Angelo De Lorenzi
PAOLO VI il Santo della Vita Introduzione di Vincenzo Sansonetti
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Angelo De Lorenzi
PAOLO VI il Santo della Vita Introduzione di Vincenzo Sansonetti
Fotografie Archivio storico diocesano, Milano Istituto Superiore di Studi Religiosi Beato Paolo VI L’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare
Foto in copertina: Trento Longaretti, Paolo VI accende il cero pasquale
© by Mimep-Docete 2018 ISBN 978-88-8424-466-6
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introduzione
Paolo Vi guidò la Chiesa in mezzo alla tempesta di Vincenzo Sansonetti In un suo scritto, prima di venire eletto Papa, esprimendo il suo pensiero sul modo migliore di evangelizzare nell’epoca moderna, così lontana da Dio, Giovanni Battista Montini (bresciano, Pontefice con il nome di Paolo VI dal 1963 al 1978) usò l’espressione non nova sed nove, cioè che occorreva non dire “cose nuove” ma esprimerle con “un nuovo linguaggio”. Intento che mise in pratica, prima che sul soglio di Pietro, nella diocesi di Milano, di cui fu coraggioso arcivescovo per un decennio, dal 1954 fino all’elezione a Pontefice. Sulle orme del suo predecessore, Giovanni XXIII, il futuro Santo continuò a interpretare il ruolo di Pontefice come guida del popolo cristiano sempre più immerso nella realtà sociale, tra la gente, con cui amava avere un rapporto diretto, anche se non disponeva della stessa immediatezza e umana simpatia di Roncalli. Le sue uscite dal Vaticano e i suoi viaggi lontano da Roma - visitò vari Paesi del mondo, a cominciare dalla Terrasanta - documentano un modo che non si era ancora visto di vivere la missione salvifica universale della Chiesa e del Papato. Campi del suo impegno furono l’ecumenismo, i rapporti con le altre religioni, il fenomeno crescente e inquietante della secolarizzazione e la riforma della Curia romana: introdusse infatti nuove regole per il Conclave, disponendo che i cardinali, al raggiungimento degli 80 anni, non fossero più elettori. 3
Simbolo di un’epoca travagliata Sua prima preoccupazione fu quella di portare a termine il Concilio Vaticano II e al nuovo spirito conciliare improntò la sua azione pastorale, anche se si trovò ad affrontare una situazione in rapido e drammatico cambiamento. Al facile ottimismo dei primi anni Sessanta erano infatti subentrati gli anni bui dell’acuirsi della guerra in Vietnam, dal 1965, e dei carri armati sovietici a Praga, nell’agosto 1968. In tutto l’Occidente, partendo dai campus universitari della California, dilaga virulenta la contestazione studentesca, caratterizzata inizialmente dai sorrisi dei “figli dei fiori” ma poi anche dalle spranghe dei gruppi più oltranzisti. Il terrorismo è dietro l’angolo. La Chiesa stessa è colpita al cuore: la sua autorità respinta, la tradizione rifiutata. Le vocazioni religiose subiscono un drastico calo, i fedeli disertano i confessionali… Alcune prese di posizione sul piano sociale di Paolo VI non furono comprese, mentre rimase fermamente ancorato all’insegnamento dottrinale su temi come il divorzio, l’aborto e il celibato dei preti. Diventò il simbolo di un’epoca che si interroga e che soffre. Fu lui ad affermare che nella Chiesa si era introdotto il “fumo di Satana”, e scrisse invano alle Brigate Rosse perché liberassero dalla prigionia Aldo Moro. Quello di Montini sarà, per usare le parole del giurista e storico Arturo Carlo Jemolo, “uno dei pontificati più dolorosi documentati dalla storia”. “Devo tutto ai miei genitori” Giovanni Battista Montini era nato a Concesio, un borgo all’imbocco della Valtrompia, sopra Brescia, il 26 settembre 1897, in una famiglia dalle solide radici cristiane. Il padre, Giorgio Montini, esponente di spicco del nascente movimento cat4
