Giampiero Pizzol Otello Cenci
I DUE DI EMMAUS
Anteprima libretto
Progetto grafico: Valerio Ercolani
Š Mimep-Docete, 2018
ISBN 978-88-8424-452-9
Casa Editrice Mimep-Docete via Papa Giovanni XXIII, 2 20060 Pessano con Bornago (MI) tel. 02 95741935; 02 95744647 info@mimep.it; www.mimep.it www.mimepjunior.it
Giampiero Pizzol Otello Cenci
i due di emmaus
Un incontro eccezionale Prefazione
D
ue discepoli sconosciuti incontrano uno Sconosciuto e improvvisamente diventano famosi! Paradossale! Semplice! Folle! Misterioso! Perchè il Maestro da loro conosciuto non viene riconosciuto? Dio si nasconde? Vuole indurci a cercarlo? Metterci alla prova? I Vangeli raccontano solo il viaggio verso Emmaus insieme allo Straniero fino alla rivelazione attorno alla tavola. Non lasciano intravedere nulla di più. Ci dicono solo che i due, probabilmente di nome Simone e Cleofa, tornavano verso casa con la morte nel cuore dopo l’illusione dell’entrata trionfante in Gerusalemme il giorno delle palme e l’immediata delusione della condanna di Gesù conclusa con la cruenta crocefissione sul Calvario. Sul Messìa tutta la nazione aveva ormai messo una pietra sopra. Il regno era perduto. L’unico Maestro in grado di sollevare il popolo verso Dio, era scomparso dolorosamente nel buio del sepolcro. Per sempre. 5
Ma sul sentiero ecco che un’ombra si aggiunge alle ombre dei due viaggiatori, uno Straniero li raggiunge e si unisce a loro come compagno di viaggio. Il misterioso Viandante non dice il suo nome, sembra provenire da lontano poiché non sa nulla di quanto è successo a Gerusalemme per la Pasqua. Le Sue prime parole sono domande che accendono il discorso: passi e parole, domande e risposte, tristezza e sorriso. La delicatezza dell’Ospite tocca le corde più profonde dell’anima: – Di cosa discutete tra voi? Con chi ce l’avete? – Cristo giunge discreto e semplice. Sa tutto, eppure vuole sapere da noi, desidera ascoltare la nostra voce, le nostre piccole e dolorose vicende. Allo stesso modo in cui interroga i discepoli: – Volete andarvene anche voi? – o le persone incontrate per strada: – Donna, perchè piangi? – così si avvicina ai due discepoli. E il cuore triste e rabbioso dei due si apre alla confidenza. Per dirla con Sant’Agostino vi sono su quella strada tre personaggi: due morti e Uno vivo! Perchè la morte non è solo l’arresto del cuore o l’assenza di respiro, ma è anche la perdita del senso della vita, lo smarrimento, la rabbia, il dolore, l’abbandono. Non sappiamo con quali parole il Maestro ancora ignoto commenta le Scritture al punto da accende6
re di nuovo dentro i cuori dei due delusi discepoli il fuoco della speranza. Sicuramente però erano le stesse parole a cui Simon Pietro si arrende: – Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole che danno la vita! – Parole che spiegano e raccontano i passi del cammino di Dio verso l’uomo a cominciare dalla Alleanza fino ai profeti e al Messìa morto e risorto per ricondurre a Sé tutte le Sue creature. Parole d’amore che scendono come carezze di Cristo su due poveri cristi sconfitti, teneri rimproveri ai due “sciocchi e tardi di cuore” come scappellotti benevoli dalla mano di un padre. I due avevano bisogno proprio di questo incontro. Intanto il sole cala e scende la sera. L’Ospite viene invitato a cena. Ci si siede non più come sconosciuti, ma come amici. I tre volti splendono insieme al lume della locanda. Pochi istanti ancora per gustare il miracolo di sedere a tavola con Dio. Non sappiamo neppure nulla della benedizione del calice e della frazione del pane in quella osteria di provincia. Resta solo il riflesso della luce che illumina lo sguardo commosso e lieto dei due compagni di viaggio. 7
