Theriaké MENSILE DELL’ASSOCIAZIONE GIOVANI FARMACISTI DI AGRIGENTO
CURE PALLIATIVE E FARMACIA Curabile ma non guaribile: riflessioni sul malato terminale Le cure palliative e la terapia del dolore: il ruolo del farmacista nella comunicazione e nella gestione del paziente
FEDERFARMA GUARDA AL FUTURO Intervista al presidente Marco Cossolo
L’ARTE COME “COLTIVAZIONE” DELLA BELLEZZA DEL CREATO Riflessioni sulla Laudato si’
FARMACISTI VOLONTARI L’inizio dell’avventura
FITOTERAPIA & NUTRIZIONE Arpago: cortisone naturale Cioccolato: elisir del buon umore
APOTHECA & STORIA La medicina nell’antica Mesopotamia L’arte medica e farmaceutica nell’antichità
Anno I n. 4 Aprile 2018
Sommario
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18 Fitoterapia&Nutrizione
Attualità
La sfida: anticipare il cambiamento
Cioccolato Elisir del buon umore
21 Apotheca&Storia
5 Federfarma guarda al futuro
La medicina nell’antica Mesopotamia
23 Apotheca&Storia
Rubriche
7 Gli Appunti di Formare l’Eccellenza
L’arte medica e farmaceutica nell’antichità Dalle ricette su tavolette di argilla alla “volgare” ricetta medica
Cure palliative e farmacia / 1 Curabile ma non guaribile: riflessioni sul malato terminale
10 Gli Appunti di Formare l’Eccellenza Cure palliative e farmacia / 2 Le cure palliative e la terapia del dolore: il ruolo del farmacista nella comunicazione e nella gestione del paziente
12 Delle Arti
L’arte come “coltivazione” della bellezza del creato: riflessioni sulla Laudato si’
16 Volontariato
Farmacisti volontari: l’inizio dell’avventura
17 Fitoterapia&Nutrizione
Arpago Cortisone naturale
Responsabile della redazione e del progetto grafico: Ignazio Nocera Redazione: Valeria Ciotta, Elisa Drago, Christian Intorre, Francesco Maratta, Federica Matutino, Giorgia Matutino, Silvia Nocera, Giusi Sanci. Contatti: theriake@email.it In copertina: El Greco, San Martino e il mendicante, 1599. Washington, National Gallery Questo numero è stato chiuso in redazione il 19 – 4 – 2018
Collaboratori: Stefania Bruno, Paola Brusa, Laura Camoni, Corrado De Vito, Roberto Di Gesù, Gaetano Di Lascio, Claudio Distefano, Vita Di Stefano, Carla Gentile, Aurelio Giardina, Pinella Laudani, Erika Mallarini, Rodolfo Papa, Annalisa Pitino. In questo numero: Claudio Distefano, Elisa Drago, Luca Matteo Galliano, Roberta Lupoli, Massimo Martino, Federica Matutino, Giorgia Matutino, Ignazio Nocera, Rodolfo Papa, Giusi Sanci.
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Attualità
LA SFIDA: ANTICIPARE IL CAMBIAMENTO Claudio Distefano*
La grande sfida che oggi affronta una raccolta e produzione il mondo della farmacia, alla luce centralizzata di dati relativi al dei nuovi scenari professionali, paziente in modo che siano non è più quella di capire cosa omogenei e rigorosi. Si dovrà, potrà accadere, ma quali misure pertanto, condividere un sistema e decisioni bisogna prendere per informativo ed informatizzato ed rispondere ed anticipare il offrire al farmacista percorsi di cambiamento in atto. L’entrata formazione standardizzati al fine in vigore della 124/17, ovvero di uniformare le modalità di “Legge sulla Concorrenza”, approccio alle attività cognitive produce come conseguenza la legate ai servizi professionali certezza dell’ingresso dei nuovi (dal protocollo di consiglio per players in catena e crea la l’OTC alla presa in carico di un necessità, per le farmacie paziente in assistenza indipendenti, di introdurre domiciliare). Da questo punto in elementi di identità ed attività di comune, il progetto prevede che aggregazione. Il problema si le Farmacie possano aderire o pone sia per dare forza meno secondo più livelli di economica e riconoscibilità della attività che vanno dalla funzione professionale sia per Pharmaceutical care, con lo aumentare il peso contrattuale sviluppo di attività di diagnostica verso interlocutori pubblici e di primo livello, ai servizi più evoluti, come la telemedicina. A privati. Con questi ultimi infatti ciò si aggiungono i tre livelli di aggregazione dell’area bisogna concludere trattative fondamentali, che vanno commerciale (dall’adesione alla centrale di acquisto, alla dalla Convenzione con il SSN ai Piani Regionali della condivisione di attività di sell out fino alla condivisione Cronicità, sino alle più diverse ipotesi di del format e dell’insegna). convenzionamento della spesa sanitaria privata che I processi di aggregazione porteranno, man mano, ad potrà essere mediata da terzi pagatori, quali Assicurazioni o Fondi. uniformare le politiche assortimentali e di acquisto anche In questa direzione vuole andare Sistema Farmacia, a seguito della delega agli acquisti, che rappresenta un progetto in via di avanzata elaborazione, che Federfarma punto nodale ma di forte criticità del progetto. Infatti, la Nazionale ha di recente commissionato da offrire ad i delega agli acquisti determina una cessione di sovranità propri associati per introdurre strumenti idonei a della farmacia, limitandone l’attività di contrattazione garantire elevati ed omogenei standard di servizio verso l’industria o il distributore, e produce una professionale. Oggi, infatti, resistenza di non pochi anche se la farmacia farmacisti più avvezzi ad una «… la “Legge sulla Concorrenza” produce indipendente può dirsi dotata gestione individualistica delle come conseguenza la certezza dell’ingresso politiche di elevata professionalità, commerciali. dei nuovi players in catena e crea la tuttavia non è dimostrato che Pertanto, almeno in una prima questo valore possa essere di fase, la delega potrebbe essere necessità, per le farmacie indipendenti, di superiore qualità rispetto a rivolta verso attività di routine introdurre elementi di identità ed attività quanto potrà essere proposto che non prevedano grossi di aggregazione» da una farmacia in catena; differenziali di condizioni pertanto, non si può più commerciali tra diversi cluster prescindere dall’acquisizione di strumenti idonei a di farmacie: per esempio, la distribuzione intermedia misurare la qualità del servizio offerto. Tali strumenti potrebbe avere funzione di hub, ovvero di piattaforma non saranno soltanto di natura tecnologica, per la cui logistica, verso gli acquisti del farmaco etico, per cui a introduzione sono necessarie economie di scala, ma fronte di una scontistica di massimo livello per le anche professionali, da utilizzare per le attività cognitive farmacie, una delega può essere più facilmente concessa di Pharmaceutical care. Infatti un atto professionale rafforzando un percorso virtuoso che aiuterebbe a consolidare i rapporti di fiducia tra i colleghi, tra le validato e certificato potrà avere un valore aggiunto farmacie, il grossista e l’industria. Si attiverebbero, così, rispetto ad un parere che, per quanto scientificamente risparmi e maggiori performance per tutta la filiera in corretto, non avrà agli occhi dell’utente un livello di termini di logistica ed economicità che potranno qualità certificato, quindi garantito e spendibile. permettere alle farmacie di entrare in competizione con L’idea della nuova rete prevede la possibilità di “fare Sistema” aderendo a diversi livelli di attività, man mano le centrali di acquisto del mondo pubblico e mettere in più profondi, cercando così di aggregare il maggior discussione le scelte di distribuzione diretta del farmaco. numero possibile di farmacie. La rete, secondo il Non vi è dubbio che la delega agli acquisti rappresenti progetto, dovrà, quindi, necessariamente fornire un uno dei mezzi e non il fine dell’operazione Sistema approccio fondato su una base formativa comune, che garantisca predicibilità e riproducibilità dell’operato e *Farmacista
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Attualità
Figura 1. Bancone marmoreo da farmacia, sec. XVII. Messina, Museo regionale. (Foto di Ignazio Nocera)
Farmacia il cui obiettivo principale è, come detto, qualità della vita delle persone. rafforzare la funzione ed il ruolo della farmacia La grande sfida si giocherà, pertanto, non solo attraverso la standardizzazione e certificazione dei nell’innalzamento dei livelli di qualità del servizio, ma processi organizzativi e delle attività cognitive. Per anche nella possibilità di raggiungere l’obiettivo di far raggiungere l’obiettivo in cui i dati sanitari acquisiti dalle rientrare il maggior numero possibile di farmacie comuni attività potranno rappresentare un valore indipendenti nella rete di protezione. Per raggiungere gli epidemiologico e quindi anche scopi prefissati, oltre a economico, questi dovranno costruire la struttura, dovrà «… non si può più prescindere essere omogenei e essere contemporaneamente dall’acquisizione di strumenti idonei a scientificamente validati. Con ed anzi preventivamente, misurare la qualità del servizio offerto» tali risultati, le farmacie, solo attivata un’attività di se inserite in rete, potranno formazione ed informazione diventare un cloud di informazioni e dati che potranno al farmacista in modo che possa comprendere come raggiungere un’importanza strategica. Nei prossimi anni acquisire i vantaggi individuali e di sistema in termini ci attende, infatti, una rivoluzione digitale improntata economici e professionali. I tempi di attivazione del sull’utilizzo di nuove tecnologie in sanità e sull’impiego progetto dovranno essere congrui affinché venga pratico dei big-data che si raccoglieranno per acquisita la consapevolezza del cambiamento delle regole ottimizzare le prestazioni attorno al paziente. Sarà del gioco e la necessità di applicare nuove soluzioni, possibile realizzare questo obiettivo solo attraverso la senza andare troppo lontani e farsi scavalcare dalla condivisione dei dati che, se opportunamente confrontati formazione di un numero critico di catene ed esercizi in ed omogeneizzati, acquisteranno una validazione catena che potrebbero alterare gli equilibri di mercato, o, scientifica e potrebbero essere utilizzati per attività di peggio, provare a diventare interlocutori privilegiati e screening, programmi di prevenzione, etc., con ritorni competitivi con gli altri attori del Sistema sanità. economici a vantaggio del Sistema Sanitario e della
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Attualità
FEDERFARMA GUARDA AL FUTURO Intervista al presidente Marco Cossolo
Alla guida del sindacato da quasi una parte di Bergamo le farmacie un anno, Marco Cossolo racconta hanno fatto una rete d’impresa a Theriaké la sua formazione in con un ospedale e sono riuscite AGiFar, l’impegno alla guida di ad entrare tra i soggetti gestori. Federfarma e i progetti futuri. Attualmente, possiamo dire che va prestata molta attenzione ai Presidente, quanto ha contato piani della cronicità. sulla sua formazione Su intervento congiunto di l’esperienza vissuta in AGiFar? Federfarma e Fofi i farmacisti L’esperienza in AGiFar è stata sono stati inclusi in cabina di importantissima, sia dal punto di regia. Entrando nella cabina di vista formativo, perché in AGiFar regia si riuscirà a vedere meglio si impara a vivere la vita quale sarà l’attuazione a livello associativa e a confrontarsi con i regionale. colleghi sui temi più importanti Il rischio grosso è che, avendo un della nostra professione, sia piano della cronicità che preveda perché dai legami di conoscenza una gestione a livello delle e di stima che negli anni si sono singole regioni, si generi una instaurati con colleghi come frammentazione. Osvaldo Moltedo e Marco Quale sarà il ruolo della Bacchini è stato possibile farmacia in questo nuovo costruire parte della squadra che scenario, in cui bisognerà è oggi presente in Federfarma. confrontarsi con le società di Quanto crede che sia importante oggi, in uno scenario capitali? di continuo cambiamento e di continua evoluzione Non ho condiviso il modo in cui la legge ha consentito per la farmacia, il ruolo delle associazioni giovanili di l’ingresso dei capitali, sebbene un contributo di categoria? partecipazione del capitale era anche auspicabile. Il ruolo delle associazioni giovanili di categoria è Sarebbe stato opportuno valutare, come per le altre fondamentale e deve essere valorizzato sia a livello locale professioni, una partecipazione in quota minoritaria. Il che a livello nazionale. tetto