Theriaké MENSILE DELL’ASSOCIAZIONE GIOVANI FARMACISTI DI AGRIGENTO
BIOETICA Ulipristal acetato post-coitale Il diritto fondamentale all’obiezione di coscienza come problema bio-giuridico
FARMACISTA 4.0
IL FARMACISTA Coscienza ed impegno nella responsabilità sociale
SULLA LUCE
SCAFFOLD POLIMERICI NELL’INGEGNERIA DEI TESSUTI
SICUREZZA SUL LAVORO E PRIMO SOCCORSO
Anno I n. 2 Febbraio 2018
Sommario
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25 Apotheca&Storia
Corsivo
Controcorrente ovvero sulla revisione della Farmacopea Ufficiale
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Breve storia della galenica
Editoriale
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Formazione e competenza
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Innovazione in Chimica farmaceutica
Scaffold polimerici nell’ingegneria dei tessuti
Attualità
Farmacista 4.0
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Sicurezza sul Lavoro
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Onorificenze
Sicurezza sul lavoro e primo soccorso
7 Il farmacista, coscienza ed impegno nella responsabilità sociale
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Ancora un prestigioso riconoscimento per i coniugi Carla Cestari e Renzo Belli
Focus: bioetica
Ulipristal acetato post-coitale
14 Il diritto fondamentale all’obiezione di coscienza come problema bio-giuridico
Rubriche
18 Delle Arti
Sulla luce
23 Fitoterapia&Nutrizione
Le statine naturali del bergamotto
24 Cosmetica&Natura
Il burro di karité Un alleato per la cura della pelle e non solo Responsabile della redazione e del progetto grafico: Ignazio Nocera Redazione: Valeria Ciotta, Elisa Drago, Christian Intorre, Francesco Maratta, Federica Matutino, Giorgia Matutino, Silvia Nocera, Giusi Sanci. Contatti: theriake@email.it In copertina: Corredo da farmacia del monastero femminile di San Pietro a Montefiascone, sec. XVII manifattura di Bagnoregio. Museo di Palazzo Venezia, Roma. Foto di Ignazio Nocera. Questo numero è stato chiuso in redazione il 7 – 2 – 2018
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Collaboratori: Stefania Bruno, Paola Brusa, Laura Camoni, Corrado De Vito, Roberto Di Gesù, Gaetano Di Lascio, Claudio Distefano, Vita Di Stefano, Carla Gentile, Aurelio Giardina, Pinella Laudani, Erika Mallarini, Rodolfo Papa, Annalisa Pitino. In questo numero: Renzo Belli, Roberto Di Gesù, Elisa Drago, Erika Mallarini, Federica Matutino, Giorgia Matutino, Rodolfo Papa, Renzo Puccetti, Salvatore Sciacca, Elena Vecchioni, Aldo Rocco Vitale, Diego Vitello.
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Corsivo
In alto: Nikiforos Lytras, Antigone di fronte a Polinice morto, 1865. National Gallery of Greece-Alexandros Soutzos Museum. Contravvenendo all’ordine di Creonte di non seppellire Polinice, perché traditore della città, Antigone dà ugualmente sepoltura al fratello, e per questo sarà condannata. Antigone rappresenta la figura antesignana dell’obiezione di coscienza alla legge. Ecco il celebre dialogo tra Antigone e Creonte, nella tragedia di Sofocle. A: Sapevo: e come non avrei potuto? Era chiaro. C: E dunque hai osato trasgredire questa legge? A: Ma per me non fu Zeus a proclamare quel divieto, né Dike, che dimora con gli dèi inferi, tali leggi fissò per gli uomini. E non pensavo che i tuoi editti avessero tanta forza, che un mortale potesse trasgredire le leggi non scritte e incrollabili degli dèi. Infatti queste non sono di oggi o di ieri, ma sempre vivono, e nessuno sa da quando apparvero (…). Traduzione di Raffaele Cantarella.
CONTROCORRENTE
ovvero sulla revisione della Farmacopea Ufficiale Ignazio Nocera A fine 2017, il ministro della salute Beatrice Lorenzin ha istituito un tavolo tecnico per avviare il processo di aggiornamento e revisione della Farmacopea Ufficiale. L’ultima edizione, la XII, risale infatti al 2010. Sono in questo momento al lavoro i rappresentanti dell’Istituto Superiore di Sanità, di AIFA, della Direzione Generale dei Dispositivi Medici e del Servizio Farmaceutico, di FOFI, di SIFO, di SIFAP, di Federchimica, dell’Associazione Farmaceutici Industria, dell’Associazione Italiana di Medicina Nucleare ed Imaging Molecolare, di Assogenerici, di Chemical Pharmaceutical Generic Association, di Federfarma, e di Aschinfarma. Non si vuole stravolgere il tradizionale impianto del testo, sono pertanto all’attenzione dei tecnici solo alcuni aspetti considerati obsoleti. Si provvederà, tra l’altro, ad aggiornare la tabella 2 recante: «”Sostanze medicinali” di cui le farmacie debbono essere provviste obbligatoriamente». La notizia non è sfuggita alla Società Medica Italiana per la Contraccezione (SMIC) che, già all’indomani dell’annuncio della revisione da parte del Ministro, ha avanzato la richiesta di inserire ulipristal acetato (la pillola dei cinque giorni dopo) in tabella 2. Un’istanza debolmente motivata dalla presunta “peregrinazione” da una farmacia all’altra cui sarebbero costrette le donne per reperire il prodotto. Argomento che stride con i dati di vendita forniti da AIFA che hanno mostrato il passaggio dalle 7.796 confezioni vendute nel 2012 (con obbligo di ricetta medica) alle 189.589 vendute nel 2016 (senza obbligo di prescrizione). Rimane tuttavia da spiegare come questi dati di vendita possano essere utilizzati dal Ministero per dimostrare con entusiasmo il calo di aborti effettuati in regime della Legge 194/78, definendo questa situazione “effetto pillola dei cinque giorni dopo”, visto che ulipristal acetato si può comportare esso stesso da abortivo provocando alterazioni a carico dell’endometrio, e impedendo di conseguenza l’annidamento dell’embrione. Sarebbe più onesto riconoscere che il problema dell’aborto è stato semplicemente spostato a monte e reso più sfuggente, visto che non è quantificabile come il numero delle IVG chirurgiche e il numero di IVG ottenute mediante somministrazione di RU486. Sui possibili effetti abortivi di ulipristal acetato e sull’obiezione di coscienza, rimando agli autorevoli contributi dati in questo numero rispettivamente dal professor Renzo Puccetti a pagina 10, e dal dottor Aldo Rocco Vitale a pagina 14. Faccio appello ai colleghi di FOFI e Federfarma, presenti al tavolo tecnico, affinché, evitando l’inserimento di ulipristal in tabella 2, ci permettano di conservare questo piccolissimo spazio di libertà che ancora rimane alla nostra professione.
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Editoriale
FORMAZIONE E COMPETENZA
Scommettere, investire su se stessi e sulle proprie competenze, in una parola, distinguersi è ciò che oggi, più di ogni altra cosa, fa la differenza. Per secoli la farmacia ha avuto un ruolo essenziale nella preparazione del medicinale, trasformandosi poi, negli ultimi cento anni, in presidio insostituibile della distribuzione del medicinale sul territorio. Una figura dunque, quella del farmacista, che nel corso della propria storia ha dovuto integrare e ampliare le competenze specifiche che l’evoluzione e i bisogni della società hanno imposto a ciascun tempo. È riuscito, a cavallo di ogni epoca, nell’arduo compito di traghettare fino ai giorni nostri l’immagine e la percezione della farmacia, quale presidio sanitario affidabile ed efficiente, gestito da professionisti competenti. E sebbene, per secoli, l’evoluzione sia stata un processo costante, ma lento, l’arrivo delle nuove tecnologie, la distribuzione per conto, l’e-commerce, l’apertura a settori quali la fitoterapia e la nutraceutica, la sfida dei programmi di prevenzione e informazione sui corretti stili di vita e di alimentazione, le crescenti esigenze di confronto da parte del paziente-cliente, hanno imposto nell’ultimo ventennio un rapido e continuo cambiamento culturale che oltre all’Italia ha riguardato anche altri Paesi occidentali. Secondo Christopher John, leader dello sviluppo della forza lavoro della Royal Pharmaceutical Society, l’organismo responsabile per la leadership e il supporto della professione di farmacista in Inghilterra, Scozia e Galles, oggi a fianco dello storico ruolo di esperto del farmaco si delinea la figura del caregiver, ovvero di un farmacista sempre più impegnato nell’assistenza centrata sulla persona, garantendo l’efficacia, la sicurezza e l’esperienza del rapporto diretto con il paziente. A ciò si aggiungono i ruoli di manager e sviluppatore di business-servizi. Una rivoluzione vera e propria a cui siamo chiamati ogni giorno e in cui, la porzione di ruoli aggiuntivi che il farmacista intraprenderà dipende da quanto sarà disposto ad investire in formazione e competenza. Essere punto di riferimento, costruirsi delle eccellenze, saper essere counsuelor attento e competente, gestire correttamente la propria farmacia e il proprio personale, facendone una squadra adeguatamente formata e motivata, diventano dunque i passaggi chiave per guidare il cambiamento e non esserne a traino. Una sfida che accompagna il nostro tempo e a cui, con l’umiltà di chi non perde mai la voglia di imparare, abbiamo deciso di dedicare l’intero programma formativo della nostra AgiFar. Un obiettivo chiaro: voler fare del sapere un valore, e della formazione la texture di qualità della competenza. Dal 2018 Formare l’Eccellenza si trasforma, dunque, in Academy. Un modello di formazione, in cui, grazie ad importanti collaborazioni con docenti altamente qualificati, Federfarma Agrigento, l’Università degli Studi di Ferrara e aziende del settore quali Mylan e Bayer, sarà possibile mettere in condivisione saperi, valori, comportamenti e strategie per accrescere il know-how del farmacista. Una formazione strutturata volta all’approfondimento dei temi di maggiore attualità professionale, e un percorso di affinamento delle competenze di management della farmacia. Un percorso realizzato attraverso corsi e seminari diviso in due quadrimestri, aperto a tutti i colleghi che vorranno prendervi parte. Il primo appuntamento domenica 18 febbraio, presso la sede di Federfarma Agrigento, con il corso dal titolo “Nuovi Anticoagulanti Orali: aspetti farmacologici, piani terapeutici e gestione pratica”. Una mattina di approfondimento tenuta dalla dottoressa Valentina Pitruzzella, medico specialista in cardiologia, e dal dottor Mario Giuffrida, farmacista ospedaliero, per accrescere e affinare la conoscenza del tema e favorire la collaborazione tra i diversi operatori sanitari, migliorando l’efficienza dei trattamenti e il percorso terapeutico del paziente. Se la sfida dettata dell’evoluzione socio-economica e normativa del nostro tempo sta tutta nella formazione, la rivoluzione è nella squadra e nella competenza.