tolico lombardo, diresse per dieci anni il quotidiano Cittadino di Brescia e fu poi deputato per tre legislature nel Partito Popolare fondato da don Luigi Sturzo. Il futuro Paolo VI crebbe in un clima familiare sereno, che lasciò un’impronta duratura nella sua esistenza. Divenuto Papa, così ricorda i suoi genitori, in una conversazione con l’amico Jean Guitton, il filosofo e scrittore francese che lo stesso Montini nominò primo uditore laico al Concilio: “A mio padre devo gli esempi di coraggio, l’urgenza di non arrendersi supinamente al male, il giuramento di non preferire mai la vita alle ragioni della vita. Il suo insegnamento può riassumersi in una parola: essere un testimone. Mio padre non aveva paura. A mia madre devo il senso di raccoglimento, della vita interiore, della meditazione che è preghiera, della preghiera che è meditazione. Tutta la sua vita è stata un dono. All’amore di mio padre e di mia madre, alla loro unione devo l’amore di Dio e l’amore degli uomini”. L’enciclica della vita Il nome di Paolo VI è indissolubilmente legato alla sua enciclica più celebre, pubblicata il 25 luglio 1968, la Humanae vitae (sul “gravissimo dovere di trasmettere la vita umana”) che qualcuno oggi vuole minimizzare e ribaltare, per aprire alla contraccezione. Quello che è certo, confermato dalle più accurate ricerche storiche, è che papa Montini non ha affatto ceduto alle pressioni degli ambienti ecclesiali più conservatori. Al contrario, Paolo VI era totalmente convinto della immoralità assoluta della contraccezione, confermando la posizione manifestata dai suoi predecessori, che si erano espressi sul tema, Pio XI e Pio XII. La Chiesa non può avere incertezze in materia e non c’è possi5
bilità di libera interpretazione, perché non si possono separare il significato unitivo da quello procreativo dell’atto coniugale. Affermazione tanto più vera oggi, in tempi in cui è sotto attacco la procreazione come frutto naturale di un gesto d’amore tra due persone di sesso diverso. A una figura illustre come quella di papa Montini, la cui vita e le cui opere meritano di essere conosciute - a 40 anni dalla sua salita al Cielo e in occasione della sua canonizzazione - è stata dedicata l’Aula da lui stesso voluta e progettata dall’architetto Pier Luigi Nervi, accanto alla Basilica di San Pietro, in Vaticano, dove si tengono le udienze al chiuso del Papa: un’avveniristica sala capace di ospitare fino a 20.000 fedeli, a imperituro ricordo della sua grandezza. Vincenzo Sansonetti
vita di Giovanni Battista Montini
i. la nascita, la famiglia, i suoi maestri
“A mio padre devo gli esempi di coraggio, l’urgenza di non arrendersi supinamente al male, il giuramento di non preferire mai la vita alle ragioni della vita. Il suo insegnamento può riassumersi in una parola: essere un testimone. Mio padre non aveva paura. Aveva un che di intrepido. A mia madre devo il senso del raccoglimento, della vita interiore, della meditazione che è preghiera, della preghiera che è meditazione. Tutta la sua vita è stata un dono”. Così papa Montini ricorda con gratitudine e affetto i suoi genitori in una conversazione con il filosofo Jean Guitton. Le lettere che il padre di Paolo VI scrisse alla moglie lasciano di lui l’immagine di un marito attento e premuroso, devoto. In una di esse scriveva così: “Benedetta la tua bocca, che insegna ai miei bambini il nome e la vita del Signore”. Si terranno per mano fino al 1943 quando tutti e due, a distanza di pochi mesi, lasceranno questa vita terrena per andare incontro al Signore. Giovanni Battista nasce nella casa di campagna dei Montini, a Concesio, un paese a otto chilometri da Brescia, all’imbocco della Val Trompia, pochi minuti prima delle dieci di sera del 26 settembre 1897. Il padre Giorgio (1860-1943), uno stimato avvocato, molto religioso, è una figura di spicco tra i primi cattolici impegnati sul fronte della politica militante; diventa direttore di un giornale, “Il Cittadino di Brescia”, nato nel 1878, espressione di quel grande fiorire di iniziative dei cattolici nella società: le cooperative sociali, le casse rurali, le scuole e, appunto, la stam9
Montini, ordinato sacerdote da due anni con i genitori, 1922
