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Cultura
Divina aurea liturgia sul Monte Reale
Ciro Lomonte
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Figura 1. Vista riservata al sacerdote che levava lo sguardo verso l’alto dall’altare maggiore. Foto di Domenico DiVincenzo.
In soli vent’anni. Nella Chronica del notaio Riccardo di San Germano (XIII secolo), si indica il 1174 come anno di fondazione della cattedrale di S. Maria la Nuova di Monreale e dell’annesso monastero benedettino. Nel 1176 l’abbazia doveva essere prossima al suo completamento, dato l’arrivo a Monreale il 20 marzo (allora vigilia della festa di S. Benedetto) di ben cento monaci di Cava dei Tirreni.
Nello stesso 1176, il giorno dell’Assunzione di Maria, il re concede al monastero ulteriori privilegi, esenzioni e donazioni che per numero e importanza non hanno precedenti in Sicilia. ES a questo atto che potrebbero riferirsi sia il pannello musivo della dedica (con il re che offre a Maria un piccolo prototipo idealizzato dell’ediUicio) sia l’analoga scena scolpita su un capitello del chiostro (dove il modello ha tratti più aderenti al vero). In entrambe le rafUigurazioni il re, al pari di un alto dignitario ecclesiastico o di un imperatore d’Oriente, vi appare con abiti diaconali. Del resto i sovrani della Sicilia avevano ricevuto dai ponteUici la legazia apostolica, sin da Ruggero I, il Gran Conte. Il ripiano destinato al re nella cattedrale ⏤ riservato alla sua sola persona, non alla famiglia ⏤ è il luogo più alto e più degno del presbiterio. Dopo il 1176 viene ideato lo sterminato programma iconograUico musivo. Già nel 1182 il ponteUice Lucio III afferma che il tempio innalzato dal monarca siciliano è stato costruito «brevi tempore» e «dignum multa admiratione». Nel 1183 Lucio III con bolla Li-
Ciro Lomonte (Palermo 1960) è un architetto, personaggio pubblico e politico, esperto in arte sacra. Dopo la maturità ha studiato presso le facoltà di architettura dell’Università di Palermo e del Politecnico di Milano. Dopo la laurea ha iniziato a lavorare presso studi privati di architettura; in uno di essi conobbe l’architetto Guido Santoro, con il quale strinse amicizia e sodalizio professionale. Dal 1987 al 1990 ha partecipato all’elaborazione del piano di recupero del centro storico di Erice. Nel 1988 inizia le sue ricerche nel campo dell’arte sacra. Ha partecipato alla rideUinizione di molte chiese, in particolare Maria SS. delle Grazie a Isola delle Femmine, Maria SS. Immacolata a Sancipirello, Santo Curato d’Ars a Palermo ed altre. Attualmente, insieme a Guido Santoro, sta adeguando l’interno della chiesa di Santa Maria nella città di Altofonte vicino Palermo. Dal 1990 al 1999 ha diretto la Scuola di Formazione Professionale Monte Grifone (attuale Arces) a Palermo. Dal 2009 è docente di Storia dell’Architettura Cristiana Contemporanea nel Master di II livello in Architettura, Arti Sacre e Liturgia presso l’Università Europea di Roma. Nel 2017 è stato candidato sindaco di Palermo per il partito indipendentista Siciliani Liberi. Si candida nuovamente nel 2022. ES autore e traduttore di numerosi libri e articoli dedicati alla architettura sacra contemporanea. Nel 2009, insieme a Guido Santoro, ha pubblicato il libro “Liturgia, cosmo, architettura” (Edizioni Cantagalli, Siena).
cet Dominus crea la nuova arcidiocesi, a pochi passi da quella di Palermo ed eleva l’abate (per consuetudine eletto dai propri confratelli) ad arcivescovo (carica assegnata per investitura papale). Va rilevato che le attività del cantiere si collocano pressappoco fra il 1174 e il 1183, intervallo di tempo in cui vengono elargite la maggior parte delle dotazioni, donazioni e prerogative che assicurano al monastero numerosi introiti i quali, dopo la morte nel 1189 del benefattore e protettore Guglielmo, diventano invece difUicili da riscuotere e gestire. ES lungo l’elenco di terre, feudi, casali, borghi e «castella» entrati in possesso dell’abate e arcivescovo di Monreale, tra Sicilia, Calabria, Puglia e Basilicata.
