ENRICO MALATESTA
UCE NUOVA L TI MEN DA DOCU INEDITI
IL CENTENARIO DELLE STIGMATE DI SAN PADRE PIO
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Prima edizione
Referenze fotografiche: @ Enrico Malatesta Tutte le immagini di questo libro sono tratte dall’archivio personale dell’Autore e sono coperti dal diritto del propietà del medesimo
© Mimep-Docete, 2018
ISBN 978–88–8424–460-4
Impaginazione, stampa e legatoria: Casa Editrice Mimep–Docete via Papa Giovanni XXIII, 2 20060 Pessano con Bornago (MI) tel. 02–95741935 02–95744647 e–mail: info@mimep.it www.mimep.it; www.mimepjunior.it
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PARTE II
Padre Pio riceve le stigmate
L
’avvenimento saliente della vita del povero frate si compie appunto il venerdì del 20 settembre del 1918. È solo sul palco del coro e prega intensamente allorquando, in alto, sulla balaustra a lui dirimpetto, una figura misteriosa gli si staglia di fronte. Padre Pio non comprende, ma estasiato vede da quella figura immensamente luminosa, fluttuante nell’aria, partire cinque raggi luminosi che lo colpiscono in pieno. L’apparizione dura pochi istanti e quando si accorge che l’uomo che gronda sangue dalle cinque piaghe (dalle mani, dai piedi e dal costato) non c’è più, lui è riverso in terra in un lago di sangue con le stesse piaghe. E sgomento, disorientato, atterrito, la sua prima reazione è quella di rifugiarsi nella sua cella ma il dolore è insopportabile. Lentamente si trascina sull’antica pavimentazione del coro e nonostante i lancinanti dolori riesce a raggiungere il suo giaciglio. È la «trafizione», ossia le Stigmate visibili. Il doloroso cammino di Padre Pio è iniziato. È ancora un suo racconto quello che trova il coraggio di fare solo un mese dopo in lettera il 22 ottobre 1918 al suo padre provinciale. Uno splendido resoconto, scritto di suo pugno, dove però dominante in lui, più di tutto, è ancora la confusione. 43
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Molti scrittori e biografi occupatisi del Frate buono hanno egregiamente riassunto questo straordinario evento e minuziosamente descritto la scena del «cruento» incontro senza però mai occuparsi dell’intimo travaglio del Frate, cioè senza mai porre nel giusto risalto quello che nell’esistenza di Padre Pio è il cruccio maggiore: la confusione che lo assale improvvisamente mentre guarda quelle povere carni trapassate da parte a parte. La definisce quindi «confusione indescrivibile», ma leggiamo appunto cosa scrive: Era la mattina del 20 dello scorso mese. Ero in coro dopo la celebrazione della Santa Messa, allorché venni sorpreso dal riposo, simile ad un dolce sonno. Tutti i sensi interni ed esterni, nonché le stesse facoltà dell’anima si trovarono in una quiete indescrivibile… Mentre tutto questo si andava avverando mi vidi davanti un misterioso Personaggio, simile a quello visto la sera del 5 agosto che differenziava in questo solamente: aveva le mani, i piedi e il costato che grondavano di sangue. La sua vista atterrisce. Ciò che sentii in quell’istante non saprei dirvelo. Mi sentivo morire e sarei morto se il Signore non fosse intervenuto a sostenere il cuore che sbalzava fuori dal petto. La vista del personaggio si ritirò ed io mi avvidi che mani, piedi e costato erano traforati e grondavano sangue! Immaginate lo strazio che sperimentai allora e che vado sperimentando quasi tutti i giorni; la ferita del cuore getta continuamente sangue, specie da venerdì sera fino al sabato. Padre mio, muoio per lo strazio o per la confusione che io provo nell’intimo dell’animo. Temo di mori44
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re dissanguato se il Signore non ascolta i gemiti dei mio povero cuore… Mi farà questa grazia Gesù che è tanto buono? Toglierà almeno da me questa confusione che io sperimento per questi segni? Non desisterò dallo scongiurarlo affinché la sua misericordia ritiri da me non lo strazio, non il dolore, ma questi segni che mi sono di una confusione indescrivibile… Beneditemi sempre. Vostro affezionatissimo Padre Pio. È una lettera semplice ed essenziale al tempo stesso che descrive il grande evento delle Stigmate. Proprio su questo argomento ecco cosa scrive il neurofisiologo Jean Lhermitte, uno dei più importanti studiosi del fenomeno: «La stigmatizzazione si può produrre nell’anima, nello spirito o nel corpo, oppure contemporaneamente nella parte più intima dell’anima e nelle parti più visibili del corpo… Le ferite valgono soltanto nella misura in cui siano state precedute e accompagnate da questa punta acuminata che penetra lo spirito, di cui parla san Giovanni della Croce». Aveva scritto san Giovanni della Croce: «Quando l’anima è infuocata di amore di Dio, le può accadere di sentirsi assalita interiormente da un Serafino. Egli la brucia in modo sublime e nello stesso tempo la trafigge col suo dardo… Talvolta Dio permette che qualche effetto di questo favore apparisca nel corpo nella stessa maniera di quando avviene nell’anima…» La notizia non esplode subito ed il nome Padre Pio ancora non è famoso. Egli stesso, del resto, cela assolutamente quanto è accaduto, e delle Stigmate parla solo un mese dopo, in lettera, al suo superiore padre Paolino, perché 45