L’episodio dei discepoli di Emmaus propone la struttura di quella che sarà poi la liturgia eucaristica: la Parola che illumina e infiamma e la Mensa che sazia con la Presenza del Dio vivo. La “cena che ricrea e innamora” per dirla con San Giovanni della Croce. Infine il congedo e l’esodo verso le strade del mondo. Nel Vangelo non sappiamo nulla del viaggio di ritorno a Gerusalemme. Il buio avvolge la strada ma i due non vogliono aspettare e si mettono in cammino. Forse un cammino costellato di incontri ancor più misteriosi: chi ci assicura che in ogni avvenimento non si nasconda il Maestro? Ma si può vivere pensando che in ciascun uomo si cela Dio? La rappresentazione cerca di scavare nei pensieri e nell’anima di questi due testimoni, un’anima semplice che però è alle prese con un mistero complesso: morte e resurrezione, Volto di Dio e volto dell’uomo… I due discepoli sono sopraffatti dalle domande e cercano comicamente di aiutarsi l’un l’altro nell’oscuro percorso in cui Dio gioca a nascondino: equivoci, ipotesi, rivelazioni… Tutto avviene in quella locanda in cui aleggia ancora la Presenza del Maestro. I due amici indugiano, prima gioiosi e risoluti poi pensierosi e indecisi. 8
La loro mente gioca dei brutti tiri all’evidenza dell’evento di cui sono testimoni. Dubbi, paure, contraddizioni, incomprensioni sembrano dividerli. La logica, invece di accogliere semplicemente la realtà dei fatti e la gioia del Risorto, suggerisce percorsi complessi e dipinge scenari grotteschi e comici. I due si smarriscono ancora nel labirinto delle parole e dei pensieri. Del resto Dio sa quanto presto ci dimentichiamo di Lui. Ma Lui non si dimentica mai di noi. E anche invisibile resta presente. Sempre. La drammaturgia segue i passi evangelici con il doppio passo dei due piccoli e poveri discepoli, persi nel cammino. Il loro smarrimento è vertiginoso perchè dopo aver incontrato Gesù in uno Straniero, non sanno più come guardare ogni straniero che incontrano. Persino guardarsi in faccia diventa un’altra cosa dopo quell’Incontro! Chi sono io agli occhi di Dio? Chi sei tu? Chi è il mio compagno di viaggio, il mio prossimo? Domande drammatiche che trovano risposte ardue e avventurose ma che coinvolgono tutti gli spettatori chiamati a guardare con altri occhi persino il vicino che appoggia il suo gomito al nostro braccio. Lo spettacolo è uno scavo sui personaggi che non sono soltanto due ma in qualche modo nascondo9
no in sé l’Ospite misterioso riconosciuto a Mensa. Dunque una messa in scena, anzi una messa in cena! Un faccia a faccia con il più grande paradosso della storia: un Dio fatto uomo e ora fatto carne e sangue. Quell’istante fatto di pane e di vino illumina tutto e tutti, chiarisce la vita e la strada: per comprenderlo e accettarlo non serve somma intelligenza, basta semplicemente sentire ardere dentro la fame e la sete! Il Dio sconosciuto si lascia conoscere e ci attrae a Sé nella più semplice delle forme. I criteri di valutazione e giudizio soliti, fanno fatica a comprendere questo evento eccezionale e così i ragionamenti diventano dialoghi astrusi, comici, per la sproporzione degli strumenti davanti al tema trattato. Questa altalena tra la piccola misura del saputo, del compreso, dell’abituale, del comodo e l’orizzonte infinito e imprevedibile davanti cui sono stati posti nell’incontro con lo Straniero crea una vertigine con cui è difficile convivere. Simone e Cleofa rischiano così di tornare ad essere quegli stolti che si erano messi in cammino la mattina. Cedono alla tentazione di soppesare e ridimensionare il fatto appena avvenuto, per la comodità di tornare a giocare una partita più a misura d’uomo in uno spazio di gioco più sicuro e confortevole. 10
Una sfida universale che l’uomo è convocato a giocare da 2000 anni. Un’alternativa capitale che si ripropone ogni giorno con estrema attualità e che ci ha suggerito un’ambientazione moderna e attuale. Questa comprensione carnale è ciò che scioglie i nodi del dubbio e che alla fine muove i piedi di Simone e Cleofa verso Gerusalemme per annunciare agli apostoli il Cristo risorto, vivo e presente in mezzo a noi. Il loro è anche il nostro cammino insieme a un Dio imprevedibile che ama le sorprese e cammina con tutti, su tutte le strade della terra. Giampiero Pizzol, Otello Cenci
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I due attori, protagonisti del dialogo teatrale, Andrea Maria Carabelli e Giampiero Bartolini.