Silvia Nocera Presidente di AgiFar Agrigento
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Attualità
FARMACISTA 4.0 Erika Mallarini*
Il concetto di 1.0, 2.0, 3.0 il più recente 4.0 nascono con riferimento al web, ma vengono comunemente utilizzati anche per descrivere le relazioni tra azienda e cliente e tra professionisti che operano insieme in chiave multidisciplinare per realizzare la customer solution. In sanità dove l’interazione tra professioni e lo sviluppo di un empowerment responsabile del paziente sono indispensabili per assicurare l’efficacia terapeutica, l’applicazione pratica di una logica 4.0 è ancora più rilevante. Facciamo prima un po’ di ordine sulle definizioni e quindi sulla loro traduzione in sanità e in farmacia. Il web 1.0 La prima versione della rete internet, rilasciata a disposizione del pubblico nei primi anni novanta, era contrassegnata da siti web statici, realizzati in semplice HTML, con una frequenza di aggiornamento ridotta. Solo i webmaster avevano le competenze tecniche necessarie e gli strumenti per poter aggiornare le pagine di un sito internet. L’utenza poteva così solo usufruire dei contenuti senza creare interazione e le pagine offrivano la possibilità di essere semplicemente consultate. La sanità 1.0 è fatta di servizi on demand intermediati: il medico di medicina indirizza il paziente in caso di una patologia manifesta. Manca la comunicazione tra professionisti e ognuno partecipa al processo di cura secondo le proprie competenze. Il web 2.0 Con l’introduzione dei linguaggi di programmazione dinamici gli sviluppatori hanno permesso all’utenza non tecnica di interagire con i contenuti dei siti internet. Dal 2004, data in cui è stato definito l’aggiornamento del web da 1.0 a 2.0, la possibilità di utilizzare applicazioni online come i blog, i wiki, i forum e i social network hanno permesso all’utenza, con grado di alfabetizzazione informatica non elevata, di pubblicare i propri contenuti online, interagendo con la rete. Con la sanità 2.0 le aziende attivano un’interazione con i pazienti che diventano più attivi nel percorso di cura e che, come una sorta di architetti delle prestazioni, iniziano a rivolgersi autonomamente alle strutture e ai professionisti. La maggiore disponibilità di informazioni sia amministrative sia sulle patologie li rende più autonomi e più propensi all’autocura. Gruppi di pazienti iniziano a interagire tra loro anche tramite social network e portali dedicati. Si sviluppano i primi sistemi di prenotazione on line. Anche in farmacia cresce la propensione all’autocura e quindi il fabbisogno di consiglio e in generale di consulenza integra il fabbisogno informativo della fase 1.0. Anche in termini di strumenti si assiste al proliferare di fidelity card e tool di CRM. Il web 3.0 Dopo solo due anni dal passaggio al web 2.0, nel 2006, si è cominciato a parlare di web 3.0, epoca informatica in cui ci troviamo ad oggi. La differenza in questo caso non è
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nettamente marcata dall’introduzione di nuove tecnologie, ma da differenti fattori. Proviamo a guardarli assieme: • La rete come enorme database: l’introduzione, prima degli RSS e dei file XML, poi dei rich snippet e meta data, offre la possibilità di utilizzare internet come un enorme database, da utilizzare in diverse applicazioni per recuperare dati da fornire all’utenza, si parla quindi di Data Web. • Le intelligenze artificiali: un software capace di interagire con l’utenza viene definito I.A. Al giorno d’oggi abbiamo diversi esempi di programmi così evoluti che si protendono verso questa direzione, per fare tre esempi possiamo citare gli algoritmi di Google, che analizzano la rete per comprendere come posizionare i contenuti a seconda della qualità e della pertinenza con determinate parole chiave, l’algoritmo di Facebook, che ci presenta notizie dai nostri amici in linea con il nostro pensiero e gli algoritmi che regolano i software anti spam, per filtrare i messaggi realizzati da utenti reali da quelli creati artificiosamente da software. • Il web semantico: una declinazione del concetto di “rete come database” è l’introduzione dei contenuti correlati a determinate parole chiave, che permettono
*SDA Bocconi Professor, Government Health & Not For Profit Division e Partner Focus Management
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Attualità potrebbe, dopo aver visionato la cartina per la ricerca di informazioni più performante. andare in un bar, scegliere di cambiare meta Un web adattabile ai diversi dispositivi: il perché in quel momento è sovraffollato o chiuso Responsive Web Design e la grafica vettoriale a causa di una emergenza. correlata permettono di poter visualizzare su diversi dispositivi il contenuto presente sulla • Possedere un vero e proprio alter ego digitale. Pian piano che i nostri documenti si rete. aggiornano e collegano fra loro, • Un web potenziato, capace di modificare la inglobando chip, con a supporto una società: grazie ai Social Network i contenuti di infrastruttura tecnica e man mano che internet escono dallo schermo e modificano il popoliamo la rete con i nostri contenuti mondo che ci circonda. La potenza del mezzo di personali, andremo a creare un vero e proprio comunicazione digitale permette uno scambio alter ego virtuale, che ci permetterà, nel bene e di informazioni tra azienda/consumatore, nel male di far interagire in real time le due politico/elettore, artista/fan e identità: quella reale e quella digitale. proprietario/visitatore che prima era impensabile. • Le nuove interfacce: la domotica, che pian piano si diffonde nei nostri elettrodomestici e • Il web in 3 dimensioni: le nuove tecnologie e nelle nuove automobili intelligenti ci l’elevato accesso alla rete internet hanno permetterà di scambiare i dati relativi al mondo permesso di replicare la realtà in formato reale con il nostro alter ego digitale. Questo digitale. Possiamo quindi accedere alla rete e passaggio è caratterizzato dagli apparecchi effettuare buona parte delle interazioni che elettronici che ci circondano e la rete internet. compongono la nostra vita reale. Il primo Potremo così fare la spesa dal esempio ne è stato second life, ma ad oggi frigorifero o scegliere i film da acquistare dal Facebook, pur se graficamente in una sola televisore e farli vedere ai nostri figli, dal dimensione è il nuovo modello di web 3D. monitor del sedile posteriore della nostra auto, La sanità 3.0 è caratterizzata dal passaggio dalla mentre andiamo al mare. medicina di attesa alla sanità d’iniziativa, ovvero un • Più controllo dell’informazione: se il modello assistenziale che non aspetta il cittadino in passaggio ad un web potenziato ci permette di ospedale, ma gli “va incontro” prima che le patologie modificare la società, intervenendo sulle insorgano o si aggravino, garantendo quindi al paziente informazioni della rete potremo modificare la interventi adeguati e differenziati in rapporto al livello di realtà che ci circonda. rischio, puntando anche sulla prevenzione e La sanità da questo punto di vista è più avanti di molti sull’educazione. La sanità d'iniziativa si basa pertanto altri settori: internet of thing come werable device per il sull’interazione proficua tra il paziente (reso più monitoraggio della salute; algoritmi di gestione dei big informato con opportuni interventi di formazione e data per prevenire patologie, fare diagnosi, fare addestramento) ed i medici, infermieri e operatori sperimentazioni cliniche; intelligenza artificiale per la sociosanitari. diagnosi medica per immagini; telemedicina e così via. Il In farmacia riguarda pertanto prioritariamente le attività web potenziato contribuisce alla diffusione di portali correlate alla pharmaceutical care, sia per la web come Patientslikeme, che prevenzione che per l’aderenza. Ma aiutano i pazienti a trovare nuovi anche progetti di category customer «… solo i giovani possono essere based, ovvero funzionali a sviluppare portatori di questa cultura. (…) il trattamenti. È in commercio anche il primo farmaco digitale: si tratta di l’interesse del cliente verso disturbi, futuro sarà loro solo se sapranno un antidepressivo della Otsuka, patologie o opportunità, coprendersi il presente». prodotto in collaborazione con costruendo la soluzione con il Proteus Digital Health, una pillola paziente. Oggi sono poche e dotata di un sensore ingeribile, soprattutto non strutturate, studiato per misurare la risposta fisiologica alla cura e la sistematizzate, standardizzate e coordinate, ma hanno un compliance del paziente. grande potenziale e si sta facendo esperienza che genera Rispetto al mondo 4.0 la farmacia e la professione del competenze. farmacista sono ancora molto indietro nonostante le potenzialità. Il web 4.0 Naturalmente se siamo passati da un web 1.0 al 2.0 e all’attuale 3.0 giungeremo presto alla nuova versione Passare da una sanità 1.0 a una sanità 4.0 richiede della rete, la 4.0. un’evoluzione culturale non indifferente. È per questo che Realtà aumentata, alter ego digitale, nuove interfacce e solo i giovani possono essere portatori di questa cultura. controllo: le basi per il web 4.0. Ma perché ciò avvenga è indispensabile che a essi venga I fattori che potrebbero portare a questa evoluzione lasciato il giusto spazio dai protagonisti delle generazioni potrebbero essere: precedenti. Ma “fare largo ai giovani” in genere non è una • La realtà aumentata: dispositivi come i Google priorità di chi guida nel nostro settore. Quindi sono i Glasses, gli occhiali di Google per la realtà giovani che devono prendersi il proprio spazio, anche aumentata in fase di sviluppo, o gli smartwatch, perché come più volte ho affermato, il futuro sarà loro interfaccia veloce di comunicazione con il solo se sapranno prendersi il presente. proprio microcomputer portatile (lo smartphone) ci permetteranno in futuro (e in
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alcuni casi già al giorno d’oggi) di interagire in tempo reale con il web sovrapponendo il mondo che ci circonda con la rete. Un esempio? Una persona con al viso i Google Glasses
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Attualità
IL FARMACISTA, COSCIENZA ED IMPEGNO NELLA RESPONSABILITA’ SOCIALE Elena Vecchioni* Sono passati alcuni anni ormai da quando, terminati gli studi universitari, sono ritornata nella mia città, Verona, per iniziare il mio cammino in quella che ancora oggi reputo una professione di straordinario spessore. Questo valore intrinseco, talvolta impallidito da un quotidiano difficile e dalle vicissitudini giornaliere, va ricercato nel nostro impegno, disposizione d’animo e sforzo operoso nella tutela del benessere e della salute altrui. Una professione dunque che, oggi più che mai, ha necessità di
trasferire, promuovere, dimostrare valori assoluti che ne determineranno, a mio avviso, la sopravvivenza in futuro, andando di pari passo con nuove logiche economiche e di mercato. Una professione che deve avere una cosciente base filantropica per diffondere la cultura dell’aiuto concreto sul territorio, creando nuove competenze per implementare e gestire progetti a valenza sociale e di
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supporto pubblico. Oggi tutto questo è necessario perché il contesto istituzionale è in divenire ed è chiara e certa l’evidenza dell’impatto positivo dell’agire responsabile di ogni individuo sulla comunità. Il nostro ruolo è divenuto e sarà sempre più importante per l’opinione pubblica se cresceremo nella qualità della nostra professione, operando anche in ambiti ad ampio spettro di responsabilità sociale. Nel corso della mia esperienza professionale ho abbracciato molti progetti che ho ritenuto allineati a quest’idea di farmacista, che oggi più che mai non può e non deve rimanere indifferente alle problematiche della comunità in cui vive ed opera. L’esperienza che più ha consolidato in me questo
percorso è stata l’incontro con la Fondazione Francesca Rava NPH Onlus, una delle più attive organizzazioni internazionali impegnate nella tutela dei bambini in Italia ed in molti orfanotrofi dell’America Centrale, Haiti, Honduras, Messico, Guatemala, Repubblica Dominicana. L’impegno del volontariato d’oltre Oceano come
*Farmacista
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farmacista è entusiasmante, ricordo l’emozione d’avere istruito i nostri colleghi dell’Ospedale Pediatrico St. Damien ad Haiti, sulle modalità di preparazione del gel igienizzante per le mani, seguendo la formulazione
dell’Università di Torino. E quanta soddisfazione nel sentirsi utili come farmacisti in un paese dove l’acqua è infetta ed il colera endemico! In Italia la Fondazione Rava promuove in molte farmacie il progetto “In Farmacia per i bambini”, grazie al quale portiamo sostegno concreto a molte famiglie in difficoltà ed in emergenza sanitaria. Un’altra grande esperienza è stata per me partecipare attivamente alla catena di aiuti nel recente sisma del Centro Italia, grazie alla nostra Associazione Nazionale Farmacisti in Protezione civile. Sono moltissimi i progetti promossi da enti assistenziali che operano sul territorio italiano che possono avvalersi della partecipazione attiva di professionisti come noi, progetti che ci possono vedere impegnati a livello personale o attraverso le farmacie nelle quali operiamo
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Attualità
ogni giorno, con passione e senso di responsabilità, contribuendo ad accrescere nel l’immaginario collettivo la fiducia nel nostro ruolo sul territorio. Credo che proprio attraverso progetti come questi il farmacista possa dimostrare la valenza del suo “agire responsabile”, della sua capacità di ascoltare il dolore spesso silenzioso degli altri e per questo mi auguro che tanti giovani colleghi possano crescere nella professione con questo senso profondo del “dare per dare” costruendo essi stessi una forte coscienza sociale della professione, che aiuti le giovani generazioni ad uscire dall’indifferenza.
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Bioetica
ULIPRISTAL ACETATO POST-COITALE
Renzo Puccetti* Introduzione L’ulipristal acetato (UPa) appartiene ad una nuova classe di molecole denominate modulatori selettivi dei recettori per il progesterone (SPRMs), una classe di ligandi per il recettore del progesterone che esercita effetti clinicamente rilevanti tessutospecifici agonisti, antagonisti o parziali (misti) agonisti/antagonisti su vari tessuti bersaglio progestinici che in vivo dipendono dall’azione biologica studiata [1]. Il legame dell’UPa con il recettore per il progesterone inibisce le modificazioni transcrizionali indotte dal ligando fisiologico del recettore [2]. Al dosaggio di 30 mg utilizzato dopo il rapporto sessuale la molecola si comporta da antagonista puro del progesterone. Teoricamente gli organi bersaglio dell’UPa sono i tessuti sensibili all’azione del progesterone. In questa revisione ragionata verranno illustrate le evidenze disponibili circa i possibili meccanismi d’azione di UPa quando assunto come prodotto post-coitale (UPa-pc). 1. Effetti sul muco cervicale Nessuno studio è stato condotto per valutare l’effetto della molecola sul muco cervicale. 2. Effetti sugli spermatozoi Uno studio condotto su modello murino non ha evidenziato effetti dell’UPa sulla spermatogenesi, la maturazione spermatica e la fertilità [3]. Un altro studio su modello umano ha esaminato l’effetto di differenti concentrazioni di UPa (1,0-10.000 ng/ml) sugli spermatozoi incubati in condizioni idonee a consentire la capacitazione. È stata rilevata l’assenza di effetti indotti dalla molecola per quanto riguarda i segnali di capacitazione, la reazione acrosomiale spontanea e quella indotta dal liquido follicolare progesterone-dipendente. Quest’ultimo dato è stato interpretato dagli autori come indicatore che l’UPa non svolge a livello spermatico effetti antiprogestinici [4]. In un recente studio UPa non ha dimostrato d’inibire il legame degli spermatozoi con il tessuto tubarico, né di legarsi ai recettori del progesterone sugli spermatozoi alle concentrazioni plasmatiche raggiunte in corso di assunzione post-coitale [5]. 3. Effetti sull’ovulazione In uno studio è stata confrontata rispetto al placebo la capacità da parte di UPa di ritardare la rottura follicolare in tre momenti distinti della finestra fertile: prima della crescita dell’ormone LH, a crescita avviata, ma prima del picco, e infine dopo il raggiungimento del picco di LH [6]. I risultati dello studio sono riportati in Tabella 1. Gli autori riferiscono che, a differenza del LNG, UPa mantiene un’alta efficacia anti-ovulatoria anche quando i livelli dell’ormone luteinizzante cominciano a crescere. Quando invece i livelli di LH raggiungono il picco la somministrazione di UPa ha una scarsa capacità di impedire la rottura follicolare né ritarda l’ovulazione in
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maniera statisticamente significativa rispetto al placebo (1,54±0,52 giorni per UPa rispetto a 1,31±0,48 giorni per il placebo). È stato notato che sulla base di questi risultati UPa risulta avere elevata efficacia solamente nella prima parte della finestra fertile, quando le probabilità di gravidanza per singolo rapporto sono più basse, un’efficacia che però si riduce cospicuamente quando la somministrazione avviene più a ridosso dell’ovulazione [7]. Ciò risulta essere in contrasto con l’efficacia complessiva di UPa, attestata all’85% [8] e con la capacità della molecola di mantenere costante la propria efficacia nei cinque giorni seguenti il rapporto sessuale [9]. È possibile tentare di aggiungere alle eccellenti osservazioni di Mozzanega e coll. considerazioni quantitative. Il tempo che intercorre tra inizio della crescita di LH e rottura follicolare risulta essere compreso tra 24 e 56 ore; raggiunto il picco di LH, il tempo necessario perché si abbia la rottura follicolare è invece pari a 8-40 ore [10]. Questo significa che nelle reali condizioni di impiego, ipotizzando in modo conservativo che la somministrazione di UPa avvenga mediamente dopo 24 ore dal rapporto sessuale, il solo meccanismo antiovulatorio di UPa potrebbe prevenire solo 6,9 gravidanze cliniche sulle 15,4 attese ogni 100 donne che richiedono UPa 24 ore dopo un rapporto avvenuto nella finestra fertile, corrispondente ad un 44,8% di efficacia (Tabella 1). Inoltre l’efficacia della molecola nel prevenire la gravidanza è risultata essere compresa tra il 57,9% ed il 75,0% per somministrazioni avvenute 48-120 ore dopo il rapporto sessuale [11]. Se vi è una differenza tra efficacia antiovulatoria ed efficacia complessiva della molecola, è da ritenere che intervenga un qualche altro meccanismo, molto probabilmente a livello postfecondativo. L’analisi numerica conferma quindi le deduzioni di Mozzanega e coll. 4. Effetti sull’endometrio UPa, somministrato nel coniglio e nel ratto 4-5 giorno dopo il coito (e quindi dopo l’ovulazione che in questi animali è sincrona al coito), è in grado di impedire lo sviluppo della gravidanza [12]. UPa è in grado di espletare effetto inibitorio sui recettori endometriali per il progesterone anche per singole somministrazioni delle dosi più basse [13]. Dosi comprese tra 10 e 100 mg di UPa non micronizzato (50 mg di UPa non micronizzata corrisponde alla dose di 30 mg micronizzata posta in commercio) sono state dimostrate capaci di indurre ritardo nella maturazione endometriale [14]. La somministrazione di UPa dopo la rilevazione ecografica di rottura follicolare avvenuta entro 48 ore dal picco di LH non hanno evidenziato alle dosi di 50-100 mg non micronizzate un ritardo di maturazione endometriale statisticamente significativo rispetto al placebo (OR: 2,2; 95% I.C. 0,4 –11,3; p = 0,36), ma probabilmente, come rilevato dagli autori, ciò può dipendere dalla esiguità numerica del campione (Jonckheere-Terpstra test p = 0,06). Con tutte le dosi UPa ha indotto una significativa riduzione dello spessore endometriale. Gli autori hanno
*Medico e Docente di Bioetica presso il Pontificio Ateneo Regina Apostolorum di Roma Anno I Numero 2 – Febbraio 2018
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Bioetica
Fase di somministrazione del trattamento
UPa n. (%) [I.C.95%]
Placebo n. (%) I.C.95%
Periodo della Periodo della Probabilità di Probabilità di finestra fertile finestra fertile del gravidanza clinica gravidanza clinica della rapporto (%) con solo effetto antisomministrazione sessuale* [0 = giorno ovulatorio di UPa ovulazione] (%) [0 = giorno ovulazione]
Prima della crescita di LH
8/8 (100%)
0/12 (0%)
Da -3 a -5
Da -4 a -5
4 [-5] 13 [-4]
0 [-5] 0 [-4]
Prima del picco di LH
11/14 (78,6%) [49,2-95,3]
0/6 (0%)
Da -1 a -3
Da -2 a -4
13 [-4] 8 [-3] 29 [-2]
2,78 [-4] 1,71[-3] 6,21 [-2]
Dopo il picco di LH
1/12 (8,3%) [0,2-38,53]
0/16 (0%)
Da 0 a -2
Da -1 a -3
8 [-3] 29 [-2] 27 [-1]
7,34 [-3] 26,59 [-2] 24,76 [-1]
+1
0
8 [0]
7,34 [0]
15,44
8,53
TOTALE
20/34 (58,8)
Tabella 1. Inibizione della rottura follicolare a 5 giorni di distanza dal trattamento. * considerando un ritardo medio di 24 ore tra rapporto sessuale e somministrazione di UPa.