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questi quando era in convento con lui lo aveva sorpreso a pregare e a sanguinare nella propria cella. Ma è una regola evangelica: «Secretum regis abscondere bonum est»: «buona cosa è nascondere i doni, i suggelli del Re». Per questo il buon Padre Pio nasconde le proprie piaghe dagli occhi indiscreti di tutti, sotto la ruvida lana di quei mezzi guanti che calza fin quando celebra Messa. Il velo del mistero viene però violato soltanto quando per la prima volta «Il Giornale d’Italia» il 25 maggio 1919 dedica venticinque righe a questo singolare fraticello che prega e sanguina in una cella dimenticata di San Giovanni Rotondo. Lo rivela Giuseppe Pagnossin, nella sua opera “Il calvario di Padre Pio” citando padre Geraldo Saldutto, quale autore di una importante tesi di laurea sul «tormentato settennio (1918–1925) sulla vita di Padre Pio». «Il Giornale d’Italia» è dunque il primo «responsabile» della campagna di stampa che fa repentinamente «scoprire» l’umile fraticello di San Giovanni Rotondo e le impronte divine impresse sul suo fragile corpo. La notizia fa rapidamente il giro del mondo e la fama di questo «frate santo» è subito enorme. Migliaia di persone accorrono al piccolo eremo garganico a soli 40 chilometri da Foggia, per vedere colui che porta i segni di Gesù, per confessarsi da lui, per chiedere perdono dei propri peccati. Seguono subito altri giornali, come il «Mattino» del 21 giugno, ed appaiono le prime testimonianze di eventi incredibili, di versioni impensabili. Questi resoconti giornalistici che suscitano odore di miracolo, ogni giorno accrescono il già ampio numero di fedeli ed aumentano le attenzioni della Chiesa sul povero cappuccino. 46
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Ma il balzare improvviso agli onori della cronaca non provoca che seri guai al semplice frate. Infatti nel piccolo convento di Santa Maria delle Grazie la mattina del 19 giugno 1919 giungono i Regi Carabinieri, è il prefetto di capitanata Camillo De Fabritiis che li manda. Il ministero dell’Interno vuole un’ampia e circostanziata relazione, e lui, il prefetto, la invia prontamente. In essa tra l’altro è scritto: «Da diverso tempo l’opinione pubblica era vivacemente impressionata da pretesi miracoli compiuti da un certo Frate Pio del convento dei Minori Osservanti di San Giovanni Rotondo…». Questo prefetto ovviamente riferisce quanto gli è stato chiesto. Fra l’altro: «…Che, un’inchiesta severissima venisse iniziata al più presto per mezzo di persone, incomincia a puzzare di losco…; che si prendano le misure igieniche rese necessarie dall’affluire di tante persone, da paesi infetti da vaiolo e forse anche da tifo, nonché dal fanatismo dei credenti, i quali fanno ressa attorno al monaco, affetto da grave tubercolosi polmonare, e raccattano gli sputi sanguinolenti che questo emette…». È una relazione cruda e burocratica anche se l’ignaro prefetto fa del suo meglio per descrivere i fatti. Ma contro Padre Pio che versa sangue continuamente e contro i suoi fedeli si stanno per scatenare ben altre forze: quelle del male. 47
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IL PRIMO DOCUMENTO SULLE STIGMATE L’importante documento della prefettura di capitanata datato Foggia, 19 giugno 1919, è in realtà “il primo” e vero atto ufficiale di quanto accaduto e dell’identificazione del fenomeno delle Stigmate di Padre Pio. Come si vede, la relazione del prefetto, pur essendo piena di sospetti, di pesanti affermazioni («lurida industria»), di preoccupazioni igieniche («sputi sanguinolenti» di un tubercolotico) e di ordine pubblico («minacce palesi ed occulte» dei «fanatici» contro «quelli che sono di contrario parere»), fa salva, nella sua conclusione, sia la buona fede di Padre Pio, sia di coloro che credono ai suoi «pretesi miracoli». Tanto è vero che consiglia la massima cautela nel prendere eventuali misure di sicurezza e decidere eventuali denunce. In ogni caso, con la relazione del prefetto di Foggia, Padre Pio fa il suo ufficiale ingresso anche nella vita pubblica di un’intera regione. Intanto, i confratelli del cappuccino, compresa la Curia Generalizia, sgomenti dalla piega che sta prendendo l’interesse popolare per Padre Pio, decidono di volerci vedere chiaro innanzitutto dal punto di vista medico: in poche e brutali parole, vogliono sapere se le Stigmate sono una truffa o un segno di Dio. Stanno quindi per scattare le prime inchieste dei medici e cominciano sommessamente, anche sui giornali, le prime «dispute scientifiche teologiche». Riproduciamo in integrale la relazione, tenendo presente che viene redatta da agenti di pubblica sicurezza, per materia di servizio e datata 1919. Ecco il documento: 48
