nell’oratoria. Lo scritto di Federico Borromeo testimonia relazione che intercorre tra l’immagine e la “visione del come una pittura di paesaggio venga considerata non fine mondo” da rappresentare. Ad a se stessa, ma capace di svolgere esempio, l’arcivescovo Federico «L’epoca contemporanea si presenta, il triplice compito appena Borromeo fondò a Milano descritto. paradossalmente, come “civiltà delle l’Accademia Ambrosiana del Il cardinal Federico concepisce Disegno ed il Museo Ambrosiano immagini”, eppure di fatto usa solo una l’arte come mezzo efficace nella negli anni dieci e venti del piccola parte delle infinite possibilità che pratica devozionale e ritiene che Seicento, per diffondere l’arte, il le immagini offrono» l’arte pittorica sia in particolare suo studio e lo sviluppo dell’arte capace per le sue caratteristiche sacra. statiche ed al contempo descrittive, di produrre piacere, Non di rado in quegli anni a cavallo tra Cinquecento e insegnare e muovere l’anima verso le virtù. Seicento grandissimi cardinali si occuparono in vario Rimane così all’interno di una lunga tradizione, che modo dell’arte, dell’uso dell’immagine e della interpreta l’arte in modo simile a come affermava il connessione con la retorica classica e l’oratoria, Carlo cardinal Paleotti nel suo trattato sull’arte del 1582: «La Borromeo, Gabriele Paleotti, lo stesso Federico e il cugino pittura, dunque, che in origine aveva il solo scopo di del Paleotti, Alfonso, in più poi il teatino Paolo Aresi, ed il rendere verosimile la realtà, ora per mezzo delle virtù si gesuita Cipriano Soarez iniziarono in vario modo a riveste di nuovo valore e, oltre a rendere verosimile la recuperare la retorica e l’oratoria antiche, modificandole, realtà, si eleva ad un fine maggiore mirando alla gloria correggendole, innovandole e adattandole alle esigenze eterna, distogliendo gli uomini dal vizio e conducendoli al