inoltre evidenziato un incremento dei recettori per il progesterone ghiandolari e una riduzione della adressina PNAd, ligandi della L-selectina [15]. I dati presentati vengono considerati dagli autori come «le più precoci manifestazioni di un effetto antiprogestazionale» di UPa, termine con cui si deve intendere un effetto antiimpiantatorio verso l’embrione, cioè un effetto microabortivo, o abortivo precoce, dal momento che l’espressione dei ligandi per L-selectina è processo essenziale per l’adesione dell’embrione all’endometrio materno [7;16;17]. In una revisione questi dati non vengono menzionati nelle referenze bibliografiche, tanto che gli autori scrivono: «L’effetto di dosi più basse equivalenti ai 30 mg utilizzati per la contraccezione d’emergenza era simile al placebo» [18]. In una differente revisione, pur inclusi nella bibliografia, non convincono gli autori della presenza di un effetto anti-impiantatorio a carico di UPa: «Ai dosaggi rilevanti per l’uso nella contraccezione d’emergenza (30 mg) UPa non ha effetto significativo sull’endometrio» [9]. Nel rapporto dell’Agenzia Europea del Farmaco (EMEA) adottato per la commercializzazione di UPa con procedura centralizzata si legge: «Il CHMP ha concluso che i livelli plasmatici di ulipristal acetato raggiunti con la formulazione in compresse da 30 mg da porre in commercio dovrebbero approssimarsi alle capsule da 50 mg in cristalli valutate nel programma di fase II e consentono l’estrapolazione dei risultati di sicurezza ed efficacia dai due studi di fase II (HRA2914507 e HRA2914-508)» [19]. Quindi gli effetti osservati con 50 mg di UPa non micronizzato sono assunti come trasferibili alle compresse poste in commercio (30 mg micronizzato) e l’affermazione che gli effetti endometriali osservati non siano osservati alle dosi utilizzate per la contraccezione d’emergenza non è stata sostenuta da alcun dato, come riportato da Hillemanns e Hepp [20]. Nella loro risposta Gemzell e coll. concedono che non vi sono molti dati a riguardo degli effetti endometriali di UPa a cui riconoscono effetti endometriali dosedipendenti. L’argomentazione per negare gli effetti endometriali antinidatori di UPa-pc viene svolta sulla base di alcuni elementi molto puntuali che devono essere esaminati nel dettaglio:
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a)
UPa non induce un ritardo di maturazione rispetto al placebo [15]. b) La riduzione statisticamente significativa di spessore dell’endometrio osservata ad ogni dosaggio di UPa [+1,3 mm. (d.s. ± 2,3) per il placebo contro -0,6 mm. (d.s. ± 2,2) per UPa] osservata [15] è considerata «minima e difficilmente di rilevanza clinica». c) Le alterazioni osservate non comprendono alterazioni dei recettori estrogenici e progestinici stromali e, come dimostrato per altri modulatori del recettore progestinico (PRMs), minime alterazioni dei recettori per il progesterone non sono efficaci nel prevenire la gravidanza negli umani. A questo proposito gli autori citano due studi [21;22]. d) Estrapolando da quanto osservato in altri PMRs, UPa a 30 mg dovrebbe avere un effetto simile a 10 mg di mifepristone, molecola indicata come incapace di inibire l’impianto embrionale [23]. e) Inoltre il verificarsi di rapporti sessuali successivi all’assunzione di UPa si associa ad una maggiore incidenza di fallimenti, interpretata come segno di assenza di modificazioni anti-impiantatorie UPadipendenti [24]. Sulla base di questi assunti Gemzell e coll. affermano che: «Quando il picco di ormone luteinizzante viene raggiunto, l’ovulazione, la fecondazione e l’impianto non possono essere impediti» [25]. Quali risposte sono suggerite da una lettura completa della letteratura? a) UPa si associa ad un ritardo di maturazione che non è statisticamente significativo probabilmente a causa dell’insufficiente potenza statistica del campione, come sembra indicare il test di Jonckheere-Terpstra che sfiora la significatività [15] e come osservato da altri autori [26]. b) L’onere della prova che la riduzione di spessore dell’endometrio di entità pari a quella rilevata non abbia rilevanza clinica è a carico di chi sostiene tale tesi. D’altra parte sono ancora
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LNG n/N (%) [ref. 95]
UPa n/N (%) [ref. 95]
Mif 24-48 h [ref. 99]
6/82 (7,3%)
5/89 (5,6%)
14/85 (16,5%)
0,400 (95%I.C. 0,146-1,099)
0,302 (95%I.C. 0,104-0,879)
1
0,076 (n.s.)
0,028
-
OR (95% I.C.)
Fisher Exact test (p)
Tabella 2. Probabilità di gravidanza per rapporti sessuali dopo la somministrazione di preparati post-coitali
c)
d)
e)
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Gemzell e coll. a ricordare come nella scimmia Bonnet minime alterazioni morfologiche dell’endometrio indotte da onapristone alla dose di 2,5-10 mg in assenza di inibizione dell’ovulazione, sono in grado comunque di deprimere intensamente la recettività endometriale e l’impianto embrionale [27]. Il primo è costituito da un precedente lavoro di Gemzell e coll. in cui era stato valutato l’effetto sull’endometrio di dosi giornaliere continuative di 0,1 e 0,5 mg di mifepristone e non di 10 mg utilizzato in unica dose come rimedio d’emergenza post-coitale. Peraltro 0,5 mg di mifepristone giornaliero inducevano un lieve ritardo di maturazione endometriale, una riduzione del diametro ghiandolare, della lectina DBA e della glicodelina [21]. In quello studio gli autori si interrogavano su quale impatto potessero avere tali modificazioni nell’impedire l’impianto dell’embrione e risulta pertanto incomprensibile come sulla base di quei dati si possa sostenere la certezza che tali modificazioni non ostacolano l’impianto dell’embrione. Anche il secondo studio citato nella risposta di Gemzell e coll. ha esplorato un regime giornaliero di 0,5 mg e non una dose “one shot” post-coitale. Tuttavia, in base ai risultati di quello studio, un dosaggio di mifepristone considerato insufficiente per inibire l’ovulazione determinava il verificarsi di sole 5 gravidanze sulle 40 attese in assenza di contraccezione nei 141 cicli studiati [22]. In questo studio sono state confrontate soltanto le gravidanze con 10 mg di mifepristone settimanali o assunto “on demand” dopo il rapporto sessuale rilevando nei due gruppi 3/56 e 3/68 gravidanze per mesi/donna e stimando dai livelli di progesterone un tasso di ovulazioni pari al 45% in entrambi i gruppi. Nessuna valutazione è stata condotta circa il meccanismo d’azione che ha condotto ad un tasso di gravidanze considerato inaccettabile rispetto agli standards di efficacia contraccettiva [23]. Evocare questo studio per sostenere l’inefficacia del mifepristone come antinidatorio per estenderlo all’UPa è un’operazione ai limiti del funambolico. La perdita di efficacia per rapporti sessuali successivi alla somministrazione di preparati d’emergenza post-coitali non si rileva soltanto per LNG e UPa (OR 4,64; 95% I.C. 2,22-8,96; p = 0.0002) [24], ma è ben presente e ben più ampia per il mifepristone (OR 27,6, 95% I.C. 12,7-60,2] [28] cosicché si potrebbe concludere che UPa possiede maggiore efficacia rispetto al
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mifepristone nel prevenire le gravidanze in caso di successivi rapporti sessuali (Tabella 2). Il fenomeno può trovare plausibile spiegazione nella temporaneità delle modificazioni endometriali antinidatorie farmaco-indotte.
In un recente esperimento la capacità di sferoidi embrionali umani di aderire ad una matrice endometriale coltivata in vitro non è diminuita in presenza di concentrazioni crescenti di UPa. A prescindere dalla trasferibilità dei risultati da un tale modello alla realtà in vivo, lo scetticismo riguardo questo modello è rafforzato dal fallimento nel raggiungere l’outcome anche nei modelli incubati con 0,1 e 1,0 μM di mifepristone ed un efficacia soltanto del 20,2% per concentrazioni pari a 10 μM [29]. 5. Efficacia di UPa somministrato prima o dopo l’ovulazione 700 donne che hanno fatto richiesta di UPa entro 120 ore da un singolo rapporto sessuale non protetto sono state sottoposte a dosaggio del progesterone ed ecografia per verificare se la somministrazione avvenisse prima o dopo l’ovulazione. Nelle 364 donne da cui UPa è stato assunto in fase preovulatoria, a fronte di 22,3 gravidanze attese dal modello di Trussell (6,1%) sono state registrate 5 gravidanze (1,4%). Tale differenza è risultata statisticamente significativa. Nelle 329 donne da cui UPa è stato assunto dopo l’ovulazione, a fronte di 11 gravidanze attese (3,3%) sono state registrate 7 gravidanze (2,1%). Tale differenza non è risultata statisticamente significativa. Questo studio dimostra che UPa ha una maggiore efficacia quando somministrato prima dell’ovulazione, ma è ben lungi dal dimostrare che UPa non agisca anche attraverso meccanismo post-ovulatori. L’analisi di potenza dimostra che per attestare significatività statistica ad una riduzione delle gravidanze come quella osservata come nella popolazione che ha assunto UPa dopo l’ovulazione, dal 3,3% di gravidanze attese al 2,1% di gravidanze osservate, sarebbe servito un campione di almeno 1539 donne, 5 volte maggiore rispetto al campione usato. Detto altrimenti, il campione impiegato è numericamente adeguato a conferire significatività statistica soltanto ad una riduzione di gravidanze che si attestasse allo 0,9% [30]. Conclusioni L’attività antiovulatoria di UPa appare avere un’efficacia che non supera il 50%. Se l’efficacia complessiva di UPa si situa su valori intorno all’85%, rimane da spiegare il restante 35% di efficacia della molecola. La riduzione di efficacia antiovulatoria di UPa con l’approssimarsi dell’ovulazione contrasta con il mantenimento di
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costanti livelli di efficacia per somministrazioni della molecola entro 120 ore dal rapporto sessuale. UPa si caratterizza per la capacità di indurre modificazioni endometriali compatibili con un effetto antinidatorio. Le revisioni che celano questo aspetto della massima rilevanza utilizzano la letteratura scientifica in maniera inappropriata.
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IL DIRITTO FONDAMENTALE ALL’OBIEZIONE DI COSCIENZA COME PROBLEMA BIO-GIURIDICO
Aldo Rocco Vitale* Introduzione. «Non si capisce cosa sia questa obiezione di coscienza (…). È un’arma contro la laicità e l’esercizio delle singole volontà»: [1] così, polemicamente, e forse semplicisticamente, scriveva diversi anni or sono la nota bioeticista Chiara Lalli contro l’obiezione di coscienza dei farmacisti relativamente alla cosiddetta “pillola del giorno dopo”. In via preliminare occorre delimitare il perimetro delle presenti riflessioni, pur nella consapevolezza della loro non esaustività in considerazione della complessità del problema, premettendo alcune note di metodo che possono dar conto della prospettiva “sfocata” più sopra delineata da Chiara Lalli, che nella sua sostanza si ritrova diffusa e condivisa ad ogni livello dell’opinione pubblica, così da sgombrare il campo da ogni equivoco e impostare la giusta rotta per l’analisi della questione. In primo luogo: laicità ed obiezione di coscienza sono due tematiche senza dubbio interconnesse, come ogni aspetto della vita morale e sociale dell’uomo, ma non secondo un rapporto di dipendenza come delineato dalla suddetta bioeticista. A ciò si deve peraltro aggiungere il chiarimento per cui l’idea diffusa di laicità non coincide esattamente con la natura della laicità medesima, ma con la sua sublimazione ideologica che si esprime, appunto, nel laicismo. La laicità non è, infatti, l’assenza di ogni riferimento alla trascendenza, ma anzi proprio la trascendenza presuppone, poiché l’idea di laicità è espressamente sorta nell’alveo della elaborazione teologica cristiana, che per prima ed unica nella storia ha distinto — ma non opposto — la sfera temporale e quella spirituale (cfr. Lc. 20,25), inverandosi fin dall’origine nella prassi della Chiesa la sua più concreta epifania [2]. L’obiezione di coscienza, del resto, trova comunque un suo fondamento del tutto razionale che può benissimo prescindere dalla sfera spirituale di qualunque ordine e grado come, infatti, comprova la stessa realtà sostenuta dalla storia: la formulazione originaria del giuramento di Ippocrate in cui il padre della medicina occidentale si rifiuta di fornire pessari abortivi anche in caso di espressa richiesta delle sue pazienti — ben 5 secoli prima dell’avvento del Cristianesimo — dimostra esattamente tutto ciò, almeno per chi è interessato a rimanere aderente alla realtà piuttosto che alla mera immaginazione intorno alla stessa. In secondo luogo: sarebbe bene recuperare un autentico concetto di scienza e di progresso, poiché si potrà avere vera scienza e vero progresso soltanto nel caso in cui questi si pongano dei limiti. Come in ogni fenomeno umano, infatti, l’assolutezza, cioè
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l’assenza di limiti, conduce presto o tardi alla distorsione di quella dimensione che assoluta si reputa e a nefaste conseguenze proprio per l’essere umano. Una politica assoluta sfocia in regimi totalitari; una economia assoluta conduce alla mercificazione dell’essere umano; una religione assoluta instaura una teocrazia; condizioni tutte in cui si nega la libertà e la dignità dell’essere umano. Perché la scienza dovrebbe godere di un privilegio differenziante ed essere così sottratta alla logica del limite e del suo senso? In fondo, il contributo della falsificabilità delle teorie scientifiche formulata da Karl Popper, ad oggi l’unica e mai smentita solida base epistemologica, è l’espressione più diretta proprio della necessità del riconoscimento dei limiti della scienza. In questo senso si ha vera scienza soltanto nel caso in cui si tenga integro il primo effettivo limite della scienza, cioè il dubbio, così che la scienza che non dubita, cioè che non mette in dubbio anche le stesse risultanze più assodate, non è autenticamente scientifica [3]. In terzo luogo: il problema dell’obiezione di coscienza in genere, quindi non soltanto con riferimento alla professione del farmacista e in relazione all’aborto, è una questione strettamente giuridica che come tale, avendo il diritto una sua dignità epistemica che prescinde da tutte le altre scienze positive o umane, deve essere considerata indipendentemente da ogni ulteriore risultanza scientifica o meno, in sostegno o in opposizione alla stessa. Occorre, tuttavia, precisare il senso in cui l’obiezione di coscienza è un problema giuridico, cioè nel senso ampio di diritto e non in quello ristretto, ovvero secondo la natura sostanziale del diritto e non soltanto secondo la sua manifestazione formale che nella dimensione normativa e legislativa viene ad essere “sintetizzata”. Soltanto accettando i tre predetti presupposti si può cominciare a comprendere il tema dell’obiezione di coscienza, almeno per chi preferisce utilizzare le energie feconde della ragione umana piuttosto che abbandonarsi pigramente alla più rassicurante inerzia sterilizzante del mainstreaming ideologico. Il problema. Da un punto di vista strettamente storico e concettuale l’obiezione di coscienza non è sorta con il Cristianesimo, ma è di gran più risalente. Per quanto sia vero che l’esperienza dei primi quattro secoli cristiani contraddistinti dal martirio delle comunità protocristiane sia un esempio paradigmatico dell’obiezione di coscienza dei cittadini che si rifiutano di incensare l’Imperatore come una divinità esaltandone il potere assoluto, è anche altrettanto vero che l’obiezione di coscienza si propone sulla scienza del pensiero morale e giuridico come
*Dottore di ricerca in Storia e Teoria generale del diritto europeo presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma “Tor Vergata”.