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Foggia, lì 19 giugno 1919 – verbale n. 764 pg: – (pg sta per “polizia giudiziaria “ n. dell’A.) Oggetto – Pretesi miracoli di un frate dei Minori Osservanti del Con. di S. Giovanni Rotondo. On. Ministero In. Direz. Gen. P. S. – Roma Da diverso tempo l’opinione pubblica era vivamente impressionata da pretesi miracoli compiuti da un certo frate Pio del Convento dei Minori Osservanti di S. Giovanni Rotondo ed avevo già al riguardo disposta la opportuna vigilanza, quando, in data 7 corrente, mi pervenne un ricorso, firmato dal Dottore Ortensio Lecce, a nome di un gruppo di cittadini di S. Giovanni Rotondo. In esso si chiedeva un’inchiesta nei riguardi dei pretesi miracoli e della salute del frate, nonché misure profilattiche o di P. S. a causa del grande concorso di gente che si verificava nel paese. In seguito a ciò il giorno 12 successivo inviai al Sottoprefetto di San Severo la seguente nota che trascrivo: «Dal Dottore Ortensio Lecce di S. Giovanni Rotondo che firma anche a nome di un gruppo di altri cittadini di quel comune, mi perviene un memoriale, col quale si chiede, che una inchiesta severissima venisse iniziata al più presto possibile per mezzo di persona energica in tutti i dettagli della curiosa faccenda che forse comincia a puzzare di losco» che le deposizioni del padre e del soldato e del Dottore Michele Terlizzi vengano subito ed integralmente comunicate al pubblico, che il monaco santo venga sottoposto a minuta ed esauriente visita medica per opera di scienziati appartenenti, se occorre, a diverse 49
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credenze. I risultati di tale esame dovranno subito essere resi noti al pubblico. Che si prendano le misure igieniche rese necessarie dall’affluire di tante persone, da paesi infetti di vaiuolo e forse anche di tifo, nonché dal fanatismo dei credenti, i quali fanno ressa enorme attorno al monaco, affetto da grave tubercolosi polmonare, e raccattano gli sputi sanguinolenti, che questo emette. Che si provveda ad un decente servizio di pubblica sicurezza, mandando qui rinforzi di guardie e di carabinieri, tanto più che i fanatici, sobillati da coloro, i quali hanno tutto l’interesse a tenere in piedi la lurida industria, da alcuni giorni si servono di minacce palesi ed occulte per intimidire quelli che sono di contrario parere. Premesso che, in materia di credenze religiose, anche quando esse degenerino in fanatismo collettivo, non può essere lecito e tanto meno doveroso e potrebbe anche riuscire pericoloso l’intervento della pubblica autorità, nel senso richiesto dal Dottore Lecce coi N. 1, 2 e 3 del suo memoriale; e premesso pure che tale intervento diretto ad accertare o smentire i pretesi miracoli, darebbe anzi maggior credito ai medesimi, poiché nessuna parola di scienziato varrebbe a vincere il fenomeno vecchio quanto il mondo, della suggestione individuale e collettiva, non rimane che avvisare ai mezzi coi quali provvedere alla tutela dell’ordine, della sicurezza e della salute pubblica. Prego pertanto la S.V. di farmi le relative proposte, provvedendo intanto, in quanto sia di sua competenza. Ciò in quanto riguarda il compito della polizia amministrativa, mentre anche per caso che occorressero indagini di polizia giudiziaria, per mettere eventualmente in moto l’azione penale, nei riguardi 50
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dell’articolo 413 del Codice Penale, occorrerà essere ben cauti, prudenti e guardinghi, poiché una azzardata denunzia, che non avesse il sostrato di prove certe, inconfutabili del fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, non farebbe che aumentare il prestigio del preteso santo. E anche su di ciò attendo di essere minutamente informato dalla S.V. Intanto giorni fa in San Severo si era sparsa la voce che un membro della famiglia dell’onorevole Faccacreta, avesse telegraficamente sollecitato un colloquio con Padre Pio. Di tale notizia si fece portavoce il canonico Rubino del luogo, il quale in chiesa magnificando i miracoli e la santità del monaco, osannò il fatto. Saputo ciò l’onorevole Faccacreta, verso le 20 del 12 corrente, chiamato il Rubino nel Circolo Indipendente di San Severo lo apostrofò violentemente; vi fu uno scambio di parole vivaci, seguite da vari pugni e schiaffi. Il canonico inoltre venne colpito alla testa con bastone da un fratello dell’onorevole. Il Rubino per giustificarsi dell’assicurazione fatta disse che la notizia del telegramma speditogli era stata confermata dal consigliere aggiunto Dott. Delle Ruaso attualmente a S. Giovanni Rotondo, verso il quale il Faccacreta manifestò propositi minacciosi – Su queste circostanze mi riservo di riferire. Credo inoltre opportuno trascrivere a codesto onorevole Ministero, per opportuna notizia il seguente rapporto del 13 corrente del Sottoprefetto di San Severo, col quale il Faccacreta aveva avuto uno spiacevole incidente, poche ore prima dell’aggressione al canonico Rubino. Pomeriggio ieri, uscendo da portone questa Sottoprefettura unitamente Cap.no RR.CC. o altre persone, fui avvicinato da onorevole Faccacreta, che manifestò desiderio parlarmi. 51
