Theriaké MENSILE DELL’ASSOCIAZIONE GIOVANI FARMACISTI DI AGRIGENTO
Anno I n. 12 Dicembre 2018
Sommario
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Editoriale
Attualità
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Phyto Garda
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Progetto “Spazio Mamma”: la farmacia territoriale a sostegno della maternità
Rubriche
Spazio MedTre
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11 Gli Appunti di Formare l’Eccellenza
Cross selling in farmacia: un metodo strutturato
14 Delle Arti
FarmAmore: l’esclusivo network di Phyto Garda
Farmacia a basso fatturato: nuove agevolazioni
Il corpo nella teoria di Kandinsky
18 Cultura
Il Teatro Massimo di Palermo Lu Teatru Massimu di Palermu
24 Fitoterapia&Nutrizione
Osteoporosi: disordine metabolico
28 Apotheca&Storia
La medicina nel Medioevo /4 La Scuola Medica Salernitana
32 Apotheca&Storia
L’uomo: dalla sua natura alle supreme autorità Dante Alighieri e San Tommaso d’Aquino Responsabile della redazione e del progetto grafico: Ignazio Nocera Redazione: Valeria Ciotta, Elisa Drago, Christian Intorre, Francesco Maratta, Federica Matutino, Giorgia Matutino, Silvia Nocera, Giusi Sanci. Contatti: theriake@email.it In copertina: Wassilij Kandinsky, Composizione X, 1939. Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen, Düsseldorf. Questo numero è stato chiuso in redazione il 21 – 12 – 2018
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Collaboratori: Stefania Bruno, Paola Brusa, Laura Camoni, Corrado De Vito, Roberto Di Gesù, Gaetano Di Lascio, Claudio Distefano, Vita Di Stefano, Carla Gentile, Aurelio Giardina, Pinella Laudani, Maurizio La Guardia, Erika Mallarini, Rodolfo Papa, Annalisa Pitino. In questo numero: Giuseppina Amato, Gabriella Daporto, Elisa Drago, Fonso Genchi, Ciro Lomonte, Irene Luzio, Silvia Nocera, Rodolfo Papa, Giusi Sanci.
Anno I Numero 12 – Dicembre 2018
Editoriale Con il corso “Il cross selling in farmacia: un metodo strutturato”, sponsorizzato da Mylan, si è conclusa nei giorni scorsi l’edizione 2018 di Formare l’Eccellenza, il percorso formativo di A.Gi.Far. Agrigento. Nato poco più di un anno fa si è trasformato, per l’importanza e l’attualità dei temi trattati, la qualità dei docenti e la partecipazione di colleghi e aziende, in un vero network formativo; chiude l’anno con un bilancio estremamente positivo. Grazie alla collaborazione di Federfarma Agrigento, del Dipartimento di Economia Aziendale dell’Università degli studi di Ferrara, Mylan, Phyto Garda e PIAM è stato possibile realizzare una formazione costante durante l’intero anno, del tutto gratuita, attenta a temi scientifici di particolare importanza nella pratica quotidiana del farmacista, senza trascurare gli aspetti fondamentali di gestione manageriale, affidati alla guida esperta della professoressa Emidia Vagnoni, docente ordinario di economia sanitaria presso l’Università degli Studi di Ferrara, che ne ha curato aspetti paratici e tecnici. Inutile sottolineare quanto la crescente e numerosa partecipazione dei colleghi, non solo della nostra provincia, ci abbia spronato a programmare e calendarizzare i nuovi corsi dell’edizione 2019, che partirà a gennaio e manterrà la formula dei “percorsi strutturati”, rivelatasi innovativa e vincente. In primo piano l’ingresso all’interno del nostro network della Scuola di Specializzazione in Farmacia Ospedaliera dell’Università degli Studi di Palermo, che curerà con i propri docenti i corsi d’interesse scientifico, conferendone un livello qualitativamente ancora più alto. Il primo percorso prenderà il via domenica 20 gennaio, si svilupperà in più sessioni, tutte accreditate, sul tema “Nutraceutica e Alimentazione”, e si concluderà a maggio. In autunno riprenderanno i corsi di perfezionamento e approfondimento dedicati al management, alle strategie e alle tecniche di vendita in farmacia. Alle porte, dunque, un altro anno di lavoro che A.Gi.Far. Agrigento augura di condividere con tutti i colleghi, dedicando impegno costante ed entusiasmo, provando, ancora una volta con umiltà e dedizione, a promuovere la crescita dei farmacisti e delle farmacie. Un sentito e doveroso ringraziamento alla redazione di Theriaké, per aver dato vita ad una rivista che ha dimostrato professionalità e qualità, riuscendo in meno di un anno a conseguire apprezzamenti e collaborazioni autorevoli. A tutti i lettori faccio i migliori auguri di un sereno Natale e di uno splendido 2019.
Silvia Nocera Presidente di A.Gi.Far. Agrigento
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Phyto Garda
FarmAmore: L’ESCLUSIVO NETWORK DI PHYTO GARDA
Si chiude con successo il primo anno di vita del progetto “FarmAmore”, il nuovo network targato Phyto Garda, nato da un’idea del Dott. Alessandro Moglia, Fondatore e Amministratore di Phyto Garda e dell’ing. Enrico Olivieri, Business Developer. Questo nuovo network conta già, dopo soli pochi mesi, ben 43 affiliati distribuiti sull’intero territorio nazionale in 11 regioni d’Italia e, visto l’entusiasmo con cui si è appena concluso l’evento dedicato ai Farmacisti affiliati, i “FarmAmore Days”, si prospetta anche per il 2019 una crescita importante. Le opportunità per le farmacie che si affiliano sono molteplici, spaziando dalla formazione agli eventi, al web & social, ai materiali per il supporto alle vendite, oltre che a condizioni particolarmente vantaggiose sull’intera gamma Phyto Garda, i cui prodotti di eccellenza coprono ormai tutte le principali esigenze di mercato. Un network giovane in cui le farmacie mantengono la propria identità ed autonomia gestionale, con un rapporto non di dipendenza ma interdipendenza, dove le parole chiave restano: semplicità, passione, innovazione e tradizione! Seguici su: https://www.phytogarda.com/farmamore/
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Attualità
PROGETTO “SPAZIO MAMMA” La farmacia territoriale a sostegno della maternità Giuseppina Amato*
«Ciò che probabilmente influenza maggiormente i figli è il grado di benessere e il comportamento della madre. Se vi importano i figli, prendetevi cura delle madri». In questa citazione di Rick Hanson, neuropsichiatra che si è in diverse occasioni occupato nella sua pratica clinica e nell'attività di scrittore, di relazioni parentali e genitorialità, si racchiude e trova senso un progetto nato in maniera occasionale e diventato caratteristica peculiare della Farmacia Giorlando di Alcamo. Nella quotidianità di professionisti capillarmente presenti sul territorio, frequente è, per il farmacista, il contatto con quanti si approcciano a prendersi cura di una nuova vita. La donna in gravidanza o alla ricerca di essa, così come la puerpera e il neo papà, e finanche i nonni affrontano questa nuova esperienza impauriti e alla continua ricerca di Specializzazione. informazioni, conoscenze e, soprattutto, soluzioni. La collaborazione con questa professionista ci ha È questa una delle situazioni in cui l'attività di counseling, consentito di dare un taglio agli argomenti che fosse tanto cara ai sostenitori della professione farmaceutica, incentrato sulla salute della donna. La futura mamma alla prende forma e assume valore socialmente riconosciuto. fine del percorso, avrà conoscenze dettagliate sulle Se da un lato la società della perenne connessione ha reso funzioni del pavimento pelvico, struttura di cui infinitamente semplice raccogliere informazioni su difficilmente si ha consapevolezza se non durante il parto qualsivoglia argomento, dall'altro la moltitudine di fonti, o in caso di sue disfunzioni. la cui attendibilità è per l'utente incerta, rende complesso “Spazio Mamma”, in questo particolare aspetto ha una il discernimento tra di esse. forte finalità di prevenzione, attività che caratterizza Da questa osservazione è nata, anche molte delle altre iniziative ormai quattro anni fa, «Ciò che probabilmente influenza che organizziamo in farmacia. all'interno della nostra maggiormente i figli è il grado di Il ciclo di “Spazio Mamma”, farmacia, un'iniziativa che nel ovviamente, prevede diversi tempo ha assunto ciclicità e benessere e il comportamento della incontri in cui il focus si sposta madre. Se vi importano i figli, prendetevi dalla madre al bimbo e alla loro struttura. “Spazio Mamma” è un progetto cura delle madri» relazione. in cui io, farmacista di terza Rick Hanson Ampio spazio e sostegno generazione, ho creduto da vengono dati all’allattamento al subito e in cui ho investito energie e risorse. seno, prosecuzione ideale della gestazione, in cui l’unità In una prima fase l'evento è stato organizzato in fisiologica madre-feto, ormai divenuta una diade ma collaborazione con un'azienda di puericultura ma fin da ancora inscindibile, prosegue l’interscambio di subito è emersa la necessità di allargare la rosa degli nutrimento fisico, ma anche emotivo. argomenti trattati ad aspetti più tecnici e scientifici degli Volontariamente, alterniamo nozioni teoriche a eventi parafisiologici della gravidanza e del parto. informazioni decisamente pratiche, ben conoscendo lo Oggi la collaborazione delle aziende è limitata alla stato di agitazione che pervade le neo mamme che, fornitura di gadget o omaggi per le partecipanti. improvvisamente, quando hanno in braccio il loro La conduzione degli incontri è stata affidata ad bambino, rischiano di patire il peso del loro ruolo e di non un'ostetrica, la dottoressa Giacoma Vultaggio, che, da riconoscere le competenze che hanno e che sono in grado libera professionista, opera ad Alcamo in ambulatorio di sviluppare in autonomia. privato e all’Ospedale Villa Sofia di Palermo nel reparto di Dedichiamo un appuntamento alla cura del neonato Uro-Ginecologia, occupandosi prevalentemente di fornendo “istruzioni per l'uso” alle future mamme per preparazione e riabilitazione del pavimento pelvico, *Farmacista argomento sul quale ha conseguito un Master di
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Attualità
affrontare più serenamente e consapevolmente possibile i Del team di “Spazio Mamma” fa parte, inoltre, la primi giorni a casa col neonato. dottoressa Carla Angileri, psicologa, che nella sua Durante la disquisizione su tutte le fasi pre- e post- parto attività professionale, sia a livello privato che all’interno poniamo molta attenzione a fornire consigli di scuole pubbliche, si occupa di minori e relazioni comportamentali di facile esecuzione anche di natura genitoriali oltre che di corsi di preparazione al parto. dietetica, allo scopo di migliorare la consapevolezza nelle L'argomento centrale dell'incontro tratta delle scelte alimentari. dinamiche emotive e relazionali nel periodo della In quest'ottica affrontiamo un appuntamento interamente gravidanza e del postparto ed è quello che, tra incentrato sulla fase di svezzamento, momento di un’edizione e l’altra, subisce maggiori variazioni, perché decisioni importanti per le la scaletta di temi trattati viene mamme e di forte scoperta del «Conoscere e riconoscere le competenze di volta in volta sviluppata sulla mondo per il bimbo. base del dialogo che si instaura In questi incontri dal carattere del professionista attribuendo valore al col gruppo, protagonista e non più pragmatico, il mio intervento, suo consiglio è l'unica vera forma di discente. da farmacista e anche da mamma, fidelizzazione che prescinde da ogni Per scelta è questo l’evento che ritengo abbia un alto peso dinamica commerciale» conclude il ciclo ed è quello in specifico poiché fonde le cui l’eterogeneità delle conoscenze teoriche alla partecipanti arricchisce il necessità di fornire risposte pratiche. Molti dubbi che dialogo e lo scambio, ma è anche quello in cui le emergono nel corso dei dibattiti (ciuccio sì o ciuccio no, analogie che le persone trovano fra loro alleggeriscono svezzamento tradizionale o autosvezzamento, lettino o il peso dei dubbi e la condivisione di un percorso con cosleeping) hanno origine dalla molteplicità di pareri che comune finalità diventa forza reciproca. su uno specifico aspetto possono essere espressi dalle La creazione di relazioni tra le partecipanti crea diverse figure, professionali o no, con cui le mamme si momenti di piacevole condivisione che aggiungono interfacciano. piacevolezza agli incontri. Ritengo fondamentale, quando queste controversie L'instaurarsi di rapporti di fiducia delle partecipanti nei emergono, riportare le linee guida ufficiali ma soprattutto confronti dei componenti del team di conduzione del fornire informazioni semplici, che possano essere corso è, a mio vedere, una delle massime espressioni di ricordate facilmente, anche a distanza di tempo e che efficacia dell'iniziativa. consentano alla mamma di avere gli strumenti per potere Conoscere e riconoscere le competenze del prendere decisioni in autonomia, ascoltando le opinioni professionista attribuendo valore al suo consiglio è degli altri, ma sviluppando senso critico e mantenendo l'unica vera forma di fidelizzazione che prescinde da profonda fiducia nelle proprie capacità naturali e istintive ogni dinamica commerciale. di madre. Da parte nostra, la volontà di offrire contenuti sempre
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aggiornati e di migliorare la qualità delle presentazioni, percorso sempre in fase di progettualità. ci conduce ad un costante lavoro di ricerca sia dal punto L’iniziativa ha, inoltre, avuto ampio riscontro generale di vista delle tematiche che delle con manifestazioni di interesse modalità di comunicazione, «… la volontà di offrire contenuti sempre da parte della gente comune, di aspetto di innegabile aggiornati e di migliorare la qualità delle operatori in campo sanitario e importanza per l'aggiornamento presentazioni, ci conduce ad un costante anche di qualche quotidiano. e arricchimento professionale e Nel tempo altri professionisti, lavoro di ricerca sia dal punto di vista delle quali personale. medici, psicologi, Ad ogni edizione apportiamo tematiche che delle modalità di informatori scientifici, hanno modifiche alla sequenza e alla comunicazione …» arricchito “Spazio Mamma” con qualità degli argomenti trattati, la loro presenza e con il loro avvalendoci e trovando stimolo dai feedback forniti dalle bagaglio di informazioni avendo condotto uno o più partecipanti. Questo consente a “Spazio Mamma” di incontri in maniera occasionale. essere un’iniziativa in fieri, un continuo divenire, un Nel futuro, il nostro obiettivo è di integrare questi interventi in maniera organica per rendere l'offerta informativa più ampia e variegata possibile, perché crediamo fermamente che instillare nelle madri e nelle famiglie il seme della conoscenza rappresenti una forte azione di prevenzione primaria, attività peculiare e caratterizzante per la farmacia territoriale.
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Gli Appunti
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A.ti.far. – Federfarma Agrigento
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Gli appunti di Formare l’Eccellenza
CROSS SELLING IN FARMACIA: UN METODO STRUTTURATO
Gabriella Daporto*
IL MODELLO DI CONSIGLIO Il modello di consiglio è un metodo strutturato che permette ai farmacisti e ai collaboratori del parafarmaco di affrontare e risolvere con professionalità ogni esigenza del cliente/paziente. Consigliare con metodo permette di essere più professionali, più sicuri, più convincenti, senza mai improvvisare. LE 4 FASI 1. L’ACCOGLIENZA. È importantissima; la disponibilità all’ascolto e alla risoluzione dei problemi dei clienti viene percepita immediatamente e coinvolge emotivamente le persone fidelizzandole. Non sono sufficienti il saluto cordiale ed il sorriso, occorre prendersi in carico il cliente ed aiutarlo a risolvere i suoi problemi. L’empatia viene immediatamente percepita e favorisce la richiesta di informazioni e consigli. È uno stato d’animo, è la consapevolezza che la professione del farmacista prevede il contatto diretto con persone che hanno delle esigenze da soddisfare non solo con dei prodotti, ma anche con dei consigli, con qualche minuto del nostro tempo e con la simpatia. È importante infine comunicare un’immagine professionale, che comprenda anche la cura di sé: camice pulito, abbottonato, caduceo all’occhiello, uso discreto del telefono cellulare e soprattutto attenzione massima al cliente. 2. L’ASCOLTO. Prima di pensare al consiglio del prodotto si deve ascoltare attentamente il cliente. È importante capire bene il problema. Occorre fare delle domande per approfondire il tipo di mal di gola, di dolore dentale, di insonnia, la tipologia cutanea o la caduta dei capelli. In particolare, se si sta parlando di inestetismi, oltre a porre domande, bisogna osservare il viso o il cuoio capelluto per scoprire i segni. Il cliente apprezza molto questo gesto perché denota interesse al suo problema. Ciò che chiede il cliente è praticamente già venduto, ci si deve soltanto preoccupare della correttezza dell’impiego del prodotto richiesto, mentre è compito del farmacista abbinare un trattamento complementare e sinergico a quello richiesto per migliorare l’efficacia o prevenire effetti indesiderati. È importante quindi porre delle domande precise al cliente/paziente in modo da far emergere bisogni latenti. Si devono porre domande aperte, ossia che non prevedano un “no”. In quest’ultimo caso infatti sarà più difficile portare avanti la proposta. Ad esempio: «Lei usa il latte detergente?» «No» (domanda chiusa), «Che cosa usa per detergere il viso?»