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due discepoli Simone e Cleofa sono seduti a tavola immobili come statue, a bocca aperta. Negli occhi conservano ancora la rivelazione di pochi attimi prima. Restano in silenzio sospesi e sorpresi. Sul tavolo: una bottiglia, dei bicchieri e delle posate con del pane. Dopo un lungo silenzio iniziano a parlare. C – Dov’è andato? S – Non lo so. C – Era Lui? S – Sì. C – Ma com’è possibile? S – Non lo so! 15
C – Eppure noi lo abbiamo visto morto e sepolto! S – Con i nostri occhi. C – Come oggi! S – Vivo e… con un buon appetito. C – Dobbiamo dirlo ai Dodici. S – Undici! C – Giusto, undici. Dobbiamo dirglielo. Muoviamoci. Va’ a pagare e chiedi. Forse alla cassa sanno qualcosa. (Simone esce e rientra agitato) S – Ha pagato Lui! C – Come sarebbe: ha pagato? S – Si, ha pagato per tutti! C – Ha pagato per tutti… S – Sì. C – Ma come? Noi lo invitiamo e paga Lui! S – C – Che figura!!! (si guardano preoccupati) S – Questo magari non lo diciamo ai Dodici. C – Undici. S – Sì, undici. C – Comunque i soldi li hai tu, dovevi anticiparlo! 16
S – Conosci qualcuno capace di anticipare Dio? C – Però all’entrata potevi dire qualcosa al ristoratore: ‘Non prenda niente da Lui… è un nostro ospite’… S – All’entrata non avevamo capito che era Lui… C – Ma era sempre nostro ospite. S – C’è ospite e ospite… C – D’ora in poi dovremo prestare più attenzione agli ospiti… S – Cosa vuoi dire? C – Che era lui, ma non l’abbiamo riconosciuto… e se succede di nuovo? S – La prossima volta paghiamo noi. C – Ma quale prossima volta! Non si incontra tutti i giorni il Maestro soprattutto dopo morto. S – Ma adesso è risorto. C – Risorto non vuol dire che va in giro a pagare da mangiare a tutti i ritardatari che passano. Capita una volta nella vita di stare a tavola con Dio, non tutti i giorni! E tu non hai tirato fuori un soldo! S – Basta! La prossima volta ognuno paga il suo, alla romana! C – Alla romana? Con Gesù alla romana?!!! Sei uno stupido!! Aveva proprio ragione Lui. Ap17
pena risorto, sulla strada, ci teneva a dirtelo ‘Sei uno stupido!’ Chissà che non sia tornato solo per questo! S – Misura le parole. Cosa stai dicendo? A chi avrebbe detto stupido? C – A te, con altre parole, ma il significato era quello. S – Quando? C – Appena incontrati, stavamo camminando e probabilmente lui stava ascoltando i tuoi sproloqui sulla Sua morte e il fallimento del Messia, il Regno promesso e non mantenuto e poi guardandoti, ti ha detto: ‘sciocco e tardo’, che in altre parole… S – ‘Sciocchi!!! Ha detto: – ‘Sciocchi e tardi di cuore’ – plurale. Eravamo e siamo in due, forse ancora per poco se non stai attento! (tra i due cala un silenzio nervoso) C – Lasciami un po’ di soldi. S – Perchè? C – Magari lo incontro quando sono solo. S – Bravo. Così pagherai il pasto a chiunque incontri per strada. C – Meglio finire senza soldi pittosto che rifare la figura che abbiamo fatto oggi! 18
S – Giusto: senza soldi! Da poveri diceva che è più facile riconoscerlo… Beati i poveri… C – Perchè di essi è il Regno… S – E noi siamo due poveri. C – Che non l’hanno riconosciuto! S – C – Due poveri stupidi! (si guardano negli occhi) C – Ma, cavolo, non era mica semplice riconoscerlo. Lo credevamo morto e sepolto e si ripresenta vivo coi capelli crespi, senza barba… Sembrava un altro. S – Va beh, la barba uno se la può togliere. C – Sì, uno risorge dai morti e cosa pensa? Mi faccio la barba?! S – A me capita… C – No, la faccia era diversa! S – Anche l’aspetto, era più in carne, almeno una taglia in più. C – Dopo la morte nessuno aumenta di una taglia! S – Cosa ne sai tu? Come fai a sapere che la morte snellisce, che tutti quelli che risorgono sono più asciutti? Quante persone hai visto risorgere? C – La morte è un deperimento generale. Comunque aveva cambiato faccia! S – Del resto è anche logico. 19
