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Cultura
Cos’è l’opera d’arte?
Il linguaggio dell’arte oggi
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Domenico Di Vincenzo*
La complessità del mondo contemporaneo è suggerita non solo dall’evidenza di un numero di questioni irrisolte in ogni campo del sapere ma anche dai punti di vista talora divergenti (se non addirittura contrapposti) intorno alle questioni fondamentali sulle quali è davvero difHicile se non impossibile trovare accordo. Non è banale cercare di capire cosa sia l’arte, cosa intendiamo con espressioni come bello o brutto, cos’è la rappresentazione artistica e cosa intendiamo per stile. Sono domande che hanno ricevuto risposte HilosoHiche che se da una parte appaiono soddisfacenti dall’altra, per i presupposti teorici e le conseguenze pratiche cui inevitabilmente portano, Hiniscono per creare ulteriori domande o talora respingere gli interlocutori possibili nell’angolo. Questa difHicoltà genera emarginazione, alienazione, incomprensione e talora disinteresse o addirittura negazione a priori, senza confronto e senza dialogo. In questo lavoro proverò a ricapitolare e a sistematizzare le opinioni. I due pilastri fondamentali del ragionamento su arte ed idea estetica sono senza dubbio Kant ed Hegel, i quali però prendono spunto e sviluppano concetti già presenti in diverso modo, sia in Platone che in Aristotele. Per Kant l’idea estetica è rappresentazione dell’immaginazione cioè prodotto dell’immaginazione sensibile, parte cioè dai sensi e dall’immaginazione, una facoltà dei sensi, ma va oltre e fa pensare.
Quindi per Kant l’arte pur partendo dal sensibile, andando oltre, porta verso le dimensioni del sovra sensibile. Hegel, trent’anni dopo, contesta questo punto di vista e sottolinea che l’arte è qualcosa di
Figura 1. Raffaello Sanzio, La scuola di Atene. Particolare di Platone ed Aristotele. 1509-1511 ca., Musei Vaticani, Città del Vaticano. connesso allo spirito assoluto che, deHinito solo in sé stesso, ha la forza di plasmare la storia, di plasmare la storicità dell’opera d’arte. Quindi con Hegel la storia entra in campo e l’arte è un prodotto storico dello spirito assoluto. Il contesto nel quale operarono questi due HilosoHi è la Hine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento. Più di
* d.divincenzo@students.uninettunouniversity.net
Domenico Di Vincenzo (Palermo 1958), laureato in Medicina (1984), specialista in Cardiologia (1988) e Geriatria (1992). Medico ospedaliero dal 1992 al 2020. Autore di diverse pubblicazioni, nonché relatore a convegni scientiHici e di divulgazione scientiHica. Dal 2020 iscritto al corso di laurea in Conservazione e valorizzazione dei Beni culturali della facoltà di Lettere, indirizzo operatore ed esperto in Patrimoni culturali e memoria digitale. Coltiva con dedizione la passione per la storia e per l’arte; è stato consulente scientiHico del Museo Civico di Termini Imerese (PA) “Baldassarre Romano” dal 2004 al 2009. Promotore nel 2003 presso il teatro Branciforti di Bagheria dell’evento multidisciplinare (musica, poesia, fotograHia) Sole ed altre stelle di Sicilia sul cielo di Bagheria e dintorni. Relatore al convegno Arte, Fede e Speranza (2013) presso il Museo degli Angeli di Sant’Angelo di Brolo (ME). Ha partecipato a corsi di Pittura di Tiziana Viola Massa. Si è espresso con proprie opere in poesia in Un cocktail per il dispensario di Temento (2003) e nella raccolta Verrà il giorno ed avrà un tuo verso (2010). Ha partecipato alle produzioni audiovisive The coach di Giuseppe Paternò, al video Sulle orme del gattopardo di Donata Pirrone, alla clip autoprodotta Palermo Wellcome. Attore nelle commedie teatrali dialettali Ora chistu è progressu (2013) e La suocera (2014), comparsa nel Hilm per la tv di Roberto Andò Solo per passione (2022). Socio fondatore dell’Associazione culturale “Verso Paideia”. Socio dell’Unione Italiana Fotoamatori. Reporter accreditato di grandi eventi: parata del 2 giugno a Roma (2014), corsa nazionale Millemiglia (2016), visita pastorale del Papa a Palermo (2010), beatiHicazione di Padre Pino Puglisi (2013). Collabora con il periodico della U.I.F. “Gazzettino fotograHico”. Ha all’attivo mostre personali e collettive. Ha collaborazioni in corso con la prof. Concetta Di Natale, ordinario di museologia e di storia del collezionismo, e con l’arch. Ciro Lomonte, docente di storia dell’architettura cristiana. Al suo attivo ha circa 700.000 scatti fotograHici.