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(domanda aperta). Occorre capire sempre bene l’esigenza per poter poi consigliare il prodotto giusto. Successivamente bisogna informarsi sui prodotti generalmente utilizzati. Parlando di piccole patologie il farmacista si trova davanti a un bivio: farmaco otc/sop o naturale? Le preferenze del cliente sono decisive per la proposta e la decisione d’acquisto. In dermocosmesi è essenziale conoscere i prodotti d’uso abituale soprattutto per orientarsi sulla fascia di prezzo. Chi usa prodotti di profumeria apprezzerà una fascia alta, chi consuma prodotti della grande distribuzione preferirà una fascia medio bassa, chi normalmente si rivolge all’erboristeria vorrà marche green. Se il cliente già consuma trattamenti di marche che la farmacia ha in assortimento, che cosa dobbiamo fare? Dobbiamo chiedere: «Come si trova?», se si trova bene, rimaniamo sulla stessa marca, se desidera cambiare ci rivolgiamo ad una marca che abbia lo stesso posizionamento o al limite che sia di fascia più alta. Non si devono sottovalutare le aspettative, per non deviare troppo la proposta da ciò che ha in mente il cliente/paziente. Considerare sempre chi si ha di fronte e la sua motivazione d’acquisto: età, aspetto, sesso, cliente abituale o cliente occasionale, persona motivata oppure difficile da approcciare. A questo punto entra in scena la cosiddetta riformulazione o mirroring che non è altro che la ripetizione sintetica delle informazioni raccolte con le domande e con
*Farmacista, responsabile della formazione presso aziende multinazionali del canale farmaceutico e cosmetico. Pianifica percorsi formativi su dermocosmesi, marketing, vendite e servizi per aziende farmaceutiche e cosmetiche, della distribuzione intermedia, dei servizi e per farmacie indipendenti.
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Gli appunti di Formare l’Eccellenza l’osservazione. A che cosa serve? Serve a comunicare al cliente che si è capito il suo problema e ci si sta dando da fare per soddisfarlo. La comunicazione tra gli individui molto spesso è difficoltosa e nel momento in cui si è certi di condividere il problema, scatta immediatamente la fiducia: ha capito di che cosa ho bisogno. Inoltre nei due secondi necessari per la riformulazione il farmacista ha il tempo per riflettere sul prodotto da proporre. 3 L’INTERAZIONE. È la fase che ha come obiettivo saper proporre una soluzione con competenza e professionalità. Innanzitutto è indispensabile conoscere perfettamente dal punto di vista tecnico/scientifico tutte le referenze in assortimento nella farmacia ed il loro posizionamento. Il primo step per il consiglio è “sapere”. Ma il sapere da solo non basta, bisogna anche “saper fare” ed ecco quindi che si rendono indispensabili le tecniche di consiglio e il cross selling. Tutto l’assortimento deve ruotare, non bisogna innamorarsi di due o tre marche e vendere solo quelle! L’argomentazione del prodotto richiesto o proposto La modalità per fare centro è l’argomentazione convincente del prodotto richiesto o proposto. Se stiamo trattando la dermocosmesi, prima di tutto occorre citare la marca del prodotto in oggetto. Infatti le consumatrici sono fidelizzate ed influenzate dalla notorietà delle marche o dall’esperienza d’uso. Le marche non sono tutte uguali, è importante capire il loro posizionamento sul mercato per sapere a chi consigliarle. Ogni marca ha la sua “anima” che comprende: prodotti, prezzi, pubblicità, distribuzione. I prodotti proposti devono essere argomentati seguendo un metodo che permetta una comunicazione chiara e convincente. Le fasi dell’argomentazione del prodotto La presentazione di un prodotto, sia esso richiesto o proposto, segue un metodo che vale per qualsiasi tipologia merceologica. Che cosa bisogna assolutamente dire? Che cos’è? Benefici Citare il nome commerciale del prodotto proposto e definire che cos’è. La definizione della funzionalità (collirio, lassativo, antinfiammatorio, crema idratante, crema antirughe ecc.) permette al cliente di capire immediatamente di che cosa si sta parlando. La cosmetolinguistica e l’analisi sensoriale sono basilari per risultare professionali e competenti nella definizione del prodotto cosmetico. La funzionalità deve essere espressa con una terminologia specifica, appropriata e comprensibile dal cliente. Che cosa fa? Vantaggi Presentare i risultati. Le persone acquistano se sono convinte che la proposta sia utile e risolva le loro esigenze. Sottolineare i risultati è fondamentale per la decisione d’acquisto. I risultati possono essere argomentati in base a: efficacia legata al meccanismo d’azione del prodotto, alla modificazione dello stato attuale in termini di salute, benessere e bellezza. Un antinfiammatorio/antidolorifico calma il rossore e il dolore, un antipiretico abbassa la febbre, un lassativo stimola la motilità intestinale, una crema idratante dona confort e luminosità, una crema antirughe distende i segni dell’età. Occorre
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comunicare in quanto tempo si ottengono i risultati promessi. Ad esempio una crema idratante o un antidolorifico danno risultati immediati, una crema antirughe necessita almeno di un mese per agire sui segni dell’età e un trattamento anticaduta per capelli 6 settimane per bloccare la caduta e rinforzare i capelli. Gli integratori devono essere assunti almeno per 3 mesi per dare risultati e anche per quanto riguarda i farmaci otc l’efficacia si ottiene in tempi diversi in base alla via di somministrazione sistemica o topica o locale. gradevolezza: un farmaco da banco può avere un gusto più o meno appetibile (importante soprattutto per i bambini), le dimensioni di una capsula o di una compressa possono essere più o meno grandi e quindi più o meno facili da deglutire. Per quanto riguarda la dermocosmesi la gradevolezza è fondamentale per il riacquisto del prodotto. Molte consumatrici valutano prima di tutto il piacere nell’applicazione del prodotto (analisi sensoriale: assorbimento, residuo sulla pelle, profumo, colore, base per il trucco) ed in un secondo tempo i risultati in termini di efficacia. tollerabilità: prevenire intolleranze, allergie, effetti collaterali, favorire la digeribilità sottolineando le caratteristiche di prodotti particolari, sicuri e marche che garantiscono laboratori di ricerca di alto livello. Per i cosmetici la tollerabilità è supportata da test in vitro, test clinici (dermatologicamente testati) e test d’uso.
Come lo fa? Caratteristiche. Come si ottengono i risultati promessi? È importante spiegare al cliente la formulazione del prodotto? No, ma il farmacista deve conoscere i principi attivi dei prodotti perché questo gli conferisce sicurezza e professionalità nel consiglio. Siccome il tempo è poco e si formano spesso lunghe file in farmacia, non è essenziale citare i componenti di un prodotto, ma se il cliente lo richiede, perché ha già parlato con il dr. Google, non possiamo esimerci dal parlargliene! Come si usa? Le modalità di utilizzo devono sempre chiudere l’argomentazione perché le persone sono distratte, non leggono le indicazioni d’uso e spesso si compromette l’efficacia per un utilizzo improprio. Ad esempio non ha senso applicare una fiala anticaduta una volta la settimana quando si va dal parrucchiere! Occorre applicarla ogni giorno. La crema viso non deve essere applicata sulle palpebre e il collirio ha una data di scadenza molto breve dopo l’apertura. Il prezzo? I prezzi devono essere esposti a scaffale, nell’argomentazione non vale la pena parlarne. Chi vuole sapere il prezzo, generalmente si informa subito; non preoccupiamoci degli scettici, il 60/70% del fatturato della farmacia è fatto dal 20% dei clienti, i migliori. Gli scettici costano troppo, richiedono molto impegno, ci si deve liberare progressivamente di chi si preoccupa del prezzo, senza timore. Scegliti chi vuoi come cliente! Il consiglio complementare il T+2 e il T+4 Una volta argomentato il prodotto richiesto/proposto, per offrire un servizio completo, si deve completare il consiglio con uno o più prodotti complementari e
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sinergici. Questa fase è chiamata T+2 (T sta per Trattamento, 2 significa almeno 2 prodotti). Se non si propone non si vende, non bisogna aver paura di proporre, Occorre creare dei bisogni che stimolino necessità consce ed inconsce, grazie a domande aperte che non portino mai a rispondere «no», ad esempio «che cosa usa per …?». La scelta del prodotto complementare è legata: al potenziamento dell’efficacia del prodotto già venduto all’attenuazione degli effetti collaterali dello stesso Ma … guai al farmacista sorpreso dai suoi clienti a spingere le vendite! Come fare? Oggi in qualsiasi esercizio commerciale siamo bombardati da proposte di ogni tipo e le persone sono stanche di subire continuamente forzature atte a spingere il sell out. Il bravo farmacista viene valutato in base alle informazioni che fornisce, non in base ai prodotti che propone! Dare informazioni, non vendere prodotti Il farmacista non deve vendere prodotti, ma dare informazioni in termini di salute, benessere e bellezza tali da generare il bisogno d’acquisto. Solo così eviterà che le persone percepiscano vendite forzate, ma apprezzino il consiglio ricevuto. Per soddisfare i clienti occorre quindi dare informazioni utili a risolvere i loro problemi, in modo competente e professionale. Queste informazioni porteranno poi automaticamente a richiedere i prodotti giusti. Non deve essere il prodotto a parlare, ma il farmacista, altrimenti vincerà sempre la logica economica. Un’informazione utile fidelizza e fa ritornare, un prodotto utile viene apprezzato, ma verrà acquistato in seguito dove sarà più conveniente il prezzo. Il cross sellig spazia all’interno di una stessa categoria (cross selling intracategory) o legando tra loro prodotti di categorie diverse (cross sellig extracategory) Le parole giuste Nel cross selling, dal momento che si deve dare un’informazione e non vendere prodotti, occorre trovare le parole giuste. Innanzitutto non bisogna usare il condizionale «dovrebbe…» perché comunica un dubbio e neanche l’imperativo «deve!», non si danno ordini a nessuno. Per creare bisogni e stimolare la decisione d’acquisto le parole più efficaci sono: «Mi raccomando di…», «È importante…». Si utilizza: «mi raccomando…» se si ha di fronte una persona che si conosce, con cui si ha confidenza, che frequenta spesso la farmacia; «è importante…» se ci si sta rivolgendo a una persona di passaggio, che non si conosce e piuttosto formale. Si può usare anche: «Le consiglio…», «È bene…». Il farmacista deve tenere in mano il prodotto venduto in modo da poter parlare liberamente con il cliente senza rischiare di vederlo scappare. Se il cliente ha in mano il suo acquisto pensa soltanto a pagare e ad andarsene e non ascolta più i suggerimenti preziosi. Lasciare il prodotto sul banco è il cosiddetto “limbo”, può distrarre l’attenzione e ridurre l’efficacia del cross selling. Il cross selling in vista. La sinergia tra cross selling e visual merchandising
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Il cross selling in vista è un metodo per facilitare il consiglio e la vendita complementare, basato sull’associazione tra vendita incrociata e visual merchandising. Si sfrutta l’immediatezza visiva sullo scaffale che, all’atto della proposta, ricorda al farmacista i prodotti sinergici e complementari da consigliare per soddisfare ogni esigenza. Abbinare, anche a livello visivo, varie complementarietà d’uso permette di migliorare sia il self shopping sia la proposta da parte del farmacista. Un obiettivo smart, sempre monitorato Quali sono i risultati da attendersi nel momento in cui si metterà in pratica il metodo “Consiglio Express”? Ammettiamo di impegnarci a consigliare bene e di proporre 4 complementarietà T+2 o T+4 al mese, in base alla stagionalità, alla quasi totalità dei clienti (il buon senso ci deve aiutare nei casi particolari), che cosa ci aspettiamo in termini di sell out? Diamoci degli obiettivi smart, da verificare ogni sera alla chiusura della farmacia. Se tutta la squadra della farmacia collabora con entusiasmo e si sono compilati cross selling vincenti, ci si può aspettare di far decollare le vendite nel 30% dei casi. Non bisogna scoraggiarsi, perché inizialmente è difficile trovare gli abbinamenti giusti e soprattutto acquisire la sicurezza e la proprietà di linguaggio necessari per la proposta dei cross selling. Ricordiamo che è fisiologico che 70 clienti su 100 non acquistino, ma se non avessimo proposto le complementarietà a 100 persone, avremmo perduto 30 vendite. È un lavoro metodico, faticoso, che ci coinvolge anche emotivamente perché spesso ci sembra di far spendere troppo al cliente. C’è sicuramente chi non può spendere, ma chi riceve un consiglio qualificato e percepisce la competenza è motivato all’acquisto. Molto importante è monitorare i pezzi venduti grazie al metodo “Consiglio Express” ogni giorno per valutare le aree di miglioramento o i successi. Si consiglia ai farmacisti, nei primi tempi in cui si mette in pratica il metodo, di appuntarsi le vendite complementari effettuate ogni giorno. Con il tempo il valore dello scontrino medio certificherà i risultati. È un lavoro di squadra, tutti i collaboratori della farmacia si devono impegnare e condividere le competenze sia tecnico/scientifiche che di consiglio e vendita. I risultati verranno! Ad esempio: se in una farmacia lavorano 5 persone che da oggi si impegnano a vendere prodotti complementari per 50 euro in più al giorno, sono 250 euro al giorno che moltiplicati per i giorni lavorativi risultano una cifra decisamente interessante. 4. ARRIVEDERCI: darsi un appuntamento La fidelizzazione del cliente è importante, occorre creare un legame, anche emotivo. Darsi un appuntamento significa comunicare interesse, partecipazione, continuità nel rapporto tra cliente e farmacia. Quest’ultima deve essere un punto di riferimento per le esigenze di salute, benessere e bellezza delle persone. Solo qui si possono trovare i consigli con valore aggiunto salute. Invitare a ripassare per far sapere i risultati ottenuti, rendersi disponibili per ulteriori approfondimenti coinvolge emotivamente le persone che si sentono supportate e aiutate da un professionista competente.
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IL CORPO NELLA TEORIA DI KANDINSKY
Rodolfo Papa
Figura 1. Wassilij Kandinsky Jaune Rouge Bleu. 1925, Musée national d'Art moderne, Paris.
L’attualità e il valore della riflessione di Leonardo, di cui sentimento, e quindi può agire solo col sentimento. Le abbiamo parlato nel numero precedente, può essere proporzioni più esatte, i pesi e gli equilibri più delicati verificata da un confronto con una teoria novecentesca non derivano da calcoli cerebrali o da deduzioni calibrate. dell’arte quale quella di Kandinsky. Nella riflessione di Sono proporzioni che non si possono calcolare, Kandinsky l’assenza dei corpi e del chiaroscuro implica la calibrature che non si trovano già pronte» [3]. Proprio in perdita di quella dignità realistica questo punto aggiunge una nota della pittura che Leonardo invece «Nel testo di Kandinsky, Punto, linea, che esplicita, in maniera narrativa e sottolinea [1]. mitologica, quel che Kandinsky superficie, manca fin dal titolo il La primarietà del corpo realmente pensava del sistema costituisce, infatti, il fondamento corpo, ovvero l’elemento più concreto, teoretico prodotto da Leonardo e teorico di ogni arte figurativa, di il primo che si incontra nella realtà. da tutto il Rinascimento italiano, quell’arte cioè da cui alcune La realtà sembra essere ridotta alla citando il Leonardo da Vinci di correnti del Novecento hanno sua propria scomposizione, a un Merežkovskij [4]: «Leonardo da voluto prendere le distanze (ma Vinci, grande e poliedrico maestro, insieme di punti, linee, superfici, che peraltro ritorna prepotente inventò un sistema, o meglio una nel mondo in questo primo scorcio costretta nello spazio scala di cucchiaini per dosare i vari bidimensionale» del XXI secolo). colori. Si doveva realizzare così In particolare il quadrinomio del un’armonia meccanica. Un suo primo principio della pittura secondo Leonardo — punto, allievo si torturò inutilmente per usare questo sistema e, linea, superficie, corpo — trova immediato riscontro nel disperato per gli insuccessi, chiese a un collega come trinomio Punto, Linea, Superficie [2] che costituisce il facesse il maestro. “Il maestro non lo usa mai” fu la titolo del trattato che Kandinsky scrisse nel 1926, quale risposta» [5]. teoria del proprio operare artistico. L’apparente Nel testo di Kandinsky, Punto, linea, superficie, manca fin concordanza di impostazione, nel riportare la pittura agli dal titolo il corpo, ovvero l’elemento più concreto, il elementi della realtà visibile, trova un limite radicale primo che si incontra nella realtà. La realtà sembra essere nell’assenza del corpo. ridotta alla sua propria scomposizione, a un insieme di Kandisky, nel suo scritto Lo spirituale nell’arte, esplicita i punti, linee, superfici, costretta nello spazio principî delle sue “necessità interiori”: «l’arte agisce sul bidimensionale. Molta arte novecentesca, non solo quella
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L’AUTORE Rodolfo Papa, pittore, scultore, teorico, storico e filosofo dell’arte. Esperto della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Docente di Storia delle teorie estetiche presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose Sant’Apollinare, Roma; il Master di II Livello di Arte e Architettura Sacra dell’Università Europea, Roma; l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Santa Maria di Monte Berico, Vicenza; la Pontificia Università Urbaniana, Roma. È Accademico Ordinario della Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon. Presidente della Accademia Urbana delle Arti. Tra i suoi scritti si contano circa venti monografie e alcune centinaia di articoli (“Arte Cristiana”; “Euntes Docete”; “ArteDossier”; “La vita in Cristo e nella Chiesa”; “Via, Verità e Vita”, “Frontiere”, “Studi cattolici”; “Zenit.org”, “Aleteia.org”; …). Come pittore ha realizzato interi cicli pittorici per Basiliche, Cattedrali, Chiese e conventi (Basilica di San Crisogono, Roma; Basilica dei SS. Fabiano e Venanzio, Roma; Antica Cattedrale di Bojano, Campobasso; Cattedrale Nostra Signora di Fatima a Karaganda, Kazakistan; Eremo di Santa Maria, Campobasso; Cattedrale di San Panfilo, Sulmona; chiesa di san Giulio I papa, Roma; San Giuseppe ai Quattro Canti, Palermo; Sant'Andrea della Valle, Roma …).