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Delle Arti

visio” [5], ovvero allo sganciamento dell’immagine da un testo letterario o dalla logica teologica o da una immagine “retorica” atta a mostrare la verità, al fine di Rodolfo Papa, pittore, scultore, teorico, storico e filosofo mostrare le cose nella loro apparenza, ritenendo questo dell’arte. Esperto bastante. Lo spostamento dell’orizzonte culturale dalla della XIII filosofia o dalla teologia alla tecnologia ha comportato Assemblea una serie di difficoltà teoretiche sullo statuto Generale Ordinaria dell’immagine, che hanno poi informato di sé tutta la del Sinodo dei modernità e la contemporaneità, fino al presunto Vescovi. Docente di superamento determinato dalla nascita di nuovi mezzi Storia delle teorie di rappresentazione. estetiche presso Da quel momento in poi registra, infatti, una certa l’Istituto Superiore resistenza all’uso delle immagini, che è il sintomo di una di Scienze iconofobia [6] che è incomprensibile in senso generale, Religiose e lo è ancor più in un’epoca come la nostra epoca. Sant’Apollinare, L’epoca contemporanea, infatti, si presenta, Roma; il Master di II Livello di Arte e Architettura Sacra paradossalmente, come “civiltà delle immagini”, eppure dell’Università Europea, Roma; l’Istituto Superiore di di fatto usa solo una piccola parte delle infinite Scienze Religiose di Santa Maria di Monte Berico, Vicenza; possibilità che le immagini offrono. la Pontificia Università Urbaniana, Roma. È Accademico La sfiducia nelle immagini si è insinuata anche nel Ordinario della Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti mondo cattolico, che per certi versi ne ha posto ai e Lettere dei Virtuosi al Pantheon. Presidente della margini l’uso, limitandolo a semplice commento visivo Accademia Urbana delle Arti. di un testo “scritto”, non riconoscendone dunque un significato proprio. Si produce, così, una biforcazione Tra i suoi scritti si contano circa venti monografie e interna al percorso centrifugo di allontanamento alcune centinaia di articoli (“Arte Cristiana”; “Euntes dall’uso dall’immagine: da una parte l’immagine crea Docete”; “ArteDossier”; “La vita in Cristo e nella Chiesa”; diffidenza per la sua presunta inesattezza, per una sorta “Via, Verità e Vita”, “Frontiere”, “Studi cattolici”; di pregiudizio di minorità nei confronti reale che si è “Zenit.org”, “Aleteia.org”; …). ritenuto meglio descrivibile con le parole “scritte”; Come pittore ha realizzato interi cicli pittorici per dall’altra parte, l’immagine viene giudicata troppo Basiliche, Cattedrali, Chiese e conventi (Basilica di San complessa per essere decifrata e quindi di fatto viene Crisogono, Roma; Basilica dei SS. Fabiano e Venanzio, ritenuta “muta” per l’uomo contemporaneo. Roma; Antica Cattedrale di Bojano, Campobasso; Si potrebbe dire che si è passati dal culto delle immagini Cattedrale Nostra Signora di Fatima a Karaganda, al culto della parola [7], citando Hans Belting, che Kazakistan; Eremo di Santa Maria, Campobasso; propone il culto della parola come forma protestante Cattedrale di San Panfilo, Sulmona; chiesa di san Giulio I dell’iconoclastia. L’iconoclastia, nel secondo papa, Roma; San Giuseppe ai Quattro Canti, Cinquecento, è stata ampiamente combattuta in ambito Palermo; Sant'Andrea della Valle, Roma …). cattolico, sullo slancio dei documenti del Concilio di Trento, ma nel corso del Novecento si è fatta strada vero culto di Dio». anche nel mondo cattolico. Come sottolinea la Bettetini, La concezione dell’arte che abbiamo trovato espressa in c’è una forma di vandalismo che è penetrata, attraverso Borromeo e Paleotti si rifà direttamente a dotte vari canali, persino nel mondo “virtuale” elaborazioni del quattordicesimo secolo, quale la contemporaneo e per certi versi «è una iconoclastia predicazione muta, concepita nello “Specchio di endogena, quella che […] avevamo definito cannibale: le predicazione” di Andrea Bonaiuti nel Cappellone degli immagini virtuali si distruggono tra loro e si spagnoli, in Santa Maria Novella a Firenze, in continuità autodistruggono, perché sono facilmente con il testo scritto di Jacopo Passavanti “Lo specchio di interscambiabili, appiattite sul loro rappresentare se vera penitenza”. stesse. Invadono la vita quotidiana dell’uomo del Anche Beato Angelico, come ha ben mostrato Eugenio ventunesimo secolo, che tuttavia possiede armi rapide Marino [4], stabilisce l’analogia Ut praedicatio pictura che per disfarsene: un click, un mouse, un del» [8]. è esplicazione dell’umanistica Occorre essere coscienti proporzione: “Ut eloquentia (o dell’ambiguo statuto «… le immagini virtuali si distruggono tra rhectorica) pictura”. Meditando i dell’immagine nell’epoca dipinti dell’Angelico, possiamo loro e si autodistruggono, perché sono contemporanea, e soprattutto risalire dalla forma sensibile facilmente interscambiabili, […]. Invadono del pregiudizio di inattualità espressa (rappresentata) alla la vita quotidiana dell’uomo del verso l’immagine e in particolar inventio, ovvero alla fonte, ventunesimo secolo, che tuttavia possiede modo verso l’immagine dipinta, stabilendo l’analogiada cui derivano innumerevoli armi rapide per disfarsene: un click, un proporzione: “Ut pictura equivoci ed ulteriori predicatio / Ut pictura rhetorica mouse, un del» fraintendimenti. In questi / Ut pictura theologia / Ut M. Bettetini equivoci e fraintendimenti si pictura poësis”. radica l’estrema superficialità Recuperando così gran parte della tradizione iconografica con cui vengono in genere lette le opere d’arte. che va dal X al XVI secolo, Federico Borromeo innova la proposta di delectare, docere e movere anche attraverso L’influenza dell’iconofobia nella cultura cattolica. “paesaggi” e le “nature morte” capaci di tradurre. Abbiamo visto come alcuni autori abbiano individuato Ora con il protestantesimo olandese, infarcito anche di le remote radici dell’iconoclastia contemporanea, e una visione “pre-materialista” si giunge al “Ut pictura ita come Peter Burke abbia addirittura proposto il termine

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Figura 2. Rodolfo Papa, Animum Reflectere I. Olio su tela, 80 x 100 cm., 2000. Coll. Accademia Pontificia Vaticano.