del 20% è poco significativo. A Torino, ormai da tanti anni, in Ordine e in Federfarma, Bisognerà che i farmacisti, storicamente capaci di prestiamo la massima attenzione all’inclusione dei adeguarsi ai cambiamenti, basti pensare al passaggio dal giovani che hanno fatto un percorso formativo in AGiFar, farmacista preparatore al farmacista dispensatore, ed è mia cura far sì che questo percorso di valorizzazione operino un cambiamento di mentalità, adeguandosi dei giovani continui. all’evoluzione della professione. Parliamo della nuova remunerazione… Federfarma presta molta attenzione a questo fenomeno, L’idea di Federfarma è quella di focalizzare l’attenzione ha già attuato una modifica di statuto che consente sull’onorario di dispensazione professionale. l’ingresso in sindacato da parte delle società di capitale, Arrivare ad avere un onorario professionale base, soprattutto quelle costituite da colleghi, garantendo così arricchito da una quota l’unità sindacale. percentuale minima sulla «A Torino, ormai da tanti anni, in C’è poi anche in lavorazione il convenzionata e dalla progetto della “Rete delle reti”, remunerazione delle diverse Ordine e in Federfarma, prestiamo la che, in sinergia con Federfarma attività complementari, ma massima attenzione all’inclusione dei Servizi, consente di lavorare ad un fondamentali, che il farmacista modello di farmacia costituita giovani che hanno fatto un percorso può fare, come ad esempio dalla messa in rete delle formativo in AgiFar, ed è mia cura far sì esperienze territoriali esistenti, e l’aderenza terapeutica. Secondo i dati dell’OMS che questo percorso di valorizzazione capace di confrontarsi con le l’aderenza alla terapia è catene. dei giovani continui» attualmente solo al 40%. A cosa si dedica Marco Cossolo Questo dato rappresenta un quando non fa il farmacista? terreno importante sul quale va fatto un grande lavoro da Scia d’inverno, va per mare d’estate e va in moto in parte delle farmacie, prestando un servizio che deve autunno e primavera. essere remunerato e valorizzando il ruolo del farmacista Ci regala un in bocca al lupo per Theriaké? sul territorio. Complimenti, perché è un’ottima iniziativa. Di Cosa pensa dell’esperimento lombardo sulla gestione informazione non ne abbiamo mai abbastanza. del paziente cronico? Ben venga! Ben venga, soprattutto, un’iniziativa di Il metodo utilizzato in Lombardia andrà analizzato bene e informazione che arriva dai giovani farmacisti. dovranno essere valutati attentamente gli effetti che Continuate così, il lavoro che fanno le AGiFar è produrrà. insostituibile e va implementato e valorizzato. Tra i soggetti gestori, ad esempio, non sono state incluse s. n. le farmacie, se non per alcune esperienze limitate. Solo su
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Gli Appunti
di Formare l’Eccellenza 2
A.ti.far. – Federfarma Agrigento
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Gli appunti di Formare l’Eccellenza
CURE PALLIATIVE E FARMACIA / 1 Curabile ma non guaribile: riflessioni sul malato terminale
Ignazio Nocera*
Non esistono malati incurabili, esistono solo malati inguaribili. Questa affermazione viene oggi largamente accettata dalla bioetica. Significa, in altre parole, che esistono condizioni patologiche che condurranno inevitabilmente alla morte un malato, senza tuttavia far venir meno la possibilità che questo sia curato, cioè che ci si prenda cura di lui. Un malato pertanto è curabile fino all’ultimo istante di vita. Il concetto di cura è molto antico; Virgilio nel libro VI dell’Eneide mette a guardia dell’ingresso dell’aldilà le ultrices Curae, ovvero le Cure vendicatrici, connotandole negativamente come personificazione dell’ansia, della preoccupazione, dell’affanno [1]. Nel mito della creazione, narrato da Igino nel Fabularum liber, la dea Cura, oltre ad esprimere la preoccupazione e l’ansia, acquista anche il significato positivo di forza generatrice, di maternità [2]. Come fa notare Marianna Gensabella Furnari «… Cura è il personaggio meno noto e tuttavia centrale: potente figura femminile, la dea rinvia a immagini materne, collegate alla generazione, ma anche al doppio significato del concetto, la preoccupazione angosciosa e la sollecitudine, entrambi segni del nostro essere nel tempo» [3]. All’inizio del Novecento, il filosofo tedesco Martin Heidegger [4] trascrive per intero al paragrafo 42 di Essere e Tempo il mito raccontato da Igino: «Un giorno la Cura, traversando un fiume, vide del terriccio argilloso: Figura 1. C. Iulii Hygini Fabularum liber. sovrappensiero lo prese in mano e cominciò a modellarlo. Mentre rifletteva su ciò che aveva fatto, si fa avanti Giove. Dal mito, spiega Heidegger, emerge che l’uomo La Cura lo prega di infondere al pezzo di fango da lei appartiene alla cura per la sua intera esistenza; che il modellato lo spirito. Cosa “primato della cura” è che Giove di buon grado le posto «in connessione con concede. Ma quando poi la nota concezione essa volle dare alla sua dell’uomo come opera il proprio nome, compositum di corpo Giove glielo proibì (terra) e spirito»; e che è pretendendo che le si Saturno (ovvero il tempo) dovesse dare il proprio. a decidere «in cosa sia Mentre la Cura e Giove ravvisabile l’essere litigavano sul nome, saltò “originario” di questa su anche la Terra (Tellus) creatura» [4]. esprimendo il desiderio Più recentemente è che le venisse dato il Warren Thomas Reich a proprio nome, visto che riflettere sul valore della “cura” in ambito bioetico essa gli aveva offerto una Figura 2. Martin Heidegger 1889 – 1976. mettendola in porzione del proprio corpo. contrapposizione al mito della guerra che fa da sfondo al I litiganti presero a giudice Saturno. E Saturno diede loro contrattualismo di Hobbes [3]: «ognuno di noi è figlio di questa sentenza, apparentemente equa: “tu Giove, che le Cura: questa è la nostra identità fondamentale» [6]. hai dato lo spirito, avrai alla sua morte lo spirito, e tu Il paradigma dell’etica della cura trova applicazione Terra, che le hai donato il corpo, il corpo avrai. Ma poiché soprattutto nel trattamento dei malati terminali e dei la Cura ha per prima formato questa creatura, essa per disabili. Si caratterizza per la particolare attenzione ai tutta la durata della vita sarà in preda alla Cura. E bisogni del malato, alla relazione medico/paziente e siccome discutete sul nome, chiamatela homo, perché è fatta di humus (terra)”» [2] [5].
*Farmacista
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Gli appunti di Formare l’Eccellenza paziente/familiari, più che al freddo rispetto dei diritti. In questo senso si discosta dal paradigma dell’etica dei principî [3]. Bisogna tuttavia notare che applicare l’etica della cura comporta il rischio di lasciare eccessivo spazio a scelte dominate dall’emotività, con inevitabili ripercussioni pubbliche. Per questo motivo alcuni autori suggeriscono di non contrapporre il paradigma della cura a quello dei principî, piuttosto di metterli in un rapporto di complementarietà, in modo che possano correggersi vicendevolmente [3]. Curare, in ultima analisi, acquista il significato di farsi carico del malato, e nel caso particolare del malato terminale assume il valore dell’accompagnare alla morte. Se è vero che quando parliamo della morte dobbiamo necessariamente fare riferimento alla morte altrui, il processo del morire invece può appartenerci, ovvero può appartenere all’esperienza cosciente della vita, se l’evento della morte non è improvviso ma si verifica al termine di un percorso graduale. In questo caso è presente ancora uno spazio etico di coscienza e libertà, nel quale occorre salvaguardare la dignità del morente [7]. Molteplici sono gli aspetti che riguardano questo momento della vita, sui quali occorre riflettere e dare risposte. Si pensi, ad esempio, a temi come la verità al paziente, la distinzione tra mezzi ordinarî e straordinarî, o la proporzionalità delle cure. Ciò tuttavia va oltre questa trattazione, che vuole soffermarsi su un argomento che interessa un’ampia platea di pazienti, tra i quali vi sono anche i malati terminali (oncologici e non oncologici): la gestione del dolore mediante l’uso delle cure palliative. Osserva Giorgio Cosmacini che una prima enunciazione delle cure palliative come dovere del medico possiamo ritrovarla nel Discorso della morale del medico di Giuseppe Dal Chiappa (Milano 1852), dove leggiamo che «il medico deve palliare, ove il guarir non ha luogo» [8]. Cosa vuol dire “palliare”? Il termine palliare deriva dal latino pallium (mantello), e significa “coprire” (Figura 3). Cure palliative sono quell’insieme di procedure volte non all’eradicazione della malattia ma al trattamento dei sintomi, allo scopo di migliorare la qualità di vita del paziente. Esse comprendono le terapie antalgiche, il trattamento delle infezioni opportunistiche, la fisioterapia riabilitativa, il sostegno psicologico [9]. Si tratta pertanto di un lavoro di squadra che richiede l’intervento di figure professionali diverse, prima fra tutte quella del medico palliativista (esperto nell’uso degli analgesici e degli adiuvanti, e capace di effettuare una sedazione palliativa), il medico esperto nel trattamento delle piaghe da decubito, e lo psicologo. Non è tuttavia irrilevante il ruolo del farmacista, e non solo di quello ospedaliero. Infatti, la Legge 38/2010 prevede anche la pratica delle cure palliative a domicilio. Perché questa legge possa essere applicata correttamente nell’interesse del paziente, occorre che tutti gli operatori sanitarî siano adeguatamente formati. Anche riguardo a questo tema, il farmacista territoriale sarà sempre più spesso chiamato a svolgere una funzione di informazione, di consiglio e di supporto alla famiglia e al medico curante. Per ciò che concerne l’analgesia, l’uso degli oppiacei ha in passato fatto sorgere molti interrogativi circa il doppio effetto di attenuare o eliminare il dolore e dall’altra parte di determinare un abbreviamento della vita. A tal proposito va ricordato, per l’importanza che riveste, non soltanto per i credenti, il discorso pronunciato da Pio XII
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Figura 3. El Greco, San Martino e il mendicante, 1599. Washington, National Gallery.
il 24 febbraio del 1957 ai medici che presero parte al IX Congresso nazionale della Società italiana di Anestesiologia. Dice al n. 48: «… se … la somministrazione dei narcotici cagiona per se stessa due effetti distinti, da un lato l’alleviamento dei dolori, dall’altro l’abbreviamento della vita, è lecita; (…) Bisogna altresì porsi dapprima la domanda se lo stato attuale della scienza non permetta di ottenere lo stesso risultato con l’uso di altri mezzi, e poi di non oltrepassare, nell’uso del narcotico, i limiti di quello che è praticamente necessario» [10]. Il documento citato offre delle valutazioni e delle indicazioni di carattere morale dopo aver esaminato i dati scientifici forniti dagli studiosi del tempo. Tuttavia, dopo diversi decenni di pratica clinica, certi timori sono stati superati. Non c’è un nesso causale tra la somministrazione degli analgesici e la riduzione della durata della vita; la morte sopraggiunge a causa del progredire della malattia, non a causa dell’analgesia. Se poi questa fosse somministrata in misura inadeguata, tanto da causare il decesso del paziente, si tratterebbe di un errore clinico, o peggio sarebbe una pratica eutanasica ben lontana dal concetto di medicina palliativa. I medicinali impiegati nel trattamento del dolore severo sono adoperati con successo senza alterare lo stato di
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Gli appunti di Formare l’Eccellenza
coscienza del paziente. Infine, la sedazione palliativa, che invece comporta la perdita di coscienza, si effettua, con il consenso del paziente, utilizzando il Midazolam®, solamente in seguito alla comparsa di almeno un sintomo refrattario alla terapia del dolore. È un trattamento reversibile (solo se vi sono motivi gravi), ma di norma una volta intrapreso accompagna il paziente fino al sopraggiungere della morte [11]. Va precisato che non causa il decesso del paziente.
Figura 4. Pio XII (Eugenio Pacelli, 1876 – 1958, pontefice dal 1939).