vero protagonista della pittura è la pittura stessa e il mondo interiore delle emozioni, “astrattamente” ritratte. Sulla mancanza del corpo nella teoria di Kandinsky si possono condurre innumerevoli considerazioni [9], qui ci interessa sottolineare che si tratta appunto di una sottrazione, di una mancanza, di un meno, difficilmente interpretabile, a rigor di logica, in termini “evolutivi”, ma piuttosto comprensibili in termini culturali, che potremmo spiegare con il principio di Kunstwollen coniato da Alois Riegl [10], ovvero lo specifico impulso artistico ed estetico di una determinata epoca, irriducibile a fattori esterni, o meglio la volontà ideologica di una determinata epoca o movimento artistico. In altre parole, le forme artistiche mutano perché cambia la “visione del mondo”, e di conseguenza il “sistema artistico”. Confrontando teoricamente il trattato di Leonardo con quello di Kandinsky, osserviamo in quest’ultimo, una riduzione di campo, una sorta di limitazione, una rinuncia. Inoltre la teoria di Kandinsky è esplicitamente subordinata ad una visione del mondo di tipo spiritualista, legata alle teorie della teosofa Madame Elena Petrovna Blavatskij [11] e dell’antroposofo Rudolf Steiner. Del resto lo stesso Kandinsky scrive entusiasticamente: «la signora H.P. Blavatsky ha stabilito per la prima volta, dopo un lungo soggiorno in India, uno stretto legame fra quei “selvaggi” e la nostra cultura. È nato così un importante movimento spirituale che oggi comprende un gran numero di persone e ha preso figura fisica nella Società Teosofica. Questa società è composta di logge, che cercano di accostarsi ai problemi dello spirito attraverso la conoscenza interiore. I loro metodi si contrappongono a quelli positivistici, partono da premesse antiche e sono
di Kandinsky, potrebbe essere letta proprio nei termini problematici di un “oblio del corpo”, il quale significa, in una prospettiva di tipo leonardiano, oblio della realtà concreta, o, ancor più, oblio dell’evidenza. Kandinsky scrive: «l’opinione dominante fino ad oggi, che sarebbe fatale scomporre l’arte, perché questa scomposizione porterebbe inevitabilmente alla morte dell’arte, deriva dalla ignara sottovalutazione degli elementi in se stessi e delle loro forze primarie» [6]; in un altro passo scrive ancora «la pittura in modo particolar, nel corso degli ultimi decenni, ha fatto un favoloso salto in avanti, ma solo recentemente si è liberata dal suo significato pratico e da alcune delle sue antecedenti possibilità di applicazione» [7]. Proprio la volontà di scomporre in parti elementari primarie, e di svincolarsi da tutte le precedenti possibilità di rappresentazione ovvero applicazioni, denuncia il fatto importantissimo che non è l’arte della pittura che si è sviluppata, che è progredita verso un esodo finalmente “maturo”, ma che in realtà sono mutate la ragioni e i fini. Infatti, l’autore stesso scrive che la pittura «solo ora è arrivata a un punto che esige, in modo assoluto, un esame preciso e puramente scientifico dei suoi mezzi pittorici, proprio in funzione del suo scopo pittorico» [8], ovvero la pittura non ha altro scopo che la pittura, al fine di esprimere quel mondo di emozioni individuali “interne”, che, secondo Kandinsky, sarebbe l’unico vero oggetto da ritrarre. Il corpo è, dunque, secondo Leonardo, il vero protagonista dell’opera pittorica, mentre per Kandisky il
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Figura 2. Wassilij Kandinsky, Composizione X, 1939. Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen, Düsseldorf.
espressi con relativa precisione» [12] e poi specifica, in un’organizzazione che attende solo la sua venuta per una nota, il riferimento a «La Teosofia di Rudolf Steiner, sollevarlo dagli ostacoli e dalle difficoltà materiali”. E a e i suoi articoli sulle vie della conoscenza in Lucifer questo punto la Blavatzky afferma che “nel secolo XXI la Gnosis» [13]. terra sarà un paradiso in confronto a come è oggi” e Il pensiero di Kandinsky è molto chiaro: egli afferma che conclude così il suo libro» [16]. solo nel ricongiungimento con le visioni del mondo dei Kandinsky quindi aderisce totalmente al pensiero “primitivi” o dei “selvaggi” si gnostico e lo spiritualismo può accede alla “verità eterna” «… la pittura non ha altro scopo che la diviene il motore non solo della che passa ovviamente pittura, al fine di esprimere quel mondo di sua concezione “religiosa”, ma attraverso il movimento emozioni individuali “interne”, che, anche della sua “visione del spirituale teosofico [14] che è secondo Kandinsky, sarebbe l’unico vero mondo”, tanto che conclude il «uno stimolo vigoroso, che suo libro con uno slancio oggetto da ritrarre» raggiungerà come un grido di visionario che vuole essere liberazione qualche cuore sprone profetico per i suoi disperato, avvolto nelle lettori e seguaci: «già ora siamo tenebre e nella notte; è l’apparire di una mano che indica vicini al tempo della creazione che ha uno scopo. Lo la via e offre aiuto» [15]. La teoria teosofica è spirito nella pittura, in fine, ha un rapporto diretto con la evidentemente del tutto estranea alla “spiritualità costruzione, già avviata, del nuovo regno spirituale. cristiana”. Il termine più adatto per designare questo Perché questo spirito è l’anima dell’epoca della grande movimento è “spiritualista”, e per certi versi è già alluso spiritualità» [17]. nel titolo del libro, appunto Über das Geistige in der Leonardo e Kandinsky elaborano due diversi sistemi Kunst, con il quale si intende artistici, appartengono a due indicare ciò che non è «Confrontando teoricamente il trattato di visioni del mondo diverse e materiale, con una accezione Leonardo con quello di Kandinsky, aderiscono a prospettive gnostica ed esoterica. religiose diverse; Leonardo è osserviamo in quest’ultimo, una riduzione Kandinsky aggiunge: «la teoria cattolico, Kandinsky è gnostico. teosofica, che è alla base di di campo, una sorta di limitazione, una Appare chiaro che non ha senso questo movimento, è stata rinuncia. Inoltre la teoria di Kandinsky è considerare il secondo come elaborata dalla Blavatzky come esplicitamente subordinata ad una visione progresso del primo. un catechismo, dove il del mondo di tipo spiritualista» Può essere interessante operare, discepolo trova le risposte da ultimo, un ultimo confronto precise del teosofo alle sue con Punto linea superficie di domande. La Teosofia, secondo Kandinsky. Kandinsky nella la Blavatzky, coincide con l’eterna verità. “Un nuovo “Introduzione” scrive: «Le ricerche, che debbono apostolo della verità troverà l’umanità preparata dalla diventare la prima pietra della nuova scienza — scienza Società Teosofica a ricevere il suo annuncio: ci sarà una dell’arte — hanno due scopi e nascono da due necessità: forma espressiva a cui potrà affidare le nuove verità, 1. la necessità della scienza in generale, che deriva
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Figura 3. Wassilij Kandinsky, Composizione VII, 1913. Galleria Tret’jakov, Mosca.
liberamente da uno slancio non-utilitario o extrautilitario verso il sapere: la scienza “pura”, e 2. la necessità dell’equilibrio nelle forze creative, che debbono essere divise in due parti schematiche — intuizione e calcolo: la scienza “pratica”» [18]. Il nodo teorico della questione, per Leonardo come per Kandinsky, è giocato nel rapporto tra teoria e pratica, tra un sapere puro e un fare produttivo. Per entrambi la
posta in gioco è una pittura che, pur palesando il proprio carattere di conoscenza pura, non perda la propria prerogativa poietica. La differenza tra i due modi di affrontare il problema è determinata dal diverso modo di valutare il rapporto tra arte e realtà: il vincolo realistico — l’unico in grado di fare teoria e pratica insieme — è la vera spinta scientifica e artistica di Leonardo.
Bibliografia e note 1.
2.
3. 4.
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Cfr. Papa R., Lo statuto epistemologico dell’arte. Riflessioni storico-teoretiche in margine a Leonardo, in “Euntes Docete”, (2001) 1, pp. 159-173; ID., Discorsi sull’arte sacra, Cantagalli, Milano 2012, cap. V. Kandinsky W., Punto linea superficie. Contributo all’analisi degli elementi pittorici [1926], trad. it., Adelphi, Milano 1968, 198610. Questo saggio è “una prosecuzione organica” (come scrive Kandinsky stesso nella “Prefazione”) di Lo spirituale nell’arte [1912], SE, Milano 1989. Kandinsky W., Lo spirituale nell’arte, p. 58 Merežkovskij D. S., Il romanzo di Leonardo da Vinci ovvero la rinascita degli dei [1901], trad. it., Fratelli Treves, Milano 1933. Pubblicato nel 1901, il romanzo fa parte di una trilogia dal titolo Cristo e Anticristo, ognuno dei quali incentrato sulla figura di un personaggio storico, il primo è pubblicato nel 1896 con il titolo Giuliano l’Apostata o la morte degli dei, il secondo è quello dedicato a Leonardo e il terzo, dedicato allo zar Pietro il Grande con il titolo Pietro e Alessio o l’Anticristo, pubblicato nel 1905 chiude la trilogia. Cfr. Crispino E., Leonardo, Giunti, Firenze 2001, p. 118. È interessante notare come all’interno del pensiero di Kandinsky per confutare o affermare una tesi sia sufficiente fondare il discorso sulla
5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14.
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eucronia della narrazione di un romanzo storico. Kandinsky W., Lo spirituale nell’arte, p. 58, in nota. Kandinsky W., Punto, linea, superficie, p. 8. Ivi p. 9. Ibid. Cfr. Papa R., La “scienza della pittura” di Leonardo, Medusa, Milano 2005, pp. 51 e ss. Cfr. Riegl A., Problemi di stile [1893], Feltrinelli, Milano 1963. Cfr. Blavatzky H.P., La chiave della teosofia [1889], Edizioni Teosofiche Italiane, Vicenza 2009. Kandinsky W., Lo spirituale nell’arte, p. 31. Ivi p. 31, n. 2. «La teosofia di Madame Blavatski […] è un singolare sincretismo di psicologismo, spiritismo e religioni indiane. […] La Bibbia dei teosofi è il misterioso Libro Dyzan di cui si ignorano le fonti […] La teosofia insegna l’indifferenza di fronte alle varie religioni che sarebbero fondamentalmente tutte uguali» Gatto Trocchi C., Le sette in Italia, Newton Compton, Roma 1994, p. 74. Kandinsky W., Lo spirituale nell’arte, pp. 31-32. Ivi p. 31. Ivi p. 93. Kandinsky W., Punto linea superficie, pp. 11 e 12.
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IL TEATRO MASSIMO DI PALERMO Ciro Lomonte*
Traduzione in siciliano di Fonso Genchi**
LU TEATRU MASSIMU DI PALERMU Palermo è una città teatrale. Teatro naturale è la Palermu è na cità teatrali. Teatru naturali, è la giurranna ghirlanda di monti e di giardini (Sys) che i suoi fondatori di munti e di jardini (Sys) chi li so' funnaturi sicanu-fenici sicano fenici scelsero come nome nel VII secolo a.C. Essi scigghieru comu nomu nta lu VII sèculu a.C.. Iddi cominciarono subito a recitare con i loro clienti di lingua accuminciaru sùbitu a ricitari cu li so' clienti di lingua greca, da bravi mercanti. Pertanto greca, comu bravi mircanti. adottarono un nome alternativo, «Palermo è una città teatrale. Teatro Pirtantu aduttaru un nomu descrittivo dell’ampio approdo per naturale è la ghirlanda di monti e di alternativu, descrittivu di l’ampiu le navi su cui la città era stata approdu pi li navi unni s'avìa giardini (Sys) che i suoi fondatori creata: Panormos (tutta porto). custruiutu la cità: Panormos (tutta Di teatri Palermo ne ha avuti tanti sicano fenici scelsero come nome nel portu). nei suoi secoli di storia. Lo stesso VII secolo a.C. Essi cominciarono Palermu teatri nn'appi assai cuore della città — i Quattro Canti subito a recitare con i loro clienti di duranti li sèculi di la so storia. Lu — è conosciuto come il Teatro del lingua greca, da bravi mercanti» stissu cori di la cità — li Quattru Sole. Una sorta di Globe Theater Canti — è canusciutu comu lu shakesperiano, in cui gli spettatori prendono il posto Teatru di lu Suli. Na speci di Globe Theater shakesperianu, degli attori e viceversa. unni li spettaturi pìgghianu lu postu di l'atturi e viciversa. Già prima dell’epilogo della stagione dei Borbone era Già prima di l’epìlugu di la stagiuni di li Borbone s'avìa stato ipotizzato un nuovo grande teatro dell’opera, pinzatu a un novu granni teatru di l’òpira, a l’avanguardia, all’avanguardia, da realizzare nella zona di piazza Marina, di costruìri nni la zona di chiazza Marina, ntitulànnulu a intitolandolo a Ferdinando II. Dopo la conquista della Ferdinandu II. Doppu la conquista di la Sicilia — anchi si Sicilia — che persino i risorgimentali siciliani spacciarono li risorgimentali siciliani l'avìanu chiamata "adesioni per adesione volontaria al neonato Regno d’Italia — fu il volontaria" a lu neonatu Regnu d’Italia — fu lu Sìnnicu Sindaco Antonio Starabba, Antonio Starabba, marchisi di marchese di Rudinì, succeduto a «Palermu è na cità teatrali. Teatru Rudinì, succidutu a Mariano Mariano Stabile, a bandire il 10 naturali, è la giurranna di munti e di Stabile, ca instituìu lu 10 di settembre 1864 un concorso per jardini (Sys) chi li so' funnaturi sicanusettembri di lu 1864 un concursu «provvedere alla mancanza di un fenici scigghieru comu nomu nta lu VII pi «provvedere alla mancanza di teatro che stesse in rapporto alla un teatro che stesse in rapporto cresciuta civiltà ed a’ bisogni della sèculu a.C.. Iddi accuminciaru sùbitu a alla cresciuta civiltà ed a’ bisogni popolazione», aperto ad architetti ricitari cu li so' clienti di lingua greca, della popolazione», apertu a italiani e stranieri. La citazione di comu bravi mircanti» architetti italiani e straneri. La Starabba va smorfiata: la cultura citazioni di Starabba s'havi a ufficiale doveva servire, da allora in poi, per “fare gli smurfiari: la cultura offiziali avìa a sèrviri, di tannu in italiani” secondo i nuovi criteri omologanti, cancellando avanti, pi “fari l'italiani” secunnu li novi criteri l’identità siciliana. La scadenza era fissata al 9 settembre omologanti, cancillannu l’identità siciliana. Lu 1866, data poi prorogata di sei mesi per varie ragioni, scadimentu s'avìa misu pi lu 9 di settembri di lu 1866, «fra le quali, oltre l’importanza e la vastità del progetto, data poi prorogata di sei misi pi diversi motivi, «tra i non ultima è quella dell’imminenza della guerra [la terza quali, oltre l’importanza e la vastità del progetto, non guerra d’indipendenza] a cui taluni riputati artisti ultima è quella dell’imminenza della guerra [la terza concorrenti prenderanno parte». I partecipanti furono 35, guerra d’indipendenza] a cui taluni riputati artisti dodici dei quali stranieri. Nella commissione giudicatrice concorrenti prenderanno parte». Li participanti foru 35, di sedeva come presidente l’arch. Gottfried Semper, autore cu' dùdici straneri. Nta la commissioni giudicatrici comu della Semperoper di Dresda e impegnato proprio in presidenti cc'era l’arch. Gottfried Semper, oturi di la quegli anni nella creazione della Ringstrasse di Vienna. Semperoper di Dresda e mpignatu propiu nta dd'anni nni la criazioni di la Ringstrasse di Vienna.
*Architetto. Ha creato la Monreale School of Arts & Crafts. Vice coordinatore del Master in Storia e Tecnologie dell’Oreficeria dell’Università di Palermo. Docente presso il Master di II livello in Architettura, Arti Sacre e Liturgia dell’Università Europea di Roma. Ha curato l’edizione italiana del libro di Steven J. Schloeder, L’Architettura del Corpo Mistico, Progettare chiese secondo il Concilio Vaticano II, L’Epos, Palermo 2005. Insieme a Guido Santoro ha scritto Liturgia, Cosmo, Architettura, Cantagalli, Siena 2009. È redattore della rivista telematica Il Covile.
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**Studioso di lingua siciliana. È spesso invitato in varie parti di Sicilia a tenere conferenze e corsi su questa tematica. Per quattro anni ha diretto i seminari sulla lingua e letteratura siciliane organizzati dalla Società per l'Amicizia tra i Popoli di Palermo. È autore del programma culturale televisivo in lingua siciliana Stupor Mundi, in onda dal 2011 su TVM Palermo. È cofondatore e componente del Collegio Scientifico dell'Accademia della Lingua Siciliana.