iconofobia [9] per definire per la questione servomeccanismi, ovvero delle macchine che si regolano contemporanea dell’immagine. Hans Belting, invece, ha e controllano da sé, dalla parola greca kybernetes cioè rinvenuto due visioni opposte relative al significato nocchiero) «tanto innocente non è», e nasconde dell’immagine: il culto delle immagini proprio del mondo pericolose trasposizioni di valori tra ciò che è umano e cattolico, il culto della parola, espressione della ciò che meccanico [11]. riflessione teologica protestante [10]. Nel Cinquecento, se si voleva indicare la perfezione, si La contemporaneità vive, dunque, un usavano esempi che valorizzavano proprio le paradosso: avendo apparentemente potenzialità umane. Vasari per parlare dell’assoluta vinto su ogni fronte nella sfida lanciata esattezza del giudizio matematico, proporzionale ed secoli addietro, confidando non più nella perenne architettonico di Michelangelo Buonarroti scriveva che vitalità di un profondo rapporto di fede in Dio, ma egli aveva «le seste negli occhi»; o ancora Galileo Galilei solamente nella tecnologia e nei risultati mutevoli delle per esemplificare un sistema complesso e compiuto scienze, ha di fatto prodotto una “civiltà delle immagini parlava di «tutte le regole del Vinci». Gli esempi si intrinsecamente iconofobica”. potrebbero protrarre a lungo e Il curioso ossimoro che ne «La fiducia smisurata per il dato lascio alla cultura classica di deriva traduce il vero tecnologicamente tratto, per il prodotto di ciascuno la libertà di ampliare paradosso che tutti noi tale elenco. elaborazione elettronica, per il risultato viviamo, senza però Potremmo individuare, quindi, meccanico della riproduzione fotografica accorgercene. una visione tecnocratica che non La fiducia smisurata per il dato del reale, ha soppiantato la fiducia solo ha imposto culti di tipo tecnologicamente tratto, per il nell’uomo…» tecnologico in ambiti per loro prodotto di elaborazione natura umanistici, ma di fatto ha elettronica, per il risultato meccanico della riproduzione imposto i suoi valori tecnologici anche nell’ambito delle fotografica del reale, ha soppiantato la fiducia nell’uomo. immagini. L’immagine, infatti, viene identificata quasi Per esempio, quando ci sono gravi incidenti in esclusivamente con il prodotto meccanico di una qualunque campo tecnologico, per sminuire l’accaduto e riproduzione fotografica. Non di rado mi è capitato di tranquillizzare le coscienze si parla di “errore umano” vedere esposte sugli altari fotografie di statue e di dipinti cioè di ciò che è per sua natura, secondo l’immaginario famosi oppure fotografie di santi e beati contemporanei. collettivo del mondo moderno, fallibile, incapace di Chiedendo ragione della esposizione della fotografia di controllo e soprattutto di “esattezza”, ignorando il fatto un fondatore, ho avuto come risposta disarmanti che proprio l’uomo è il costruttore delle macchine. Come motivazioni tecniciste, ovvero che nessun artista sarebbe ha notato Hans Jonas la cibernetica (cioè la scienza dei in grado di riprodurre lo sguardo del santo fondatore

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Figura 4. Rodolfo Papa, Disumano. Olio su tela, 100 x 70 cm., 1997. Coll. priv.

così come lo si vedeva in tale immagine, tanto che l’affetto portato per quella foto imponeva che fosse quella immagine meccanica e non un’opera d’arte a troneggiare sull’altare. Questi fatti dimostrano come la sfiducia nelle capacità dell’uomo, e dell’uomo-artista in particolare, si siano

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diffuse persino in ambito cattolico, come si sia smarrito il senso del sacro, e come l’imbarbarimento sia tale che non si riesce a ravvisare più la differenza tra una fotografia e un dipinto, tra una riproduzione meccanica e una immagine sacra. Tale sfiducia, che arriva fino alla fobia, ha raggiunto limiti