Bibliografia e note: 1. 2. 3. 4.
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Publio Virgilio Marone, Eneide Libro VI, 274. Caio Giulio Igino, Fabularum liber n. 220. Gensabella Furnari M., CURA Paradigma in Nuova Enciclopedia di Bioetica e Sessuologia a cura di G. Russo, Elledici 2018. Heidegger M., Essere e tempo, § 42, traduzione di Alfredo Marini, Mondadori 2006. In nota al testo l’autore ricorda che Goethe riprese da Herder la favola della cura tramandata da Igino nel Fabularum liber (n. 220), e la rielaborò per la seconda parte del Faust. Nell’opera di Goethe, Cura, definendosi «la compagna eternamente ansiosa» dell’uomo, acceca Faust come forma di punizione per aver stipulato il patto con Mefistofele, grazie al quale sfugge alla condizione umana e dunque evita il peso della cura, qui intesa come preoccupazione. Cfr. Gensabella Furnari M., CURA Paradigma in Nuova Enciclopedia di Bioetica e Sessuologia a cura di G. Russo, Elledici 2018. Si noti che, anche nella tradizione veterotestamentaria (Gn 2,7a), il primo uomo creato da Dio prende il proprio nome (’ādām “il terrestre”) dal sostantivo ’ādāmāh che significa “terra”. Cfr. Costa G., Fondamenti biblici della bioetica, Coop.S.Tom. 2003. Reich W. T., Alle origini dell’etica medica: mito del contratto o mito di cura?, in Cattorini P., Mordacci R. (ed.), Modelli di medicina, Europa Scienze Umane Editrice, Milano 1993. Merlo P., Fondamenti & Temi di bioetica, seconda edizione riveduta e aggiornata. LAS Roma 2011. Pagg 327-343. Cosmacini G., DIRITTO ALLA SALUTE Considerazioni generali in Nuova Enciclopedia di Bioetica e
Sessuologia a cura di G. Russo, Elledici 2018. Sgreccia E., Manuale di Bioetica Volume I. Quarta edizione riveduta ed ampliata. Vita & Pensiero Milano 2007. 10. Pio XII, Discorso intorno a tre quesiti religiosi e morali concernenti l’analgesia, 24 febbraio 1957 (n. 48). Circa la necessità o meno di sopportare il dolore da parte del cristiano, il papa osserva che: «… l’aumento dell’amore di Dio e dell’abbandono alla sua volontà non proviene dalle sofferenze stesse acettate, ma dall’intenzione volontaria sostenuta dalla grazia; questa intenzione in molti moribondi può rafforzarsi e divenire più viva, se si attenuano le loro sofferenze, perché queste aggravano lo stato di debolezza e di esaurimento fisico, ostacolano lo slancio dell’anima e logorano le forze morali, invece di sostenerle. Al contrario, la soppressione del dolore procura una distensione organica e psichica, facilita la preghiera e rende possibile un più generoso dono di sé. Se vi sono moribondi che accettano la sofferenza, come mezzo di espiazione e sorgente di meriti per progredire nell’amore di Dio e nell’abbandono alla sua volontà, non si imponga ad essi l’anestesia» (ivi n. 42). 11. Cfr. ivi n. 46: «Ma se il morente ha adempiuto a tutti i suoi obblighi (…), se nette indicazioni mediche suggeriscano l’anestesia, se nel fissare le dosi non si sorpassa la quantità permessa, se se ne è accuratamente misurata l’intensità e la durata, e il paziente vi consente, nulla allora vi si oppone: l’anestesia è moralmente permessa». 9.
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CURE PALLIATIVE E FARMACIA / 2
Le cure palliative e la terapia del dolore, il ruolo del farmacista nella comunicazione e nella gestione del paziente
Massimo Martino* Il recente incontro, organizzato da AGiFar Agrigento e tenutosi presso la sede di A. Ti. Far. Federfarma Agrigento, in un ambiente estremamente confortevole e ricco di entusiasmo, ha messo in evidenza il rapporto stretto e fortemente collaborativo tra la realtà operativa dei palliativisti ed il ruolo centrale del farmacista. Da una disamina storico culturale sulla evoluzione delle cure palliative e sul ruolo che le varie figure professionali hanno svolto è emerso che, la storia delle cure palliative trae origine da antichi vissuti e nobili intenti, che bene si uniscono alla concezione di una umanità sofferente che deve essere accompagnata nel vivere quotidiano. Il pallium, antico simbolo di rinascita e dignità, rivive oggi come simbolo del retaggio storico culturale, divenuto simbolo di una umanità sofferente, portata in braccio da una chiesa unita nel nome di Cristo. Abbiamo avuto modo di presentare lo svolgimento storico delle cure palliative con la nascita delle stesse in Inghilterra ad opera di Cicely Saunders, fondatrice del movimento Hospice ed ideatrice di un ideale di cura basato sull’aiuto operativo vissuto sul campo. Analizzando le varie tematiche si è messo in evidenza il problema ancora aperto dell’approccio alla terapia antalgica, troppo lontano ancora dagli schemi europei e troppo banalizzato nella nostra realtà. Il motivo risiede a mio avviso in una concezione troppo utilitaristica e personalistica di un razionale di intervento dove le regole sono sistematicamente disattese e dove ogni professionista cerca di sopperire alle carenze a modo proprio. Ma quale può essere la risposta del farmacista a questo primo problema? Corretta informazione nata da una attenta informazione: non è ammissibile che si senta oggi dire ancora che gli oppioidi sono magari farmaci troppo forti e non adatti alle problematiche del momento. Ma Agrigento presenta delle piacevoli sorprese con un fermento culturale e professionale che fa certamente invidia alle città più grandi ed apparentemente più progredite in senso terapeutico; scopriamo infatti solo dopo aver dibattuto sulla sedazione palliativa che nel contesto appena oggettivato esiste un accordo tra le Asp e le Onlus presenti, l’unico peraltro in Sicilia, che permette di poter utilizzare l’unico farmaco esistente per tale procedura, e solo ad uso ospedaliero, nella fattispecie il Midazolam®, nelle sedazioni palliative a domicilio. Ma a questo punto si può ancora una volta vedere come le informazioni non vengano adeguatamente veicolate sul territorio siciliano, dove in altri contesti, ci si adatta nel miglior modo possibile. Ampio spazio e stato poi dato alla terapia antalgica dove si è parlato di titolazione e di wash out con cambi di
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terapia in equianalgesia. La titolazione rappresenta infatti quella procedura terapeutica attraverso la quale si riesce a trovare la dose efficace di oppioidi da somministrare al paziente affetto da dolore; non è un rito antico fatto da maghi o stregoni … si tratta di scienza. Il metodo infatti può essere applicato con rigore scientifico e ripetibilità analitica in ogni contesto, domicilio o ospedale che si voglia. In tutto questo si può ovviamente modulare la terapia antalgica con appositi aggiustamenti di dose che vengono effettuati al fine di personalizzare estremamente fino all’esasperazione la terapia che il paziente riceve. Credo che siano pochi infatti gli approcci terapeutici che oggi permettano di poter personalizzare in maniera così capillare una terapia così importante per la qualità di vita del paziente. Il dibattito ha fatto emergere la cogente esigenza di poter saper utilizzare gli strumenti disponibili, ma anche saper dare il giusto consiglio al medico che deve necessariamente confrontarsi con una realtà che padroneggia poco. Ritengo infatti che l’approccio
Figura 1. Cicely Saunders (1918 – 2005), fondatrice del Saint Christopher’s Hospice.
multidisciplinare possa rappresentare una risorsa efficace nel combattere la tremenda paura di sapere troppo poco su farmaci di uso comune. Infatti gli oppioidi, così come emerso dalla legge 38/2010, rappresentano farmaci ormai di uso comune, sui quali però vige l’obbligo della chiarezza di utilizzo. Non è ammissibile pensare ad una rimodulazione concettuale sull’uso degli oppioidi se
*Dirigente medico I livello esperto in cure palliative presso UF di cure palliative e terapia antalgica, Istituto Oncologico del Mediterraneo, Viagrande (CT)
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Gli appunti di Formare l’Eccellenza
LA STORIA MODERNA •
• prima non si prende responsabilmente coscienza della efficacia terapeutica espressa da farmaci coperti da paure inconsce di una fine sulla quale ancora non si è discusso. Il farmacista ha quindi l’obbligo di rispondere a tale esigenza culturale, con la preparazione e l’attenzione che lo ha sempre contraddistinto: maestro delle preparazioni magistrali ed abile scopritore di rimedi poco usuali. La capacità di risolvere i problemi gestionali e di proporre alternative nuove nella prospettiva di rilancio dinamico di un processo evolutivo lento, ma graduale e continuo, è stata l’oggetto di ulteriori riflessioni collettive dalle quali è emerso l’aspetto collaborativo più robusto, visto ed elaborato alla luce di un vissuto interiore ricco di voglia di essere protagonista di una storia che ancora deve scrivere molte pagine. Ma accanto a queste tematiche si è aperto anche il confronto con il mondo della nutraceutica, realtà assai variabile dove troviamo proprio di tutto. Come orientarsi allora in tale contesto? Dobbiamo sempre avere presente che il nostro operato esiste come mandato collaborativo tra realtà diverse che mettono al centro il paziente: ciò che è realmente utile è validabile in un contesto pluralista, e può trovare ampio utilizzo con razionale scientifico. La terapia medica non è infatti qualcosa che si inventa; i farmaci ed i nutraceutici nascono per migliorare la qualità della vita, ma vanno selezionati. Non possiamo infatti ammettere che tutto sia perfettamente rispondente alle nostre esigenze … abbiamo sempre un margine di confidenza che dovrebbe essere in taluni casi ristretto. Ma se questo risponde, a giudizio conforme, ad un chiaro rigore scientifico, come poter allora uscire da una logica contrattualistica di scambio non solidale ma sproporzionato a tal punto da erigere montagne di letteratura ad hoc? Le maglie della nutraceutica in particolare modo espongono l’operatore ad un uso spasmodico di un rimedio, qualunque esso sia, al fine di dare o somministrare un qualcosa che possa essere considerato un artificio medico coperto da risultato. Con ciò vogliamo non fare demerito a tanti buoni prodotti, ma dire soltanto di utilizzare sempre al meglio e con attenzione tutto quello che abbiamo a nostra disposizione. A tale proposito si è parlato di come la lattoferrina abbia, ad esempio, notevoli ed insospettabili qualità nella modulazione delle anemie. Somministrare adeguate tipologie di ferro orale e di lattoferrina ha permesso di evitare a pazienti anemici procedure invasive, peraltro a volte non condivisibili dagli stessi (parlo ad esempio dei Testimoni di Geova, dove nel loro credo non è ammissibile il ricorso alla trasfusione).
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Nel 1967 Cicely Saunders fonda il Saint Christopher’s Hospice: da allora l’esperienza hospice si diffonderà ampiamente nei Paesi di lingua inglese Il primo hospice negli USA risale al 1974 a Branfort (attualmente esistono più di 2000 programmi hospice) Negli anni ’70 si verifica un grande sviluppo soprattutto degli hospice residenziali, molti dei quali operano su base caritatevole
Ma questo è solo un esempio da poter prendere in considerazione; ne esistono altri come l’utilizzo del succo di mangostano nella terapia antalgica quale adiuvante. Mi auguro che a questo ottimo incontro ne seguano ancora altri, perché la cultura della vita non può ammettere limiti! Abbiamo quindi ancora tanto da dirci e tante pagine di storia da scrivere, ma abbiamo soprattutto ancora tanto da condividere nell’ottica del rispetto della vita umana.