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Il 4 settembre 1868 la giuria formulò la graduatoria dei cinque vincitori, conferendo il primo premio a Giovan Battista Filippo Basile, geniale architetto palermitano, mentre al quarto posto era il progetto di Giuseppe Damiani Almeyda. Il Sindaco, Salesio Balsano, si premurò di annunciare al Basile l’esito del concorso accompagnato dalle sue congratulazioni. Seguì un periodo di attesa, legato anche all’ambiguità del bando, che prevedeva che tutti e cinque i progetti premiati restassero di proprietà comunale e che tra questi il consiglio comunale avrebbe dovuto individuare quello da portare a termine. L’amministrazione comunale scelse l’area fra il bastione di San Vito e la Porta Maqueda, sui terreni dove sorgevano fino allora sia la chiesa ed il convento di San Giuliano, sia la chiesa ed il convento di S. Francesco delle Stimmate, oltre che la chiesa di S. Agata alle Mura. Questi vennero abbattuti dopo essere stati espropriati in base alle leggi eversive del 1866, tenuto conto altresì che il convento delle Stimmate era stato impiegato come fortino dagli insorti della sanguinosa Rivolta del Sette e Mezzo. È singolare come l’architettura del Teatro fosse, allora come oggi, del tutto indifferente all’intorno urbanistico. Piazza Giuseppe Verdi è in realtà un’area di risulta. La prima pietra fu posata il 12 gennaio 1875, significativo anniversario della rivoluzione siciliana del 1848, con la partecipazione di tutte le maggiori autorità cittadine e un discorso del barone Nicolò Turrisi Colonna. I lavori furono sospesi nel 1882 e ripresi nel 1889, con l’obiettivo di completarli in tempo per l’Esposizione dell’anno successivo e sempre affidati a Giovan Battista Filippo Basile, che però morì pochi mesi dopo, il 16 giugno 1891. Gli subentrò il figlio Ernesto, anch’esso architetto, che accettò di ultimare l’opera in corso del padre su richiesta del Comune di Palermo, completando anche i disegni necessari per la prosecuzione dei lavori del Teatro. L’inaugurazione avvenne il 16 maggio 1897 con il Falstaff di Giuseppe Verdi, opera che ancora non era stata mai eseguita a Palermo, sotto la direzione di Leopoldo
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Lu 4 di settembri di lu 1868 la giurìa elaborò la graduatoria di li cincu vincituri, conferennu lu primu premiu a Giovan Battista Filippo Basile, geniali architettu palermitanu, mentri a lu quartu postu arrivò lu progettu di Giuseppe Damiani Almeyda. Lu Sìnnicu, Salesio Balsano, si premurò di annunciari a Basile l’èsitu di lu concursu accumpagnatu di li so' congratulazioni. Dunca, vinni un periodu d'attisa, duvutu videmma a l’ambiguità di lu bannu, chi previdìa ca tutti e cincu li progetti premiati arristàssiru di propietà comunali e chi ntra di chisti lu cunsigghiu comunali scigghissi chiddu chi s'avìa a eseguiri. L’amministrazioni comunali scigghìu l’aria ntra lu bastiuni di San Vitu e la Porta Maqueda, nna li terreni unni surgìanu nsinu a tannu tantu la chiesa e lu cunventu di San Giulianu, quantu la chiesa e lu cunventu di S. Franciscu di li Stìmmati, oltri chì la chiesa di S. Agata a li Mura. Tutti sti edifizi s'abbatteru doppu ca foru espropiati secunnu li liggi eversivi di lu 1866, tinennu puru in cunsidirazioni ca li protagonisti di la sanguinaria Ribillioni di lu Setti e Menzu avìanu usatu lu cunventu di li Stimmati comu propia basi. È singulari comu l’architettura di lu Teatru fussi, tannu comu oi, completamenti indifferenti a l’intornu urbanìsticu. Chiazza Giuseppe Verdi è in realità n’aria di risulta. La prima petra si misi lu 12 di innaru di lu 1875, significativu anniversariu di la rivoluzioni siciliana di lu 1848, cu la participazioni di tutti li chiù impurtanti autoritati citatini e un discursu di lu baruni Nicolò Turrisi Colonna. Li travagghi si firmaru nta lu 1882 e ripigghiaru nta lu 1889, cu l’obiettivu di terminàrili 'n tempu pi l’Esposizioni di l’annu doppu e sempri affidati a Giovan Battista Filippo Basile, chi però murìu qualchi misi chiù avanti, lu 16 di giugnu di lu 1891. Fu sustituiutu di lu figghiu Ernesto, puru iddu architettu, chi accettò di ultimari l’òpira di lu patri, incaricatu di lu Comuni di Palermu, completannu macari li disigni necessari pi la prosecuzioni di li travagghi di lu Teatru. L’inaugurazioni
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Mugnone. Il Teatro Massimo (intitolato a Vittorio Emanuele II) è il più grande edificio teatrale lirico d’Italia e uno dei più grandi d’Europa, terzo per ordine di grandezza dopo l’Opéra Nationale di Parigi e la Staatsoper di Vienna. Ambienti di rappresentanza, sale, gallerie e scale monumentali circondano il teatro vero e proprio, formando un complesso architettonico di grandiose proporzioni, con oltre 7.730 metri quadrati. Di gusto eclettico ma molto libero, ha forme che corrispondono agli intenti simbolici dell’autore. L’impresa di costruzioni che costruì l’edificio del Teatro Massimo apparteneva a due soci, Giovanni Rutelli e Alberto Machì. L’arch. Giovanni Rutelli apparteneva a un’antica famiglia italiana di origine britannica con tradizioni anche nel settore dell’architettura fin dalla prima metà del Settecento palermitano. Rutelli era un profondo esperto sia delle antiche costruzioni greco romane che della scienza stereotomica, l’arte dell’intaglio dei conci da usare in strutture complesse dal punto di vista statico e da quello geometrico. Si trattava di conoscenze essenziali e preziose per poter erigere un tempio della musica della mole del Teatro Massimo. Tutto, infatti, era previsto in pietra da taglio, la durissima calcarenite di Carini. L’arch. Basile organizzò dei corsi di formazione d’arte classica per le maestranze, sia per l’intaglio della pietra che per la decorazione. Per la costruzione, di maestri dell’intaglio se ne impiegarono addirittura circa centocinquanta. Fu l’occasione da parte del Rutelli di ideare anche una rivoluzionaria gru azionata da un motore a vapore, caratterizzata da un ingegnoso sistema di pulegge/carrucole e cavi che s’impiegò per il sollevamento dei grossi massi, capitelli e colonne (capacità di sollevamento fino ad otto tonnellate di peso) a considerevoli altezze per quel tempo (fino a metri 22 d’altezza), il che poté accelerare l’avanzamento dei lavori. L’esterno del teatro presenta un pronao corinzio esastilo.
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avvinni lu 16 di maju di lu 1897 cu lu Falstaff di Giuseppe Verdi, òpira chi ancora non s'avìa mai rapprisintatu a Palermu, sutta la direzioni di Leopoldo Mugnone. Lu Teatru Màssimu (ntitulatu a Vittoriu Emanueli II) è lu chiù granni edifiziu teatrali lìricu d’Italia e unu di li chiù granni d’Europa, terzu pi grannizza doppu l’Opéra Nationale di Parisi e la Staatsoper di Vienna. Ambienti di rappresentanza, sali, gallerìi e scali monumentali circùnnanu lu teatru veru e propiu, formannu un complessu architettònicu di proporzioni granniusi, cu chiù assai di 7.730 metri quatrati. Di gustu eclètticu ma assai lìberu, havi formi chi currispùnninu a l'intenti simbòlici di l’oturi. L’imprisa di costruzioni chi fìci lu Teatru Màssimu appartineva a du' soci, Giovanni Rutelli e Alberto Machì. L’arch. Giovanni Rutelli appartineva a n’antica famigghia italiana di orìgini britànnica cu tradizioni videmma nta li setturi di l’architettura nsinu di la prima mità di lu Setticentu palermitanu. Rutelli era un profunnu espertu sia di l'antichi costruzioni grecuromani, chi di la scienzia stereotòmica, l’arti di lu ntagghiu di li petri chi si ùsanu nta strutturi complessi di lu puntu di vista stàticu e di chiddu geomètricu. Si trattava di canuscenzi essenziali e preziusi pi putiri erìgiri un tempiu di la mùsica di la grannizza di lu Teatru Màssimu. Tuttu, infatti, era previstu in petra di tagghiu, la durissima calcareniti di Carini. L’arch. Basile organizzò cursi di formazioni d’arti clàssica pi li mastranzi, sia pi lu ntagghiu di la petra chi pi la decorazioni. Pi la costruzioni, di maistri di lu ntagghiu si nni impiegaru addirittura circa centucinquanta. Fu l’occasioni pi Rutelli pi ideari videmma na rivoluzionaria gru manuvrata pi menzu di un muturi a vapuri, caratterizzata di un sistema ncignusu di puleggi/currioli e cavi chi s’impiegò pi jisari li petri chiù grossi, li capiteddi e li culonni (capacità di jisari sinu a ottu tunnillati di pisu) a autizzi impurtanti pi ddi tempi (sinu a 22 metri d’autizza), cosa ca pirmittìu di accilirari l’avanzamentu di li travagghi.
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Giovan Battista Filippo Basile previde capitelli corinzi non casuali. Essi infatti si ispirano ad un modello trovato nella cittadina ellenistica di Solunto e ad un altro molto simile rinvenuto a Tivoli. Egli voleva in tal modo rimarcare le radici comuni delle diversissime parti del nuovo Regno d’Italia. Sul frontone si può leggere l’epigrafe, molto paternalista, «L’arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano delle scene il diletto ove non miri a preparar l’avvenire», attribuita al palermitano Camillo Finocchiaro Aprile, più volte ministro di grazia e giustizia e culti. Il pronao si eleva su una monumentale scalinata ai lati della quale sono posti due leoni bronzei con le allegorie della Tragedia (dello scultore Benedetto Civiletti) e della Lirica (dello scultore Mario Rutelli, figlio dell’arch. Giovanni). Da notare che Mario Rutelli è, fra le centinaia di sue opere scultoree, l’autore della quadriga che sormonta l’arco trionfale del Politeama Garibaldi, l’altro grande teatro di Palermo, opera di Damiani Almeyda. La simmetria compositiva del teatro attorno all’asse dell’ingresso, la ripetizione costante degli elementi (colonne, finestre ad archi), la decorazione rigorosamente composta, definiscono una struttura spaziale semplice ed una volumetria severa, armonica e geometrica, d’ispirazione greca e romana. I riferimenti formali di quest’edificio sono, oltre che nei teatri antichi, anche nelle costruzioni religiose e pubbliche romane quali il tempio, la basilica civile e le terme, soprattutto nello sviluppo planimetrico dei volumi e nella copertura. In alto l’edificio è sovrastato da un’enorme cupola che copre la platea interna. L’ossatura della cupola è una struttura metallica reticolare che s’appoggia ad un sistema di rulli, in modo da consentirne gli spostamenti dovuti alle variazioni di temperatura. La cupola ha un diametro di 28,73 metri ed è composta da una struttura di ferro coperta da squame in lamiera di rame, sovrastata da un grande vaso anch’esso d’ispirazione corinzia. L’apparato compositivo della grande sala si deve all’arch. Ernesto Basile, figlio di Giovan Battista. Quest’ultimo, figlio di un giardiniere dell’Orto Botanico di Palermo, poté studiare grazie all’aiuto del direttore dell’Orto, che ne intuì la genialità. In effetti Basile padre fu un profondo studioso dell’architettura, capace di dominare progetti monumentali, impegnato nella ricerca di un’arte “nuova”. Il figlio Ernesto fu forse il più creativo e raffinato interprete dell’Arte Floreale in Italia, nella breve stagione che caratterizzò questo sistema linguistico (1898-1908). Prima e dopo egli fu sensibile alle altre correnti che caratterizzarono la ricerca dell’arte “nuova”. Per gli interni del Teatro Massimo si servì della valida opera dello straordinario produttore di arredi Vittorio Ducrot. Le decorazioni della sala e dei palchi sono realizzazioni di Salvatore Valenti. L’interno è decorato e dipinto da Rocco Lentini, Ettore De Maria Bergler, Michele Cortegiani, Luigi Di Giovanni. Giuseppe
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L’esteriuri di lu teatru presenta un pronau corinziu esastilu. Giovan Battista Filippo Basile previtti capiteddi corinzi non casuali. Infatti si ispìranu a un modellu truvatu nni la citatina ellenìstica di Soluntu e a nàutru assai sìmili rinvinutu a Tìvoli. Iddu vulìa rimarcari accussì li ràdichi comuni di li chiù diversi parti di lu novu Regnu d’Italia. Nta lu fruntuni si po lèggiri l’epìgrafi, assai paternalista, «L’arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano delle scene il diletto ove non miri a preparar l’avvenire», attribuiuta a lu palermitanu Camillo Finocchiaro Aprile, chiù voti ministru di grazia e giustizia e culti. Lu pronau s'èleva supra a na monumentali scalunata a li lati di la quali si mìsiru dui liuni di brunzu cu li allegorìi di la Tragedia (di lu sculturi Benedetto Civiletti) e di la Lìrica (di lu sculturi Mario Rutelli, figghiu di l’arch. Giovanni). S'havi a nutari chi Mario Rutelli è l'oturi, ntra li cintinara di so' òpiri scultorìi, di la quatriga ch'è misa 'n capu a l’arcu triunfali di lu Politeama Garibaldi, l’àutru granni teatru di Palermu, òpira di Damiani Almeyda. La simmitrìa compositiva di lu teatru attornu a l’assi di l’ingressu, la ripetizioni custanti di l'elementi (culonni, finestri a archi), la decorazioni rigurusamenti composta, definìscinu na struttura spaziali sìmplici e na volumitrìa severa, armònica e geomètrica, d’ispirazioni greca e romana. Li riferimenti formali di st’edifiziu sunnu, oltri chi nni li teatri antichi, puru nni li costruzioni religiusi e pùbblichi romani quali lu tempiu, la basìlica civili e li termi, supratuttu nni lu sviluppu planimètricu di li volumi e nni la cupirtura. Nta la parti di supra, l’edifiziu havi na cùbbula enormi chi cummogghia la platea interna. L’ossatura di la cùbbula è na struttura metàllica reticulari ch s’appoia a un sistema di cilindri, in manera di permèttiri li spustamenti duvuti a li variazioni di temperatura. La cùbbula havi un diametru di 28,73 metri e è furmata di na struttura di ferru cuperta di squami in lamina di ramu, suprastata di un granni vasu, puru chissu d’ispirazioni corinzia. L’apparatu compositivu di la granni sala è òpira di l’arch. Ernesto Basile, figghiu di Giovan Battista. St’ùltimu, figghiu di un jardinaru di l’Ortu Botànicu di Palermu, potti studiari grazi a l’aiutu di lu diretturi di l’Ortu, chi nni intuìu la genialità. In effetti Basile-patri fu un profunnu studiusu di l’architettura, capaci di dominari progetti monumentali, mpignatu nta la ricerca di n’arti “nova”. Lu figghiu Ernesto forsi fu lu chiù criativu e raffinatu interpreti di l’Arti Floreali in Italia, nni la brevi stagiuni chi caratterizzò stu sistema linguìsticu (1898-1908). Prima e doppu, iddu fu sensìbili a l'àutri currenti chi caratterizzaru la ricerca di l’arti “nova”. Pi l'interni di lu Teatru Màssimu si sirvìu di la vàlida òpira di lu straordinariu produtturi di mobilìa Vittorio Ducrot. Li decorazioni di la sala e di li palchi sunnu realizzazioni di Salvatore Valenti. L’internu è decoratu e pittatu di Rocco Lentini, Ettore De Maria Bergler, Michele Cortegiani, Luigi Di Giovanni. Giuseppe Sciuti raffigurò lu curteu di
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Cultura
Sciuti raffigurò il corteo dell’incoronazione di Ruggero II nel grande sipario decorato. La sala è a ferro di cavallo, con cinque ordini di palchi e galleria (loggione). La platea dispone di uno speciale soffitto mobile composto da grandi pannelli lignei affrescati (i cosiddetti petali) che vengono mossi da un meccanismo di gestione dell’apertura modulabile verso l’alto, che consente l’aerazione naturale dell’intero ambiente. Il sistema permetteva al teatro di non necessitare di aerazione forzata per la ventilazione e la climatizzazione interna. L’acustica è eccellente. Nella rotonda del mezzogiorno o sala pompeiana, la sala riservata in origine ai soli uomini, si può constatare un effetto di risonanza particolarissimo, appositamente ottenuto dall’architetto tramite la conformazione della volta, tale per cui chi si trova al centro esatto della sala ha la percezione di udire la propria voce amplificata a dismisura, mentre nel resto dell’ambiente la risonanza è enorme e tale per cui risulta impossibile comprendere dall’esterno della rotonda quanto viene detto al suo interno. La tradizione narra che una suora detta “la monachella” (la prima Madre Superiora del convento di S. Giuliano) si
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l’incoronazioni di Ruggeru II nta lu granni sipariu decoratu. La sala è a ferru di cavaddu, cu cincu òrdini di palchi e gallarìa (luggiuni). La platea disponi di un tettu speciali ca si po mòviri, compostu di granni panneddi di lignu affriscati (accussì ditti petali) chi si mòvinu pi menzu di un meccanìsimu chi cumanna l’apirtura modulàbili versu supra, chi consenti un canciu d'aria naturali di l’interu ambienti. Lu sistema permittìa a lu teatru di non necessitari di ariazioni furzata pi la ventilazioni e la climatizzazioni interna. L’acùstica è eccellenti. Nni la rotonda del mezzogiorno o sala pompeiana, la sala riservata in orìgini a li suli òmini, si po rilevari un effettu di risunanza assai particulari, ottenutu apposta di l’architettu pi menzu di la cunfurmazioni di la volta, di manera chi cu' si trova nta lu centru esattu di la sala havi la percezioni di sèntiri la propia vuci amplificata a dismisura, mentri nna lu restu di l’ambienti la risunanza è enormi accussì chi risulta impossìbili cumprènniri di fora di la rutunna chiddu chi si dici dintra. La tradizioni cunta chi na religiusa ditta “la
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Cultura
aggiri ancora per le sale del teatro. Alcuni sostengono di aver visto un’ombra di una suora aggirarsi dietro le quinte e nei sotterranei e che, stando alla tradizione, essa lanci delle vere e proprie maledizioni. Si dice anche che chi non crede alla leggenda inciampi in un particolare gradino interno del teatro, detto appunto “gradino della suora”. Il 16 maggio 1897 avvenne l’apertura ufficiale del Teatro da 3.200 posti. Nel 1997 venne riaperto dopo un lunghissimo periodo d’abbandono iniziato nel 1974 per lavori di adeguamento alle norme di sicurezza. In realtà inizialmente si trattò di un braccio di ferro fra Italia Nostra da un lato e la Regione Siciliana con l’Università di Palermo (Facoltà di Architettura) dall’altro, in quanto il progetto di allora prevedeva inserimenti di strutture in cemento armato piuttosto invasivi, oltre ad un faraonico impianto di climatizzazione. Il 12 maggio 1997 il teatro viene riaperto con un concerto diretto nella prima parte da Franco Mannino e nella seconda parte da Claudio Abbado con i Berliner Philharmoniker. I posti erano stati ridotti a meno di 1.400.