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Delle Arti essa non possa più dire nulla; si tratta per certi versi solo impensabili anche solo un secolo fa, in particolare di un sintomo dell’iconofobia: è il palese analfabetismo nell’uso delle immagini in ambito catechetico e di ritorno di una intera cultura che ha smesso di essere kerigmatico. se stessa e ha mutuato da altri le proprie forme e i propri L’iconofobia, penetrata lentamente nel mondo cattolico, principi etici. ha posto ai margini l’uso delle immagini, che vengono Burke parla di sfiducia nei confronti dell’immagine come utilizzate al massimo come commento visivo ad un testo documento storico, come testimonianza di un fatto o di “scritto”. Il processo di dismissione dell’uso un evento. Potremmo dire che su questo punto dell’immagine sacra ha prodotto una biforcazione particolare si assommano diversi problemi. Per interna al percorso centrifugo di allontanamento dall’uso esempio, per conoscere un dell’immagine; da una parte l’immagine crea diffidenza per «Pone inscritto il nome d’Iddio in un loco, e artista si dovrebbe guardare la sua presunta inesattezza, per ponvi la sua figura a riscontro, vedrai qual innanzitutto alle sue opere, quali documenti insostituibili del suo una sorta di pregiudizio di modo di pensare e di agire, minorità sul reale che si è fia più reverita» invece si preferisce fare uso di ritenuto a torto meglio Leonardo da Vinci (Libro di pittura I, 19) fonti scritte, spesso discutibili, di descrivibile dalle parole ricostruzioni fantastiche e mitiche della vita: il caso di “scritte”, e dall’altra parte l’immagine è ritenuta troppo Caravaggio è particolarmente emblematico. complessa per essere decifrata e quindi di fatto è muta In altri casi, lo studio dell’immagine dipinta viene ridotto per l’uomo contemporaneo. ad una narrazione formale, eliminando ogni possibile Nella parte della sostituzione del culto dell’immagine con altro percorso conoscitivo che abbia l’immagine come il culto della parola si rintraccia non solo una visione di inizio, fine e mezzo, appiattendo e banalizzando ogni fatto protestante, ma anche la costruzione di un intero spessore interpretativo nella sola cifra stilistica. impianto economico-culturale, il sistema di riferimento Di fatto si è abbandonata la pratica dell’uso delle ad una certa esperienza comunicativa che ha molta più immagini, nel più ampio ambito cultuale e culturale, e fiducia nella comunicazione verbale, in particolare così si è dismesso un patrimonio inestimabile, capace di “scritta”, piuttosto che nell’uso delle immagini come dire a volte molto di più, molto meglio e più mezzo di catechesi. Gli slogans (ovvero gli headlines) profondamente delle parole scritte sui muri. Alla fine del hanno preso il posto dei polittici nelle chiese e le “scritte” Quattrocento, nel Libro di Pittura, Leonardo, entro hanno sostituito le “pitture”. In certo qual modo la l’ambito del paragone delle arti, mostra il primato pubblicità è entrata nelle chiese: prima solamente nella dell’immagine sulla parola [13], affermando che la parte dell’headline, poi del body copy e nel successivo raffigurazione di Dio muove l’animo del fedele più che il sviluppo della baseline ed infine con il logotipo solo nome scritto: «Pone inscritto il nome d’Iddio in un graficizzato anche attraverso un lettering appositamente loco, e ponvi la sua figura a riscontro, vedrai qual fia più studiato. È