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L’ARTE COME “COLTIVAZIONE” DELLA BELLEZZA DEL CREATO Riflessioni sulla Laudato si’
Rodolfo Papa Nella Laudato si’ di Papa Francesco, si può rintracciare una interessante riflessione sulla bellezza che, sebbene non sia uno dei temi centrali dell’enciclica, tuttavia presenta una sua organica e consistente fisionomia [1]. Innanzitutto nel n. 34 viene impostata una dialettica tra bellezza vera e bellezza falsa: «Ma osservando il mondo notiamo che questo livello di intervento umano, spesso al servizio della finanza e del consumismo, in realtà fa sì che la terra in cui viviamo diventi meno ricca e bella, sempre più limitata e grigia, mentre contemporaneamente lo sviluppo della tecnologia e delle offerte di consumo continua ad avanzare senza limiti. In questo modo, sembra che ci illudiamo di poter sostituire una bellezza irripetibile e non recuperabile con un’altra creata da noi» (n. 34). Collocando questo passaggio nel contesto, si comprende che la “bellezza irripetibile e irrecuperabile” corrisponde alla vera bellezza naturale, con le sue leggi e le sue finalità, mentre l’ “altra bellezza creata da noi” corrisponde a una falsa bellezza, costruita dall’uomo “al
servizio della finanza e del consumismo”. Dunque, qualsiasi tentativo umano di “fare” bellezza dovrebbe partire dalla bellezza vera, irripetibile e non recuperabile, essendo illusoria la convinzione di poter creare la bellezza. Una presunta bellezza, che si ponga come alternativa a quella naturale o addirittura contro di essa non può che rivelarsi “falsa”. La bellezza della natura richiede di essere innanzitutto contemplata: «Il Signore poteva invitare gli altri ad essere attenti alla bellezza che c’è nel mondo, perché Egli stesso era in contatto continuo con la natura e le prestava un’attenzione piena di affetto e di stupore. Quando percorreva ogni angolo della sua terra, si fermava a contemplare la bellezza seminata dal Padre suo, e invitava i discepoli a cogliere nelle cose un messaggio divino» (n. 97). Papa Francesco sottolinea che Gesù stesso invitava a contemplare la bellezza del mondo, e che proprio nella bellezza delle cose c’è un messaggio divino, al quale ci si può avvicinare solo con attenzione,
Figura 1. Rodolfo Papa, L’artista come Ulisse il distruttore di torri.
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Non esiste un sistema che riesca ad annullare l’apertura originaria alla triade fondamentale costituita da verità, bene e bellezza; verità, bene e bellezza non possono Rodolfo Papa, pittore, scultore, teorico, storico e filosofo essere annullati dall’uomo: «Non esistono sistemi che dell’arte. Esperto annullino completamente l’apertura al bene, alla verità e della XIII alla bellezza, né la capacità di reagire, che Dio continua ad Assemblea incoraggiare dal profondo dei nostri cuori. Ad ogni Generale Ordinaria persona di questo mondo chiedo di non dimenticare del Sinodo dei questa sua dignità che nessuno ha diritto di toglierle» (n. Vescovi. Docente di 205). Storia delle teorie La coltivazione del desiderio di bellezza che sta nascosto estetiche presso nel cuore dell’uomo, è un impegno anche di ordine l’Istituto Superiore ecologico. Infatti l’educazione alla bellezza è propedeutica di Scienze per l’educazione ecologica. Potremmo dire che una Religiose ecologia autentica parte proprio dalla conoscenza, dalla Sant’Apollinare, custodia e dalla coltivazione della bellezza della natura. Roma; il Master di II Livello di Arte e Architettura Sacra Facendo riferimento al Messaggio per la XXII Giornata dell’Università Europea, Roma; l’Istituto Superiore di Mondiale della Pace di Giovanni Paolo II, Papa Francesco Scienze Religiose di Santa Maria di Monte Berico, Vicenza; afferma: «non va trascurata […] la relazione che c’è tra la Pontificia Università Urbaniana, Roma. È Accademico un’adeguata educazione estetica e il mantenimento di un Ordinario della Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti ambiente sano» (n. 215). Proprio in quel discorso del e Lettere dei Virtuosi al Pantheon. Presidente della 1990, san Giovanni Paolo II parlava di un “valore estetico Accademia Urbana delle Arti. del creato”: «Non si può trascurare, infine, il valore Tra i suoi scritti si contano circa venti monografie e estetico del creato. Il contatto con la natura è di per sé alcune centinaia di articoli (“Arte Cristiana”; “Euntes profondamente rigeneratore come la contemplazione del Docete”; “ArteDossier”; “La vita in Cristo e nella Chiesa”; suo splendore dona pace e serenità. La Bibbia parla “Via, Verità e Vita”, “Frontiere”, “Studi cattolici”; spesso della bontà e della bellezza della creazione, “Zenit.org”, “Aleteia.org”; …). chiamata a dar gloria a Dio» [2]. Come pittore ha realizzato interi cicli pittorici per Vediamo dunque che sia il messaggio di Giovanni Paolo II Basiliche, Cattedrali, Chiese e conventi (Basilica di San che l’Enciclica di papa Francesco sviluppano la questione Crisogono, Roma; Basilica dei SS. Fabiano e Venanzio, della educazione estetica, che guidi l’uomo nella sua Roma; Antica Cattedrale di Bojano, Campobasso; attività artistica, architettonica, urbanistica e tecnologica, Cattedrale Nostra Signora di Fatima a Karaganda, affinché anche il paesaggio antropizzato sia bello, nel Kazakistan; Eremo di Santa Maria, Campobasso; rispetto della bellezza naturale. Giovanni Paolo II infatti Cattedrale di San Panfilo, Sulmona; chiesa di san Giulio I scrive: «Forse più difficile, ma non meno intensa, può papa, Roma; San Giuseppe ai Quattro Canti, essere la contemplazione delle opere dell'ingegno umano. Palermo; Sant'Andrea della Valle, Roma …). Anche le città possono avere una loro particolare bellezza, che deve spingere le persone a tutelare l'ambiente circostante. Una buona pianificazione urbana è affetto e stupore. un aspetto importante della protezione ambientale, e il La capacità di saper cogliere la bellezza richiede rispetto per le caratteristiche morfologiche della terra e educazione dello sguardo: «È possibile, tuttavia, allargare un indispensabile requisito per ogni insediamento nuovamente lo sguardo, e la libertà umana è capace di ecologicamente corretto» [3]. limitare la tecnica, di orientarla, e di metterla al servizio Il tema urbanistico della città è presente nella Laudato si’ di un altro tipo di progresso, più sano, più umano, più nel contesto della “ecologia culturale”: «Insieme al sociale e più integrale» (n. 112). patrimonio naturale, vi è un L’arte si colloca proprio tra le patrimonio storico, artistico e possibilità di allargare lo sguardo «Una presunta bellezza, che si ponga culturale, ugualmente minacciato. alla bellezza della natura. Proprio come alternativa a quella naturale o È parte dell’identità comune di un la “ricerca creatrice del bello” può costituire una autentica salvezza addirittura contro di essa non può che luogo e base per costruire una città abitabile. Non si tratta di nei confronti del paradigma rivelarsi “falsa”» distruggere e di creare nuove città tecnocratico e dei suoi effetti ipoteticamente più ecologiche, dove non sempre risulta distruttivi: «La liberazione dal paradigma tecnocratico desiderabile vivere. Bisogna integrare la storia, la cultura imperante avviene di fatto in alcune occasioni. […] e l’architettura di un determinato luogo, quando la ricerca creatrice del bello e la sua salvaguardandone l’identità originale. Perciò l’ecologia contemplazione riescono a superare il potere richiede anche la cura delle ricchezze culturali oggettivante in una sorta di salvezza che si realizza nel dell’umanità nel loro significato più ampio. In modo più bello e nella persona che lo contempla» (n. 112). diretto, chiede di prestare attenzione alle culture locali Nessun sistema disumanizzante può annullare nel momento in cui si analizzano questioni legate completamente la vera umanità, ma può solo offuscarla, all’ambiente, facendo dialogare il linguaggio tecnicocoprirla o anestetizzarla, ed è sempre possibile scientifico con il linguaggio popolare. È la cultura non solo risvegliare l’umanità autentica, anche grazie alla bellezza: intesa come i monumenti del passato, ma specialmente «L’autentica umanità, che invita a una nuova sintesi, nel suo senso vivo, dinamico e partecipativo, che non si sembra abitare in mezzo alla civiltà tecnologica, quasi può escludere nel momento in cui si ripensa la relazione impercettibilmente, come la nebbia che filtra sotto una dell’essere umano con l’ambiente» (n. 143). porta chiusa. Sarà una promessa permanente, nonostante L’attenzione alla bellezza, nel senso vasto del termine, con tutto, che sboccia come un’ostinata resistenza di ciò che è implicazioni legate sia alla natura che alla cultura, si autentico?» (n. 112).
L’AUTORE
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Figura 2. Rodolfo Papa, L’artista come Ulisse parte da Itaca.
rivela essere correttivo ed antidoto alle derive pragmatistiche, potenzialmente disumane: «Prestare attenzione alla bellezza e amarla ci aiuta ad uscire dal pragmatismo utilitaristico. Quando non si impara a fermarsi ad ammirare ed apprezzare il bello, non è strano che ogni cosa si trasformi in oggetto di uso e abuso senza scrupoli» (n. 215). La capacità di fermarsi ad ammirare ed apprezzare il bello implica una educazione che formi profondamente gli esseri umani: «Allo stesso tempo, se si vuole raggiungere dei cambiamenti profondi, bisogna
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tener presente che i modelli di pensiero influiscono realmente sui comportamenti. L’educazione sarà inefficace e i suoi sforzi saranno sterili se non si preoccupa anche di diffondere un nuovo modello riguardo all’essere umano, alla vita, alla società e alla relazione con la natura. Altrimenti continuerà ad andare avanti il modello consumistico trasmesso dai mezzi di comunicazione e attraverso gli efficaci meccanismi del mercato» (n. 215). Nella Laudato si’ papa Francesco affronta diffusamente
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la questione della tecnologia. Entro il vasto orizzonte LVII mostrano la ricchezza della visione del mondo: nei della techne, cioè delle cose prodotte dall’uomo, rientra capitoli IV e VII si spiega quali siano gli strumenti anche l’arte. Anzi, si può efficacemente proporre l’arte spirituali ed ascetici per realizzare buone opere, nei come modello di una corretta techne e dunque come un capitoli XLVIII e LVII si spiega come il lavoro e l’arte possibile parametro di riferimento per ogni siano conquistati nella pratica dell’umiltà, in relazione ai trasformazione tecnologica. L’arte, infatti, custodisce e doni dello Spirito. Ponendo questi capitoli in relazione, coltiva la bellezza, ed è una produzione che mentre emerge come il lavoro sia una attività integrante della trasforma non distrugge e non vita spirituale, della «Nessun sistema disumanizzante può abusa: «Vi sono preziose opere meditazione, della pittoriche e musicali ottenute contemplazione e dell’ascesi: il annullare completamente la vera mediante il ricorso ai nuovi lavoro è il terreno in cui umanità, ma può solo offuscarla, coprirla strumenti tecnici. In tal modo, piantare il prezioso giardino nel desiderio di bellezza “culturale” benedettino. o anestetizzarla, ed è sempre possibile dell’artefice e in chi quella Risulta infatti una piena risvegliare l’umanità autentica, anche bellezza contempla si compie il valorizzazione di tutte le grazie alla bellezza» salto verso una certa pienezza dimensioni della “cultura”. La propriamente umana» (n. 103). parola “cultura” deriva dal La tecnologia può ricevere dall’arte un carattere verbo latino colo ovvero coltivare: i benedettini coltivano umanizzante. il culto, la coltivazione, la cultura. In questo contesto, Ancor più, l’arte è il modello per una «vera cultura della l’arte in quanto coltivazione dell’anima ed edificazione di cura dell’ambiente» (n. 229), nella sua dimensione di un mondo bello e buono, viene sviluppata e conoscenza della bellezza (contemplazione), di letteralmente costruita dai Benedettini, in quanto produzione di bellezza (techne) e anche in quanto lavoro. cultivatio animi. La questione del “lavoro” viene svolta in modo profondo Mi sembra che il modello del monastero benedettino, nel e originale nella Laudato si’, con riferimento alla Enciclica suo insieme di luoghi e di persone ordinate dalla Regola, di Giovanni Paolo II Laborem exercens [4]. Nella ecologia possa essere interpretato come un modello di ecologia integrale non si può integrale, in quanto si prescindere dal “valore del «Bisogna integrare la storia, la cultura e configura come una officina in lavoro” (n. 124): «Dio pose l’architettura di un determinato luogo, grado di forgiare santi e di l’essere umano nel giardino produrre opere buone, per il appena creato (cfr Gen 2,15) salvaguardandone l’identità originale. bene comune della intera non solo per prendersi cura Perciò l’ecologia richiede anche la cura società, nella coltivazione dell’esistente (custodire), ma dell’arte speciale dello Spirito. delle ricchezze culturali dell’umanità nel per lavorarvi affinché Il monastero, nella complessità producesse frutti (coltivare)» loro significato più ampio» di strutture architettoniche e (n. 105). Ancor più, il lavoro è la artistiche, nella coltivazione vera forma di custodia e di cura: «in realtà, l’intervento sapiente del terreno, nella cura dei libri, nella unione umano che favorisce il prudente sviluppo del creato è il costante di lavoro e preghiera, può essere considerato modo più adeguato di prendersene cura, perché implica l’officina dell’arte spirituale. il porsi come strumento di Dio per aiutare a far emergere In questa prospettiva, si comprende il grande valore le potenzialità che egli stesso ha inscritto nelle cose» (n. umano, etico, ecologico dell’operare artistico che si 124). configuri come coltivazione della bellezza del creato. Il lavoro presuppone delle corrette relazioni con la realtà: «Non parliamo solo del lavoro manuale o del lavoro della terra, bensì di qualsiasi attività che implichi qualche trasformazione dell’esistente […] Qualsiasi forma di lavoro presuppone un’idea sulla relazione che l’essere umano può e deve stabilire con l’altro da sé» (n. 125). La spiritualità cristiana ha sviluppato «una ricca e sana comprensione del lavoro» (n. 125). Inoltre, l’Enciclica mostra come nella tradizione monastica benedettina sia stata elaborata una visione rivoluzionaria del «lavoro manuale intriso di senso spirituale» (n. 126). La vita Bibliografia benedettina cerca «la maturazione e la santificazione nell’intreccio tra il raccoglimento e il lavoro» (n. 126). 