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Separatomi da persone che erano in mia compagnia, onorevole Faccacreta senza neppure attendere che io lo invitassi a favorire in ufficio, incominciò, con consueti modi scortesi, a lamentarsi che Autorità rimanevano inoperose di fronte alla commedia, che da tempo si sta facendo in S. Giovanni Rotondo ad opera di uno dei frati di quel Convento. Aggiunse che egli si sarebbe in settimana recato Ministero per informare se tale spettacolo miserando, chiedendo intervento superiori Autorità. Altre considerazioni, sempre più eccitandosi, onorevole Faccacreta credette fare, nonostante che io, con eccezionale calma, avessi avuto appena il tempo di dirgli che le autorità si stanno interessando, nei limiti del possibile, della cosa; ma egli eccitatissimo seguitò nei suoi apprezzamenti poco benevoli verso le autorità tutte. Fu allora che dichiarai all’onorevole Faccacreta che altra volta sarebbe stato opportuno evitare di parlarmi di cose di ufficio, fuori del mio ufficio. Pare che lo stato di eccitamento dell’onorevole Faccacreta non sia cessato subito, ed invero ieri sera ebbe luogo nei locali di questo Circolo Indipendente un incidente abbastanza grave sul quale riferisco con mia nota di pari data N. 51. Ed infine comunico che all’onorevole Faccacreta, venuto da me negli scorsi giorni, e che avrebbe voluto che io facessi una richiesta diretta ad escludere la possibilità dei miracoli e che avessi preso provvedimenti per fare cessare quella che egli chiama una truffa, io dissi che la libertà di coscienza ed il riconoscimento statutario della religione cattolica non permettono allo Stato di negare i miracoli, e che nel riconoscerli o escluderli è incompetente lo Stato. 52
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Che se egli ritenesse quella una truffa, poichÊ a me non risultano elementi di prova di tale reato, anzi finora devo escludersi che il movimento dei fedeli verso quel comune, il Monastero ed il frate fosse meno che spontaneo, potrà rivolgersi al Procuratore del Re, ritenendo io, pel momento, di dovermi limitare a garantire in S. Giovanni Rotondo le normali condizioni di P.S. stante l’affluenza di fedeli, e seguire il movimento per evitare abusi e sorprese alla pubblica buona fede. Il Prefetto Dott. Camillo De Fabritiis (Prefetto dal 15 giugno 1916 al 4 settembre 1919)
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LA PRIMA TESTIMONE DELLE STIGMATE In quel grandioso evento che è la stigmatizzazione di Padre Pio, assume straordinario valore storico la testimonianza che ne dà nel suo diario la maestra di San Giovanni Rotondo Nina Campanile. Fra le più assidue «figlie spirituali» del venerato frate, Nina, certamente, ne fu la prima, sia in ordine di tempo quanto affettivamente sul piano spirituale. Prese infatti a frequentare il fraticello già dal lontano 1916, data dell’arrivo di Padre Pio al convento di Santa Maria delle Grazie. Ecco cosa scrive delle Stigmate, dopo averle appena viste il 22 settembre 1918, esattamente il giorno dopo la stigmatizzazione di Padre Pio; il documento è tratto dall’Archivio Pagnossin: Pace e bene! Conobbi il Padre il 5 ottobre 1916, e cioè un mese dopo il suo arrivo a San Giovanni Rotondo. Andai a visitarlo dopo la morte del mio povero fratello avvenuta sul Carso il 16 settembre 1916. Mia madre temeva della sua salvezza e mi recai dal Padre proprio per domandargli se mio fratello era salvo. Ecco la risposta del Padre: «Se la Misericordia di Dio dovesse essere giudicata da noi, le anime andrebbero tutte all’inferno». Giudicai il Padre nel primo incontro, per un’anima molto semplice sebbene immaginassi di vedere questo Fraticello ritenuto già santo dalle poche persone che lo conoscevano, un essere non umano, ma soprannaturale, con l’aureola intorno al capo perché ero ben lontana dal 54
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comprendere che i Santi prima di essere nell’atmosfera della luce soprannaturale, cioè luminosi della gloria del Paradiso, sono dei puri e veri uomini. Dopo quel primo incontro non potei più distaccarmi dal Padre la cui fama di santità andava sempre più divulgandosi nel paese e finii per pormi sotto la sua direzione. Ma in seguito il Padre mi disse che dal primo incontro comprese che il Signore mi aveva mandata a lui che molto lavoro gli ci voleva per plasmare la mia anima al bene. Due volte la settimana, giovedì e domenica, e spesso durante gli altri giorni mi recavo al convento con altre colleghe insegnanti e sorelle spirituali, perché il Padre in foresteria nel più intimo raccoglimento ci teneva le conferenze, prima sui mezzi della