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Figura 1. Raffaello Sanzio, Scuola di Atene. 1509-1511 Stanza della Segnatura, Musei Vaticani, Città del Vaticano.
esigenza della ragione di tutelare il foro interno che accede alla verità libero dalle pressioni esterne che quella verità possono tradire. Se l’espressività letteraria classica condensa nella tragicità delle vicende di Antigone l’apice della fenomenologia dell’obiezione di coscienza, è storicamente accertato che fu Socrate il primo a porre il problema di come doversi comportare allorquando ciò che la legge pur consente appare in contrasto con ciò che la propria coscienza avverte e sente in senso opposto, poiché la legge dello Stato non obbedisce alla legge di natura. Dopo la vittoria ateniese nella battaglia delle Arginuse nel 406 a.C., descritta da Tucidide, che comunque aveva fatto registrare la perdita di diverse navi e di migliaia di marinai dispersi in mare che non furono recuperati per mettere in salvo le rimanenti forze della flotta di Atene, gli otto strateghi a cui fu affidato il comando vittorioso della flotta vennero processati per tradimento per non essere riusciti a salvare i propri naufraghi. Nella democratica e pluralistica Atene del V secolo a.C. si cercava un responsabile ad ogni costo e fu individuato in quegli otto imputati. Ad un processo di tal fatta, dalla chiara impronta politica, si oppose soltanto Socrate che casualmente si era ritrovato a presiedere il tribunale e che decise di non far votare contro gli otto strateghi perché altrimenti si sarebbe compiuta una insopportabile ingiustizia condannando come colpevoli degli innocenti. Il tribunale, senza neanche che fosse esercitato il diritto di difesa da parte degli imputati, ignorando la prudenza a cui aveva esortato Socrate, istigato da Calisseno e dalla folla, ignorò le procedure e la giustizia e ugualmente condannò a morte gli otto imputati. Le parole di Socrate, cristallizzate sia dal racconto storico di Senofonte, sia da Platone, furono emblematiche poiché costituirono la prima forma di testimonianza concreta di obiezione di coscienza che il padre della filosofia aveva
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esercitato per non commettere una terribile ingiustizia [4], anche se tutto il tribunale e perfino l’intero popolo ateniese ritenevano il contrario. Dal predetto episodio storico si deducono almeno due elementi: in primo luogo, l’obiezione di coscienza non si pone in contrasto con il diritto, almeno fino a quando il diritto non si pone in contrasto con la verità e con la giustizia; in tale ultima evenienza l’obiezione di coscienza si oppone ad un ordinamento ingiusto, cioè non già al diritto, ma alla negazione del diritto, come hanno esplicitamente dimostrato, per esempio tra i tanti possibili, le leggi razziali del XX secolo. In secondo luogo, la giustizia — moralmente o giuridicamente intesa — di una azione prescinde dal numero di coloro che la riconoscono o da altri fattori esterni, come per esempio ciò che afferma o non afferma la scienza, la maggioranza politica di turno, o qualunque altro elemento. Dall’esempio di Socrate si comprende non solo la legittimità dell’obiezione di coscienza esercitata da chi ha in cura, come farmacisti e medici, la vita di altre persone, ma la ragionevole e razionale giustificazione morale e giuridica dell’obiezione di coscienza in genere e nel caso di richiesta di somministrazione di farmaci i cui effetti, diretti o indiretti, potenziali o effettivi, possano essere in contrasto non tanto con l’opinione del singolo operatore sanitario quanto piuttosto con la giustizia in sé considerata che richiede che l’operatore sanitario non si ponga mai in contrasto con quella vita che è chiamato a tutelare in ragione della natura della propria arte. L’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) tanto per via clinica quanto per via farmaceutica, prima o dopo l’annidamento dell’embrione, e, in prospettiva per il prossimo imminente futuro, anche l’interruzione volontaria della sopravvivenza (IVS) tramite procedimenti di assistenza farmaceutica al suicidio o all’eutanasia, è un atto che contrasta con almeno due dimensioni strutturali di chi esercita la professione
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Figura 2. Ippocrate e Galeno. Anagni (Frosinone), cripta della Chiesa Cattedrale di Santa Maria. Affresco, 1231-1255.
medico-farmaceutico-sanitaria: in primo luogo, perché trasforma il favor vitae verso cui dovrebbe essere proteso l’intervento del personale sanitario in una azione orientata dal favor mortis, contraddicendo la stessa natura della professione che si esercita, motivo per cui Ippocrate sollevava obiezione di coscienza sia contro l’aborto che contro l’eutanasia. In secondo luogo, perché anche se la legge ammette l’aborto e l’eutanasia e vieta (circostanza peraltro falsa) l’obiezione di coscienza del personale esercente una professione di cura dell’essere umano, l’incoercibilità della coscienza personale — cosa ben distinta dalla mera opinione individuale — [5] rimane e permane un diritto fondamentale dell’essere umano che non può essere oppresso, represso o soppresso, almeno all’interno di una cornice di un presunto Stato di diritto, dovendosi sempre ricordare che il farmacista, come del resto il medico, prima di essere ciò che fa, è ciò che è, ovvero un essere umano dotato di coscienza, cioè di quell’organo “metasensoriale” che consente — o dovrebbe consentire nonostante l’analgesia culturale e assiologica imperante — di distinguere il bene dal male, il vero dal falso, il giusto dall’ingiusto tramite gli strumenti dell’umana ragione. Se così non fosse, come alcuni ritengono, il personale sanitario correrebbe un grave rischio di strumentalizzazione, con conseguente pervertimento della sua stessa deontologia e libertà, come, del resto, è già accaduto e storicamente accertato, per esempio, nel caso della classe medico-sanitaria della Germania nazionalsocialista. La libertà di coscienza che tramite l’obiezione si palesa da parte del farmacista o del medico, dunque, è manifestazione evidente dei limiti dello Stato, dei limiti della scienza, dei limiti dell’ordinamento, specialmente allorquando Stato, scienza e ordinamento si pongano in
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contrasto con il diritto fondamentale alla libertà dell’essere umano che è “imprigionato” nel ruolo dell’operatore sanitario naturalmente vocato alla conservazione della vita umana. Non è un caso, dunque, che la Corte Costituzionale italiana abbia già da moltissimo tempo individuato nella tutela dell’obiezione di coscienza un diritto costituzionalmente garantito che lo Stato e l’ordinamento devono necessariamente riconoscere e proteggere [6]. In questo senso il Comitato Nazionale per la Bioetica ha ricordato che relativamente alla contraccezione emergenziale è diritto del personale sanitario, ovviamente anche del farmacista, «appellarsi alla “clausola di coscienza”, dato il riconosciuto rango costituzionale dello scopo di tutela del concepito che motiva l’astensione (cfr. p. es. Corte cost. n. 35/1997), e dunque a prescindere da disposizioni normative specificamente riferite» [7]. Conclusioni. Da tutto quanto fin qui considerato trovano scaturigine determinate conclusioni. In primo luogo: non si può negare al farmacista il diritto all’obiezione di coscienza, sia per la contraccezione d’emergenza sia per la farmaceutica con fini eutanasici, poiché il diritto costituzionalmente garantito alla libertà di coscienza è tutelato anche per i farmacisti non solo in virtù della diretta tutela che la giurisprudenza costituzionale ha oramai riconosciuto da tempo, ma anche in virtù dell’inderogabile vigenza del principio di uguaglianza, formale e sostanziale, sancito dall’articolo 3 della Costituzione che, con tutta evidenza, sarebbe palesemente violato qualora l’obiezione di coscienza fosse riconosciuta soltanto per i medici come i ginecologi e non anche per i farmacisti.
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In secondo luogo: prescindendo dalla controversia più o meno fondata circa gli eventuali e finanche potenziali effetti abortivi della contraccezione d’emergenza, il farmacista che in virtù dei sistemi filosofici, etici o religiosi a cui dovesse aderire ritenesse che il concepimento avvenuto possa essere messo a rischio dalla contraccezione emergenziale, avrebbe il pieno diritto ad obiettare, non solo in ragione della libertà di coscienza testé delineata, ma anche in ragione di una altrettanto sempre rivendicabile libertà di scienza, dato che, come affermano unanimemente tutti i manuali di embriologia, con la fecondazione si avvia una nuova esistenza geneticamente autonoma che come tale il farmacista potrebbe voler riconoscere e rispettare evitando di somministrare farmaci che potrebbero, anche soltanto
Stato che nega la libertà del foro interno, il riconoscimento della fallibilità della scienza, presupposto affinché la scienza sia non soltanto autenticamente scientifica, ma anche e soprattutto
potenzialmente, interromperne il Figura 3. Karl R. Popper, filosofo ed epistemologo. Vienna 1902 – Londra 1994. corso dello sviluppo. realmente a favore dell’umano, e infine il In terzo luogo: si dovrebbe effettivamente — non certo in riconoscimento del principio del favor vitae che questa sede dati i ristretti spazi e la complessità del tema dovrebbe informare l’intera esperienza dell’arte — affrontare il problema della reale coordinazione tra la curativa in ogni sua declinazione. normativa che consente la contraccezione d’emergenza e Si possono dunque accogliere le riflessioni di Sergio quella che consente l’IVG, cioè la celebre legge n. Cotta allorquando ha precisato che «l’astensione dal 194/1978, poiché non è così giuridicamente pacifica la praticare l’aborto, l’eutanasia e gli interventi sulla possibilità di un raccordo tra le due discipline nonostante struttura genetica umana per alterarla costituisce per il la loro coesistenza formalmente considerata. medico un dovere in virtù del principio di non uccidere, In quarto luogo: l’obiezione di coscienza esprime e nonché di quello di non modificare la natura dell’uomo» garantisce il fondamentale riconoscimento dei limiti [8]. dell’ordinamento, evitando il totalitarismo etico dello Bibliografia e note: 1. 2. 3.
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Chiara Lalli, C’è chi dice no. Dalla leva all’aborto, Il Saggiatore, Milano, 2011, pag. 130-133. Aldo Rocco Vitale, Cristianesimo e diritto, Algra Editore, Catania (2017). «La verità è al di sopra dell’autorità umana[…]. Una teoria che non può essere confutata da alcun evento concepibile, non è scientifica»: Karl Popper, Congetture e confutazioni, Fabbri Editori, Milano, 1996, pag. 57-66. «Fui consigliere; capitò che fosse alla presidenza (pritania) la mia tribù Antiochide, il giorno in cui voi foste dell’idea di processare tutti insieme i dieci strateghi che non avevano ripescato la gente dopo lo scontro navale; procedimento illegale, come poi ammetteste tutti quanti. In quei momenti io solo, dell’ufficio di presidenza, mi opposi perché non faceste mosse fuori dalla legge e votai contro. C’erano già dei politicanti pronti a sospendermi ed a denunciarmi. Voi alzavate la voce, urlavate ordini. Ma io pensai che era meglio assumermi dei rischi stando dalla parte della giusta causa e della legge, piuttosto che unirmi a voi nella delibera iniqua, per terrore della catene o della morte»: Platone, Apologia di Socrate, XX, 32. «Se in ultima analisi il diritto all’obiezione di coscienza può essere configurato costituzionalmente come diritto fondamentale della persona (artt. 2, 3, 10, 19, 21 Cost.), tuttavia non ne può essere accolta una concezione puramente soggettivistica, ossia una concezione che escluda di poter considerare il contenuto dell’obiezione e quindi eventualmente condurre un confronto tra i valori a cui l’obiettore si
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richiama e i valori tutelati dalla legge contro cui è fatta obiezione»: Comitato Nazionale per la Bioetica, Obiezione di coscienza e bioetica, 12 luglio 2012, pag. 12. «A livello dei valori costituzionali, la protezione della coscienza individuale si ricava dalla tutela delle libertà fondamentali e dei diritti inviolabili riconosciuti e garantiti all'uomo come singolo, ai sensi dell'art. 2 della Costituzione, dal momento che non può darsi una piena ed effettiva garanzia di questi ultimi senza che sia stabilita una correlativa protezione costituzionale di quella relazione intima e privilegiata dell'uomo con se stesso che di quelli costituisce la base spirituale-culturale e il fondamento di valore etico-giuridico. In altri termini, poiché la coscienza individuale ha rilievo costituzionale quale principio creativo che rende possibile la realtà delle libertà fondamentali dell'uomo e quale regno delle virtualità di espressione dei diritti inviolabili del singolo nella vita di relazione, essa gode di una protezione costituzionale commisurata alla necessità che quelle libertà e quei diritti non risultino irragionevolmente compressi nelle loro possibilità di manifestazione e di svolgimento a causa di preclusioni o di impedimenti ingiustificatamente posti alle potenzialità di determinazione della coscienza medesima»: Corte Costituzionale n. 467/1991. Comitato Nazionale per la Bioetica, Nota sulla contraccezione d’emergenza, 28 maggio 2004. Sergio Cotta, Il diritto come sistema di valori, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2004, pag. 168.
