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IL MALTRATTAMENTO DEI CAVALLI

L'EVOLUZIONE NORMATIVA: IL CAVALLO DA SEMPLICE "OGGETTO" AD "ESSERE VIVENTE MERITEVOLE DI TUTELA"

DI AVV. GIULIO MUCELI

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"Si può conoscere il cuore di un uomo già dal modo in cui tratta gli animali" scriveva Kant nel 1778. Niente di più vero, ma solo un pensiero, anche se di uno dei più grandi filosofi . Ci sono voluti altri 200 anni perché nel 1978, nella sede dell’UNESCO venisse sottoscritta la dichiarazione universale dei diritti dell'animale che all'articolo 3, recita: "Nessun animale dovrà essere sottoposto a maltrattamenti e ad atti crudeli. Se la soppressione di un animale è necessaria, deve essere istantanea, senza dolore, nè angoscia".

Un codice etico, certo, niente di vincolante perché sottoscritto dalla L.I.D.A. ed altre associazioni ambientaliste, ma un documento che indica, sul piano giuridico un cammino verso il riconoscimento di diritti dell’animale inteso come essere senziente, portatore di interessi propri.

L’inizio di un nuovo percorso anche per il cavallo.

Purtroppo, però, ancora oggi, nei Paesi che si dicono civilizzati, milioni di animali, compreso il nostro amico, vengono quotidianamente maltrattati dagli esseri umani.

In Italia che sanzioni sono previste nei confronti di chi maltratta i cavalli? In origine il nostro codice penale disciplinava esclusivamente il reato di abbandono di animali punendo colui il quale sottoponeva gli animali a trattamenti crudeli, ad eccessive fatiche o torture, ovvero li adoperava per lavoro anche se non idonei per malattia o età.

Il codice del periodo fascista tutelava l’animale come mero strumento per l’uomo, un bene patrimoniale principalmente finalizzato alla produzione. Si trattava di un reato contravvenzionale punito con l’ammenda. [Ai sensi dell’art 39 c.p. i reati si distinguono in delitti e contravvenzioni: è un criterio distintivo formale in base al quale i delitti vengono puniti con reclusione e multa e le contravvenzioni con arresto e ammenda. ]

Segno evidente che il legislatore del tempo considerava punibili condotte palesemente dannose nei confronti degli animali con una debole soglia di tutela. Solo nel 2004, fortunatamente, sebbene in ritardo, con la legge n.189, viene inserito nel codice penale un insieme di norme volte a tutelare il sentimento umano di pietà nei confronti degli animali: l’animale rileva esclusivamente come essere vivente dotato di una propria sensibilità psico-fisica.

Tra esse, un’indubbia rilevanza, dev’essere attribuita all’art. 544 ter c.p., rubricata “Maltrattamento di animali” che prevede: “Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro.

La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi

. La pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte dell'animale.”

Anche a chi ha poca dimestichezza con il diritto, non potrà sfuggire che il contegno incriminato, questa volta, è qualificato come delitto: il legislatore più recente, dunque, dimostra di voler innalzare la tutela degli animali rispetto ai comportamenti lesivi.

Oggi, dunque, il maltrattamento di animali è collocato all’art. 544 ter del codice penale ed è un delitto, punito con la reclusione da tre diciotto mesi o con la multa da € 5.000 a 30.000

COSA S’INTENDE PER MALTRATTAMENTO DI CAVALLI?

L’art. 544-ter è una norma a più fattispecie: la pluralità delle condotte tipizzate si presentano come modalità diverse di concretizzazione dell’offesa al bene giuridico. La condotta di maltrattamenti può consistere in:

a - atti che cagionano una “lesione”, cioè un’apprezzabile diminuzione della originaria integrità del cavallo, con crudeltà e in assenza di necessità. Configura la lesione integrante il delitto di maltrattamento di animali anche l’omessa cura di una malattia che determini il protrarsi e il significativo aggravamento della patologia quale fonte di sofferenze e di un’apprezzabile compromissione della integrità fisica;

b - condotte di sevizie, comprensive di tutte le forme di crudeltà verso i cavalli, offensive del sentimento di pietà e compassione per gli stessi, caratterizzate da fatiche o lavori insopportabili;

c- condotte consistenti nella sottoposizione dell’equide ad attività insopportabili per le sue caratteristiche etologiche. Non solo. Si considerano maltrattamenti dei cavalli, come abbiamo già detto in un precedente articolo, anche la somministrazione di sostanze stupefacenti o vietate e la sottoposizione a trattamenti che procurano un danno alla salute.

E se il cavallo dovesse morire a seguito dei maltrattamenti? È previsto un aumento di pena!