pa di matrice cattolica. È proprio in quel periodo che nascono infatti in Italia i settimanali diocesani. Giorgio Montini è un giornalista impegnato nel sociale; insieme ad Alcide De Gasperi è fra i fondatori del Partito Popolare Italiano, compirà una lunga e brillante carriera politica che lo porterà in Parlamento, per tre legislature consecutive, dal 1919 al 1924, nelle file del Partito Popolare fondato da don Luigi Sturzo. Il piccolo Giovanni Battista nasce in questo ambiente dove la fede dei cattolici si innerva nell’ impegno sociale, si trasforma in opere, realizza strumenti di aiuto alle persone e tutto questo in un contesto fortemente ostile alla loro presenza. La madre, Giuditta Alghisi (1874-1943), influenzerà profondamente il carattere del futuro Pontefice: donna delicata e dolcissima, proveniente da una famiglia nobile di proprietari terrieri, avrà anche un ruolo sulla passione del giovane Giovanni Battista per la cultura francese; inoltre è una guida che lo orienterà su questioni più tipicamente spirituali, come la devozione all’eucaristia. In una lettera del 1921 racconta al figlio la sua esperienza a Brescia durante una processione del Corpus Domini, nella quale una folla cantava inni al sacro mistero, “come se ciascuno avesse lo spirito sulle labbra e la gioia del cuore nello sguardo”. Il futuro Papa impara dalla mamma che l’eucaristia non si può ridurre a un simbolo o a un sentimento formale. Non è una devozione che allontana il cristiano dalle realtà quotidiane o lo separa dagli altri. L’autentica pietà eucaristica, quella professata dalla madre e “insegnata” al figlio, si traduce in amore per i fratelli. I genitori del piccolo Battista si conobbero molto giovani, anche se Giorgio aveva 32 anni, e fu per loro un colpo di fulmine: Giuditta era nata a Verolavecchia (BS) e aveva solo 11
18 anni; dovettero aspettare la maggiore età di lei, che allora era 21 anni, prima di sposarsi; rimasta orfana di entrambi i genitori, conti, e affidata a un tutore di estrazione liberale-risorgimentale su posizioni anticlericali, dovette appunto uscire dalla minore età per essere libera di sposarsi con il fidanzato, peraltro più grande di 14 anni. Le nozze si celebrarono il 1° agosto 1895. Il primo incontro fra i futuri genitori di colui che un giorno sarebbe diventato Papa avvenne durante un pellegrinaggio a Roma organizzato per un gruppo di giovani bresciani. Giovanni Battista è il secondogenito dei Montini, prima di lui viene alla luce Lodovico, nato un anno dopo il matrimonio, l’8 maggio 1896, che diventerà avvocato, deputato e poi senatore della Repubblica per la Democrazia Cristiana; morirà il 12 febbraio 1990. Dopo Giovanni Battista nascerà il terzo fratello, Francesco, nato il 22 dicembre 1900, che eserciterà la professione medica e morirà colpito da infarto l’8 gennaio 1971. Le difficoltà alla nascita Ma torniamo al momento della nascita del futuro Pontefice. Da subito appare un esserino di corporatura gracile, sofferente, al punto che non ha quasi la forza di strillare: il medico e la levatrice gli danno addirittura poche ore di vita e concentrano le cure sulla puerpera, molto provata dal parto. Ma grazie alla Provvidenza il neonato supera la crisi dei primi giorni; cresce tuttavia malaticcio, stentatamente. Per questo il piccolo Montini, chiamato con il vezzeggiativo di “Battistino”, come usava allora nelle famiglie benestanti sarà mandato da una nutrice: viene affidato nella vicina Sacca di Nave, a quattro chilometri da Concesio, alle cure amorevoli di Clorinda Zanotti Peretti, la moglie di un contadino. 12