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SULLA LUCE Rodolfo Papa LA LUCE E L’ECLISSE Leggendo e ascoltando commenti ad opere d’arte, ci si imbatte sempre in una componente essenziale della descrizione critica: la luce. Utilizzata in chiave tecnica o più raramente in chiave teorica, compare quasi sempre nella narrazione di alcuni periodi storici come il Gotico o nella descrizione di alcuni singoli artisti come Jan Van Eijk o Caravaggio. Sebbene sempre nominata, in realtà la luce non è affatto considerata in maniera sistematica in campo storiografico, come provocatoriamente ricorda Hans Sedlmayr, prendendo spunto da un’eclisse di luce realmente avvenuta nel 1842: «Alla storia dell’arte si pone d’ora in avanti il compito di considerare e studiare più attentamente un avvenimento che è senza dubbio fra i più importanti del secolo […]: la morte della luce. Questo – è ovvio – potrebbe realizzarsi soltanto nell’ambito di una storia della luce nell’arte (e non soltanto nell’arte) che comprenda tutte le epoche; si giungerebbe forse a constatare che una storia della luce porterebbe in evidenza fenomeni ancor più essenziali che non quella storia dello spazio che, da Riegl in poi, è divenuta il grande problema di fondo della storia dell’arte. … [a Figura 1. Caravaggio, Conversione di Saulo. Olio su tavola di cipresso (237x189 cm), 1600 – 01. metà Ottocento] la luce subisce Collezione Odescalchi, Roma. due metamorfosi epocali. Essa si secolarizza completamente nell’architettura in ferro e bisogno di trasformare la notte in giorno, inventando vetro dei palazzi di cristallo […], elevandosi a un nuove sorgenti luminose che rivaleggino col sole. Al significato metafisico-secolare. La qualità si trasforma ora tempo stesso, però, a cominciare dall’epoca di Cézanne, la in quantità; erompe una vera e luce viene inghiottita dal colore» propria sete di luce. […] questo «Il colore è stato svincolato dalla luce, (Hans Sedlmayr, La morte della deve richiamare alla nostra reso elemento esclusivamente materiale, luce [1951], in La luce nelle sue mente la sconfinata sete di luce manifestazioni artistiche, Palermo per certi versi antitetico proprio alla che arde nell’uomo nel quale si 2009, p. 61). sia spenta la luce interiore. partire da queste luce, senza la quale di fatto non potrebbe A Quest’uomo ha bisogno della considerazioni, potrebbero esistere. Ed anche la luce è stata ridotta pienezza della luce naturale e aprirsi infiniti campi di ricerca, materiale proprio per a puro fenomeno elettrico» che di fatto non sono stati surrogare quella mancanza, ha percorsi. A partire dagli anni ’50 bisogno del culto della luce dei dello scorso secolo, per certi palazzi di cristallo, della pittura en plein air, della versi si è assistito invece ad un proseguimento degli studi fotografia, di una totale illuminazione delle case durante sullo spazio e ad un approfondimento dello studio il giorno (spinta a un’intensità tale, da essere già oggi dell’ombra, ovvero del luogo in assenza di luce, come riconosciuta dannosa), del culto dei bagni di sole; ha conferma perfino il famosissimo testo di Ernest Gombrich
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quale ogni sua opera era composta da un’unica splendida tinta. Quest’avventura culminò nella collaborazione di Klein col rivenditore di colori parigino Edouard Adam nel Rodolfo Papa, pittore, scultore, teorico, storico e 1956, alla ricerca di una nuova sfumatura di blu, tanto filosofo dell’arte. vibrante da sconcertare. Nel 1957 lanciò il suo manifesto Esperto della XIII con una mostra, Proclamazione dell’epoca blu, che Assemblea presentava undici quadri dipinti con questo nuovo colore. Generale Affermando che la pittura monocroma di Yves Klein era Ordinaria del frutto dei progressi tecnologici della chimica, non intendo Sinodo dei solo dire che il suo colore era un prodotto chimico Vescovi. Docente moderno: l’intero concetto della sua arte era ispirato alla di Storia delle tecnologia. Klein non voleva soltanto esibire colore puro: teorie estetiche voleva mettere in mostra la magnificenza del nuovo presso l’Istituto colore per goderne la consistenza materiale» (Philip Ball, Superiore di Colore. Una biografia [2001], Milano 2004, pp.9-10). Scienze Religiose Le infinite gamme di tinte offerte dalle case produttrici Sant’Apollinare, Roma; il Master di II Livello di Arte e sono ormai dominanti in ogni mercato, e sinuosamente e Architettura Sacra dell’Università Europea, Roma; sensualmente pervadono ogni ambito, tuttavia rischiano l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Santa di causare una immensa perdita culturale. Persino un Maria di Monte Berico, Vicenza; la Pontificia insospettabile quale Manlio Brusatin, nell’introduzione Università Urbaniana, Roma. È Accademico Ordinario alla sua memorabile Storia dei colori del 1983, scrive: «In della Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e questa breve storia [dei colori] si trova anche quanto Lettere dei Virtuosi al Pantheon. Presidente della appartiene all’aspetto materiale dei colori che è il modo Accademia Urbana delle Arti. della loro fabbricazione, del loro uso e fortuna fino al passaggio tragico all’età industriale: dalle tinte naturali Tra i suoi scritti si contano circa venti monografie e soggette allo scolorire del tempo e al loro fantasma alcune centinaia di articoli (“Arte Cristiana”; “Euntes purpureo fino alla storia delle tinte chimiche tenaci, Docete”; “ArteDossier”; “La vita in Cristo e nella violente ed essenziali come veleni» (Manlio Brusatin, Chiesa”; “Via, Verità e Vita”, “Frontiere”, “Studi Storia dei colori, Torino 1983, pp. XI-XII). cattolici”; “Zenit.org”, “Aleteia.org”; …). Si tratta dell’analisi della perdita di un principio Come pittore ha realizzato interi cicli pittorici per fondamentale e insostituibile per rappresentare la Basiliche, Cattedrali, Chiese e conventi (Basilica di bellezza. Fin dai tempi antichi la luce è stata la metafora San Crisogono, Roma; Basilica dei SS. Fabiano e principale per narrare lo splendore della verità e della Venanzio, Roma; Antica Cattedrale di Bojano, bellezza. In epoca cristiana, poi, la luce è divenuta il Campobasso; Cattedrale Nostra Signora di Fatima a simbolo stesso della bellezza, che è di per sé verità Karaganda, Kazakistan; Eremo di Santa Maria, illuminante e che quindi è capace di dire qualcosa Campobasso; Cattedrale di San Panfilo, sull’ineffabile mistero di Dio. La bellezza è proporzione, Sulmona; chiesa di san Giulio I papa, Roma; San ovvero luogo numerico e geometrico di verità evidenti, Giuseppe ai Quattro Canti, Palermo; Sant'Andrea ma è anche claritas ovvero splendore, luminosità, della Valle, Roma …). lucentezza, purezza illuminante. Tutta l’architettura, la pittura, la scultura e perfino la poesia erano costituite e The Shadows del 1995. impastate di claritas. Ogni singolo elemento delle infinite Inoltre, quanto Sedlmayer accenna riguardo allo decorazioni scultoree delle spostamento dell’interesse dalla cattedrali aveva il compito di luce al colore, ovvero potremmo «Fin dai tempi antichi la luce è stata la catturare la luce e di riverberarla dire da una visione metafisica ad attorno a sé, in una cascata una materialista, è stato metafora principale per narrare lo continua di luminosità confermato negli sviluppi splendore della verità e della bellezza» discendente, capace di assolvere al successivi, in campo artistico, compito di illuminare teorico e storiografico. Il colore è materialmente un luogo, senza perdere il valore stato svincolato dalla luce, reso elemento esclusivamente simbolico morale e spirituale. materiale, per certi versi antitetico proprio alla luce, senza la quale di fatto non potrebbe esistere. Ed anche la luce è stata ridotta a puro fenomeno elettrico. Prendendo, per esempio, in esame il libro di Philip Ball, Colore. Una biografia [2001], che narrativamente racconta la storia del colore che, originandosi nel secondo Novecento, si sviluppa fino ai nostri giorni, notiamo la sottolineatura della volontà di produrre pigmenti sintetici, capaci da soli di essere l’unico cuore pulsante di tutta l’attività creativa, non solo in campo artistico, ma di fatto con ricadute in tutti i campi, a motivo della caratteristica, tipica della nostra epoca, di far muovere qualunque segno periferico, fino a farlo divenire agente consumistico globalizzato. Ball così inizia il suo racconto: «Ritengo che in futuro si comincerà a dipingere quadri di un solo colore, e nient’altro. L’artista francese Yves Klein pronunciò questa frase nel 1954, prima di lanciarsi in un periodo monocromo, durante il Figura 2. Yves Klein
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Figura 3. Jan Van Eijk, La Vergine e il Bambino con Santi e donatore, 1441. Frick Collection, New York.
Oggi, come sottolinea Sedlmayer, viviamo in un’epoca deturpano i piani “astrattizzanti” e “incorporei”, incapace di vivere e di sopportare la penombra, in una piacevoli sul monitor del computer o nel rendering, ma esposizione eccessiva alla luce, che crea un inquinamento impropri e sgradevoli nella realtà naturale. luminoso dannoso, sia con costi di problemi ottici, sia con Questo incidente, frequente nella nostra costi di produzione energetica, ma contemporaneità, può essere anche con infiniti danni «In epoca cristiana la luce è divenuta il rivelatore di una insufficiente psicologici e spirituali. Le chiese simbolo stesso della bellezza, che è di per sensibilità nei confronti della contemporanee utilizzano sistemi luce ed anche nei confronti dei sé verità illuminante e che quindi è capace corpi illuminati. Anzi forse i tecnologici di illuminazione e non hanno più alcun riferimento con di dire qualcosa sull’ineffabile mistero di maggiori problemi si la claritas, l’esigenza pratica ha Dio» manifestano proprio a cancellato l’interesse per la proposito della corporeità bellezza e per la verità. Accade delle cose e a proposito del così che tali chiese appaiano mute e cieche, forse perché corpo umano. Infatti accade di osservare gli oggetti e di si è troppo accettato ogni dettame consumistico vedere il mondo attraverso una ideologia che si contemporaneo, senza verificarne i costi non materiali. potrebbe definire del “corpo assoluto” o meglio ancora Ma il sacro è ben altro che industrial design. della “incorporeità della bellezza”. Di fatto, siamo immersi in una tipologia di immagini in cui gli effetti dei IL CORPO DELLA LUCE set fotografici mostrano i prodotti senza profondità, La presenza della luce nella teoria dell’arte qualifica un senza ombre proprie e senza ombre portate; gli oggetti vasto mondo di esperienze artistiche e consente di vengono proposti in modo da cancellare la comprenderle. La conoscenza della luce aiuta la lettura dimensionalità ed anche, di conseguenza, la temporalità. delle opere pittoriche ed architettoniche ed inoltre forma Per esempio, il corpo delle modelle viene mostrato, la consapevolezza di come progettarle e realizzarle. attraverso un complesso sistema di illuminazione, come Senza la teoria delle luci e delle ombre, il disegno, la quasi privo di ogni ombra, se non quelle minime pittura ed anche l’architettura perdono significato e necessarie alla percezione, in questo modo il corpo viene rischiano di ridursi a mero esercizio di “stile”. ridotto ad una astrazione, e di conseguenza viene Capita sovente di vedere progetti architettonici che, una percepito come modello incorruttibile di una bellezza volta realizzati, mostrano una brutta reazione con la luce eterea ed incorporea, in una sorta di effetto di sparizione naturale: masse troppo sporgenti, ombre troppo marcate della corporeità proprio nella rappresentazione un oppure proiezioni di ombre inattese e non calcolate, corpo. Tutto appare sovraesposto ed appiattito. Quando
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Figura 4. Dosso Dossi, Giove pittore di farfalle, Mercurio e la Virtù. Olio su tela (111,3 x 150 cm), 1523-24. Castello di Wawel, Cracovia.
si abitua il gusto a questo tipo di immagini patinate, e consumato. difficilmente si può percepire la realtà senza sofferenza, Nell’arte pittorica sta accadendo un fenomeno analogo. giacché la luce naturale non cancella ma rileva, e lo stesso Da una parte il corpo è annullato nell’esaltazione corpo può apparire, nella sua luminosa del colore, tutto è ridotto verità, brutalmente imperfetto. a pigmento senza ombre e senza «Quando si abitua il gusto a (…) L’incorporeità della bellezza, luci, in una incorporeità diimmagini patinate, difficilmente si proposta da questa visione vertente dal reale. Nel contempo fondamentalmente consumista e però, tutto è più materiale che mai. può percepire la realtà senza materialista, produce due effetti La sola visione intra-fisica del sofferenza, giacché la luce naturale stranianti diametralmente opposti. mondo, non permette di vederlo non cancella ma rileva, e lo stesso Da una parte si annulla il corpo perché troppo immersa in esso, e reale delle cose in una corpo può apparire, nella sua verità, quindi di fatto è incapace a trasfigurazione incorporea rappresentarlo. Il corpo risulta brutalmente imperfetto» pseudo-angelica, per cui gli oggetti, sospeso ed annullato in divertenti i prodotti e i corpi umani sono giochi linguistici e formali, e nel rappresentati come sospesi e privi di ogni qualità e contempo è materialmente frantumato in parti o in accidente che li identifichi come tali. Privati delle ombre deformi dissociazioni psicotiche. proprie e portate sono anche privi di odore, calore, umori Il corpo è l’oggetto dei desideri privi di peso perché e peso. Dall’altra parte, questa operazione di riduzione ad incorporei, e quando il corpo stesso si fa presente, una patina levigata, riduce ad inorganico ogni corporeità, quando è vicino, quando è reale, allora appare proponendola nello stesso tempo come consumabile ed insostenibile ed insopportabile e viene smembrato, appetibile. In questa prospettiva, si può leggere Il sex violentato e rinnegato, perché è troppo umano, pieno di appeal dell’inorganico scritto da Mario Perniola nel 1994, difetti, odori, umori, e perché è — in una parola — in una visione sociologica dell’estetica contemporanea. mortale. Necessariamente l’operazione di edulcorazione del Sembra che l’occulto significato delle strategie di corporeo non eleva il discorso, ma lo porta marketing operate attraverso la sovraesposizione paradossalmente alla sua più bassa materialità, appunto fotonica delle cose e del mondo, consista proprio nel quella dell’oggetto desiderabile consumabile, di cui ci si nascondere il terrore della morte ed illudere, attraverso può impossessare, ma che viene poi rifiutato e gettato l’inganno dell’incorporeità del corpo, che l’oggetto dei via, con la stessa superficialità con cui è stato desiderato nostri desideri sia immortale, a portata di mano e
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sempre disponibile. Sembra dunque che l’assenza di luci e di ombre serva una visione disincarnata e insieme materialistica, consumistica e insieme astratta della realtà. LA LUCE SACRA Ci si può interrogare se questo linguaggio, che veicola una tale concezione materialista e consumista della luce e di conseguenza della rappresentazione del mondo, possa essere in grado di dire una visione realistica e aperta alla trascendenza, o addirittura se possa parlare di Gesù Cristo. La risposta sembra scontatamente negativa, eppure può e deve essere articolata in almeno due direzioni di ragionamento. Infatti, occorre tenere conto che una sbagliata concezione della luce e della corporeità, può condurre, in primo luogo, verso l’astrattismo, l’informale e il deforme. Infatti, senza la luce cade anche la forma. Ebbene, queste modalità linguistiche che non vogliono e non possono conoscere la realtà corporea, si rivelano incapaci di cogliere la dimensione creaturale della realtà e, soprattutto, si rivelano costitutivamente inadeguate alla trasmissione di misteri che sono “incarnati”. Di contro però, una erronea concezione della luce e della corporeità può condurre anche verso l’iperrealismo, che risulta essere anch’esso incapace di cogliere il senso unitario della realtà, in quanto ossessionato dall’analisi del particolare, tanto da non saper neanche vedere la sintesi unitaria della realtà. La duplice dimensione storica ed eterna, umana e divina di Gesù Cristo risulta in questi termini indicibile nella sua unitarietà. Sembra, dunque, che una corretta considerazione della luce e della corporeità naturale, conduca verso una dimensione realistica ma non ossessivamente iperrealistica, sintetica ma non astratta, ovvero a un realismo moderato, a un realismo antropologico, cioè a quella medietà virtuosa in cui tutte le strade umane trovano la propria vera virtù, tanto da poter accogliere i doni soprannaturali e teologali propri dell’arte realmente sacra.