Bibliografia di base 1.
2.
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Mauro E., Sessa E., Giovan Battista Filippo ed Ernesto Basile. Settant’anni di architettura. I disegni restaurati della dotazione Basile 1859-1929, Novecento Editrice, Palermo 2000. Sessa E., Ernesto Basile: dall’eclettismo classicista al modernismo, Novecento Editrice, Palermo 2002.
munachedda” (la prima Matri Superiura di lu cunventu di S. Giulianu) va ancora firriannu pi li sali di lu teatru. Na pocu affìrmanu d'aviri vistu n’umbra di na mònaca firriari darreri di li quinti e nni li sutterranei e chi va jittannu, secunnu la tradizioni, veri e propi gàstimi. Si dici puru ca cu' non cridi a la ligenna, truppica nta un particulari scaluni internu di lu teatru, dittu appuntu “gradino della suora”. Lu 16 di maju di lu 1897 cci fu l’apirtura offiziali di lu Teatru di 3.200 posti. Nni lu 1997 si grapìu arreri doppu un perìodu assai longu d’abbannunu, accuminciatu nta lu 1974 pi travagghi di adattamentu a li normi di sicurizza. In realità inizialimenti si trattò d'un vrazzu di ferru ntra Italia Nostra di na banna e la Regiuni Siciliana cu l’Università di Palermu (Facultà di Architettura) di l'àutra banna, pirchì lu progettu di tannu previdìa inserzioni di strutturi in cementu armatu chiuttostu invasivi, oltri chi un faraònicu impiantu di climatizzazioni. Lu 12 di maju di lu 1997 lu teatru si grapi arreri cu un cuncertu direttu nni la prima parti di Franco Mannino e nni la secunna parti di Claudio Abbado cu li Berliner Philharmoniker. Li posti s'avìanu arridduciutu a menu di 1.400.
Traslatazioni in lingua siciliana: Lu lèssicu e l'ortografìa usata sunnu chiddi di la tradizioni letteraria in lingua siciliana (vocabulari di riferimentu sunnu lu Pasqualino, lu Mortillaro, lu Camilleri).
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Fitoterapia&Nutrizione
OSTEOPOROSI: DISORDINE METABOLICO Elisa Drago*
L’osteoporosi è un disordine metabolico che predispone ad un aumento del rischio di frattura. Fino all’età di 25-35 anni si assiste ad un incremento del tessuto osseo. Successivamente, dai 40 anni in poi, si va incontro ad una progressiva rarefazione. Tra i 48 e i 55 anni le donne hanno un calo di estrogeni dovuto alla menopausa che potrebbe essere causa di osteoporosi. Questa patologia colpisce inizialmente l’osso spugnoso dell’epifisi, ampie superfici di contatto, poi in una seconda fase anche la corticale. Quindi nelle donne in menopausa il riassorbimento osseo, a causa della perdita degli estrogeni, supera la neoformazione di osso e come conseguenza si perde densità ossea, quindi minor peso dell’osso che è condizione di osteoporosi. L’osteoporosi non è una malattia degenerativa, è una malattia metabolica. La densità ossea si misura tramite un esame specifico, la MOC, Mineralometria Ossea Computerizzata. La MOC deve essere eseguita circa una volta ogni due anni nei casi non troppo a rischio, osteoporosi senile e postmenopausa. Se invece vi sono sofferenze metaboliche, di iperparatiroidismo o disturbi dell’assorbimento, in quel caso allora i controlli dovranno essere più frequenti. CLASSIFICAZIONE Esistono due tipi di osteoporosi: le osteoporosi primarie o primitive, che si manifestano “in modo indipendente”, da sole, a loro volta suddivise in osteoporosi idiopatica, osteoporosi di tipo I (post-menopausale) e di tipo II (senile); e secondarie, che invece si sviluppano come conseguenza di altre malattie, o del loro trattamento con farmaci dannosi per l’osso. EZIOPATOGENESI L’osteoporosi è conseguenza di uno squilibrio fra osteoblasti e osteoclasti. La prima categoria di cellule contribuisce alla formazione ossea, la seconda contribuisce al riassorbimento osseo; se gli osteoclasti lavorano più velocemente degli osteoblasti, l'osso si deteriora. In menopausa (tipo I) si riscontra una maggiore produzione di osteoclasti, causata dalla
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perdita di estrogeni che porta ad un eventuale innalzamento delle citochine, correlato alla produzione di osteoclasti. Inoltre, con l'avanzare dell'età diminuisce l'attività degli osteoblasti [1]. FATTORI DI RISCHIO Esistono diversi fattori di rischio che aumentano la probabilità che l'osteoporosi si manifesti. Questi fattori possono essere non modificabili o modificabili. Tra i fattori non modificabili l’età costituisce il più elevato fattore di rischio, in quanto nella vecchiaia avviene normalmente il deterioramento della massa ossea. Molto importante per le donne è anche l'età alla quale si giunge alla menopausa. Non modificabili sono anche i fattori genetici; carenza di ormoni quali estrogeni per le donne, somatotropina, testosterone sia per i maschi che per le femmine, nella sola forma II; presenza di patologie come cirrosi epatica, artrite reumatoide malattie ereditarie: osteogenesi imperfetta, acidosi tubulare renale, anomalie endocrine, sindrome di Cushing. Fattori modificabili sono invece la dieta, la carenza di
minerali essenziali magnesio, calcio, stronzio, zinco, boro e altri, di proteine, di vitamina D, vitamina C, vitamina K, vitamine del gruppo B come la B9 (acido folico), la B12 (cianocobalamina), la B2 (riboflavina) e altre. Basso peso corporeo, deve essere inferiore all'85% di quello considerato ideale, o altrimenti generalmente inferiore ai 55 kg; abuso di alcool; fumo di sigaretta; anoressia nervosa; inattività fisica. Numerosi studi hanno mostrato che i fattori genetici influiscono per circa il 50-90% delle variazioni individuali di densità minerale ossea [2]. La carenza di estrogeni è un importante fattore di rischio nell’osteoporosi, soprattutto post-menopausale. Le funzioni fisiologiche degli estrogeni sono regolate per la maggior parte da due recettori estrogenici (ESRs), chiamati ESR1 (ERalfa) e ESR2 (ERbeta), codificati per due differenti geni.
*Farmacista
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Fitoterapia&Nutrizione
I risultati di un importante studio riportato in tema di genetica e genomica indicano che le varianti del gene LRP5, lipoprotein receptor-related protein-5, sono associate ad un significativo aumento nel rischio di fratture, fino al 20 %, i livelli più bassi di densità minerale ossea sono osservati nella spina dorsale lombare e nella testa del femore [3]. Studi recenti [4] hanno suggerito che i microRNA sono coinvolti in molteplici processi patologici di differenziazione degli osteoclasti, oltre che nelle funzioni fisiologiche. In generale, i livelli di espressione di miRNA che esercitano effetti inibitori sulla osteoclastogenesi tendono a diminuire durante la formazione degli osteoclasti e viceversa. La terapia con miRNA è stata considerata come una strategia promettente per il trattamento dell'osteoporosi. Se i nutrienti essenziali non vengono consumati a livelli richiesti, i minerali possono essere persi dal midollo o le proteine essenziali non svolgono completamente le funzioni a livello osseo. Osteoporosi e osteopenia rappresentano attualmente problemi di salute pubblica. TRATTAMENTO I bisfosfonati sono i farmaci di prima linea per l'osteoporosi, grazie al loro basso prezzo ed alla alta efficienza nel ridurre il rischio di frattura, non hanno effetti collaterali gastrointestinali e, soprattutto, a lungo termine, inibiscono contemporaneamente le funzioni di osteoblasti e osteoclasti. La formazione dell'osso ed il riassorbimento osseo sono processi elaborati e correlati tra loro: l'inibizione del riassorbimento osseo porterà alla inibizione della formazione ossea e, infine, a influenzare l'efficacia di farmaci inibitori del riassorbimento osseo. I bisfosfonati promuovono l’apoptosi degli osteoclasti e diminuiscono il numero degli osteoclasti, che minacciano l'inibizione delle funzioni degli osteoblasti [5]. Numerosi studi hanno dimostrato che i bisfosfonati sono in grado di ridurre significativamente il rischio di fratture vertebrali, femorali e periferiche. A differenza di estrogeni e SERM (selective estrogen receptor modulator), che agiscono sull'osso riducendo il riassorbimento e determinando una stabilizzazione o anche un modesto aumento dei livelli di massa ossea e sono riservati alle donne in menopausa, i bisfosfonati possono essere usati anche nelle forme di osteoporosi maschile e osteoporosi secondaria a malattie croniche o
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legata all'uso continuativo di corticosteroidi. La terapia va iniziata sulla base di una diagnosi di osteoporosi e va assunta a lungo, in genere senza interruzioni. Attualmente, dato che l'effetto di questi farmaci sull'osso permane a lungo anche dopo la sospensione, in genere dopo tre-cinque anni di terapia si rivaluta la situazione e si decide se è il caso di sospenderli o di continuarli ancora. In generale, a parte le avvertenze di cui si dirà più sotto, i bisfosfonati sono farmaci molto sicuri, ormai sperimentati da molti anni e usati da milioni di persone in tutto il mondo. I fosfonati sono composti che regolano il metabolismo del fosforo utilizzando meccanismi PTH-indipendente. L’ormone paratiroideo (PTH) è secreto dalle ghiandole della tiroide in risposta ad un calo di calcio ionizzato. Funziona per mantenere le concentrazioni di calcio in un intervallo ristretto. L’assunzione con la dieta ottimale è essenziale per la salute delle ossa. Durante l'infanzia e la pubertà, i nutrienti sono necessari per consolidare pienamente la massa scheletrica e per assicurare il raggiungimento di un picco di massa coerente con il proprio potenziale genetico. Il calcio è il minerale più abbondante nel corpo umano. Legandosi al fosforo forma cristalli di idrossiapatite, che costituisce la struttura cristallina delle ossa e dei denti. Circa il 99% del calcio corporeo è presente in queste due strutture per un totale di circa 1200 grammi e rappresenta una specie di “riserva” a cui attingere a seconda delle necessità, per poi distribuirlo ai diversi tessuti come il tessuto nervoso, quello muscolare e cardiaco. Il calcio è fondamentale per la salute, è infatti l'elemento minerale più abbondante nel corpo. Anche se la sua concentrazione nel plasma è molto bassa (90-110 mg per kg) è richiesto per una serie di funzioni chiave quali strutturale e metabolica. È coinvolto nella struttura della singola cellula, nella trasmissione cellulare, nella contrazione muscolare, nella funzione nervosa, nell’attività enzimatica, nella normale coagulazione del sangue. Come abbiamo detto in precedenza, il calcio si trova principalmente nelle ossa, [6] depositato sotto forma di cristalli di idrossiapatite, tali depositi sono insolubili ma possono essere utilizzati dall'organismo in caso di necessità. La calcemia (la concentrazione di calcio nel sangue) rimane sempre entro un range di valori costanti in quanto non è direttamente regolata dall'assunzione alimentare. Tre ormoni intervengono per
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Fitoterapia&Nutrizione mantenere costante la calcemia: la vitamina D, il paratormone e la calcitonina. Il calcio viene introdotto nel nostro organismo attraverso i cibi e quindi assorbito a livello intestinale attraverso due diversi meccanismi, la “diffusione passiva” e il cosiddetto “assorbimento attivo” che richiede l’intervento della vitamina D [7]. Il fabbisogno giornaliero varia con l’età e con l’eventuale stato di gravidanza. La carenza alimentare di calcio determina la diminuzione progressiva di calcio nello scheletro e la conseguente riduzione della massa ossea. La vitamina D regola l'assorbimento di calcio a livello intestinale, il paratormone lo mobilizza dalle ossa (aumenta l'attività osteoclastica) mentre la calcitonina ne favorisce la deposizione (aumenta l'attività osteoblastica). La vitamina D condiziona quindi la mineralizzazione delle ossa e contribuisce alla loro solidità. 700-800 UI di vitamina D al giorno è la dose per una persona il cui organismo non sintetizza nemmeno la minima quantità di questa vitamina e non ne assume attraverso l’alimentazione o eventuali integratori alimentari [8]. Ecco perché si può considerare la supplementazione di questa vitamina un efficace mezzo di prevenzione delle fratture tipiche della terza età. Le fonti alternative di vitamina D possono essere: gli alimenti, i raggi UV e le lampade abbronzanti, la vitamina D artificiale. I raggi del sole rimangono la migliore fonte di vitamina D. I primi esperimenti con i funghi ci indicano come si potrebbe migliorare l’apporto quotidiano di vitamina D, quando manca l’esposizione al sole, anche se l’ergocalciferolo, oltre ad essere [9] presente in quantità molto ridotte negli alimenti è da alcuni ritenuto meno efficace del colecalciferolo. Una delle modalità per aumentare l’apporto di vitamina D potrebbe essere aggiungerla agli alimenti. Negli Stati Uniti e in alcuni paesi europei, soprattutto in quelli scandinavi, accade già. Latte vaccino, latte di soia, succo d’arancia e musli, per esempio sono arricchiti con vitamina D nella misura di 1,4 microgrammi su 56 UI/ml di succo d’arancia o di 1 microgrammo su 40 UI ogni 100 ml di latte vaccino o di soia. ALIMENTAZIONE Perseguire uno stile di vita corretto, dicono gli esperti, aiuta a mantenere in salute il corpo in generale, ossa comprese, prevenendo le complicazioni tipiche dello scheletro che invecchia . Sono tre i capisaldi del vivere sano: 1. Non fumare: il fumo anticipa la menopausa e amplifica i disturbi connessi. Inoltre aumenta il rischio di malattie cardiovascolari, di tumori, di osteoporosi e raddoppia il rischio di fratture. 2. Mantenere una attività fisica regolare o aumentarla. 3. Adottare una alimentazione corretta che favorisca il mantenimento del peso e la salute dell’osso. Alimenti ricchi di calcio e vitamina D sono fondamentali per prevenire e combattere l'osteoporosi. Invece la nostra dieta è spesso povera di calcio: in media un adulto
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ne assume 700-800 mg al giorno, quando il fabbisogno è di circa 800-1.000 mg. Come già accennato in precedenza, la vitamina D non rientra tra i micronutrienti comuni, ma essendo il precursore di un ormone, non è presene in grandi quantità negli alimenti. Va da sé, quindi, che nemmeno l’alimentazione più completa ed equilibrata può coprirne il fabbisogno. Ciò è tanto più vero per alimenti di origine vegetale, anche se piante e funghi producono una sostanza che può essere utilizzata per la sintesi della vitamina D: l’ergocalciferolo.
Bibliografia: 1.