duemila anni prima già Platone e successivamente Aristotele avevano trattato del rapporto dell’arte e della bellezza con lo sguardo rivolto al sovrasensibile, al metaHisico, all’assoluto, il primo; alla materia, all’immanenza del reale, il secondo. L’imitazione della natura o mimesis è diversamente intesa da Platone e da Aristotele. Mentre per il primo l’arte imitativa non è altro che copia di copia e allontana dalla verità, per il secondo l’arte ha un ruolo conoscitivo, teorico, HilosoHico. Impostazione che si traduce da una parte nell’arte come trascendenza, connessa alla spiritualità e dall’altra nell’arte come immanenza connessa al reale. Questa dicotomia è stata sempre presente nelle rappresentazioni artistiche sin dalla preistoria. La rappresentazione di scene di caccia sulle pareti delle caverne aveva probabilmente un valore propiziatorio e un signiHicato altro, oltre la semplice Higura disegnata. Durante l’età paleocristiana e successivamente, all’inizio del Cristianesimo e sino al Medioevo ed oltre, le rappresentazioni sacre indicavano un mondo sovrasensibile cui l’arte si riferiva. Le icone e i simboli tendevano a riuniHicare sensibile ed ultrasensibile. Nel Rinascimento l’interesse verso la natura e verso l’uomo divengono crescenti e favoriscono una visione del mondo svincolata dal trascendente e sempre più orientata verso la natura. L’artista, secondo una visione che fu di Leonardo da Vinci ripresa da Leon Battista Alberti, Piero della Francesca, Brunelleschi pone in risalto
Figura 2. Wassily Kandinsky. Conglomerato, 1943, Musée National d’Art Moderne, Parigi.
Figura 3. Polidoro e Agesandro, Atenodoro di Rodi. Gruppo del Laocoonte, copia romana in marmo I sec. a.C. - I sec. d.C., Musei Vaticani, Città del Vaticano. l’immanenza dell’arte e dell’artista, Questo approccio naturalistico ritornerà prepotentemente in età romantica. Per Goethe l’artista deve interpretare la metamorfosi della natura e lo deve fare tenendo conto della storia. La natura, tuttavia, non sempre è benevola e, Friedrich, un altro pittore romantico, evidenzia della natura non l’aspetto materiale bensı̀ la spiritualità, il senso di vitalità della natura e la sua storicità. Le radici del pensiero di Hegel sono proprio nel Romanticismo ma poi se ne distacca per giungere ad altre conclusioni. Per Hegel l’arte è una forma dello Spirito assoluto, il primo gradino, seguito dalla religione e dalla HilosoHia, verso la verità. L’arte quindi, per Hegel, deve morire perché si manifestino equilibri nuovi, liberata dalle forme espressive che la vincolano alla materia per giungere ad una concezione non esclusivamente rappresentativa. Da questa posizione nascono le opere di Paul Klee e di Kandinskij, rispettivamente “equilibri incerti” e “conglomerato” che dichiarano nel loro titolo la stessa condizione dell’arte dopo la sua morte, alla ricerca di nuovi equilibri. Nascono cosı̀ le avanguardie (dadaismo, surrealismo, espressionismo) allo scopo di percorrere strade nuove per far andare l’arte verso il pensiero come diceva Hegel o per cogliere nel sensibile una dimensione sovrasensibile come diceva Kant. Attraverso tutto ciò è nata l’arte moderna, non per evoluzione rispetto all’arte dell’Ottocento ma per rottura dei suoi valori. Comprendere questo percorso presuppone interrogarsi su che cosa l’arte debba oggi rappresentare, interrogarsi sulle categorie corrispondenti al bello ed al brutto, sulla valenza simbolica, riuniHicante immanente e trascendente, sul valore intrinseco ed estrinseco di ciascun’opera, tanto per l’artista che per chi ne fruisce, ricevendone gradevo-
Figura 4. Michelangelo Merisi da Caravaggio. Giuditta decapita Oloferne, particolare, 1600-1602 ca., Gallerie nazionali d’arte antica, Palazzo Barberini, Roma.