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Figura 5. Barbara Kruger, Untitled (I shop therefore I am), 1987. Photographic silkscreen on vinyl (111 x 113”). Londra.
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Fitoterapia&Nutrizione
LE STATINE NATURALI DEL BERGAMOTTO
Un tempo considerato scarto, il succo di bergamotto è stato rivalutato per la peculiare ricchezza di flavonoidi rispetto agli altri agrumi Elisa Drago* Il bergamotto (Citrus bergamia) è un agrume appartenente al genere Citrus. L’etimologia del nome pare derivi dal turco bergamundi, pero del Signore. Il bergamotto è un albero di 4 m di altezza coltivato principalmente (90% della produzione mondiale) nella fascia costiera della provincia di Reggio Calabria che va da Scilla fino a Gioiosa Jonica. I frutti sono tondeggianti con buccia liscia e spessa che va dal verde al giallo con il progredire della maturazione. Tre sono le principali cultivar di questo albero: Fantastico, Femminello e Castagnaro. Il bergamotto è utilizzato soprattutto nella produzione di olio essenziale, ottenuto dopo pelatura della buccia del frutto. L’essenza di bergamotto, riconosciuta DOP dal 1999, è usata in diversi ambiti: • nell’industria farmaceutica per le proprietà antisettiche e antibatteriche; • nell’industria cosmetica (in profumi, creme, saponi, aromaterapia) per l’intensa fragranza e freschezza; • nell’industria alimentare come aromatizzante nella produzione di dolci, liquori e tè. Il succo di bergamotto da circa due secoli viene proposto dalla medicina popolare della zona grecanica della provincia di Reggio Calabria come presidio farmacologico. Nell’ambito del progetto QUASIORA il gruppo di ricerca dell’Unical, ha identificato, isolato e caratterizzato due nutraceutici aventi la struttura degli HMG-flavonoidi. Nella stessa fonte naturale sono presenti, a diverse concentrazioni, anche altre molecole recanti l’unità HMG. I risultati sono stati coperti da brevetto e pubblicati nel 2009 [1]. Tutte le metodologie classiche della chimica estrattiva e sistemi di riconoscimento strutturale, quali tecniche spettroscopiche e spettrometriche, sono state utilizzate per il riconoscimento iniziale di tali nutraceutici. La ricerca di un metodo spettrometrico MS/MS, in analogia con quanto prima descritto, consente oggi la rapida identificazione ed il dosaggio delle specie attive in matrici naturali. Gli stessi principi attivi sono stati identificati anche nell’albedo del frutto [2]. Gli HMG-flavonoidi sono caratteristica dei tessuti del bergamotto e per la loro struttura agiscono da analoghi del substrato HMG-CoA nell’interazione con l’enzima riduttasi, la cui attività viene temporaneamente bloccata. Tale proprietà nutraceutica è stata determinata in vitro e, recentemente, su cavie [3], sono inoltre iniziati gli studi epidemiologici [4]. È stata anche verificata la stabilità delle statine naturali del bergamotto a seguito di trattamenti termici e di processi di fermentazioni naturali. Tale presupposto è foriero di importanti applicazioni della materia prima nella preparazione di cibi “funzionali”. – Analisi fitochimica del succo. Caratterizzazione del complesso flavonoidico tramite cromatografia ad alta pressione (HPLC) e Spettrofotometria di massa; – Analisi clinica durante e dopo la somministrazione di 50 cc di succo, per 60 giorni.
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Il succo è caratterizzato da un profilo unico di flavonoidi, composti polifenolici apprezzati per le loro proprietà salutistiche, tra i quali spiccano la neoeriocitrina, la neoesperidina e, come già da qualche anno scoperto dal gruppo di ricercatori diretti dal Prof. Giovanni Sindona presso il dipartimento di Chimica dell’Università della Calabria, anche brutieridina, melitidina e peripolina. Grazie all’azione combinata di tali composti, il succo di bergamotto ha dimostrato una forte attività nel contrastare le sindromi metaboliche e ridurre il rischio cardiovascolare. Questi principi attivi, brutieridina, melitidina e peripolina, ricavati dal succo di bergamotto, hanno attività simile a quella delle statine, farmaci noti per inibire la produzione endogena del colesterolo «cattivo» LDL, dal momento che regolano il livello di colesterolo LDL circolante, come anche il tasso di glicemia e dei trigliceridi circolanti. Hanno infatti la stessa relazione struttura-attività delle statine. Come queste sono capaci di ridurre la concentrazione dell’enzima chiave HMGR, 3-Hydroxy-3-methylglutaryl-CoAReductase. Grazie alla presenza di brutieridina, melitidina e peripolina l’assunzione di succo di bergamotto, moderata e giornaliera, riduce il rischio di malattie cardiovascolari prevenendo l’accumulo di sostanze grasse nelle pareti arteriose, se integrato ad una dieta varia ed equilibrata e ad uno stile di vita sano. Somministrando la frazione concentrata di flavonoidi a dosi non inferiori a 500 mg si possono osservare effetti positivi sui livelli di colesterolo LDL con riduzioni medie del 28% sul colesterolo totale e del 33% sul valore di LDL e persino superiori sui valori dei trigliceridi.
Bibliografia 1.
2. 3. 4.
Di Donna L., Dolce V., Sindona G., brevetto ITCS20080019; Bartella L., Cappello A., Di Donna L., Gallucci G., Sindona G., brevetto UB2015A000297; Di Donna L., Sindona G. et al.,J. Nat. Prod., 2009,72,1352. Di Donna L., Sindona G. et al., Food Chem., 2011,125,438. Dolce V., Sindona G. et al., J. Functional Food, 2014,7,558. In collaborazione con UOC di Cardiologia dell’Ospedale di Castrovillari (CS), dott. G. Bisignani
*Farmacista
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Cosmetica&Natura
IL BURRO DI KARITÈ Un alleato per la cura della pelle e non solo Federica Matutino*, Giorgia Matutino*
Il burro di karité, utilizzato fin da tempi remoti dalle popolazioni africane, è estratto dalla Vitellaria paradoxa appartenente alla famiglia delle Sapotaceae, pianta arborea chiamata anche Butyrospermum parkii in onore del suo scopritore Mungo Park. È un grande albero con foglie verdi scure raggruppate alla fine dei rami, i cui frutti sembrano delle prugne e al cui interno si trovano uno o due noccioli. Cresce spontaneamente in paesi dell’Africa centrale quali Sudan, Senegal e Gambia. Le proprietà del Butyrospermum parkii, chiamato anche “albero della salute e della giovinezza”, sono ben note alle donne africane, infatti da molti secoli utilizzano il burro di karité per proteggersi dai raggi solari, per guarire escoriazioni e piccole ferite, e nei periodi di carestia lo utilizzano per condire i piatti tipici. Secondo le tecniche tradizionali, i frutti vengono raccolti tra la metà di giugno e la metà di settembre. Il nocciolo, liberato dalla polpa, viene essiccato al sole e tramite processi di frammentazione e macinazione viene trasformato in una pasta spessa. A quest’ultima viene poi aggiunta dell’acqua, il tutto viene poi bollito e filtrato per eliminare le impurità, fino ad ottenere un burro il cui colore varia dall’avorio al giallo, ed è caratterizzato da un odore dolciastro. Come tutti i burri, anche il burro di karité, è composto prevalentemente da trigliceridi e da una frazione insaponificabile. La prima categoria è maggiormente costituita dall’acido oleico, dall’acido stearico, dall’acido linoleico e dall’acido palmitico; la seconda categoria, la frazione insaponificabile, è costituita da derivati triterpenici: il lupeolo, l’α-amirina e la β-amirina, e il karitene [1]. Inoltre sono presenti delle vitamine liposolubili, quali la vitamina A che previene e combatte le rughe ma anche gli eczemi, dermatiti e aiuta a cicatrizzare le escoriazioni della pelle, e la vitamina E che combatte i radicali liberi e agevola la micro circolazione della superficie dell’epidermide.
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Grazie a questo complesso di principi attivi il burro di karité possiede proprietà emollienti, protettive, elasticizzanti, nutrienti e rigeneranti, e perciò trova largo impiego in ambito cosmetico. Infatti, applicato costantemente sulla cute, il burro di karatè contribuisce a mantenere la pelle giovane, levigata, tonica e di aspetto sano. Esso grazie alla sua consistenza possiede anche proprietà filmogene, e può essere quindi utilizzato per proteggere le zone più esposte della cute dagli agenti atmosferici quali raggi UV, freddo e vento. È un ottimo balsamo che favorisce la rigenerazione e la cicatrizzazione cutanea, e trova impiego nella cura di piccole patologie dermatologiche quali geloni, ragadi, e fistole. Può infatti essere applicato in abbondante quantità per realizzare un impacco curativo per le mani secche e screpolate da lasciare agire durante la notte, avvolgendo le mani in guanti di cotone. In virtù delle proprietà elasticizzanti può essere utilizzato quotidianamente dalle donne in gravidanza, applicato sulla cute è in grado di limitare la formazione delle smagliature. Il burro di karatè può essere utilizzato dagli uomini come crema da barba e per rimarginare i tagliati che possono presentarsi dopo aver utilizzato il rasoio. Allo stesso modo può essere utilizzato dalle donne dopo la depilazione. Oltre che per la cura della pelle può essere utilizzato sui capelli sfibrati e danneggiati, effettuando degli impacchi pre shampoo da applicare in piccole quantità e lasciare agire per pochi minuti. In commercio può essere reperibile, sia puro, o in associazione ad altri agenti idratanti nella composizione di creme, lozioni, balsamo e stick labbra. Bibliografia 1.
D’Agostinis G., Mignini E., Manuale del Cosmetologo. Tecniche nuove 2014
*Farmacista
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BREVE STORIA DELLA GALENICA
Giusi Sanci* La galenica è ormai considerata solo come uno dei tanti servizi che la farmacia può offrire, ma in realtà rappresenta l'essenza stessa della nostra professione. In questo articolo, il primo di questa rubrica, cercheremo di prendere coscienza di ciò, ripercorrendo sinteticamente l'evoluzione storica di questa tecnica. In particolare vedremo anche come è cambiata la figura del farmacista nel corso del tempo, passando dapprima da artigiano al servizio del medico, a protagonista del medicamento, per poi rivederlo dietro un bancone a dispensare farmaci non più prodotti da lui ma dall'industria farmaceutica. La galenica consiste nelle procedure di allestimento e preparazione di un medicinale in forma di medicamento ed è competenza importante ed esclusiva del farmacista. Quest'ambito della nostra professione richiede quindi di un'adeguata competenza e un'attività di formazione continua, oltre che il rispetto di numerose norme, previste per garantire in ogni momento del processo qualità, efficacia e sicurezza del prodotto finito. Le linee guida tecniche da rispettare a tal fine durante tutto il processo produttivo, a partire dalle materie prime, sono le Norme di Buona Preparazione (NBF) a cui il farmacista deve rigorosamente attenersi. I preparati galenici possono essere: magistrali, quando sono preparati in farmacia in base a prescrizioni mediche. Sono costituiti di norma da formulazioni originali che il medico destina a determinati pazienti, personalizzandone la dose, le modalità di assunzione e la durata della terapia e sono caratterizzate anche dall'estemporaneità del loro allestimento. officinali, quando preparati in farmacia su indicazione della Farmacopea Ufficiale Italiana o di una Farmacopea dell'Unione Europea e destinati ad essere forniti direttamente ai pazienti serviti da tale farmacia. Il termine “galenico” deriva da Claudio Galeno un medico dell'antica Grecia che tra il secondo ed il terzo secolo d. C. adoperò numerose erbe medicinali e loro estratti come farmaci. Il suo è un metodo semplice: prima si pesano le sostanze con esattezza, valutando rischi e benefici, poi si rendono fini a suon di pestello, infine si miscelano omogeneamente nell'apposito mortaio. Ecco allora i simboli di sempre della farmacia: bilancia, pestello e mortaio. È da osservare come in origine la medicina, la chirurgia e la farmacia formassero una sola professione come leggiamo infatti nel Pasquier: «in quel tempo la
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professione di medico consisteva nell'esercizio di tre punti; primo, a dar consigli secondo i precetti dell'arte per le malattie interne del corpo umano; secondo, alle unzioni per i morbi esterni; terzo, nella preparazione delle bevande e dei medicamenti». Fino al XII secolo il medico riuniva in sé le due professioni, stabilendo la diagnosi, la conseguente terapia e approntando i medicamenti necessari. In questa attività era collaborato dallo speziale, che non era altro che un umile artigiano al suo servizio. Durante il XIII secolo la figura dello speziale si affranca da quella del medico e la sua professione comincia a svolgersi in forme sempre più autonome, fino a quando, soprattutto per volontà di Federico II di Svevia, nipote di Federico Barbarossa, imperatore e re di Sicilia, non si affermò la piena autonomia professionale degli speziali. Il periodo storico comunque che vede un'evoluzione della galenica e che rappresenta quindi l'epoca d'oro della
farmacia è quello che va dall'‘800 al '900. Con i progressi della chimica e le nuove conoscenze botaniche, il numero dei rimedi va sempre crescendo e le preparazioni farmaceutiche diventano complicatissime; talune, come la triaca, si confezionano con grandi cerimonie alla presenza di tutte le autorità. Agli inizi dell'’800 il farmacista è l'unico artefice del farmaco, fondando la sua attività essenzialmente sull'allestimento dei medicamenti. Era quindi un preparatore che eseguiva le prescrizioni dei medici a partire da droghe vegetali ed altre sostanze di origine naturale. Il farmacista quindi, in quanto conoscitore del medicamento, deteneva il monopolio del farmaco. A metà ‘800, ormai consapevole della propria conoscenza, inizia a prendere coscienza dei propri mezzi, essendo l'unico professionista con un laboratorio attrezzato e con ampia disponibilità di materie prime; si
*Farmacista
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avventura dunque nella ricerca contribuendo alla nascita della farmacologia. Unendo l'arte distillatoria alle conoscenze chimiche, il farmacista ottenne e fece sperimentare diversi tipi di estratti vegetali e tentò di individuarne, oltre le proprietà anche l'entità funzionale contenuta: il principio attivo. Fra gli esempi più significativi troviamo il farmacista tedesco Serturner, che nel 1804 isola la morfina, ed i farmacisti Caventou e Pelletier, che nel 1820 estrassero la chinina dalla radice di Cinchona succirubra. Paradossalmente in questo periodo sembrava essere il farmacista a proporre nuove soluzioni terapeutiche al medico cioè medicamenti che soddisfacevano le aspettative del malato; questa situazione aumentò la considerazione ed il rispetto verso il farmacista sia in ambito sanitario che sociale, rendendolo insostituibile ed indispensabile. A fine '800 dai principi attivi si passa alla creazione di nuove sostanze farmacologicamente attive, cioè composti chimici con struttura simile alle sostanze naturali isolate per migliorare e potenziarne gli effetti. È nel 1883 che si ottenne dall'anilina l'antipirina (o fenazone), potente antipiretico e nel 1893 il piramidone; nel 1887 dall'acetanilide viene sintetizzata la fenacetina, precursore del paracetamolo. La scoperta di queste nuove sostanze cambiò il concetto di terapia e della farmacia. All'inizio del '900 il farmacista inizia la produzione in laboratorio di prodotti pronti (specialità proprie) distintivi della farmacia. Fino ad allora infatti non esistevano le specialità medicinali pronte, ed il farmacista era chiamato a sopperire a tale mancanza con la preparazione del galenico. Da questo momento in poi aprirono la vendita, oltre ai medicamenti tradizionali, ad
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un vasto assortimento di specialità proprie, proposte al pubblico senza obbligo di ricetta medica. La farmacia raggiunse in questo periodo un equilibrio corretto tra il laboratorio delle preparazioni ed il locale destinato al pubblico. Il laboratorio era dotato di scaffali capienti per contenere ogni tipo di sostanza medicamentosa di origine vegetale, animale, minerale, e più tardi di sintesi, nonché di una ricca dotazione di apparecchiature per la loro lavorazione.