Per tredici mesi Battistino riceverà il latte da questa fiorente nutrice. Verso di lei, il futuro beato avrà sempre un rapporto di grande confidenza, soprattutto con i suoi figli, compagni di gioco per lungo tempo. Vicino alla casa dei Montini, a Concesio, si forma presto un bel gruppetto di bambini che giocano assieme e ogni pomeriggio aspettano con ansia che la signora Giuditta li chiami tutti in casa. Giovanni Battista è un bambino vivace e irrequieto. Passata l’estate la famiglia fa poi ritorno in città a Brescia. La casa di Concesio è un’abitazione vasta, una tipica casa campagnola, con un bel cortile e tanti prati intorno. Papà Giorgio proveniva da una famiglia colta, suo padre era medico. Nel pieno della sua maturità morì e mamma Francesca, in attesa della figlia Maria, si trovò in difficoltà economiche. Per consentire gli studi a Giorgio e avere una vita decorosa per sè e la figlia, fu costretta a vendere alcuni beni di famiglia e a fare delle ipoteche. Malgrado le difficoltà, il figlio poté frequentare l’Università di Padova e laurearsi in Legge. Quando fu fondato “Il Cittadino”, aveva 18 anni. Tre anni più tardi, fresco di laurea, fu chiamato ad assumerne la direzione. Dirigerà il giornale cattolico per trent’anni, e ne farà il centro delle grandi opere che il movimento cattolico stava facendo nascere a Brescia: la Tipografia Queriniana, l’Editrice La Scuola, la Banca San Paolo di Brescia, l’Ufficio del Lavoro, il Ricovero per gli anziani, il Dormitorio popolare e l’organizzazione di pellegrinaggi. Giovanni Battista vide nel padre una figura che non aveva paura di esprimere il proprio pensiero, incapace di piegarsi alla menzogna e alla violenza. Lo dimostrò quando le squadracce fasciste devastarono il suo giornale mentre in tutta l’Italia, dopo il 1922, il fascismo imperversava. 13
Il Santuario della Madonna delle Grazie L’edificio dove abitavano i Montini si trovava a due passi dal Santuario della Madonna delle Grazie dove, davanti all’immagine della Vergine, il piccolo Giovanni Battista veniva a pregare. Questo rapporto filiale con Maria, dentro questo luogo, fu decisivo nella maturazione della sua vocazione. Lo ricorda lo stesso Paolo VI: “A Brescia l’8 settembre è giornata solenne per quel Santuario. Essa era l’occasione abituale di riunione per la nostra famiglia; e in quel pio domicilio di culto mariano, casa e chiesa, maturò la mia giovanile vocazione sacerdotale”. Proprio all’altare del santuario della Madonna delle Grazie avrebbe poi celebrato la sua prima Santa Messa. Il futuro successore di Giovanni XXIII sulla cattedra di Pietro rimarrà legato per tutta la vita alle sue radici bresciane, agli affetti familiari. Negli appunti stesi durante un ritiro spirituale, il 18 luglio 1974, scrive: “Ripenso alla mia storia. Come fu ch’io giunsi alla scelta del servizio esclusivo e totale del Signore. Tout est grâce; nel mio caso fino all’evidenza: per l’ambiente nel quale si svolse la mia infanzia, la mia giovinezza, la mia educazione. Le persone: mio Padre, mia Madre, oh! Possa io rivederli nell’estasi in Dio della vita eterna. I Fratelli, la Famiglia, la Parentela. La scuola, gli amici; […] i primi maestri di spirito; libri, viaggi. La mia resistenza interiore. La Comunione. Il Rosario. La debolezza della salute…”. In effetti, soprattutto nei primi anni, sarà sempre messo alla prova da una certa fragilità fisica. Mamma Giuditta si preoccupa e ha sempre per lui mille riguardi; consigliata dallo zio Giuseppe, medico. Un giorno, sconfortata per i continui malanni di 14
suo figlio, avrebbe detto: “Il mio Battista ha una salute pessima”. Però quella “pessima salute di ferro” l’avrebbe aiutato a vivere quasi 81 anni e a guidare la Chiesa per ben 15 anni in tempi davvero difficili. Ma facciamo un passo indietro. Il battesimo del secondogenito dei Montini, com’era consuetudine di quel tempo, non si fa attendere. Diventa cristiano quattro giorni dopo la nascita, il 30 settembre 1897. Il piccolo Battistino viene portato nell’antica chiesa della Pieve, dedicata a Sant’Antonino Martire. Qui il parroco, don Giovanni Fiorini, lo battezza in Cristo con i nomi di Giovanni Battista, Enrico, Antonio, Maria. Nel registro dei battesimi, custodito nell’archivio parrocchiale, risulta il 51mo nato di quell’anno. I primi nomi sono un’eredità di famiglia: Giovanni Battista viene infatti scelto in ricordo dello zio arciprete di Sarezzo e del nonno materno; Enrico vuol essere invece un segno di riconoscenza verso il padrino, l’avvocato e nobiluomo