1. Cfr. R. PAPA, Papa Francesco e la missione dell’arte, Questa modalità di intendere il lavoro come custodia e Cantagalli, Siena 2016. cura del creato, come attività produttiva soprattutto in 2. S. GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la XXII Giornata senso spirituale, è un modello ancora attuale: «Tale Mondiale della Pace, 1 gennaio 1990, n. 14. 3. Ibid. maniera di vivere il lavoro ci rende più capaci di cura e di 4. GIOVANNI PAOLO II, Lettera Enciclica Laborem Exercens, 14 rispetto verso l’ambiente, impregna di sana sobrietà la settembre 1981. nostra relazione con il mondo» (n. 126) 5. Cfr. R. PAPA, Rendere il mondo un giardino prezioso. La Io credo che questo riferimento al mondo benedettino sia visione benedettina del mondo come sviluppo artistico estremamente ricco e stimolante [5]. La Regola di San culturale ed economico, in Ora et labora. L’incidenza Benedetto rimane un testo di riferimento per una benedettina nell’area simetino-etnea, Edizioni Efesto, edificazione integrale del mondo. In modo particolare Roma 2015, pp. 20- 45; R. PAPA, San Benedetto: la cultura, alcuni passaggi della prima e della terza parte della le arti e la rinascita dell’agricoltura, in La luce di San Benedetto, GAL- Golfo di Castellamare, 2014, pp. 9.12. Regola, soprattutto i capitoli IV e VII e i capitoli XLVIII e
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Volontariato
FARMACISTI VOLONTARI L’inizio dell’avventura
Luca Matteo Galliano*
Sono passati oramai oltre dieci anni da unità mobili con una flotta attuale di ben quando è nata l’idea di allestire un otto Camper Farmacia. Ancora oggi è camper a Farmacia Mobile per presente in varie province un fermento aggiungere al bagaglio di competenze che sicuramente porterà alla fondazione che la Protezione Civile ha in materia di di nuove sezioni allargando ancora di più soccorso anche le nostre di farmacisti la copertura sul territorio nazionale. quali professionisti della gestione del In questi anni oltre all’emergenza farmaco. Abruzzo 2009, siamo stati chiamati ad Quest’idea innovativa nacque da una intervenire in Liguria in occasione proposta fatta da un nostro collega, dell’alluvione delle Cinque Terre del all’epoca titolare di una piccola farmacia 2012, nel terremoto che ha colpito in Alta Langa, al Consiglio dell’Ordine l’Emilia Romagna nel 2013 e ancora dei Farmacisti della Provincia di Cuneo l’anno passato nell’emergenza seguita che la accolse immediatamente con alle violente scosse di terremoto che entusiasmo. hanno messo in ginocchio il Centro Italia. Da lì nacque il primo Camper Farmacia, Ma questi anni hanno visto crescere realizzato grazie al finanziamento dell’Ordine dei l’Associazione, e più che altro il ruolo del Farmacista farmacisti della Provincia di Cuneo, di Federfarma Cuneo, Volontario, anche dal punto di vista istituzionale; infatti di Unifarma Distribuzione e della Fondazione CRT e con l’8 luglio 2014 abbiamo ottenuto l’accreditamento nel lui anche la prima sezione dell’Associazione Farmacisti Registro Nazionale del Volontariato, riconoscimento che Volontari, quella di Cuneo appunto. ufficializza il nostro ruolo quali professionisti del farmaco Il camper avrebbe dovuto essere presentato a Bologna, non solo nel quotidiano ma anche nell’emergenza. quale vincitore del Premio Giovane Farmacista dell’Anno, Un altro progetto nel quale siamo stati coinvolti e dove assegnato da Fe.N.A.Gi.Far, la Federazione Nazionale dei siamo diventati attori fondamentali è costituito dalla Giovani Farmacisti, durante l’edizione 2009 di realizzazione del PASS, modulo campale di assistenza Cosmofarma. Ma il camper a Bologna non poté arrivare, sanitaria alla popolazione, in cui, oltre a noi, sono era già in servizio nell’emergenza del sisma Abruzzo presenti i medici, i medici pediatri, gli infermieri, i 2009. veterinari, gli psicologi e i mediatori interculturali. Infatti il 6 aprile del 2009 nel cuore della notte una Ma oltre a tutto questo, come Farmacisti Volontari, siamo violenta scossa di terremoto aveva risvegliato migliaia di sempre impegnati nella formazione di nuovi colleghi che persone che in pochi istanti avevano perso tutto, operino nel quotidiano in farmacia sul territorio, per dare partendo dalla casa. Immediatamente fu attivata la loro gli strumenti ed informazioni importanti per poter macchina dei soccorsi da parte della Protezione Civile e affrontare in maniera ottimale un’eventuale emergenza, per la prima volta eravamo coinvolti anche noi farmacisti. soprattutto nelle prime ore. I workshop formativi di L’Abruzzo è stata una palestra per noi, giorno dopo questi anni hanno consolidato il nostro sodalizio anche giorno abbiamo imparato come potevamo essere utili e grazie al contorno culturale e culinario che ci ha siamo stati a nostra volta scoperti per le nostre peculiari accompagnato in itinere prima Roma, poi nella splendida competenze dagli altri attori del cornice di Lampedusa e l’anno soccorso in campo sanitario. «… il 6 aprile del 2009 nel cuore della passato a Verona, alternando Furono giornate lunghe, con lezioni frontali mirate sulle notte una violenta scossa di terremoto tanto lavoro da sbrigare, tanti nostre competenze a lezioni diversi campi da raggiungere, ma aveva risvegliato migliaia di persone che tenute dai responsabili della ovunque arrivassimo eravamo in pochi istanti avevano perso tutto …» Funzione Volontariato e accolti con calore dalla «L’Abruzzo è stata una palestra per noi, Funzione Sanità del popolazione; si arrivava a casa giorno dopo giorno abbiamo imparato Dipartimento di Protezione Civile stanchi, anche se la giornata (DPC) sul funzionamento della come potevamo essere utili» sembrava esser volata! macchina dei soccorsi all’interno I nostri compiti spaziavano dalla della quale andremo ad operare. gestione del magazzino farmaci centralizzato, alle analisi Oggi la nostra realtà si è consolidata e segna una nuova di prima istanza (INR e Glicemia), alla dispensazione di strada intrapresa da professionisti che vivono il territorio farmaci alla popolazione, al rifornimento di presidi e giorno dopo giorno nell’ordinario, imparando a dispositivi medici alle Postazioni Mediche Avanzate conoscerne sfaccettature e difficoltà, avendo così la (PMA) e ai campi degli sfollati; in questa bellissima possibilità di individuare meglio le necessità della esperienza, durata oltre 4 mesi, tanti colleghi da tutta popolazione, in materia farmaceutica, anche in situazioni Italia si sono alternati in turni settimanali ed è nata tra di di emergenza. noi un’amicizia che è stata alla base della crescita dei *Vice Presidente dell’Ordine dei Farmacisti Farmacisti Volontari. Oltre alla sezione di Cuneo sono poi nate le sezioni della Provincia di Cuneo, Responsabile provinciali di Agrigento, Verona, Catania, Cagliari, Nazionale della Colonna Mobile L’Aquila, Treviso e quelle regionali della Puglia e dell’Associazione Nazionale Farmacisti dell’Emilia-Romagna e sono aumentate anche le nostre
Volontari in Protezione Civile
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Fitoterapia&Nutrizione
ARPAGO Cortisone vegetale Federica Matutino*, Giorgia Matutino*
L’artiglio del diavolo o arpago (Harpagophytum procumbens) è una pianta erbacea perenne originaria dell’Africa del Sud, utilizzata tradizionalmente nella medicina africana da Boscimani, Ottentotti e Bantu per curare mal di testa, dolori articolari e nevralgie [1]. Deve il suo nome alla forma del frutto, duro e ricoperto da artigli, appendici dure e nastriformi dotate di robusti uncini, in cui talvolta si impigliavano gli zoccoli delle bestie da soma. Ecco perché questa pianta, della famiglia delle Pedaliaceae, era considerata “diabolica”. Da qui il nome volgare “artiglio del diavolo”. I tubercoli radicali, che costituiscono la droga della pianta, contengono tre glucosidi monoterpenici iridoidi del tipo aucuboside. Il più importante è l’arpagoside, di cui si conosce l’attività antinfiammatoria, analgesica e spasmolitica. Sono presenti anche arpagide e procumbide, dotati di una minore attività farmacologica, anche se sembra accertato che sia il complesso dei tre iridoidi ad esplicare l’azione completa [2]. Tale attività si esplica grazie all’inibizione dell’enzima COX2. È presente anche un complesso di fitosteroli (sitosterolo e stigmasterolo) che manifestano un’azione antinfiammatoria simile al cortisone, motivo per il quale questa pianta viene anche definita “cortisone vegetale”. Altre sostanze presenti in quantità minori sono l’acido cinnamico, clorogenico, oleanoico, ursolico e harpagochinone. L’artiglio del diavolo si presta ad una doppia modalità di utilizzo, a bassi dosaggi vengono sfruttate le proprietà dei suoi principi attivi amari per favorire i processi digestivi, vista la capacità di stimolare la produzione di succhi gastrici e bile; mentre a dosaggi più elevati vengono sfruttate le sue proprietà antinfiammatorie [3]. Si è infatti dimostrato particolarmente attivo soprattutto nelle situazioni che causano dolore e infiammazione come tendiniti, osteoartrite, artrite reumatoide, mal di schiena, mal di testa da artrosi cervicale, e sciatalgie. L’impiego abituale è sotto forma di tisana, da 5 a 10 g di droga in taglio tisana vengono versati in 300 g di acqua bollente, si lasciano macerare per 15 minuti, si filtra e lo si assume per via orale dividendolo in tre somministrazioni al giorno. È disponibile in commercio anche il concentrato in
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opercoli, dosati a 300 mg, che contengono da 50 a 100 mg di arpagoside, per cui si assumeranno 1-2 opercoli 3 volte al giorno preferibilmente mezz’ora prima dei pasti. La T.M. si usa invece, alla dose di 50 gocce due volte al giorno a digiuno, tuttavia risulta avere una minore efficacia a causa della scarsa solubilità in alcool dei principi attivi [2]. Gli estratti acquosi (50-60 mg di arpagoside/die) si sono dimostrati terapeuticamente equivalenti al rofecoxib (12,5 mg/die) per il trattamento del mal di schiena [4]. L’artiglio del diavolo è presente anche in diverse formulazioni per uso topico, gel o creme, al 10% di principio attivo spesso in associazione ad altri estratti vegetali, i quali svolgono un’azione localizzata sulle parti infiammate o dolenti. Ottima per i massaggi defaticanti dopo attività sportiva e in tutti i casi di piccoli traumi, va applicata almeno due volte al giorno. Questa pianta è genericamente ben tollerata e per questo può essere utilizzata per periodi lunghi, anche in somministrazioni cicliche. La somministrazione orale risulta controindicata a chi è affetto da gastrite e ulcera duodenale, in quanto stimola la motilità gastrica; a chi è sottoposto a terapia anticoagulante, ai diabetici, visto il suo effetto ipoglicemizzante, e alle donne in gravidanza poiché può stimolare le contrazioni uterine [3]. Bibliografia 1. 2. 3. 4.