Il locale destinato alla vendita aveva come novità, la presenza di vetrine espositive contenenti prodotti destinati non solo alla guarigione dalla malattia, ma indirizzati anche al mantenimento della salute. Tali prodotti, per la prima volta già confezionati, erano pronti alla vendita. La farmacia aveva quindi un ruolo globale in
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quanto rappresentava la prima porta, sempre aperta al cittadino, in grado di offrire cultura, consiglio e sanità. Durante gli anni '20 importanti scoperte come l'isolamento delle vitamine, tra cui la vitamina B1 (1910) e degli ormoni come l'insulina (1926), portarono alla nascita della moderna chimica farmaceutica. Iniziò quindi una notevole trasformazione delle preparazioni galeniche con l'abbandono di molte droghe vegetali e principi attivi storici, sostituiti ormai nelle ricette mediche dalle nuove molecole sintetizzate dall'industria. Queste sostanze giungevano nelle farmacie sotto forma di polveri e spettava al farmacista la trasformazione in forme farmaceutiche utilizzabili dal paziente. Durante la prima guerra mondiale, la difficoltà di reperimento delle nuove sostanze determinò un ritorno verso i prodotti tradizionali di origine vegetale e ad un provvisorio aumento delle preparazioni galeniche. Nel periodo che va dalla Prima alla Seconda Guerra Mondiale continua comunque la ricerca e la sintesi di barbiturici, sedativi anestetici, nuovi antireumatici nonché la scoperta del primo sulfamidico (1935) vede ormai una nuova protagonista: l'industria farmaceutica. Nel 1943 con la scoperta della penicillina, si ha un'enorme espansione del mercato del farmaco e tutta la ricerca e la produzione si sposta in ambito industriale. Da questo momento in poi sarà l'industria farmaceutica ad allestire le specialità medicinali, già con la loro forma farmaceutica, la loro confezione, il loro nome. Le specialità industriali acquistarono sempre maggiore spazio in farmacia con conseguente perdita d'importanza delle preparazioni galeniche. Il periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale, ed in particolare dopo l'entrata in vigore della norma brevettuale del 1979, vede il farmacista perdere il suo
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ruolo per diventare da artefice a semplice dispensatore di specialità. La perdita dell'abitudine ad allestire medicamenti porta inoltre ad allontanare le due professioni nobili: medico e farmacista. Dagli anni '60 fino alla fine degli anni '80 si ha quindi un crollo della galenica, ritenuta ormai economicamente irrilevante e rimane limitata a pochissime farmacie con
preparazioni quasi esclusivamente per uso dermatologico. Negli anni '90 si ha una modesta ripresa delle preparazioni galeniche, nasce infatti il bisogno di una figura competente che sappia consigliare, indirizzare e creare delle “terapie di sostegno” personalizzate alle esigenze specifiche del paziente. Oggi, si ha una rivalutazione del preparato galenico, visto come possibilità di migliorare e personalizzare la terapia al paziente assicurando qualità, sicurezza ed efficacia. La personalizzazione del medicinale è sempre più un'esigenza, e le preparazioni galeniche rappresentano l'unica possibilità terapeutica quando, per diversi motivi, l'industria farmaceutica non è in grado di soddisfare un particolare bisogno. Si deve necessariamente ricorre al galenico quando: 1) il dosaggio deve essere variato nel tempo o personalizzato per ogni singolo paziente; 2) l'instabilità chimica o fisica di un principio attivo non consente la realizzazione industriale; 3) non è reperibile sul mercato il medicinale di origine industriale (orphan drug) o la forma farmaceutica adatta; 4) il paziente è un soggetto allergico o intollerante con l'esigenza quindi di formulazioni o eccipienti diversi da quelli presenti sul mercato;
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5) il medicinale non è presente in Italia, ma registrato in un paese europeo; 6) si vuole migliorare la compliance alla terapia riducendo il numero e la frequenza delle somministrazioni associando i principi attivi (polypill). La necessità di avere preparati personalizzati ha portato di nuovo alla collaborazione medico-farmacista: il medico prescrive il farmacista prepara. La conclusione di questo percorso è molto semplice: guardare al passato per migliorare il futuro! Buon lavoro a tutti noi.
Bibliografia: •
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Innovazione in Chimica farmaceutica
SCAFFOLD POLIMERICI NELL’INGEGNERIA DEI TESSUTI Roberto Di Gesù* Fin dalla sua nascita nella metà degli anni ’80 la branca denominata “ingegneria tissutale” ha continuato ad evolversi fino a diventare un ramo eccitante e multidisciplinare della chimica farmaceutica. Lo scopo principale è volto allo sviluppo di devices altamente biocompatibili e tecnologicamente avanzati in grado di riparare, rimpiazzare o rigenerare tessuti danneggiati da lesioni di ogni genere [1,2]. Tali devices sono, nel gergo scientifico comune, denominati scaffold. Cellule, scaffold e fattori di crescita sono i componenti cardine della cosiddetta “triade” che gioca un ruolo chiave nella progettazione e nella realizzazione di tessuti ingegnerizzati. In particolare uno scaffold, tipicamente costituito da biomateriali polimerici, conferisce un supporto strutturale nel contesto fisiologico in cui è necessario rigenerare un tessuto leso. Inoltre, se arricchito e funzionalizzato con opportuni fattori chemiotattici e di crescita, esso favorisce contemporaneamente l’attecchimento e la proliferazione di popolazioni cellulari endogene. Tutto questo si traduce in un’azione che mima brillantemente le funzioni fisiologiche della matrice extracellulare (ECM) e conduce ad una rigenerazione completa dei tessuti e, quasi sempre, ad un ripristino delle funzioni ad essi connesse. A parte gli eritrociti, la maggior parte delle altre cellule che costituiscono i tessuti fisiologicamente normali sono dipendenti da fenomeni di ancoraggio che consentono il mantenimento strutturale di un tessuto. Tali fenomeni sono legati ad interazioni fisiche che si instaurano tra residui proteici di transmembrana esposti dalle cellule e la matrice extracellulare nella quale esse sono immerse [3-5]. Andando più nel dettaglio la ECM svolge disparati compiti di rilevanza cruciale. In primo luogo essa fornisce il supporto strutturale alle cellule che risiedono in un determinato tessuto, garantendo il giusto ambiente in grado di promuovere la migrazione, l’attecchimento, la crescita ed il differenziamento cellulare. Un'altra funzione di fondamentale importanza svolta dalla ECM riguarda il conferimento di proprietà meccaniche quali rigidità ed elasticità, caratteristiche strettamente correlate alla funzionalità del tessuto. Un esempio da citare in questo contesto riguarda senza dubbio i tessuti tendinei. In questo caso delle spesse strutture fascicolari ben organizzate di collagene di tipo I (bundles) conferiscono al tessuto proprietà meccaniche tali da rendere i tendini estremamente resistenti a sollecitazioni di allungamento e stiramento. Un altro esempio è rappresentato dall’epidermide, la cui matrice extracellulare costituita da fibrille di collagene e fibre di elastina distribuite randomicamente, conferisce proprietà ricercate quali resistenza ed elasticità. La ECM svolge anche un ruolo attivo nella regolazione di segnali biologici, responsabili di modulare l’attività dei citotipi residenti. Un esempio calzante è senza dubbio il ruolo fondamentale della sequenza aminoacidica RGD (R = arginina, G = glicina, D = aspartato) che caratterizza molte proteine costituenti la matrice extracellulare. La fibronectina, una glicoproteina ubiquitaria nelle ECM dei tessuti connettivi, contiene delle sequenze RGD che, grazie ad interazioni con specifici ligandi espressi da cellule di diversa natura,
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guida complessi meccanismi quali la migrazione, l’adesione e la disposizione cellulare [6-8]. In questo contesto la ECM risulta per altro essere molto ricca in fattori di crescita, fungendo da reservoir degli stessi e promuovendo l’accrescimento cellulare. Alcuni costituenti della ECM sono in grado di attivare dei fattori di crescita presenti al suo interno in forma inattiva. Ad esempio l’eparina solfato, una molecola appartenente alla classe dei proteoglicani, è in grado di catalizzare la dimerizzazione del fattore di crescita per i fibroblasti (bFGF, Basic Fibroblast Growth Factor) convertendolo nella sua forma attiva [9]. Infine la matrice extracellulare rappresenta un ambiente degradabile ed erodibile in grado di consentire la neoangiogenesi ed il rimodellamento tissutale in risposta a stimoli fisiologici. Risulta intuitivo come lo scaffold ideale debba mimare in pieno, o parzialmente, le funzioni native della matrice extracellulare. Come descritto in Tabella 1, il ruolo importante rivestito da uno scaffold in ingegneria tissutale è associato alla sua architettura, alla sua biocompatibilità ed alle sue proprietà meccaniche. Nelle ultime decadi sono stati sviluppati diversi approcci scientifici finalizzati alla realizzazione di scaffold per applicazioni in ingegneria tissutale. Uno di questi è quello denominato pre-made porous scaffold, che prevede la realizzazione di uno scaffold poroso a partire da polimeri biocompatibili che possiedono spiccate proprietà in grado di consentire l’adesione cellulare e la vitalità di diversi citotipi. In generale tali polimeri possono essere di origine naturale, sintetica o semi-sintetica e possono essere arricchiti con sostanze inorganiche ed organiche, oppure funzionalizzati tramite legami covalenti con biomolecole quali proteine, anticorpi, polinucleotidi e similari. Su tali materiali possono essere condotte anche reazioni di crosslinking in grado di migliorare sensibilmente la resistenza a stress meccanici ed a reazioni di degradazione conseguente al contatto con i fluidi biologici. La porosità di questa tipologia di scaffold è assicurata dalle tecniche di realizzazione, che in genere comprendono sempre l’elettrospinning. Tale metodica, grazie all’applicazione di un potenziale elettrico, è in grado di generare delle nano fibre che si depositano le une sulle altre in maniera molto simile ad un tessuto, lasciando innumerevoli spazi vuoti tra maglie adiacenti. Un altro approccio che consente di ottenere una porosità controllata prevede l’impiego di idrogel trattati con agenti porogeni biocompatibili (quali ad esempio NaCl, idrossiapatite, ecc…) selezionati tramite l’impiego di setacci molecolari in grado di separare le particelle comprese in un ristretto range di dimensioni. Una volta realizzato lo scaffold gli agenti porogeni vengono rimossi, generando in situ i pori delle dimensioni desiderate. Altre tecniche più recenti consentono la realizzazione di scaffold polimerici tramite stereo litografia e stampa 3D,
*PhD presso il Laboratorio di Scienze dei Polimeri, Dipartimento di Chimica “G. Ciamician” Alma Mater Studiorum Università di Bologna
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Innovazione in Chimica farmaceutica Function of ECM in native tissues
Analogous functions of scaffolds in engineered tissues
Provides structural support for cells to reside
Provides structural support for exogenously applied cells to attach, grow, migrate and differentiate in vitro and in vivo
Contributes to the mechanical properties of tissues
Provides the shape and mechanical stability to the tissue defect and gives the rigidity and stiffness to the engineered tissues
Provides bioactive cues for cells to respond to their microenvironment Acts as the reservoirs of growth factors and potentiates their actions Provides a flexible physical environment to allow remodeling in response to tissue dynamic processes such as wound healing
Interacts with cells actively to facilitate activities such as proliferation and differentiation Serves as delivery vehicle and reservoir for exogenously applied growth-stimulating factors Provides a void volume for vascularization and new tissue formation during remodeling
Architectural, biological and mechanical features of scaffolds Biomaterials with binding sites for cells; porous structure with interconnectivity for cell migration and for nutrients diffusion; temporary resistance to biodegradation upon implantation Biomaterials with sufficient mechanical properties filling up the void space of the defect and simulating that of the native tissue Biological cues such as cell-adhesive binding sites, physical cues such as surface topography Microstructures and other matrix factors retaining bioactive agents in scaffold Porous microstructures for nutrients and metabolites diffusion; matrix design with controllable degradation mechanism and rates; biomaterials and their degraded products with acceptable tissue compatibility
Tabella 1. Funzioni della matrice extracellulare (ECM) nei tessuti nativi e degli scaffold per l’ingegneria tissutale
tuttavia l’impiego di tali tecniche è strettamente legata alla natura dei polimeri impiegati e limita considerevolmente la scelta dei solventi necessari per la dissoluzione degli stessi. Una volta ottenuto lo scaffold, questo viene seminato con cellule prelevate direttamente dal paziente. Queste, grazie alle già citate caratteristiche di biocompatibilità degli scaffold, saranno in grado di attecchire e moltiplicarsi ed il materiale composito ottenuto viene impiantato in sede di lesione tissutale. Grazie alle sue proprietà di bioriassorbibilità l’impalcatura composta dal materiale polimerico viene gradualmente permeata dalla ECM ed erosa dagli enzimi presenti in situ. Contemporaneamente la popolazione cellulare seminata inizialmente, trovando ambiente fertile e compatibile, si moltiplica e si differenzia, grazie anche alla presenza di fattori di crescita e di differenziazione endogeni presenti in abbondanza nella matrice extracellulare. Questo lento e costante processo si conclude quando lo scheletro polimerico viene completamente riassorbito ed il tessuto danneggiato è sostituito dal nuovo tessuto generato direttamente dalla popolazione cellulare endogena (Figura 1). Alla luce di quanto descritto risulta chiaro che uno scaffold polimerico ideale deve possedere caratteristiche tali da consentirgli di mimare al meglio la matrice extracellulare. È chiaro che esistono diversi tipi di scaffold con proprietà caratteristiche del tessuto che deve essere ripristinato, tuttavia questa tecnologia rappresenta senza dubbio un approccio terapeutico funzionale e solo minimamente soggetto a reazioni di rigetto in grado di ripristinare, quasi integralmente, il tessuto leso e le sue funzioni annesse.