C – Cosa? S – Se hai una condanna a morte sulla testa la prima cosa che fai è cercare di cambiare faccia. C – Ma la condanna era già stata eseguita. E Lui non era un evaso!! S – Evasione post mortem… C – La resurrezione non è un’evasione. S – Se uno ha la pena di morte e poi risorge è libero o condannato? Cosa dice la Legge? C – La Legge non dice niente. Non c’è casistica. Nessuno risorge. S – A parte Lazzaro! C – Non tirar fuori Lazzaro. S – Veramente è Lui che l’ha tirato fuori! Altrochè: vivo e affamato! Comunque Lazzaro è venuto fuori col suo aspetto di prima e il Maestro invece con un aspetto che non ti aspetti. Come la metti? C – Non ha cambiato faccia per sfuggire alla giustizia! S – E allora perchè? C – Non lo so… So solo che ci ha sorpreso… All’inizio non era Lui, poi alla fine era Lui… S – Ragiona. Se era Lui dopo, era Lui anche prima! C – D’accordo, era Lui, ma anche no. Lui in un altro. S – Se non era giustizia era misericordia? 20
C – Cosa vuoi dire? S – Per la giustizia ci vuole il tipo giusto, per la misericordia vanno bene tutti. Voglio dire che prima aveva un volto inconfondibile. Il volto è qualcosa di potente. Occhi profondi e luminosi, guance scavate da profeta, profilo tagliato nella pietra un po’ come il Battista. C – Era suo cugino! S – E invece adesso non un volto ma una faccia. C – Una faccia? S – Sì, una faccia qualunque, nessuna somiglianza a nessuno. Pensaci: io sono Dio… C – Tu sei cosa? S – Faccio per dire: io sono Dio e prendo la faccia che voglio, anzi visto che sono il Primo prendo la faccia dell’ultimo. C – …i primi saranno ultimi e gli ultimi primi… S – Giusto! La misericordia dà valore anche a una faccia qualunque magari come la tua. C – O la tua. S – Così sono due. Lui ne prende una alla volta. Più la tua. C – Cos’ha la mia faccia? S – Niente. C – Io ho una faccia da niente? S – Sì, niente di speciale. C – Allora anche tu. 21
S – Io cosa? C – Hai una faccia così. S – La mia è diversa. C – Certo anche la mia è diversa dalla tua. S – Le facce sono tutte diverse, ma ci sono quei tipi che non hanno caratteristiche, quelli che non si fanno notare come te… Pensa se fosse apparso con la tua faccia: uno qualunque, uno da niente, un poveraccio… C – Se non la pianti ti tiro un bicchiere! (Simone ferma la mano di Cleofa) S – Mettilo giù è quello che ha usato Lui… non devi prenderla sul personale, è solo un esempio. C – Non mi piacciono i tuoi esempi. Pensa invece come mi sentirei io a doverLo riconoscere un giorno nella tua faccia… S – Mi dovresti pagare il pranzo. C – Già! Ma potrebbe essere anche me. S – Lo dici solo perchè vuoi che ti paghi il pranzo! C – Sciocco e tardo di cuore a credere… S – ‘Sciocchi e tardi…’ plurale. C – Va beh plurale. Quest’incontro ci sta facendo uscire di testa! Ma come abbiamo fatto a non riconoscerlo? 22
S – Era buio, Lui aveva il mantello che gli copriva parte della faccia, secondo me non si voleva far riconoscere. Poi mentre gli cammini di fianco, fai fatica a guardarlo negli occhi. C – Tra l’altro in piedi mi sembrava più alto di quando era seduto a tavola. S – Ah, che discorsi! Anch’io seduto sono più basso. C – No, nel senso che mi sembrava più alto del Maestro, ma a tavola no, all’improvviso era proprio Lui! (Simone prende in mano i due pezzi di pane) S – Il momento preciso è stato quando ha spezzato il pane… ha spezzato il tempo in due: prima e dopo… C – Il pane! Lo ha benedetto non possiamo lasciarlo. Prendiamo quello rimasto. S – Si, anche il Suo bicchiere. C – Aspetta! Il pane è compreso nel coperto, ma il bicchiere no… Non si può rubare un bicchiere. È peccato. Settimo non rubare! Pagalo! S – Io? C – Sì. S – E se il ristoratore vuol sapere perchè? C – Di’ che l’abbiamo rotto! S – Ah giusto… Vado… No non si può. 23