Piante Medicinali-Chimica, Farmacologia e Terapia- R.Benigni, C. Capra, P.E. Cattorini Fitoterapia per il farmacista- P. Chiereghin L’Erborista - Erbe e Piante Medicinali- Di Christian Valnet Chrubasik e coll. (2004) Phytother Res 18:187-189
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Fitoterapia&Nutrizione
CIOCCOLATO Elisir del buon umore
Elisa Drago* Theobroma cacao L. è il nome scientifico con il quale Linneo identificò la pianta del cacao. La traduzione dal greco di Theobroma significa “cibo degli Dei”. In epoche successive i maya, più precisamente nel corso del loro periodo classico, iniziano a chiamare il theobroma kakaw. La pianta del cacao appartiene alla famiglia delle Sterculiaceae e all’ordine delle Malvales. La sua coltivazione richiede climi caldo-umidi: temperature comprese tra 20° e 30°C e umidità elevata e costante; sono inoltre essenziali precipitazioni copiose ben distribuite. Theobroma cacao è infatti un albero che non tollera l’insolazione diretta, per questo motivo viene coltivato all’ombra di altre specie ad alto fusto (banani, palme di cocco) definite “piantagioni madri del cacao”. Attualmente si riconoscono 2 grandi gruppi botanici di cacao: I) i cacao criollos o finos (creoli o fini) II) i cacao forasteros o amazonicos (forestieri o amazzonici) I) cacao criollos o finos appartengono alla specie del Theobroma cacao subsp. cacao, si trovano principalmente in Messico, Colombia e Venezuela. Le loro bacche o cabosse sono allungate e poco lignificate, hanno una superficie rugosa con cinque suture o solchi molto marcati e terminano con una punta contorta, sono di colore verde o rossiccio quando mature. Questa è la qualità migliore di cacao, ma la produzione mondiale si attesta attorno al 3%. Essendo molto costoso raramente viene usato da solo e spesso lo si trova miscelato con altre qualità. II) I cacao forasteros o amazonicos appartengono alla specie del Theobroma cacao subsp. sphaerocarpum e costituiscono un gruppo molto diversificato. Si trovano allo stato selvatico nelle conche dei fiumi Orinoco e Rio delle Amazzoni. Il cacao è uno dei prodotti coloniali che subisce più trasformazioni prima di essere consumato. La lavorazione del cacao non avviene quasi mai nei paesi produttori a causa della mancanza di norme igieniche, ma generalmente avviene negli USA e in Europa dove padroneggiano importanti imprese quali Mars, Hershey, Philipps Morris, Cadbury, Ferrero e Nestlè. LE TAPPE DELLA LAVORAZIONE La raccolta 1), la fermentazione 2) e l’essicazione 3) sono le prime tre tappe del processo di lavorazione del cacao. 1) I frutti che crescono sul tronco e sui rami più
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grandi della pianta, vengono staccati per estrarne le fave che si trovano racchiuse nella polpa mucillaginosa composta principalmente da zuccheri. La polpa viene messa in tinozze di legno, o stesa su fogli di banano per qualche giorno, a 40°-50°C, per favorire il processo della fermentazione. La fermentazione consiste nella separazione delle fave di cacao dalla loro buccia e permette lo sviluppo degli oli essenziali. I microrganismi responsabili della fermentazione del cacao sono naturalmente presenti sulla matrice vegetale e nell’ambiente. Il calore è necessario per liquefare la rimanente mucillagine, in cui gli zuccheri si trasformano in acidi (ac. lattico, ac. acetico) e soprattutto permette al tannino di formare tramite ossidazione il caratteristico colore bruno dei semi. La fermentazione ha inoltre la capacità di ridurre l’intensità dell’amaro e l’astringenza, per questo una buona fermentazione determina la qualità e il prezzo del cacao. Il cacao fermentato viene poi essiccato per ridurre il tasso di umidità delle fave ancora molto ricche d’acqua. L’essicazione può avvenire naturalmente
al sole o mediante metodi artificiali che vedono l’utilizzo di stufe. Durante questo processo che dura diversi giorni, l’umidità nelle fave viene ridotta fino al 5-8% con conseguente miglioramento della conservazione del cacao e perdita di peso ( circa 2/3 del seme fresco). La lavorazione prosegue poi con la spedizione 4) e la tostatura 5) così da ottenere le fave di cacao. 4) Le fave essiccate vengono messe in sacchi di juta per evitare che il cacao assorba odori o venga a contatto con sostanze sgradevoli, e spedite nei centri di distribuzione 5) Le fave spedite nei luoghi di tostatura vengono pulite da eventuali impurità e miscelate. La tostatura viene effettuata con aria riscaldata tra 120° e 140°C. Il tempo di tostatura varia da produttore a produttore a seconda del risultato
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a. b. c.
che si vuole ottenere. Esistono diversi metodi di tostatura: classico, ad infrarossi, ad ultravioletti. La tostatura riveste una duplice funzione: tecnologica, promuovendo la formazione dell’aroma attraverso l’ossidazione dei composti fenolici, l’instaurarsi delle reazioni di Maillard , facilitando l’eliminazione dell’acido acetico e di altri esteri volatili negativi per l’aroma; e igenicosanitaria, uccidendo microrganismi, uova e larve di parassiti sopravvissuti ai processi precedenti. A conclusione di questa fase si sviluppa perciò l’aroma e il sapore tipico del cacao, i semi induriscono, diventano fragili e facilmente lavorabili. Si prosegue quindi con la macinazione 6), la preparazione della ricetta 7), la raffinazione 8), il concaggio 9), il temperaggio 10) e il modellaggio 11) per produrre i prodotti alimentari a base di cacao. LA PARTICOLARITÀ DEL CIOCCOLATO DI MODICA La cittadina di Modica, in Sicilia, è famosa per la produzione del suo particolare cioccolato, probabilmente simile al cioccolato della fine del ‘700 e inizi dell’‘800, per lo meno nello “spirito” della lavorazione. La fase del concaggio qui non viene eseguita, e lo zucchero viene mescolato ad una temperatura moderata (attorno ai 36°C) alla pasta di cacao, senza aggiunte di burro di cacao. Viene poi modellata a freddo per ottenere le forme desiderate. In questo modo i cristalli di zucchero, che non vengono sminuzzati e ricoperti dal burro di cacao, si sentono benissimo in bocca e si vedono ad occhio nudo. C’è chi sostiene che saltando la fase di concaggio si mantengono degli aromi che altrimenti si volatilizzerebbero. Questo in parte è vero, ma è anche vero che il concaggio elimina degli aromi indesiderati e diminuisce l’acidità del cioccolato. Un altro pregio del concaggio e che le alte temperature che si raggiungono possono anche produrre nuove sostanze aromatiche, trasformando i precursori ancora presenti in molecole “gustose”. Concludendo possiamo dire che è una questione di compromessi inevitabili e non da ultimo una questione di gusto personale. COMPONENTI PRINCIPALI Il cacao contiene i seguenti aminoacidi: acido aspartico e acido glutammico, alanina, arginina, cistina, glicina, fenilalanina, istidina, isoleucina, leucina, lisina, prolina, metionina, serina, tirosina, triptofano, valina e treonina. Molto importante la presenza di sostanze chimiche con proprietà benefiche per l’organismo umano come la caffeina, le serotonina, la tiramina e la feniletilamina. Per quanto riguarda, invece, le sostanze naturali bioattive, queste comprendono tra le principali: teobromina e caffeina (metilxantine). Sono presenti in diverse concentrazioni teobromina 2-2,7%, soprattutto nella buccia, e caffeina 0,6-0,8%, e sono responsabili di diverse azioni:
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aumento della concentrazione e dell’attenzione; miglioramento dello stato di veglia; miglioramento della contrattilità del muscolo scheletrico; d. azione vasodilatatrice; e. azione diuretica. f. come stimolante la teobromina è meno potente rispetto alla caffeina, che, però, è presente in concentrazioni più basse. Queste sostanze agiscono come antagoniste dei recettori purinergici P1 per l’adenosina (ad eccezione del sottotipo A3, relativamente insensibile). Normalmente l’adenosina ha delle azioni inibitorie sul sistema nervoso centrale e, di conseguenza, l’azione antagonista è responsabile degli effetti psicostimolanti di queste sostanze, ma anche di effetti indesiderati legati all’abuso, quali insonnia, tachicardia e agitazione. Ammine biogene: tiramina, triptamina, istamina, 2-feniletilamina. Le ammine biogene sono sostanze basiche derivanti dalla decarbossilazione microbica degli amminoacidi. Tiramina, triptamina, istamina e 2-feniletilammina rappresentano le più comuni monoammine negli alimenti fermentati o in quelli ad avanzato grado di degradazione microbica. La 2-feniletilammina è considerata un neuromodulatore di sinapsi dopaminergiche, serotoninergiche e noradrenergiche. A livello polmonare causa un iniziale rilassamento della parete parenchimale dei polmoni, probabilmente mediato da recettori beta-adrenergici, seguito da una contrazione a concentrazioni più elevate. A livello cardiovascolare aumenta la pressione sanguigna aortica, probabilmente grazie al rilascio di norepinefrina endogena dalle terminazioni nervose adrenergiche, è in grado di dare sia un effetto inotropo positivo sia vasocostrizione. A livello nervoso, a causa della sua rapida degradazione ad opera delle MAO, la 2- feniletilammina induce effetti farmacologici solo a dosi elevate o in situazioni di trattamenti con MAO-inibitori. La tiramina, ampiamente rappresentata nell’organismo degli esseri viventi, è un’ammina sintetizzata per decarbossilazione della tirosina in seguito a processi fermentativi o di decomposizione batterica. Essendo un simpaticomimetico è in grado di stimolare il rilascio di noradrenalina dalle vescicole neuronali causando vasocostrizione, con aumento dei battiti cardiaci e della pressione sanguigna; questo implica che nel caso in cui ci sia un’assunzione elevata di questa ammina si possa verificare la cosiddetta “risposta pressoria alla tiramina”, con l’ aumento della pressione sistolica di 30 mmHg o più. Si tratta di molecole vasoattive che, ad alte concentrazioni o assunte in associazione a MAO inibitori, farmaci antidepressivi che agiscono inibendo le monoaminossidasi, ossia gli enzimi responsabili del catabolismo di importanti neurotrasmettitori quali noradrenalina, dopamina e serotonina, possono provocare la cosiddetta cheese reaction, caratterizzata da rossore, mal di testa, alterazioni pressorie e addirittura shock cardiocircolatorio. Questa reazione può manifestarsi dal momento che la tiramina è anch’essa metabolizzata dalle MAO intestinali. Di conseguenza, la contemporanea assunzione di MAO inibitori impedisce a questi enzimi di catabolizzare la tiramina, che provoca il rilascio di grandi quantità di catecolamine dai terminali assonali, con la comparsa dei sintomi sopracitati. La serotonina (5-idrossitriptamina, 5-HT) è un neurotrasmettitore monoamminico sintetizzato nei
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neuroni serotoninergici nel sistema nervoso centrale e in alcune cellule dell’apparato gastrointestinale (cellule enterocromaffini). La serotonina possiede altri importanti effetti farmacologici, svolge un ruolo importante nella regolazione dell’umore, del sonno, della temperatura, della sessualità e dell’appetito; costituisce inoltre il freno naturale del riflesso dell’eiaculazione e un basso livello di questo neurotrasmettitore è la causa costituzionale principale dell’eiaculazione precoce. Questo neurotrasmettitore è inoltre bersaglio di alcune droghe, come amfetamine e l’ecstasy, che agiscono inibendone la ricaptazione neuronale. La serotonina è coinvolta in numerosi disturbi neuropsichiatrici, come l’emicrania, il disturbo bipolare, la depressione e l’ansia. Molti farmaci infatti agiscono sui recettori serotoninergici: agonisti del recettore 5-HT1D (sumatriptam) per il trattamento dell’emicrania, e
agonisti del recettore 5-HT4 (metoclopramide) per la stimolazione dell’attività peristaltica coordinata. Ci sono poi gli antagonisti del recettore 5-HT3 (ondansetron) antiemetico, e gli antagonisti del recettore 5-HT2 (metisergide) per la profilassi dell’emicrania. La serotonina non ha solo importanti effetti fisiologici, ma è anche il precursore della melatonina, ormone con elevata attività sedativa ed ipnotica. La melatonina è sintetizzata, a partire dalla serotonina, nella ghiandola pineale, che contiene tutti gli enzimi necessari per la sintesi dell’ormone a partire dal triptofano (attraverso la formazione dell’ammina). La produzione e la secrezione della melatonina sono influenzate dalla luce e dal buio: di notte c’è un aumento della quantità di ormone, mentre durante il giorno la sintesi e il rilascio sono molto ridotti.