Figura 1. Ciclo di realizzazione di uno scaffold biocompatibile per la rigenerazione tissutale
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Sicurezza sul Lavoro
SICUREZZA SUL LAVORO E PRIMO SOCCORSO Diego Vitello*, Salvatore Sciacca** Tra gennaio e luglio del 2017 gli incidenti sul lavoro denunciati sono stati 380.236, contro i 375.486 dell’anno precedente. I morti sono passati da 562 a 591, ventinove in più; quindici di questi sono legati a due note vicende del gennaio scorso: la frana sull’hotel di Rigopiano e la caduta dell’elicottero di soccorso nei pressi di Campo Felice. Molte di queste morti, probabilmente, si sarebbero potute evitare adottando una corretta prevenzione o i corretti sistemi di protezione, così come sancito dal Decreto legislativo 9 aprile del 2008 numero 81, meglio noto come D.lgs.. 81/08, a volte semplicemente detto “Testo Unico sulla sicurezza”. Tale Decreto, che è considerato il primo riferimento in Italia per quanto riguarda la normativa della sicurezza sul lavoro e in seguito coordinato con il D.lgs.. 3 agosto 2009, n. 106, che ha sostituito il vecchio D.lgs. 626/94, altro non è che una raccolta ordinata e compiuta di articoli, commi, allegati, nella quale il legislatore indica quanto è essenziale e obbligatorio fare in riferimento alla prevenzione, alla tutela della salute fisica e mentale, in ogni ambiente di lavoro, alla valutazione dei rischi e alla sorveglianza sanitaria, al primo soccorso e all’antincendio. È diretto a: datori di lavoro e lavoratori, a tutte le figure professionali, RSPP (Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione), RLS (Responsabile Lavoratori per la Sicurezza), Addetto al Primo Soccorso, Addetto Antincendio, Medico Competente, persone che debbono popolare i luoghi di lavoro e sulle cui particolari mansioni e responsabilità vengono suddivisi gli accorgimenti abitudinari e le prassi utili per la sicurezza. Per tutti questi soggetti il Testo prevede un’adeguata formazione e un relativo e periodico aggiornamento. Il Datore di Lavoro ha l’obbligo della stesura del POS (Piano Operativo di Sicurezza), della nomina del RSPP (Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione), finalizzata ad una corretta valutazione dei rischi e della conseguente redazione del DVR (documento di valutazione dei rischi). L’impresa, attraverso l’analisi valutativa dei rischi, è obbligata ad avere una specifica organizzazione che si occupi di sicurezza lavorativa, avvalendosi di personale interno o esterno alla struttura, ed è chiamata a prendere decisioni che riguardano il miglioramento delle condizioni di salute e l’integrità fisica dei lavoratori. Per fare questo l’impresa si assume un’ulteriore responsabilità, quella di certificare con il DVR e documentare ogni scelta che riguarda la prevenzione del rischio. Il documento deve contenere, per ogni valutazione, la scelta delle misure di prevenzione e protezione adottate per ridurre il rischio, o meglio eliminarlo del tutto, sia come misure di prevenzione collettiva che come dispositivi di protezione individuale; tale scelta deve essere opportunamente giustificata tenendo conto delle caratteristiche sia del rischio verso cui tutelarsi, che delle caratteristiche della misura adottata. Il documento non si ritiene completo con la sola valutazione dei rischi contingenti, ma deve contenere anche una relazione prospettica del programma delle misure che si possono ritenere necessarie o utili per garantire un certo grado di miglioramento nel tempo dei livelli di prevenzione e sicurezza; questa valutazione deve essere inoltre, periodicamente, rivista indicando lo stato di
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avanzamento del programma di miglioramento rispetto alle previsioni iniziali. Alla stesura del documento collaborano, oltre al datore di lavoro, l’RSPP ed il Medico Competente, inoltre, viene consultato l’RLS. L’RSPP, nominato dal datore di lavoro, deve aver frequentato dei corsi di formazione funzionali al ruolo da svolgere e deve essere in possesso di un attestato che dimostri di aver acquisito una specifica preparazione in materia di prevenzione e protezione dei rischi specifici dell’azienda. In particolare: rileva i fattori di rischio, determina nello specifico i rischi presenti ed elabora un piano contenente le misure di sicurezza da applicare per la tutela dei lavoratori, presenta i piani formativi ed informativi per l’addestramento del personale, collabora con il datore di lavoro nella elaborazione dei dati riguardanti la descrizione degli impianti, i rischi presenti negli ambienti di lavoro, la presenza delle misure preventive e protettive e le relazioni provenienti dal medico competente, allo scopo di effettuare la valutazione dei rischi aziendali. In alcune aziende, a seconda delle dimensioni o della tipologia, il RSPP può essere affiancato da altri soggetti, gli Addetti al Servizio di Prevenzione e Protezione (ASPP). La seconda figura che collabora con il datore di lavoro alla redazione del DVR è quella del Medico Competente che, all’interno del panorama legislativo in materia di sicurezza, e all’interno del Servizio di Prevenzione e Protezione aziendale, gioca un ruolo fondamentale affinché il servizio stesso risulti efficace e funzionale. Questa figura professionale accompagna l’evoluzione dell’intero contesto industriale e lavorativo Italiano chiamato, dapprima, “Medico di Fabbrica”, successivamente, “Medico del Lavoro”, oggi Medico Competente, che interviene direttamente nell’attuazione del servizio di prevenzione, al fianco del Datore di Lavoro e del Responsabile del Servizio. Se una volta il Medico Competente si limitava alla valutazione fisicosanitaria del lavoratore, ora è invece coinvolto fin dall’inizio del processo di prevenzione interno aziendale; elabora, in collaborazione con il datore di lavoro, il Documento di valutazione dei Rischi, lo rivede periodicamente, apportando suggerimenti e migliorie, effettua un sopralluogo degli ambienti di lavoro e partecipa in maniera proattiva alla riunione periodica sulla sicurezza indetta ai sensi dell’ art. 35 del D.lgs. 81/08. L’obbligo della sorveglianza sanitaria, in Italia, vige per le aziende la cui classificazione di rischio esponga i lavoratori ad una tipologia di rischio soggetta a controlli medici periodici. Per queste aziende, indipendentemente dal numero di lavoratori presenti, il Datore di Lavoro designa un medico che abbia una specializzazione in medicina del lavoro, per l’elaborazione e l’attuazione di uno specifico protocollo di sorveglianza sanitaria. Il protocollo di sorveglianza viene, quindi, condiviso con il Servizio di Prevenzione e Protezione ed è definito sulle specifiche mansioni dei lavoratori interessati.
*Dirigente medico di Anestesia e Rianimazione presso ULSS3 Serenissima (Venezia) Ospedale di Mirano. **Architetto, esperto di sicurezza sul lavoro.
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Sicurezza sul Lavoro La periodicità minima dei controlli è definita dal D.lgs. 81/08, ma è il Medico Competente che, in virtù dell’esperienza professionale e dei rischi specifici, stabilisce il contenuto della sorveglianza e valuta se applicare una periodicità più stringente; la visita medica va infatti eseguita, oltre che in base alle periodicità definita dal Medico, ogni qualvolta il lavoratore ne faccia richiesta, se ritenuta dal medico correlata all’esposizione specifica lavorativa, ad ogni cambio di mansione che esponga il lavoratore a rischi differenti, alla cessazione del rapporto di lavoro e in fase preassuntiva. Tutti i dati delle indagini mediche vengono registrati dal Medico in apposita cartella sanitaria, conservata a salvaguardia del segreto professionale a cura del medico stesso che segue il lavoratore attraverso la sua carriera professionale. Dall’esito della sorveglianza sanitaria ne deriva un giudizio di idoneità o inidoneità (anche con limitazioni o prescrizioni), per la mansione specifica; questo giudizio, indipendentemente dalle cause che ne hanno generato la diagnosi, è l’unico dato personale sanitario che viene trasmesso all’azienda. Alle figure precedentemente citate, per completare l’organigramma della sicurezza, si aggiungono l’addetto antincendio e l’addetto al primo soccorso. L’addetto antincendio è, secondo gli articoli 18 e 43 del Decreto legislativo 81/2008, il lavoratore che ha avuto il compito di mettere in pratica le attività di prevenzione degli incendi, di evacuazione dei luoghi di lavoro, in caso di emergenza e di salvataggio degli altri lavoratori, in coordinamento con i responsabili di primo soccorso. Il responsabile, sia della nomina sia della formazione dell’addetto antincendio, è il Datore di Lavoro. In merito alla sicurezza antincendio, tra gli adempimenti del datore di lavoro previsti dall’art. 18 del Decreto 81/08, troviamo: designare i lavoratori che faranno parte della squadra di emergenza e di lotta agli incendi, informare i lavoratori dei rischi legati agli incendi, adottare le misure necessarie per permettere la gestione migliore delle emergenze, nominare l’addetto antincendio occupandosi, tra le altre cose, della sua formazione. I compiti specifici dell’addetto antincendio sono quelli di collaborare all’individuazione dei rischi antincendio presenti nei luoghi di lavoro, proporre soluzioni per eliminare o mitigare i rischi rilevati, verificare costantemente le vie di sicurezza e di evacuazione dei luoghi di lavoro, occuparsi della realizzazione delle misure di segnalazione del rischio d’incendio, assicurarsi dell’estinzione degli incendi in collaborazione con i vigili del fuoco, assicurarsi della buona funzionalità dei sistemi di protezione personale antincendio. Data l’importanza di questa figura, la legislazione ha previsto precise norme, relativamente alla sua formazione, in materia di sicurezza sul lavoro. In particolare, l’art. 18 del D.lgs..
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81/08 e l’Allegato VII del D.M. 10/1998 specificano che la formazione sia strutturata in base al rischio di incendio presente nell’impresa, sia dal punto di vista teorico sia dal punto di vista pratico. Così come per l’addetto antincendio, il datore di lavoro nomina gli addetti al primo soccorso, in un numero congruo in base al numero di dipendenti, grado di rischio, turnazioni e struttura. Una volta nominati deve garantire loro un’adeguata formazione, di durata variabile a seconda del tipo di azienda. Essenzialmente, i compiti dell’addetto al primo soccorso riguardano la gestione delle emergenze. Tra le principali competenze, l’addetto al primo soccorso deve saper allertare e comunicare con gli organi preposti alla gestione delle emergenze, come il 118, motivo per cui deve saper riconoscere un’emergenza sanitaria, essere in grado di raccogliere informazioni sull’infortunio, riconoscere e prevenire pericoli evidenti e probabili posttrauma, saper accertare le condizioni psicofisiche del lavoratore che ha subito l’infortunio, attuare gli interventi di primo soccorso BLS.D, conoscere i rischi specifici dell’attività svolta e metter in opera tecniche di autoprotezione in relazione al tipo di soccorso svolto, conoscere patologie, lesioni e traumi relative al luogo e tipologia di lavoro. A tal proposito, in relazione alla tipologia di gruppo di appartenenza dell’azienda, i corsi prevedono un certo numero di ore frontali, un percorso di esercitazione pratica e un esame finale; 16 ore per aziende di gruppo A, divise in 3 moduli, e 12 ore per aziende di gruppo B-C, sempre divise in 3 moduli.
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Onorificenze
ANCORA UN PRESTIGIOSO RICONOSCIMENTO PER I CONIUGI CARLA CESTARI E RENZO BELLI Renzo Belli*
Recentemente, io e mia moglie Carla, titolari della “Farmacia Belli” di Concordia sulla Secchia, abbiamo ricevuto la massima onorificenza da parte dello Stato italiano ovvero la Medaglia d’Oro al Valor Civile, conferitaci direttamente dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Il nostro impegno in occasione del drammatico sisma che sconvolse parte dell’Emilia Romagna nel maggio del 2012 è salito agli onori della cronaca facendo sì che fossimo premiati con prestigiosi riconoscimenti a livello nazionale. Ultimo, in ordine di tempo, ed indubbiamente il più importante: la Medaglia d’Oro al Valor Civile. Il 20 e il 29 maggio 2012, due violente scosse sismiche seminano morte e distruzione nella Bassa Modenese e nel ferrarese. Il 24 maggio un grave lutto sconvolge ulteriormente la vita della nostra famiglia. A causa di un incidente stradale, infatti, perde la vita il nostro giovane figlio Marco. Un dramma nel dramma, un dolore tremendo, un duro colpo alla voglia di riprendersi, di ripartire per superare la paura delle continue scosse telluriche. Momenti di dolore e confusione, le chiese di Concordia e delle frazioni di San Giovanni, Santa Caterina e Fossa sono tutte inagibili, a causa dei danni riportati, e quindi il funerale di Marco viene celebrato all’interno del parco di Villa Belli, a San Giovanni. È l’inizio di una meravigliosa storia, una lezione di vita, soprattutto cristiana, per tutti. Dalla morte rinasce la vita. Quel Parco, dopo pochi giorni, diventerà infatti il luogo di speranza e di riparo per centinaia di persone. Chiunque altro dopo un immane dolore causato dalla perdita di un giovane figlio si sarebbe chiuso a riccio, si sarebbe isolato dal mondo. Così non è stato per me, mia moglie e l’altro nostro figlio, Francesco. Il dolore per l’immatura e tragica scomparsa di Marco si è fuso con il dolore dei nostri concittadini annientati dalle conseguenze della seconda tremenda scossa di terremoto delle ore 9 del 29 maggio. Il dolore di chi ha perso un figlio, si fonde con il dolore di chi ha perso la casa, il lavoro, i propri beni ed anche i propri affetti tra quei cumuli di macerie ammassate per le vie di Concordia e nelle frazioni. Così, la famiglia Belli reagisce al proprio dramma donando aiuto, un tetto, un pasto ma principalmente tanto amore a chi sta soffrendo come loro. Il parco della
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nostra villa si trasforma in una tendopoli divenendo un vero e proprio “paradiso” per tanti sfollati. Il suo nuovo nome sarà: “Campo Paradiso”. Un paradiso terreno strettamente collegato, da un invisibile filo, al “Paradiso Celeste” da dove il giovane Marco continua a sorridere alla sua meravigliosa famiglia. Il Campo offrirà circa 110 posti letto, pasti, docce, bagni ed una chiesetta in una tensostruttura, ancora oggi unico luogo di culto della piccola frazione di San Giovanni. A distanza di più di cinque anni da quei drammatici momenti, continuiamo imperterriti nella nostra opera di aiuto e solidarietà nei confronti del prossimo ed in particolar modo di chi soffre, collaborando anche come farmacisti volontari con la Protezione Civile. Un impegno riconosciuto e gratificato ufficialmente dalle Istituzioni e dalla più alta carica dello Stato con il conferimento della Medaglia d’Oro.
*Farmacista a Concordia sulla Secchia
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