ormai esperienza comune trovare sulla reverita» (Libro di pittura I, 19). facciata, sia di chiese contemporanee sia di chiese storiche, una scritta che ci accoglie. Là dove un tempo era il regno dell’immagine ora è il regno incontrastato della stampa. Gli headlines vengono mutuati dai testi biblici, e Bibliografia e note così può sembrare che si ponga distanza dal mondo della pubblicità. Nella convinzione che le immagini siano 1. Burke P., Testimoni oculari [2001], Roma 2011. inutili, superflue, costose (e in alcuni non rari casi, 2. Cfr. anche Bastide F., Iconografia dei testi scientifici. vengono ritenute persino contrarie alla fede cattolica) di Principi d'analisi, in Una notte con Saturno. Scritti fatto vengono scritti slogan sulle facciate delle chiese, semiotici sul discorso scientifico, Roma 2001. nell’assurda convinzione che un annuncio pubblicitario 3. Burke P., Testimoni oculari, p. 209. 4. Marino E., Beato Angelico, umanesimo e teologia, Roma alla Chiesa di Cristo possa risultare attraente in un 1984. oceano smisurato di cartelloni pubblicitari giganteschi e 5. Alpers S., Arte del descrivere. Scienza e pittura nel coloratissimi. Si tratta di scelte ingenue, nate dalla Seicento olandese, Torino 1984, pp. 44 e segg. incoscienza del paradosso, dell’inadeguatezza del mezzo 6. Burke mutua il termine iconofobia come «totale al fine. ripudio di tutte le immagini» da Collinson P., From Analogamente, anche molti ordini religiosi e molti enti o Iconoclasm to Iconophobia. The Cultural Impact of The istituti hanno aggiornato i loro stemmi storici utilizzando Second Reformation, London 1986, p. 8 sistemi di tipo pubblicitario, riducendo lo stemma con 7. Belting H., Il culto delle immagini. Storia dell’icona dall’età imperiale al tardo Medioevo [1990], Roma capacità polisemica d’espressione a un vero e proprio 2001, pp.557-596. logotipo graficizzato con aggiunta di lettering. In questo 8. Bettetini M., Contro e immagini. Le radici caso, l’ingenuità sta nel pensare che un sistema dell’iconoclastia, Roma-Bari, 2006, p. 148. linguistico colto e complesso come quello degli emblemi o 9. Burke P., Testimoni oculari [2001], trad.it., Roma 2011. delle imprese sacre sia traducibile in un linguaggio Burke mutua il termine iconofobia da Collinson P., pubblicitario; l’operazione di apparente attualizzazione From Iconoclasm to Iconophobia. The Cultural Impact di un logo, non è in nessun modo in grado di tradurre of The Second Reformation, London 1986, p. 8 tutta l’immensa portata simbolica e mnemonica delle 10. Cfr. Belting H., Il culto delle immagini. Storia dell’icona dall’età imperiale al tardo Medioevo[1990], trad.it. meditazioni in figure che sono le imprese. Infatti Roma 2001, pp.557-596. «l’emblematica sacra non è solo un mezzo per 11. Cfr. Jonas H., Organismo e libertà [1966; 1973], trad.it., apprendere […], ma si costituisce come un metodo di Torino 1999, pp. 148-169. leggere il mondo alla luce della Rivelazione» [12]. 12. Ardissino E., Il Barocco e il sacro. La predicazione del La seconda parte della biforcazione, quella del giudizio di teatino Paolo Aresi tra letteratura, immagini e scienza, eccessiva complessità dell’immagine che sarebbe muta Città del Vaticano 2001, pag.182. per l’uomo contemporaneo, è strettamente legata alla 13. Cfr. Papa R., Leonardo teologo. L’artista nipote di Dio, prima. Si ipotizza l’indecifrabilità dell’immagine, come se Milano 2006, pag. 24.