perfezione poi sulle parabole evangeliche. Egli conferiva e noi facevamo obiezioni per ciò che rimaneva oscuro, e con umilissima paterna condiscendenza il Padre scioglieva i nostri dubbi illuminando il nostro spirito tenebroso. Le uditrici delle sue conferenze eravamo in poche, 121. Un giorno il Padre mi confessò che era suo intendimento formare poche anime e bene, perché a loro volta fossero il semenzato in seno alle famiglie del popolo. Nei discorsi privati però il Padre si interessava non solo dei bisogni dell’anima, ma ancora di tutto ciò che concerneva le nostre famiglie, proprio come una persona di famiglia a cui interessa sapere lo svolgimento della vita dei loro cari. Le altre erano: Rachelina Russo, le sorelle Ventrella, Giovanna e Lucia Fiorentino, Lucia Campanile, Maria e Antonietta Pompilio, Maria Ricciardi, Filomena Fini, Maddalena Cascavilia. 1
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Se qualcuno dei nostri era ammalato si informava al nostro primo apparire e ne diceva la soluzione del male. In tal modo il finissimo conquistatore di anime si accattivava talmente la nostra fiducia che noi gli manifestavamo tutto noi stessi e quelli che ci appartenevano ed entrando così nelle più intime fibre delle nostre coscienze ne vagliava, ne dirigeva i sentimenti e tutto lo spirito indirizzandolo all’ideale Supremo. Durante il primo anno che ero sotto la direzione del Padre mia madre si ammalò con febbri molto alte. Il dottore diagnosticò che era affetta da polmonite doppia ed io ne ero costernata. Mi recai dal Padre ed Egli mi vide e mi domandò: «Come sta tua madre?» «Ha la polmonite doppia e il medico ci ha fatto applicare otto mignatte (sanguisughe –n.d.A.)». «Ma che polmonite doppia» esclamò il Padre. «Ha una forte malaria, mi dispiace del sangue che le avete cavato, per rimetterlo ce ne vorrà». Di fatti poco dopo venne constatato il male che il Padre aveva soprannaturalmente riconosciuto. La prima volta che io ebbi un abboccamento a sola col Padre, Egli penetrò sì a fondo nella mia coscienza senza che io avessi parlato, ch’io mi vergognai di essere al suo cospetto e non osai alzar gli occhi per guardarlo tant’era la confusione che io ne provavo. Fin dall’inizio della sua direzione stabilii i cardini del nostro edificio spirituale su cinque basi: 1° Confessione settimanale, 2° Comunione quotidiana, 3° Lettura spirituale, 56
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4° Meditazione, 5° Esame di coscienza ogni sera. Una volta mio padre che nelle serate d’inverno dopo cena amava intrattenersi con me a discorrere e a ciò io ero costretta per volere del Padre, mentre era mio vivo desiderio stare in solitudine nella mia camera, una sera dunque, mio padre mi domandò: «Ogni quanto ti confessi?». Risposi: «Ogni otto giorni». «E che necessità c’è se io vedo che non hai peccati?» Riferii ciò al Padre che trovava sempre le risposte ad hoc; soggiunse: «Dirai a papà che una stanza sebbene non praticata ha bisogno di essere spolverata almeno ogni otto giorni»; e poi mi diceva che «non gli bastava il cuore di lasciare un’anima più di otto giorni senza il lavacro della santa Confessione». A nessun costo voleva che lasciassimo la Comunione quotidiana tranne per aver commesso peccati mortali e perché non ci lasciassimo dubbi subiva tutte le nostre e frequenti noie di ascoltare i nostri timori per cui non volevamo accostarci all’altare. Egli allora ci diceva: «Se puoi giurare che hai commesso peccato mortale, allora non fare la Comunione». E così egli trionfava sempre. Per suo mezzo, la Comunione quotidiana si diffuse in breve in tutto il paese. E quanto non ci divertì la conferenza in cui ci narrò che s. Girolamo fu percosso un’intera notte dal demonio (per ordine di Dio) perché non voleva sapere di letture spirituali? Il Padre stesso ci consigliava i libri da leggere, e ce ne prestava anche. 57
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Posso attestare con personale esperienza che io ho tratto dalla lettura spirituale tanta utilità, quanto forse con altri mezzi. Per la meditazione poi, era addirittura intransigente. Voleva che la facessimo due volte al giorno, e quantunque per me il meditare fosse una vera penitenza per la grandissima difficoltà a trattenere il pensiero su un soggetto stabilito, ad onta delle mie parole, non volle dispensarmene mai ed oggi lo benedico. «La meditazione» diceva il Padre «è la chiave del progresso, della propria conoscenza e di quella di Dio, e per essa si raggiunge il fine della vita spirituale qual è la trasformazione dell’anima in Cristo.» Ma l’insegnamento del Padre non era solo cattedratico o nel confessionale, ma di tutto egli si serviva per farci penetrare la verità. Voglio raccontare un aneddoto, che a prima vista sembra non abbia alcuna utilità dal lato spirituale, ma pure per me ne ebbe tanto. Nei primi anni, il Padre mi trattava in una maniera eccezionale sulle altre sorelle spirituali, e propriamente come una bambina. Mi regalava le più belle immaginette ed altri oggetti sacri, e tutti i dolci che gli venivano personalmente regalati. Nella mia cecità, ritenevo tali doni come segno della speciale predilezione del Padre ed anche di Dio. In progresso di tempo poi, incominciai a pensare che il nostro serafico Padre S. Francesco viveva in tanta penitenza ed io mangiavo dolci. Esposi al Padre la mia riflessione ed Egli subito mi rispose: «Ed io perciò non li mangio, e li dò a te». 58