IL SOGNO DI GUGLIELMO
Per comprendere appieno alcune decisioni di Guglielmo II non si può prescindere dalla rivalità esistita tra i due più intimi consiglieri del re, l’arcivescovo di Palermo Gualtiero Offamilio e il cancelliere del regno Matteo d’Aiello. Quest’ultimo avrebbe difeso presso il re la causa di Monreale adoperandosi afUinché il suo abate diventasse un vescovo metropolita e quindi un alleato al Uianco di Guglielmo. Le fonti coeve documentano l’opposizione di Matteo alle nozze tra Costanza, zia di Guglielmo, e l’erede al trono imperiale Enrico VI, palesemente sostenute a corte dal prelato palermitano. Bisogna però cercare altrove le ragioni che spingono il monarca a costruire un complesso senza pari nel regno, costituito da una basilica lunga 102 metri cir-
Figura 2. Soglio regale, sormontato dai mosaici con l’incoronazione divina di Guglielmo II in abiti diaconali. Foto di Domenico DiVincenzo.
Figura 3. Lunetta della Madonna Odigitria sovrastante l’ingresso. La scritta al di sotto è un’invocazione alla Beatissima Vergine Maria affinché interceda al cospetto di Dio in favore del re. Foto di Domenico DiVincenzo.
ca e larga quasi 40, rivestita quasi interamente di marmi e tessere musive a fondo oro (oltre 7.000 mq di mosaici), da un monastero notevole per dimensioni ediUicato attorno ad un chiostro arricchito da 228 colonnine variamente intarsiate e scolpite, da mura e torri difensive e da altri ediUici di servizio tra cui un palazzo destinato ad ospitare la corte durante i suoi soggiorni a Monreale. Tra i probabili obiettivi di Guglielmo: afUidare le sepolture dinastiche alla cura dei religiosi che con i propri servizi liturgici avrebbero assicurato alla casa reale la protezione della Vergine, creare un opiUicio di cultura irradiatore di spiritualità cristiana in un territorio a maggioranza musulmana con il duplice scopo di paciUicare la regione convertendo in maniera non violenta i non cristiani e di favorire in essa beneUiche ricadute economiche, aumentare il prestigio della corona in ambito internazionale. In relazione alla particolare devozione del re verso la Vergine esiste una tradizione, testimoniata solo da fonti tardive, che narra del prodigioso ritrovamento del tesoro del proprio padre a seguito dell’apparizione in sogno della Madonna a Guglielmo II, appisolato, dopo una battuta di caccia, sotto un carrubo nel luogo destinato ad ospitare l’attuale cattedrale. Si tenga conto che in Sicilia esistono migliaia di leggende legate a tesori introvabili, le cosiddette truvature.
L’ABATE E L’ARCIVESCOVO
La consacrazione della chiesa (con dedica alla Natività della Vergine) avvenne ad opera del cardinale Rodolfo Grosparmi, vescovo di Albano e legato della Santa Sede, novant’anni dopo la costruzione, il 25 aprile 1267, anno scelto da alcuni studiosi come terminus ante quem per datare gli ultimi lavori eseguiti nella chiesa, soprattutto quelli riguardanti i mosaici. Carlo d’Angiò era da poco subentrato a re Manfredi. L’evento va interpretato alla luce di uno spiacevole episodio di violenza intercorso tra benedettini e sacerdoti secolari che aveva determinato in quell’anno la rinuncia al prestigioso titolo di arcivescovo di Monreale da parte di Gaufrido di Bellomonte e la scomunica di alcuni religiosi del monastero. La cerimonia celebrata nel 1267, con dedica della chiesa alla Natività di Maria, assume i tratti di un rito espiatorio e non esclude che una precedente consacrazione possa essere avvenuta in cattedrale nel 1176, il giorno dell’Assunzione di Maria e alla presenza del suo fondatore. Del resto se l’intitolazione con cui la chiesa viene quasi sempre citata nei documenti (S. Maria la Nova) si armonizza con la festa
Figura 4. Il presbiterio e la navata centrale visti dall’altare maggiore. Foto di Domenico DiVincenzo.