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Apotheca&Storia

LA MEDICINA NELL’ANTICA ROMA

Giusi Sanci* Nell'antica Roma la farmacologia prosegue la tradizione greca. Aulo Cornelio Celso (famoso chirurgo del I sec. d. C.), Scribonio e Plinio il Vecchio descrivono nelle loro opere le conoscenze via via acquisite. Prima che venissero a contatto con la scienza medica greca (fine III sec. a. C.) i romani conoscevano la medicina ma non la figura del medico come depositario di una scienza. Nei primi tempi la pratica della medicina si apprendeva a casa, e le conoscenze venivano tramandate da padre in figlio; era il pater familias che si occupava della cura della famiglia, degli schiavi e del bestiame attraverso una medicina empirica basata sulla conoscenza degli effetti terapeutici di molte sostanze vegetali ed organiche; non esistendo quindi persone specializzate nell'arte medica, tutti potevano praticarla. La figura del medico e la sua professione ebbero una regolamentazione giuridica solo in età imperiale; in epoca repubblicana esercitare l'arte medica poteva essere una prerogativa di tutti, per cui accadeva che proliferasse un numero considerevole di predicatori di falsi rimedi, di incompetenti e di avventurieri attratti solo da facili proventi. La mancanza di figure specializzate nella cura delle malattie e dei pazienti portò l'imperatore Giulio Figura 1. Intervento chirurgico su soldato. Affresco da Pompei. Museo Cesare nel 46 a. C. ad incentivare il trasferimento di Archeologico Nazionale, Napoli. medici nella capitale dell'impero, concedendo loro la nozioni farmacologiche del tempo, ed è da considerarsi la cittadinanza, ed elargendo importanti privilegi. È solo colonna portante della farmacologia e della dopo la legge emanata da Giulio Cesare che nascono le farmacognosia, presa come riferimento fino al XVI secolo. prime scuole dove si insegna la medicina. Tra il I sec. a. C. Seguendo e approfondendo la e il III sec. d. C. furono attivi a Roma classificazione sistematica di eccellenti studiosi di medicina che Ippocrate, i farmaci sono elencati diedero grande impulso allo secondo il loro utilizzo terapeutico: sviluppo dell'arte medica, purganti, astringenti, ecc. Nel I libro ricordiamo, ad esempio, Aulo vengono trattati gli aromi, i succhi Cornelio Celso, Dioscoride Pedanio e vegetali, le resine e i balsami; nel II Claudio Galeno. libro i prodotti di origine animale Aulo Cornelio Celso (14 a. C. - 37 d. (grassi, latte, miele); nel III e IV libro C.) scrisse durante il regno di le radici e i semi; nel V libro i rimedi Tiberio un'opera monumentale il cui e i veleni minerali. Un argomento unico volume superstite è il De che viene trattato nel testo è anche il medicina, una delle fonti principali problema dell'adulterazione dei da cui è tratto tutto ciò che prodotti, a quell’epoca di frequente sappiamo sulla chirurgia, i operata da ciarlatani che, con le loro medicamenti, le ricette, che erano capacità di ammaliare le persone, alla base della medicina praticata vendevano in concorrenza con i nel mondo greco-romano. medici droghe vegetali, Dall'Asia Minore giunse invece medicamenti e veleni. Dioscoride Pedanio (40 -90 d. C.) Nell'opera di Dioscoride viene anche medico, erborista e botanico; sotto Nerone scrisse la sua opera più descritto un apparecchio per la importante, il De materia medica in Figura 2. Dioscoride Pedanio (40 – 90 d. C.). distillazione mediante il quale si cinque libri, un elenco dei rimedi utilizzati nel quale ottenevano essenze liquide dalle droghe vegetali. Tra i vengono descritte norme accurate sulla preparazione dei rimedi elencati troviamo ad esempio quello sulla farmaci, al fine di ottenere preparati uniformi e preparazione dell'oisypum, cioè del grasso contenuto standardizzati. Secondo Dioscoride infatti, una procedura nella lana di pecora (lanolina). Tra le preparazioni vi è di preparazione riproducibile permette di ottenere medicamenti di uguale efficacia. L'opera raccoglie tutte le *Farmacista

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Apotheca&Storia

papavero per il dolore. Le sostanze più utilizzate erano di origine vegetale, ma ad esse si affiancavano anche sostanze di origine animale, come il grasso d'oca e le corna di cervo, e di natura minerale come le argille. Una materia prima molto utilizzata era l'aglio, presente come rimedio in più di 60 ricette tramandate da Plinio, per la cura di vari disturbi quali il morso di serpente, emicrania ulcere, epilessia. Largamente usato nella farmacopea romana è l'oppio, ottenuto per macerazione del papavero o per incisione del suo calice, che rientrava Figura 3. Hyoscyamus niger.

anche la descrizione della spongia somnifera, costituita da una normale spugna marina imbibita dall'estratto fresco di alcune piante medicinali tra cui il Solanum nigrum, lo Hyoscyamus niger, la Cicuta minor, la Datura stramonium, la Lactuca virosa e la Mandragora officinarum, insieme ad alcune gocce di oppio. Prima dell'uso veniva anche imbevuta di aceto e, benché sia dubbia la sua applicazione in campo chirurgico, si ritiene che l'uso della spongia fosse molto diffuso presso i condannati alla crocifissione. La spongia troverà notevoli applicazioni anestetiche e anche chirurgiche a partire dal IX secolo grazie alla scuola medica salernitana. Da Pergamo, nell'odierna Turchia, arrivò il medico più importante di tutta la storia romana: Claudio Galeno (129 - 201 d. C.). Egli fu medico di corte dell'imperatore Marco Aurelio e poi di Settimio Severo. Fu in grado di catalogare cinquecento medicamenti vegetali e diede origine alla tecnica preparatoria (tuttora si parla infatti di preparati galenici). La sua opera, De simplicium medicamentorum temperamentis ac facultatibus, elenca 473 farmaci di origine vegetale che per oltre un millennio costituiranno la base indiscussa dell'arte della cura. «Contraria contrariis curantur» è l'aforisma fondamentale della sua farmacoterapia. Fedele alla concezione umorale, Galeno identifica la cura con l’utilizzo di medicamenti con azioni ed effetti opposti a quelli del male: farmaci riscaldanti nelle malattie fredde, farmaci perfrigeranti nelle malattie calde, medicamenti umidi se il male è causato dalla secchezza degli umori. Sempre a Galeno si deve un’esemplare descrizione del cuore, e la dimostrazione che all'interno delle arterie scorre il sangue, smentendo così l'ipotesi formulata quattro secoli prima dalla scuola di Alessandria che riteneva che le arterie contenessero solo aria. Nel Liber medicinalis attribuito a Quinto Sereno Sammonico (II - III sec. d. C.) vengono riportati i rimedi più utilizzati nella Roma antica. Tra questi troviamo l'orina d'asina contro il prurito, la bile d'orso diluita con acqua per il raffreddore, crusca e prugne per la stipsi, il