C – Perchè? S – È peccato: ottavo falsa testimonianza. C – Allora… Di’ che è un ricordo del nostro ospite e che desideriamo portarcelo a casa. S – Giusto… Vado… Non si può! C – Perchè? S – Decimo: non desiderare la roba d’altri. C – Piantala! Lo prendo io e basta! S – Comunque dobbiamo muoverci. Andiamo a raccontare tutto ai Dodici. C – Undici. S – Dodici o undici il racconto non cambia. Piuttosto sappiamo cosa dire? C – Certo… inizi tu a raccontare la prima parte fino al lebbroso?! S – Vuoi parlare anche del lebbroso? C – Lo abbiamo incontrato per primo! S – Incontrato?!… Tu per evitarlo sei finito giù nel canalone… guardati le scarpe: sono ancora tutte infangate! C – Alcuni particolari possiamo tralasciarli. Comunque anche tu quando l’hai visto hai preso un passo lungo, con la testa alta da legionario e hai tirato dritto! (Simone si ferma improvvisamente come folgorato da una rivelazione). 24
S – Ehi! E se lui era Lui? C – Lui era lui chi? S – Se il lebbroso era Gesù che già aveva provato ad incontrarci prima del Forestiero… C – Gesù il lebbroso?! Oh Gesù! S – Più ultimo del lebbroso non c’è nessuno! Magari ha cercato di incontrarci così. C – E noi l’abbiamo evitato… S – C – Che figura!!! C – Questo non lo diciamo agli apostoli! S – No. C – Comunque secondo me non poteva essere il lebbroso: Gesù non è mai stato malato! S – Magari un mal di testa. C – Io l’ho sempre visto sano. S – Però il Suo Corpo buttava sangue sotto la frusta. C – Certo, era di carne come noi. S – La carne è debole, basta un colpo d’aria… C – Un colpo d’aria non è un colpo di lebbra e neanche un colpo di frusta! Gesù non era il lebbroso e non era malato. S – Dovremmo chiederlo a Sua Madre. C – Adesso andiamo a disturbare la Madonna per chiedergli le malattie di Gesù!!!?? Il Messìa era perfetto e non poteva avere nessun difetto. S – Uno ce l’aveva: è morto. C – La morte è un’altra cosa. 25
S – La morte è il peggior difetto di tutti. Se ha preso su di sé la morte, magari può aver preso anche le nostre malattie. C – Anche la lebbra? S – Dopo l’apparizione dello Straniero non possiamo escludere nulla. C – Anche il lebbroso. S – E se nel ritorno lo incontriamo ancora? C – Dovremmo stare attenti. S – Alla lebbra? C – Ma no, al lebbroso! Dov’era di preciso? S – Non l’ho visto bene. Forse tra gli alberi. Io ho sentito un cespuglio gridare. C – I cespugli non gridano. S – Da stasera non sono più sicuro di niente. E Lui l’aveva detto. C – Cosa? S – Se voi non parlate grideranno le pietre. C – I cespugli non sono pietre. E poi sarà stato un modo di dire. S – Anche io credevo che ‘resurrezione’ fosse un modo di dire! E invece… C – Insomma se quello grida e ci chiama cosa facciamo? S – Dobbiamo fermarci! C – E se non è un lebbroso ma un ladro? S – O una vittima dei ladri. Ricordi il buon samaritano? 26
C – Se facciamo come il samaritano perdiamo tutto il giorno. S – Perdiamo? Guadagniamo! C – Va beh guadagniamo, però l’ha curato, portato alla locanda, pagato il locandiere, poi è tornato, insomma ha impiegato un bel po’ di tempo. S – Ma è finito nelle parabole più famose. C – Lui sì ma noi no. Chi vuoi che racconti una parabola su di noi! ‘I due del Canalone!’ S – I due di Emmaus!!! S – Comunque dobbiamo fermarci. C – D’accordo e poi? S – Lo chiamiamo ‘Ehi… lebbroso!’ C – Lebbroso magari non è il caso. S – Signor lebbroso. C – Chiamalo solo Signore. S – Giusto. Così se è il Signore va bene lo stesso! C – E se quello viene, cosa fai? S – Lui li guariva. C – Noi non siamo Lui. (i due si squadrano per un po’) S – C – No! S – Il Maestro chiedeva se avevano fede. C – Il lebbroso non parla. Urla solo. 27
Due discepoli delusi, tornano da Gerusalemme ad Emmaus. Uno sconosciuto li affianca e spiega loro le scritture e le profezie riferite al Messia. Durante la cena Egli si rivela loro come Gesù. Il nostro racconto prende vita esattamente da questo avvenimento e ci racconta cosa succede dopo attraverso il dialogo fra i due discepoli testimoni di questa rivelazione straordinaria. Con tante domande che si affollano nella loro mente. Il loro desiderio è come il nostro, di non perdere occasione per sorprendere l’Amico imprevedibile che ama le sorprese e si fa vivo all’improvviso.
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