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Ed io di rimando: «E non sono anch’io figlia di S. Francesco, e allora perché me li dai?». «Tu non sei figlia di S. Francesco, ma di Don Francesco» rispose il Padre scherzando, e ridemmo di gusto tutti e due. Ma tal sapiente celia penetrò profondamente l’anima, e spesso mi tornava a mente, specialmente quando la figlia di D. Francesco che voleva pur essere figlia di S. Francesco voleva gustare i dolci. Il Padre aveva un metodo tutto proprio di attrarre le anime a Dio. Noto quanto segue: Egli se le cattivava prima a sé con mezzi umani e quasi puerili accondiscendendo a tutte le volontà dell’anima purché non fossero peccaminose. Egli diceva: «Lo scarafaggio fuori dello sterco muore». Ma quando lo scarafaggio lo aveva fortemente avvinto a sé, allora lo traeva fuori dalla propria volontà, la lanciava a Dio liberando l’anima dai motivi umani e interessati. Un giorno, presente un’anima che da vari giorni non si lasciava più vedere perché incominciava il disgregamento spirituale, senza indirizzarsi ad alcuna il Padre esclamò: «I pesci corrono all’amo attratti dall’esca; tolta questa, si allontanano». L’anima comprese che la metafora era a sé diretta, e fu più svelta a correre all’amo senza l’esca. Non agiva però, così, con le anime forti e già provate. Egli le faceva correre nelle vie ascensionali di sacrificio in sacrificio dietro il suo esempio. Alla sorella di una di tali anime che si lagnava col Padre perché la trattasse con severità ed indifferenza, rispose: «Pensi ad aiutarmi, che il resto è pasto da bambini». Fra tutte le sue figlie spirituali il Padre ne ha avuta una sempre a sé vicina e che era oggetto di tutte le sue preferenze; ma non è stata sempre la stessa anima. 59
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Essa non era però tra quelle che sono più votate al sacrificio, sebbene tra le più deboli ed imperfette. Egli si assoggettava e si assoggettava a tal anima, come un servo umilissimo ed obbedientissimo ed affezionatissimo si assoggetta al suo padrone. Si assoggetta non senza meraviglia e perfino scandalo degli altri ai capricci ed alle stravaganze di tali anime. Ad una di tali anime Egli diceva: «Ogni tuo desiderio mi è un comando»; e in realtà conforme agiva. Essendo, come dicevo, tali anime delle più deboli, cieche ed imperfette, era motivo di esercizio di pazienza: l° per il Padre stesso, 2° per le altre sorelle spirituali, 3° per i Padri e Superiori stessi del convento. Tal mistero non era compreso dalle anime che circondano il Padre, ma solo da chi essendo stata un tempo sua preferita e poi diversata e slanciata nelle vie del sacrificio sol può comprendere. Tal anima serve sempre al Padre per provare le altre e farle praticare la virtù. Non mi son spiegata bene: in conclusione voglio dire che il Padre ha usato preferenza speciale per un’anima su tutte le altre, soddisfacendola in tutti i suoi desideri (come lo fa tuttora ma l’anima non è sempre la stessa. Prima vi fui io, poi Comare Elvira, ora Cleonice), e ciò per i tre motivi suddetti. Da principio questa speciale e singolare direzione anzi tutta nuova, non era compresa specialmente dai Superiori ed era motivo di grande sofferenza per il Padre. Ma egli che sta sempre come “torre ferma, che non crolla mai la cima per soffiar dei venti” tirava avanti per la strada che il Signore gli indicava. «Qui, non c’è l’accettazione di persona» Egli diceva, «le anime vengono attratte come il Signore dispone». 60
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Il 2 febbraio 1918 una mia sorella cadde malamente da una certa altezza. Fu presa da terribili dolori epatici e poi perse coscienza. Il medico chiamato di urgenza aveva detto: «Vi è spostamento dei reni e contusione interna, stanotte muore». Corsi dal Padre tra l’imperversare di acqua, vento e neve, ma Egli mi rassicurò che non temessi, «è solo una chiamata di Dio, in breve guarirà». La sera del 2 febbraio mia sorella giaceva ancora incosciente nel letto, ogni quarto d’ora dava di stomaco. Per assicurarmi se avesse anche in parte qualche intelligenza, la chiamai forte, la scossi, la pizzicai, ma ella non avvertiva nulla. Ero vicina al suo letto con una mia amica la quale ad un tratto si fece pallida: «Il Padre è qui». Rimasi stupefatta, non avevo mai sentito una cosa simile ed incominciai ad interrogarla: – Ma come il Padre è qui? – Sì, è qui in ispirito. – E com’è vestito? – Da monaco. – Se lo tocco afferro qualche cosa? – No, perché è spirito. Vedi? S’è avvicinato a tua sorella ed ha esclamato «Povera figlia!». Dopo una decina di minuti l’amica mi dice: – Adesso è andato via. Mi avvicino a mia sorella e la chiamo di nuovo. Con mia meraviglia mi risponde traendo un profondo sospiro. – Come ti senti? – le chiesi. – Molto meglio – e perse di nuovo conoscenza. 61