dell’8 settembre, una maggiore corrispondenza simbolica sembra esserci con la solennità mariana del 15 agosto. La prima ci mostra la migliore creatura uscita dalle mani di Dio nel suo affacciarsi alla vita terrena. La seconda è relativa al momento in cui la Vergine rinasce alla vita eterna. Secondo una modalità diffusa sia in Oriente sia in Occidente nell’iconograUia medievale del Transito di Maria la sua anima è rappresentata con le sembianze di una neonata in fasce, in braccio al Cristo risorto. ES l’immagine di uno spirito che, liberatosi dalle spoglie mortali e rinato alla Vita, è pronto per la sua assunzione in cielo. Collocata all’esterno, nel portico occidentale della cattedrale, la scena del Transitus Mariae (o Dormitio Virginis) faceva parte a Monreale di un ciclo musivo dedicato ad episodi signiUicativi della vita della Vergine, destinato ad accogliere i fedeli, in connessione con i solenni riti d’ingresso, prima di varcare la grande porta bronzea realizzata da Bonanno Pisano nel 1185. Unitamente alla scritta che accompagna l’immagine dell’Odigitria posta sulla lunetta interna che sovrasta la porta, alla rafUigurazione della «Tutta Priva di Macchia» in trono collocata al centro dell’abside principale, all’intera successione dei volumi architettonici e all’orientamento della chiesa che segue precise Uinalità biblicoliturgiche, le considerazioni sopra esposte sono solo indizi importanti in direzione di una dedica all’Assunzione di Maria antecedente a quella della Natività della Vergine imposta nel 1267.
CAUTE RIFORME TRIDENTINE
A partire dalla seconda metà del Cinquecento, le ricostruzioni ex novo e le ristrutturazioni parziali vengono giustiUicate dalla Riforma cattolica e dai relativi cambiamenti della liturgia che maturano all’interno delle sessioni del Concilio di Trento. Tuttavia gli interventi attuati all’interno del Duomo di Monreale per tutto il Cinquecento sembrano improntati ad uno spirito più conservativo che innovatore. AfUidato a partire dal 1561 da Alessandro Farnese al marmorario Baldassarre Massa, si situa in quegli anni il completo rifacimento della pavimentazione della navata maggiore, riprogettata e realizzata con lastre marmoree intarsiate, non secondo il gusto dell’epoca, ma ingrandendo opportunamente il motivo geometrico medievale del disegno pavimentale sito nel coro dell’ediUicio. Con le stesse intenzionalità progettuali Farnese si occupa del nuovo portico settentrionale del duomo. Attraverso il reimpiego di colonne provenienti da un’altra struttura medievale
Figura 5. Ritratto del Card. Ludovico de Torres. Foto di Domenico DiVincenzo.
del complesso, tale rifacimento (1547-1562) è destinato a sostituire una precedente struttura ormai pericolante, chiamata nei documenti «pinnata» o atrio «ad latum dicti templi». I successori del card. Farnese, il quale in realtà aveva rinunciato soltanto alla giurisdizione spirituale di Monreale, non sono da meno. In un rapido elenco: - sotto l’arcivescovo Ludovico I de Torres decisione di onorare il fondatore della cattedrale, Guglielmo
II, ordinando la costruzione di un nuovo sepolcro da collocare alle spalle dell’altare nella tribuna maggiore, nei pressi di uno dei centri liturgici dell’ediUicio, e tentativo di recuperare ad un uso appropriato la grande corte quadrangolare che precedeva il portico occidentale del duomo, detto del
Paradiso, impiantandovi un giardino di agrumi secondo l’etimo del suo nome; - durante il periodo retto da Ludovico II de Torres rivestimento marmoreo delle due navate laterali con a modello il pavimento farnesiano, eliminazione di altari ritenuti non appartenenti alla conUigurazione originaria dell’ediUico, restauro di pannelli musivi afUidato a Pietro Antonio Novelli (padre del più famoso Pietro), costruzione di una cappella dove conservare, sotto un ciborio, le reliquie di S.