cavalier Enrico De Manzoni, di Brescia (amico del padre Giorgio, con cui aveva condiviso battaglie politiche e sociali); gli ultimi due nomi, infine, sono segni di devozione. Coincidenza straordinaria, e non casuale, il 30 settembre 1897, giorno del battesimo, è anche il giorno dell’”ascesa al cielo” di santa Teresa del Bambin Gesù, compatrona di Francia e dottore della Chiesa, morta a soli 24 anni nel convento di Lisieux, per una grave forma di tubercolosi. Intanto Battistino, dopo essere stato a balia per più di un anno, torna a casa anche se presenta ancora qualche difficoltà di sviluppo: soffre di tosse, è debole, basta un nulla per fargli venire la febbre. Più avanti, una crescita troppo improvvisa gli 15
procura uno scompenso cardiaco, peraltro destinato a scomparire con il tempo. Sarà un bambino, poi un ragazzo e un giovanotto, che non si potrà certo permettere gli sport rudi, le corse sfrenate, il gettarsi allo sbaraglio tipici dell’età, ma che tuttavia non rinuncia ai giochi e alla compagnia degli amici: ama le gite, le camminate, i canti in comitiva. Un suo coetaneo, Pietro Savoldi, rammentava che Battista era un ragazzino “semplice, riservato, pronto ad obbedire alla prima chiamata della mamma, però sempre disposto a giocare e a rotolarsi nell’erba”. La gracilità del fisico si ripercuote solo in parte sul carattere. Cresce timido e un po’ introverso, molto sensibile, talvolta insicuro nonostante l’intelligenza vivissima. Molto bravo a scuola Lo studio ha un posto importante nella vita del giovane. Grazie alla relativa stabilità finanziaria di cui gode la famiglia, nell’ottobre 1902 viene iscritto al prestigioso collegio Cesare Arici di Brescia, retto dai Gesuiti, così chiamato in omaggio a un poeta bresciano vissuto tra il 1782 e il 1836. All’Arici frequenta le scuole elementari e vi compie anche gli studi ginnasiali fino al 1914. Il bambino è uno studente “esterno”: infatti, per via della salute cagionevole, ha bisogno di un controllo costante e non può fermarsi tutto il giorno a scuola. È tra i primi della classe, senza per questo essere un secchione. La pagella degli esami di prima elementare riporta nove più in dettatura, nove in calligrafia, in comportamento e in esercizi di memoria. In catechismo si merita un bel 10. Intanto prosegue la vita cristiana sulla quale era stato avviato dai genitori. Il 6 giugno 1907 riceve la prima comunione 16
insieme al fratello Lodovico. Pochi giorni dopo, il 21 giugno 1907, viene cresimato dal vescovo Giacinto Corna Pellegrini. A fargli da padrino è Battista Salvi, esponente di rilievo del movimento cattolico bresciano. In quello stesso anno, il 1907, si reca per la prima volta a Roma al seguito della famiglia, perché al padre Giorgio è stata concessa un’udienza privata da Papa Pio X. L’impatto della capitale sul ragazzo non sembra dei migliori. In particolare una visita alla basilica di San Giovanni in Laterano lo lascia perplesso. Scriverà: “Era tetra, chiusa, abbandonata. La sera era come entrare in una caserma senza luce: cinque navate buie e paurose”. Tornato a Brescia, malgrado il perdurare delle sue precarie condizioni di salute, l’anno dopo, l’8 dicembre 1908, solennità dell’Immacolata Concezione, viene ammesso nella “Congregazione mariana”, una delle devote attività del collegio Arici al quale è iscritto come studente: i membri devono recitare il Rosario e fare la comunione almeno una volta al mese, oltre che conseguire ottimi risultati nello studio, come nel suo caso. Malgrado la sua condizione fisica non sia ottimale riesce comunque a frequentare la scuola con profitto. Il contesto storico nel quale cresce “Battistino” è segnato da alcuni importanti avvenimenti. Nel 1898 – Battista aveva un anno – il generale Bava Beccaris a Milano aveva ordinato di sparare con i cannoni contro gli operai che dimostravano. Fu una carneficina: 80 i morti. Il motivo degli scioperi era la richiesta di condizioni di lavoro più umane, poiché nelle fabbriche si lavorava fra le 12 e le 14 ore al giorno per una paga bassa. La Chiesa si era già espressa sul tema con la famosa enciclica Rerum Nova17