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Apotheca&Storia
LA MEDICINA NEL MEDIOEVO /4 La Scuola Medica Salernitana
Giusi Sanci* Sviluppatasi attorno al convento benedettino di Salerno, fu per tutto il Medioevo il più importante centro di studi medici teorici e, soprattutto, pratici e come tale considerata da molti come l'antesignana delle moderne università. La sua storia prende avvio nel VI secolo, quando a Salerno nei monasteri benedettini i monaci trascrissero i sommari delle opere classiche greche, latine e arabe di medicina. Verso il X secolo inizia il passaggio graduale dell'esercizio della medina dal clero ai laici, fenomeno che segna la diffusione e l'affermazione della Scuola Salernitana. Essa rappresenta un momento fondamentale nella storia della medicina per le innovazioni che introduce nel metodo e nell'impostazione della profilassi. Un pregio della Scuola fu quello di occuparsi non solo dei malati, ma anche dei sani, di fare cioè prevenzione e quindi curare il benessere fisico quando si è in salute, una pratica completamente sconosciuta a quel tempo, sebbene già Ippocrate ne avesse messo in evidenza l'importanza. L'approccio era basato fondamentalmente sulla pratica e sull'esperienza che ne deriva, aprendo così la strada al metodo empirico e appunto alla cultura della prevenzione; inoltre con la traduzione dei testi arabi, si aggiunse a questa esperienza una vasta cultura fitoterapica e farmacologica. La posizione geografica ebbe sicuramente un ruolo
Figura 1. Regimen Sanitatis Salernitanum
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Figura 2. La Scuola Medica Salernitana
fondamentale nella crescita della Scuola: Salerno, infatti, porto al centro del Mediterraneo subisce gli influssi della cultura araba e greco-bizantina. Inoltre le Repubbliche marinare di Venezia, Pisa e Genova per i rapporti commerciali esistenti con l'Oriente, ne arricchiscono il patrimonio erboristico-farmacologico. Sotto questa spinta culturale si riscoprono le opere classiche a lungo dimenticate nei monasteri e grazie ad essa la medicina fu la prima disciplina ad uscire dalle abbazie per confrontarsi di nuovo con il mondo e la pratica sperimentale. La Scuola Salernitana raggiunse solo dopo il Mille un alto livello scientifico anche grazie al contributo di autorevoli personaggi come Guariponto (attivo fra il 1020-1050), autore di un trattato sulle malattie, il Passionarium, che descrive con precisione tutte le malattie fino allora conosciute, indicandone la cura; Alfano di Salerno (1015-1085), che lasciò alcuni scritti sulla teoria umorale del corpo umano e soprattutto Costantino l'Africano (1020-1087), un cartaginese convertitosi al cristianesimo e fattosi poi benedettino. Quest'ultimo contribuì in modo particolare allo sviluppo della medicina in Occidente, traducendo in latino e introducendo nell'ambiente salernitano le opere dei medici greci (come Ippocrate e Galeno) e arabi, incrementando in modo considerevole le conoscenze sulla diagnosi e la farmacologia. Le due opere più importanti che tradusse Costantino sono la Ysagoge di Giovannizio e il Pantegni, una libera interpretazione di un libro derivato dall'Ars Magna di Galeno, destinato a diventare il testo fondamentale di riferimento prima dell'adozione del Liber Canonis di Avicenna. Tutti questi testi non rappresentavano comunque una creazione originale del pensiero islamico, ma provenivano direttamente dai testi medici d'ambito ellenistico di cui gli arabi erano venuti a conoscenza dopo la conquista di Alessandria e del mondo mediterraneo orientale. La scuola, che teneva in gran conto la chirurgia e che pare
*Farmacista
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Apotheca&Storia
Figura 3. Costantino l’Africano esamina l’urina dei pazienti
basasse le nozioni anatomiche sulla pratica della dissezione, altrove rigorosamente proibita, raggiunse il massimo splendore attorno al XII sec. con Ruggero di Salerno. A quell'epoca giungevano alla Scuola persone provenienti da tutta Europa, sia ammalati che speravano di essere guariti, sia studenti che volevano apprendere l'arte della medicina. In questo periodo di grande splendore si forma un corpus di testi da utilizzare per l'insegnamento, costituito da letture e commenti dei più celebri scritti medici antichi. Il Corpus Salernitanum comprende oltre a nozioni di pratica medico-terapeutica generale anche nozioni specialistiche di anatomia, chirurgia, urologia e di oculistica. Nel 1231 l'autorità della scuola veniva sancita dall'imperatore Federico II che nella Costituzione di Melfi stabiliva che l'attività di medico poteva essere svolta solo da dottori in possesso di diploma rilasciato dalla Scuola Medica Salernitana. Comprendendo le rilevanti implicazioni che l'arte medica comporta per la collettività, Federico II propone nel 1240 l'adozione dell'Antitodarium di Nicolao Preposito come testo ufficiale per la preparazione di medicamenti da impiegarsi nella cura di diverse malattie e sancisce inoltre la separazione tra la professione di medico e farmacista. La decisione di Federico II rappresenta il primo atto politico teso a stabilire norme uguali per tutti nella tutela della salute, della comunità e inoltre l'assunzione di un testo che impone la preparazione dei rimedi secondo canoni e procedure codificati, e non più secondo l'estro e la tradizione, può essere considerato il primo esempio di farmacopea, ciò vale a dire che l'Antidotarium non ha solo un valore informativo attraverso un elenco ricco di ricette, ma si preoccupa di stabilire norme alle quali devono attenersi coloro che si occupano di farmaci. Una delle cause della separazione dell'attività del medico da quella del farmacista scaturisce anche dalla maggiore disponibilità di impiego in medicina di droghe vegetali, dovuta appunto al
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fiorente commercio delle Repubbliche marinare con l'Oriente, che rende più complesso e impegnativo per il medico riconoscere e preparare prodotti medicinali derivanti da vegetali. I farmacisti di Salerno divennero noti in tutta Europa per i loro preparati medicamentosi, dando origine ad una nuova scienza, la farmacologia, che l'imperatore Federico II ebbe la capacità di promuovere come elemento fondamentale della medicina medioevale in seguito al trattato De Medicinis Simplicibus, attribuita al maestro salernitano Matteo Plateario, che descrive oltre 500 piante, distinguendo le varie specie e classificandole in base alle loro proprità medicamentose. La Scuola possedeva anche un magnifico giardino di piante officinali (descritte cioè nei formulari ufficiali), che può essere considerato il precursore dei successivi giardini officinali universitari. I medici salernitani erano profondi conoscitori del mondo vegetale, e abili nella manipolazione di erbe e questa loro esperienza si manifesta nell'elaborazione di trattati in cui i semplici vengono scientificamente indagati e classificati in base alle loro proprietà medicamentose, diversamente combinati e dosati secondo le varie applicazioni terapeutiche. In questo spazio veniva svolta una vera e propria attività didattica per mostrare agli allievi della scuola le piante con il loro nome e le loro caratteristiche (ostensio simplicium). Questa scuola, organizzata secondo una profonda e allora innovativa cultura cosmopolita, riuniva in sé il meglio di varie tradizioni mediche, latina, greca e araba; un altro elemento atipico della Scuola fu la laicità dei suoi studi e l'apertura alle donne. Importante fu il ruolo che le donne ebbero al suo interno: nel XI secolo a Salerno esse esercitavano la professione di medico e
Figura 4. Federico II e il suo falco. In De arte venandi cum avibus. Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. Lat 1071.
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Figura 6. Illustrazione dle manoscritto Passionibus Mulierum ante in et post partum.
Figura 5. Trotula De Ruggiero, manoscritto fine XII sec.
scrivevano trattati di medicina. Le donne che insegnarono e operarono nella scuola erano chiamate Mulieres Salernitanae e tra queste vi sono personaggi come Trotula de Ruggiero (XI secolo), i cui studi si accentrarono soprattutto sulla ginecologia, e con il suo trattato De Passionibus Mulierum ante in et post partum segna la nascita dell'ostetricia e della ginecologia come branche della scienza medica. Il suo De Ornatum Mulierum rappresenta il primo studio sistematico di cosmetologia nella storia, in cui scrive di rimedi per il corpo, pomate e erbe medicamentose per il viso e i capelli, e dispensa consigli su come migliorare lo stato fisico con bagni e massaggi. Rebecca Guarna (XIV secolo), autrice di opere sulle febbri e l'embrione; Abella Salernitana (XIV secolo) che pubblicò due trattati il De atrabile sulla bile nera e il De natura seminis humani sulla natura del seme umano; Mercuriade (XIV secolo) che studiò gli unguenti e la guarigione delle ferite. Se l'orientamento fondamentalmente pratico garantì alla scuola una pressoché indipendenza dalla Chiesa, le concesse però scarsi contatti con i campi più vasti della cultura, escludendola dai grandi dibattiti filosoficoscientifici dell'epoca. Il canale attraverso cui il pensiero medico della scuola entrò in circolazione non fu quindi rappresentato tanto dalle opere scientifico-specialistiche dei suoi maestri, quanto piuttosto da uno scritto a carattere divulgativo, il Regimen Sanitas Salernitanum redatto intorno al XIII sec. dal medico e alchimista catalano Arnaldo da Villanova. L'opera, che ebbe larghissima diffusione, costituì per secoli il più consultato manuale di medicina; in essa sono contemplate 18 piante semplici, sono elencati i precetti igienici dettati dalla Scuola Medica e offre i rimedi giusti per ogni sofferenza, dettando le buone norme per vivere sani. Larga parte è dedicata al regime alimentare dettando i comportamenti e le misure a cui
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attenersi, tra cui le condizioni igieniche e gli stili di vita necessari per garantire un apprezzabile stato di salute e di equilibrio psichico. Si tratta di un concentrato di saggezza in cui si spiega agli uomini che per vivere sani basta usare con la giusta misura i beni materiali che elargisce la terra, godendo dell'aria pura, delle bellezze dell'ambiente, degli alimenti naturali, delle piante officinali e ovviamente del vino schietto (puro, non mescolato con altre sostanze) seppure bevuto con la dovuta moderazione. Alla base del Regimen infatti c'è tutta la tradizione greca e araba in cui ciascun aforisma ribadisce la necessità di un equilibrio sia fisico che mentale, perché l'uomo non è che un microcosmo nel cosmo, in cui tutte le parti sono connesse. La nascita nel XII e XIII secolo di altre importanti scuole mediche (Montpellier, Bologna, Padova, Parigi) e, successivamente, la fondazione delle università determinarono il graduale declino della scuola salernitana, che peraltro sopravvisse fino al 1811, anno in cui Gioacchino Murat ne decretò lo scioglimento.
Bibliografia: 1.
Grande Enciclopedia. Istituto Geografico De Agostini Novara. Vol. XVII, pag. 209. 2. Cavalli F., Breve storia della medicina. Antichità e Medioevo. Dispensa di storia della medicina anno accademico 2013/2014. 3. Caprino L., Il farmaco, 7000 anni di storia dal rimedio empirico alle biotecnologie. Armando editore. 4. Firpo L., Medicina medioevale. UTET, Torino 1972. 5. Le Goff J., Il corpo nel medioevo. Edizioni Laterza 6. ilmondodiaura.altervista.org/MEDIOEVO/MEDICINA2D ONNE.htm 7. https://www.salernoturistica.it/la-.htm 8. www.treccani.it/enciclopedia/scuola-medicasalernitana 9. www.libreriamedievale.com/donne-e-medicina-nelmedioevo-la-scuola-medica-salern 10. https://www.gazzettadisalerno.it › STORIA DEL TERRITORIO 11. www.museovirtualescuolamedicasalernitana.benicult urali.it/it/la_scuola_medica
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L’UOMO: DALLA SUA NATURA ALLE SUPREME AUTORITÀ Dante Alighieri e San Tommaso d’Aquino [N.d.r. Con questo articolo di carattere filosofico sul concetto di uomo si chiude la trattazione del periodo medievale]
Irene Luzio* Intro du zione Gli ultimi anni del XIII secolo ed i primi del XIV conoscono una straordinaria produzione di scritti dedicati al rapporto tra potere spirituale e temporale in seno alla Christianitas: si tratta di una questione che aveva già guadato il corso dei dieci spumeggianti secoli precedenti, senza perdere di attualità; il XIII-XIV secolo può dunque, e a ragione, essere considerato il momento culminante della dialettica politica medievale. Con questo elaborato si vuol porre in evidenza come qualsiasi riflessione relativa al potere implichi e sottintenda necessariamente una ben precisa concezione della natura umana. Definire la natura dell’uomo consente infatti d’individuare quale sia il fine a cui l’uomo stesso è ordinato e quali siano i mezzi adeguati Figura 1. Domenico di Michelino. Dante e i tre regni. 1465. Santa Maria del Fiore, Firenze. al raggiungimento di tal fine: l’autorità scaturisce proprio dal detenere i mezzi necessari a dantesco s’impernia su un irriducibile dualismo; condurre l’uomo al fine che gli è proprio. l’universo tomista, di contro, riconosce la reale In questa sede avrà luogo un confronto tra le tesi distinzione tra i vari aspetti della realtà umana e li dantesca e tomista — che forse meglio rappresentano, riconduce a un’unità gerarchicamente ordinata. filosoficamente, due importanti concezioni circa il rapporto tra « … due differenti concezioni La natura dell’uomo potere temporale e spirituale: antropologiche conducono L’uomo dantesco è l’unico essere da una parte l’autonomia, che, «considerato in entrambe le necessariamente a due diverse concezioni dall’altra la dipendenza del sue parti essenziali, vale a dire potere temporale rispetto al politiche; […] l’intero universo umano l’anima e il corpo: è corruttibile, dantesco s’impernia su un irriducibile potere spirituale. se considerato solamente Il discorso, in virtù delle ragioni dualismo; l’universo tomista, di contro, secondo una, e cioè il corpo; se sopraindicate, si snoderà lungo riconosce la reale distinzione tra i vari invece [è considerato] secondo le seguenti linee: l’altra, vale a dire l’anima, è aspetti della realtà umana e li riconduce a incorruttibile» [1]; in quanto un’unità gerarchicamente ordinata» (1) La natura dell’uomo termine medio tra corruttibile e (2) Il fine dell’uomo incorruttibile, egli partecipa di (3) I mezzi per cui l’uomo può pervenire al suo fine entrambe le nature: «cum omne medium sapiat naturam (4) L’autorità che conduce l’uomo al suo fine extremorum, necesse est hominem sapere utramque naturam» [1]. L’obiettivo di questo elaborato sarà dunque, innanzitutto, quello di mostrare come due differenti concezioni Secondo San Tommaso, l’uomo può essere propriamente antropologiche conducano necessariamente a due considerato un hoc aliquid — cioè un «essere sussistente diverse concezioni politiche; in secondo luogo, e in virtù completo nella natura di una data specie» — soltanto in di quanto detto, s’intende anche mostrare che la profonda quanto «composto di anima e di corpo» [2] perché «la incompatibilità tra le due prospettive qui analizzate non natura della specie abbraccia tutto ciò che è contenuto possa essere considerata limitata all’ambito politico, nella definizione» e «negli esseri corporei la definizione perché coinvolge intimamente altri rilevanti aspetti che *Laureanda in filosofia, Università degli Studi di — come abbiamo accennato — sono ad esso connessi: di Palermo fatto, non solo la tesi politica ma l’intero universo umano