Castrenze (martire vissuto nel Medioevo), giunte a
Monreale plausibilmente con l’arrivo dei Cavensi nel 1176, e inUine pubblicazione, sotto il nome del proprio segretario Gian Luigi Lello, di un’opera
interamente dedicata alla descrizione e alla storia del duomo. Destinata ad un ediUicio del XII secolo questa particolare attenzione sorprende sia per la condivisa ostilità del periodo rivolta contro la maniera tedesca (gotica) e greca (bizantina), sia per i protagonisti coinvolti, alti prelati provenienti direttamente dalla curia romana. E ancora più insolito è il rispetto per la sua disposizione liturgica originaria scrupolosamente rilevata e inserita in una planimetria del complesso redatta nel 1590 circa, conservata presso l’Archivio Segreto Vaticano. I dati restituiti dal raro documento ci permettono di ricostruire, con maggiore fedeltà, l’aspetto di quella complessa struttura (alte pareti marmoree, ambone, cappella del Battista, fonte battesimale, porta reale) che, sita tra l’aula e il presbiterio, viene mantenuta pressoché intatta per tutto il Cinquecento, una posizione che appare in contrasto con quanto stabilito dal Concilio di Trento.
Figura 6. Statua bronzea di S. Giovanni Battista, collocata su una colonna di porfido egiziano. Nel catino della nicchia, mosaico con il busto di S. Giovanni Battista. Foto di Domenico DiVincenzo.
Figura 7. Mosaico di Cristo Pantocrator. Foto di Domenico DiVincenzo.
Anche il Seicento registra trasformazioni rispettose, attuate al suo interno per volere dell’arcivescovo Los Cameros fra il 1656 e il 1668: lavaggio dei mosaici con il vino per metterne in risalto colori e lucentezza; riparazione dei tetti sostituendo nel presbiterio il rivestimento di piombo con tegole in terracotta smaltata e, poiché le navate soffrono per il «poco lume» a causa delle lamine di piombo traforate poste a protezione delle Uinestre tra l’altro non «squarciate di dentro»; realizzazione degli sguinci e collocazione di lastre di vetro sorrette da telai di legno. Con il grande plauso dei contemporanei il chiarore dell’aula viene cosı̀ raddoppiato ma è probabile che il precedente Ulusso di luce fosse volutamente determinato con una intensità minore. Motivazioni di carattere cultuale determinano invece la decisione di Los Cameros di liberarsi degli arredi liturgici del XII secolo, ostacolo al corretto svolgersi delle funzioni religiose secondo le disposizioni tridentine. Vengono cosı̀ smembrati l’ambone e la relativa scala, la sottostante cappella del Battista e tutti i setti murari rivestiti di marmo che, Uino ad una certa altezza, impedivano la continuità spaziale tra aula e presbiterio, continuità che viene invece sottolineata con la chiusura dei due archetti che lateralmente mettevano in comunicazione l’atrio del coro con le estremità delle due navatelle. Colonne, capitelli, architravi, fregi, sculture, marmi, fonte battesimale, non vengono però dispersi o distrutti, perché reimpiegati in altre parti del duomo. Teoricamente la vecchia struttura avrebbe potuto essere ricomposta con facilità se molto del materiale elencato non fosse andato distrutto nell’incendio del 1811. Si sono salvati, perché collocati da Los Cameros nell’aula, in una nicchia ricavata nella parete meridionale, soltanto il piccolo piedritto basamentale in porUido del fonte battesimale e il mosaico con il busto di San Giovanni Battista. Episodi emblematici della sensibilità barocca, in grande sintonia con i criteri artistici del duomo normanno (cinquecento anni dopo la sua fondazione), sono gli interventi dell’arcivescovo Giovanni Roano alla Uine del Seicento, in particolare la nuova Cappella del CrociUisso e la decorazione di protesis e diaconicon. Il numero sei, le citazioni bibliche, i simboli trasformati in marmo coloratissimo e luminoso, rispondono alla volontà catechetica di trasmettere la gioia della Rivelazione, la buona novella. Quando verso il 1770 si ripresenta ancora una volta il problema del vecchio portico occidentale, si decide di abbatterlo completamente senza porsi problemi d’ordine liturgico o simbolico, sacriUicando al loro destino le vestigia dei mosaici medievali che ancora a quella data vi si trovano. Stretta fra due massicce torri la struttura si presentava ancora con i suoi tre
Figura 8. Altare maggiore settecentesco in argento, opera di Louis Valadier (1726-1785). Foto di Domenico DiVincenzo.