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Mi venne subito in mente di accertarmi della realtà dell’avvenimento e guardai l’orologio. Erano le 8 di sera. L’indomani mi recai al convento, trovai il Padre nel piazzale e gli chiesi a bruciapelo: «Padre, a che ora siete venuto ieri sera a casa?». «Verso le otto» mi rispose. La prova era evidente. Mia sorella guarì e presto si avvicinò pian piano al Padre. Nel giugno 1918, poco prima della festa di San Pietro, il Santo Padre Benedetto XV emanò l’ordine che il giorno di S. Pietro tutti i sacerdoti avessero celebrato la Messa secondo le sue intenzioni. «È per cessazione della guerra», mi disse il Padre ed allora Egli stesso si offerse secondo il volere del Vicario di Cristo. Il Signore destituì il Padre di tutti i suoi lumi e i suoi carismi non solo, ma il povero Padre giaceva in prigione (spiritualmente) come S. Pietro tra i ceppi e le catene. Vedevamo il nostro amato Padre soffrire assai, versava lacrime e spesso esclamava: «Mio Dio, lume degli occhi miei, mio tesoro e mia vita, dove sei? Perché mi hai abbandonato?». Il 6 agosto un Serafino gli trapassa il cuore con un dardo e verso la fine del mese, una sera vedemmo la luna in plenilunio circondata da fasce circolari luminose dei colori dell’arcobaleno. Dicemmo al Padre l’indomani: «Avete visto il bello spettacolo ieri sera?» «Sì» rispose «quando gran segni appariscono nel cielo grandi cose avverranno sulla terra». Intanto infieriva la spagnola e nel paese mieteva vittime. «Non temete», diceva il Padre. «Tenetevi sotto la protezione della Vergine, non commettete peccati, il morbo non 62
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avrà ragione di voi». Difatti nessuna delle sue figlie spirituali ne morì. Il 17 settembre 1918 mercoledì fui dal Padre e conferii con Lui, soffriva molto, si addossava sofferenze per salvare le anime e i corpi dal morbo della spagnola. Il 18 e 19 non potei recarmi dal Padre perché tutti i miei furono attaccati dal male in forma leggera, solo una mia sorella prossima al parto si aggravò. Il venerdì notte mia sorella aggravatasi ancora chiese di confessarsi dal Superiore del convento e mia madre costernata dal timore della perdita mi dette l’elemosina da portare al Padre per una Messa. Era quel che bramavo, corsi al convento e trovai il Padre nella sagrestia: – Padre, mia sorella è grave – esclamai. «Quant’è che la vedessi spirare» mi disse, «devi credere che deve guarire». La certezza della guarigione penetrò l’anima mia e consegnai l’elemosina al Padre, allora vidi sul dorso della mano come una scottatura a forma di rombo. Pensai subito che fossero le stigmate e dissi al Padre in modo tendenzioso: «Vi siete scottato la mano?» Egli impallidì e se la nascose senza rispondermi. Continuammo a parlare di mia sorella e del male che ci affliggeva, più tardi ritornai in paese con una mia cugina, il Padre ci accompagnò e nel licenziarci gli baciai la stigmate, ma il Padre mortificato mi disse: «Se sapessi che umiliazione mi dai!…». Ed io «Padre, per Natale, in virtù di queste stigmate, Gesù ci concederà tante grazie». «Oh!» esclamò «pregherò tanto il Signore che tutto sarà sparito». Ma il Signore questa volta fece tutto il rovescio di quello che l’umiltà del suo diletto desiderava, le stigmate si 63
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approfondivano ed allargavano di mano in mano, oggi tutto il palmo e il tergo è piagato e trapassato. Il Signore aveva gradito la vittima Sacerdote: il sacerdote nell’agiografia dei Santi, e il 4 novembre avemmo l’armistizio. La missione del Padre, è una missione universale… Tutte le anime, tutti gli stati e tutti i gradi. Fin da quando era adolescente nella casa paterna, Egli sentiva la voce del Signore che lo chiamava e gli affidava una missione nota a Dio e a Lui solo! Dove ti servirò meglio, o mio Dio, se non sotto il chiostro, e sotto il manto del poverello di Assisi? Ivi il Signore lo chiamò. Lo condusse e lo nascose agli occhi di tutti trasformato con operazioni soprannaturali, la sua anima umana del Divino, finché Egli poté dire: «Vivo io, ma non io, Gesù Cristo vive in me». E il Divino si trasfuse nell’anima del Padre, in una maniera piena sovrabbondante, concedendo al suo spirito tutti i doni che troviamo separati in altri Santi: umiltà profonda, carità, pazienza longanime,… solerte, pacifica, ecc… Scrutazione dei cuori, bilocazione, emanazione di profumo, attrattiva avvincente. Sagacia, perspicacia, sapienza, prudenza, e tutti naturali e soprannaturali, compresi i doni di profezia, previsioni del futuro e di fatti lontani avvenuti. Un mio nipotino era affetto da difterite con febbre altissima. I medici si affidavano alla Divina Provvidenza per la salvezza del bimbo, i genitori ne erano desolatissimi. Il Padre aveva finito di confessare ed io l’attesi sotto l’arco; mi ascoltò in piedi: «Padre» gli dico «il nipotino sta malissimo». Il Padre mi rispose avviandosi alla sagrestia: 64