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Figura 4. Galeno (129 – 201 d. C.).

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Apotheca&Storia

Figura 5. Brocca per liquidi medicinali da corredo funebre di medico (120 - 140 d. C.). Lovere (BG).

era il cavolo, e Catone ad esempio ne enumera le molteplici proprietà: condito con aceto e sale aiuta la digestione e mantiene lo stato di salute; condito con aceto, miele, ruta coriandolo e laserpizio, combatte i dolori articolari; seccato e triturato e ingerito la mattina a digiuno agisce come purgante; applicate sulle piaghe, le foglie di cavolo invece sono utilizzate come cicatrizzante. Le proprietà dell'alloro sono conosciute da secoli nella farmacopea romana il cui decotto viene utilizzato come digestivo. I primi farmaci prodotti a Roma venivano fabbricati dai medici con l'aiuto di discepoli, ed è solo a partire dal II sec. a. C. che si iniziò a parlare di apotheca, la prima farmacia vera e propria, dove le materie prime venivano trasformate in medicinali. Il medico era spesso una persona che, priva di particolari studi, appronta, prescrive e vende i medicinali. A collaborare con lui ritroviamo i rizotomi (tagliatori di radici) e gli erbari (raccoglitori di erbe). Fra gli strumenti rinvenuti e utilizzati per la preparazione dei medicamenti troviamo cucchiaini in bronzo per il trattamento di polveri e paste, ampolle per contenere liquidi e speciali bilance a uno o due piatti. Le sostanze semplici erano contenute in scatole di legno con inciso il nome del contenuto. La caduta dell'Impero Romano d'Occidente nel 476 segna

nella composizione di molti farmaci calmanti e antidolorifici e nella preparazione dei colliri per lenire il dolore provocato dalle congiuntiviti. La più importante delle piante medicinali era il laserpicium (silfio, pianta selvatica proveniente dalla Cirenaica) dalle cui radici si estraeva un succo, il laser, ritenuto un toccasana per numerosi malesseri; l'uso eccessivo della pianta ne provocò l'estinzione. Particolare cura veniva posta al trattamento delle ferite che venivano dapprima deterse con una spugna imbevuta di acqua fredda oppure di aceto o vino; successivamente veniva ricoperta da una sostanza cicatrizzante, la più utilizzata era l'argilla rossa, e infine veniva fasciata; per calmare il dolore veniva applicato un rimedio attorno alla ferita e un altro da ingerire. Gli antichi romani avevano a disposizione una vasta gamma di antidolorifici e sedativi: estratti del Papaver somniferum, semi di giusquiamo, lo stramonio e la radice di mandragora. Figura 6. Datura stramonium. Queste sostanze, finemente triturate o estratte come tintura, erano inalate oppure ingerite sotto forma di un rallentamento nello sviluppo delle conoscenze pillole, infusi o decotti. Anche la Cannabis era molto scientifiche e anche la medicina, al pari delle altre utilizzata, e Celso consiglia una pozione, ad uso scienze, entra in una fase di lunga trasformazione che sedativo/antidolorifico, costituita dalla combinazione di terminerà solo alla fine del Medioevo. calamo, semi di ruta, castoreo, cinnamomo, oppio, mandragora, mele Bibliografia: 1. Caprino L. Il farmaco, 7000 anni di storia. Armando secche, loglio e pepe Editore. (De Medicina, V, 2. Grande Enciclopedia. Istituto Geografico De Agostini, 25.3). La polpa di Novara. zucca condita con 3. Capasso F., De Pasquale G., Grandolini G. assenzio e sale è Farmacognosia: botanica, chimica e farmacologia considerata un delle piante medicinali. Springer editore. ottimo rimedio per il 4. https://www.romanoimpero.com/2009/06/piantemal di denti, e la medicinali.html 5. https://www.sipps.it/pdf/cas2008/liguori.pdf stessa proprietà si Figura 7. Moneta aurea di Cirene 6. www.erbeitaliche.it › Fitoterapia recante la rappresentazione riferisce al lattice di 7. https://romaeredidiunimpero.altervista.org/lamedic senapa. Aceto caldo e simbolica del laserpicium. ina-na roma polpa di zucca sono 8. www.umbrialeft.it/editoriali/medicina-e-mediciinvece rimedi efficaci contro le gengiviti. Un ortaggio dell’antica-roma molto apprezzato dai romani per la cura delle malattie