rum di Leone XIII. Come reazione alle stragi di Milano, due anni dopo un anarchico uccise a Monza re Umberto I. Il Vaticano aveva proibito di votare alle elezioni politiche e mandare i propri deputati in Parlamento col non expedit, formula di dissuasione o divieto attenuato (“non giova, non conviene”) usata dalla Chiesa cattolica romana quando intenda soddisfare ragioni di semplice opportunità. Specificamente con essa fu concretato il divieto ai cattolici italiani di partecipare alle elezioni e in genere alla vita politica dello Stato italiano, divieto sanzionato con decreto della Sacra Penitenzieria del 10 settembre 1874. La breccia di Porta Pia (20 settembre 1870) – come noto fu l’episodio del Risorgimento che sancì l’annessione di Roma al Regno d’Italia, decretando la fine del potere temporale dei Papi, episodio destinato anche a scavare un profondo solco fra i cattolici e le forze che presero il comando delle istituzioni, composte da elementi massoni e correnti anticattoliche. Il padre di Giovanni Battista cresce proprio negli anni in cui imperversa la questione romana: dopo la breccia di Porta Pia e la proclamazione di Roma capitale del nuovo stato unitario, l’Italia era diventata uno stato anticristiano, mentre il popolo continuava a rimanere legato alla propria fede e i cattolici animavano la società creando giornali, casse di risparmio, case di carità per accogliere malati e anziani. Abbiamo lasciato il giovane Giovanni Battista Montini agli anni del liceo. La vita del ragazzo è caratterizzata dallo studio e dalle amicizie: uno degli amici fraterni è Andrea Trebeschi, suo coetaneo, che troverà la morte, nel 1945, nel campo di concentramento a Gusen dopo essere stato internato a Dachau e a Ma18
thausen. È un legame di amicizia molto forte. Il futuro Pontefice vuole condividere con l’amico gli stessi ideali che ha iniziato a vivere. Giovanni Battista studia con profitto e allo stesso tempo trova anche il tempo di svagarsi, stare in compagnia, fare passeggiate, partecipare alle attività dell’oratorio dei Filippini, e si dedica con impegno alle attività caritatevoli della San Vincenzo. È in quel periodo che incomincia a partecipare alle attività dei gruppi giovanili dell’Oratorio della chiesa di Santa Maria della Pace: la sua vocazione religiosa comincia chiaramente a delinearsi. Nell’agosto del 1915 partecipa a un ritiro spirituale all’eremo dei frati Camaldolesi di San Genesio, sopra Lecco. “Vi ringrazio di avermi procurato questo soggiorno incantevole”, scrive in una lettera ai genitori, in cui descrive anche qual è il programma delle sue giornate: “Ore 7-7.30: levata. 7.30-8: comunione. 8-8.30: colazione. 8.30-9: ricreazione e lettura in camera. 9: messa, poi meditazione comune nel bosco di fuori. 11.30: colazione, poi riposo. 2.30: passeggio nel bosco, lettura, ecc. in comune. 4: merenda poi in camera. 6: rosario, passeggio. 7.30: pranzo. 9.30: a dormire. Ore 10 si dorme - Rievochiamo l’allegria e il benessere di S. Antonio. Vado a dormire in una stanza fuori del convento, la giornata dentro. Sto benissimo”. Quello che non spiega è che la stanza, in realtà, è una legnaia perché, essendo un laico, non può dormire nel convento. Un incontro importante È nell’ambiente dell’oratorio che fa un incontro decisivo: quello con un sacerdote che diventa il suo direttore spirituale, padre Giulio Bevilacqua (1881-1965), che sarà cappellano militare nel secondo conflitto mondiale (“per essere con i giova19