PARTE II
«Non è nulla. Guarirà!» Quella risposta così istantanea e di passaggio non mi persuase, tanto più che il bambino si aggravò ancora, e il babbo di notte corse a Foggia a prendere lo specialista. Il Padre saputo ciò mi disse: «C’era bisogno proprio dello specialista per far guarire il bambino? Meriteresti che ti facessi sperimentare gli effetti dell’incredulità!». Ma confesso che non avrei mai pensato che la chiaroveggenza e la previsione di quello che sarebbe accaduto fosse un fatto naturale nel Padre, perché istantaneamente il Padre mi aveva risposto che il bimbo sarebbe guarito. Dio è in lui in maniera soprannaturale come è in noi il naturale e potrei citare molti fatti che lo dimostrano. Mio nipote tenente medico faceva servizio sulla nave Po ospedaliera. Fu bombardata: spaventata parlai al Padre di mio nipote e all’istante Egli rispose: «Stai tranquilla, era nel porto». Difatti per mezzo di un suo compagno sapemmo che quando la nave fu bombardata mio nipote era nel porto. Né il Padre poteva saperlo per comunicazioni umane perché glielo chiesi subito dopo la notizia dell’affondamento. I tempi burrascosi che viviamo avevano bisogno di un essere divinizzato sulla terra per illustrare, confortare, sostenere e soprattutto sorreggerci tra l’imperversare delle furiose tempeste, perché le povere anime insieme col corpo non perdessero le loro anime. La vita del Padre come quella del Divin Maestro è tutta un sacrificio: mangia pochissimo, dorme meno, si ricrea quasi affatto. Prega, lavora, soffre. Dimentico affatto di sé, la sua vita è votata alla causa delle anime ed è quasi sempre in mezzo ad esse in confessionale o in udienza di uomini. Tutte le 65
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classi, tutte le età di persone affluiscono a Lui ininterrottamente, e non respinge nessuno. Con Lui il buono diventa ottimo, il cattivo diventa buono, e tollera con pazienza eroica il duro di cuore, l’ottuso d’intelligenza nella speranza di un finale ravvedimento. «Se fate del bene a chi lo merita, che merito ne avrete? Dovete saper trattare il buono e il cattivo, per ricavarne bene dall’uno e dall’altro.» Oggi il Padre è libero dalla sua grande Missione e nel suo Apostolato. La sua vita soprannaturalizzata e gli effetti del suo grande Apostolato sono riconosciuti da Superiori e inferiori ma prima di appianarsi la strada quante difficoltà ha dovuto sormontare il povero Padre e soprattutto l’incomprensione per l’indirizzo e i mezzi propri che Egli usava per attirare con facilità le anime a Dio, le anime le più ingolfate nel vizio, nella cecità, nell’orrore. L’incomprensione e quindi la persecuzione, l’invidia, la gelosia lo attanagliarono e gli ingombrarono il cammino, ma Egli sorretto da Dio che non poteva mancare in suo aiuto, perché lavorava per la Sua gloria, si fece strada tra il trivio micidiale, le maree altissime, le voragini spaventose, ed oltrepassò di vittoria in vittoria e conquistò il mondo altissimo della verità e della giustizia. Ora egli il grande Araldo di Cristo gode la sua vittoria, effondendo indisturbato, placidamente i tesori dell’Apostolato Cristiano.
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INDICE
Parte I Gli inizi della vocazione Sotto la continua minaccia del “maligno” Il suo «stare» sofferto La trasverberazione La trasverberazione di San Giovanni della Croce e di Santa Teresa d’Avila Parte II Padre Pio riceve le stigmate Il primo documento sulle stigmate La prima testimone delle stigmate I confratelli a confronto con le stigmate Una lettera prodigiosa Parte III La visita del prof. Giorgio Festa a Padre Pio Le relazioni del prof. Giorgio Festa Prima relazione: il documento 1 Seconda relazione: il documento 2 L’operazione
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STIGMATE DI PADRE PIO
Parte IV Le “pagine segrete” del diario del prof. Festa Alla ricerca del peccatore pentito Valore dell’anima Il più forte amore Avversità e soddifazione Nella via che conduce a Gesù Sintesi Parte V L’epistolario del prof. Festa La lettera dell’abate Un «colpo di mano» maldestro Una dedica arbitraria Una mera censura morale Le lettere “del cuore” scritte da Padre Pio a Giorgio Festa Dopo la tempesta ritorna il sereno Nasce la “Casa di Sollievo della sofferenza” Padre Pio dice ai suoi devoti Bibliografia
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Papa Francesco bacia la fronte di San Padre Pio alla chiusura dell’Anno Santo della Misericordia
20 SETTEMBRE 1918 20 SETTEMBRE 2018 CENTENARIO DELLE STIGMATE ISBN 978-88-8424-460-4