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[…] indica […] la forma e la materia insieme» [3]. La natura dell’uomo è perciò data dall’unione sostanziale di corpo e anima, materia e forma. In quanto materia, il corpo è una mera potenza che possiede “l’essere in senso assoluto”, “l’esistenza attuale” [4], solo se congiunta alla sua forma sostanziale (l’anima). L’anima, forma rispetto al corpo, costituisce il suo actus essendi e, in quanto tale, è «il principio primo e immediato in forza del quale compiamo tutte le operazioni vitali» [5] — ossia, tutte le operazioni funzionali all’esistenza del composto umano nel suo complesso. Dunque, la facoltà specifica dell’anima umana è l’intellezione: «anima intellectiva est forma corporis» [5]; ma «l’intendere […] si svolge senza un organo corporeo» [6] ed è in virtù di ciò che l’anima costituisce una sostanza sussistente in sé e per sé, dacché «nessuna cosa può operare per se stessa se non sussiste per se stessa» [7]. Tuttavia l’anima umana non occupa che l’ultimo grado nella gerarchia delle sostanze intellettuali: conosce infatti per astrazione, a partire dalle realtà materiali; è pertanto necessario ch’essa sia unita ad una materia corporea «capace di essere l’organo dei sensi» [8]. Nonostante l’inevitabile deficienza della materia provochi la distruzione del corpo, l’anima «rimane nel suo essere, […] mantenendo l’attitudine e l’inclinazione naturale a riunirsi» ad esso [9]. Potremmo così riassumere: la natura dell’uomo è data dall’unione sostanziale di anima (forma) e corpo (materia). L’anima è una sostanza intellettiva che, in quanto forma, «comunica alla materia del corpo, che insieme con essa forma una sola entità, quell’essere per cui essa sussiste, di modo che l’essere del composto non è altro che l’essere dell’anima» — «illud esse quod est totius compositi, est etiam ipsius animae» [5]: essa è infatti principio e condizione dell’esistenza e delle operazioni vitali dell’intero sinolo umano, così determinato. Il corpo Figura 2. Carlo Crivelli. San Tommaso d’Aquino. Tempera su tavola, 1476. in se stesso non è che pura potenza rispetto alla National Gallery, London. forma dell’anima che, attualizzandolo, dà vita con esso al composto umano nella sua integrità e Per San Tommaso, l’uomo non possiede che una natura, completezza. Con la morte, le due parti che insieme determinata dall’unità sostanziale che vige tra la forma determinavano il composto umano si scindono: il corpo, e la materia umana, ovvero l’anima e il corpo; il corpo, spogliato della sua forma, perde l’essere che questa le in quanto materia, è essenzialmente potenza rispetto comunicava e si disgrega; l’anima sopravvive come un hoc alla sua forma, l’anima intellettiva, da cui viene aliquid, ormai nel senso più ampio di “essere sussistente” attualizzato e per cui riceve l’essere. La morte dell’uomo e non di “essere sussistente avviene quando si scindono le completo nella natura della «Per Dante, l’uomo è costituito da due sue due componenti: in specie” [10]: la sua natura componenti essenzialmente connesse tra di quanto materia, il corpo si infatti le richiede di essere unita corrompe; ma l’anima, in al corpo ed è per questo che, loro e di natura differente l’una dall’altra: quanto essere sussistente, è pur sussistendo separatamente l’anima incorruttibile e il corpo corruttibile. incorruttibile: essa nel suo essere, mantiene ancora Per San Tommaso, l’uomo non possiede che sopravvive, non però come un la tendenza a riunirsi ad esso. essere sussistente completo una natura, determinata dall’unità nella sua natura, ma come una sostanziale che vige tra la forma e la Queste due descrizioni della forma priva della materia che natura umana sono materia umana, ovvero l’anima e il corpo» per natura le appartiene e le palesemente incompatibili. conviene (ecco perché mantiene la tendenza a riunirsi col proprio corpo). Per Dante, l’uomo è costituito da due componenti Nell’uomo, dunque, coesistono necessariamente due essenzialmente connesse tra di loro e di natura differente parti, effettivamente distinte una dall’altra, costituenti l’una dall’altra: l’anima incorruttibile e il corpo però insieme un’unica e sola natura gerarchicamente corruttibile. L’uomo, unione di anima e corpo, è partecipe ordinata. di entrambe le nature delle sue parti: sarà dunque contemporaneamente, seppur sotto diversi rispetti, sia Il fine dell’uomo corruttibile che incorruttibile. È stato già detto che l’uomo dantesco è l’unica creatura che sia partecipe di due nature, corruttibile e
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Apotheca&Storia Per San Tommaso il fine ultimo dell’uomo è la beatitudine, perché «il termine beatitudine sta a indicare il conseguimento del bene perfetto» [14]. «Ora, esistono per l’uomo due tipi di beatitudine [...]. La prima, proporzionata alla natura umana, l’uomo può raggiungerla mediante i princìpi della sua natura. La seconda, che sorpassa la natura umana, l’uomo può raggiungerla con la sola potenza di Dio, mediante una certa partecipazione della divinità» [15]. La prima si ottiene per mezzo delle “virtù intellettuali e morali”, che «perfezionano l’intelletto e l’appetito dell’uomo in maniera proporzionata alla natura umana»; la seconda, per mezzo di «quelle teologali» che «invece li perfezionano in maniera soprannaturale» [16]. Di queste due beatitudini, però, solo quella soprannaturale è il fine ultimo dell’uomo: difatti, «la beatitudine ultima e perfetta non può che trovarsi nella visione dell’essenza divina». La ragione è questa: «l’uomo non è perfettamente beato fino a che gli rimane qualcosa da desiderare e da cercare». Ora, ciò che costituisce la Figura 3. Luca Signorelli, Dante. Affresco, 1499-1502. Cappella di San Brizio, Duomo di specificità della natura umana tra quella di tutte le altre creature è il Orvieto. possesso di un’anima intellettiva, la quale mira a comprendere l’essenza delle cose; l’uomo incorruttibile: da ciò segue che l’uomo è anche «l’unico ritrova in queste gli effetti di una causa (Dio), di cui però tra gli enti che sia ordinato a due fini ultimi, dei quali è in grado di conoscere solo l’esistenza, mentre la sua uno sia il suo fine in quanto è corruttibile, l’altro invece essenza gli rimane oscura: la perfezione dell’intelletto, in quanto è incorruttibile», dal momento che «ogni dunque, non è «tale da raggiungere veramente la causa natura è ordinata ad un certo fine ultimo» [11]. prima, ma rimane ancora il desiderio naturale di indagarne la natura. Quindi l’uomo non è perfettamente Di contro, San Tommaso sostiene che «è impossibile che beato. Per la beatitudine perfetta si richiede dunque che la volontà di un uomo si trovi a volere diversi oggetti l’intelletto raggiunga l’essenza stessa della causa prima. come fini ultimi», «i quali cioè non siano subordinati tra E così esso avrà la sua perfezione unendosi a Dio come al loro»: infatti «la natura tende a un unico termine», suo oggetto, nella qual cosa soltanto si trova la perché «il fine ultimo ha funzione di principio nel beatitudine dell’uomo» [17]. processo dell’appetito razionale. Quindi è necessario che Si è detto dunque che l’unica somma beatitudine consiste sia unico l’oggetto verso cui tende la volontà come al suo nella visione dell’essenza divina. In questa vita, l’uomo ultimo fine». Ora, la volontà tende verso ciò che per può giungere già ad una certa conoscenza di Dio, se «il l’uomo è «bene perfetto e completivo di se medesimo, lume naturale dell’intelletto viene rinvigorito poiché ogni cosa desidera la propria perfezione»: «è dall’infusione del lume di grazia» [18], e in questo senso perciò necessario che l’ultimo fine riempia talmente egli può già godere di una certa partecipazione alla l’appetito dell’uomo da non lasciare nulla di desiderabile beatitudine; ma «un puro uomo non può vedere Dio per all’infuori di esso. E ciò non potrebbe avvenire se si essenza se non viene tolto da questa vita mortale» [19]. richiedesse qualche altra cosa per la sua perfezione. Quindi la partecipazione che si può avere alla Quindi non può verificarsi che la volontà voglia beatitudine, in questa vita, è «imperfetta […] rispetto contemporaneamente due oggetti come se l’uno e l’altro all’oggetto stesso della beatitudine», che ancora «non è fossero per essa il bene perfetto» [12]. visibile nella sua essenza»: ma «tale imperfezione distrugge la nozione stessa della vera beatitudine» [20]. Dante sostiene che, dei «duo ultima», il fine proprio Perciò la vera beatitudine non può aversi che nella vita dell’uomo in quanto corruttibile sia «la beatitudine in eterna. questa vita, che consiste nell’esercizio della virtù Potremmo così riassumere: per l’uomo esistono due naturale», ovvero delle “virtù intellettuali e morali“, e generi di beatitudine, quella naturale e quella che quello proprio dell’uomo in quanto incorruttibile sia soprannaturale; quella naturale può essere raggiunta piuttosto «la beatitudine della vita eterna, che consiste mediante l’esercizio delle virtù naturali (intellettuali e nel godimento della visione di Dio, a cui [l’uomo] non morali); quella soprannaturale può essere ottenuta può accedere per virtù propria, se questa non è mediante l’esercizio delle virtù teologali, infuse per sostenuta dal lume divino», attraverso “le virtù grazia divina (che elevano intelletto e volontà umane al teologali” [13]. livello soprannaturale). Di queste due beatitudini, solo la
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seconda può dirsi fine ultimo dell’uomo: essa consiste nella visione dell’essenza di Dio; l’uomo infatti, in virtù della sua natura, non può dirsi beato finché non conosce l’essenza della causa prima di ogni cosa (Dio). In questa vita egli può giungere già ad una certa conoscenza di Dio; non della sua essenza, però, che gli resta oscura: potrà conoscerla solo nella vita eterna. Ecco perché la beatitudine eterna è il solo fine ultimo dell’uomo. Anche in questo caso i due autori sostengono tesi antitetiche. Per Dante, l’uomo deve volgersi a due fini ultimi: alla beatitudine in questa vita, in quanto è partecipe della natura corruttibile del corpo; alla beatitudine eterna, in quanto è partecipe della natura incorruttibile dell’anima. La prima consiste nel perfezionamento intellettuale e morale per mezzo delle virtù naturali; la seconda nella visione di Dio (cui si perviene attraverso l’esercizio delle virtù teologali, conferite all’uomo dalla grazia divina), che avverrà solo nella vita eterna. Due beatitudini, dunque, che costituiscono due fini indipendenti, e due generi di virtù, altrettanto indipendenti, da esercitare parallelamente. Per San Tommaso, invece, l’uomo deve volgersi ad un unico fine ultimo, poiché non è possibile ch’egli si rivolga contemporaneamente a due fini sommi (può volgersi a due fini solo se uno rappresenta il fine ultimo e l’altro un fine ad esso subordinato). Ora, esistono due beatitudini proprie dell’uomo: quella naturale e quella soprannaturale; la prima consiste nel perfezionamento intellettuale e morale per mezzo delle virtù naturali, la seconda nella visione dell’essenza di Dio (cui si perviene attraverso le virtù teologali, conferite all’uomo dalla grazia divina), che avverrà solo nella vita eterna. È la seconda, tuttavia, che tra le due costituisce il fine ultimo dell’uomo: la specificità della natura umana è infatti di possedere un’anima intellettiva, capace di cogliere l’essenza delle cose; la somma beatitudine dell’uomo consisterà quindi nel conoscere l’essenza di Dio, causa prima di tutte le cose. In questa vita si può già pervenire ad una certa conoscenza di Dio, per mezzo delle virtù dell’intelletto, naturali e teologali; la sua essenza, tuttavia, resterà oscura fino a quando non si giungerà alla vita eterna, ove avrà luogo la visione beatifica. La prima beatitudine costituisce allora un fine subordinato al fine supremo, perché alle virtù naturali si aggiungono quelle soprannaturali, necessarie all’uomo per pervenire, dopo la morte, alla visione dell’essenza di Dio (alla beatitudine somma, fine ultimo della sua vita). Due beatitudini, dunque, distinte ma gerarchicamente ordinate in un unico fine supremo; e due tipi di virtù, altrettanto distinte ma gerarchicamente ordinate, da esercitare insieme. Risulta interessante, a questo proposito, una citazione del Domenicano Guido Vernani — riferita al De Monarchia — che Gilson riporta nel suo libro, Dante the Philosopher: «“This man” says Vernani of Dante, “did not need to discern a twofold beatitude resuting from a twofold nature, for in corruptible nature can, strictly speaking, be neither virtue nor beatitude» [21]. In effetti, l’esercizio delle virtù intellettuali e morali costituirebbe la beatitudine naturale dell’anima, non del corpo, in quanto intelletto e volontà sono facoltà dell’anima, non del corpo. Volendo ammettere l’esistenza di una natura propria del solo corpo (considerato indipendentemente dall’anima), dovrebbe da ciò seguire che la beatitudine propria del
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Figura 4. Guercino. San Tommaso scrive assistito dagli angeli. 1662. Basilica di S. Domenico, Bologna.
corpo è la piena e perfetta salute: la beatitudine di una cosa consiste infatti nel raggiungimento di quella perfezione che l’è propria. I mezzi per cui l’uomo può pervenire al suo fine Dopo aver trattato dei fini ultimi dell’uomo, Dante si occupa di rintracciare i mezzi per cui l’uomo può e deve pervenire ad essi. Alla beatitudine terrena si giunge dunque attraverso l’insegnamento dei filosofi, seguendolo nella pratica delle virtù intellettuali e morali: «per philosophica documenta veniemus, dummodo illa sequamur, secundum virtutes morales et intellectuales operando»; alla beatitudine ultraterrena si giunge per mezzo degli insegnamenti spirituali, seguendoli nella pratica delle virtù teologali: «per documenta spiritualia, […] dummodo illa sequamur, secundum virtutes theologicas operando» [22]. Il mezzo per giungere alla prima beatitudine è allora la ragione umana, «ch’è stata spiegata nella sua integrità dai filosofi», mentre la seconda beatitudine si ottiene grazie alle “essenziali verità soprannaturali” che lo Spirito Santo ha rivelato «per mezzo dei profeti, degli agiografi, del Figlio di Dio Gesù Cristo, a Sé coeterno, e dei suoi discepoli» [22]. San Tommaso, che riconosce un solo fine ultimo dell’uomo, sostiene di conseguenza che vi sia un solo mezzo per giungere ad esso. Poiché il fine supremo dell’uomo è la beatitudine soprannaturale, il mezzo necessario per ottenerla saranno le virtù teologali, che procedono dalla grazia divina e dalla conoscenza delle fondamentali verità rivelate, oggetto della teologia. La teologia è dunque quella scienza che «poggia su princìpi conosciuti alla luce di una scienza superiore, cioè
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Apotheca&Storia alla conoscenza delle realtà sovrarazionali insegnate da questa scienza» [27]. Ancora una volta, i nostri due autori giungono a conclusioni inconciliabili. Per Dante, la duplice natura di cui partecipa l’uomo lo indirizza a due fini ultimi, cui può giungere per due mezzi differenti. In quanto partecipe della natura corruttibile del corpo, egli è chiamato alla beatitudine terrena, che consiste nell’esercizio delle virtù intellettuali e morali, a cui può pervenire per mezzo della ragione umana grazie all’insegnamento dei filosofi. In quanto partecipe della natura incorruttibile dell’anima, è invece chiamato alla beatitudine ultraterrena, che consiste nella visione di Dio — nella vita eterna — a cui si può pervenire per mezzo delle virtù teologali, grazie all’insegnamento delle verità rivelate dallo Spirito Santo nei testi sacri (che trascendono la ragione umana). Nell’uomo coesistono dunque due nature, che lo muovono a due fini ultimi paralleli, per due mezzi differenti e altrettanto paralleli. Per San Tommaso, l’unica natura propria Figura 5. Giorgio Vasari, Sei poeti toscani. Pittura a olio 1544. Minneapolis dell’uomo lo indirizza ad un unico fine ultimo, cui può giungere per un unico mezzo. Egli è Institute of Art, Minneapolis chiamato alla visione dell’essenza di Dio, nell’altra vita, cui può pervenire unicamente per mezzo della scienza di Dio» [23]. Ora, essa è la scienza, delle virtù teologali — che procedono dalla grazia e dalla contemporaneamente speculativa e pratica, che conoscenza delle fondamentali verità rivelate, oggetto «sorpassa tutte le altre, sia speculative che pratiche». della teologia: filosofia e teologia, tuttavia, pur muovendo Rispetto a quelle speculative, è superiore “quanto alla da principi differenti, condividono diversi oggetti certezza”, perché tra tutte è l’unica a trarla «dal lume d’indagine (che la filosofia studia alla luce dei principi della scienza di Dio, che non può ingannarsi», e quanto della ragione naturale; la teologia, invece, alla luce delle alla “dignità della materia”, perché tra tutte è l’unica che si occupa «prevalentemente di cose che per la loro verità rivelate); la teologia si serve perciò della filosofia sublimità trascendono la ragione»; rispetto alle discipline come di una sua ancella, come di uno strumento atto a pratiche, poi, è superiore perché tra tutte è l’unica ad rendere maggiormente comprensibili all’intelletto umano aver come fine proprio «l’eterna beatitudine, alla quale le verità sovrarazionali della Rivelazione. Il mezzo primo sono diretti i fini di tutte le scienze pratiche» [24]. Il fatto è costituito dunque dalla Rivelazione, oggetto della che filosofia e teologia si fondino su principi diversi ed teologia; la filosofia — pur restando distinta — viene abbiano fini diversi — per cui la prima risulta superiore ricondotta a quest’ultima, come mezzo subordinato al rispetto all’altra — non implica però una totale alienità mezzo proprio, dando luogo così ad un’unità di mezzi tra le due: è vero infatti che «la diversità di princìpi o di gerarchicamente ordinata. punti di vista causa la diversità delle scienze», ma ciò non impedisce affatto «che degli oggetti di cui tratta la L’autorità che conduce l’uomo al suo fine filosofia con la luce della ragione naturale tratti anche Per Dante, l’esistenza di autorità che conducano l’uomo ai un’altra scienza che proceda alla luce della Rivelazione» suoi due fini ultimi deriva dal fatto che a tali fini «l’umana [25]: difatti, «la dottrina sacra […] si estende agli oggetti cupidità volgerebbe le spalle, se gli uomini, come cavalli delle varie scienze filosofiche a motivo della ragione erranti nella loro bestialità, non venissero trattenuti formale, o aspetto speciale, sotto cui li riguarda, cioè in lungo la via dal morso e dalle briglie». Ora, poiché si quanto conoscibili mediante il lume divino. Per questo, tratta di due fini distinti a cui si giunge per mezzi distinti, sebbene tra le scienze filosofiche vi sia distinzione fra è necessario che le autorità siano due e distinte: da una parte «l’Imperatore, che conduca il genere umano alla quelle speculative e quelle pratiche, […] la dottrina sacra felicità terrena, per mezzo degli insegnamenti filosofici»; comprende sotto di sé i due aspetti» [26]. Tuttavia, se la dall’altra il «Sommo Pontefice, che conduca il genere teologia ricava «qualcosa dalle discipline filosofiche non umano alla vita eterna, per mezzo della rivelazione» [28]. [è] perché ne abbia necessità, ma per meglio chiarire i suoi insegnamenti. I suoi princìpi, infatti, non li prende da È bene ricordare che, per Dante, è necessario che si esse, ma immediatamente da Dio per rivelazione. Quindi costituisca un Impero universale, un’unica realtà non mutua dalle altre scienze come se fossero superiori, temporale che riunisca in sé tutte le genti, sottoposte alla ma si serve di esse come di inferiori e di ancelle. […] E suprema autorità dell’Imperatore. Tale necessità l’uso che la scienza sacra ne fa non è motivato dalla sua scaturisce dall’idea ch’esista un fine proprio dell’umanità debolezza o insufficienza, ma unicamente dalla debolezza del nostro intelletto: esso infatti, dalle cose conosciute nella sua interezza, diverso dal fine proprio di tutti gli con il lume naturale della ragione da cui derivano le altre uomini singolarmente presi: «alius est finis ad quem scienze, viene condotto più facilmente, come per mano, singularem hominem, alius […] ad quem universaliter
