Non lo sapevo cap 5

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Cecilia Galatolo

C’È SCRITTO “FALLITO” SULLA MIA FRONTE?

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NON LO SAPEVO, MA TI STAVO ASPETTANDO Romanzo

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Cecilia Galatolo

NON LO SAPEVO, MA TI STAVO ASPETTANDO Romanzo


© Mimep-Docete, 2016

ISBN 978–88–8424–368–3

Stampa: Mimep-Docete via Papa Giovanni XXIII, 2 20060 Pessano con Bornago (MI) tel.: 02/95741935; 02/95744647 email: info@mimep.it www.mimep.it www.mimepjunior.it


C’È SCRITTO “FALLITO” SULLA MIA FRONTE?

Ogni tanto dovevo pur concederla ai miei genitori la grazia di ricordare che volto avesse loro figlio. Così, quel fine settimana sarei tornato nelle Marche insieme ad Eleonora, dopo un mese di week end bolognesi. Stava per iniziare la sessione di febbraio e i miei mi avrebbero sicuramente rotto le scatole con gli esami. Non devo lasciarmi mettere sotto pressione. Una figlia modello, in pari con gli esami, ce l’hanno, io ho i tempi miei!, penso tra me e me, mentre ammucchio le ultime cose dentro al trolley. “Ohi bello. Mi raccomando, fai il bravo!”, dico a Giacomo. Lui stava leggendo i fumetti. Distoglie lo sguardo dal giornalino e mi fissa con un’aria interrogativa. “Che significa?” “Quello che ti pare… - rispondo chiudendo il trolley - ognuno ha il suo concetto di fare il bravo!” Ride. “Ok… tu invece non romperti troppo a casa!” “Ci proverò…” In quel momento sento urlare mia sorella. “Sei pronto? Non voglio perdere il treno…” “Io sì, invece…”, sussurro a Giacomo. Poi esco dalla stanza. Ele ed io eravamo sul treno che ci stava riportando a casa e stavamo mangiando la nostra cena. Mia sorella si era preparata un panino striminzito con formaggio light e rucola. Io un bestione con dentro tre etti di salame. Perché le donne dovessero privarsi della gioia del cibo, non mi era molto chiaro. Personalmente, mi facevano


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NON LO SAPEVO, MA TI STAVO ASPETTANDO

ridere quando farfugliavano le loro idiozie sulla necessità di stare a dieta quando pesavano sì e no venti chili. “Come fa a piacerti quella roba?”, le chiedo. “E tu come fai a mangiare più salame che pane? A me darebbe la nausea…” Come risposta alla sua faccia disgustata, dò un morso gigantesco al mio panino. “Sei un maiale! Mangia con grazia…” “Lasciami mangiare come voglio! Cambiando discorso, non te l’ho ancora detto: mi piace Francesco…”“Anche a me…”, risponde lei. “Beh, l’avevo intuito…”“Si capisce così tanto?”“Allora: te lo mangi con gli occhi, piangi ogni volta che apre bocca e lo difendi come farebbe una iena coi suoi cuccioli. E poi è il primo essere maschile dopo tre anni che non cacci via…” “Non ho mai cacciato nessuno…” “Vabè, ne hai fatti fuori parecchi!” “Ma come parli? Mica faccio fuori la gente, io! Al massimo, taglio i rapporti o metto in chiaro che non vedo possibilità di un futuro…” “Come ti pare… è lo stesso. Comunque Francesco è un bravo ragazzo. Pensavo mi avresti portato dentro casa uno di quei francesini con i capelli pettinati da un lato. Invece è un tipo semplice…” “Che male c’è a pettinarsi i capelli da un lato?” “Non puoi capire. Ma non fa niente. Continua a vivere nel tuo mondo…” “Non capisco che cosa ti hanno fatto di male i francesi…” Rido. “Lascia stare, dai. Mangia il tuo panino light…” Lei tira un sospiro. Eravamo diversi, davvero tanto. “Domani che fai?”, le chiedo. “Perché?” Non sapevo neanche io perché le stessi facendo quella domanda. “Te lo chiedo così!” Mi guarda stranita. “Andrò a fare volontariato alla casa di riposo...” “Nel posto dell’altra volta?” “Come mai tutto questo interesse?”“Dobbiamo passare un’altra ora in treno… possiamo pure farle due chiacchiere, ogni tanto! Non sei tu quella che vuole sempre parlare?” Ride. “Sì, andiamo nel posto dell’altra volta… Vuoi venire con noi?” “Per carità…” Sospira. “È bello il volontariato…” “Ti prego, non ricominciare!” Scuote la testa. “Ok…” Quindi cala il silenzio e ognuno resta col suo panino e con le sue idee.