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Fitoterapia&Nutrizione

PINO MUGO

Un’inesauribile fonte di olî essenziali Pinus mugo Turra è una specie originaria del centro e sud Europa appartenente alla famiglia delle Pinaceae e all’ordine Coniferales [1], cresce nelle zone montane ad un’altitudine compresa tra i 1.800 e i 2.300 metri sul livello del mare. Contrariamente a molte altre specie di pino, il P. mugo si caratterizza per il suo portamento arbustivo, per questo è conosciuto come pino nano o di montagna [2]. La droga è costituita dalle gemme apicali, dalle quali si ricava un prezioso olio essenziale noto come mugòlio, iscritto nella Farmacopea europea (Eu. Ph.) [3]. Le gemme apicali sono un gruppo di 3-5 gemme coniche riunite intorno ad una gemma centrale più lunga. Sono rivestite da numerose perule embricate [4], ossia foglie modificate che si formano alla base dei germogli per proteggerli dagli agenti atmosferici. La droga ha un’azione balsamica ed espettorante, è somministrata come sciroppo, infuso, pastiglie, oppure viene utilizzata per inalazioni [5]. Nelle zone montane durante il periodo estivo, i piccoli coni ancora immaturi vengono raccolti e messi all’interno di barattoli di vetro, i barattoli sono poi riempiti di zucchero fino all’orlo, tappati e riposti alla luce del sole per tutta l’estate. Lo sciroppo così ottenuto è pronto per essere adoperato in inverno.

Uno studio del 2015 dimostra la bassa variabilità di composizione degli olî essenziali di P. mugo in relazione alla provenienza geografica. Il risultato di questo lavoro è stato ottenuto confrontando la composizione chimica dell’olio essenziale ricavato dagli aghi, dai giovani rami e dai coni di esemplari provenienti da sei diverse località del Kosovo [6]. Alla stessa conclusione giunge un altro studio del 2016 nel quale viene confrontata la composizione degli olî ottenuti dagli aghi di esemplari appartenenti a quattro diverse popolazioni provenienti dalle Alpi Giulie [7]. Nell’olio essenziale sono stati identificati oltre 60 composti, i più abbondanti sono α-pinene, β-pinene, δ-3carene, (E)-caryophyllene e germacrene [6] [7].

Bibliografia: 1. 2.

3. 4. 5. 6.

7.

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Maugini E., Maleci Bini L., Mariotti Lippi M., Botanica farmaceutica. IX ed., Piccin 2014, pp. 352-353. Cfr. Hajdari A., Mustafa B., Ahmeti G., Pulaj B., Lukas B., Ibraliu A., Stefkov G., Quave C. L., Novak J., Essential oil composition variability among natural populations of Pinus mugo Turra in Kosovo. Springerplus. 2015 Dec 30;4:828. Doi: 10.1186/s40064-015-1611-5. eCollection 2015. Maugini E., Maleci Bini L., Mariotti Lippi M., Botanica farmaceutica. IX ed., Piccin 2014, p. 354. Ibid. Ibid. Hajdari A., Mustafa B., Ahmeti G., Pulaj B., Lukas B., Ibraliu A., Stefkov G., Quave C. L., Novak J., Essential oil composition variability among natural populations of Pinus mugo Turra in Kosovo. Springerplus. 2015 Dec 30;4:828. Doi: 10.1186/s40064-015-1611-5. eCollection 2015. Bojović S., Jurc M., Ristić M., Popović Z., Matić R., Vidaković V., Stefanović M., Jurc D., Essential-oil variability in natural populations of Pinus mugo Turra from the Julian Alps. Chem Biodivers. 2016 Feb;13(2):181-7. doi: 10.1002/cbdv.201500029.

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