ni che vanno a morire al fronte”) e poi verrà creato cardinale proprio da Paolo VI poco prima di morire. Padre Bevilacqua era diventato prete da adulto dopo aver conseguito la laurea in Scienze sociali all’Università di Lovanio. Ottimo conferenziere, praticava la povertà francescana ed era molto impegnato nella “questione sociale”, sensibile alle istanze della gente più bisognosa, le classi lavoratrici impegnate lunghe ore nel lavoro per una paga spesso insufficiente a ripagare l’impegno e la fatica. A questa figura il futuro Papa fu sempre riconoscente: lo avrebbe nominato cardinale apprezzandone le doti di educatore e di apostolo. Padre Giulio non fu l’unico sacerdote che ebbe una certa influenza sul giovane Giovanni Battista. Ne incrociò altri sul suo cammino e con uno di loro, in particolare, padre Paolo Caresana (1882-1973), maturò la sua vocazione al sacerdozio. A ottobre del 1916 ottiene la licenza liceale al regio liceo Arnaldo da Brescia, dopo aver studiato privatamente, per ragioni di salute. Il percorso di avvicinamento al sacerdozio è ormai compiuto, la scelta è fatta. Giovanni Battista ottiene dal vescovo di Brescia del tempo, monsignor Giacinto Gaggia, amico di famiglia, che ormai lo conosceva bene e lo stimava, la possibilità di iscriversi come esterno agli studi teologici presso il seminario diocesano, studi che completerà quattro anni dopo. Fino al sacerdozio non indosserà l’abito talare. L’inizio del cammino per diventare prete concide con un periodo drammatico della storia d’Italia. Il quadriennio che va dal 1915 al 1918 vede infatti il nostro Paese pienamente coinvolto nel primo conflitto mondiale. Anche i seminaristi sarebbero dovuti partire per il fronte, ma il diciottenne Montini viene 20
riformato per via della salute precaria. Giovanni Battista vive la Grande guerra da lontano, diversamente da un altro futuro Papa, Angelo Giuseppe Roncalli, che assiste i soldati feriti all’ospedale di Bergamo. La Fionda, voce di uno spirito nuovo Il suo impegno in questo periodo così drammatico si rivolge alla scrittura. Con l’amico Andrea Trebeschi, suo coetaneo, e memore della passione del padre per il giornalismo, dà vita a una rivista studentesca, “La Fionda”, il cui primo numero esce sabato 15 giugno 1918 e che sarà pubblicata, in modo irregolare, fino al 1926. Lo stesso Montini dirà che quel foglio, espressione dell’Associazione di studenti bresciani “Alessandro Manzoni”, aveva come fine di “portare la parola cristiana nell’anima studentesca moderna, con sincerità audace ma insieme con serenità alta e gioiosa, di confortare con giovanile ardore la purezza insidiata dei giovani, di preparare con palestra elementare le coscienze degli studenti secondari ai futuri doveri religiosi e civili. Questa fu l’anima fiondista”. In questi anni dimostra di avere una spiccata curiosità intellettuale e alcune letture mostrano la poliedricità della cultura verso la quale Battista si sentiva attirato: Tolstoj, Mickiewicz, Goethe e Oscar Wilde sono autori che frequenta volentieri. Le sottolineature fatte da Battista ad alcuni libri suggeriscono l’universo montiniano che si stava dispiegando, orientato verso l’introspezione, favorita dalla macerazione e la sofferenza vissute negli anni giovanili. Gli studiosi che hanno passato al setaccio le letture fatte dal futuro Pontefice, rilevano un eclettismo che sfiora una certa 21
disorganicità del bagaglio culturale montiniano. Egli ha un’attenzione alla cultura del tempo che si nutre anche di letture originali, solitarie e non ecclesiastiche. Questo suo stare fuori dal tracciato segnato dalle autorità religiose, peraltro sarà un fattore che lo avvantaggerà sul fronte culturale mettendolo nelle condizioni di interloquire con il mondo. Nota è anche la sua preferenza per la cultura francese che agli occhi di Battista è superiore rispetto a quella italiana nei temi della vita interiore e in quelli della liturgia. La debole costituzione fisica fa dubitare i superiori del seminario sull’idoneità di Battista al sacerdozio, ma dubbi non ne ha il vescovo di Brescia Giacinto Gaggia. La preparazione al sacerdozio continua, alimentata dallo studio, dalla preghiera e dalle letture. L’8 marzo 1920 Giovanni Battista Montini viene ordinato diacono. Nello stesso anno, nella festa liturgica della Santissima Trinità, sabato 29 maggio 1920, riceve l’ordinazione sacerdotale dal vescovo nella cattedrale di Brescia. Con lui altri 13 preti novelli. Il giorno prima ha ottenuto