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genus humanum Deus aeternus arte sua, quae natura est, in esse producit» [29]. Ora, ciò che compete alla natura umana è di conoscere mediante l’intelletto possibile, ovvero l’intelletto in potenza rispetto alla conoscenza di tutte forme intellegibili, resa progressivamente attuale dall’intelletto agente; ciò «non compete a nessun’altra cosa, superiore o inferiore» all’uomo [29]. L’intelletto possibile tuttavia non può essere portato totalmente all’atto da un singolo uomo, ma «è compito del genere umano, preso nella sua interezza, l’attuare sempre tutta la potenza dell’intelletto possibile», dapprima in senso speculativo e dunque in senso pratico [30] — poiché l’intelletto «s’indirizza non solo alle forme universali, o specie, ma anche, per una certa estensione, alle cose particolari. Per cui si suol dire che l’intelletto speculativo diventa per estensione intelletto pratico, il cui fine è l’agire ed il fare» [31]. Dante riprende quindi dalla Politica di Aristotele il seguente principio: «quando più cose sono ordinate ad una, conviene che una di loro regoli e governi, e che le altre siano regolate e governate», e ne fa conseguire che, poiché «è manifesto che l’intero genere umano sia ordinato ad una sola cosa, […] è dunque opportuno che vi sia uno che regoli e governi: e costui deve dirsi Monarca, o Imperatore» [32]. Questi, chiamato al governo su tutte le genti, deve garantire all’umanità la condizione in assoluto migliore perché possa pervenire al suo fine: tale mezzo altro non è che la “pace universale” [33]. Dopo aver dimostrato la necessità di un Impero universale, Dante affronta la seguente questione: «se l’autorità del Monarca Romano, ch’è di diritto Monarca del mondo, […] dipenda direttamente da Dio, o se dipenda da qualche Suo ministro e vicario, e con ciò intendo il successore di Pietro, colui che realmente porta seco le chiavi del Regno dei Cieli» [34]. L’argomento forse più rappresentativo a proposito è quello dei due lumi, tratto dalla Genesi: il sole e la luna simboleggiano tradizionalmente il potere spirituale e temporale; questa rappresentazione venne utilizzata a più riprese per sostenere la dipendenza del secondo potere dal primo. A questa tesi Dante risponde che «sebbene la Luna non abbia luce abbondantemente se non dal Sole, tuttavia non ne segue che la Luna sia dal Sole. […] Quanto all’essere, essa non dipende in alcun modo dal Sole, e neppure quanto alla virtù, né semplicemente quanto all’operazione […]. Ella ha di per sé una qualche luce, com’è evidente nella sua eclissi; quanto all’operar meglio e più efficacemente, trae invece qualcosa dal Sole: una volta recepita l’abbondanza di luce, essa opera più virtuosamente. Allo stesso modo […] il temporale non riceve dallo spirituale l’essere, né la virtù che è la sua autorità, né ancora semplicemente l’operazione, ma riceve questo da esso: che operi più virtuosamente attraverso il lume della grazia, che la benedizione del Pontefice gl’infonde in cielo e in terra» [35]. Da quanto detto segue che al «Sommo Pontefice, vicario di Nostro Signore Gesù Cristo e successore di Pietro, […] dobbiamo non tutto ciò ch’è dovuto a Cristo, ma ciò ch’è dovuto a Pietro» [36]: soltanto al Cristo infatti competono propriamente entrambi i poteri; Egli avrebbe affidato quello temporale all’Imperatore e quello spirituale al Papa, cosicché al Sommo Pontefice non spetterebbe di diritto null’altro che la “paternità” spirituale della Chiesa [37]. Tuttavia, come si è visto, «la verità di quest’ultima questione non si deve strettamente intendere così: che il Principe Romano non sia soggetto in nessuna cosa al Pontefice, perché questa mortale felicità è, in un certo
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qual modo, ordinata alla felicità immortale. Cesare usi perciò a Pietro quella reverenza che il primogenito deve al padre, affinché, illuminato dalla luce della grazia paterna, con più forza rischiari il globo terrestre, al quale lui soltanto è stato preposto da Colui ch’è il governatore di tutte le cose, spirituali e temporali» [38]. San Tommaso, per cui il solo fine dell’uomo è la beatitudine eterna, non concepiva affatto la necessità di un Impero universale — men che meno di un Impero universale il cui fine consistesse nel condurre l’umanità alla piena attuazione dell’intelletto possibile: l’intelletto possibile non è per lui che una facoltà o potenza di ogni anima umana singolarmente presa [39], e in quanto tale non può essere in alcun modo portato all’atto mediante lo sforzo congiunto di tutti gli esseri umani, collettivamente presi. Nel De regimine principum, il re a cui si rivolge il Santo è dunque «colui che governa la popolazione di una città, o di una provincia» [40]. Bisogna innanzitutto stabilire quale sia il fine dei sudditi e dove esso si trovi, dal momento che «governare consiste in questo: nel condurre convenientemente ciò ch’è governato al debito fine» [41]. Ora, «se una cosa non possiede un fine all’infuori di sé, l’attenzione di colui che governa dev’essere volta a che la cosa sia mantenuta illesa nella sua perfezione […] se essa è invece ordinata ad un fine estrinseco, la sua gestione viene ostacolata da molte cose e a più riprese: sarà dunque necessario che uno si curi che la cosa sia mantenuta nel suo essere, e che un altro la conduca alla sua perfezione ulteriore», come nel caso di una nave, che «il carpentiere ha il compito di riparare, se nell’imbarcazione c’è stato un qualche cedimento; ma è il marinaio che la dirige con sollecitudine, affinché la nave giunga al porto» [41]. La
Figura 6. Sandro Botticelli. San Tommaso. Olio su tavola. 14801485. Abegg-Stiftung, Riggisberg (Verband Schwarzwasser, Svizzera).
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Apotheca&Storia stessa cosa vale nel caso in cui si debba governare una moltitudine di uomini: se il fine dell’uomo fosse un qualche bene che di per sé possiede, vale a dire la vita, mantenerla sarebbe il fine della moltitudine, e sarebbe sufficiente per questo che gli uomini si riunissero in un gruppo; se il fine fosse invece di acquisire beni materiali, sarebbe adeguato che gli uomini formassero una comunità, soggetta a leggi comuni e sottoposta alla guida di un re, che li disponesse a vivere virtuosamente; «ma poiché l’uomo nel vivere secondo virtù è ordinato ad un fine ulteriore, che consiste nella visione divina, […] è opportuno che il fine della moltitudine sia lo stesso del singolo uomo. Non è dunque il fine ultimo di una moltitudine associata il vivere secondo virtù, ma attraverso una vita virtuosa pervenire alla visione di Dio» [41]. «Tuttavia, poiché l’uomo non perviene al fine della visione divina per virtù umana, ma divina, […] sarà un governo divino, e non umano, a condurre a quel fine»: tale governo spetta a Nostro Signore Gesù Cristo, «che non è solo Uomo, ma anche Dio»; da Lui «l’esercizio di tale governo fu affidato non ai re terreni, ma ai sacerdoti, affinché le cose terrene fossero distinte da quelle spirituali. E specialmente al Sommo Sacerdote, successore di Pietro, vicario di Cristo, il Sommo Pontefice, a cui tutti i re cristiani devono essere sottomessi, come a Nostro Signore Gesù Cristo stesso: poiché coloro ai quali compete l’ufficio di fini precedenti devono essere sottomessi a colui a cui compete l’ufficio del fine ultimo, e dall’autorità sua devono essere guidati» [42]. I due poteri sono dunque realmente distinti ma gerarchicamente ordinati secondo il fine ultimo, la cui cura è stata affidata da Dio al Papa — tale reale distinzione comporta che, per le cose che concernono il bene terreno, si debba obbedienza ai re, mentre per le cose che concernono il bene soprannaturale si debba obbedienza ai sacerdoti: «in his quae ad salutem animae pertinent […], magis est obediendum potestati spirituali quam saeculari. In his autem quae ad bonum civile pertinent, est magis obediendum potestati saeculari quam spirituali, secundum illud Matth. 22, 21: reddite quae sunt Caesaris Caesari» [43]; eppure tra i due poteri vi è un ordine gerarchico in virtù del fine a cui sono rivolti entrambi (il temporale come fine ultimo, lo spirituale come fine proprio), un fine la cui cura è stata affidata da Dio al Papa, che detiene perciò “l’apice di entrambi”: «Nisi forte potestati spirituali etiam saecularis potestas conjungatur, sicut in Papa, qui utriusque potestatis apicem tenet, scilicet spiritualis et saecularis, hoc illo disponente qui est Sacerdos et Rex in aeternum, secundum ordinem Melchisedech, Rex Regum, et Dominus Dominantium, cujus potestas non auferetur et regnum non corrumpetur in saecula saeculorum» [43]; ciò gli consentirebbe d’intervenire a diritto nelle questioni temporali, laddove le azioni dei re si ponessero come ostacolo al raggiungimento del fine ultimo — discernere, concretamente, in che modo ed in quali occasioni ciò sia opportuno, spetta al solo Papa. Considerato che «per il conseguimento del fine ultimo è richiesto anche questo, che il re disponga i suoi sudditi a vivere secondo virtù» [44], resta da stabilire in che modo questi debba farlo. «Chiunque infatti si applichi per ottenere qualcosa, che sia ordinata ad altro come fine, deve prestare attenzione a che la sua opera sia congrua al fine»: «poiché il fine della vita, che viviamo bene nel presente, è la beatitudine celeste, concerne all’ufficio del re procurare quelle cose che rendono buona la vita della moltitudine, secondo ciò che si confà al conseguimento della beatitudine celeste; egli ordini cioè quelle cose che
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conducono alla beatitudine celeste, e che vieti quelle contrastanti, per quanto questo gli sia possibile» — per far ciò, è necessario ch’egli «apprenda la legge divina, il cui insegnamento compete all’ufficio del sacerdote» e che legga, e mediti, ogni giorno il Deuteronomio; infine, deve garantire ai suoi sudditi quei «beni materiali, il cui uso è necessario per agire secondo virtù» [45]. Risulta evidente come i due autori sostengano tesi contrastanti, anche per quanto riguarda quest’ultimo argomento. Per Dante, è necessario vi siano un Imperatore universale e un Papa, detentori di due poteri distinti e paralleli: l’uno del temporale, l’altro dello spirituale. L’Imperatore, massima autorità temporale, deve condurre i singoli uomini alla realizzazione della felicità terrena e l’umanità intera all’attuazione totale dell’intelletto possibile; ottiene entrambe le cose mettendo in pratica, nel suo governo, l’insegnamento dei filosofi. Il potere del Papa si limita invece alla paternità spirituale della Chiesa, che deve dirigere al fine soprannaturale per mezzo della Rivelazione: a lui si deve infatti «non tutto ciò ch’è dovuto a Cristo, ma ciò ch’è dovuto a Pietro» — perché Cristo ha distinto i due poteri, che solo Egli possiede insieme sommamente, investendo dell’uno l’Imperatore e dell’altro il proprio Vicario. L’Imperatore sottostà dunque al Pontefice solo per ciò che riguarda le questioni propriamente spirituali, mentre nel governo delle cose temporali egli è indipendente: il Papa non può interferire in esse, può solo ottenere all’Imperatore più grazie dal Cielo, affinché operi meglio. Per San Tommaso, è necessario che vi siano dei re e che vi siano dei chierici, affinché i due poteri siano realmente distinti: essi tuttavia sono subordinati l’uno all’altro in virtù del fine a cui sono rivolti entrambi (il temporale come fine ultimo, lo spirituale come fine proprio): tal fine è la beatitudine eterna, il solo fine ultimo dell’uomo. Ai re si deve obbedienza per quanto riguarda le questioni terrene, ai chierici per quanto riguarda il bene delle anime; al Sommo Pontefice, massima autorità spirituale, si deve invece obbedienza «come a Nostro Signore Gesù Cristo stesso»: se infatti tra i due poteri vi è un ordine gerarchico, è in virtù del fine a cui sono rivolti entrambi, la cui cura è stata affidata da Dio al Papa — che per questo detiene “l’apice di entrambi i poteri” ed è chiamato ad intervenire nelle questioni temporali ogni qual volta le azioni dei re venissero ad ostacolare il raggiungimento del fine ultimo a cui egli è preposto. Ciò che propriamente compete al re è emanare — per quanto è in suo potere — delle leggi che inducano i suoi sudditi ad una vita virtuosa, perché questo li pone sulla via per la beatitudine eterna (fine ultimo), e deve garantire loro i beni terreni necessari a condurre tale vita; perché eserciti opportunamente il governo che gli compete, bisogna che un sacerdote lo istruisca sulla legge divina, alla quale il re dovrà conformarsi nelle sue leggi. C onclu sione Con questo elaborato, si è voluto proporre due visioni dell’universo cristiano del XIII-XIV secolo, sotto una pluralità di aspetti intimamente interconnessi. Che le due prospettive si siano dimostrate inconciliabili, rispetto a tutti gli argomenti trattati in questa sede, è manifesto: l’universo dantesco s’impernia tutto su un dualismo irriducibile; l’universo tomista, invece, pur riconoscendo la reale distinzione tra i vari aspetti della realtà, sa
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ricondurli tutti all’unità di un ordine gerarchico. La sola cosa che, a questo punto, possa risultare ancora di qualche interesse è forse un’ultima, breve sintesi, che richiami alla mente le cruciali divergenze già evidenziate nei quattro momenti in cui questo lavoro si è svolto. 1) La natura umana: - Per Dante l’uomo, è costituito da due parti essenzialmente connesse tra di loro, di natura differente l’una dall’altra: l’anima è incorruttibile, il corpo è corruttibile. L’uomo partecipa di entrambe le nature delle sue parti. - Per San Tommaso, l’uomo non possiede che una natura, determinata dall’unità sostanziale di forma (anima) e materia (corpo). 2) Il fine dell’uomo: - Per Dante, l’uomo deve volgersi a due fini ultimi: alla beatitudine in questa vita, in quanto è partecipe della natura corruttibile del corpo; alla beatitudine eterna, in quanto è partecipe della natura incorruttibile dell’anima.
- Per San Tommaso, l’uomo deve volgersi ad un unico fine ultimo, la beatitudine eterna. 3) I mezzi per cui l’uomo può giungere al suo fine: - Per Dante, la beatitudine terrena si ottiene per mezzo della ragione umana, grazie all’insegnamento dei filosofi; la beatitudine ultraterrena, si ottiene invece per mezzo delle virtù teologali, grazie all’insegnamento delle verità rivelate (che trascendono la ragione umana). - Per San Tommaso, la beatitudine eterna si ottiene per mezzo delle virtù teologali – che procedono dalla grazia e dalla conoscenza delle fondamentali verità rivelate, oggetto della teologia. 4) Le autorità per cui l’uomo può giungere al suo fine: - Per Dante vi sono due autorità investite da Dio, entrambe supreme nel proprio ambito: l’Imperatore universale, che detiene il potere temporale, il Papa che detiene il potere spirituale. - Per San Tommaso, l’unica suprema autorità terrena è il Sommo Pontefice, che detiene “l’apice di entrambi i poteri, il temporale e lo spirituale”.
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Alighieri D., De Monarchia; III, 16. Clarendon press. Oxford 1916. D’Aquino T., Summa theologiae, I, Q. 75, A. 2 Ivi I, Q. 75, A. 4 Ivi I, Q. 76, A. 6 Ivi I, Q. 76, A. 1 Ivi I, Q. 75, A. 3 Ivi I, Q. 75, A. 2 Ivi I, Q. 76, A. 5 Ivi I, Q. 76, A. 1 Ivi I, Q. 75, A. 2 Alighieri D., De Monarchia, III, 16. Tutte citazioni da: Sum. theol., II, Q. 1, A. 5 Alighieri D., De Monarchia, III, 16. D’Aquino T., Summa theologiae, II, Q. 5, A. 1 Ivi II, Q. 62, A. 1 Ivi II, Q. 62, A. 2 Tutte citazioni da: Sum. theol., II, Q. 3, A. 8 Ivi I, Q. 12, A. 3 Ivi I, Q. 12, A. 11 Ivi II, Q. 5, A. 3 Gilson E., Dante the Philosopher, cap. III, par. IV, Shide & Ward London 1948. Alighieri D., De Monarchia, III, 16 D’Aquino T., Summa theologiae, I, Q. 1, A. 2 Tutte citazioni da: Sum. theol., I, Q. 1, A. 5 Ivi I, Q. 1, A. 1 Ivi I, Q. 1, A. 4 Ivi I, Q. 1, A. 5 Tutte citazioni da: Alighieri D., De Monarchia, III, 16 Ivi I, 3 Ivi I, 4 Ivi I, 3 Ivi I, 5 Ivi I, 3 Ivi III, 1 Ivi III, 4 Ivi III, 3 Ivi III, 12 Ivi III, 16 D’Aquino T., Summa theologiae, Q. 79, A. 1-2 D’Aquino T., De regimine principum ad regem Cypri, I, 1 Ivi I, 14 Ivi I, 14 D’Aquino T., Sententia, II, D44 Ivi I, intro. al cap. 15 Ivi I, 15
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