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LA MEDICINA NELL’ANTICA MESOPOTAMIA
Giusi Sanci* Mesopotamia (3600-2000 a.C.) è il termine con cui gli antichi greci si riferirono alla fascia di terra nel Vicino Oriente situata tra i fiumi Tigri ed Eufrate. A partire dal IV millennio a.C. in questi luoghi sono nate le prime grandi civiltà della storia umana e fra queste le più importanti sono quella dei Sumeri, dei Babilonesi e degli Assiri. Figura 1. Collocazione geografica della Mesopotamia. Venticinque secoli dopo la distruzione di Ninive, Henry Layard, archeologo inglese, scoprì - ASÛ era il vero medico che trattava il paziente e che trentamila tavolette di creta incise con caratteri somministrava i farmaci. cuneiformi. Questa scoperta permise la decodificazione Si trattava essenzialmente di una medina religiosa, infatti del linguaggio assiro; le 800 tavolette che riguardano essendo ignari delle cause della malattia queste venivano l'arte medica, consentirono di apprendere notizie sulle considerate come un castigo divino per chi aveva peccato condizioni della medicina in Mesopotamia. e colui che riusciva a guarire era considerato dotato di Un documento rinvenuto di enorme importanza è il poteri soprannaturali; gli stessi poteri magici venivano Codice di Hammurabi, un'ampia normativa deontologica, riconosciuti a tutto ciò che in qualche modo guariva: erbe, una compilazione di leggi e di norme amministrative pozioni, empiastri. raccolte dal re babilonese Hammurabi, tagliato in un La diagnosi era una questione prioritaria ed i medici blocco di diorite, alto2,5 metri per mesopotamici disponevano di 1,9 metri di base, collocato nel prontuari ben precisi: «il malato tempio di Sippar. di tubercolosi tossisce In esso si specificano le frequentemente, il suo sputo è responsabilità del medico denso e talvolta contiene nell'esercizio della sua professione, sangue, la sua respirazione dà il le pene previste per mala praxis e i suono come di un flauto. La sua compensi previsti: «Se un medico carne è fredda, ma i suoi piedi riduce un osso rotto di un uomo, o sono caldi, egli suda molto e il cura i suoi intestini malati, il cuore è molto inquieto». paziente dovrà dargli 5 sicli La diagnosi, oltre che basata d'argento» (art 221). «Se un sull'esame del malato, veniva medico opera un signore per una dedotta dall'esame dei visceri grave ferita con un coltello di (prevalentemente del fegato) bronzo e ne determina la morte; se degli animali sacrificati durante apre un ascesso (nell'occhio) di un i riti propiziatori; i primi a uomo con un coltello di bronzo e praticare l'Aruspicina, cioè l'arte distrugge l'occhio dell'uomo, gli si di prevedere il futuro dovranno tagliare le dita» (art. dall'esame dei visceri 218). dell'animale, furono i Sumeri e Grazie a questo testo e ad una serie raggiunse in Mesopotamia alti di circa 30 mila tavolette compilate gradi di perfezione. da Assurbanipal (668-629 a.C.) si è Per quanto attiene ai Sumeri, su potuto intuire la concezione della una tavoletta trovata a Nippur e salute e della malattia in questo datata 2300 a.C. è stata periodo, cosi come le tecniche Figura 2. Codice di Hammurabi (dettaglio). Parigi, individuata la prima raccolta di mediche utilizzate. sostanze per uso terapeutico, Museo del Louvre. L'arte medica era affidata a 3 nonché formulari farmaceutici e categorie di sacerdoti: indicazione sulla loro preparazione. - BARÛ si occupava della diagnosi, della prognosi e delle Sono 660 le tavolette di argilla (conservate nel British cause della malattia; Museum e tradotte nel 1924), dalle quali sono state - AŜIPU era l'esorcista che scacciava i demoni della malattia; *Farmacista
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Figura 3. Tavola sumera 860 – 850 a. C. Tempio Shamash, Sippar (Iraq Meridionale). Londra, British Museum.
estrapolate i nomi di 250 piante, 120 minerali e altre sostanze di uso terapeutico, come ad esempio la belladonna. Gli schiavi avevano molto spesso il ruolo di cavie per testare i prodotti e valutarne gli effetti, tra cui la tossicità. Tra i farmaci di origine vegetale riscontriamo la mandragora, la canapa indiana, l'oppio e il giusquiamo, fra quelli di origine minerale il sale, l'allume, il rame, la creta e tra quelli di origine animale il latte, le scaglie di serpente e di tartaruga. I medici usavano lo zolfo contro la scabbia, la cannabis nella depressione psichica e nelle nevralgie, mentre in caso di polmonite ricorrevano all'applicazione locale di cataplasmi di semi di lino. La preparazione dei farmaci prevede un numero variabile di operazioni; essa può risolversi in una sola fase o, al contrario, seguire una procedura assai complessa. A volte sono date istruzioni su dove e come cogliere le piante. Di solito, le operazioni hanno inizio con l'essicazione e la tostatura degli ingredienti, che sono poi pestati, tritati o macinati, passati al setaccio e pressati. Si mescolano quindi i vari componenti e si aggiunge un eccipiente; a questo punto la preparazione può essere lavorata o impastata oppure anche riscaldata o cotta, bollita o messa in forno. Talvolta la ricetta prevedeva l'utilizzo di uno specifico recipiente, per esempio la pentola diqãru o il tamgussu un contenitore in bronzo. Si può quindi fare raffreddare il preparato, lasciarlo raffreddare sotto le stelle e poi filtrarlo. Per la loro preparazione si impiegavano vini, grassi, olii, miele, cera e latte. La somministrazione dei preparati assume diverse forme: quella interna può avvenire per via orale oppure per via rettale, con l'introduzione di supposte o l'impiego
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Figura 4. Reperto rappresentante un contratto di vendita, Shuruppak (2600 a. C.). Parigi, Museo del Louvre.
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L’ARTE MEDICA E FARMACEUTICA NELL’ANTICHITÀ Dalle ricette su tavolette di argilla alla “volgare” ricetta medica
Roberta Lupoli* La Storia della Farmacia affonda le sue radici davvero nella notte dei tempi e dalla osservazione del mondo animale e vegetale, dal vivere in stretta simbiosi con esso, l'uomo antico ha tratto i primi insegnamenti per alleviare le sofferenze conseguenti ad una vita piena di insidie che metteva continuamente a repentaglio la sua stessa esistenza. È probabile che la materia medica medicinale sia stata inizialmente di origine botanica, legata magari all'istinto di conservazione che ha guidato l'uomo nello scoprire, anche solo per sbaglio, il potere sanante insito in alcune piante. Una medicina primitiva, trasmessa di certo solo oralmente o al massimo rappresentata da immagini, giunte sino a noi perché raffigurate con disegni e graffiti sulle pareti delle caverne e, di certo, non scevra di una concezione magico-superstizioso-religiosa. Furono però i viaggi nel Mediterraneo che permisero preziosi scambi, non solo per le merci ma anche per la cultura e la medicina; grazie ad essi, molte sostanze, tipicamente orientali, si diffusero in un bacino di civiltà dove Sumeri, Assiri e Babilonesi coltivavano da sempre la medicina ed esercitavano la pratica empirica dei rimedi medicamentosi. Queste civiltà, che si avvicendarono nel corso dei secoli, si influenzarono reciprocamente e praticavano la medicina secondo un significato teurgico dove la malattia era una conseguenza dei peccati e si allontanava mediante pratiche medico-religiose accompagnate da rimedi ricavati prevalentemente dalle piante medicinali. I detentori di questi “segreti” di guarigione erano i sacerdoti, che usavano incidere le loro ricette ed i relativi rimedi su tavolette di argilla con caratteri cuneiformi. Migliaia di tavolette fanno parte della vastissima biblioteca del Re assiro Assurbanipal (666-626 a.C.) ritrovate tra le rovine di Ninive (attuale Iraq) e numerosissime sono le ricette di medicamenti contro ogni sorta di malattia. Quella dei Sumeri era una farmacologia basata sull'impiego di resine, balsami, profumi e sopratutto veleni, che ebbero tanta parte poi nella medicina praticata dai vicini Greci e sopratutto dagli Arabi. Ricorderei solo alcune piante come il Sandalo il cui legno era richiestissimo sia per le sue proprietà antisettiche e lenitive, ma anche per il suo profumo e quindi il suo olio essenziale; anche il dattero è una pianta antichissima e tutte le sue parti venivano impiegate . I Cartaginesi coniavano monete con l'albero del dattero: “l'albero della vita”, e gli Ebrei usavano le sue fronde per ornare le strade in segno di trionfo. Dobbiamo arrivare alla medicina praticata presso la civiltà Egizia per ritrovare l'oggetto di questo nostro viaggio nel tempo: la concezione biologica e sintomatologica egizia che si specializzò nella polifarmacia e contribuì a porre le basi della futura materia medico-farmaceutica greco-romana. Questa sapienza medico-empirica degli Egizi era
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patrimonio esclusivo dei sacerdoti e veniva incisa a geroglifici nei sacri papiri, a cui avevano accesso solo gli iniziati. Il Papiro di Ebers risalente al 1500 a. C. (si trova ora a Lipsia) lungo circa 23 metri per una ventina di cm di altezza e risale alla XVIII dinastia. Anche il Papiro medico di Hearst che risale alla prima metà del secondo millennio a. C., comprende, nelle 18 pagine che lo compongono, ricette per varie malattie dell'apparato urinario del sangue e dei denti, ed infine i Papiri di Ramesseum ritrovati a Tebe in una cassetta, contenenti formule magiche prescrizioni ginecologiche e rimedi contro i dolori articolari . Grazie a questi ricettari, preziosissimi documenti di materia medicinale dell'antico Egitto, siamo oggi in grado di ricostruire questi rimedi che utilizzavano droghe vegetali, animali e minerali. Ricco e curioso è il repertorio delle droghe animali impiegate dagli Egizi, nei papiri: fegato d'asino, sangue di vitello, guscio di tartaruga, escrementi di coccodrillo, viscere dei pesci, pelle d'ippopotamo, carne di leone, serpente e gazzella. Il tutto ovviamente fa spesso riferimento alla magia ritenendo che all'origine di molti mali ci fosse l'influsso dei demoni o altre superstizioni. Ovviamente la pratica della medicina egizia era intrisa di elementi religiosi e magici, ciò nonostante influenzò, nei secoli che seguirono, l'evoluzione delle terapie e dei rimedi medicinali perché basata sull'osservazione ed infatti, in questi papiri si rileva come il cuore è il centro della circolazione sanguigna e attraverso i vasi è collegato a tutto l'organismo, si tratta in essi dei disordini mentali come la depressione e la demenza, ma anche di ginecologia e di contraccezione e disturbi dell'apparato digerente. Non può che stupirci il loro conoscere i tumori, le fratture ossee ed i primi trattamenti chirurgici o anche la tracheotomia, praticata con una canna di bambù, opportunamente posizionata e tagliata a becco di flauto. Ecco alcuni curiosi esempi di ricette: «mezza cipolla e la schiuma della birra» erano considerati un «delizioso rimedio contro la morte», o per la stipsi: «latte di vacca, grano e miele – ridurre in poltiglia setacciare e cuocere, assumere quattro volte al giorno»; o un rimedio per il mal di pancia prescriveva: «meliloto e datteri - cuocere in olio e ungere la parte malata». Arriviamo ora alle origini greco-latine della materia medica nel mondo greco e successivamente a Roma, la conoscenza delle piante medicinali, il loro impiego ed il commercio erano molto sviluppati. Ma un piccolo salto nella mitologia greca deve essere ed infatti, da Omero, Pindaro e Aristofane apprendiamo che, l'arte medica era praticata da medici-dei occupati a curare ferite o a proteggere i propri eroi.