la dispensa, dal momento che non ha ancora raggiunto l’età canonica di 25 anni. Tra i telegrammi di felicitazioni per l’ordinazione c’è anche quello di don Luigi Sturzo. La mamma ha fatto preparare la casula che don Battista indossa, utilizzando il tessuto del suo abito da sposa. Il giorno dopo, il prete novello celebrerà la sua prima Santa Messa all’altare della Madonna delle Grazie, luogo a lui caro e famigliare. Attorno a lui tutta la famiglia e un gran numero di amici. Don Angelo Zammarchi, amico dei suoi genitori, tiene l’omelia: ripete le parole che Zaccaria disse tanti anni prima, alla nascita del suo figlio san Giovanni Battista: “E tu bambino sarai 22
chiamato profeta dell’Altissimo, perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade, per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza nella remissione dei suoi peccati”. Pochi mesi più tardi don Giovanni Battista parte per Roma; insieme a lui anche il papà Giorgio che entra in Parlamento come deputato del Partito Popolare. L’iniziativa è favorita dal vescovo che ha a cuore la salute del prete novello, il quale potrà vivere in un clima più mite e vicino al padre e al fratello, impegnati nella vita politica. Prima di partire il neo sacerdote abbraccia a lungo la mamma, da cui si separa per la prima volta. “Monsignorino dell’Accademia” La destinazione è il Pontificio seminario dei Santi Ambrogio e Carlo per chierici delle diocesi lombarde, in via del Mascherone 58: vi fa il suo ingresso il 10 novembre 1920. Appena giunto a Roma, don Battista chiede al suo vescovo il permesso di frequentare la facoltà di Lettere alla Sapienza, oltre che i corsi di Filosofia e Diritto canonico all’Università Gregoriana. Non avrà difficoltà a laurearsi in Diritto Canonico ma il progetto di una laurea in Lettere non giunge a compimento, perché altre strade si stanno per aprire: un amico di famiglia, l’onorevole Giovanni Maria Longinotti di Brescia (uno dei fondatori del Partito popolare), ottiene l’interessamento del Sostituto alla Segreteria di Stato, monsignor Giuseppe Pizzardo, per l’ingresso di don Battista Montini nella Pontificia Accademia Ecclesiastica, che forma il personale diplomatico della Santa Sede. Così, il 20 novembre 1921, varca la soglia del palazzo di piazza della Minerva 74. Papà Giorgio, scherzando, dà al figlio il soprannome di “monsignorino dell’Accademia”. 23
indice
Introduzione
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Parte 1 - Vita di Giovanni Battista Montini I. La nascita, la famiglia, i suoi maestri II. Sotto il pontificato di Pio XI III. Sotto il pontificato di Pio XII IV. Arcivescovo di Milano V. Protagonista del Concilio VI. Gli inizi del pontificato VII. Un Papa nella tempesta 1: L’Humanae vitae VIII. Un Papa nella tempesta 2: il ‘68 IX. L’offerta sofferente: la partecipazione dolorosa ai drammi della Chiesa X. Un Papa nella tempesta 3: il delitto Moro
7 9 25 31 49 59 65 87 101 113 121
Parte 2 - Verso la canonizzazione XI. La beatificazione XII. Il santo della vita, il miracolo XIII. Il suo insegnamento: il tesoro che ci ha lasciato
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Bibliografia Cronologia
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Ringraziamenti: a mia moglie Sandra per la collaborazione al lavoro sempre preziosissimo di editing e di correzione del testo.
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Con l’Humanae vitae si raggiunse il massimo isolamento di Paolo VI e, allo stesso tempo, il massimo fulgore del suo pensiero. In molti concordano che quella di Montini fu una profezia, una “profezia in cammino”. Montini ci aveva visto giusto anni prima. Quello di Montini sarà, per usare le parole del giurista e storico Arturo Carlo Jemolo, “uno dei pontificati più dolorosi documentati dalla storia”. Echeggiandone l’autentica ispirazione, Papa Francesco, nel suo incontro con le famiglie nelle Filippine, ha richiamato l’intuizione profetica che aveva guidato Paolo VI (Manila, 16 gennaio 2015).
ISBN 978-88-8424-466-6