La doma violenta è un reato? Si! La doma e l’addestramento dell’equide devono avvenire nel rispetto delle esigenze fisiologiche ed etologiche dell’animale. La doma violenta è una condotta di maltrattamento punita con la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro.

Picchiare violentemente il cavallo con un bastone per fargli acquisire un’andatura più regolare è reato? Si!

Tenere il cavallo in un box ristretto e sporco è reato? Si. La giurisprudenza ha qualificato questa condotta come abbandono di animali, prevista e punita dall’art. 727 c.p. Integrano un reato non solo le sevizie, le torture o le crudeltà caratterizzate da dolo che destano ripugnanza per la loro aperta crudeltà (punite dall’art. 544 ter c.p.), ma anche quei comportamenti colposi di abbandono e incuria che offendono la sensibilità psico-fisica dei cavalli quali autonomi essere viventi, capaci di reagire agli stimoli del dolore come alle attenzioni amorevoli dell'uomo.

È vietato stallare i cavalli in box angusti, privi di aperture, a stretto contatto con le proprie deiezioni perché si tratta di in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze: è notorio, infatti, che i cavalli necessitino di aria, luce, acqua, movimento all’aperto e di potersi muovere anche nel luogo di custodia. Se si adotta questa condotta che pena è prevista? L’arresto fino a un anno o l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro.

Il caso: Il proprietario di un cavallo, custodiva l’animale in un vano seminterrato angusto, alto meno di due metri e con il pavimento ricoperto da strato di escrementi costringendolo a stare con la testa e il collo continuamente abbassati, limitando la sua possibilità di sdraiarsi e di movimentazione fisica.

La stalla era di ridotte dimensioni, rese ancora più esigue (quanto all’altezza) dall’imponente strato di letame presente sul fondo.

A seguito della contestazione, nel corso del processo il proprietario dell’equide si difendeva asserendo che il cavallo avesse il nutrimento necessario.

Cos’ha deciso il giudice? Non ha ritenuto sufficiente il fatto che l’animale avesse il cibo e l’acqua necessaria, e ha precisato che è vietata la custodia di animali in luoghi angusti e non adatti alle loro caratteristiche. Il proprietario dell’equide, quindi, è stato condannato per avergli causato gravi sofferenze consistenti nell’impossibilità di movimento, come pure per essere impedito di sdraiarsi e riposare.

Tenere un cavallo allo stato brado è reato? Legge secondo natura o condizioni incompatibili con il benessere animale? È noto come i cavalli riescano a raggiungere un maggior benessere quanto più il loro habitat si avvicini a quello naturale. Deve evidenziarsi, tuttavia, come l’allevamento degli equidi in libertà può determinare l’integrazione di un reato. Quando? Nell’ipotesi in cui ai cavalli non venga assicurata alcuna cura e assistenza tanto da cadere in stato di forte denutrizione e disidratazione.

IL CASO: Al proprietario di numerosi cavalli veniva contestato il reato di abbandono di animali per aver mantenuto i propri animali allo stato brado producendo loro gravi sofferenze.

In particolare, gli animali venivano rinvenuti casualmente dai guardiacaccia mentre pascolavano allo stato brado e si presentavano tutti malnutriti ed assetati ed uno, proprio per aver cercato di bere, era in difficoltà perché finito in una pozza fangosa dalla quale non riusciva ad uscire. Durante il processo il proprietario si difendeva evidenziando che nella sua zona è costume tenere i cavalli in condizioni naturali, allo stato brado, integrando, in vari modi naturali, la loro alimentazione specie nei periodi più rigidi.

Cos’ha deciso il giudice? Ha evidenziato che gli animali presentavano segni evidenti di magrezza e, soprattutto, erano afflitti chiaramente da una carenza di acqua, tanto che erano costretti ad abbeverarsi nell’unica pozza disponibile, praticamente invasa dal fango e, di fatto, ridotta ad una trappola pericolosa nella quale l’animale, che vi si era avventurato per necessità, non essendovi alternative, era rimasto intrappolato. Il proprietario, quindi, veniva condannato per aver procurato

gravi sofferenze ai cavalli e il giudice ha rilevato che - per quanto fosse peculiare il metodo di allevamento - certamente esso non prevedeva un totale abbandono degli animali al loro destino. Insomma, l’imputato è stato condannato per aver tenuto gli animali in condizioni tali da determinare loro gravi sofferenze e gli animali sono stati confiscati e affidati ad associazioni competenti che potessero occuparsi del loro benessere.

L’auspicio è che l’evoluzione normativa, non solo con l’inasprimento delle sanzioni ma anche con forme educative e nuove sensibilità, determini la cessazione di condotte intollerabili, perché, come diceva Gandhi “la grandezza di una nazione e il suo progresso morale si possono giudicare dal modo in cui tratta gli animali”.

A menzus biere!

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