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Apotheca&Storia Il Centauro Chirone che dette origine all'impiego delle erbe nella cura della salute e iniziò a questa arte Esculapio (in greco Asclepio) il figlio di Apollo; in nome del quale vengono eretti templi (Epidauro) che fungevano da ospedali dove i malati accorrevano per farsi curare dove vengono e giungono a noi, doni votivi rappresentanti le parti del corpo curate nei templi. Consentitemi una piccola sosta per raccontarvi il significato del Bastone di Esculapio e della differenza con il Caduceo. Il primo rappresenta un bastone sul quale si avvolge un serpente simbolo della vita per la capacità di rinascita legata alla perdita della pelle. Diverso è lo scettro del dio Ermes (Mercurio), alato a simboleggiare l’intelligenza e il volere degli dei a dirimere le controversie e quindi significa equilibrio: i due serpenti poi, rappresentano il potere conciliante tra gli opposti, creano armonia e rappresentano uno la dose terapeutica e l'altro la dose tossica e quindi velenosa. Il farmacista è rappresentato dal bastone alato che si pone al di sopra delle parti in quanto conoscitore dell'una e dell'altra, si frappone tra il farmaco ed il veleno consapevole del giusto dosaggio. Molti altri Dei avevano funzioni di protezione o poteri sananti come Diana che insegnò agli uomini l'uso dell'artemisia come erba medicinale o Minerva che fece conoscere la matricaria camomilla. Ad Ippocrate (siamo intorno al 460 a.C.) considerato a giusta ragione il padre della medicina dobbiamo l’aver trasformato l'arte medica in professione, facendo avanzare lo studio della medicina clinica, ma sopra ogni altra cosa di aver riassunto le conoscenze mediche delle scuole precedenti e di averle raccolte sistematicamente nel Corpus Hippocraticum. Con lui e la sua scuola, iniziò anche l'uso razionale dei medicamenti, nascono quindi esperti raccoglitori di erbe medicinali come i rhizotomoi tra cui ricordiamo Crateva, medico del Re Mitridate al cui nome è legata la più celebre delle medicine composte (medicamento polifarmaco): la teriaca. La teriaca dal greco significa “antidoto” o ancora dal sanscrito dove significa “salva”, è un elettuario (preparato galenico semidenso) utilizzato fino al XX secolo. Una formulazione di questo polifarmco la si fa risalire ad Andromaco medico di Nerone che seguendo le indicazioni di Mitridate aggiunse per primo la carne di vipera con la credenza che un animale che producesse un veleno avesse in sé anche l'antidoto. Comunque la teriaca tradizionalmente era composta da carne essiccata di vipera, valeriana, oppio di Tebe, pepe, zafferano, mirra, malvasia, polvere di mummia, angelica, genziana, incenso, timo, tarassaco come componente amaro, matricaria come sedativo, succo di acacia come astringente, miele attico e liquirizia come addolcente, finocchio, anice, cannella e cardamomo come carminativi, scilla e acaro bianco come componenti acidi. Tutti i componenti venivano invecchiati per minimo sei anni ed avevano validità per 36 anni dalla preparazione. Veniva dosata in base allo stato di salute del paziente somministrata diluita in vino, miele ed acqua in dose da una dramma (1,25 grammi) a mezza dramma evitando l'estate. Alcune piante che i greci conoscevano bene e dalle quali traevano anche sostanze con principi attivi che ancora oggi utilizziamo tra tutte il colchico (nome tratto dalla regione nel quale cresceva la Colchide) che i greci conoscevano bene per i sui effetti antigottosi o la “cicuta di Socrate “ utilizzata per dare la morte ai condannati. Nel primo secolo dopo Cristo a Roma con Dioscoride si
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prosegue una pratica di medicina di derivazione prevalentemente greca. I rizotomoi altro non erano che abili raccoglitori di rizomi e sempre a Roma fioriscono delle vere e proprie farmacie tabernae medicinae dove si vendevano droghe ed ogni sorta di medicamento proveniente da tutto il mondo. Nell'opera di Plinio il Vecchio Naturalis Historia, siamo alla metà del 500 d. C. Vengono raccolte ricette provenienti da oltre 2000 opere e descritto l'uso di materie di ogni genere, specie se esotici e rarissimi si utilizzano anche per bevande o preparare profumi: il così detto “profumo regale” che a detta di Plinio era quanto di più lussuoso e vano o vanesio fosse in commercio. Nel mondo antico il più grande ed autorevole studioso delle piante medicinali fu senza dubbio Claudio Galeno (131-201 d.C.); di lui ci restano ancora 83 scritti tra i quali il famoso De Simplicium Medicamentorum nel quale sono elencate e descritte circa 500 piante medicinali. Con la decadenza del mondo romano e le invasioni barbariche attraversiamo un lungo periodo di smarrimento anche della scienza farmaceutica che, se non fosse stato per l'opera conservatrice del mondo islamico, non sarebbe giunta a noi. Tra il VII e l'VIII secolo il popolo arabo ci fa sentire il suo influsso, si coltivano le scienze e un continuo e proficuo lavoro di sintesi della cultura, e ad Alessandria d'Egitto comincia a prendere forma quella “scienza alchemica” sulla cultura scientifica occidentale e questo, insieme alla conoscenza di molte droghe importate dagli Arabi, influì sullo sviluppo dell'arte farmaceutica che vide arricchirsi di nuovi ingredienti, ma soprattutto delle procedure per lavorarli, parlo della distillazione con l'alambicco. Droghe come la noce moscata, i chiodi di garofano, la canfora, l'aloe, il benzoino, il bergamotto entrano a far parte delle ricette medicamentose e l'uso della distillazione con
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Apotheca&Storia
l'alambicco permette di ricavare i preziosi oli essenziali e di ottenere la così detta “quintessenza”. I medici di lingua araba, dopo aver tradotto e diffuso le opere di Galeno iniziarono uno studio sistematico delle piante medicinali, diffondendo largamente le conoscenze e le metodiche di preparazione, mediante meravigliosi testi didattici, scritti in arabo e contenenti disegni finemente miniati e spesso le stesse piante essiccate; sono gli erbari arabi che, accanto ai bestiari e ai lapidari, rappresentano un formidabile strumento di diffusione della cultura medica. Nell’XI secolo con i Canoni di Avicenna, il suo nome era Ibu Sina (980-1030 d. C.), di lui si disse che: «scrisse la Bibbia dei Medici», le droghe aromatiche, oltre 700 quelle descritte, entrano a far parte dei ricettari, anche se la maggior parte di esse erano già descritte nell'opera di Dioscoride. Ma proseguiamo in questo viaggio nel tempo e come la leggenda narra nel IX secolo a Salerno si incontrarono casualmente quattro personaggi; un cristiano, un greco, un ebreo ed un arabo i quali insieme misero il loro sapere e fondarono una scuola di medicina. Questo per dire che per circostanze legate alla felice posizione della città di Salerno, che intratteneva proficui scambi non solo commerciali, permisero il nascere della più antica istituzione dell'Europa occidentale per l'insegnamento della medicina e delle arti ad essa connessa; la scuola salernitana fu il primo esempio di sincretismo fra pensiero scientifico occidentale di origine greco-latina e quello orientale. Ed al fondatore della Università di Napoli si deve la separazione nel XII secolo delle due professioni: quella del medico e del farmacista ad opera di Federico II. Nacque il Regimen Sanitatis Salernitanum che, con il successivo avvento della stampa, fu diffuso in tutta Europa. Il Regimen però per buona parte del Medioevo venne introdotto e seguito dalle scuole monastiche, nei conventi di Salerno, Montecassino ed in quelli di tutta l'Italia Meridionale e poi di tutta l'Europa. Nasce anche a Salerno, alla fine del XIV secolo, il primo giardino botanico del mondo per opera di Matteo Silvatico; autore anche dell’Opus Pandectarum (Liber Cibalis Medicinalis) scritto appositamente per i medici ed i farmacisti (tam Aromatariis) opera dove vengono descritte 487 specie vegetali ed i nomi sono riportati in arabo, greco e latino con anche le relative proprietà terapeutiche. I monaci che da sempre fungevano da custodi di un sapere antico, raccolto in preziose pergamene che conservavano come reliquie, trascrivono con infinita pazienza una miriade di codici che solo grazie al loro lavoro sono giunti fino a noi. Questo lavoro si tradusse nell'opera degli scriptoria ma anche nella coltivazione, nei soleggiati e odorosi orti dei conventi, di veri e propri “orti dei semplici”, orti botanici dove i monaci coltivavano erbe necessarie per allestire unguenti, decotti ed empiastri utili per lenire e curare. Sono definiti semplici perché in latino medicamentum simplex era sinonimo di erbe mediche. Anche metodiche come la distillazione erano usate ampiamente da monaci che così arricchivano i conventi di stanze e locali idonei alla preparazione dei medicinali. A questo punto l'enorme quantità di opere e la circolazione di numerosi “ricettari”, esigeva una necessaria disciplina, anche perché la prescrizione del medicamento veniva poi lasciata alla totale discrezione dello speziale. Nasce la necessità di disciplinare secondo regole ufficiali,
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e di codificare anche correttamente la coltivazione e l'uso delle droghe, sotto un controllo rigido delle autorità, questo portò necessariamente a ridefinire gli ambiti di attività sia dei medici che degli speziali. Il primo tentativo di uniformare la prescrizione e la preparazione dei medicamenti iniziò proprio agli albori del ‘500 con la pubblicazione del Ricettario Fiorentino. Essa fu la prima Farmacopea ufficiale del mondo: l'opera è divisa in tre libri e contiene anche le norme per la raccolta, la preparazione e la conservazione delle droghe. Siamo di fronte alla codificazione ufficiale delle operazioni relative alle piante medicinali manipolate e vendute in farmacia. Il grandissimo merito del ricettario fu quello di iniziare a definire una sorta di elenco ufficiale al quale uniformarsi, con l'elenco dei medicamenti che devono essere presenti nelle officine farmaceutiche e le regole di preparazione e conservazione. L'imponente lavoro svolto fu anche di raggruppare le specie diverse della stessa pianta sotto una voce unica: questa prima farmacopea però non tralasciò i rimedi consolidati e provenienti dalla tradizione medica galenica araba. In sostanza questo codice stabiliva quali erano i medicamenti utili alla salute pubblica, definendo anche i compiti dello speziale in modo da separare definitivamente la sua figura da quella dei droghieri. Alla metà del 1550 una nuova opera, redatta dal medico goriziano Andrea Mattioli viene pubblicata a Venezia: Commentari a Discoride che per la prima volta era scritta in lingua volgare e quindi fruibile per tutti. A questo punto mi fermo e non vi tedio più. Però consentitemi solo di citare Goethe: «nessuno conosce la propria professione se non ne conosce la storia».
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