lezza, piacere, emozione, sentimento, talora anche disgusto o repulsione. Nella Grecia classica la bellezza era considerata armonia e proporzione delle forme e unità nella varietà. Nel bello vi è una unione profonda fra dimensione oggettiva e dimensione soggettiva. Da una parte l’oggetto espressione di armonia, dall’altra la piacevolezza che il riconoscimento offre al fruitore. L’equilibrio formale ha rappresentato da allora ad oggi un riferimento ma già nell’età classica quest’idea del bello e della misura composta ha avuto delle espressioni apparentemente contraddittorie. Laocoonte che prova a difendere i suoi Higli dall’aggressione del serpente marino urla e si contorce dal dolore. Quindi non solo armonioso equilibrio ma anche qualcosa che eccede e che è deHinito sublime. Nel 1746 il Hilosofo irlandese Burke scrive l’opera Inchiesta sulle nostre idee di bello e sublime. Gli fa eco Immanuel Kant che nella Critica del Giudizio parla del sublime proprio come eccedenza, dove l’elemento oggettivo va al di là del giudizio soggettivo. Questi due autori, con il concetto di sublime aprono allo smisurato che la bellezza classica non riesce a contenere. Tuttavia anche il non bello comincia ad essere rappresentato, sotto forma di brutto ma anche di caricatura. Nel 1853 un esponente della sinistra hegeliana, Rosenkranz, scrive un’opera che rappresenta una pietra miliare, L’estetica del brutto, con la quale afferma che il brutto non è un valore di per sé ma ci permette di cogliere il senso delle cose. Il bello diviene una categoria aperta, multiforme. Cosı̀ a pieno titolo è possibile accostare L’urlo di Munch al Laocoonte. Se riHlettiamo un attimo, tuttavia, la rappresentazione del non bello era già presente precedentemente. Nelle rappresentazioni sacre il volto martoriato di Cristo nella crociHissione era ben lontano dall’aspetto composto e bello dell’ideale apollineo. Nel Seicento Caravaggio nelle sue opere rappresenta i suoi soggetti naturalisticamente. Nella Madonna dei Pellegrini i piedi degli stessi sono sporchi, e come avrebbero potuto non esserlo dopo un percorso a piedi nudi. In molte altre opere vengono rappresentati personaggi che al di là della sacralità o meno appaiono molto terreni, con caratteri esteriori umani. Viene, dunque, già con Caravaggio, rappresentata la vecchiaia, la morte, la bruttezza, l’orripilazione, ecc. Con il Romanticismo la bellezza diviene un concetto aporetico che ha, cioè, in sé contraddizioni. Nel confronto con il contrario da sé la bellezza accresce la sua potenzialità espressiva. Baudelaire introduce un ulteriore elemento di riHlessione, sostenendo che la bellezza deve seguire i parametri sociali che sono mutevoli. Questo non signiHica che la bellezza non abbia connotazioni eterne, ma ad essa si afHianca la transitorietà che le proviene dalle contraddizioni
Figura 5. Michelangelo Merisi da Caravaggio, Madonna dei pellegrini, 1604-1606, Basilica di S. Agostino in Campo Marzio, Roma.
Figura 6. Edvard Munch. L’urlo, 1893-1910, Galleria Nazionale, Oslo.
della storia, con tutti gli elementi non belli nella società, nella cultura, nella civiltà odierna. Per Baudelaire, dunque, la bellezza è un valore soggetto a cambiamento, a degenerazione, legata ai gusti soggettivi, al gusto sociale. Più recentemente il fenomeno kitsch ha preso campo. La bellezza diventa banale e ripetitiva, perde i suoi connotati che comunicavano, nel passato ma anche nella storia, il senso di una ricerca ontologica, la ricerca anche di se stessi, per divenire volgarità, tout court. Esemplare in questa deriva verso il kitsch l’orinatoio di Duchamps esposto in un museo, sotto le mentite spoglie di R. Mutt; e le serie ripetute e ossessive di Andy Warhol, dove allo stesso modo sono icone Marilyn Monroe e i barattoli di fagioli. Se è possibile che qualcosa ancora volessero esprimere queste opere, viene oggettivamente difHicile porre sullo stesso piano opere più recenti di vero cattivo gusto, cosı̀ come certe esibizioni televisive sullo sfondo solo e soltanto della provocazione mediatica. Dunque, a conclusione, l’interrogativo cosa sia l’opera d’arte e quale sia il linguaggio dell’arte oggi resta non soddisfatto. Con uno sguardo disincantato è possibile affermare che l’arte ha avuto, ha ed avrà qualcosa da dire sia all’autore che al fruitore, sia nella relazione dell’uomo con il divino che dell’uomo con l’uomo. Non sarà facile conciliare questi due punti di vista perché i punti di partenza sono diametralmente opposti. Tuttavia, trovare un accordo sulla bellezza come strumento relazionale positivo è possibile e la rappresentazione del brutto e del sublime può concorrere a questo Hine. Sulla base di questo discrimine potremo ragionevolmente includere molti Hiloni di ricerca artistica contemporanei e discriminarne altri. L’indistinta accettazione di tutto e di tutti è la prima cosa che come autore, come fruitore, come semplice uomo di cultura bisogna assolutamente evitare. Il dibattito su cosa sia l’arte e la bellezza deve continuare e necessariamente coinvolgere più Higure al Hine di creare i presupposti di un linguaggio comune che, lungi dall’omologazione, è fondamentale in una comunicazione che non sia univoca. «La bellezza salverà il mondo» è divenuto uno slogan popolare ma non si può non constatare che della bellezza oggi si avverta ancor più forte la mancanza.
Figura 7. Marcel Duchamp. Fontana, 1917, opera perduta, copia conservata al Centre Pompidou, Parigi.
Bibliografia
1. D’angelo P., Franzini E., Scaramuzza G., Estetica. Raffaello
Cortina Editore. 2. De Micheli M., Le avanguardie artistiche del Novecento.
Feltrinelli. 3. Prirandello F., RiRlessioni sull’arte. Abscondita. 4. Russel B., Storia della FilosoRia occidentale. Longanesi 5. Lomonte C., Educare alla bellezza. Scalata o iniziazione?
Theriaké, ISSN 2724-0509, Anno IV n. 36, Nov./Dic. 2021, pp. 48-55. https://issuu.com/email782/docs/theriake_anno_iv_n._36 6. Giannantoni G., ProRilo di Storia della RilosoRia. Voll. 1,2,3,
Loescher Torino.