archi ad ogiva rialzati, poggianti su quattro colonne di dimensioni simili a quelle del portico settentrionale. Sopra era una zona che celava, rivolte verso l’ingresso, a destra e a sinistra dell’arco centrale, le Uigure mosaicate degli arcangeli Gabriele e Michele e, in corrispondenza delle colonne poste alle estremità laterali, quelle di Balaam e di Isaia con le seguenti scritte: Orietur Stella ex Jacob la prima, Egredietur Virga de radice Jesse la seconda. Le immagini preparavano il fedele a quanto rappresentato sulle tre pareti del portico: le scene relative alla vita di Maria e all’Infanzia del Cristo. Tale parte del duomo doveva costituire un efUicace preludio al racconto architettonico e musivo del suo interno, narrazione complessa ed estesa quest’ultima, di cui le formelle bronzee della porta di Bonanno Pisano lı̀ collocata restituiscono una sintesi straordinaria. La struttura attuale del portico, freddo esercizio di stile neorinascimentale è quella completamente rifatta dopo il 1770 dalle fondamenta per volere dell’arcivescovo Testa.
DOPO L’INCENDIO I RESTAURI
Quando, nel 1811, il presbiterio del duomo viene devastato da un incendio, molti degli elementi originari del XII secolo sopravvivono ancora al suo interno. I marmi e i graniti provenienti dall’ambone, dalla cappella di S. Giovanni Battista e da altri arredi liturgici sono inglobati nelle strutture portanti dei letterini degli organi o inseriti in altre parti dell’ediUicio, l’antico fonte battesimale serviva da acquasantiera per i monaci, le pavimentazioni, benché forse non tutte appartenenti al periodo di Guglielmo, sono comunque quelle realizzate nei secoli di vita del duomo. Il soglio reale è intatto cosı̀ come il sepolcro di Guglielmo I voluto dal proprio Uiglio, protetto dal suo baldacchino sorretto da colonnine in porUido, e quasi integro è anche l’intero corpus di pannelli musivi con l’eccezione di limitate zone restaurate con tasselli ceramici tra Quattro e Cinquecento. Il fuoco distruggerà quasi completamente i primi e causerà danni serissimi alle pavimentazioni, al soglio e ai sepolcri reali, ai registri musivi. Si apre cosı̀ un cantiere di restauro che si protrae per tutto l’Ottocento e oltre, le cui vicende si intrecciano indissolubilmente con quelle degli studiosi che, soprattutto nella prima metà del secolo, giungono numerosi nell’Isola attratti non soltanto dalle rovine antiche ma anche dai monumenti siculo normanni. In questo modo gli esiti del cantiere e le nuove teorie storiche, che contemporaneamente nascono in Europa intorno ai monumenti medievali, Uiniscono per alimentare un dibattito internazionale in cui gli ediUi-
ci dell’Isola acquistano un’importanza non secondaria. Tra gli anni Venti e Trenta dell’Ottocento viene rifatta la carpenteria dei tetti completamente ricoperta poi da stesure di colore e dorature (18371838), ad imitazione di quelle precedentemente realizzate in stile nel presbiterio; si riaprono inoltre i due archetti dell’atrio del coro che erano stati chiusi a metà del XVII secolo; si aggiungono i rivestimenti a mosaico negli intradossi delle Uinestre (1837) e quello marmoreo in basso (1839-1840), realizzato su modello del lambris presente nel presbiterio, laddove nessuna fonte storica ne testimoniava l’esistenza. Resa omogenea al presbiterio, l’aula non lo preannuncia in un rapporto gerarchico come alle origini. Il ripristino basato su ipotesi storiograUiche sembra cosı̀ precedere di molti anni le teorizzazioni sul restauro di Eugène-Emmanuel Viollet-le-Duc. Nel 1846 viene ultimato il nuovo soglio vescovile interamente realizzato secondo il carattere medievale dell’ediUicio. Non è questa la sua sede originaria. Del resto l’attuale altare, sollevato su gradini, è settecentesco, mentre la mensa eucaristica originaria era in realtà una struttura semplice posta ad un livello molto più basso, facendo sı̀ che il retrostante seggio vescovile fosse ben visibile dal coro dei monaci. La ricostruzione in stile della cattedra vescovile non è che una delle tante operazioni di restauro portate avanti dalla Deputazione dei restauri nella seconda metà dell’Ottocento nella zona presbiteriale del
Figura 9. La navata centrale vista dal presbiterio e le balaustre; in primo piano la nuova mensa. Foto di Domenico DiVincenzo. duomo. InUine si procede alle ultime deUinizioni dell’arredo liturgico: le balaustrate e il cancello bronzeo posti a chiusura del coro.