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“Finalmente!”, dice mia madre, quasi con le lacrime agli occhi, vedendomi entrare. Poi mi abbraccia. “Che bisogna fare per farti tornare un po’ più spesso?”, mi domanda. “Cucinargli le lasagne, ricordargli meno spesso che è indietro con gli esami… - interviene mio padre, comodamente seduto sul divano a guardare la tv – comunque bentornato!”, mi dice abbozzando un sorriso. “Grazie…” Papà dimostrava l’affetto così. “Voi come state?”, domando premurosamente. Il primo giorno, di solito, mi impegnavo sempre a fare il bravo figlio. “Tutto bene… - risponde mamma, visibilmente contenta per il mio interesse - Come ti dicevo per telefono, tuo nonno ha avuto una ricaduta, ma non sembra molto grave!” Erano dieci anni che nonno aveva ricadute un giorno sì e un giorno no. Ma d’altronde aveva ottantotto anni, non si poteva certo pretendere che avesse la salute di Braccio di Ferro. “Avete mangiato?”, domanda mamma. “Sì, sì… - risponde Eleonora, mentre inizia a portare le cose in camera sua. “Abbiamo mangiato, ma se c’è rimasto qualcosa, io mangerei ancora…”, le dico. “Sei un animale! - mi urla mia sorella, invece di farsi gli affari suoi – hai mangiato un panino più imbottito della mia valigia!” Né io né mia madre diamo importanza al suo commento. Sul cibo, io e mamma eravamo d’accordo. Cioè, mamma non mangiava quanto me, ovviamente, ma riteneva che mangiare fosse uno dei più grandi piaceri della vita e assecondava sempre i miei istinti: la rendeva felice vedere che almeno io gradivo la sua cucina, visto che Eleonora non mangiava praticamente niente e papà la criticava sempre. “C’è rimasto il polpettone… lo vuoi?”, mi chiede. Senza nemmeno rifletterci, rispondo di sì. Quindi lascio la valigia vicino alla porta, mi tolgo il giubbetto e mi siedo. Senza neppure aver lavato le mani. Su quello, però, mamma non mi assecondava. Era fissata con l’igiene… quindi mi costringe ad alzarmi e a lavarmi le mani, prima di lasciarmi ingozzare mezzo chilo di polpettone.


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NON LO SAPEVO, MA TI STAVO ASPETTANDO

“Ele, è arrivata Sofia!” Attimo di silenzio. “Hai capito?” “Sì!” “Che fai, scendi? Oppure la faccio salire?” Mia madre stava urlando come una matta, impedendomi di concentrarmi sulla partita alla play. “Falla salire un attimo… non sono ancora pronta…” Mia sorella si stava preparando per andare a fare volontariato. Non capivo come facesse, dopo una settimana passata sopra ai libri (perché lei a Bologna studiava davvero sempre, al contrario di me!), ad avere voglia/energie per andare ad animare una casa di riposo il sabato pomeriggio. La ammiravo, per carità. Ma non la capivo. Comunque, avevo sentito un nome nuovo. Non avevo idea di chi fosse quella Sofia. Esco dalla mia camera e vado a importunare mia sorella. “Chi è Sofia?” “Perché?”“Così…”“È una nuova volontaria. Oggi farà servizio per la prima volta!” “È carina?” Eleonora sbuffa. “Possibile che è sempre questa la prima domanda che fai?” Rido. “Quando una donna risponde così, significa che l’amica è brutta…” Proprio in quel momento, sbuca alle mie spalle la neo-volontaria, accompagnata da mamma, che la lascia lì poi torna in sala. “Ciao… - le dico, sperando che non avesse sentito – io sono suo fratello, Gianmarco…” Era l’amica più bella che mia sorella avesse mai avuto. Già perché di solito, non sapevo il perché, le amiche se le sceglieva racchie oppure le capitavano così. Boh. Comunque, questa era tutt’altro che una racchia. “Piacere, Sofia!”, mi fa, con un sorriso a trentadue denti. “Vieni anche tu, oggi?”, mi domanda con una voce troppo sensuale per poter rispondere di no. “Macché! Lui passa tutto il giorno a poltrire…” “Non è vero! Mia sorella mi prende sempre in giro… sono io quello serio dei due…”“Che cavolo dici?”, ribatte Eleonora. Non mi assecondava mai quando volevo fare bella figura con qualcuno. “Vabè, noi andiamo!”, dice Eleonora. No: non poteva portarmela via in quel modo! Non subito. No. O in quel momento o mai più. “Vengo anche io!”, sbotto. “Ma sei fuori?”, domanda mia sorella sbalordita. Attimo di


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silenzio generale. “Perché, non può venire?” “Non saprei, cioè… ma perché vuoi venire?”, mi chiede sempre più sconcertata. “Perché vi vedo così contente, magari è davvero un’esperienza che merita…” Eleonora mi fulmina. Aveva intuito il mio secondo fine. “Datemi un minuto e vengo con voi!” Certo che si poteva arrivare a fare davvero di tutto pur di rimorchiare. E non sapevo se essere triste oppure no della pagliacciata che stavo mettendo in atto. Ma se le cavolate non le facevo a quella età, quando le avrei fatte? (…)


Un romanzo giovanile fatto di dialoghi serrati che ritmano la vita del protagonista Gianmarco, svogliato studente universitario, che con l’amico Giacomo vive all’insegna del piacere e della più piatta banalità. Perseguitato da un senso di vuoto che non riesce a colmare, incontrerà qualcuno che gli cambierà la vita; che gli farà scoprire quelle doti positive che non credeva di avere...

ISBN 978-88-8424-368-3

€ 10,00


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